TFP New Frontiers

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NEW FRONTIERS N.9



NEW FRONTIERS



Non ci sono dubbi: se vogliamo predire il futuro, dobbiamo inventarlo. In questo numero si raccolgono le sfide (le invenzioni appunto) di importanti personalità del mondo dell’arte, dell’architettura, della fotografia, del design… che offrono le loro risposte alla domanda archetipica: come sarà il futuro? Ecco le nuove frontiere. Dalla robotica ai sistemi digitali, da internet all’uso smodato dei social, e poi: case mobili, riletture di ambienti urbani, tessuti che registrano il meteo e perfino giganti, come cambierà questo mondo di innovazione diffusa e sempre connesso? Dobbiamo interessarci al futuro, perché è lì che trascorreremo il resto della nostra vita.


INDICE

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L’ARTE URBANA NELLE MARCHE

INTERVISTA A DANIEL RUEDA

MADE BY RAIN


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L’ABITAZIONE DEL CITTADINO CONTEPORANEO

ROBOT IN SCENA

INTERVISTA A FRANCESCO MATTUCCI

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LA SAGA DES GÉANTES

INTERVISTA A LUCA PIANIGIANI

#TFPCREATIVEPEOPLE

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L’ABITAZIONE DEL CITTADINO NOMADE CONTEMPORANEO di Chiara Casciotta Il tempo porta con sé inevitabili cambiamenti. La vita di gran parte degli individui nella società di oggi è caratterizzata da continui spostamenti e le nuove tecnologie costituiscono uno strumento di lavoro e di comunicazione indispensabile: sono i nuovi cittadini nomadi contemporanei. I nuovi nomadi si spostano da una parte all’altra del mondo, si liberano da quelle radici che da sempre li legavano ad un territorio. L’architettura si adatta al cambiamento e nel tempo muta in base al mutare delle esigenze e delle abitudini dei nuovi cittadini contemporanei. Nasce così un nuovo concetto di struttura e di abitazione, un progetto lontano dalla classica casa, uno spazio flessibile temporaneo, legato non ad un unico luogo ma ad una rete di luoghi che diventano punti di riferimento della città metropolitana. Lo spazio abitato non è più un luogo ancorato al suolo, ma è caratterizzato dall’essere mobile, che segue il cittadino nomade nei suoi spostamenti e riflette uno stile di vita all’insegna dell’essenzialità.

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TRICYCLE HOUSE

L’ABITAZIONE MOBILE DELLO STUDIO CINESE PEOPLE’S ARCHITECTURE OFFICE.

Foto Pao

La Tricycle House è un progetto dello studio creativo e di design cinese People’s Architecture Office (PIDO) presentato all’esposizione del 2012 “Get It Louder” di Pechino. La proprietà privata in Cina non esiste e la Tricycle House suggerisce una futura ipotesi di relazione tra la gente e la terra che occupa.

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In una città affollata cinese le case unifamiliari possono dimostrarsi accessibili e soprattutto sostenibili. È realizzata in polipropilene, un materiale che ha il vantaggio di poter essere piegato senza perdere la sua forza e la sua integrità. Pertanto la casa può aprirsi verso l’esterno, espandersi come una fisarmonica per avere più spazio e connettersi ad altre case. La plastica è traslucida e permette di catturare la luce del sole durante il giorno per la propria illuminazione, viceversa, quando scende la notte, il modulo abitativo utilizza l’illuminazione esterna dei lampioni in strada. La Tryicycle House è energicamente autosufficiente ed alimentata dall’uomo. All’interno del nucleo abitativo ci sono tutte le opzioni per una vita confortevole che includono lavandino, vasca di lavaggio, stufa, serbatoio dell’acqua, elementi che possono trasformarsi: da un letto è possibile ricavare un tavolo da pranzo, una panchina o una panca possono diventare un bancone. C’è anche la possibilità di avere un giardino trainabile su due ruote, il quale può servire tranquillamente ai proprietari non solo per piantare profumati fiori o belle piante, ma anche per realizzare un orticello del tutto personale.

