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Si ringraziano le aziende produttrici, amministrazioni, enti e istituzioni del Ticino.
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Dalmazio Ambrosioni, Moreno Bernasconi, Paola Bernasconi, Rocco Bianchi, Andrea Conconi, Elisa Bortoluzzi Dubach, Franco Citterio, Ariella Del Rocino, Fabio Dotti, Roberto Giannetti, Keri Gonzato, Andrea Grandi, Eduardo Grottanelli
De’ Santi, Marta Lenzi, Arianna Livio, Dimitri Loringett, Manuela Lozza, Giorgia Mantegazza, Giacomo Newlin, Valentino Odorico, Patrizia Pedevilla, Sarah Peregalli, Romano Pezzani, Amanda Prada, Valeria Rastrelli, Donatella Révay, Mattia Sacchi, Gerardo Segat, Gianni Simonato, Fabiana Testori.
DISTRIBUZIONE
IN TICINO: Abbonamenti, Ticino Turismo, alberghi 4 e 5 stelle, studi medici e dentistici, studi d’avvocatura, studi d’ingegneria e d’architettura, banche e fiduciarie, aziende AITI (Associazione Industrie Ticinesi), aziende Cc-Ti (Camera di commercio, dell’industria e dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino), Club Rotary Ticino, Club Lions Ticino, edicole del Ticino.
IN ITALIA: Nelle fiere turistiche, Aeroporto di Malpensa, Hotel ed esercizi pubbliciProvincia di Como e Lombardia.
DI MARIO MANTEGAZZAMa davvero si pensa che il motore elettrico tanto voluto dai nostri ecologisti più rumorosi, sia la migliore risposta all’inquinamento?
Non varrebbe forse la pena di lasciare che gli esperti possano parlarci senza l’intermediazioni dei governi, cui interessa solo la propria salvaguardia delle accise riguardo ai costi energetici?
Per carità, non tutto quello che è elettrico è dannoso e l’elettricità può essere effettivamente prodotta in modo pulito, ma è altresì vero che, se tutti i mezzi oggi dotati di motori a benzina o diesel venisserero sostituiti da motori elettrici, per produrre quell’energia si dovrebbe ricorrere al carbone e al nucleare, perché acqua e sole, da soli non saranno sufficienti.
Si dice che l’idrogeno non va bene perchè è un gas difficile da maneggiare in quanto, avendo una bassa densità energetica, deve essere compresso ad alte pressioni fra i 350 e i 700 bar per essere stipato in un serbatoio in quantità sufficienti per alimentare una vettura.
Va bene, la spiegazione è questa, ma quale è la soluzione? Mi sembra che l’uomo abbia risolto situazioni anche più complesse di questa.
L’idrogeno è l’elemento più abbondante dell’universo, forse qualcuno teme che non si possa tassare a dovere?
Oggi, quando compri un materassino per galleggiare sul mare lo trovi pieno di indicazioni stampate per tutte le evenienze; perché non si avvisa chi acquista una vettura elettrica riguardo a tutto ciò che presuppone la creazione dell’energia per alimentarla e per lo smaltimento delle sue batterie?; e, ancora, quanto potrebbe valere l’auto un domani, qualora l’elettrico venisse abbandonato? Se lo sforzo di chi acquista un’auto elettrica è apprezzabile, non credo che l’informazione riguardo a questa soluzione sia del tutto onesta.
Mario MantegazzaSANVIDO
OSI BARBARA WIDMER
ROBERTO GRASSI
Il mondo ideale, qualunque esso sia
LUGANO MUSICA
Una ricca stagione tra tradizione e innovazione
Davvero poco elettrizzante! Di Mario Mantegazza
Paolo Sanvido: La forza dell’uomo Di Patrizia Pedevilla
Luisa Lambertini: Mi piacciono le sfide e sono competitiva Di Rocco Bianchi
OSI Barbara Widmer: Straordinaria esperienza professionle ed umana
Abhijit V. Banerjee: Can microfinace solve poverty?
Morena Ferrari Gamba: Pensare alla Lugano dei prossimi vent’anni
La bellezza salverà il mondo? Di Moreno Bernasconi
Roberto Grassi: Il mondo ideale, qualunque esso sia Di Gerardo Segat
LAC: Stagione 2023/2024: Un autunno ricco di colpi di scena
Lugano Musica: Una stagione tra tradizione e innovazione
Collezione Olgiati: Balla ‘12 Dorazio ‘60. Dove la luce
Da Dürer a Warhol: A tu per tu con secoli di storia dell’arte
Thomas Huber: Un lago di ricordi
Alessandro Malossi: Quando la copertina diventa arte digitale
John Traversi: La passione di un abilissimo artigiano
Lugano Estival Jazz: Bilancio positivio
ABT: Qualità del servizio e innovazione
UBS: Un mondo sempre più ricco
Banca Credinvest: Una banca a disposizione in qualsiasi momento
Edmond De Rothschild: Creatività e innovazione a Lugano
V&G Trustee: Un progetto comune nel mondo del trust
Rugiano: Eleganza e raffinatezza nei dettagli
Diego Fasolis: La musica deve commuovere ed educare
Ristorante META: Quando vegetariano vuole dire anche buono Di Mattia Sacchi
Pesca del tonno: Si fa presto a dire tonno! Di Marta Lenzi
SPST: Un festival che sorprende sempre
Ticino Gourmet Tour: Dal lago al piatto
Stelle Michelin: Turisti soddisfatti anche a tavola Di Marta Lenzi
Ristorante La Brezza: Gusto e benessere Di Giacomo Newlin
Al Porto: L’artigianato del panettone
Swiss Deluxe Hotels: Siamo al vertice della tradizione alberghiera svizzera
The Dolder Grand: Maestosità e storicità Di Paola Chiericati
The Dolder Grand: La quintessenza del gusto e dell’arte culinaria Di Giacomo Newlin
The Dolder Golf Club: Un piccolo gioiello incastonato nel verde Di Ariella del Rocino
The Alpina Gstaad: Quando il design incontra l’artigianato Di Paola Chiericati
The Alpina Gstaad: Le eccellenti offerte di un albergo proiettato verso il futuro Di Giacomo Newlin
Ticinowine: Il Canton Ticino vitivinicolo e il Merlot
Fabio Cattaneo: Professionista dell’eccellenza
Assovini Sicilia: Sicilia En Primeur
GRUPPO TERTIANUM
Canton Argovia: Storia, natura e termalismo in una regione dove il benessere è di casa
Ticino Turismo: Il buono e il bello alla base del turismo enogastronomico
OTR Mendrisio: Esperienza molto gustosa
Funicolare Monte San Salvatore: Su e giù da 133 anni
Buffet Bellavista: Un ristoro tra ecososteniblità e tradizione
Santuario della Madonna D’Ongero: Rinasce la “chiesetta sulla montagna”
Harry Winston: Profumo di mare
Ferrari Roma Spider: Un classico che non tramonta mai
Mercedes-Amg s 63: Sulle ali della tecnoligia più avanzata
Nuova Range Rover 2024: Il SUV più lussoso al modo
Wetag Consulting: Stili di vita e proprietà su misura
Gruppo SETA: Diamo forma concreta ai desideri dei clienti
MG Immobiliare: Soluzioni abitative che anticipano il mercato
Artprojekt: Residenze di prestigio e di qualità
Promeng SA: Lavori eseguiti a regola d’arte
Itten+Brechbühl SA: Un approccio intedisciplinare all’architettura contemporanea
Alfonso Giron Dominiquez: Rispetto del luogo, funzionalità, stile moderno
Elisa Bortoluzzi Dubach: Filantropia, comunicazione e linguaggio
Sabrina Grassi: A fianco di tutti i donatori
Philipp Siedentopf: How we stand with refugees
Andrew Holland: Costruire una società democratica ed ecosostenibile
Maria Luisa Siccardi-Tonolli: La ricchezza multiforme del dono Di Elisa Bortoluzzi Dubach
Fondazione Academy Lugano: Vogliamo formare una gioventù sana e motivata
Clinica Sant’Anna: L’importante è parlarne con il medico
The Longevity Suite: Come dare spazio alla migliore versione di sé
The Longevity Suite: La chirurgia che dona benessere e bellezza
Repeople: Il business diventa sostenibile
Piscine Castiglioni / Rezzonico Lugano: Piscine all’avanguardia
Gruppo Tertianum: Una lussuosa residenza assistita in riva al lago
Fondazione Agire/Elephants: Questo orologio è mio, anzi nostro
Air-Dynamic: Le ali a piuma di uccello e il jet elettrico silenzioso
DMTV International: Consulenza globale internazionale
Scuola del Benessere: Le buone maniere, la via del successo
Elite: La promessa di un sonno di qualità
STRP: A scuola di diplomazia culturale
AB Baratella Giardini: Salvaguardia delle piante in un giardino storico
My Academy: Se le persone si dimettono, le aziende come possono reagire?
Sport al femminile: Donne e golf, si grazie!
Ricky Petrucciani: Divertirsi aiuta a vincere
Di Romano Pezzani Di Dimitri LoringettLA FORZA DELL’UOMO
Incontro Paolo Sanvido al Casinò di Lugano, pranziamo accompagnati da altri colleghi di lavoro. Li ascolto parlare e riconosco subito un legame particolare, rispettoso delle gerarchie, ma che non nasconde una certa complicità, un capirsi senza troppe parole. Solo al termine del pranzo scopro che il suo approccio nei confronti delle persone è in un certo modo diverso, simile a quello utilizzato nei Paesi del Nord. Sanvido, benché sia un professionista dei numeri, predilige il contatto umano, il dialogo, il riconoscere i punti di forza di ognuno, stimolando le persone a dare il massimo.
«Sono convinto che nulla accada per caso. Mi piace la teoria della sincronicità di Jung, nessun avvenimento è un fatto accidentale, ma la nostra vita è costellata da un insieme di coincidenze. Sai, non sono sempre stato quello che sono oggi. Ho viaggiato, ho sofferto, ho perso grandi battaglie, ne ho vinte altre, e sono convinto che cattiveria e interessi personali non siano una soluzione ai nostri problemi. Noi tutti dovremmo vivere per l’interesse del Paese».
PAOLO SANVIDO È UN NOME INDUBBIAMENTE CONOSCIUTO IN TICINO E IL SUO PERCORSO PROFESSIONALE – LEGATO ALLA GESTIONE PATRIMONIALE, AI GRANDI GIOCHI, ALLA SANITÀ E ALL’ATTIVITÀ FORESTALE - LO DIMOSTRA. DISPENSATORE DI ENERGIA POSITIVA, STIMOLATORE DI CAPACITÀ ALTRUI, CONNETTORE DI RETI DIVERSE, HA FATTO DELLA SUA FILOSOFIA DI VITA UNA MISSIONE DA TRASMETTERE ALLE GENERAZIONI FUTURE. UN IMPEGNO NON INDIFFERENTE, ACCOMPAGNATO DA UN FORTE MESSAGGIO: REMARE TUTTI NELLA STESSA DIREZIONE, PER IL BENE DEL PAESE E NON UNICAMENTE A FAVORE DI INTERESSI PERSONALI.
DI PATRIZIA PEDEVILLALe tue riflessioni sembrano scontrarsi con quelle di una mente analitica, abituata ai numeri e al far tornare i conti…
«Non è il tipo di posizione che occupiamo a definirci, ma i nostri obiettivi. È vero, ho una mente analitica, ma una cura delle risorse umane molto sensibile. Ho diversi lavori, non posso definire esattamente quello che faccio, potrei darti un’idea dicendoti che sono uno stimolatore di persone. Dò un’importanza enorme alle relazioni, a quello che le persone dicono, desiderano e cerco di stimo -
larle a far meglio, a trovare il loro giusto posto nel mondo lavorativo.
Per me il capitale umano, senza voler fare sempre le stesse chiacchiere, fa la differenza. Questo in qualsiasi mondo. Naturalmente io mi occupo di finanza e quindi mi rivolgo soprattutto ai giovani della piazza finanziaria luganese, cerco di mostrare loro un nuovo approccio al lavoro, anche perché avendo più esperienza riesco a portare input propositivi e questo mi piace molto».
Visto che hai parlato di piazza finanziaria luganese, un tema che sta a cuore ai ticinesi, cosa ne pensi? Dobbiamo rassegnarci a doverla perdere?
«Assolutamente no, ma dobbiamo essere realisti. La vecchia piazza finanziaria è morta, inutile girarci attorno. Ci sono alcuni nostalgici che stanno cercando di recuperare il passato, ma
dobbiamo renderci conto che non c’è via di ritorno e soprattutto smetterla di rovinare e ostacolare quella che vuole essere la nuova piazza finanziaria, fatta di giovani».
Ma quando dici che la vecchia piazza finanziaria è morta, significa che non genererà più gli stessi numeri?
«Sul piano di introiti non posso dirlo, ma rispetto ad altre piazze non sarà più in cima alla lista. La nuova piazza finanziaria luganese dovrà operare sul territorio, una regione importante che include anche Lombardia, Veneto e Piemonte. Dovrà avere sempre la giusta attenzione al cliente e puntare sulla qualità dei servizi, così da non temere la concorrenza. Dobbiamo anche continuare a dare priorità alla trasparenza, in passato si viveva sulla paura del cliente, che magari aveva tanti soldi, ma non tutti dichiarati. Oggi
la trasparenza ottenuta è essenziale ed è questa a portare una qualità di servizio, non dimentichiamocelo».
Oggi sei l’amministratore delegato del Casinò di Lugano, presidente del consiglio di amministrazione dell’Ente Ospedaliero Cantonale. Immagino che mai avresti pensato di ricoprire questi ruoli… «Effettivamente no, avevo altri progetti. Dopo l’apprendistato in banca volevo riprendere un’attività imprenditoriale, essere indipendente. Ma poi qualcosa non ha funzionato… e forse non è stato un male. Non penso di essere arrivato al Casinò per caso, niente capita per caso nella vita, credo ad un’energia universale che ci indirizzi dove dobbiamo andare o dove dobbiamo restare. Penso lo stesso delle relazioni lavorative, quando parli, interagisci con le persone, si crea un’energia che utilizzata bene può creare grandi
punti di forza all’interno di un’azienda. Quando il Casinò necessitava di un nuovo direttore, inizialmente non ci ho pensato, ero unicamente nel consiglio di amministrazione. Poi vedendo il profilo stilato dal consulente in risorse umane mi sono detto: devo provarci anch’io. Mi sono sospeso dal consiglio di amministrazione e ho presentato la mia candidatura. Oggi sono qui e sono molto felice di questa scelta e dell’opportunità che mi è stata data».
Casinò, aziende forestali, EOC, ma quando dormi?
«Dormo le mie sei ore a notte e nessuno può togliermele. Non voglio entrare nel privato, ma ho fatto molte battaglie importanti in Ticino e negli anni ho dovuto imparare a conoscermi, a trovare il modo di rigenerarmi. Ho passato un periodo a non dormire, quindi oggi sto ben attento a prendermi sempre il tempo per farlo. Dormo la notte, mai di giorno, perché se per caso mi addormento due ore sul divano il pomeriggio, la notte vago per casa (ride)».
Le case da gioco hanno attraversato un momento molto difficile, pensiamo al Covid, ma anche al rinnovo delle licenze… è stata indubbiamente una strada in salita…
«È una continua sfida, il Casinò di Campione ha riaperto, abbiamo delle nuove licenze e dobbiamo in qualche modo recuperare quanto perso durante la pandemia. Inoltre c’è il gioco online, per il quale abbiamo fatto un enorme investimento… senza dimenticare il nostro legame con la Città di Lugano, che ci impedisce di avere zone grigie, il nostro lavoro deve essere eseguito nella massima trasparenza».
Ma mi parli di trasparenza eppure il gioco distrugge vite, i giocatori patologici riescono a perdere tutto quello che hanno… «Questa visione è sbagliata, dobbiamo vedere i Casinò come delle sentinelle sul territorio, dobbiamo usarli per arginare le deviazioni del gioco patologico. In ogni caso, è importante dirlo, le dipendenze al gioco non vengono gestite da noi, ma dal Cantone, ed è un aspetto che mi sta molto a cuore. Quando sono arrivato qui, ho lavorato attivamente per coordinare tutte le attività cantonali che si occupano di problemi legati al gioco e agli abusi in generale, come farmaci, droga e alcol».
Stai molto attento al contatto umano, si vede con i tuoi dipendenti, si sente dalle tue parole… «Sono convinto che il problema della nostra società, penso ai vari litigi e malcontenti, sia legato al fatto che non ci sediamo più attorno a un tavolo, non diamo più la giusta importanza al contatto umano. E’ un problema generale, perché parlare, entrare in connessione con le persone, implica tempo e impegno e, non da ultimo, altruismo. Come scusante spesso usiamo “tanto è sempre stato così”, invece no, dobbiamo reagire, fare qualcosa, non possiamo vivere nell’immobilismo, se no perderemo tutto».
Pensi che viviamo in una società sempre più egoista?
«È un dato di fatto che in molti guardano unicamente ai loro interessi, soprattutto finanziari, un modo di operare che crea unicamente introiti, ma non migliora il tessuto economico sociale. Noi, come Casinò, vogliamo essere attori costruttivi, ad esempio
mettiamo a disposizione le nostre risorse agli altri, per favorire lo sviluppo della Regione. Dobbiamo smetterla di pensare unicamente al guadagno immediato, ma agli investimenti a lungo termine. Ti faccio un esempio concreto: abbiamo organizzato un forum sulla cyber sicurezza e lo abbiamo aperto a tutti. Questo è quello che tutte le grandi aziende dovrebbero fare».
Oltre ad essere alla direzione del Casinò di Lugano sei presidente dell’Ente Ospedaliero ticinese…
«Sì, ho questa fortuna, dico fortuna perché la presidenza all’EOC è stata una cosa eccezionale. In questo caso posso dire di essere arrivato all’Ente Ospedaliero per caso. Nella lottizzazione politica quella era l’unica poltrona di prestigio venuta libera a cui la Lega poteva ambire. Cosa è successo dopo? Ho incontrato un’azienda eccezionale, con personale formato e volenteroso. Abbiamo attraversato un momento storico incredibile, drammatico, il Covid ha cambiato la vita di tutti noi, ma non potete immaginare quanto abbia cambiato le dinamiche all’interno degli ospedali, se ci penso mi vengono i brividi. Ma l’essere sopravvissuti, insieme, i vari progetti legati all’ospedale, mi danno un’energia che trasformo in voglia di fare, di lavorare, di battermi per avere al più presto un ospedale universitario in Ticino».
Un tema sensibile quello di un nuovo ospedale universitario in Svizzera, per il Ticino significherebbe realizzare il sogno di molti medici…
«Non si riesce a far tutto bene subito. Nel mio percorso lavorativo ho dovuto scontrarmi con molte persone, l’importante è non lasciare perdere, battersi per i propri ideali, le proprie convinzioni, ma solo se queste rispecchiano un bene per la società. Tornando all’ospedale universitario il Ticino necessita un modello suo, non un modello fotocopia, inoltre il problema risiede nei soldi, per -
“Sono convinto che il problema della nostra società, penso ai vari litigi e malcontenti, sia legato al fatto che non ci sediamo più attorno a un tavolo, non diamo più la giusta importanza al contatto umano”.
ché i fondi legati alla ricerca sono sempre gli stessi e se nasce un nuovo ospedale gli altri perderebbero una parte di entrate. Ne è la dimostrazione la facoltà di biomedicina che subito, dalla nascita, ha portato dei disequilibri oltre San Gottardo, sempre per i soldi».
Tu sei luganese, hai vissuto la tua infanzia qui, ricordo che una volta parlavi di un ristorante…
«È corretto, la mia famiglia aveva un ristorante, prima in Via Balestra, poi alla Resega, dove sono cresciuto, e dove i miei genitori sono rimasti fino al 1981, quando mio papà è deceduto. Ricordo ancora che apriva alle 5.30 del mattino per gli operai del comune, i pompieri e la polizia, una volta erano tutti lì. Lavoravamo tantissimo, mezzogiorno e sera, non parliamone quando c’erano le partite di hockey. Pensa, siamo quattro fratelli, e nessuno, ma dico nessuno, ha mai pensato di lavorare nella ristorazione (ride). Anche perché abbiamo sempre aiutato i nostri genitori. Sai perché ancora oggi mangio velocissimo? Perché quando rientravo da scuola dovevo mangiare al volo e poi andare a servire».
Hai fatto l’apprendistato in banca, ma la tua vita professionale ti ha regalato tanti viaggi… «Ero un curioso, non ho mai avuto paura di viaggiare. Dopo l’apprendistato sono andato a Monaco di Baviera per il tedesco e poi ho lavorato a Francoforte. In quello stesso periodo il mio docente di contabilità mi aveva contattato per diventare contabile federale e allora sono tornato a studiare. Sono comunque rimasto nel settore bancario, mi sono spostato a Parigi per collaborare ad un progetto legato alla contabilità analitica, quella che fino ad allora era utilizzata nelle grandi aziende. Poi, per sperimentare quello che era ancora solo teoria, mi hanno mandato a New York e per finire ho vissuto anche alle Isole Cayman, dove sono stato chiamato per rilanciare una banca».
Ma scusa con tutti questi viaggi dove hai trovato il tempo di conoscere tua moglie?
«Lei praticamente c’è sempre stata. Eravamo adolescenti quando ci siamo incontrati. Ricordo ancora che, quan -
do sono arrivato a casa da mia mamma e le ho raccontato che sarei partito per le Isole Cayman, lei mi ha detto… e la Fabiola? Cosa pensi di fare…? Ci siamo sposati (sorride) e lei mi ha raggiunto ai Caraibi. Pensa che inizialmente non voleva venire e poi non voleva più andarsene. La nostra prima figlia è comunque nata qui, perchè volevamo che nascesse in Svizzera. La sorellina è arrivata quando eravamo già a Lugano».
Non penso sia stato facile rientrare a Lugano…
«Avevamo le nostre famiglie, perciò a livello privato è stato bello, ma a livello professionale mi sono subito reso conto che mi mancavano delle competenze e quindi, continuando come analista, ho ricominciato a studiare. In quel periodo ho conosciuto due ingegneri forestali con i quali ho fondato alcune società forestali. Vedi nulla succede per caso (sorride)».
E nel tuo poco tempo libero cosa fai?
«Famiglia, corro – anzi mi trascino –per liberarmi la mente e mi interesso alla viticoltura. Mi piace cercare piccole produzioni, conoscerne la storia, le persone che ci lavorano, la loro passione e poi i loro prodotti. Sono quasi più interessato all’aspetto umano che a quello vinicolo».
Ti voglio fare un’ultima domanda, ma il Ticino sta andando nella giusta direzione, penso a livello politico, economico, umano…
«Assolutamente no, non siamo capaci a fare squadra, questo è il problema. C’è sempre una scusa, c’è sempre un’invidia di fondo… non siamo capaci ad andare d’accordo, a costruire qualcosa assieme, per il bene di tutti».
Ma è cosi? Gli interessi personali sono sempre al primo posto? La vera risposta dobbiamo darla a noi stessi.
« MI PIACCIONO LE SFIDE E SONO COMPETITIVA»
Come sono stati questi primi mesi?
«Molto intensi, ma mi hanno dato la possibilità di conoscere l’università. Sono stata accolta in modo molto caloroso e ho visto diverse cose su cui credo si possa lavorare insieme per far progredire l’USI».
Lei aveva dichiarato di essere venuta qui per ascoltare e imparare. Cosa ha imparato finora, e cosa eventualmente crede di dover ancora imparare?
«I dettagli sono probabilmente tanti e troppi (ogni università funziona in modo unico). Mi sono rimboccata le maniche cercando soprattutto di capire quali sono i punti di forza e quelli più deboli dell’USI, di conoscere i colleghi e il personale amministrativo, e di capire quali sono le sfide del territorio, perché le università devono anche interfacciarsi e intraprendere quelle attività che sono rilevanti per la regione in cui vivono».
Lei ha vissuto esperienze universitarie molto diverse, italiana, statunitense e svizzera. Quali di queste l’hanno influenzata di più?
«L’esperienza negli Stati Uniti è stata importante per capire come si fa la ricerca e come la si dovrebbe valorizzare - quali sono gli strumenti, come formare un dipartimento, i criteri di qualità…
Quella svizzera è stata fondamentale per capire la struttura di questo Paese, come le università si interfacciano con la società e con le istituzioni, la sua multiculturalità e il suo plurilinguismo».
È possibile definire uno “stile Lambertini” nella conduzione di un’università?