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NOMADIC LIFE

Foto Gerardo Osio

IL KIT INDISPENSABILE AL NOMADE CONTEMPORANEO Per facilitare la creazione di uno spazio familiare ovunque ci si trovi il designer messicano Gerardo Osio ha ideato e realizzato il suo progetto Nomadic Life, un kit che si ispira alla cultura giapponese e in particolare al Buddismo e allo Scintoismo. Non è solo una collezione di oggetti, ma una fedele interpretazione della realtà, delle esigenze legate ai modi di vivere del cittadino nomade contemporaneo. Il kit “Nomadic Life” è composto da pochi, semplici oggetti che servono per sentirsi a casa: un tradizionale tatami fatto di cannucce igusa, un cuscino del tutto somigliante a quelli usati durante la meditazione Zen e una scatola in legno di cipresso giapponese, trasportabile grazie a un’imbracatura e a un morbido manico in pelle che prende ispirazione da una scatola tradizionale, utilizzata dai monaci buddisti per immagazzinare utensili da cucina. All’interno di quest’ultima troviamo un set per il pasto realizzato in rame lucido, una base in pietra grigia in cui inserire una candela, un bastoncino di incenso ed infine un piccolo vaso in cui mettere i propri fiori preferiti. I prodotti che compongono il kit sono realizzati con materiali naturali (rame, legno, pelle, paglia, cotone e pietra) in collaborazione con sei differenti botteghe artigiane giapponesi, da Kyoto a Okayama.

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ROBOT IN SCENA di Elisabetta Cerigioni

QUANTA PAURA ABBIAMO DEL CAMBIAMENTO? Robotica e realtà virtuale: si tratta di un ambito di frontiera che negli ultimi anni si è visto investire da progetti e sperimentazioni incredibili e sempre più sorprendenti. Oggigiorno le nuove macchine e i robot, nel mondo delle arti, possono sovvertire la nozione di antropomorfismo, ma anche diventare medium artistico o, naturalmente, essere opera d’arte in sé. Tutto ciò che sappiamo è che i robot, ovunque li si utilizzi, fanno spettacolo e attirano moltissimo. Sappiamo anche che continueremo a dividerci tra chi spera che gli androidi inizino a vivere tra noi e chi proprio non ne vuole sentire parlare. Tra chi vorrebbe che un giorno, magari, imparino ad amare e chi, invece, lo ritiene un pensiero angosciante. Nel frattempo dovete sapere che nei teatri gli attori hanno già iniziato ad interagire con i robot, che le installazioni e le performance contemporanee cominciano sempre più ad accogliere intelligenze artificiali, esoscheletri da indossare per diventare uomini-macchine e così via… e poi i progetti di robotizzazione applicati agli ambiti più disparati, si pensi al progetto di robotica recentemente applicato ai carri del Carnevale di Viareggio, o ancora alle esperienze della realtà aumentata che sanno portarci in un altrove alla maniera di Avatar. In questo 2017, ad esempio, ha lasciato il segno lo spettacolo Ogeima Story, rappresentato al Pleasant

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Theatre di Londra, in cui i robot sono andati in scena accanto ad attori in carne ed ossa. Un grande successo per l’umanoide protagonista RoboThespian. E che dire di quanto accaduto in Italia pochi mesi fa, quando è stato un vero e proprio robot, sufficientemente ammaestrato, a dirigere l’orchestra del teatro Verdi di Pisa? Non sono mancate le imperfezioni, ma questo quasi quasi ci rassicura… La creatura si chiama Yumi ed è stata concepita dall’azienda tecnologica Abb; la sua prima funzione, appena uscito dalla fabbrica, pare sia stata quella di preparare il caffè! Insomma, dai manichini dadaisti del 1916 al paesaggio potenziato post-internet degli ultimi anni, fino a veri e propri robot umanoidi, di strada se ne è fatta. Ma le domande restano sempre le stesse: dove arriveremo? Dove si colloca la linea di confine tra umano e non umano? E soprattutto: quanta paura abbiamo del cambiamento?


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Foto Laura Novara


INTERVISTA A FRANCESCO MATTUCCI di Laura Novara

Foto Francesco Mattucci

Vive a Modena, è un fotografo camaleontico: scatta in analogico, in digitale, con lo smartphone e delle volte anche con il tablet. Il suo sguardo si rivolge soprattutto ai luoghi e ai paesaggi, ai giochi di luce e ombre. Per lui la fotografia insegna ad essere vigili e a restare in attesa allo stesso tempo. Una frazione di secondo è sufficiente per bloccare un’immagine e quel contenuto sarà irripetibile. Ecco il fascino della fotografia: l’incertezza di cosa si otterrà. Merita la nostra attenzione il suo progetto: Garage Raw - Social Media Marketing Agency, una realtà interamente calata entro il difficile universo di Instagram. Garage Raw offre infatti servizi di content, strategy e promozione basati sul social del momento, destinato ad acquisire sempre più un ruolo determinate per chiunque, specie per agenzie e professionisti.

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Quasi tutti i social e le piattaforme di condivisione immagini, esplose negli scorsi anni, con il tempo hanno perso fascino e iscritti, che cosa rende ad oggi Instagram inarrestabile? A mio parere sono diversi i motivi che rendono Instagram un Social ancora in fase crescente dopo più di sette anni dal suo debutto, le immagini trascendono le barriere linguistiche e forniscono punti di vista differenti che difficilmente avremmo immaginato di vedere. Un ulteriore importante aspetto da considerare è che, dopo l’acquisizione da parte di Facebook, Instagram non è rimasta la piattaforma degli esordi, ma ha e sta subendo una costante evoluzione che la rende sempre attuale e di tendenza (o ‘cool’ come si usa dire). Quale approccio suggeriresti ad un fotografo professionista per sfruttare al meglio il potenziale di Instagram e far crescere la propria popolarità? Abbandonare l’idea che Insta-

gram possa essere il mezzo ideale per promuoversi attraverso la pubblicazione dei propri lavori studiati per un altro scopo (vendita, esposizione, eccetera). Consideriamo innanzitutto che non è una piattaforma di sharing fotografico, bensì un Social Network e, come tale, parla un linguaggio tutto suo anche nella declinazione delle immagini. Pertanto un professionista può, anzi deve, utilizzare Instagram ma pensando ad un progetto ‘ad hoc’ per questa piattaforma, realizzando quindi materiale studiato appositamente e dedicato. La fotografia professionale quanto perde a causa di Instagram e quanto guadagna grazie a Instagram? Non perde e non guadagna nulla, parafrasando un famoso film non è lo stesso campo da gioco, non è lo stesso campionato e non è nemmeno lo stesso sport. Il tuo profilo kitchensuspension è seguito da migliaia di follower ed è fra quelli che hanno avuto il privilegio di essere segnalati da Instagram, come è nato questo progetto? Sono diverse le fonti della serie di Kitchensuspension, la prima in assoluto è una situazione assolutamente quotidiana, la cucina è il posto della casa che vivo di più. Non è poi da trascurare la diffusione, per non dire l’esondazione, di immagini di cibo, di piatti, di fornelli, di padelle, non sempre curate e pensate, ma che spesso sembrano più le foto dei piatti nei menu multilingua dei ristoranti per turisti: io ho cercato di andare all’essenziale.

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E cioè parlare di un luogo fisico, delle sue funzioni diciamo basilari, quotidiane, elementari e comuni, e farlo diventare un set. Ma non un set dove si cucina, ma dove gli oggetti che popolano una cucina vivono di vita propria. Quasi si prendessero davvero uno spazio, uno spazio di divertimento, naturalmente.

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Come altri professionisti ti dividi fra un profilo personale @iena70 ed il progetto @kitchensuspension si tratta di una necessità creativa o di una strategia? Direi assolutamente “necessità”, in realtà le prime immagini furono pubblicate sul mio profilo personale ma poi, intuite le potenzialità del progetto, ho immediatamente aperto un account dedicato a questo lavoro. Un profilo che vale la pena seguire per “comprendere” Instagram e un profilo da seguire per innamorarsi di Instagram. Escludo tutti gli account Italiani per non creare malumori, ce ne sarebbero troppi da citare, per innamorarsi di Instagram suggerisco l’account di Brandon Stanton @humansofny, i suoi scatti di sconosciuti che incontra sui marciapiedi di New York City, ognuno associato a una citazione dal soggetto, offrono sorprendenti punti di vista. A volte è una vecchia coppia che si accarezza su una panchina del parco, oppure, semplicemente, le mani di un muratore, o un uomo misterioso con un bizzarro copricapo; in ogni storia infine si scopre molto di più di quanto non ci si possa aspettare. Per comprendere Instagram, invece, suggerisco l’account del ventitreenne Vitaliy Raskalov @raskalov che realizza immagini sorprendenti nel più classico linguaggio Instagram.

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L’ARTE URBANA NELLE MARCHE di Maria Luisa Spera Street art, letteralmente arte di strada, o forse basterebbe chiamarla arte urbana che appunto si manifesta in luoghi pubblici, urbani dunque, laddove spesso si gioca sulla linea della legalità. Nelle Marche, dal 2008, il festival “POP UP! Arte Contemporanea nello Spazio Urbano” ha invitato artisti di tutto il mondo per realizzare opere d’arte contemporanee in spazi urbani inconsueti e, più delle volte, obsoleti. Negli anni, la convinzione di fare qualcosa e di farlo bene, ha portato l’associazione MAC (Manifestazioni Artistiche Contemporanee) che si trova alla guida del festival, ad evolvere, intraprendendo un nuovo percorso per PopUp Studio, come startup, per poter progettare, dirigere e produrre interventi di arte urbana, al fine di riqualificare - aggiungo io - territori e luoghi dalla bisognosa “rinfrescata”, ma anche per concedere all’arte la possibilità di esprimersi e fare ciò che le riesce meglio: comunicare. Non sono semplici murales variopinti “buttati su” fatiscenti magazzini merci. Sono dei dialoghi veri e propri tra gli artisti ed i luoghi che li ospitano. Parole non scritte ma celate in giochi di forme e colori a dimensioni cubitali, che raccontano un territorio che ha voglia di gridare, di rompere lo stereotipo della periferia, di tornare a brillare di luce propria attraverso la pittura, di ricostruire un rapporto sociale con i propri abi-