«Lavoro molto al tavolo con tutti, cerco sempre di far partire le iniziative dal basso, con il contributo per lo meno di una buona maggioranza, non mi piacciono particolarmente le gerarchie, mi piace lavorare per degli scopi precisi, vado abbastanza diritta per la mia strada e non mi fermo davanti agli ostacoli: quando ho un progetto o un’idea in testa li spingo finché non mi convincono in maniera esaustiva che non deve essere fatto».
Non le dispiace vedere dei lavori che ha iniziato al Politecnico di Losanna (EPFL) essere portati avanti e terminati da qualcun altro?
«No, devo solo essere grata all’EPFL per avermi messo nelle condizioni migliori per poter affrontare questa nuova sfida».
Qual è stato il motivo profondo, vero, che l’ha convinta ad accettare questa sfida, ossia dirigere un’università tutto sommato piccola e periferica, con nessuna tradizione?
«Appunto la sfida. L’USI è un’università piccola ma speciale, in cui vi è davvero la possibilità di fare qualcosa.
I grandi atenei sono come treni la cui via è sostanzialmente tracciata e ben definita, qui invece l’ambiente è molto più malleabile. Inoltre anche l’USI possiede delle eccellenze, e la sua posizione geografica tra Zurigo e Milano è molto interessante».
Cosa l’ha colpita in modo particolare dell’USI?
«Ci sono alcune competenze speciali. Pensiamo all’Accademia di architettura, che è veramente il nodo tra la Svizzera e la cultura italiana, un matrimonio unico e una storia di successo. Ab -
ESPERTA DI FINANZA INTERNAZIONALE E MACROECONOMIA, EX NAZIONALE ITALIANA DI PALLAMANO, BOLOGNESE DI NASCITA MA SVIZZERA D’ADOZIONE CON TRASCORSI STATUNITENSI, DOPO ALCUNI MESI DI RODAGGIO IN CUI ERA A LUGANO UN GIORNO LA SETTIMANA, LUISA LAMBERTINI DAL PRIMO LUGLIO È UFFICIALMENTE ENTRATA IN CARICA COME RETTRICE DELL’UNIVERSITÀ DELLA SVIZZERA ITALIANA (USI).
DI ROCCO BIANCHI
biamo anche facoltà e istituti affiliati in cui operano persone con capacità di ricerca incredibili. Non dimentichiamo inoltre che quando l’USI è stata fondata la Facoltà di scienze di comunicazione è stata una delle prime nel suo genere, una scelta lungimirante. Per non dimenticare la Facoltà di scienze informatiche, classificata terza in Svizzera dietro i due politecnici, e la Facoltà di scienze economiche, il cui Master in Finance è nei top 30 mondiali, e la neo-affiliata Facoltà di Teologia, che il prossimo anno accademico festeggia il suo trentesimo anniversario».
Dove questa università non solo può, ma deve migliorare?
«L’USI è cresciuta nei suoi quasi trent’anni di esistenza a ritmo molto elevato, ma le sue istituzioni non hanno tenuto il passo. Parliamo del modo in cui un’università funziona. I nostri
servizi sono rimasti molto piccoli rispetto alle dimensioni attuali dell’USI. Bisognerà investire in questi processi, in modo da portarli al livello della sua ricerca. Altra cosa che ho notato è che ci sono degli imbuti strutturali: siamo nella Svizzera italiana, dobbiamo evidentemente dare dei corsi in italiano, ma gli studenti svizzeri che parlano italiano sono pochi. La sfida quindi, visto che qui la ricerca si fa e si fa bene, sarà riuscire ad attrarre studenti da altre università e non soprattutto dall’Italia».
L’USI è forse l’unica università di lingua italiana al di fuori dei confini italiani: questa sua unicità è un handicap o un atout?
«È un atout ma dobbiamo essere agili e non metterci dei vincoli troppo forti, altrimenti ci soffocano. È giusto essere l’Università della Svizzera italiana, in cui la cultura e la lingua italiana fanno parte del tessuto fondamentale, ma dobbiamo anche essere pragmatici e capire che certi corsi devono essere dati in inglese - quelli di master in modo obbligatorio, salvo eccezioniperché questo garantisce la mobilità, non solo degli studenti che vengono a studiare qui, ma anche dei ticinesi che qui studiano, che devono poter ottenere il bachelor e muoversi poi per il master altrove, o viceversa».
La scarsa attrattività dell’USI verso gli studenti del resto della Svizzera è solo questione di lingua o anche di percezione della qualità del suo insegnamento?
«La questione della lingua sicuramente ha un ruolo importante, ma è soprattutto una tendenza nazionale quella di restare a studiare nella propria regione linguistica. Uno studio dell’Ufficio fe -
derale di statistica (UST) evidenzia che solo il 5% degli Svizzeri tedeschi e francesi intraprende gli studi in un’università di una regione linguistica svizzera diversa da quella di origine. In generale i germanofoni restano in università svizzero-tedesche, i francofoni in università svizzero-francesi. La situazione è un po’ diversa per gli italofoni visto che l’offerta di studi all’USI è più limitata, non offriamo tutte le discipline, e che la buona conoscenza del francese e del tedesco è necessaria nel mondo del lavoro svizzero. Cambiare queste abitudini è una sfida, attirare studenti da altre regioni linguistiche non è difficile solo per noi, lo è per tutti. Dalla statistica dell’UST risulta infatti un altro dato significativo: le università svizzere attirano più facilmente studenti da altri Paesi che dalle altre regioni linguistiche nazionali. All’USI la lingua inglese può aiutare e a livello di master dobbiamo farci conoscere meglio, puntando sulla qualità e offrendo corsi interessanti, importanti e rilevanti. Vorrei che l’USI fosse leader nella formazione».
Si sente spesso dire che la scuola, nei suoi vari livelli, deve soprattutto preparare i giovani al mondo del lavoro. Concorda?
«L’università e in generale la scuola deve preparare alla vita, a carriere che iniziano oggi ma non sappiamo come evolveranno. Le cose cambiano, e molto in fretta. Ci sono oggi una miriade di professioni che vent’anni fa non esistevano. È possibile inoltre che l’intelligenza artificiale (IA) andrà a ridurre non solo l’attività manuale, come già hanno fatto i robot e i computer, ma anche il lavoro intellettuale, per cui quello che noi dobbiamo davvero insegnare ai nostri studenti e alle nostre studentesse è come apprendere
e come evolversi: imparare ad imparare insomma, e rimanere sempre aperti. La formazione continua è qualcosa che assumerà sempre maggiore importanza, per questo mi piacerebbe che anche l’USI, non solo la SUPSI, assumesse in questo campo un ruolo sempre più forte».
Sono davvero giustificate le grida di allarme contro l’IA?
«Che l’intelligenza artificiale possa essere usata anche per scopi negativi è un fatto. Ciò non toglie che possa anche essere usata per scopi positivi. Bisogna quindi abbracciarla non in modo acritico, ma in un contesto in cui ci siano regole e limiti ben precisi, decisi e imposti dopo una profonda riflessione. Anche questo è un campo in cui la ricerca e le università possono aiutare, non solo sviluppando questa tecnologia, ma anche definendo il contesto etico e sociale nel quale l’IA opera e viene utilizzata».
Lei all’inizio ha parlato di un’università collegata con il suo territorio pronta a coglierne le sfide e le esigenze. Quali sono?
«Il Ticino fino a vent’anni fa aveva un paio di settori trainanti, che tuttavia oggi hanno subito un ridimensionamento. Contemporaneamente però sono nati, solo per fare due esempi, il polo della biomedicina e la Facoltà di scienze informatiche, che hanno creato una serie di attività collegate e di startup, con ricadute su tutta la società e tutti i settori economici. Ci sono inoltre delle sfide globali che avranno degli effetti pure sulla nostra regione; bisognerà quindi sviluppare, in collaborazione con il Cantone e le realtà in esso esistenti, progetti specifici sulla sostenibilità economica, ambientale e sociale ai quali i nostri ricercatori potranno partecipare e contribuire».
Le piacerebbe avere una Facoltà in più? Nel caso, quale?
«Posso pensarne tante, ma bisognerà anzitutto vedere se ci saranno le risorse
“L’università e in generale la scuola deve preparare alla vita, a carriere che iniziano oggi ma non sappiamo come evolveranno”.
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Sviluppiamo i nostri elettrodomestici da incasso in modo che possiate dar libero sfogo alla vostra creatività. Questa è qualità che anticipa i tempi.
Miele. Immer Besser.
per crearla. Devo però essere sincera: al momento la grande sfida è la biomedicina, una facoltà che ha dei costi molto più elevati rispetto alle altre e che deve essere consolidata e sviluppata. L’obiettivo al momento è questo. Altre iniziative penso che potranno svilupparsi in collaborazione con altre università svizzere, cercando di trovare punti di intersezione tra quello che l’USI e gli altri atenei offrono. Chiaro che a lungo termine avere un Politecnico in lingua italiana potrebbe essere interessante, come già ipotizzato dal Prof. Martinoli che ha ricoperto questo ruolo prima di me, ma la fattibilità di questo progetto non è chiara».
In questo senso la sua esperienza e i suoi contatti a Losanna potrebbero essere utili…
«Credo di sì, anche se ho notato che qui ci sono contatti molto stretti soprattutto con Zurigo. Con Losanna c’è ancora un po’ di distanza, che mi auguro possa essere ridotta».
Progetti per i suoi studenti?
«Mi piacerebbe dare un po’ più di vita al campus universitario. Anche l’EPFL, quando arrivai nel 2007, alle 5 del pomeriggio si svuotava; per fortuna nel tempo sono sorte delle strutture al suo interno e nei dintorni e oggi c’è sempre vita, pure sabato e domenica. Ed è importante, perché ci sono studenti che vengono qui, sono soli e devono avere la possibilità di creare una co -
munità. Questo ha degli aspetti positivi anche per la città, e per questo ne ho già accennato al Municipio di Lugano».
Lei è stata nazionale italiana di pallamano. Cosa le ha dato un’attività sportiva ad alto livello?
«Anzitutto mi sono divertita molto. Ti fa inoltre capire come far competizione, quando bisogna essere agguerrite e quando invece fare un passo indietro. Come tutti gli sport di squadra si impara anche che da soli non si va da nessuna parte, e a vivere e a convivere per settimane con persone diverse da te».
Lei quindi si considera una donna di squadra?
«Sì (senza esitazione)».
È anche competitiva?
«Sì (senza esitazione)».
Al di là di questo come si definirebbe?
«Mi piace scherzare e cerco sempre di essere di buonumore, mostrando il lato positivo di me stessa, sono un po’ intensa ma sto cercando di imparare a trattenere le parole quando vorrebbero scappare. Sono una buona forchetta, anche se ho imparato a cucinare quando sono partita dall’Italia e la mamma non c’era più. Purtroppo a cucinare bene ci vuole tempo, cosa che il più delle volte mi manca. Sto anche cercando di diventare vegetariana».
Il suo a quanto dice scarso tempo libero come lo occupa?
«Mi è rimasto il pallino dello sport (tennis, corsa, bicicletta, passeggiate con il cane…), che mi rilassa, leggo, anche se meno di quanto vorrei, e cerco di vedere amici».
Come rettrice avrà soprattutto compiti amministrativi. Non le mancherà la parte accademica?
«Molto, ma sono stata molto chiara: non intendo smettere di fare ricerca e di insegnare. Naturalmente non come prima, ma non intendo smettere anche
perché li ritengo aspetti fondamentali per una rettrice o un rettore, ché altrimenti perde il contatto e la mentalità».
Senza entrare nel merito delle dimissioni del suo predecessore, che rapporti ha instaurato finora con il Consiglio di università e il DECS?
«L’ho detto fin dall’inizio: sono contenta di venire all’USI a lavorare come rettrice e sono pronta a lavorare con tutti nei limiti delle rispettive responsabilità e competenze».
I paletti sono chiari quindi per una triade tutta femminile: rettrice, presidentessa del Consiglio e consigliera di Stato. Forse un unicum mondiale. Questa dirigenza tutta femminile secondo Lei potrebbe portare, nel bene e nel male, a dinamiche particolari?
«È in effetti una situazione unica, un’intersezione che può aprire molte possibilità. Io ho già affermato che mi impegnerò affinché l’USI promuova le carriere femminili e aumenti la percentuale di donne nel corpo accademico, perché da questo punto di vista siamo un po’ indietro. Immagino che questa situazione possa aiutare».
Le donne sono la maggioranza degli studenti, gli uomini sono la maggioranza dei professori. Come spiega questa evoluzione?
«Sicuramente la difficoltà di combinare vita accademica e vita familiare gioca un ruolo, ma anche il fatto, soprattutto in certe facoltà, che la vita universitaria è tradizionalmente maschile. Purtroppo la bacchetta magica non esiste, e io di sicuro non ce l’ho; ho comunque visto come alcune università hanno cercato di rispondere al problema. Bisogna avere flessibilità, e strutture che possano aiutare a combinare la vita professionale con quella privata. Personalmente inoltre ritengo che nelle commissioni di preavviso ci debbano essere almeno due donne».
BARBARA WIDMER, NUOVA
DIRETTRICE ARTISTICA
DELL’ORCHESTRA DELLA
SVIZZERA ITALIANA
SI ACCINGE AD AFFRONTARE
CON GRANDE ENTUSIASMO
QUESTA NUOVA SFIDA
PER RIUSCIRE A PORTARE
L’ORCHESTRA AI VERTICI DELLA MUSICA EUROPEA.
STRAORDINARIA ESPERIENZA PROFESSIONALE ED UMANA
Lei giunge a questa nomina dopo aver ricoperto vari incarichi all’interno dell’OSI. Quali sono state le principali tappe di questo suo percorso professionale?
«Ho iniziato il mio percorso all’OSI nel 2010, quando ero ancora studentessa a Zurigo: stavo cercando un altro lavoro part-time che mi permettesse di avvicinarmi già al mondo musicale e con immensa gioia sono stata assunta all’OSI. Inizialmente il mio ruolo era quello di assistente artistica, lavoravo a stretto contatto con l’allora Direttore artistico-amministrativo Denise Fedeli, poi negli anni si è sviluppato in Responsabile di produzione, fino ad arrivare a Membro di direzione nel gennaio del 2021 e ricoprire la carica di Direttore artistico ad interim dall’ottobre 2022. Quando si è aperto il concorso per Direttore artistico ho capito che non avrei potuto non cogliere quest’occasione, ed eccomi qui con immenso onore ed entusiasmo».
Quale specifica esperienza ha potuto maturare lavorando per tanto tempo a contatto con un complesso prestigioso, maestri, direttori d’orchestra e molte altre figure artistiche?
«Per una studentessa iniziare in un’istituzione culturale importante come quella dell’OSI è stato un privilegio e un’occasione credo più unica che rara;
una realtà come quella dell’Orchestra della Svizzera italiana ti permette di entrare in contatto con grandissime personalità del mondo artistico nazionale e internazionale. Il contatto con gli artisti arricchisce ogni giorno parte del mio bagaglio e mi offre la possibilità di essere in un certo senso catapultata costantemente (ovviamente virtualmente) fuori dai nostri confini. All’interno dello staff invece, il fatto di essere un team così piccolo ti permette di vedere, crescere e svilupparti in tantissimi settori (dalla produzione artistica, alla comunicazione, alle finanze), insomma una bellissima immersione a 360° in tutto quello che ti può offrire questo mondo».
L’OSI ha molto diversificato nel corso degli ultimi anni i suoi impegni. Quali sono le principali linee di sviluppo lungo le quali intende indirizzare la futura programmazione delle attività?
«Sì, negli ultimi 7-8 anni l’OSI è cresciuta moltissimo, il consolidamento del rapporto con un Direttore principale ha portato l’orchestra a trovarsi qualitativamente tra le migliori orchestre europee e questo ha fatto sì che venisse invitata in prestigiose stagioni e sale (quali ad esempio il Musikverein di Vienna o il Festival di Salisburgo, per citarne alcune) e a portare il nome dell’OSI al di là dei confini nazionali
in qualità di ambasciatrice culturale della Svizzera italiana. Sicuramente questo è uno degli aspetti che vorrei continuare a sviluppare: far conoscere in maniera più importante questo gioiello che forse è ancora troppo poco noto Oltralpe. Certamente la ricerca del successore di Markus Poschner in qualità di Direttore principale sarà anche uno dei principali obiettivi dei prossimi anni, affinché l’immenso lavoro che il Maestro ha svolto in questi ultimi anni possa avere la giusta continuità e nel contempo iniziare un nuovo capitolo artistico con un’altra personalità. Il repertorio classico-presto romantico è il repertorio consono alle
peculiarità e al colore di un’orchestra come l’OSI, che si differenzia da altre orchestre per il suo timbro particolare e subito riconoscibile. L’altro capitolo che andrà sicuramente continuato è quello dell’Audience development, che ha preso avvio ancora di più con il nuovo progetto be connected: questo formato, proponendo originali forme di concerto, ha come intento quello di disseminare l’identità dell’OSI laddove certi confini sembrano ancora esistere e cercare di coinvolgere quelle nuove generazioni che forse non conoscono ancora il valore e il privilegio di avere un’orchestra professionale nella propria regione».
È già possibile annunciare novità che vedremo nei prossimi mesi?
«La stagione 23/24 è ormai stata annunciata, oltre alle stagioni tradizionali di OSI al LAC e OSI in Auditorio, l’Orchestra sarà impegnata durante il mese di aprile in una lunga tournée in Germania con il Direttore princi -
pale Markus Poschner e la giovane pianista Anna Vinnitskaja, tournée che toccherà le più importanti città della Germania quali ad esempio Stoccarda, Colonia e Monaco e prima di questo lungo viaggio, l’OSI sarà nel mese di gennaio a Reggio Emilia nel suggestivo Teatro Valli.
Durante il week end di Pentecoste l’orchestra sarà impegnata con la terza edizione del Festival Presenza che prevede la Direzione artistica della star del violoncello Sol Gabetta, questa volta accompagnata dall’estrosa violinista Patricia Kopatchinskaja che per l’occasione comporrà un brano per violino, violoncello e orchestra (chissà cosa ci aspetterà!)».
Da tempo l’OSI ha avviato un processo di avvicinamento ad un pubblico sempre più vasto e diversificato, tenendo anche concerti in luoghi non convenzionali. In che modo pensate di incrementare questa tendenza?
«Penso sia importante portare il nome dell’Orchestra anche laddove c’è la difficoltà ad arrivare: il nuovo progetto be connected ha proprio questo intento. Dell’esperienza ad esempio alla discoteca Vanilla, siamo stati stupiti dall’afflusso di tante persone anche completamente digiune di musica classica: in quest’ottica saremo sempre creativi per questo tipo di iniziative che affiancheranno la nostra attività principale. Nell’ambito dell’innovativo formato be connected segnalo con piacere due novità: la prima, un progetto in occasione di Halloween (Chi ha paura dell’OSI?) che avrà luogo al Palacinema di Locarno e in seguito il grande concerto “Io, tu e l’OSI”, a giugno 2024 al LAC, che permetterà a persone che amano e coltivano la musica, ma non ne hanno mai fatto una professione, di suonare sul prestigioso palco affiancati dai professori dell’OSI».
Da ultimo, ci vuole raccontare come le nuove responsabilità influenzeranno la sua vita personale e la possibilità di dare spazio, nel poco tempo libero, a interessi e passioni?
«Quando si ricopre un ruolo di questo tipo si deve partire dal presupposto di dedicarsi completamente all’incarico, ed è con questo spirito che inizierò questo percorso. Ho tuttavia la necessità di ritagliarmi del tempo libero, come una sorta di apertura verso la creatività; una buona organizzazione permetterà certamente il giusto equilibrio tra la vita privata e la vita lavorativa, avendo oltretutto al nostro fianco uno staff motivato, entusiasta e competente».
“Quando si ricopre un ruolo di questo tipo si deve partire dal presupposto di dedicarsi completamente all’incarico, ed è con questo spirito che inizierò questo percorso”.
CAN MICROFINANCE SOLVE POVERTY?
INTERVIEW WITH ABHIJIT V. BANERJEE, THE SVERIGES RIKSBANK PRIZE IN ECONOMIC SCIENCES IN MEMORY OF ALFRED NOBEL, 2019. COURTESY OF UBS NOBEL PRESPECTIVES. UBS.COM/NOBEL
Abhijit Banerjee is the kind of economist who refuses to glorify his profession, even though he’s partially responsible for a massive shift in how economists approach and use data, has published several best-selling books, and has been awarded the highest honor in the field. For Banerjee, the work
is always evolving, always improving, and always reaching more people. You won’t be catching him resting on his laurels anytime soon.
A Smaller Group to Better Represent the Masses
Banerjee, along with his co-Laureates Esther Duflo and Michael Kremer, are seen as the pioneers of experimental economics. Fueled by randomized controlled trials, an approach similar to clinical trials in medicine, smaller scale experiments are conducted to take specific action on an otherwise complex issue.
«We often look at millions of people
rather than 68 or something», says Banerjee. «So, it’s just an order of magnitude in terms of size that raises many statistical issues and many implementation issues which we need to wrestle with. But in the end, the philosophy is very similar, which is that we want to make sure that we haven’t selected the group of beneficiaries in a way different from the way the non-beneficiaries were selected. And therefore, we could legitimately claim that if we see a difference, it’s the causal effect of the intervention». Banerjee doesn’t always identify with the popular thinking within his profession, but it goes deeper than ascrib -
ing to a different school of thought. He doesn’t think much of economics actually fits the real world.
«Good economics means economics that engages with the reality of the world we live in», he says. «A lot of economics lives in a land where people are extremely calculating, extremely self-centered, and very good at foreseeing consequences of their actions. I don’t know many people like that».
«Good economics means economics that engages with the reality of the world we live in».
To Banerjee, the world is more nuanced than that. And in his view, there’s more evidence to suggest much more scope for trying to do things that might be in the social interest, rather than the individual one.
«Policies can only be made if there is popular support for them and I think as long as people misunderstand the economics, the policies will all be wrong», he says. «We can do all the research, we can claim here is the knowledge, but the knowledge has no validity until people believe that we have something useful to say».
Play VideoDoes Microcredit Lead to Micro Benefits?
In the early 2000s, the idea of microcredit exploded in popularity. By giving people who lacked access to collateral very small amounts of money, the idea was that people could start or expand their business with these loans, and when the loans were paid back, it could go back into a pool that would help lift other people out of poverty. Banerjee, who did see some value in the approach, questioned the evaluation of these types of programs. But the microcredit community rejected the idea that they needed to provide evidence; they saw their product as inherently good.
«At some point, we managed to persuade microcredit organizations to do
a randomized controlled trial», he says. «The first really credible evidence that was on this question was from our study. It was one that was received with a lot of hostility. We found that at least for the median person, it didn’t do anything to raise their level of consumption».
Although Banerjee and his co-researchers weren’t trying to say these programs weren’t useful, their study showed that actually most of the loans went to buying products, things like refrigerators and televisions, and not to starting or expanding a business. «There’s nothing wrong with that, and their lives were probably better because they had television, but it wasn’t the transformative ingredient that’s going to save us from the scourge of poverty. They were putting the money into other things and they were not getting richer». The second step of their study was to reexamine people who received microcredit several years later. Banerjee said that they weren’t actually expecting to find much in the data here but they were greeted with a surprise. We find that while it’s still true that the median person is no better off, there is five percent who by getting microcredit for a few more years somehow are transformed», he says. «The benefit wasn’t universal as had been originally claimed. It was very selective. In fact, these were people who already had businesses».These types of insights allow for refinement of programs, both in terms of the selective process, and how success is measured.
The Cost of Climate Change: Who’s Picking Up the Tab?
Another area that Banerjee has been focusing on is climate change and how this disproportionately impacts people in developing countries. World temperature records are routinely broken, reaching unlivable levels, and for many countries this not only destroys agriculture, but it also wreaks havoc on the people. Industri -
AT A GLANCE
Born: 1961, Mumbai, India. Field: Development economics.
Awarded: The Sveriges Riksbank Prize in Economic Sciences in Memory of Alfred Nobel, 2019 (shared). Prize-winning work: Experimental approach to alleviating global poverty. Food as medicine: In addition to eight economics-based books, he’s also written a cookbook, Cooking to Save Your Life. The couple that researches together: He and his wife and longtime collaborator, Esther Duflo, were co-awarded the prize making them the sixth couple to win jointly. A fresh view: While getting his PhD, he tried to connect economic theory, models, and stories to some of the reality of people in India which led him to focus on poverty within his career.
alized countries are a major cause of greenhouse gas emissions that are driving climate change and leading to heat waves, droughts, and massively destructive storms.
«What I think the climate debate needs to put front and center is this idea that somehow we have to think hard about how we will deal with the losers in this», he says. «A lot of very poor people will lose if we let climate change happen and we don’t take certain types of action. If we raise energy prices, it’s not going to be the rich who are going to really be hurt. It’s the poor who will be hurt. Now, how do you compensate them?». This is a question being asked by many people, organizations, governments, and NGOs. In fact, climate compensation was added to the COP27 negotiations in 2022 and for the first time in history, the UN is working on a climate agreement and
fund that intends to address this. The logistics of how, and how much, are still areas that need more research.
«A lot of the work that I’ve been doing in the last 10 years has been about the design of anti-poverty programs. There should be a clear conversation between the climate change policy design and then how would I compensate people», he says.
The first part according to Banerjee is a global fund for compensation, something that the UN is actively pushing for. The second piece he says is identifying the victims within a country, and then finally, implementing a rule for how transfers are given.
«That’s going to be very political even within the country because everybody is going to say I am also a victim and you have to somehow make the choices there. I think the knowledge base for doing that is also something we need to develop».
Letting Your Intuition Guide You
As Banerjee was getting his PhD, he felt a disconnect between the economics he was studying and the world he grew up in. He began to explore ways to link the economic theory with the lives of people he knew, particularly the people he saw living in poverty, as a young boy in India.
«I could start to see how one could tell stories and what we would need to tell stories about those lives», he says. This was part of the motivation behind setting up the Abdul Jameel Latif Poverty Action Lab, or J-PAL, an organization and research center focused on reducing poverty. J-PAL was founded by Banerjee along with Esther Duflo and Sendhil Mullainathan in 2003. Today, they have offices around the world.
«J-PAL was set up to help make better policies against poverty by encouraging the better use of high quality evidence.
That sentence is a bit of a mouthful but it’s really what we do», he says.
«We try to encourage people to generate the evidence, but we also then summarize it. When the evidence shows something that’s worth scaling, we try to work with policymakers to make that happen».
According to Banerjee, J-PAL has around 1,100 active randomized controlled trials as an organization. That’s a lot of smaller scale experiments dedicated to moving towards a happier, healthier, and wealthier world. For now, he doesn’t mind that he’s asked the same questions repeatedly. He’s happy that the conversations are happening at all.
«Part of what we are fighting is always that», he says reflectively. «I’ve learned to not trust my own intuition. Maybe that’s the thing I’ve learned most».
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COMINCIARE A PENSARE ALLA LUGANO DEI PROSSIMI VENT’ANNI
Di recente lei è diventata la nuova Prima cittadina di Lugano, dopo aver ricoperto il ruolo di Vicepresidente nel precedente Ufficio presidenziale. Che valore attribuisce a questo riconoscimento, a livello personale e per il suo partito?
«La carica di Presidente del CC viene assunta ogni anno a rotazione dai partiti di maggioranza (PLR, Lega, PS, il Centro). L’ultimo anno di legislatura normalmente spetta al partito di mag-
gioranza, in questo caso al PLR. È una carica che mi onora molto e che assumo con riconoscenza, umiltà e responsabilità, alla fine di una relativamente lunga carriera, in seno al partito a livello cantonale e comunale.
Il lavoro del Consiglio Comunale non è facile, ma è fondamentale per garantire una gestione equilibrata e sostenibile della nostra città. Le istituzioni e l’interesse comune devono sempre venire prima di tutto. Per me questo è sempre stato importante».
PERSONAGGIO POLITICO TRA I PIÙ NOTI E APPREZZATI DEL TICINO, MORENA FERRARI GAMBA FA IL PUNTO SULL’ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO COMUNALE DI LUGANO, MA NON RINUNCIA AD ESPRIMERE ANCHE INTERESSANTI GIUDIZI SULLA CLASSE POLITICA E SULLA SUA VISIONE RIGUARDO AL FUTURO DELLA CITTÀ.
In una recente intervista lei ha dischiarato, suscitando un certo scalpore, che al Municipio di Lugano manca un leader. Che cosa intendeva dire?
«Intendevo dire esattamente questo. Certo, oggi è molto diverso rispetto al passato. Con una città che ha triplicato le sue dimensioni, la perdita di importanti entrate dal settore finanziario, e non solo, l’impatto sull’economia e la gestione di Lugano è stato significativo. Nel frattempo, dopo un periodo quasi fermo, si sono rimessi in moto molti progetti. Ma fra crisi economiche, sociali, energetiche, pandemia, la gestione dell’ente pubblico si è parecchio complicata e di certo non può essere tutto sulle spalle di una sola persona. Lo capisco e non entro nel merito dei singoli municipali, ma se mi chiedete se vi è un leader trascinatore, non c’è. Mi sembra che ognuno alla fine pensi per sé, pur avendo un Sindaco che stimo e che potrei dire sia un leader partecipativo, questo sì».
Che cosa non funziona nell’attività del Consiglio comunale e quali nuove pratiche vorrebbe vedere applicate?
«Il Consiglio Comunale fa un grande lavoro, di cui la gente non si rende conto. Messaggi e mozioni sul tavolo sono tanti, spesso anche complessi e necessitano di approfondimento. Essendo la composizione delle commissioni rappresentata da tutte le forze politiche le discussioni possono essere lunghe perché ognuno porta il suo sentire e arrivare ad un rapporto con -
diviso non è semplice. Per migliorare le cose, ci vorrebbe da parte di tutti un maggior impegno nell’approfondimento dei dossier, una maggior condivisione e non un arroccamento sulle proprie posizioni, una migliore conoscenza della macchina pubblica e dei regolamenti e … un maggior rispetto verso i propri elettori proprio perché si è preso un impegno verso di loro. Forse così si lavorerebbe meglio, più celermente e con più attenzione all’impatto che hanno le nostre decisioni sulla collettività».
Cosa le piace e cosa invece non approva nel modo di fare politica oggi, in cui un commento espresso sui social sembra avere un valore maggiore di una opinione articolata e documentata?
«Purtroppo, la politica, e non solo alle nostre latitudini, fa un largo uso dei social, usati come cassa di risonanza per sé stessi e non veramente per comunicare qualcosa di costruttivo. Si semplificano le questioni e, peggio, si polarizzano le opinioni su temi complessi riducendoli a semplici affermazioni o slogan. Di conseguenza, i dibattiti politici diventano superficiali e mancano di contesto, quando va bene, ma molto spesso addirittura portano alla disinformazione o informazioni fuorvianti».
Parlando di cose concrete, qual è la sua visione riguardo al futuro di Lugano e quale realizzazione le sta più a cuore?
«Nessuna città moderna, rivolta al futuro può pensare di avere una sola dimensione. I progetti in corso sono tutti essenziali: Polo congressuale, Polo sportivo, Stazione, aeroporto, Piano Unitario, e altro ancora. Ma questi progetti sono stati ideati oltre venti an-
ni fa e vanno realizzati quanto prima. Ora, dobbiamo immaginare la città fra 20/30 anni e iniziare oggi a pensare ciò di cui la società avrà bisogno domani. Ovviamente oltre a questo, bisogna anche saper dare risposte veloci alle difficoltà contingenti che il cittadino si ritrova ad affrontare quotidianamente, così come implementare condizioni che favoriscano l’arrivo di nuove imprese, la collaborazione con le università ed istituti di ricerca, la creazione di spazi per l’arte e la cultura humus ideale di fermento culturale anche tra i giovani; e ancora, migliorare le infrastrutture della città, come trasporti pubblici efficienti, reti digitali avanzate e spazi urbani e abitativi innovativi e ben progettati, coinvolgendo anche le periferie, fattori che contribuiscono a rendere Lugano più attraente sia per gli investitori, per i turisti e soprattutto per i residenti. Un esercizio non facile, soprattutto se mancano personalità, visioni e se si ragiona nello spazio ristretto di una legislatura».
Nel corso della sua lunga carriera politica lei si è sempre mantenuta coerente rispetto all’idea che il Ticino, e non solo, sconti un deficit di cultura politica, Quali sono a suo giudizio le cause di questa carenza e cosa bisognerebbe fare per colmare questo vuoto?
«Purtroppo, abbiamo una classe politica che disorienta i propri elettori, incapace di dare indicazioni chiare e, per quel mi riguarda, un’idea progressista di società. Ancor più grave, che le agende politiche non hanno quasi più come priorità la Cultura, che sembra ormai scomparsa dai radar dei programmi politici. Una volta
si cresceva all’interno dei partiti, “palestre” in cui si imparava molto a contatto con personalità importanti aiutando i giovani a capire meglio il sistema politico, i diritti civili e la partecipazione democratica. Oggi, i partiti hanno abdicato a questa funzione e chiunque si lanci in politica si sente già “imparato” e quindi non si preoccupa di “conoscere prima di deliberare”, di conoscere il passato per avere una lettura più vera del presente e del futuro. In definitiva, colmare il deficit di cultura politica richiede un impegno collettivo da parte di istituzioni, media, educazione e individui stessi per promuovere una partecipazione informata e responsabile nella vita politica».
Ha annunciato che non si presenterà alle elezioni del prossimo anno £ma che non rinuncerà alla politica. Ci può già annunciare dei progetti che intende portare avanti?
«Lascio la politica attiva perché credo di aver dato molto e come avrete capito, non mi piace più ciò che vedo. In ogni caso, qualsiasi cosa noi facciamo per la collettività è fare politica. Ho molti interessi su cui mi vorrei concertare, oltre al lavoro naturalmente che già mi impegna molto. Sono impegnata in diverse associazioni culturali che mi danno molta soddisfazione (fra cui il Circolo Liberale di Cultura Carlo Battaglini, la Fondazione e il Film Festival Diritti Umani). La ricerca e la volontà di poter avere una società più giusta, sostenibile e attenta al prossimo non mi abbandona mai e lo si può fare anche fuori dalle mura di un parlamento».
“Ora, dobbiamo immaginare la città fra 20/30 anni e iniziare oggi a pensare ciò di cui la società avrà bisogno domani”.
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VIVIAMO IN TEMPI APOCALITTICI, DI DILAGANTE FONDAMENTALISMO, IN CUI NUOVI MILLENARISTI
PREDICANO LA FINE DEL MONDO E L’OPINIONE DOMINANTE GETTA SULLE SPALLE DEGLI INDIVIDUI UN PESANTE FARDELLO DI DIKTAT INQUISITORI.
DI MORENO BERNASCONILA BELLEZZA SALVERÀ IL MONDO?
Analogamente a quelle del millenarismo apocalittico medievale - sorto durante i flagelli della peste nera, di guerre e di catastrofi devastanti - le nuove evidenze morali del tribolato Terzo millennio sentenziano che l’umanità deve pentirsi dei propri peccati se si vuole salvare il mondo dal castigo di Dio. Non il Dio della Cristianità ma quello, oggi egemonico, della filosofia di Baruch Spinoza: ovvero il “Deus sive Natura” (Dio, vale a dire la Natura).
La nuova narrazione diffusa sentenzia che la Dea-Natura si sta vendicando delle nostre colpe e che occorre autoflagellarsi per salvarsi dall’Apocalisse. Nei santuari televisivi vanno in scena riti espiatori durante i
quali c’è chi si abbandona a crisi di pianto per le ferite inferte dai nostri peccati alla Dea Natura. E il mantra dell’estinzione prossima ventura del genere umano, moltiplicato a dismisura e in modo scriteriato dalla catena massmediatica, sta producendo su un numero crescente di individui profondi stati di ansia depressiva. Senza sottovalutare la serietà delle sfide che comportano gli attuali cambiamenti climatici e l’insorgere di nuove guerre anche alle nostre frontiere, non penso che il catastrofismo apocalittico dilagante aiuti a trovare soluzioni responsabili. La paura irrazionale è sempre cattiva consigliera. Contemporaneamente - a fare da controcanto a questa retorica dell’ineluttabile fine del mondo - è andata
vieppiù imponendosi fin nel linguaggio comune la sentenza “la bellezza salverà il mondo”. Il detto va spiegato esattamente, per toglierlo da una vaga approssimazione intuitiva che rischia anch’essa di risolversi in un puro stato emotivo e per aprire ipotesi di speranza e di costruttiva assunzione di responsabilità personali di fronte alle sfide odierne. Il riferimento letterario è il famoso romanzo di Dostojevski, L’idiota , dove si narra dell’innocenza buona del principe Myskin, contro e malgrado un mondo di lupi. Nel romanzo, l’affermazione è tutt’altro che sdolcinata: il contesto è quello della provocazione sarcastica che l’ateo tormentato Ipolit rivolge all’”innocente” Myskin. «È vero, Principe, che una volta avete detto che la “bellezza salverà il mondo”?
Signori - prese a gridare a tutti - il principe afferma che la bellezza salverà il mondo! Ed io affermo che idee così gioconde sono dovute al fatto che in questo momento egli è innamorato. Signori, il principe è innamorato, non appena è arrivato, me ne sono subito convinto. Non arrossite Principe: mi impietosite. Quale bellezza salverà il mondo?».
Il sarcasmo del nichilista Ipolit la dice lunga su quanto l’uomo moderno disprezzi chi non si abbandona al cinismo e coltiva una speranza di possibile redenzione. Un sarcasmo che tuttavia coglie bene il significato etimologico e storico-culturale della nozione di bellezza evocata da Dostojevski. Che non ha nulla a che vedere con un estetismo astratto e irresponsabile. Il termine dell’originale russo, “prekrasnyj ”, indica infatti lo splendore della bellezza e della bontà insieme. Nel libro viene detto che il principe personifica la bellezza e la grandezza d’animo. Il prototipo di questa nozione di “bellezza” è d’altronde la formula ebraica di approvazione pronunciata da Dio nel libro della Creazione nei confronti della sua opera: “E Dio disse che era tôb, tôb me’ od ”. La traduzione comune di questo
brano della Genesi è “Dio vide che era cosa buona/molto buona ”, ma in realtà il termine ebraico significa contemporaneamente “Dio vide che era una cosa bella/molto bella ”. Il bello e il buono sono una cosa sola. Lo spiega Dostojevski stesso illustrando la genesi dell’Idiota: «Da tempo mi tormentava un’idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un’idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest’idea è raffigurare un uomo assolutamente buono. Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d’oggi soprattutto». Difficile, a causa del cinismo e del nichilismo imperanti che irridono la bontà, ma anche perché quest’uomo buono e mite - benché innocente - è fragile, debole, come deboli saranno Zeno Cosini di Svevo e l’Uomo senza qualità di Musil, alla vigilia delle barbarie del Novecento. “Bellezza” è il termine usato da Dostojevski per indicare il manifestarsi della grandezza d’animo, della bontà, malgrado tutte le difficoltà. La stessa bontà insperata, intellettualmente illogica, che sarà protagonista, quasi un secolo dopo l’Idiota , in Vita e Destino di Vassilji Grossmann, il grande romanzo sulla seconda guerra mondiale che denunciò i campi di sterminio nazisti e la barbarie contro gli ebrei e nel contempo i gulag sovietici, i crimini perpetrati dal sistema di potere della Russia comunista che Stalin perfeziona e incarna. La domanda sulla bellezza/bontà e la salvezza del mondo osa sollevare la questione di un possibile riscatto del mondo, della sua liberazione dal male. Ma cosa può la letteratura contro i mali del mondo e le derive del pianeta e per affrontare le sfide complesse di una società che evolve ad un ritmo tecnologico vertiginoso? Il filosofo René Girard e lo scrittore Milan Kundera affermano che la grande letteratura romanzesca occidentale - da Cervantes e Rabelais a Dostojevski, Stendhal e Proust…
- coglie la verità delle cose più delle illusioni romantiche e delle ideologie politiche e scientiste che dominano l’età moderna e postmoderna. In un’epoca amnesica, in cui la letteratura è considerata una merce di svago come un’altra, se non addirittura quantité négligeable , appare assai difficile rompere la cappa di nichilismo e di cinismo dominanti e lasciar affiorare ipotesi di bellezza o di bontà in grado di incidere positivamente sui destini di un mondo confrontato con sfide formidabili, come nuovi conflitti armati fra superpotenze, i cambiamenti climatici, la rivoluzione digitale e l’intelligenza artificiale. Ma se il problema numero uno posto da queste sfide epocali è la coscienza e la responsabilità personale e collettiva, allora la grande letteratura appare uno strumento prezioso e essenziale per poter scegliere fra il bene e il male. In gioco ci sono i destini degli esseri umani e del mondo intero. Un quesito a fortiori fondamentale se si considerano i rischi di quella matematizzazione della realtà che il filosofo Edmund Husserl indica come il pericolo principale dell’evoluzione delle scienze occidentali. Ovvero il divorzio della scienza dal “mondo della vita”: la riduzione del “mondo della vita” - nel quale gli esseri umani e i loro bisogni e diritti essenziali sono centrali e in cui bellezza e bontà possono manifestarsi e incidere in modo determinante - ad un mero, anonimo, modello algebrico.
IL MONDO IDEALE, QUALUNQUE ESSO SIA
«LA DIVERSITÀ VA FACILITATA, INCORAGGIATA»
«IL “CERVELLO” CHE
SE NE VA IO LO PREMIO»
«LA MIA DEBOLEZZA HO DIFFICOLTÀ AD ACCETTARLA»
DI GERARDO SEGAT
L’eccellenza, nelle tue competenze, conoscenze e abilità. L’autenticità, rispetto ai tuoi valori, opinioni, identità e anche desideri, emozioni, fragilità. Il proposito altruistico, il fine ultimo di ciò che fai, che esula da te stesso e i tuoi cari, proiettato su comunità e territorio. A quale di queste tre spinte evolutive del leader desideri rispondere maggiormente in futuro rispetto a quanto già fai oggi? «All’eccellenza, in assoluto. In essa riesci a creare un valore che poi puoi gestire a piacimento. Senza eccellenza il resto perde significato».
Una cosa concreta che puoi fare in merito da subito?
«Identificare per tempo i giovani da valorizzare, da accompagnare ad un ruolo di leadership trasmettendo loro le competenze e gli insegnamenti necessari».
La vera autenticità, la totale e sincera apertura e espressione di sé stessi, fa paura e, quindi, si tende ad adottare comportamenti difensivi di varia natura. Li vedi in te?
“Alla leadership ticinese regalo la curiosità”.
«Io separo e rivendico l’intimità dall’autenticità. Credo che sia nel proprio intimo che una persona riconosca se è autentico o meno, non necessariamente in ciò che fa che, alla fine, deve essere la manifestazione di un’espressione necessaria al proprio ruolo. Il mio “io autentico” non è un luogo che dispongo all’accesso di tutti. Detto questo, ognuno persegue liberamente la possibilità di essere autentico nella sua vita quotidiana per come crede e, sicuramente, dovrebbe cercare di farlo per il proprio bene».
L’autenticità di una persona o dei membri di una comunità ne stimola l’attrattività. In uno scenario di vera autenticità diffusa cosa sarebbe diverso in Ticino?
«Un maggior contributo individuale e, conseguentemente, una maggiore crescita. Ritengo che ciò che manca qui sia questo movimento virtuoso individuale nell’ambire ad evolvere nel proprio livello di autenticità, nonostante il sistema conceda un alto grado di possibilità di farlo. Mancano gli stimoli dentro, a livello personale».
In cosa sei geniale, sovraumano?
«Io? Non ho nessuna genialità particolare. Ho una spiccata capacità nel vedere e gestire il “bicchiere mezzo pieno” piuttosto che “mezzo vuoto” in qualsiasi contesto. Non è però una genialità quanto più un’indole».
In cosa, invece, sei umano, deficitario?
«Sono molto umano nel confrontarmi continuamente con il dubbio, con le diverse alternative. Anche qui, però, non lo vedo come un deficit ma come un’indole. Sicuramente, invece, sono deficitario nella comunicazione, nella condivisione di idee, indirizzi e decisioni con gli altri e nel loro coinvolgimento. Mi viene spesso rimarcato ma a 60 anni ho pochi stimoli a migliorare in questo».
Ti porgo questo specchio. Ci sei tu e la tua immagine riflessa. Se io ti guardassi come stai facendo tu, con i tuoi occhi, cosa vedrei di diverso che da qui fuori non vedo?
«Non te lo direi mai, per tutto l’oro del mondo! Ma certamente la difficoltà a trovare delle risposte a tutto».
Guardandoti allo specchio, cosa non vedi o non vuoi vedere di te?
«Devo pensarci…ciò che non vorrei mai vedere è della debolezza, in tutti i sensi. Ho difficoltà ad accettarla. Riconosco però che è intrinseca in quanto essere umano. Il dubbio è una fragilità nelle scelte e ostentare sicurezza, oltre ad essere un sintomo diffuso, non facilita la soluzione».
Cosa di te ti fa gioire?
«La mia curiosità, assolutamente! Porta l’entusiasmo, l’iniziativa, il fare un sacco di cose».
Cosa di te, invece, ti infastidisce? «L’ozio. Mi infastidisce da matti. È sempre lì, di fianco, in agguato».
Avessi un’ora in più al giorno, cosa faresti? «Leggerei».
Avessi un’ora in meno al giorno, cosa non faresti? «Dormirei un’ora in meno».
Di te, a torto e a ragione, si dice che… «…che non sono un comunicatore. In certi ambiti, legati alla responsabilità della conduzione, a ragione e in altri, nello scambio di idee, messaggi, opinioni, a torto. A ragione secondo la definizione di comunicatore che hanno altri miei colleghi…(sorriso)…mica male, no?».
Il segreto o la paura più grande della tua vita: quale sceglieresti di raccontare alla platea dei tuoi collaboratori e perché non l’altra?
«Questa è una bella domanda. Racconterei la paura, magari troverei
comprensione nella mia vulnerabilità. Ma proprio perché devo scegliere. Non racconterei mai il segreto: il segreto è segreto. E comunque non mi piace far vedere una paura».
Insignificanza, di vita o di operato, solitudine, presente o futura, prigionia, rispetto a qualcuno o qualcosa, incertezza/precarietà di quanto ci circonda, sono le paure sostanziali ricorrenti in un leader. E quelle di Roberto?
«La seconda e la terza no, sono intrinseche in un leader, non puoi averle. Sono combattuto fra la prima e la quarta. Ti dico l’incertezza che ci circonda. Mi porta alla paura di sbagliare, di commettere un errore, che dipende anche dalla possibilità o meno di correggere il tiro».
Il mondo sta andando…
«…in modo quantistico, su tanti binari: ci sono mondi differenti e spero che il mondo mantenga queste diversità perché è la sua vera ricchezza. Se cerchi di omogeneizzare è la morte della specie».
Poche donne al comando, pochi giovani al comando, pochi indipendenti al comando, pochi stranieri al comando, pochi nuovi al comando: che comando é?
«Senza speranza, inefficace. La neutralità, la mancanza di preconcetti porta alla diversità. Io non sono per l’inclusione forzata bensì per la libera non esclusione. La diversità va facilitata, incoraggiata. Se questo scenario è il risultato di un limite culturale allora è un fallimento, se invece è il risultato di una libera scelta va bene. Sono assolutamente convinto che il vero atout di una società sia l’essere multi-tutto perché crea delle dinamiche straordinarie».
Fare il leader, essere il leader, sentirsi il leader, formare il leader, in ordine di importanza secondo te… «Essere, sentirsi, fare, formare».
Fuga e/o mancato rientro dei “cervelli” ticinesi: dove stanno il problema, il lato positivo, l’opportunità e il cambiamento?
«Il “cervello” che se ne va io lo premio perché ha la curiosità di vedere qualcos’altro. Il “cervello” che non rientra è il problema e l’opportunità. Dobbiamo stimolare il rientro e anche l’arrivo di nuovi “cervelli”, migliorando la comunicazione, anche al di fuori dei canali accademici, e le condizioni quadro che agevolano la persona a spostarsi qui».
Il CEO di Airbnb ha recentemente passato 6 mesi da nomade in affitto, il CEO di Starbucks passa intere giornate a servire i clienti dietro al bancone: che messaggio cogli?
«L’importanza di essere vicino ai bisogni del tuo cliente, perché il leader non deve essere soltanto un manager ma anche un professionista, è fondamentale. E, come messaggio e effetto collaterale, la vicinanza anche ai propri dipendenti».
100% delle azioni di Patagonia: i diritti di voto sono di un trust il cui scopo è preservare i valori aziendali, i diritti economici sono di un ente no profit che combatte la crisi climatica e difende la natura. Cosa noti?