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Foto Francesco Marini In alto: BASIK, Alfa e Omega, Stazione di Serra San Quirico In basso: Geometricbang Universe Stazione di Senigallia 23


tanti, di ripercorrere la propria storia dettando le regole per un futuro prossimo in cui l’arte è e deve essere parte culturale del territorio. Forme d’arte che modificano il territorio e instaurano un nuovo rapporto d’amore con il cittadino. Questo è stato ad esempio il progetto “Vedo a Colori” di Giulio Vesprini nel porto di Civitanova Marche, in provincia di Macerata, che dal 2009 si è trasformato in una mostra permanente a cielo aperto, della più suggestiva street art in circolazione nel nostro Paese. Per McLuhan il medium è il messaggio. Niente di più vero per l’arte urbana di Lisa Gelli e Nicola Alessandrini con il progetto

site specific “Specie Migranti”. Migrare è una cosa naturale, un passaggio semplice e automatico, innato; dovrebbe essere un diritto universale, di tutte le specie viventi; perché per l’uomo dovrebbe essere una condanna? Ogni figura antropomorfa, tra umano e animale, proviene dalla ricerca di animali migratori locali, a cui si aggiungono texture tipiche di popolazioni migranti che abitano quelle zone. Le città stanno cambiando, l’arte sta evolvendo verso nuove frontiere, i popoli stanno migrando più che mai. Ecco perché c’è sempre bisogno di raccontare qualcosa, perché no, anche attraverso un murales.

VEKS VAN HILLIK Fall from the Sky - La Marca di San Michele - Cupramontana 24


In alto: Specie migranti #02 Civitanova Marche (MC). Nicola Alessandrini+Lisa Gelli per Vedo a Colori Festival a cura di Giulio Vesprini. A lato: Specie Migranti - Formello (Roma), Nicola Alessandrini+Lisa Gelli.

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Specie Migranti #03 nuovo muro ad Ambra (Arezzo, Toscana). Nicola Alessandrini+Lisa Gelli per Specie Migranti.

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AIA! New mural series, Nic + Gio Pistone, Pop Up! Festival, Castelbellino station, Ancona.


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Foto Dr Cuerda


INTERVISTA A DANIEL RUEDA AKA DR CUERDA di Laura Novara Crea immagini dalle geometrie esatte, surreali, divertenti e tutte incredibilmente suggestive. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, di conoscere meglio il suo processo creativo e ne abbiamo approfittato per chiedergli cosa ha in serbo il futuro per i fotografi e i creativi di professione, specie per quanto riguarda il loro rapporto con i social.

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Credi che nel prossimo futuro Instagram sarà ancora uno strumento per scoprire talenti, sarà ancora possibile farsi notare? E come? Penso che sia ancora un ottimo momento per i fotografi. È necessario lavorare duro, fare qualcosa che non sia ancora stato realizzato. I fotografi professionisti, i videografi, i creativi in generale devono riuscire a differenziarsi e mostrare il proprio stile. Un professionista deve catturare l’attenzione in modo differente da chi scatta selfie, foto di food fatte il con cellulare o riprendere la propria giornata. Il lifestyle è certamente interessante, ma se vuoi farti notare la tua foto deve essere differente. È necessario pianificare, studiare, progettare un’immagine perché ad un primo sguardo sia chiaro che c’è molto lavoro dietro quello scatto. Quindi se è vero che le immagini su IG sono moltissime, è altrettanto vero che non ce ne sono molte davvero valide e veramente brillanti.


La velocità con cui vanno pubblicate le immagini, riduce la qualità di quello che viene pubblicato? Personalmente pubblico veramente poco, una volta alla settimana, perché voglio progettare bene quello che posto. Cerco la luce giusta, la location, gli accessori. Sono consapevole che un post alla settimana non sia sufficiente per i ritmi che richiederebbe IG e molti fotografi pubblicano ogni giorno, ma per me sarebbe pazzesco. Non voglio nemmeno pubblicare foto di anni passati, come a volte ho visto fare, perché credo che la qualità della mia gallery si abbasserebbe. Sul mio profilo non troverete mai una doppia immagine, per me è come un portfolio e desidero che la qualità di ogni singola foto sia elevata e che sia un piacere guardare quel determinato scatto. Quanto tempo impieghi a preparare e a realizzare uno scatto? Dipende dal progetto. La maggior parte del nostro lavoro è pianificare tutto. Quando riprendo architetture, come un palazzo con caratteristiche specifiche, prospettive speciali, devo cercare il punto in cui la luce si riflette in modo particolare, l’angolo in cui si vedono ed emergono le geometrie create, ad esempio, dalle finestre,