«Una libera scelta dell’azionista che ha ritenuto che quella via fosse maggiormente in grado di perpetuare l’azienda e la sua persona».
Nel mondo, su 10, 9 investitori, 7 collaboratori e 6 consumatori scelgono aziende che hanno un comprovato e significativo impatto sociale, riflesso nei valori e nella missione aziendali. Fa riflettere… «Non ci credo neanche morto. Lo trovo molto politically correct».
L’intelligenza artificiale sta gradualmente sconvolgendo il mondo e l’essere umano.
Curiosando, ho chiesto a ChatGPT quali saranno tra 10 anni gli aspetti dell’intelligenza umana che rimarranno insostituibili: secondo te, cosa mi ha risposto?
«La creatività. E la variabilità. Ciò che mi preoccupa è l’appiattimento verso una omogeneizzazione».
Ti provoco un po’: in Ticino (e non solo) soldi uguale successo e possibile cambiamento uguale ostilità. Che conseguenze hanno sul territorio?
«Il primo non è necessariamente una prerogativa del Ticino. Il secondo sì.
La conseguenza è che, invece di avere l’ambizione di creare e migliorare, ci appiattiamo o, addirittura, ci allineiamo verso il basso».
La diversità come “forma mentis”, accolta e valorizzata: a che punto siamo in Ticino?
«È fondamentale, assolutamente. Ognuno la dovrebbe far propria, per il successo suo e della comunità. Secondo me per comodità la gente non la cerca, non osa, non ha il coraggio. La diversità è scomoda, implica un impegno e per indole la si rifugge. Molto è stato fatto, molto rimane da fare».
Chiudi per favore gli occhi e torna a quel momento in cui hai pianto a dirotto e visualizzalo: quelle lacrime, potessero parlare, cosa ti direbbero?
«È la vita».
Tieni gli occhi chiusi…ora immagina che la tua anima spicchi il volo: dove si posa?
«Sta costantemente in volo e talvolta scende, prende, raccoglie qualcosa, ritorna in volo, va da un’altra parte, poi si posa di nuovo, raccoglie. In questo momento il mio fantasticare è che la mia anima giri il più possibile e raccolga esperienze. La prima tappa è un
altopiano con un sacco di verde attorno e una grande fattoria».
Ti dono una bacchetta magica prepagata per uno specifico desiderio: quale nuova qualità regali alla leadership ticinese di tutti gli ambiti, non solo quello politico, che oggi non vedi? I tuoi predecessori hanno già detto lo spirito di team, la fierezza del successo altrui, la fiducia nella capacità collettiva, l’apertura mentale, il coraggio, la visione, l’autenticità e l’assertività.
«Alla leadership ticinese regalo la curiosità. La voglia di vedere cose nuove e accettarle. Ci mancano visionari, con la capacità di saper interpretare il presente e guardare oltre il momento, il proprio interesse, il termine del proprio mandato, la propria vita. Il visionario si nutre di curiosità e mi affascina».
Scegliti il titolo dell’intervista…
«Il mondo ideale, qualunque esso sia».
Che valore ha avuto per te questa chiacchierata?
«Molto interessante. Mi hai dato la possibilità di dire ciò che vedo e che mi piacerebbe. Sarà arricchente vederla trascritta, non solo semplici pensieri. Faccio fatica a rileggermi o anche riguardarmi quando vado in televisione».
Riprendi per favore lo specchio. In conclusione, cosa sussurri nell’orecchio della tua immagine riflessa?
«Fai il bravo».
E in quello di chi ti sta leggendo in questo istante?
«Ascolta».
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LA STAGIONE ARTISTICA 2023/24
DEL LAC, INTITOLATA IL LIBRO DEI SOGNI, DISPIEGA IL SUO PERCORSO
TRA OPERA LIRICA, TEATRO, DANZA, MUSICA E MUSICAL, FESTIVAL, RESIDENZE E COLLABORAZIONI, PROPONENDO UN CALENDARIO DI SPETTACOLI IN GRADO DI SODDISFARE
IL PUBBLICO PIÙ ESIGENTE.
Trascorso il periodo estivo, la stagione 2023/24 del LAC si apre il 4 settembre nel segno della produzione con il debutto dell’opera lirica “Anna Bolena” di Gaetano Donizetti, diretta da Diego Fasolis con I Barocchisti e il Coro della Radiotelevisione svizzera e per la regia di Carmelo Rifici, cui seguiranno tre repliche e una tournée italiana. Con questo spettacolo molto atteso, il LAC torna a produrre un’opera lirica e lo fa scegliendo “Anna Bolena”, tragedia lirica che rappresenta una delle vette più alte della produzione operistica di Donizetti e dell’opera romantica in generale. Ispirata al dramma “Henri VIII” di Marie-Joseph Blaise de Chénier, debuttò a Milano nel 1830 ottenendo uno straordinario successo. Donizetti la compone di getto, in soli
UN AUTUNNO RICCO DI COLPI DI SCENA
trenta giorni, per il soprano che ne fu protagonista, Giuditta Pasta, e dal tenore Giovanni Battista Rubini, entrambi vere e proprie leggende dell’opera lirica di inizio Ottocento. Nonostante il successo iniziale, l’opera esce gradualmente dal repertorio fino a quando, nel 1957 al Teatro alla Scala, Maria Callas le regala una vera e propria seconda vita grazie ad una memorabile interpretazione, nell’allestimento diretto da Gianandrea Gavazzeni con la regia di Luchino Visconti. Un appuntamento della stagione assolutamente da non perdere è il 13 e 14 dicembre, quando il regista Robert Wilson – tra gli artisti visivi e teatrali più importanti del mondo – torna a collaborare con la coreografa statunitense Lucinda Childs per “Relative Calm”, spet-
tacolo multimediale sulle musiche di Jon Gibson, John Adams e sulla celebre Pulcinella Suite di Igor Stravinsky. Per i 40 anni della Compagnia Finzi Pasca, che in stagione presenta tre spettacoli amati dal pubblico – “Luna Park” dal 15 al 17 settembre, “Icaro” il 16 e 17 dicembre e “Bianco su Bianco” il 23 e 24 febbraio, che raccontano momenti diversi di un viaggio lungo quarant’anni – il LAC ha scelto di omaggiare la compagnia residente con un’installazione fotografica nella Hall del centro culturale, e con serate di approfondimento con i fondatori. Un’occasione di incontro con un’eccellenza nel panorama artistico che, partendo da Lugano, ha portato la propria visione e la propria poetica in tutto il mondo. Nel corso della stagione saranno presentati alcuni focus tematici in grado di accomunare spettacoli e progetti con nature e visioni diverse, per offrire uno sguardo artistico il più possibile ampio e profondo sulla realtà e sul mondo. Attraverso gli spettacoli, si compongono e si snodano fil rouge, costellati da attività di mediazione culturale. Così, per esempio, il focus “Il libro dei sogni” evoca la voce dell’inconscio, materializzandolo in visioni che gli artisti rielaborano: un bacino di immagini e forme di una realtà altra
che, seppure impalpabile, prende vita e soppianta quella vera. Il focus allude alla forza creativa del mondo onirico, luogo di genesi di forme di comunicazione inattese e di nuovi linguaggi che si contrappongono ai codici conformi e cristallizzati della contemporaneità dei social media. Gli spettacoli del Focus talvolta sfiorano il tema, evocando meccanismi tipici della narrazione onirica, per ribaltare sorprendentemente la realtà, come nella commedia “La pulce nell’orecchio” di Georges Feydeau diretta da Carmelo Rifici; altre volte vi si addentrano totalmente come nelle atmosfere alienate di “The City” di Martin Crimp portato in scena dal regista Jacopo Gassmann e
nell’abisso psicologico di “En Abyme” della regista Fabiana Iacozzilli. Se il sogno è uno specchio deformato in cui trovare linguaggi altrimenti inaccessibili, la realtà, nel suo racconto storico, si afferma quale necessità per riprendere gli avvenimenti del passato e renderli indelebili per immaginare il futuro. La storia torna dunque in scena con il focus “Nell’occhio della storia”, in un’epoca in cui le notizie e i fatti si susseguono a ritmo frenetico, favorendo l’alienazione. Nasce da qui il progetto “Ottantanove” di Compagnia Frosini/ Timpano, in scena al Teatro Foce il 22 novembre, che mette in relazione la storia alla contemporaneità, paragonando la crisi attuale con la Rivoluzione francese e con il 1989. Più intimo lo spettacolo “De Gasperi: l’Europa brucia” di Carmelo Rifici che, partendo da un racconto individuale, traccia il suo rapporto con la storia italiana e con gli altri protagonisti dell’epoca.
Uno sguardo dal ponte
Ph: © Yasuko Kageyama 02
Cirano deve morire
Ph: © Filippo Manzini 03
Romeo e Giulietta
Les Ballets de Monte Carlo
Ph: © Alice Blangero
GLI APPUNTAMENTI DELL’AUTUNNO-INVERNO
SETTEMBRE 2023
04-10.09
Lu, Me, Ve, ore 19:30
Do, ore 15:00
LAC, Sala Teatro
Anna Bolena
Gaetano Donizetti
Diego Fasolis, I Barocchisti
Carmelo Rifici
15-17.09
Ve, dalle ore 17:00 alle 22:00
Sa, Do, dalle ore 13:30 alle 22:00
LAC, Diversi spazi
Luna Park – Come un giro in giostra
Compagnia Finzi Pasca
OTTOBRE 2023
07-08.10
Sa, ore 20:30
LAC, Palco Sala Teatro
Alcune cose da mettere in ordine
Rubidori Manshaft
nell’ambito del FIT Festival 2023
22.10
Do, ore 18:00
LAC, Palco Sala Teatro
En Abyme
Tolja Djokovic, Fabiana Iacozzilli
24-25.10
Ma, Me, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
La locandiera
Carlo Goldoni, Antonio Latella
NOVEMBRE 2023
07-08.11
Ma, Me, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
La pulce nell’orecchio
Georges Feydeau, Carmelo Rifici, Tindaro Granata
10.11
Ve, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
Paolo Fresu Devil Quartet in concerto
11.11
Sa, ore 20:30
Teatro Foce
È così che tutto comincia
Mariangela Granelli, Fabrizio Montecchi
14-15.11
Ma, Me, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
Uno sguardo dal ponte
Arthur Miller, Massimo Popolizio
21—22.11
Ma, Me, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
Les Ballets de Monte-Carlo
Romeo e Giulietta
Jean-Christophe Maillot
22.11
Me, ore 20:30
Teatro Foce
Ottantanove
Compagnia Frosini/Timpano
24-26.11
Ve, Sa, ore 20:30
Do, ore 18:00
Teatro Foce
Amor fugge restando (Loving Kills)
Anahì Traversi, Collettivo Treppenwitz
29-30.11
Me, Gio ore 20:30
Lac, Sala Teatro
Peter Pan Il Musical
Edoardo Bennato, Giò Di Tonno
DICEMBRE 2023
02.12
Sa, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
PFM canta De André – Anniversary
09-10.12
Sa, ore 20:30
Do, ore 18:00
LAC, Sala Teatro
Zio Vanja
Progetto Čechov seconda tappa
Anton Cechov, Leonardo Lidi
13-14.12
Me, Gio, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
Robert Wilson, Lucinda Childs
Relative Calm
16-17.12
Sa, ore 20:30
Do, ore 18:00
LAC, Sala Teatro
Icaro
Compagnia Finzi Pasca
20-21.12
Me, Gio, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
Diari d’amore
Natalia Ginzburg, Nanni Moretti
21.12
Gio, ore 20:30
Teatro Foce
Personne, chroniques d’une jeunesse
Ugo Fiore, Livia Rossi
22.12
Ve, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
Virginia State Gospel Choir
31.12
Do, ore 18:00
LAC, Sala Teatro
Concerto di San Silvestro
Orchestra della Svizzera italiana
Krzysztof Urbański, direttore
Kian Soltani, violoncello
Scopri la stagione del LAC su www.luganolac.ch
ETIENNE RAYMOND SOTTOLINEA COME ANCHE IL PROGRAMMA
2023/24 DI LUGANO MUSICA SEGNI
UN’ULTERIORE TAPPA DEL PERCORSO MUSICALE E CULTURALE INIZIATO
UNA DECINA DI ANNI OR SONO SOTTO LA SUA DIREZIONE ARTISTICA.
Il viaggio nella storia della musica pone al centro di questa nona stagione di LuganoMusica due colossi del calibro di Bach e Beethoven. Quali grandi appuntamenti sono previsti?
«Vorrei subito premettere che la stagione 23/24 si inaugura il 21 settembre e prosegue fino al 24 giugno dell’anno prossimo proponendo un calendario di oltre cinquanta appuntamenti tra concerti sinfonici, da camera, récitals, rassegne dedicate, incontri di approfondimento e musica contemporanea.
In effetti, la programmazione di quest’anno, che intreccia alcune linee tematiche e di contenuto, creando relazioni fertili e virtuose, si incentra sulla presenza di due eccezionali musicisti
UNA STAGIONE TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
quali Bach e Beethoven, le cui opere si ritrovano in diciassette concerti e otto conferenze. La bellezza del Barocco trova spazio inoltre in tanti appuntamenti con un vertice assoluto in The Fairy Queen con il debutto al LAC di uno dei più apprezzati gruppi europei di prassi storicamente informata, Les Arts Florissants diretti da William Christie, in uno spettacolo ideato dal coreografo Mourad Merzouki».
La musica sinfonica si alimenta grazie alla proposta di grandi orchestre che tradizionalmente costituiscono un punto di Forza di LuganoMusica...
«Assolutamente sì. Il programma sinfonico unisce graditissimi ritorni (l’Orchestra Mozart con Daniele Gatti, la European Philharmonic of Switzerland con Charles Dutoit, la Filarmonica della Scala con Riccardo Chailly, la Luzerner Sinfonieorchester con Michael Sanderling, la Bayerisches Staatsorchester con Vladimir Jurovskij) a importanti debutti: quello della Kammerorchester Basel con Jonathan Cohen e quello di
uno dei massimi direttori contemporanei, Sir Simon Rattle, assieme alla Chamber Orchestra of Europe».
Particolarmente qualificata anche i nomi dei solisti ospiti…
«Grandi interpreti come Martha Argerich, Sir András Schiff, Rudolf Buchbinder, Grigorij Sokolov, Emanuel Ax, Leif Ove Andsnes, Antonio Ballista e Martin Helmchen, non hanno davvero bisogno di presentazione. Accanto a loro, due giovani dal talento prodigioso (Yoav Levanon e Alexandra Dovgan) ma anche il multiforme estro di una delle formazioni cameristiche più insolite: il Gershwin Piano Quartet».
E per quanto riguarda la musica moderna e contemporanea, quali novità si annunciano?
«Quest’anno festeggiamo due significative ricorrenze: il centenario della nascita di György Ligeti (in un ciclo che
vedrà di nuovo in primo piano il LuganoMusica Ensemble, ma anche la partecipazione dell’Ensemble 900 presente del Conservatorio della Svizzera italiana) e gli 80 anni del compositore luganese Francesco Hoch, dedicatario di un concerto monografico. La contemporaneità musicale è ancora una volta affidata alle rassegne EAR (Electro Acoustic Room) ed Early Night Modern (in collaborazione con Oggimusica), così come sono unici nel programma i weekend con i quartetti d’archi e l’incontro con giovani e talentuosi interpreti della rassegna Nuova Generazione».
TUTTI I GRANDI CONCERTI DEL 2023
La stagione si apre giovedì 21 settembre con Daniele Gatti alla guida dell’Orchestra Mozart .: in programma la Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore, op. 60 e la n. 5 in do minore, op. 67.
Mercoledì 11 ottobre la Sala Teatro ospita lo spettacolo The Fairy Queen (la regina delle fate), un brillante intermezzo teatrale ispirato al Sogno di una notte di mezza estate , messo in scena da uno dei coreografi più dirompenti del momento, Mourad Merzouki, con la direzione musicale di William Christie alla testa di Les Arts Florissants e Le Jardin des Voix , tra i migliori gruppi nell’esecuzione di musica barocca.
Martedì 17 ottobre torna a Lugano Ton Koopman, alla testa dell’Amsterdam Baroque Orchestra con un programma tutto bachiano che include l’Offerta musicale , la Sinfonia dalla Cantata in si minore, BWV 209 “Non sa che sia dolore” e il Concerto in do minore per 2 clavicembali e orchestra, BWV 1062
Lunedì 23 ottobre LuganoMusica rende omaggio al compositore svizzero ticinese Francesco Hoch con l’OSI diretta da Andrea Molino, le voci di Massimiliano Pascucci e Barbara Zanichelli e con Andrej Baranov al violino, Sebastian Braun al violoncello, Igor’ Andreev al pianoforte e Luciano Zampar alle percussioni per l’esecuzione di prime assolute e prime in Svizzera con video e azioni sceniche.
Un appuntamento da non perdere è quello di venerdì 17 novembre: Charles Dutoit e Martha Argerich tornano insieme con la European Philharmonic of Switzerland per un programma che include Le tombeau de Couperin di Ravel, il Concerto per pianoforte e orchestra in la minore, op. 54 di Schumann e la Sinfonia n. 7 in la maggiore, op. 92 di Beethoven.
Venerdì 24 novembre la Sala Teatro ospita l’omaggio a Ligeti con l’ Ensemble900 del Conservatorio della Svizzera italiana diretto da Francesco Angelico, Liga Liedskalnina soprano, Elisa Prosperi soprano, Richard Rittelmann baritono per l’esecuzione di A bölcsoto a sírig (Dalla culla alla tomba) e Aventures et Nouvelles aventures
BALLA ‘ 12 DORAZIO ‘60. DOVE LA LUCE
LA MOSTRA (DAL 24 SETTEMBRE AL 14 GENNAIO) È LA STORIA
DI UNA STRAORDINARIA AFFINITÀ
ELETTIVA, QUELLA CHE UNÌ
DUE GRANDI MAESTRI DELL’ARTE
ITALIANA DEL NOVECENTO:
GIACOMO BALLA (1871-1958)
E PIERO DORAZIO (1927-2005).
Il titolo della grande mostra “Balla ‘12 Dorazio ‘60. Dove la luce” nasce dalla suggestione di una poesia di Giuseppe Ungaretti, che si accompagna ai versi contenuti nel volume La luce. Poesie 1914-1961 (Erker Presse, San Gallo, 1971) illustrato da tredici litografie a colori di Piero Dorazio nel 1971. Com’è noto il poeta fu amico di Dorazio, ma anche grande ammiratore di Balla. L’allestimento della mostra, progettato da Mario Botta, sottolinea le differenze e le affinità dei due linguaggi artistici attraverso un’idea nuova dello spazio espositivo, ridisegnato proprio per accogliere e valorizzare al massimo queste opere: i lavori di Balla saranno sospesi in nicchie bianche, in uno spazio vuoto che li renderà preziosissimi, quelli di Dorazio, di grandi dimensioni, saranno invece presentati su ampie superfici nere, che permetteranno una efficace fruizione e soprattutto un rimando percettivo e visivo continuo alle opere di Balla. Come suggerito dal titolo, il tema del confronto tra i due artisti è la luce, quintessenza della vita, ma anche sfida perenne per gli artisti che con essa, da sempre, hanno dovuto misurare le proprie capacità espressive.
È un racconto visivo, nato da un’idea di Danna Olgiati subito condivisa con Gabriella Belli alla quale è stata affidata la curatela della mostra, 47 capolavori che si concentrano su due sole date: il 1912, anno in cui nascono le Compenetrazioni iridescenti di Balla ed il 1960 per le ben note Trame di Dorazio. «Quasi cinquant’anni passano tra le une e le altre, eppure ciò che seduce e ancora ci interroga di quel fenomeno luminoso, di cui queste opere sono interpreti e tributi,
è il mistero che al di là di ogni verità scientifica sentiamo in tralice calamitare il nostro sguardo dentro le superfici» spiega Gabriella Belli, curatrice della mostra.
Le Compenetrazioni iridescenti rappresentano uno dei capitoli più interessanti dell’esperienza artistica di Balla, proprio per quel loro presentarsi come precocissime sperimentazioni astratto-geometriche. Le opere nascono nel volgere di pochi mesi – tra il luglio e il dicembre del 1912 – durante un soggiorno dell’artista a Düsseldorf, ospite nella villa della famiglia L öwenstein. Invitato a decorare lo studio della bella casa affacciata sul Reno, Balla dedica parte del suo tempo a sperimentare, quasi in segreto (di questi lavori se ne avrà piena coscienza solo verso gli anni Cinquanta), una nuova idea di pittura, che nasce certamente dall’osservazione della natura e dei fenomeni luministici ma che trova di fatto svolgimento in una pittura di inediti reticoli a pattern triangolari, che formano sequenze autonome, articolate in composizioni astratto-geometriche davvero anticipatrici per l’epoca in cui Balla le dipinge. Su fogli di un semplice block-notes l’artista si esercita sulla possibilità di catturare i misteri dell’iride e la complessità delle rifrazioni luminose: con rigore scientifico – matite colorate, tempera e acquarelli alla mano – disegna un repertorio di innumerevoli possibili varianti di geometrie triangolari, a nastro o sferiche, di fatto la rappresentazione dell’“anatomia” della luce. È un esercizio capace di catturarne “l’invisibile” e liberare gli atomi finissimi dei timbri dell’arcobaleno: dal rosso all’arancio, al giallo, al verde, all’azzurro, all’indaco e violetto.
Le Compenetrazioni iridescenti sono piccoli capolavori, dipinti su carta, alcuni su tela, rarissimi per numero e qualità, e, indiscutibilmente, rappresentano una tale novità nella ricerca di Balla da meritargli il titolo di antesignano dell’astrattismo.
In mostra sono esposti oltre venti esemplari, provenienti da prestigiose collezioni private e museali, come la Galleria d’arte Moderna di Torino e il Mart di Trento e Rovereto.
Alcune Compenetrazioni testimoniano il passaggio dai disegni del taccuino alle maggiori dimensioni: qui l’esercizio e la sperimentazione confluiscono in una composizione che vive ancor più di vita autonoma, a cui è data dignità di quadro anche grazie alle cornici, spesso disegnate dal pittore. Tra le opere esposte, preziosissima la cartolina indirizzata da Balla all’amico e allievo Gino Galli nel novembre 1912, che attesta la prima notizia della nuova ricerca sulle Compenetrazioni: sul recto un tipo di iride a sequenza cromatica in cui il pattern decisivo è il triangolo, «figura geometrica che da alcuni secoli viene utilizzata per descrivere la scomposizione dei fasci luminosi, ma che in Balla attiva anche uno speciale simbolismo, non estraneo da argomentazioni ermetiche ed esoteriche» spiega Gabriella Belli e precisa, a proposito dell’approccio di Balla nelle Compenetrazioni: «pur in debito con l’osservazione della natura – come la critica ha sempre rilevato –ogni suo esercizio non sarà mai fredda e calcolata applicazione di teorie scientifiche, ma piuttosto un affondo nella natura fino a coglierne i nessi più nascosti e misteriosi».
Da questo straordinario nucleo di lavori trae stimolo e suggestione, a quasi cinquant’anni di distanza, il giovane Piero Dorazio, tra i primi a comprendere la novità degli studi di Balla. Le sue grandi tele, note con il titolo Trame e dipinte tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, fitte di materia-luce e costruite con
linee incrociate irregolari, ombre e luci che occhieggiano tra i triangoli del pattern della trama, ribadiscono quanto la sua sperimentazione sia vicina a quella di Giacomo Balla.
È una tessitura, quella delle Trame , risultante da un fitto reticolo di lineecolore verticali, orizzontali e diagonali, tratti eseguiti con mano leggera, secondo un registro di colori primari e complementari nelle combinazioni dell’iride e tra loro in stretta in successione: creano nell’occhio la sensazione di una linea, di fatto inesistente perché frutto di una correzione ottica. Il ciclo – di cui in mostra sono presenti oltre venti esemplari, realizzati tra il 1959 e il 1963 – è ricco di molte varianti e cambiamenti, principalmente legati al grado di luminosità del colore, alle interferenze percettive tra fondo e superficie e, anche, alla relazione spazio-tempo. «Nell’improvviso “zampillare” di un abbaglio luminoso, che fuoriesce dagli interstizi che si formano all’incrocio delle linee, tra filamento e filamento, allo sconfinamento del triangolo che lì si forma (eloquente vicinanza al pattern di Balla), si registra nella tessitura di questi quadri un effetto straordinario, come di verità rivelata, che si fa strada attraverso la materia raffinatissima, stesa strato dopo strato» sottolinea Gabriella Belli Molto significativi, in questo senso, quei lavori in cui il reticolo si spezza, si interrompe, cambia di netto registro cromatico, come in Time Blind (1963), o ancora in Tenera mano (1963): qui la “smagliatura” della trama mostra la struttura interna del quadro evidenziando la tecnica d’esecuzione e diventa, come suggerisce Dorazio stesso, luogo di «una illuminazione imprevista della coscienza, un modo di visualizzare l’attimo fuggente».
Tra i diversi punti di contatto tra Dorazio e Balla è curioso sottolineare che la sperimentazione, rispettivamente delle Trame e delle Compenetrazioni , occupa una parentesi temporale brevissima nel percorso di tutti e due gli
artisti. Eppure, nella prospettiva di una continuità della linea dell’arte moderna italiana tra avanguardie storiche e pittura del Secondo dopoguerra, non c’è dubbio che la contiguità davvero speciale di queste esperienze rimane davvero un tassello di fondamentale importanza.
In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo ampiamente illustrato, edito da Mousse-Milano, con testi di Gabriella Belli, Francesco Tedeschi, autore del Catalogo Ragionato di Piero Dorazio, e Riccardo Passoni, direttore della GAM di Torino, dove sono conservati i fogli più importanti di Giacomo Balla.
01
Giacomo Balla
Compenetrazione iridescente n°1
1912
Matita, olio e pastello a cera su carta 99 x 59
Palazzo Maffei, Casa Museo, Verona © 2023, ProLitteris, Zurich
02
Piero Dorazio
Allo scoperto
1963
Olio su tela 162 x 114 cm
Pinacoteca “Corrado Giaquinto”, Bari © 2023, ProLitteris, Zurich
03
Giacomo Balla
Compenetrazioni Iridescenti (studio)
1912/1913
Acquarello su carta, foglio dal taccuino di Düsseldorf
12.5 x 17.7 cm
Collezione Gian Enzo Sperone
© 2023, ProLitteris, Zurich
“DA ALBRECHT DÜRER A ANDY WARHOL. CAPOLAVORI DALLA GRAPHISCHE SAMMLUNG ETH ZÜRICH” È IL TITOLO DELLA
MOSTRA CHE IL MUSEO D’ARTE DELLA SVIZZERA ITALIANA
PROPONE DAL 10 SETTEMBRE
2023 AL 7 GENNAIO 2024.
01
Egon Schiele
Sitzende Frau, Rückenansicht (Donna seduta, vista da tergo)
1917
Grafite e gouache
Graphische Sammlung ETH Zürich
02
Niccolò Boldrini
Caricatura della copia del Laocoonte ca. 1540–1545
Xilografia
Graphische Sammlung ETH Zürich
03
Albrecht Dürer Rhinocerus (Il rinoceronte) 1515
Xilografia e stampa tipografica
Graphische Sammlung ETH Zürich
04
Andy Warhol
Campbell’s Soup – Cream of Mushroom Da Campbell’s Soup I 1968
Serigrafia
Graphische Sammlung ETH Zürich © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. / 2023, ProLitteris, Zurich
A TU PER TU CON SECOLI DI STORIA DELL’ARTE
«La Graphische Sammlung ETH
Zürich, fondata nel 1867 come Collezione universitaria a scopo di studio e insegnamento, è una delle istituzioni svizzere più importanti per le stampe e i disegni dal XV secolo ai giorni nostri. Ogni volta che la visito, rimango molto colpito dalla qualità e dall›attualità delle opere. Sono quindi molto felice del fatto che diversi capolavori di questa straordinaria collezione possano essere presentati per la prima volta ad un vasto pubblico a Lugano» ha dichiarato Joël Mesot, Presidente di ETH Zürich.
Con questa mostra Il MASI Lugano offre dunque al pubblico l’occasione di scoprire 300 capolavori provenienti da una delle più importanti collezioni sviz-
zere. Tecniche, motivi, stili e concezioni dell’arte nei secoli si susseguono in un percorso cronologico, in cui le opere di esponenti di spicco della storia dell’arte europea – da Albrecht Dürer a Rembrandt van Rijn da Francisco de Goya a Maria Sibylla Merian, Pablo Picasso e Edvard Munch – sono presentate accanto ai lavori di artiste e artisti viventi come John M Armleder, Olivier Mosset, Candida Höfer, Susan Hefuna, Shirana Shahbazi o Christiane Baumgartner. Da questo raro ed eccezionale confronto tra gli antichi maestri e le creazioni più contemporanee emergono connessioni inaspettate e sorprendenti: temi come il processo di creazione dell’opera d’arte, il rapporto tra copia e originale, la trasmissione di motivi e iconografie, ma anche la collaborazione
tra professionalità diverse in campo artistico attraversano la storia della grafica fin dalla sua nascita e toccano aspetti oggi ancora attuali. Oltre a mettere in luce l’ampio spettro delle tecniche grafiche - dalla xilografia all’incisione a bulino fino all’acquaforte e alla serigrafia –la mostra presenta anche disegni, fotografie e multipli. Il progetto espositivo propone inoltre informazioni e curiosità sulle origini, le funzioni e l’importanza delle opere attraverso i secoli. Il percorso si apre con una grande parete su cui, secondo lo “stile Pietroburgo”, sono appesi autoritratti o ritratti di artiste e artisti. In questa suggestiva panoramica, che abbraccia epoche diverse, chi visita la mostra si trova a tu per tu con secoli di storia dell’arte: dallo sguardo intenso dell’acquaforte di Rembrandt nell’autoritratto con la moglie Saskia, a quelli più celebrativi di Anton van Dyck o Maria Sibylla Merian; dalle fotografie autoritratto in bianco e nero di Urs Lüthi o di Fischli/ Weiss all’autoritratto sintetico, di poche linee, di Max von Moos o, ancora, alla semplice bocca di Meret Oppenheim nell’incisione di Markus Raetz, solo per citarne alcuni. La mostra prosegue con la presentazio -
ne di opere storiche della Collezione dalla fine del XV secolo ai giorni nostri, secondo un ordinamento cronologico. In un momento in cui la fotografia non era ancora stata inventata, dal XVI secolo la cosiddetta “incisione di traduzione”, che riproduceva dipinti e opere d’arte, era un mezzo fondamentale per far conoscere i capolavori ad un ampio pubblico. Capolavori che, attraverso la stampa, venivano anche reinterpretati: in mostra, la Caricatura della copia del Laocoonte di Niccolò Boldrini è un esempio di come una stampa veneziana del XVI secolo potesse adattare un motivo antico, trasformandolo in un’immagine nuova e irriverente: le figure antiche sono state infatti sostituite con delle scimmie. La stampa veniva impiegata anche come strumento di rappresentazione scientifica e naturalistica, come testimonia in mostra la nota xilografia Rhinocerus di Albrecht Dürer. Nonostante l’artista non avesse mai visto l’esotico animale, ne fece una raffigurazione che a lungo venne considerata realistica e quindi ristampata in più edizioni. Nasce dall’attenta osservazione degli insetti del Suriname in Sud America il volume
Metamorphosis Insectorum Surinamensium pubblicato nel 1705 da Maria Sibylla Merian. Imprenditrice e insegnante, Merian era annoverata tra i maggiori studiosi di insetti del suo tempo e fu, tra l’altro, anche la prima artista a ritrarre i diversi stadi di sviluppo di un insetto, insieme alle piante che fungevano da suo nutrimento. Grazie all’ampio respiro cronologico della mostra è possibile osservare la trasmissione delle tecniche incisorie nel tempo, ma anche i diversi metodi di lavoro delle artiste e degli artisti. In un grande maestro come Rembrandt questo aspetto è evidente nelle due versioni dell’incisione Ecce Homo, da cui emerge come l’artista ritoccasse e perfezionasse le sue opere di continuo. Questo era possibile anche grazie alla tecnica della puntasecca, che permetteva di incidere la lastra con uno strumento d’acciaio a forma di ago appuntito, manovrato liberamente proprio come fosse una matita. Nel tempo, la tecnica storica della puntasecca verrà spesso ripresa e rivisitata, per esempio da un’artista contemporanea come Miriam Cahn, che nella sua serie soldaten, frauen + tiere del 1995 interviene direttamente sulla lastra con guanti ricoperti di carta smerigliata, creando con i movimenti della mano visi, sguardi e fisionomie di grande forza espressiva. La trasmissione di soggetti iconografici nel corso dei secoli ricorre in tantissimi esempi, e giunge fino alle epoche più recenti, come nelle drammatiche rappresentazioni della corrida del 1816 di Francisco de Goya, tema ripreso nelle svelte figure di Pablo Picasso nella sua acquatinta Salto con la Garrocha (Salto con la picca) dalla serie La tauromachia e, quindi, in maniera più plastica e stilizzata nella xilografia su tessuto di cotone di Bernhard Luginbühl. Anche la rappresentazione della figura e quindi del corpo è un tema che emerge, nel suo sviluppo, attraverso tutta la mostra, particolarmente condensato al volgere del XX secolo negli espressionisti, nelle stampe di Edvard Munch e Käthe
Kollwitz, e nei disegni in filigrana di Egon Schiele e Ferdinand Hodler. Portano invece nelle pieghe più intime della relazione uomo - donna le xilografie della serie Intimités (1891) di Félix Vallotton. Questo lavoro è un esempio interessante dell’evoluzione della diffusione delle stampe d’arte, che vede, alla fine dell’Ottocento, l’introduzione dell’edizione limitata, un modello commerciale di successo. Nel caso della serie di Vallotton, per esempio, dopo aver terminato il processo di stampa, tutte le matrici di legno utilizzate dall’artista furono tagliate in piccole parti e stampate su un foglio aggiuntivo per dare all’acquirente la certezza che non venissero realizzate ulteriori edizioni. Diversi esempi in mostra testimoniano l’evoluzione della stampa anche come grafica d’autore nel secondo Novecento, come la serie di dittici composti da immagine e testo realizzati nel 1999 dell’artista Louise Bourge -
ois. Attraverso la domanda What is the shape of this problem?, posta sul frontespizio, l’artista stimola il ragionamento di chi osserva mediante risposte e contro domande possibili, cercando di dare una forma visiva alle emozioni. Nelle suggestive risografie dal tocco vintage Camping The Two Shirana Shahbazi indaga invece il genere classico della fotografia di viaggio, tralasciando il carattere documentario per catturare momenti passeggeri di situazioni quotidiane. Anche l’immagine della Campbell’s Soup di Andy Warhol nasceva da un’ispirazione tratta dalla vita quotidiana. Emblema della cultura pop e della pop art, la lattina bianca e rossa della zuppa in lattina più famosa della storia dell’arte è immortalata, in mostra, in una serigrafia dalla nota serie realizzata da Warhol nel 1968. La mostra è a cura di Linda Schädler, Direttrice della Graphische Sammlung ETH Zürich. In occasione della mo -
PAGANI & MANTEGAZZA
stra verrà pubblicato un catalogo in tre edizioni separate (italiano, inglese e tedesco) edito da Scheidegger&Spiess e Edizioni Casagrande.
Inizia la stagione…
21.09.2023
Beethoven e le Sinfonie: bellezza e rivelazione
Orchestra Mozart, Daniele Gatti direttore
11.10.2023
The Fairy Queen: La Regina delle fate diventa un sogno
Les Arts Florissants, Le Jardin des Voix
William Christie direttore, Mourad Merzouki regia e coreografia
17.10.2023
Bach monumentale: elogio della bellezza
Ton Koopman con Membri dell’Amsterdam Baroque Orchestra
12.11.2023
La nostra sfida è da virtuosi
Frank Peter Zimmermann violino, Martin Helmchen pianoforte
17.11.2023
Argerich e Dutoit: apoteosi dell’arte
European Philharmonic of Switzerland
Charles Dutoit direttore, Martha Argerich pianoforte
24.11.2023
Una odissea nello spazio: Ligeti genio del ‘900
Ensemble900 del Conservatorio della Svizzera italiana
Francesco Angelico direttore, Solisti
03.12.2023
Quattro pianoforti per sognare
Gershwin Piano Quartet
06.12.2023
Ogni nota é una scoperta
Sir András Schiff pianoforte
UN LAGO DI RICORDI
LA NUOVA SERIE DI OPERE DI THOMAS HUBER PRESENTATA
NELLA MOSTRA “THOMAS HUBER.
LAGO MAGGIORE”, IN PROGRAMMA
NELLA SEDE DEL LAC DALL’8
OTTOBRE AL 28 GENNAIO 2024
NASCE DALL’ESIGENZA DI UN HEIMKEHR, UN RITORNO A CASA, AI PAESAGGI DELLA SVIZZERA.
Dal 2021 l’artista, che vive a Berlino, trascorre lunghi periodi dell’anno in un piccolo villaggio sul confine italo svizzero. Come in un diario visivo, ogni giorno Huber dipinge e disegna al mattino, a mezzogiorno o alla sera, ciò che vede dalle finestre del suo studio. L’impagabile vista sul lago ha ispirato le diverse vedute in mostra, variazioni potenzialmente infinite di uno stesso paesaggio in cui monti, acqua, cielo e luce sono attraversati dal ritmo naturale delle stagioni e del trascorrere del giorno. Pur mantenendo i colori vivaci e le forme ben definite tipiche della sua opera, i grandi oli su tela non hanno più confini; rompono con il mondo pittorico precedente dell’artista - composto da architetture quasi irreali e ricche di mise en abyme - per sconfinare oltre la tela, regalando al pubblico una mostra immersiva. In questo senso, le opere sono un omaggio alla bellezza e alla semplicità del paesaggio, un invito all’osservazione, alla meditazione e all’elevazione dello spirito. Il percorso espositivo, elaborato in stretta collaborazione con l’artista, è arricchito da un corpus di acquerelli con rappresentazioni prospettiche di spazi e luoghi e misteriosi giochi di luce e ombre. A questa serie di lavori è dedicata una “stanza nella stanza”, uno spazio più intimo all’interno della grande sala che ospita l’esposizione. La mostra al MASI si propone come
un nuovo punto di riflessione sull’opera di Thomas Huber, andando ad inserirsi senza strappi, e anzi, aggiungendo un interessante tassello alla sua complessa e consolidata ricerca. Per l’occasione verrà pubblicato un catalogo trilingue italiano, tedesco e francese.
Thomas Huber (Zurigo, 1955, vive e lavora a Berlino) ha studiato alla Kunstgewerbeschule di Basilea per continuare la sua formazione al Royal College of Art di Londra e alla Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf. È stato professore alla Hochschule für Bildende Künste di Braunschweig (1992-1999) e nel 1992 ha assunto la direzione temporanea del Centraal Museum di Utrecht. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il “Kunstpreis Stadtsparkasse Düsseldorf”, il “Preis für Junge
Schweizer Kunst der Zürcher Kunstgesellschaft” nel 1993 e il Meret Oppenheim Preis nel 2013. Nel 2023 Thomas Huber è selezionato per partecipare con il progetto Dawn/ usk alla sezione Art Unlimited di Art Basel 2023.
01
1.1.22
2022
Olio su tela
© Thomas Huber & Skopia
P.-H. Jaccaud
Kunstsammlung Zürcher Kantonalbank
Ph: © Marlene Burz
02
Le soir
2022
Olio su tela
© Thomas Huber & Skopia
P.-H. Jaccaud
Privatsammlung
Ph: © Marlene Burz
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QUANDO LA COPERTINA DIVENTA ARTE DIGITALE
La creatività costituisce una dimensione presente nella sua vita fin dalla giovane età. In che modo ha avuto modo di esprimerla nel corso degli anni e quali sono state le principali tappe della sua formazione artistica?
«Non mi piace definirmi un bambino prodigio, ma in effetti fin da quando avevo pochissimi anni ho sempre mostrato una notevole predisposizione verso il disegno e in generale per tutto quanto aveva a che fare con i colori, imbrattando felice anche i muri di casa. Devo dire che la mia grande fortuna è stata quella di avere due genitori che mi hanno assecondato, ma senza forzarmi in alcun modo, mantenendo tutto nella dimensione del divertimento e del gioco. Questa infanzia felice è proseguita poi nel corso degli studi al Liceo Artistico che mi hanno infine portato a frequentare i corsi di Pittura e Arte visive presso la NaBa, Nuova Accademia Belle Arti a Milano, dove ho avuto modo di cominciare a mettere a fuoco varie tecniche di espressione artistica e soprattutto a maturare la consapevolezza che anche “da grande” avrei continuato a fare qualcosa di attinente alla fantasia e alla creatività».
Quando e in che modo ha compreso che il suo futuro sarebbe stato orientato da attività artistiche e creative?
ALESSANDRO MALOSSI
«Credo che un momento che ha segnato profondamente la mia vita, ma anche il mio percorso artistico, sia stato l’esplosione del mondo social. Come la gran parte dei giovani all’inizio mi ci sono avvicinato con curiosità, poi appassionato in misura crescente, infine
, GIOVANE ARTISTA (È NATO NEL 1993) RAPPRESENTATO DA IMAGO ART GALLERY, VANTA UNO STILE UNICO E PECULIARE, FRUTTO ANCHE DI INTENSE COLLABORAZIONI NEL CAMPO DELLA MODA. CON IL PROGETTO VOGU3 HA VOLUTO TRASFORMARE 12 COVER DELLA PRESTIGIOSA RIVISTA VOGUE IN ALTRETTANTE OPERE D’ARTE DIGITALE.
IN QUESTA INTERVISTA CI RACCONTA I SUOI PRIMI PASSI, I PERCORSI ARTISTICI E I PROGETTI FUTURI.
nali legate al mondo fashion ho avuto modo di farmi conoscere sui social grazie ai miei disegni iperrealistici e ai dipinti su capi di abbigliamento, come per esempio giacche e jeans, arrivando ad essere notato da brand quali Calvin Klein, Trussardi e soprattutto Levi’s da cui sono stato incaricato di realizzare una capsule collection per l’anniversario di 10 Corso Como. Da questo evento, che mi ha permesso di far conoscere ancor di più il mio lavoro, sono nati ulteriori contatti e proposte».
Che cosa raccontavano questi primi progetti?
ho realizzato che i social potevano essere uno straordinario mezzo non solo di comunicazione, ma di espressione artistica. Insomma posso ben dire che il mondo social è stato il mio trampolino di lancio verso l’arte digitale!»
Nel frattempo tuttavia andava sviluppando intense collaborazioni anche nel campo della moda… «Anche quello è stato un passo all’inizio abbastanza naturale. La moda a Milano rappresenta una realtà straordinaria di carattere non solo produttivo ma soprattutto sociale e culturale. Frequentando sfilate, creativi, influencer, fotografi e altre figure professio -
«Utilizzando un iPad ho iniziato a trasportare su uno schermo ciò che facevo con i pennelli su tele e stoffe, scoprendo che mi veniva piuttosto facile. È così che ho realizzato alcune opere digitali. La prima serie di quadri “ufficiale” l’ho realizzata tre anni fa, creando una specie di arca di Noè (“NOAH”) in cui rappresentavo animali composti esclusivamente da sneakers/accessori di brand molto conosciuti. Grazie a queste sperimentazioni personali sono stato definito, e ne sono lusingato, un “artista che unisce arte e moda”. PL4STIC era invece una miniserie composta da 4 animali in via di estinzione a causa dell’inqui -
namento
Che cosa rappresenta il progetto Vogu3 e come si andato sviluppando?
«Con Vogu3 ho deciso di reinterpretare qualcosa di veramente iconico nel settore della moda, un vero e proprio simbolo che potesse sposarsi al meglio con la mia arte digitale surrealistica/distopica. La scelta è caduta così sulle copertine della storica rivista Vogue, periodico mensile fondato nel 1892 a New York da Arthur Baldwin Turnure. Ritenuta una delle più prestigiose e au-
torevoli riviste del mondo della moda, è edita dal 1909 da Condé Nast ed in Italia viene pubblicata dal 1962. La serie consiste in 12 lavori (52.5 x 42 cm), stampati su carta photo rag metallica. Il nome della serie intende esprimere il concetto di metaverso/digitale utilizzando numeri e lettere insieme».
Artista, art director, creatore di tendenze. In che modo i diversi aspetti del suo lavoro hanno concorso a definire la sua personalità?
«Credo di essere una persona felice ma ancora non totalmente realizzata: probabilmente sono soprattutto molto curioso, capace di raccogliere una solleci-
tazione o uno stimolo da tutte le persone o gli oggetti che mi circondano, alla ricerca di nuove forme di comunicazione e nuovi modi per poter esprimere al meglio me stesso e i miei interessi. Mi piace soffermami ad analizzare i dettagli della vita reale, rompendo gli stereotipi o abbattere i piedistalli della raffinatezza idealizzata. Per questo cerco comunque di usare i social senza troppi schemi, mettendo anche mie foto in situazioni della vita quotidiana. Facebook lo uso come valvola di sfogo, su Instagram cerco invece di essere più professionale, metto solo i lavori che mi piacciono. Nell’arte è fondamentale conoscere chi c’è dietro l’opera».
Può anticiparci qualche nuovo progetto artistico che la vedrà impegnato nei prossimi mesi?
«Ho nel cassetto diversi progetti che ho in mente di realizzare, ma ciò che in questo momento mi impegna maggiormente è la collaborazione con un importante marchio dell’Interior Design che mi auguro di poter presentare già nel corso dei prossimi mesi».
degli oceani, realizzata assemblando elementi in plastica.».
LA GRANDE PASSIONE DI UN ABILISSIMO ARTIGIANO
«L’elenco sarebbe lungo. Mi piace citare oltre alla Veneranda Fabbrica, alcuni lavori per una mostra a Palazzo Strozzi dedicata all’architetto Santiago Calatrava, e a Lugano per la Cattedrale di San Lorenzo e per la Collegiata a Bellinzona. E poi ancora, sempre qui in Ticino, il restauro di alcuni paliotti della Chiesa della Madonna d’Ongero, sotto la direzione dell’Ufficio dei Bani Culturali. E poi ci sono i lavori per conto di privati, tra cui il restauro di alcune tombe monumentali».
Ci sono maestri della scultura da cui ha tratto ispirazione per la realizzazione delle sue opere?
L’ ASSOCIAZIONE SILARTE, PRESSO
LA FONDAZIONE SILENE GIANNINI
OSPITA DAL 23 LUGLIO NELLA SUA
SEDE DI CEVIO L’ESPOSIZIONE “DALLA
VENERANDA FABBRICA DEL DUOMO
A COSTANTIN BRANCUSI” DEDICATA
ALLE OPERE DI JOHN TRAVERSI
CHE IN QUESTO INCONTRO CI
RACCONTA IL SUO PERCORSO
ARTISTICO E LA SUA VISIONE DEL LAVORO DI ARTISTA/ARTIGIANO.
Artista ma anche abilissimo artigiano marmista: quale
è stata la sua formazione e come definisce la sua esperienza a contatto con la materia che le sue mani concorrono a plasmare?
«Devo premettere che sono colombiano di origine ma svizzero di adozione e che nella mia formazione è stata determinante la frequentazione della Scuola tecnica del marmo di S. Ambrogio di Valpolicella. Subito dopo ho avuto modo di entrare a lavorare presso la Veneranda Fabbrica
del Duomo di Milano, sotto la direzione dell ing. Morlin Visconti Castiglione, nel cui laboratorio ho acquisito una notevole manualità nella lavorazione della pietra e nel rifacimento di statue e decorazioni. Questo lungo apprendistato mi ha consentito poi di accedere all’Accademia di Belle Arti di Carrara che mi ha messo in contatto con grandi maestri e artisti provenienti da tutto il mondo. Il passaggio successivo è stata l’opportunità di lavorare in alcune botteghe del marmo della zona e questo mi ha dato modo di apprendere dal vivo e nella pratica le tecniche, soprattutto manuali e ancora artigianali, di lavorazione della pietra e di riproduzione di copie di grandi opere della classicità. Tutto questo mi permette oggi di definirmi non tanto uno scultore quanto un buon artigiano, capace di creare o riprodurre con le proprie mani qualsiasi opera in marmo».
Quali sono i principali lavori di restauro che l’hanno impegnato nel corso degli ultimi anni?
«Senza dubbio Costantin Brancusi, un autentico pioniere della scultura moderna le cui opere in marmo e bronzo sono caratterizzate da un uso sobrio ed elegante di forma pura e finitura squisita. Sono stato a visitare la sua casa natale a 20 km di Târgu Jiu, dove ho ammirato più volte il complesso comprendente le tre opere la Tavola del Silenzio, la Porta del Bacio e la Colonna della Riconoscenza Infinita e ogni volta ho provato una grandissima emozione,
come pure sono stato a Parigi al cimitero di Montparnasse a visitare la sua tomba con altrettanta emozione».