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o ancora il luogo da cui sia chiara la qualità del design. La situazione più difficile è quando sono in viaggio. Insieme ad Anna (compagna professionale e nella vita privata ndr) facciamo un’analisi prima di partire, selezioniamo immagini di luoghi che vogliamo nella nostra gallery e cerchiamo di prepararci per arrivare sul posto con un’idea, per non dover fare tutto di corsa al momento dello scatto. Fra le altre cose è necessario decidere quale sia l’ora giusta per arrivare e scattare. Nella mia gallery non ci sono foto con alti contrasti, questo perché scattiamo sempre quando la luce del sole è morbida e non crea ombre, ma per realizzare queste immagini è necessario arrivare nell’orario giusto. Lo scorso mese, ad esempio, ero a Parigi, volevo visitare l’Arc de la Défense, un luogo perfetto per le mie foto: un muro gigantesco con queste griglie bianche e nere, e delle linee sottilissime. 34


L’arco si trovava ad un’ora di taxi dalla location dove stavo lavorando, quindi mi sono alzato (per la prima volta nella mia vita) alle 4,30 del mattino, il sole non era ancora sorto e la luce era morbida senza nessuna ombra, perfetta. Ero da solo perché Anna stava lavorando in un altro luogo, quindi non poteva aiutarmi come al solito. Avevo con me un cavalletto, ma per scattare l’immagine dovevo stare talmente lontano che il trasmettitore bluetooth non funzionava, quindi ho chiesto ad un passante di aiutarmi raccontandogli tutta la mia storia, che sono un fotografo, che arrivavo da lontano e che avevo bisogno del suo aiuto. Credo che questo aiuti a capire quanto c’è dietro ogni singolo scatto! Sono immagini semplici con moltissimo lavoro per realizzarle.

e incredibile, inaspettato, e non puoi fare a meno di sfruttare quel regalo per creare un’immagine speciale. Chi è stato il mentore di Daniel Rueda architetto? È un architetto che vive qui a Valencia, è stato il professore del mio master, ho lavorato con lui ed ora siamo buoni amici. È stato il mio maestro e la mia fonte di ispirazione. È stato come quando guardi un film e ti sembra che il registra l’abbia girato proprio per te. Con Fransilvestre ho avuto la stessa sensazione, ha progettato palazzi come avrei desiderato progettarli io, con la stessa estetica e con la stessa filosofia. Vogliamo che l’architettura vada verso le persone, perché quasi sempre gli architetti creano per altri architetti e le persone non riescono a godere appieno del risultato. Anche io, come lui, cerco di cambiare questa abitudine, creando un’architettura che sia interessante e accessibile, pulita e lineare.

Lasci del margine per l’improvvisazione? Come ti dicevo, cerchiamo di preparare tutto in anticipo perché è molto difficile essere creativi mentre stiamo scattando. Ma può capitare. Qualche tempo fa ci trovavamo a Cophenaghen, come al solito avevamo delle idee e progettato gli scatti, ma a volte accade che sul luogo trovi qualcosa di unico 35


Chi è il DR Cuerda? È il mio alter ego, è un ragazzo, un personaggio divertente che cerca di mostrare alla gente che l’architettura è molto interessante e molto divertente, che vuole far interessare le persone ai palazzi, alle costruzioni. Le persone che non si occupano di architettura non ne sono interessate e credo sia sbagliato. Chi si occupa di architettura ne parla in modo molto serio, in modo molto professionale ed è certamente giusto, perché è necessario un alto livello di perfezione, ma le persone hanno bisogno di essere affascinate dalle cose, quindi bisogna parlare dell’architettura in un modo che li faccia affezionare. Il minimalismo, il design, lo humor, le storie divertenti e creative che realizzo sostituiscono le discussioni intorno ai dettagli, al perfezionismo dei palazzi e delle strutture. Voglio comunicare alle persone che è possibile godere dell’immagine di un palazzo e li aiuto a farlo.

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Foto Lonneke van der Palen


MADE BY RAIN di Chiara Casciotta

È POSSIBILE INDOSSARE IL TEMPO ATMOSFERICO La pioggia è profondamente radicata nella cultura olandese a causa delle frequenti precipitazioni piovose e della sua storia “di lotta” contro gli elementi metereologici. A partire dal 1950, la pioggia è aumentata di circa il 4% a causa del cambiamento climatico rappresentato dai grafici metereologici e dalle immagini satellitari. La pioggia è un evento effimero che non può essere materialmente conservato, ma soltanto ricordato. L’artista olandese Aliki van der Kruijs, il cui lavoro si muove tra l’arte, la ricerca e il design, con il progetto Made by Rain si è chiesta come sarebbe stato possibile catturare l’esperienza della pioggia sul tessuto, rendendo possibile indossarla.