Dal mese di luglio lei espone presso la Fondazione Silene Giannini la mostra “Dalla Veneranda Fabbrica del Duomo a Constantin Brancusi”. Come nasce l’idea di questa esposizione e come si inserisce nel suo percorso artistico?
«In questa mia prima mostra mi presento come artigiano che interpreta ed esegue sculture, restauri di opere di interesse storico artistico e culturale. Oltre ad essere un’esposizione di lavori artistici, è strutturata in maniera che sia un percorso anche didattico, e si prefigge di mostrare sotto diversi aspetti tutta la plasticità della scultura. Ovviamente vi è un filo conduttore che spiega le varie fasi, i soggetti, gli artisti interessati. La mostra sarà presentata da Padre Stefan Urda, romeno, profondo conoscitore della storia, degli eventi e della mentalità e spiritualità di Constantin Brancusi. Grazie a lui ho potuto raccogliere documenti, riviste, libri e contatti che mi hanno permesso di sviluppare la mia ricerca artistica».
Possiamo concludere con uno sguardo sui progetti futuri che la vedranno impegnato nei prossimi mesi?
«Nella mia vita ho fatto l’artigiano, il restauratore, il decoratore, lo scultore,
l’artista e tanto altro ancora. Ho incontrato non poche difficoltà ma anche persone estremamente valide che mi hanno aiutato e trasmesso il loro sapere. Questa mostra, che arriva in corrispondenza dei miei 50 anni è un po’ il bilancio di un percorso professionale, ma soprattutto umano. Ecco, guardando al futuro mi piacerebbe lavorare a tempo pieno in un museo; immerso nell’arte e nella cultura. Per le competenze acquisite appunto nel
campo artistico-culturale e per diffondere e trasmettere ai visitatori la passione per l’ Arte nella sua completezza. Inoltre mi piacerebbe che si creassero delle opportunità grazie alle quali io possa, attraverso l’insegnamento, restituire a dei giovani quelle conoscenze che ho faticosamente acquisito con costanza e tenacia e che sono alla base di ogni “saper fare”: con le proprie mani, certo, ma soprattutto con l’intelligenza, la passione e il cuore».
BILANCIO POSITIVO PER UNA GRANDE FESTA DELLA MUSICA
Con quale bilancio si chiude l’edizione 2023 di Lugano Estival Jazz?
J.M.: «Il mio bilancio è estremamente positivo. La qualità degli artisti e la meteo (fattore da non trascurare) hanno attirato in Piazza una folla immensa. Molto positiva anche la nuova esperienza con la Città di Lugano: ho trovato uno staff collaudato e affiatato, persone competenti ma soprattutto motivate ed entusiaste».
ORGANIZZATA PER IL PRIMO
ANNO DALLA DIVISIONE EVENTI
E CONGRESSI DELLA CITTÀ
DI LUGANO, LA 43A EDIZIONE
DI LUGANO ESTIVAL JAZZ
HA RISCOSSO UN GRANDE
SUCCESSO: NE PARLIAMO
CON IL DIRETTORE ARTISTICO
JACKY MARTI, AFFIANCATO
DA FILIPPO CORBELLA
Il pubblico che ha letteralmente invaso Piazza della Riforma e le vie adiacenti» era quello dei grandi numeri e testimonia la longevità e al contempo la capacità di rinnovarsi della storica manifestazione. Inserito per la prima volta ad apertura di Lugano LongLake Festival e grazie al sostegno sia privato che pubblico, sono state messe le fondamenta per assicurare la continuità di questo momento celebrativo della musica jazz che offre, a livello svizzero e internazionale, un’importante visibilità alla città di Lugano.
Tra gli ospiti dell’edizione 2023, Ben Harper, Mark Lettieri, Judith Hill, i Seun Kuti & Egypt 80 e Beppe Donadio. I Premi alla carriera sono stati assegnati a Gilberto Gil e Stanley Clarke.
La 43a edizione di Estival Jazz è stata sostenuta da Ceresio Investors, sponsor principale, e promossa dalla RSI, che ha assicurato la diretta radiofonica.
F.C.: «Vedere la Piazza e le vie adiacenti colme di gente ha provocato in tutti un’emozione grandissima. È stato come se, dopo gli anni della pandemia, fosse scoppiato il bisogno di ritrovarsi insieme, di condividere un momento di festa collettiva. E naturalmente l’ottima musica proposta ha fatto da collante per fare esplodere questo entusiasmo popolare».
Piazza della Riforma ha visto alternarsi sul palco artisti di grande richiamo internazionale. Possiamo citare alcuni nomi tra quelli che maggiormente hanno entusiasmato la piazza?
J.M.: «C’era molta attesa per Ben Harper ovviamente. Mi sembra che il pubblico abbia però apprezzato tutti i concerti, soprattutto quello di Gilberto Gil, un monumento della cultura della nostra epoca, che ha ricevuto un immenso tributo di affetto da parte del pubblico e soprattutto dai moltissimi brasiliani accorsi da ogni parte d’Europa per rendergli omaggio. Ho incontrato persone ar-
rivate appositamente per lui da Maiorca, Lisbona, Roma, Norimberga. Il gruppo che ho preferito io? Se devo proprio scegliere direi la magnifica e strepitosa band di Stanley Clarke».
F.C.: «L’elenco dei musicisti che hanno travolto il pubblico sarebbe lungo.
Ben Harper è stata una conferma, ma il suo successo era scontato. Mi hanno molto impressionato Judith Hill con la sua voce possente e gli arrangiamenti tutt’altro che scontati, Stanley Clarke e naturalmente Gilberto Gil: vedere sul palco quell’uomo non più giovane che suona, canta e balla è stato uno
spettacolo unico e gli spettatori in piazza non riuscivano a non lasciarsi trascinare dalla sua musica».
Dal punto di vista artistico quali sono i tratti distintivi di questo evento rispetto ad altre manifestazioni che si tengono sul territorio ticinese?
J.M.: «Per prima cosa la varietà dei generi proposti. Come tradizione voleva siamo passati con disinvoltura dal jazz alla world music, dal funky alla canzone d’autore. Il denominatore comune è stata come sempre l’alta qualità dell’offerta. Abbiamo optato per due serate di altissimo livello piuttosto che tre di livello medio. L’altra caratteristica che contraddistingue da sempre Estival è la gratuità dei concerti. In nessuna altra parte puoi ascoltare artisti di fama planetaria senza pagare un biglietto».
F.C.: «Estival Jazz è un evento molto amato dai suoi appassionati e frequentatori e questo amore credo sia determinato anche dall’unicità della relazione che si stabilisce tra i musici -
sti e il pubblico. Si va in Piazza certamente per ascoltare un concerto ma soprattutto per partecipare, per vivere una esperienza unica coinvolti dal clima generale, dalle presentazioni e, naturalmente dall’altissima qualità della musica».
Il format della manifestazione ha previsto quest’anno 7 strepitosi concerti. Ritenete questa formula valida o prevedete per la prossima edizione alcune modifiche organizzative?
J.M.: «Spetterà alla Città di Lugano definire la sua strategia futura. Estival ci sarà senz’altro nel 2024, probabilmente posticipato di qualche giorno per evitare la concomitanza con gli europei di calcio. Io spero che possa tornare ad essere l’evento clou della ricca estate luganese, che si possa tornare presto alle tre serate e magari anche a offerte collaterali quali il villaggio di Estival e le Estival Nights che in passato erano tanto piaciute. Dipenderà molto dalle finanze, la Città ha fatto uno sforzo notevole ma non può’ fare tutto. Sarà indispensabile trovare nuovi sponsor e sostenitori per garantire il giusto equilibrio tra pubblico e privato».
F.C.: «Il format complessivo di Estival è certamente valido e, salvo pochi aggiustamenti, penso vada mantenuto inalterato. Certo, sarebbe molto bello tornare ai consueti tre giorni di manifestazione, magari implementando la proposta con concerti in altri luoghi cittadini, con workshop, ma il primo punto resta l’altissimo livello artistico, l’obiettivo è salvaguardare in ogni caso l’elevata qualità dei musicisti e della band invitate».
Quale è stato il contributo della Divisione eventi e congressi della Città di Lugano e qual è il valore di questa esperienza?
J.M.: «Ha fatto moltissimo e bene. Personalmente mi sono trovato bene con tutti e in particolare in perfetta sintonia con Filippo Corbella con il quale è nato un rapporto non solo professionale ma anche di amicizia. È stata la prima esperienza del “nuovo” Estival, ora occorrerà affinare e perfezionare alcuni dettagli organizzativi per poter offrire al pubblico un Estival ancora migliore».
F.C.: «Grazie alla Divisione eventi e congressi si può oggi ben dire che Estival Jazz avrà un futuro. Affianca -
re Jacky Marti è stato per me un onore. Essere chiamato a far parte di una storia che in 43 anni ha portato a Lugano il meglio della musica mondiale fa nascere in me un grande senso di gratitudine e di fierezza. Il meccanismo è ben costruito, con Jacky questi mesi sono stati molto belli, abbiamo cominciato a conoscerci, stimarci, diventando amici, ora basta soltanto oliare un po’ gli ingranaggi per assicurare una lunga vita a questa manifestazione».
Uno dei punti di forza di questa manifestazione è rappresentato dalla gratuità della partecipazione del pubblico. Riuscirete a mantenere questo vantaggio anche nelle prossime edizioni?
J.M.: «La gratuità ha sempre distinto Estival dagli altri festival nazionali e internazionali, a questo livello di offerta artistica ovviamente. La gratuità ha permesso a Estival di diventare molto popolare e di far conoscere a un vasto pubblico artisti e musiche che magari non avrebbe mai ascoltato. La gratuità in passato è stata anche la molla che ha attirato molti indispensabili sponsor e sostenitori. Mi auguro di cuore che rimanga la carta vincente di Estival, così come mi auguro di poter continuare a offrire a Estival la mia esperienza e soprattutto la mia passione.
F.C.: «Questo aspetto di Estival è fondamentale: mi sento di dire che la gratuità è un elemento importante perché fa sentire la gente voluta, accolta, e parte integrante della manifestazione. Per come sarà possibile è da salvaguardare».
CERESIO INVESTORS: LE RAGIONI DELLA NOSTRA PARTECIPAZIONE
GABRIELE CORTE, DIRETTORE
GENERALE DI CERESIO INVESTORS
RACCONTA LE MOTIVAZIONI CHE HANNO INDOTTO QUESTO ISTITUTO A SOSTENERE ESTIVAL JAZZ, NEL QUADRO DI UN PIÙ COMPLESSIVO
IMPEGNO A FAVORE DEL TERRITORIO LUGANESE E DEL TICINO.
Quali sono le ragioni che vi hanno spinto a sponsorizzare un evento come Lugano Estival Jazz?
«C’è un precedente che vorrei raccontare e che ben illustra come l’incontro tra Ceresio Investors ed Estival Jazz sia stato un fatto quasi naturale. Da anni, tra i nostri progetti di cooperazione internazionale, sosteniamo, tramite la Fondazione del Ceresio, la Banda dos Curumins, un ramo dell’associazione filantropica Casa dos Curumins, nata sulla scia di un’esperienza nella comunità della Pedreira, Stato di San Paolo, per volontà del regista Alberto Eisenhardt. Nel 2020 questo complesso musicale avrebbe dovuto esibirsi in occasione dell’Estival, ma quella edizione e la successiva come è noto a causa del Covid non si tennero, con grande dispiacere dei ragazzi, che in gran parte per la prima volta nella loro vita sarebbero usciti dalle certamente non facili condizioni di vita in Brasile. L’occasione si è ripresentata
con Estival Jazz 2022, quando questi giovani musicisti brasiliani hanno aperto la ‘one night only’ e vederli piangere sul palco è stata una cosa emozionante e al tempo stesso fortemente commovente. Il nostro rapporto con Estival si nutre dunque di valori fatti di solidarietà, condivisione, partecipazione popolare e siamo stati dunque ben lieti di sostenere e favorire anche quest’anno il successo dell’evento».
Come si inserisce questa scelta nel quadro della strategia di Ceresio Investors di attenzione al territorio ticinese?
«Da anni tramite la Fondazione del Ceresio, istituzione di famiglia legata a Ceresio Investors, operiamo supportando organizzazioni non profit con l’obiettivo di affiancare le persone fragili vicine e lontane e di sostenere le comunità attraverso la formazione. Con un approccio evidence based, costruiamo solide e durature relazioni di fiducia con partner e beneficiari, ispirandoci alle tradizioni di professionalità che hanno contraddistinto la famiglia Foglia nella sua attività imprenditoriale. Come Ceresio Investors invece, siamo attivi soprattutto nel sostenere attività culturali delle aree in cui operiamo. In questa prospettiva, e facendo specifico riferi -
mento al territorio luganese sono numerosi gli interventi a sostegno dell’offerta culturale, a cominciare, per fare qualche esempio, dalle attività della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, all’Associazione delle gallerie d’arte di Lugano, o ancora a Lugano Musica o al Sobrio Festival. Ma mi piace anche citare il nuovo volume della collana “Pagine storiche luganesi” dedicato alla storia dell’edificio postale, realizzato dall’architetto bernese Theodor Gohl e inaugurato nel 1912. La pubblicazione, è frutto di una stretta collaborazione fra Città di Lugano, famiglia Garzoni e Ceresio Investors. E, ancora, il sostegno alla fondazione Pro Venezia, che interpreta la volontà della Svizzera di contribuire al recupero e alla conservazione di opere di artisti svizzeri nella città lagunare».
Quali altre iniziative avete in programma di sponsorizzare nei prossimi mesi e verso quali specifici settori (arte, cultura, sport, ecc.) indirizzerete i vostri interventi?
«La nostra presenza sarà anche in futuro articolata su vari settori, cercando di coprire al meglio le richieste e le esigenze del territorio ticinese. Tra i prossimi interventi culturali vorrei annunciare un evento che certamente avrà un rilevante impatto e risonanza internazionale e cioè la mostra della Collezione Olgiati dedicata a Giacomo Balla e Piero Dorazio messi a confronto sul filo della luce.
L’artista futurista e l’astrattista rivoluzionario romano saranno infatti i protagonisti, il prossimo autunno, della mostra “Dove la luce”, un percorso organizzato in collaborazione con l’archivio Piero Dorazio e allestito dallo studio dell’architetto Mario Botta».
FRANCO CITTERIO, DIRETTORE
DELL’ASSOCIAZIONE BANCARIA
TICINESE FA IL PUNTO SUGLI ULTIMI DUE DECENNI DI VITA DELLA PIAZZA
FINANZIARIA TICINESE E DELINEA
LE PRINCIPALI SFIDE CHE ATTENDONO ABT FIN DAI PROSSIMI MESI.
QUALITÀ DEL SERVIZIO E INNOVAZIONE
Lei festeggia quest’anno due decenni alla guida dell’Associazione Bancaria Ticinese. Come era in principio lo stato del sistema bancario del Cantone?
«La mia attività in ABT è iniziata nel gennaio del 2003, dopo alcune esperienze in banca in cui avevo potuto imparare e approfondire la consulenza bancaria in ambito sia commerciale sia patrimoniale. Devo dire che erano ancora “bei tempi”: la piazza finanziaria cresceva e si stavano sviluppando nuove competenze che abbracciavano il cliente non solo da un punto di vista strettamente bancario ma andavano sempre più a considerare tutti gli aspetti personali, familiari, aziendali e successori. Sullo sfondo c’erano comunque già delle tendenze che anticipavano profondi cambiamenti del sistema bancario. Ricordo in particolare la fusione UBS/SBS negli anni Novanta e la crisi borsistica di fine millennio che contenevano i germi di quello che sarà successo negli anni a venire».
Quali sono state le principali trasformazioni vissute nel corso di questi anni?
te agli investitori e agli Stati. I governi occidentali, in particolare gli Stati Uniti, hanno imposto al mondo intero nuove regole fiscali e un sistema di scambio di informazioni che con il tempo ha portato all’eliminazione del segreto bancario (anche se non ovunque). Per la Svizzera questo è stato vissuto come un dramma collettivo prima ancora che politico ma il Consiglio federale fece poco per contrastare la pressione esterna. D’altro lato, la tecnologia in questi decenni ha fatto passi da gigante, rivoluzionando non solo l’offerta di servizi al cliente ma tutto il processo di produzione. Oggi l’informatica rappresenta il cuore dell’azienda e con le nuove tecnologie stanno nascendo nuove figure professionali che sostituiranno vecchie funzioni che in una banca moderna non hanno più ragione di esistere».
In particolare, c’è un progetto, di cui lei sia stato direttamente promotore, di cui è particolarmente orgoglioso per il lavoro fatto?
ASSOCIAZIONE
BANCARIA TICINESE
Villa Negroni
CH-6943 Vezia
T. +41 (0)91 966 21 09
www.abti.ch
«In questi vent’anni sono successe davvero tante cose nel nostro settore. Per riassumerle le catalogherei in due parti distinte ma strettamente correlate: quella normativa e quella tecnologica. Da un lato, la famosa crisi finanziaria del 2008 ha portato con sé un innumerevole serie di norme amministrative e fiscali che hanno voluto porre un freno al continuo susseguirsi di dissesti borsistici che hanno provocato grandi perdi-
«In questi vent’anni ho visto davvero tante cose da un osservatorio privilegiato come questo. L’aspetto che forse mi appaga maggiormente è riferito al riconoscimento attuale di ABT quale rappresentante di un settore trainante per l’economia cantonale. Se nei decenni precedenti l’associazione aveva essenzialmente un ruolo di discussione interna tra gli istituti, ora possiamo dire che ABT è una voce riconosciuta e autorevole in un contesto sia cantonale sia federale. L’organizzazione di importanti eventi e lo sviluppo continuo del Centro Studi Villa Negroni hanno poi contribuito a creare a Vezia il fulcro
delle attività associative e formative dell’intera piazza finanziaria ticinese».
Per contro, c’è un rimpianto per qualcosa che non sia riuscito a concludere nel modo che avrebbe desiderato?
«Sicuramente ci sono tante cose che si sarebbe potuto fare meglio ma nessun rimpianto. Diciamo in generale che il trend del settore è stato spesso sfavorevole e questo non ha aiutato a portare a buon fine delle battaglie che la nostra associazione avrebbe voluto che finissero meglio. Una tra le ultime l’accesso al mercato transfrontaliero per i servizi bancari che si è arenato a causa della dichiarata volontà di un Paese, in questo caso l’Italia, che non ha voluto ottemperare gli impegni presi a suo tempo nell’ambito della road map con la Svizzera».
Parliamo del futuro. In base alla sua esperienza, lungo quali linee dovrà necessariamente evolvere il sistema bancario ticinese?
«Non si può prescindere il destino della piazza finanziaria ticinese da quello che succederà nel resto della Svizzera e del mondo. Il settore bancario è in fase di consolidamento e i numeri parlano chiaro: nel nostro Cantone il numero degli istituti è sceso in 20 anni di circa la metà e il numero dei dipendenti si attesta a meno di 6’000 unità. Con la recente operazione Credit Suisse/UBS questi numeri sono destinati a diminuire ulteriormente e le conseguenze saranno pesanti anche nel resto della Svizzera. Le parole d’ordine per il futuro rimangono qualità del servizio e innovazione. Solo disponendo di personale qualificato potremo ga -
rantire una transizione di successo verso un nuovo modo di fare banca. L’apporto del CSVN per la formazione e l’aggiornamento professionale sarà fondamentale».
E per quanto riguarda l’Associazione Bancaria Ticinese, quale potranno essere le sue prospettive future?
«C’è sempre la tendenza a caricare le associazioni di compiti e responsabilità che vanno al di là del loro potere. L’associazione in sé è lo specchio delle sue componenti, cioè dei soci. Nella misura in cui ABT avrà un ruolo riconosciuto sia nella discussione interna (commissioni, gruppi di lavoro ecc.) sia nella rappresentanza verso l’esterno (amministrazione pubblica, regulator, mondo politico, opinione pubblica ecc.) allora anche le sue prospettive avranno un futuro».
CHI È FRANCO CITTERIO
Nato nel 1962 a Lugano, dopo la maturità federale ottiene nel 1986 la laurea in economia aziendale all’Università di San Gallo. Inizia l’attività professionale nel 1987 quale Redattore economico del Corriere del Ticino. Nel 1989 passa alle dipendenze di AITI Associazione Industrie Ticinesi quale Vicedirettore. Nel 1994
intraprende l’attività bancaria lavorando nella consulenza commerciale e finanziaria, dapprima in UBS e in seguito in Banca del Gottardo, dove ha assunto la carica di membro di direzione e responsabile di un team di consulenza patrimoniale. Nel 2003 è chiamato dall’ABT Associazione Bancaria Ticinese per assumere il
posto di Direttore. Nella sua funzione attuale egli ricopre anche i seguenti incarichi: Membro di Consiglio della Fondazione Centro Studi Villa Negroni, Presidente di Ticino for Finance, Membro di Consiglio della Fondazione AGIRE e Vicepresidente del Fondo cantonale per la formazione professionale.
LA RICCHEZZA GLOBALE AUMENTERÀ
DEL 38% NEI PROSSIMI CINQUE
ANNI: È QUESTO QUANTO EMERGE
DAL GLOBAL WEALTH REPORT 2023
CHE COSTITUISCE UNA DELLE ANALISI PIÙ COMPLETE DISPONIBILI
SULLA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE A LIVELLO MONDIALE.
UN MONDO SEMPRE PIÙ RICCO
L’ultimo Global Wealth Report, presentato congiuntamente da UBS e Credit Suisse, prevede che la ricchezza globale raggiungerà i USD 629 trilioni entro il 2027, nonostante il 2022 sia il primo anno in cui è calata dal 2008.
Il rapporto mostra che la ricchezza privata netta totale, misurata in dollari statunitensi nominali correnti, è diminuita di USD 11,3 trilioni (-2,4%), attestandosi a USD 454,4 trilioni alla fine del 2022, e che anche la ricchezza per adulto è diminuita di USD 3.198 (-3,6%), raggiungendo USD 84.718 dollari per adulto. Gran parte di questo calo è dovuto all’apprezzamento del dollaro statunitense rispetto a molte altre valute. Le attività finanziarie hanno contribuito maggiormente al calo della ricchezza nel 2022, mentre quelle non finanziarie (soprattutto real estate) hanno mantenuto una buona resistenza, nonostante il rapido aumento dei tassi di interesse.
A livello regionale, il rapporto mostra che la perdita di ricchezza globale è stata fortemente concentrata nelle regioni più ricche come il Nord America e l’Europa, che insieme hanno perso USD 10,9 trilioni. L’Asia-Pacifico ha registrato perdite per USD 2,1 trilioni. L’America Latina è l’eccezione, con un aumento della ricchezza totale di USD 2,4 trilioni, grazie a un apprezzamento medio della valuta del 6% rispetto al dollaro USA.
Riguardo ai Paesi, in testa alla classifica delle perdite nel 2022 ci sono gli Stati Uniti, seguiti da Giappone, Ci -
na, Canada e Australia. I maggiori aumenti di ricchezza sono stati registrati in Brasile, India, Messico e Russia. In termini di ricchezza per adulto, la Svizzera continua a essere in cima alla lista, seguita da Stati Uniti, RAS di Hong Kong, Australia e Danimarca, nonostante le notevoli riduzioni della ricchezza media rispetto al 2021. La classifica delle nazioni stilata in base alla ricchezza media vede in testa il Belgio, seguito da Australia, RAS di Hong Kong, Nuova Zelanda e Danimarca.
In termini demografici, la Generazione X e i Millennial hanno continuato a fare relativamente bene nel 2022 negli Stati Uniti e in Canada, ma non sono stati immuni dalla riduzione complessiva della ricchezza. Negli Stati Uniti, nel 2022 i caucasici non ispanici hanno visto diminuire la loro ricchezza, mentre gli afroamericani sono rimasti quasi indenni dalla crisi. Al contrario, gli ispanici hanno registrato una crescita del 9,5% nel 2022, grazie al loro maggior possesso di beni immobiliari rispetto a quelli finanziari. Oltre al calo della ricchezza aggregata, nel 2022 è diminuita anche la disparità di ricchezza complessiva, con la quota di ricchezza dell’1% di popolazione più ricca del mondo scesa al 44,5%. Il numero di milionari in dollari statunitensi a livello mondiale è diminuito di 3,5 milioni nel 2022, passando a 59,4 milioni. Questa cifra, tuttavia, non tiene conto di 4,4 milioni di “milionari dell’inflazione” che non sarebbero più qualificati tali se la soglia milionaria venisse adeguata all’inflazione nel 2022.
La ricchezza media globale, probabilmente un indicatore più significativo della situazione della persona tipo, è infatti aumentata del 3% nel 2022, in contrasto con il calo del 3,6% della ricchezza per adulto. Per il mondo nel suo complesso, la ricchezza media è aumentata di cinque volte in questo secolo, a un ritmo circa doppio rispetto alla ricchezza per adulto, in gran parte a causa della rapida crescita della ricchezza in Cina. Secondo le proiezioni del rapporto, la ricchezza globale aumenterà del 38% nei prossimi cinque anni, raggiungendo USD 629 trilioni entro il 2027. La crescita dei Paesi a medio reddito sarà il principale motore delle tendenze globali. Il rapporto stima che la ricchezza per adulto raggiungerà i USD 110.270 nel 2027 e il numero di milionari raggiungerà gli 86 milioni, mentre il numero di ultra-high-net-worth individuals (UHNWI) salirà probabilmente a 372.000 individui.
Iqbal Khan , Presidente di UBS Global Wealth Management, ha dichiarato: «In qualità di gestore patrimoniale globale più grande al mondo, siamo in una posizione unica per attingere alle conoscenze e alle intuizioni di tutta la nostra attività di gestione patrimoniale. Il Global Wealth Report di quest’anno rivela preziosi spunti di riflessione sullo stato della nostra economia e della nostra società, nonché sul cambiamento del significato e del potenziale della prosperità. Un’ampia analisi della ric -
chezza delle famiglie che copre un patrimonio stimato di 5,4 miliardi di adulti in tutto il mondo e l’intero spettro della ricchezza. Inoltre, getta lo sguardo sulle tendenze future, aiutandoci a definire le aspettative, a comprendere la natura in continua evoluzione della creazione di ricchezza e a comprenderne meglio il potere di creare benefici alla nostra società». Secondo Anthony Shorrocks, economista e autore del rapporto «gran parte del calo della ricchezza nel 2022 è stato determinato dall’alta inflazione e dall’apprezzamento del dollaro statunitense rispetto a molte altre valute. Se i tassi di cambio fossero stati mantenuti costanti a quelli del 2021, la ricchezza totale sarebbe aumentata del 3,4% e quella per adulto del 2,2% nel 2022. Si tratta comunque dell’aumento più lento della ricchezza a tassi di cambio costanti dal 2008. Mantenendo costanti i tassi di cambio, ma tenendo conto degli effetti dell’inflazione, si ottiene una perdita di ricchezza reale del -2,6% nel 2022. Allo stesso modo, le attività finanziarie hanno contribuito maggiormente al calo della ricchezza, mentre quelle non finanziarie (soprattutto real estate) hanno mantenuto una certa resistenza, nonostante il rapido aumento dei tassi di interesse. Tuttavia, il contributo relativo delle attività finanziarie e non finanziarie potrebbe invertirsi nel 2023, se i prezzi delle case dovessero diminuire in risposta all’aumento dei tassi d’interesse».
Nannette Hechler-Fayd’herbe, Chief Investment Officer della regione
EMEA e Global Head of Economics & Research, Credit Suisse, ha aggiunto: «L’evoluzione della ricchezza si è dimostrata resiliente durante l’era COVID-19 e nel 2021 è cresciuta ad un ritmo record, ma l’inflazione, l’aumento dei tassi d’interesse e il deprezzamento della valuta hanno causato un’inversione di tendenza nel 2022. Nei prossimi cinque anni, prevediamo che la ricchezza globale aumenterà del 38%, raggiungendo i USD 629 trilioni entro il 2027, mentre la ricchezza per adulto è destinata ad aumentare del 30%, raggiungendo i USD 110.270. Prevediamo inoltre che il numero di milionari crescerà notevolmente nei prossimi cinque anni fino a raggiungere gli 86 milioni, mentre il numero di UHNWI salirà a 372.000».
UNA BANCA SU MISURA A DISPOSIZIONE IN QUALSIASI MOMENTO
dentità della banca in possibilità di crescita sotto ogni punto di vista (non solo meramente lato finanziario) per ciascun stakeholder.
CREDINVEST ASPIRA AD UN FUTURO IN CUI NON SOLO SODDISFA MA SUPERA LE ASPETTATIVE DEI PROPRI CLIENTI, CONTRIBUENDO POSITIVAMENTE ALLA COMUNITÀ E AL TERRITORIO, RIMANENDO UNA REALTÀ STIMOLANTE
I N PRIMIS PER I PROPRI DIPENDENTI. LA BANCA DESIDERA CONCLUDERE QUESTO ANNO MANTENENDO LE PROPRIE PROMESSE, PUNTANDO A RAFFORZARE LA STABILITÀ FINANZIARIA E A COSTRUIRE UN’IDENTITÀ RINOMATA CHE INCARNI FIDUCIA E COMPETENZA. TRASPARENZA, AFFIDABILITÀ E CRESCITA SOSTENIBILE GUIDERANNO I PROSSIMI ANNI.
Innovativa, dinamica, dedicata. Banca Credinvest è una banca svizzera indipendente costantemente impegnata ad ascoltare i bisogni dei suoi clienti e a condividere competenze e informazioni; accompagna il cliente nella ricerca di soluzioni finanziarie personalizzate, garantendo in maniera rapida e accurata un servizio di eccellenza. La posizione patrimoniale solida e il controllo automatizzato
dei rischi, effettuato con un’infrastruttura tecnologica all’avanguardia, si uniscono a una gestione giovane e intraprendente, proiettata su programmi di crescita e sviluppo a lungo termine. Oggi la sfida è creare una realtà che si sappia contraddistinguere nel mercato in maniera dirompente. Un’offerta olistica su misura per clienti privati e istituzionali. L’obiettivo è quello di trasferire e trasformare i valori e l’i -
Il personale è l’asset chiave. Viene riconosciuta a pieno l’importanza di attrarre e trattenere i migliori talenti per raggiungere gli obiettivi strategici. La strategia di acquisizione dei talenti è stata concepita per garantire l’inserimento delle persone corrette nei ruoli giusti, promuovendo una cultura di eccellenza, innovazione e crescita continua. Per i ruoli medio-alti, si ricercano talenti dal mercato e dai concorrenti, con un’esperienza senior in ruoli simili. Il nostro approccio alle assunzioni per queste posizioni prevede un attento processo di selezione, che non valuta unicamente le competenze tecniche e le esperienze professionali, ma si allinea anche ai principi e al patrimonio intellettuale del team. Ciò richiede una profonda conoscenza del mercato e la capacità di identificare persone in grado di guidare gli obiettivi strategici, dimostrare leadership e contribuire alla cultura aziendale collaborativa, che è l’essenza di Credinvest. Per i ruoli entry-level e mid-level, si cerca di individuare neolaureati provenienti dalle migliori università come l’Università della Svizzera italiana (USI), l’Università di San Gallo, l’Università Commerciale Luigi Bocconi e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. I candidati devono essere in possesso di un diploma di laurea magistrale, una solida base educativa e una buona padronanza delle lingue. I piani si traducono in azioni. Dunque, l’impegno con le università e la partecipazione attiva alle loro piattaforme online e offline; la condivisione e il dialogo tra top management e personale (struttura bottomup); supporto di coaching/mentoring attraverso esperti esterni impegnati direttamente con il management e i dipendenti; rivisitazione del modello di valutazione del ciclo centrale per includere le ambizioni di crescita personale (compresa la formazione) e gli obiettivi aziendali; sessioni ed eventi di team bu-
ilding per rafforzare l’unità e l’appartenenza al gruppo; programmi di ricompensa non tradizionali, che tengano conto di un approccio proattivo e di un forte spirito di iniziativa. Un aspetto decisivo nel processo di miglioramento della reputazione del nome è il mantenimento delle promesse. Vi è assoluta consapevolezza che la reputazione dipende dalla capacità di soddisfare costantemente le aspettative dei clienti e di fornire servizi e prodotti di qualità. Si collabora con aziende che condividono i medesimi valori. Scegliere partnership di valore consente di creare programmi strategici e fare la differenza rispetto ai concorrenti. Le banche al giorno d’oggi offrono servizi molto simili e i clienti o potenziali clienti hanno un tempo assai complesso per differenziare i vari istituti finanziari. Con l’intenzione di offrire servizi di nicchia di alta gamma attraverso banche terze, vi è l’attenzione in Credinvest a selezionare partner affidabili. In un mondo finanziario in continuo cambiamento e in una società liquida come quella odierna, diviene ancora più difficile sopravvivere ed emergere all’interno del settore bancario. Princi-
pi solidi, pensiero strategico, creatività e spirito innovativo sono gli ingredienti base per Credinvest al fine di coinvolgere il pubblico a cui si rivolge ogni giorno. È innegabile che, per massimizzare le proprie opportunità, i social media e i canali digitali rappresentano oggigiorno un grosso strumento. Investendo in settori quali la digitalizzazione e la crescita dell’organico si mira a migliorare l’efficienza, a ridurre i costi e a promuovere lo sviluppo economico e sociale nella sua totalità. La presenza di un magazine nel sito web con contenuti di alta qualità ha una funzione informativa e didattica oltre che a fungere da pilastro per dimostrare le competenze nel settore finanziario e stringere relazioni più forti con l’audience di riferimento. Vengono selezionate alcune delle tematiche attuali nel mercato o le preoccupazioni più espresse dai clienti e trasformate in articoli utili e facilmente fruibili. Come è possibile dedurre, si offre una customer experience che va oltre la semplice lettura dell’andamento del portafoglio. In concreto, questo è già stato messo in atto e sarà svolto costantemente nei prossimi mesi e negli anni avvenire.
Dunque, pubblicazione di articoli di educazione finanziaria sul blog; incontri informativi con colazioni di network rivolti ai clienti interni e ai gestori patrimoniali esterni; tavole rotonde con imprenditori locali per confrontarsi e discutere della situazione del mercato finanziario; creazione di una rete per facilitare l’incontro tra professionisti appartenenti a dimensioni diverse, con lo scopo di trovare nuove idee per spingere il mercato svizzero unendo le forze e le competenze; serate ludiche personalizzate, pertinenti e tempestive rispetto agli interessi e alle passioni della clientela attuale/prospect; collaborazioni con realtà che come Credinvest investono nell’arte in quanto mezzo di conoscenza, comunicazione e investimento prezioso; impegno su LinkedIn per veicolare tutte le attività della banca, incluse quelle di social banking mediante l’individuazione, il finanziamento e la promozione di iniziative che possano avere un impatto sociale positivo; campagne di video marketing per andare oltre la dimensione testuale, spesso non sufficiente a mostrare il lato umano e la fedeltà delle persone a cui ci si rivolge; sponsorizzazione di giovani talenti internamente attraverso progetti con le università del territorio e esternamente attraverso la sponsorizzazione di giovani sportivi, che stanno scrivendo la propria carriera in giro per il mondo grazie a sacrifici e dedizione continua. Credinvest ha chiara la sua visione nel lungo termine: valorizzare la customersatisfaction; migliorare l’offerta esistente e implementare nuovi servizi nonché business paralleli; promuovere sempre di piu l’interazione tra il top management e tutti gli stakoholders della banca; crescere in termini di numeri e persone con l’ottica di rispondere sempre di più ai bisogni manifestati dalle varie controparti con le quali ci si interfaccia, controparti che devono essere individuate con cura e attenzione. Prodotti, pricing, distribuzione, comunicazione e cultura: cinque punti cardine sui quali Banca Credinvest porrà il proprio focus.
CRESCITA E INVESTIMENTI A LUGANO
Nella vostra comunicazione definite Edmond de Rothschild una società d’investimento “basata su convinzioni, fondata su un principio cardine: la ricchezza come mezzo per costruire il futuro”. Che cosa significa questa affermazione e quali sono state le principali tappe della vostra storia?
«Edmond de Rothschild è un gruppo a conduzione familiare che, con i suoi 250 anni di storia imprenditoriale, ha sempre avuto una visione a lungo termine, usando la finanza come un mezzo per sostenere i settori fondamentali per l’evoluzione della nostra economia e società: infrastrutture, nuove tecnologie, capitale umano, transizione energetica. Negli ultimi anni, la nostra azionista Ariane de Rothschild ha attuato una strategia chiara, fondata su due core business complementari, il private banking e l’asset management, che lavorano in sinergia per accompagnare clienti col nostro stesso mindset imprenditoriale che richiedono strategie a lungo termine definite in linea con i loro obiettivi personali. Concretamente, forniamo ai nostri clienti strategie e temi di investimento a forte impatto in grado di coniugare la dimensione economica con quella sociale e ambientale per permettergli di combinare la pura performance con un effetto reale sulla società. Per esempio, la nostra completa offerta di real-assets sviluppata negli ultimi 15 anni apporta valore aggiunto finanziando settori importanti dell’economia reale quali la nascita e la crescita delle Piccole e Medie imprese nei paesi in via di sviluppo, la creazione o la trasformazione di città che guardano al futuro, la modernizzazione delle infrastrutture ecc».
Lei vanta una solida esperienza maturata nel settore finanziario, in Svizzera e all’estero, sia nel private banking che nell’asset management. Quali sono state le principali tappe di questo suo percorso professionale?
«Raggiungere Edmond de Rothschild ha rappresentato per me l’evoluzione spontanea del mio percorso professionale. Ho lavorato in Italia e su altri mercati internazionali, prima come analista finanziario, poi come gestore di fondi comuni di investimento e da ultimo nell’ industria degli Hedge Fund e dei Private Equity. Nel 2008, sono arrivato in Svizzera per occuparmi di Private Banking come Branch Manager per varie entità sempre in Ticino. Questo mi ha permesso di unirmi al Gruppo con una prospettiva più completa, abbinando la comprensione dei mercati finanziari a quella delle aspettative ed esigenze dei clienti privati. Queste aspettative sono cambiate: le strategie guidate solamente dalla nozione di profitto e della ricerca di pura performance non sono più sufficienti. Oggi, mi occupo di clienti internazionali in Svizzera, Italia e America Latina e tutti i nostri clienti richiedono una comprensione raffinata delle loro priorità e una risposta taylor made alle loro esigenze – come la preparazione del passaggio generazionale e un approccio olistico che comprenda tutte le componenti del loro patrimonio. Il cliente oggi si preoccupa molto anche dell’impatto a lungo termine dei propri investimenti. Queste aspettative sono al centro dell’offerta di Edmond de Rothschild».
Edmond de Rothschild è storicamente specializzata in Strategie Private Banking e Investment banking: quali sono gli obiettivi e i più recenti risultati raggiunti?
«La Branch di Lugano è arrivata ad una nuova fase del suo sviluppo. Abbiamo lavorato con Hervé Ordioni, il nostro CEO International Private Banking, per affinare la nostra offerta e la nostra organizazzione e siamo pronti a crescere. Il mio obiettivo per Lugano è crescere reclutando bankers che siano in grado di sposare la filosofia Edmond de Rothschild. Siamo a Lugano da moltissimi anni e vogliamo crescere focalizzandoci sui mercati di nostro riferimento (Svizzera, Italia e America Latina). Oggi posso confermare che il nostro piano di recruiting è in stadio molto avanzato e i risultati dei nuovi inserimenti si vedranno già a fine di 2023 e 2024».
Quali sono nello specifico le funzioni concentrate nella direzione EDR di Lugano?
«Lugano è una delle nostre branch più complete ed è seconda per dimensione solo a Ginevra che è il nostro Head Quarter svizzero. Da Lugano, copriamo geografie importanti tra cui il Ticino, l’Italia e l’America Latina e il nostro hub rappresenta per il gruppo un centro di competenza per i mercati menzionati. Localmente abbiamo portfolio managers, investment advisors, wealth planners in grado di seguire a 360° i nostri clienti svizzeri e internazionali. Lugano è sicuramente un centro importante per la strategia del gruppo Edmond de Rothschild che ha sempre optato per un modello agile per crescere a livello internazionale, combinando centri di competenza forti sui nostri mercati core e crescita tramite partnership sui mercati secondari».
Allargando lo sguardo e in base alla sua pluriennale esperienza in che modo e in che misura le perduranti tensioni politiche internazionali potranno influenzare l’andamento dei mercati finanziari?
«Sicuramente, non possiamo negare che le tensioni politiche internazionali e le difficoltà economiche come l’inflazione hanno, e continueranno ad avere un impatto sui mercati. Ma abbiamo motivi per essere ottimisti. I periodi di volatiltà permettono anche di evidenziare strategie resilienti. Da Edmond de Rothschild, abbiamo sempre rifiutato di cedere alla tentazione di rispondere a tendenze di breve termine e puntiamo su megatrends e strategie che, avendo un’importanza critica per la trasformazione dell’economie, creano valore sul lungo termine. Per quanto riguarda il mercato svizzero, l’inflazione rimane inferiore a quella registrata negli altri paesi europei. La Svizzera è sempre stato un mercato stabile e invitante per i clienti internazionali. Rappresenta sempre per i mercati esteri a cui guardiamo un vero safe-haven e una solida riposta alla ricerca di professionalità che i clienti più sofisticati sempre di più desiderano».
Via Ginevra 2
CH-6901 Lugano
Tel. +41 (0) 91 913 45 00
UN PROGETTO COMUNE NEL MONDO DEL TRUST
DALLA FORZA DI UN TEAM DI ESPERTI ALTAMENTE QUALIFICATI, UNICO NEL SUO GENERE, NASCE V&G TRUSTEE, SOCIETÀ SVIZZERA
AUTORIZZATA FINMA, IN GRADO DI OFFRIRE UNA CONSULENZA DI ECCELLENZA NELL’UTILIZZO DEL TRUST, AL SERVIZIO DI CLIENTI SVIZZERI E INTERNAZIONALI.
V&G Trustee nasce dalla volontà di accrescere insieme le proprie competenze, per poter offrire ad una clientela sempre più sofisticata un servizio di consulenza a 360 gradi in ambito di successione, protezione, governance e passaggio generazionale, sfruttando la flessibilità che l’istituto giuridico del Trustee svizzero è in grado di offrire.
“In un momento di forte cambiamento nel settore dei gestori indipendenti e delle trustee company, accelerato dalle nuove regolamentazioni FINMA, sottolinea Antonio Mandrà, l’unione di competenze e di obiettivi siamo convinti sia la scelta ottimale per offrire alla nostra clientela servizi sempre più qualificati per famiglie e imprese”.
“Le esperienze e le competenze di V&G Trustee nel mondo del Trust, afferma l’Avvocato Fabio Gaggini, permettono di sfruttare le molteplicità di utilizzo che questo istituto giuridico di origine anglosassone incorpora, come strumento fondamentale di tutela personale e professionale rivolto a un futuro sempre più incerto e complesso”.
A tutt’oggi la Svizzera non dispone di un diritto dei Trust propriamente detto, motivo per il quale vengono utilizzati comunemente Trust stranieri, che costituiscono una realtà giuridica ed economica largamente diffusa e pienamente riconosciuti in Svizzera dall’entrata in vigore della Convenzione dell’Aia (2007). Anche se si tratta anzitutto di un istituto giuridico dei Paesi di common law, le sue radici affondano nel diritto romano e molti Paesi, a tradizione civilistica, hanno introdotto nel corso degli anni strumenti analoghi nei loro ordinamenti nazionali (fiducie, Treuhand).
Lo scorso gennaio 2022 è stato istituito dal Parlamento svizzero un avamprogetto per studiare la migliore modalità di inserimento del Trust nel codice delle obbligazioni svizzero, costituito da due gruppi di lavoro composti da specialisti interni ed esterni, uno specializzato in diritto civile e l’altro in diritto fiscale. Il disciplinamento è stato sottoposto anche ad un’analisi d’impatto della regolamentazione per verificare le conseguenze economiche dell’introduzione di un Trust regolato dal diritto svizzero. Il progetto è tuttora in discussione a cui partecipano anche alcuni esperti di V&G Trustee. L’attività di Trustee in Svizzera è regolata dalla LisFI (Legge sugli Istituti Finanziari), entrate in vigore il 1° gennaio 2020, da cui si evince che i Trustee professionali sono soggetti a licenza ed operano sotto la supervisione della FINMA. Inoltre i Trustee devono avere una adeguata capitalizzazione, sistemi di controllo interno e gestione dei rischi adeguata, nonché la presenza di manager qualificati che si occupano della gestione dei trust. Il Trustee in Svizzera deve an -
che adempiere agli obblighi di due diligence previsti dalla Legge sul Riciclaggio di Denaro (LRD) sotto la supervisione dei vari organismi di vigilanza. Tali disposizioni sono conformi alle normative europee e raccomandazioni GAFI. I Trustee svizzeri devono attenersi anche alle normative internazionali di conformità fiscale relative allo scambio automatico di informazioni. Il Trustee Svizzero beneficia dei vantaggi di vicinanza, cultura e lingua propri della Svizzera stessa, paese multilingue e multiculturale al centro dell’Europa. La redazione dell’atto di Trust nella lingua del disponente è un incredibile punto di forza a vantaggio dei beneficiari stessi oggi e in futuro. Rispetto a Trustee internazionali, che hanno sede in tutte le parti del mondo, il Trustee Svizzero fa della vicinanza e del contatto con il disponente, il protector ed i beneficiari il suo punto di
forza, affiancandoli in fase di costituzione e nella vita del trust stesso, al fine di individuare di volta in volta le
nuove esigenze del disponente, rispettivamente dei beneficiari, che potrebbero emergere.
RUGIANO È UN’AZIENDA ITALIANA CHE PRODUCE ARREDAMENTI DI LUSSO DESTINATI ALLE PIÙ BELLE CASE DEL MONDO. LE SUE COLLEZIONI PRESENTANO PRODOTTI UNICI, SENZA TEMPO, DESTINATI AD ACQUISIRE VALORE NEGLI ANNI.
ELEGANZA E RAFFINATEZZA DEI DETTAGLI
Lo stile di Rugiano si esprime nei dettagli, nell’attenzione al particolare, nel mobile finemente lavorato e nei ricami della pelle. Questa filosofia comporta anche utilizzo di nuovi materiali e la rivisitazione di quelli classici, ma trova soprattutto la sua massima espressione in una linea pulita e contemporanea che non è data dal togliere, ma dall’accostare con eleganza e sapienza.
Tutto nasce all’interno di Rugiano: innanzitutto l’idea, affidata all’Ufficio Stile che, in collaborazione con grandi nomi dell’architettura, dà forma sulla carta alle nuove collezioni. O che si pone al fianco del cliente e degli architetti nel caso si desideri un prodotto in tutto o in parte su misura. Ogni arredo è espressione di diverse competenze da una parte tecniche e dall’altra
artistiche in grado di vestire ogni abitazione di un’atmosfera unica.
Elementi che si ritrovano nella collezione Fandango. Il letto presenta particolari studiati con cura dalle linee morbide, delicate e avvolgenti, che ne fanno un prodotto di grande contemporaneità. Il cuore è la testata dai volumi arrotondati, dalle finiture sartoriali, impreziosita da dettagli in bronzo che esaltano il dettaglio delle pieghe generato dell’abbondanza del tessuto. Questi dettagli volumetrici sono presenti anche su tutto il perimetro della struttura stessa che conferiscono eleganza e raffinatezza a tutto il prodotto.
La sedia Fandango, caratterizzata dalle linee morbide, è pensata per accogliere il corpo in completa comodità e rilassatezza. Si veste di preziosi tessuti o morbide pelli rimanendo
sempre sé stessa: una sofisticata sedia dove le imbottiture di schienale e seduta sono pensate come un continuum, dal linguaggio estetico ricercato e dalle linee avvolgenti, per offrire una sensazione di grande accoglienza.