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Foto Lonneke van der Palen Foto Femke Hoekstra

La ricerca di Aliki è iniziata dopo aver ereditato dodici calendari dal nonno, nei quali era descritto il meteo, ogni singolo giorno di ogni anno. Dopo l’esempio di suo nonno, Aliki ha iniziato così ha mappare il tempo atmosferico, ma invece di annotarlo a parole ha deciso di renderlo visivo. Nel tempo ha sviluppato una nuova tecnica di stampa che ora chiama “pluviagraphy”, con la quale una sorta di film fotografico, sensibile all’acqua, è in grado di registrare le precipitazioni piovose su tessuti. La filosofia della sua ricerca si basa sullo sperimentare con gli elementi naturali come strumento per la produzione di nuovi materiali e forme. Usa la pioggia come qualcosa di imprevedibile, crea un metodo di lavoro dove c’è spazio per un elemento non controllato. Ogni tessuto Made by Rain è dotato di una annotazione artigianale relativa alla posizione, alla data, all’intervallo di tempo, ai millimetri di pioggia e alle condizioni meteorologiche in cui è stata eseguita la pluviagrafica. In questo modo i tessuti costituiscono una raccolta di dati meteo: registrazioni visive di un determinato giorno della storia.


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Foto Lonneke van der Palen


Foto Aliki van der Kruijs 42

Se si tratta di una pioggia leggera o di una torrenziale, essa crea una stampa unica. I primi tessuti che sono piovuti sono stati realizzati a Amsterdam, registrando cosÏ le condizioni meteorologiche olandesi. Tuttavia questo progetto potrebbe viaggiare ovunque, rendendosi uno strumento utile per registrare visivamente un fenomeno naturale normalmente misurato e notato nei grafici meteo, nei satelliti e nei grafici. Le stampe di pioggia sono tutte uniche e sono pezzi d’arte in sÊ. Aliki ha finora applicato i tessuti ad una collezione di sciarpe in seta, collaborando con il fashion designer Elsien Gringhuis, e ha anche realizzato una collezione di biancheria da letto in collaborazione con ZigZagZurich.


LA SAGA DES GÉANTES di Elisabetta Cerigioni

ROYAL DE LUXE – COMPAGNIE DE THÉÂTRE DE RUE Qui si parla di teatro. E sì, con questo progetto c’è da meravigliarsi davvero. Esistono centinaia di migliaia di persone pronte a giurare di aver visto dei giganti… A quanto pare le nuove frontiere del teatro, con un’estrema torsione del capo, guardano (paradossalmente) al passato e in questo caso al teatro di strada dei burattini. Tuttavia le marionette in questione, fatte di legno e silicone, sono alte dai 7 ai 15 metri, pesano tonnellate e sono in grado di muoversi solo attraverso l’utilizzo di gru, corde, impianti meccanici, idrici e grazie al lavoro sincrono di dozzine di persone,

autonominatesi “i lillipuziani” e abbigliati in livrea rossa. Stiamo parlando della performance La Saga des Géantes della Royal de Luxe, la compagnia francese nata nel 1979 dal genio di Jean-Luc Courcoult, che da oltre vent’anni gira per il mondo proponendo i suoi spettacoli, i suoi rocamboleschi spettacoli, all’aperto e rigorosamente gratuiti. Girano il mondo, ma non sono di questo mondo: si narra che i giganti vengano dallo spazio, dalle zone più remote dell’universo… eppure a colpire è la loro umanità, perché l’uomo gigante (Il Cavaliere del Tempo Perduto), la bambina gigante, la nonna gigante etc. camminano, mangiano, fanno ginnastica, cantano, giocano, si fanno la doccia e provano sentimenti l’uno per l’altro. E anche noi non possiamo fare a meno di volergli bene, di affezionarci a queste splendide creature, proprio come ai loro animali: il cane domestico gigante, l’elefante che porta sulla schiena ben 45 persone, le giraffe giganti e così via. Le bizzarre parate dei Royal de Luxe stanno impazzando per le strade, rovesciando la realtà e riversando, in questa quotidianità capovolta, ironia e delicatezza, in una sola parola: poesia.

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Altro aspetto intrigante risiede nella componente narrativa del progetto, perché per ciascun gigante è stata redatta una vera e propria vicenda (storie appassionanti, surreali, di certo avvincenti) nonché una vera e propria carta d’identità. Basti pensare alla nonna che beve whisky e fuma la pipa. Alta 8m, pesa 1,8 tonnellate, età: 85 anni, misura di scarpe: 206,5. Di solito cammina (e per farlo occorrono ben 31 lillipuziani) trascinando un baule contenente la sua autobiografia. Lei è venuta tra noi per raccontare storie agli uomini: conosce la storia dei giganti e degli uomini che li hanno ignorati e ridotti al silenzio. Ma ora sono tornati! O ancora sua nipote, la piccola gigantessa di circa 6 anni, è alta 5,5 metri, pesa 800 kg. Mangia caramelle e va in monopattino. Si muove grazie a 27 lillipuziani. Suggestiva e colma di una pazzesca carica emotiva, questa performance resterà per molto tempo una pietra di paragone.

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Foto Royal De Luxe


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INTERVISTA A LUCA PIANIGIANI di Laura Novara

Luca Pianigiani, fotografo, editore e redattore di Jumper.it, professore presso NABA, esperto di cultura digitale e dell’immagine. Ogni settimana su JPM racconta il presente e getta uno sguardo verso il futuro, aiutando i creativi dell’era digitale ad anticipare quel che verrà, per non perdersi nel mondo che sta per arrivare.

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In passato hai più volte previsto e raccontato di piccole e grandi rivoluzioni nel mondo della fotografia, quale credi sia il prossimo imminente cambiamento? Non ho alcun dubbio: il prossimo (e rivoluzionario) cambiamento che si svilupperà in tutti i campi dell’immagine, e non solo, riguarda l’intelligenza artificiale. Sembra un mondo distante, ma non è così: quello che succederà è che le immagini verranno lette, comprese, interpretate e decodificate dai computer, e quindi guadagneranno poteri tutti nuovi. Perché tutto questo è importante? Perché la distribuzione e la propa-

gazione, la ricerca e l’efficacia delle immagini sarà influenzata da come e con quale precisione verranno decodificati ed interpretati i “tasselli” del contenuto delle immagini. Pensiamo alle keyword e agli hashtag che hanno influenzato il mondo dell’informazione e la creazione dei contenuti testuali, ora raggiungeranno, anzi hanno già raggiunto, l’universo dell’immagine. Ci saranno algoritmi che capiranno se le immagini sono in linea con le “esigenze visive” delle persone destinatarie, e sarà possibile trovare il significato e il significante (se vogliamo entrare nella semiotica) senza aggiungere alcuna ulteriore informazione (nome del file, didascalia, contesto). L’intelligenza artificiale sarà determinante anche per via di nuovi software e processi di creazione e di elaborazione. Già Adobe ha presentato degli esempi della sua ricerca in questo campo - Adobe Sensei - dove si mostra che scontornare, scegliere tra tante immagini la migliore, applicare interventi di ogni tipo su ogni immagine (per esempio togliere la firma visuale del copyright da miglia-


ia di diverse immagini…) è e sarà sempre più un “compito” che richiederà la regia del creativo. Dagli articoli e dai temi dei camp organizzati da Jumper emerge forte e chiara l’idea che il fotografo del futuro non potrà essere “solo” un fotografo. Quali sono le competenze che ritieni saranno indispensabili? Servirà sempre meno concentrarsi sulla tecnica, non perché non serva, ma perché il processo di miglioramento qualitativo offerto dalla tecnologia è davvero esponenziale, servirà al contrario sempre più la capacità culturale e la capacità di non chiudersi in un solo campo/settore. Oggi il mercato non chiede “un prodotto” di comunicazione, ma una visione multisfaccettata e multicanale: il messaggio deve arrivare ovunque e quindi deve essere interpretato e ottimizzato per la stampa, il web, il video, l’interazione. Il “fotografo”, se rimane confinato alla tecnica realizzativa di immagini “fisse”, non riuscirà a proporsi in altri campi, nemmeno i più vicini o affini… immagini che “respira-

no” come le chiamiamo noi, quindi il cinemagraph, le gif animate, le sequenze animate ed interattive. Altro elemento che ci sembra sempre più determinante è il controllo e la cultura della luce: fotografare significa gestire la luce, sempre più vediamo foto pessimamente illuminate che poi vengono corrette e potenziate con tempi lunghissimi in fase di post produzione… una follia. Oggi fotocamere molto economiche fanno fotografie e video fantastici, chiunque può possederle anche in tasca, la luce sarà determinante per definire e distinguere la qualità. Nel prossimo futuro quanto conteranno gli strumenti, le competenze tecniche e quanto le idee? Da sempre sono contate e contano tutt’ora le idee, prima di tutto, e sarà una tradizione che verrà mantenuta e rafforzata in futuro. Chi parla di strumenti è spesso solo un amante degli strumenti, un collezionista di macchine, qualcuno che non ha nulla da dire se non parlare di oggetti (vale nella fotografia, nel video, nella musica, nelle automobili, anche nei rapporti personali…). Esistono poi i peggiori di tutti, quelli che dicono “che non parlano di strumenti, perché non sono importanti”. Parlare di strumenti è come parlare di grammatica invece che di poesia o di narrazione. Gli strumenti, la tecnica e le competenze sono la grammatica, così fondamentale che non ha nemmeno senso evidenziare il concetto, bisogna puntare sulle idee e sui contenuti, le uniche cose che distinguono tra l’altro una mera riproduzione da un’opera d’arte. Lo scorso Ottobre avete lanciato un nuovo progetto “Block Notes di Jumper”, un periodico di approfondimento piuttosto atipico. Come è nata l’idea e a quale pubblico volete rivolgervi?

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Da oltre 11 anni pubblichiamo un “editoriale” alla domenica che si chiama Sunday Jumper, totalmente gratuito (chi vuole può iscriversi qui: jumper.it/newsletter), ma sentivamo l’esigenza di un nuovo canale di informazione più approfondito che non fosse proprio una rivista. Una via di mezzo, più contemporanea, per creare un’informazione snella, vicina all’uso su smartphone, da consumare scrollandola, ma al tempo stesso da leggere. Siamo convinti che oggi non sia più “utile” trasmettere singole “notizie”, esse fanno parte di un flusso che viaggia alla velocità della luce (anzi, alla velocità dei bit) e che viene miscelata, rilanciata, riproposta da milioni di persone, non necessariamente “professionisti dell’informazione”. Non è però “gratuito”, nel senso che usa la formula del Donationware: chi legge è invitato a contribuire, con la cifra che reputa più adeguata al valore del contenuto stesso. Ovviamente ci sono altre forme per sostenere l’informazione: i trucchi acchiappa click, la pubblicità, la vendita di contenuti per prendere in giro i lettori e “usarli” come merce… come fanno i social, ma poi tutto questo porta a un valore bassissimo dell’informazione. Il mondo si dividerà, così la pensiamo, tra chi vuole davvero “sapere” e chi accetterà il “sentito dire”, e continuerà a vivere in una bolla dove si riceve solo quello che “qualcuno” reputa che sia di nostro interesse. Si stanno evolvendo solo gli strumenti tecnologici o si sta evolvendo anche l’essere umano? Non intendo in termini funzionali, 50


mi chiedo se l’uomo sia all’altezza di ciò che ha creato e soprattutto se riuscirà a gestire un futuro in cui l’intelligenza artificiale farà sempre più parte della nostra quotidianità. Ci sono mille cose che facciamo, ogni giorno, che in realtà le macchine fanno e faranno per fortuna meglio di noi. Questo ci spaventa, perché forse crediamo che “essere quello che siamo” sia legato a queste operazioni. Le rivoluzioni servono per farci capire quando possiamo sbagliare. Quando c’è stata la rivoluzione industriale, tante persone hanno semplicemente smesso di fare quello che facevano, e alcuni si sono sentiti persi, superati dalle macchine. Altri hanno capito che, semplicemente, potevano fare altro, e magari cose meravigliose che non avrebbero mai nemmeno sognato se avessero continuato in quel lavoro che invece le macchine gli “avevano rubato”. Quante cose facciamo che sono davvero inutili? Chilometri guidando una macchina, perché non potrebbe guidarsi da sola (molto meglio) al posto nostro, mentre noi facciamo altro, ben più stimolante ed utile? Perché facciamo la spesa di fretta e furia al sabato al supermercato quando potrebbe essere il frigorifero a capire se ci manca il latte e il formaggio? Le macchine non sostituiscono le persone, sostituiscono le operazioni che possono diventare automatizzabili e rese perfette. All’uomo rimarranno i processi che richiederanno sempre e comunque fantasia, intuizioni, l’elaborazione di pensieri che nemmeno i big data possono comprendere (anzi, che comprendono in modo superficiale).

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#TFPCREATIVEPEOPLE

Janaina Mello Landini Installazione Ciclotrama Lavorando corde e fili, l’artista crea delle installazioni site-specific che occupano lo spazio in un modo inaspettato e avvolgente. Produzione AGON, 2013 Vis-å-Vis Performance con lettore di onde sonore. Le emozioni si trasformano in musica.

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Katerina Theoharidou (su Instagram @katetheo79), architetto, nata in Grecia ha studiato a Firenze e vive in Puglia. Le sue immagini minimal, colorate e surreali, combinano fotografia ed elaborazione grafica. Ha esposto a Berlino, Toulouse e le sue opere sono state pubblicate su numerose riviste.

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101,86 ˚ | COLOR OF THE DAY Il progetto nato dalla collaborazione tra Laura Lynn Jansen e Thomas Vailly indaga sulla natura colorata della luce. 101,86° è una lampada di design a led che scandisce le ore del giorno attraverso una continua variazione di forme e colore.

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THE FRIDAY PROJECT N.9

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