I dettagli delle pieghe date dall’abbondanza del rivestimento presenti sullo schienale contribuiscono ancora di più a renderla una seduta unica. Il divano Fandango ha una seduta integrata con la base, dalle forme arro -
tondate su cui poggia uno schienale avvolgente, sono le caratteristiche che rendono il divano Fandango un progetto non solo ergonomicamente perfetto ma anche visivamente accattivante. Si veste di preziosi tessuti o
morbide pelli rimanendo sempre sé stesso: un divano sofisticato, dal linguaggio estetico ricercato e dalle linee avvolgenti, che offrono una sensazione di grande accoglienza, grazie alle imbottiture di seduta e schienale. I dettagli delle pieghe date dall’abbondanza del rivestimento e la fascia metallica posteriore presenti sullo schienale contribuiscono ancora di più a rendere unico il divano fandango. La poltrona braccioli Fandango, caratterizzata dalle linee morbide, è pensata per accogliere il corpo in completa comodità e rilassatezza. Schienale e braccioli sono pensati come un continuum che si integrano alla confortevole seduta imbottita. Si veste di preziosi tessuti o morbide pelli rimanendo sempre sé stessa: una sofisticata poltrona, dal linguaggio estetico ricercato e dalle linee avvolgenti, che offrono una sensazione di grande accoglienza, grazie alle im -
bottiture di sedile e schienale. I dettagli delle pieghe date dall’abbondanza del rivestimento e la fascia metallica posteriore presenti sullo schienale contribuiscono ancora di più a rendere unica la poltrona fandango. Infine, la poltrona no braccioli della linea Fandango è pensata per accogliere il corpo in completa comodità e rilassatezza. Lo Schienale è pensato come un continuum che si integra alla confortevole seduta imbottita. Si veste di preziosi tessuti o morbide pelli rimanendo sempre sé stessa: una sofisticata poltrona, dal linguaggio estetico ricercato e dalle linee avvolgenti, che offrono una sensazione di grande accoglienza, grazie alle imbottiture di sedile e schienale. I dettagli delle pieghe date dall›abbondanza del rivestimento e la fascia metallica posteriore presenti sullo schienale contribuiscono ancora di più a rendere unica la poltrona Fandango.
Via Trevano, 15 LUGANOPISCINE PUBBLICHE PRIVATE SAUNE & SPA
RIPARAZIONI 24H
A COLLOQUIO CON DIEGO FASOLIS, DIRETTORE D’ORCHESTRA SVIZZERO, RICONOSCIUTO
NEL MONDO COME UNO DEGLI INTERPRETI DI RIFERIMENTO PER LA MUSICA STORICAMENTE INFORMATA.
Lei è riconosciuto nel mondo come uno degli interpreti di riferimento per la musica “storicamente informata”: possiamo spiegare con parole semplici di che cosa si tratta?
«A partire dalla metà dello scorso secolo è comparsa nel mondo dell’interpretazione della Musica d’Arte una corrente che non riteneva più accettabile che gli interpreti piegassero a una visione arbitraria e soggettiva le proprie esecuzioni, ma auspicava di riferirsi il più possibile a dati oggettivi: questo attraverso lo studio delle fonti originali, da rileggere e ripulire da stratificazioni di “tradizioni” e “vezzi” che incrostavano le opere. Per qualche anno e in particolare per il repertorio Barocco, si è parlato di esecuzioni “filologiche” legate allo studio delle partiture scritte, ma poi si è capito che gli studi musicologici dovevano allargare e arricchire l’orizzonte e si parla ora di “esecuzioni storicamente informate” anche per il Classicismo e il periodo Romantico».
Rigore stilistico, versatilità e virtuosismo: quale di queste doti risulta essere fondamentale per arrivare ad una esecuzione musicale “perfetta”?
«L’esecuzione “perfetta” non esiste ma è un forte ideale a cui tendere nel senso di mettere tutta la competenza e l’amore per i brani e l’autore che si eseguono per raggiungere una precisione tecnica, una visione ispirata e il contatto con l’anima del pubblico. L’obbiettivo è quello di commuovere ed educare».
LA MUSICA DEVE COMMUOVERE ED EDUCARE
Nel 1993 lei è stato nominato Direttore stabile dei complessi vocali e strumentali della Radiotelevisione svizzera con cui ha realizzato tra l’altro una monumentale produzione con seicento titoli dal Rinascimento al ‘900. Che cosa ha rappresentato la collaborazione con un ente così importante e prestigioso per la cultura in Svizzera e non solo?
«Il mio sogno non è mai stato quello di sviluppare una carriera internazionale ma piuttosto quello di potere disporre di una compagine di persone altamente dotate e desiderose di lavorare assieme regolarmente per un ideale alto di arte e fratellanza. La RSI mi ha permesso di realizzare questo sogno e festeggio quest’anno i trent’anni di attività. Che poi quel tipo di lavoro porti a un successo internazionale è diretta
conseguenza della qualità raggiunta e sono pieno di riconoscenza per un’istituzione che ha generato e sostenuto la cultura del nostro Paese grazie a dirigenti illuminati (non tutti) e a uno dei pochi effettivi esempi di solidarietà confederale in Svizzera».
Lei è anche fondatore e direttore dell’ensemble I Barocchisti: qual è il valore aggiunto e quali difficoltà comporta il suonare con strumenti storici?
«Per affrontare esecuzioni “storicamente informate” l’uso di strumenti originali o di copie fedeli è essenziale. Il timbro degli strumenti a fiato così come degli archi montati con corde di budello (non di metallo) è assolutamente non paragonabile al suono di un’orchestra che si esibisce con stru -
menti moderni. Certamente lo strumento storico presenta insidie in relazione all’intonazione, alla necessità di cambiare strumento a seconda delle tonalità dei brani (mi riferisco ai fiati), ma il rapporto “costi-benefici” pende grandemente per i benefici».
Per ricordare sua moglie Adriana Brambilla, le ha dedicato nel 2013 una Fondazione benefica. Quali sono gli scopi che si prefigge e in quali progetti è impegnata questa fondazione?
«Adriana era una persona molto discreta ma profondamente generosa. Durante la sua lunga malattia abbiamo avuto il tempo di decidere come valorizzare il nostro lascito. Con mia mamma Flavia Brivio e i genitori Jeannine e Adriano Brambilla (ora tutti purtroppo defunti) abbiamo deciso di onorare la memoria di Adriana tramite una fondazione che aiutasse giovani studenti di musica sulla difficile via dell’impegno professionale e che lo facesse nel rispetto della Natura. Abbiamo aiutato molti studenti a diplomarsi al Conservatorio della Svizzera italiana e lavoriamo per compensare l’inquinamento generato dalla nostra attività. Recentemente ho acquistato una grande proprietà a Vernate che diventerà un centro culturale, un piccolo “Monte Verità” nel Malcantone».
Come giudica la politica nel campo della musica, portata avanti della città di Lugano e dalle altre istituzioni culturali cittadine e cosa bisognerebbe fare per raggiungere il livello delle grandi capitali europee della musica?
«L’educazione di noi ticinesi è quella di non dare nell’occhio. Fare maluccio non va bene ma fare troppo bene non genera simpatie. Ecco che appena si pensa di fare un gran passo o un salto ci si reprime subito o si viene gambizzati. Un vero peccato perché non vi è ragione che Lugano (ma parlerei della Città Ticino unendo le forze e le caratteristiche di tutte le città che dista -
no una dall’altra meno che due quartieri di Milano) non possa essere una Salisburgo del sud. Ci siamo lasciati scappare Martha Argerich e il suo festival ma quello era un modello da seguire. Esiste un turismo musicale di alto livello culturale e spesso facoltoso che attende solo di scoprire nuove mete. Il Canton Ticino deve solo decidere di emanciparsi. Prima con l’educazione e poi con l’azione».
Lei ha suonato e diretto in tutti i teatri e le sale da concerto del mondo. C’è una qualche differenza, a livello di partecipazione del pubblico, nell’esibirsi a Vienna piuttosto che a Salisburgo o a Lucerna e perché no a Lugano? «Per me l’unica differenza sta nella competenza e nella preparazione del pubblico. Di fronte a un pubblico competente si sente una sferzata di energia enorme e la qualità dell’esecuzione sale. Ho diretto tre sere di fila la Nona di Beethoven alla Sala Dorata del Musikverein di Vienna invitato dal grande Nicholaus Harnoncourt e la sua orchestra “Concentus Musicus Wien” con un pubblico attentissimo che alla fine non ha applaudito ma si è alzato con le lacrime agli occhi. Ricordo anche la Grande Messa in si minore di Bach nella sua Thomas Kirche a Lipsia con il pubblico del Bach Festival che seguiva in religioso silenzio il capolavoro con la partitura in mano per poi esplodere alla fine in ovazioni incontenibili. Al sud delle Alpi dobbiamo ancora lavorare molto. Benedetto sia il Conservatorio. La Città della Musica sarà un luogo previlegiato per tutti».
Dopo una carriera così sfolgorante, qual è l’intimo piacere che prova ancora nel fare musica?
«Mio nonno Michelangelo Fasolis, musicista fondatore della Radiorchestra, mi sconsigliava di diventare musicista. Poi si è arreso dicendo “ha il virus della musica”. Malattia inguari -
bile e meravigliosa. La musica è per me la ragione di vita nel senso che è la sola arte che mette in relazione le anime con una vibrazione fisica. Educa, innalza, cura e consola. Vorrei per me che il piacere potesse tornare ad essere intimo. Per ancora studiare e suonare da solo senza compromessi e senza dover rendere conto alle bramosie di agenti e di direzioni artistiche sempre meno competenti e sempre più desiderose di “apparire” e di “vendere”».
Da ultimo, che rapporto è riuscito a stabilire nel tempo con i musicisti delle nuove generazioni e cosa vede nel futuro della musica “storicamente informata”?
«Con la Fondazione Adriana e l’Associazione “I Barocchisti” siamo sempre al fianco di istituzioni come il conservatorio della SI o l’Accademia della Scala per aiutare gli studenti. Ho recentemente diretto un programma beethoveniano con l’orchestra sinfonica del Conservatorio e ne ho ricavato grande soddisfazione e spero di aver anche potuto trasmettere qualche nozione ed emozione utili. I Barocchisti e il Coro RSI si arricchiscono ogni anno di nuove e giovani leve (anche se ho il massimo rispetto e stima per i miei “anziani” collaboratori che non lascio). Vedo che molte orchestre si indirizzano all’esecuzioni HIP (historically informed performance). Ho fondato al Teatro alla Scala l’orchestra su strumenti storici, altrettanto sto facendo da sei anni con il progetto Vivaldi al Teatro la Fenice di Venezia e sono regolarmente inviato da molte orchestre che desiderano aggiornarsi su questi aspetti. Le nuove generazioni sono tutte informate sulle prassi esecutive e chiedono di applicarle. Mi sarebbe piaciuto unire le forze con l’OSI per farne una delle prime compagini in grado di offrire sei secoli di repertorio con la strumentazione e lo stile adeguato. Come detto, i balzi verso l’alto non sempre piacciono al nostro Paese...».
Palazzo Mantegazza
Riva Paradiso 2
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Ristorante Meta
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QUANDO VEGETARIANO VUOLE DIRE ANCHE BUONO
LO CHEF DEL RISTORANTE META DI LUGANO LUCA BELLANCA GUARDA AVANTI E HA PRESO SPUNTO DAI SEGRETI DI FAMIGLIA E IN GENERALE
DALLA CUCINA TRADIZIONALE MEDITERRANEA PER PROPORRE UN MENÙ VEGETARIANO IN GRADO DI SODDISFARE I PALATI PIÙ ESIGENTI.
Nel mese di agosto 2023 il termine «sostenibilità» ha avuto in Ticino un aumento di ricerche su Google del 500%, diventando quello che viene definito un trend. Certo, parliamo di una parola che ha innumerevoli declinazioni e che, purtroppo, spesso è il pretesto per dividerci in polemiche e discussioni, quando invece dovrebbe unirci, anche in considerazione delle sfide globali che stiamo affrontando come individui e come società. Soprattutto perché, a volte, per approcciarci al meglio a un futuro incerto basterebbe guardare nei capisaldi del nostro passato.
Il settore alimentare, in particolare quello per la produzione di carne, ha un importante impatto ambientale e sono molte le persone che in questo periodo stanno cambiando alimentazione proprio per questo motivo: la personale sfida di Bellanca è stata quindi quella di riuscire a riportare
queste persone nei ristoranti gastronomici con una carta che non faccia sentire loro in difetto, abolendo la parola «rinuncia» per sostituirla con «opportunità». «Quando ho ideato questo percorso degustativo mi sono reso conto di come la storia della gastronomia italiana sia fatta di tantissime prelibatezze tipiche vegetariane, che esaltano il gusto della verdura e dei legumi. Le ho integrate con alcune ricette davvero squisite che ho scoperto nei miei viaggi all’este -
ro, rivisitando tutto in chiave gourmet, giocando con i sapori e i contrasti». Ecco quindi un menù dove le materie prime diventano assolute protagoniste, evitando prodotti lavorati come seitan e tofu: dalla reinterpretazione dell’insalata di cetriolo con tzatziki, finocchietto e menta, omaggiando la cucina greca, al salmorejo, tipica zuppa valenciana a base di pomodoro e pane.
Una semplicità solo apparente, ma che in realtà nasconde mille sfumature di gusti e una grande ricerca degli ingredienti migliori, come le carote viola o il Parmigiano Reggiano Vacche Rosse. Ma, dato che la cucina è soprattutto emozione, a sorprendere è l’uovo con spuma di melanzane e fondente di cipolla: un «omaggio alla mamma» che rientra anche nei grandi classici dello chef. «Una ricetta che mia madre preparava sempre a me e mio fratello e che mi riporta al passato – racconta, con una punta di commozione, Bellanca -.
Rappresenta le radici della mia cucina, è un orgoglio per me presentarla ai nostri ospiti in un contesto gourmet». Sin da subito, la risposta dei clienti nei confronti della nuova proposta del ristorante stellato luganese è stata entusiasmante: «La soddisfazione più grande è vedere quante persone «onnivore» provino per curiosità il percorso vegetariano, abbattendo ogni pregiudizio e scetticismo, per poi dirmi a fine cena che non hanno assolutamente sentito la mancanza della carne». «Era proprio questo il nostro obiettivo: proporre una nuova visione della degustazione gastronomica, che venga incontro alle esigenze di tutti - gli fa eco la direttrice del META Evelyn Mantegazza –. Vogliamo aprire le porte del nostro ristorante a chiunque, qualsiasi siano le loro scelte alimentari o intolleranze». Non è un caso che una delle grandi novità del ristorante stellato di Riva Paradiso sia un menù a prezzo ridot-
to, un giorno la settimana, dedicato agli under 30. Perché una delle tante declinazioni della sostenibilità può essere anche quella finanziaria. «Ripenso a quando, da giovane, ho cominciato ad avere passione per l’alta gastronomia – commenta Bellanca -. Andare in uno stellato era un’esperienza affascinante, ma anche impegnativa dal punto di vista economico. Sono quindi consapevole che ci sia chi fatica ad approcciarsi a questo mondo: noi vorremmo far capire loro che non solo può valerne la pena, perché dietro al costo di un piatto c’è una ricerca e il lavoro di un’intera brigata, ma che può aprire le porte di nuovi gusti, nuove sensazioni e nuove esperienze che sarebbe davvero un peccato non provare almeno una volta. E se anche solo uno di loro si incuriosisse e cominciasse ad appassionarsi alla cucina, sarebbe la nostra vittoria più grande».
IL RACCONTO DELLE TONNARE
DI CARLOFORTE, UN LUOGO UNICO
DOVE SI RIPETE UNA TRADIZIONE
CENTENARIA. ALL’INTERNO DI UN COMPLESSO DI EDIFICI BIANCHI
DI MATTONI E LEGNO DIPINTO
DI AZZURRO DA CENTINAIA DI ANNI
CONTINUANO A INTRECCIARSI
STORIE DI VITA, PESCA, PASSIONE E NATURA.
DI MARTA LENZISI FA PRESTO A DIRE TONNO!
La pesca del tonno ha radici antichissime: si praticava già nella preistoria, furono poi i Fenici a costruire le prime tonnare e la prima descrizione è del greco Aristofane che racconta di una vedetta che si appostava sul rilievo costiero più alto per segnalare l’arrivo dei tonni, spinti dalle correnti marine all’interno di un intrigo di reti. Nei secoli, i più famosi autori di ricettari della storia gastronomica italiana
descrissero le doti di conservabilità e versatilità del tonno. Così l’umanista gastronomo Platina, nel 1475 in De Honesta Voluptate et Valetudine : «Dopo averli catturati, si tagliano a pezzi e sono ottimi da mangiare dal capo all’addome. I tonni si conservano sotto sale e nei giorni di digiuno si mangiano in luogo degli altri alimenti».
Fino al Settecento il tonno sarà conservato sotto sale, solo nell’Ottocento si inizierà a metterlo sott’olio e tutto cambierà con la scoperta del francese Nicolas Appert per preservare gli alimenti dentro barattoli sterilizzati.
Le tonnare sono parte integrante della civiltà mediterranea, per secoli importanti realtà produttive in Italia, in particolare in Sicilia e Sardegna, Spagna, Francia, e nelle coste nordafricane del Maghreb.
Ancora oggi, nell’estremità sud-occidentale della Sardegna, a una sessantina di km da Cagliari, nell’arcipelago
del Sulcis, l’isola di S. Pietro è il regno delle tonnare e del Tonno Rosso. A Carloforte, unico centro abitato dell’isola, si trova un punto strategico che da secoli favorisce la cattura dei tonni, con la tonnara fissa, una delle poche ancora presenti nel Mediterraneo. Nel 1700, vi giunse una popolazione di origine ligure i cui discendenti costituiscono la radice della popolazione attuale e una famiglia genovese tuttora continua a mantenere viva la tradizione e la cultura di una pesca al tonno che in Italia ormai si pratica solo qui. Salvatore Greco, protagonista negli ultimi decenni della sopravvivenza del sistema “tonnara fissa” e da sempre in prima linea nelle battaglie ambientali a difesa dell’ecosistema, con i figli Giuliano, Pier Paolo e Andrea, prosegue il lavoro iniziato secoli prima dai trisavoli, quando a metà del 1600 il Re di Spagna concesse a un banchiere genovese la gestione di tutte le tonnare di Sardegna,
all’epoca patrimonio della Real Corona. Ormai, sono gli unici a gestire una filiera completa che va dalla pesca del tonno di corsa, alla trasformazione in conserve sott’olio, fino alla commercializzazione. Il Tonno di Carloforte è il Thunnus Thynnus, detto “Tonno di corsa”, perché pescato durante la sua migrazione che avviene tra aprile e giugno, il periodo migliore dell’anno per lo stato delle sue carni, quando fa la “corsa”, ovvero torna per la riproduzione nelle stesse aree marine in cui è nato e le sue carni sono più grasse e gustose. Dopo il plenilunio di primavera, un’imponente corrente d’acqua proveniente dallo Stretto di Gibilterra investe le coste occidentali della Sardegna. Nel suo percorso, la corrente accoglie i tonni che cominciano a risalire in superficie dalle profondità dove trascorrono l’inverno, trascinandoli fino alle zone costiere dove sono presenti le tonnare. Riprenderanno in seguito il loro viaggio a digiuno verso l’oceano diventando “tonni di ritorno”. La tonnara è un sistema di pesca di antichissima tradizione araba: è composta da più camere, formate da reti che dalla superficie raggiungono il fondo del mare; ogni camera è separata dall’altra da porte mobili che consentono il passaggio dei tonni. L’abilità dei tonnarotti, che lavorano quotidianamente sull’impianto, consiste proprio nel far passare i tonni da una camera all’altra fino a raggiungere l’ultima, dove vengono catturati. Quotidianamente un gruppo di sommozzatori controlla lo stato delle reti e i tonni all’interno: quando il numero diventa rilevante viene organizzata la pesca:
dallo storico stabilimento prendono il largo le tipiche imbarcazioni da pesca dette “Bastarde” che percorrendo il profilo della punta dell’isola raggiungono la tonnara. Un rituale che si ripete invariato da centinaia di anni.
Un sistema di pesca ecologico perché permette di selezionare i pesci sottraendo alla cattura gli esemplari più piccoli e giovani: ogni stagione vengono liberati branchi di grandi dimensioni composti da esemplari di peso inferiore ai 30 kg.
La vicinanza della tonnara fissa allo stabilimento consente così una conservazione del prodotto fantastica, garantendo una qualità della carne ad altissimi livelli, lavorata poi al meglio dai tagli manuali dei tonnarotti, depositari di un’arte che si tramanda di generazione in generazione.
Non esiste nel mediterraneo altro impianto con catture così vicine e favorevoli. Un percorso che infatti ha ottenuto il certificato Ecocrest Gold, che attesta un sistema di pesca ecocompatibile ed una filiera controllata, e garantito dal Friend of the sea, lo standard di certificazione leader per prodotti e servizi che rispetta e protegge l’ambiente marino.
Un tempo, dopo la mattanza, il tonno veniva prelevato e sistemato all’ombra su tappeti di canna per l’asciugatura e disposto in lattoni da 10 kg per poi venire cotto in batterie di enormi pentole che è possibile vedere ancora nello stabilimento, con parte dei macchinari delle varie epoche.
Oggi, una volta pescato, lavorato ed asciugato, viene temporaneamente riposto in celle frigo, prima che i vari filetti vengano suddivisi per tipologia:
briciole, buzzonaglia, tarantello, tonno di corsa e ventresca, la parte più pregiata del tonno. Senza dimenticare la buonissima bottarga, le uova salate ed essiccate ancora nella sacca ovarica, dal sapore deciso ma delicato. Del tonno infatti non si butta via nulla, per questo è chiamato il maiale di mare.
Il tonno viene poi riposto a mano in latte da dieci chilogrammi unitamente ad acqua di sorgente dell’isola, con una successiva cottura di circa otto ore. Dopo mesi di maturazione, le grandi latte vengono aperte e i tranci di tonno vengono prelevati, selezionati e deposti rigorosamente a mano nelle scatole piu piccole destinate al mercato con un ultimo rabbocco di buon olio extravergine di oliva.
Un prodotto quindi diverso dal tonno “in olio” o “all’olio”. La differenza consiste proprio nel quantitativo di olio presente nelle confezioni in relazione alla quantità di pesce, dove i grassi saturi del pesce vengono in parte ceduti all’olio d’oliva e i grassi polinsaturi dell’olio d’oliva vengono in parte assorbiti dal pesce che diviene così più facilmente digeribile. Quanto lavoro dietro a una scatoletta! Immergersi in questa atmosfera per alcuni giorni è stata una esperienza fantastica: ascoltare le voci dei protagonisti, vedere l’amore e la passione, l’impegno e la fatica che mettono in tutto il loro lavoro per preservare tradizione e qualità, respirare il profumo intenso del mare e percepire il forte legame che unisce l’uomo alla natura, tutto questo è un valore aggiunto che rende unico l’assaggio. Che sia ventresca, la parte più grassa e tenera del tonno compresa tra le branchie e la regione ventrale o Tarantello, un taglio particolare del tonno praticato solo da mani esperte, altrettanto tenero e prezioso o il Tonno di Corsa, la parte schienale, più ricca di muscoli, ottimo anche crudo come sashimi o tartare, grazie alle tonnare di Carloforte si può intraprendere un viaggio indimenticabile in mare e con il mare, fatto di profumi, sapori e tanta storia.
UN FESTIVAL CHE SORPRENDE SEMPRE
DAL 24 SETTEMBRE AL 12 NOVEMBRE, 11 CHEF FRANCESI STELLATI MICHELIN, PER UN TOTALE DI 22 STELLE, PORTERANNO IL LORO ESTRO CULINARIO CON 12 OFFICIAL NIGHTS CHE SI SVOLGERANNO, COME SEMPRE, IN ALCUNE DELLE PIÙ BELLE E SIGNIFICATIVE LOCATION DEL TICINO, DOVE VERRANNO OSPITATI DAI COLLEGHI TICINESI CHE OGNI ANNO METTONO A DISPOSIZIONE PROFESSIONALITÀ E SAVOIR-FAIRE NELLA PREPARAZIONE DI CENE UNICHE E IRRIPETIBILI.
Il francese è la quinta lingua parlata nel mondo, è una delle lingue nazionali ufficiali svizzere ed è soprattutto, da sempre, la lingua della gastronomia per eccellenza. Et voilà, la diciassettesima edizione di S.Pellegrino Sapori Ticino: dedicata alla gastronomia francese e ad alcuni dei suoi migliori chef, la manifestazione 2023 è servita.
La particolarità di S.Pellegrino Sapori
Ticino è da sempre quella di unire i due settori fondamentali del turismo, da una parte l’industria alberghiera e quella della ristorazione, dall’altra di sviluppare uno scambio culturale con i paesi ospiti e ogni anno di proporre qualcosa di nuovo: così l’edizione 2023 varca i confini nazionali e si presenta a Parigi il 21 settembre con una conferenza stampa e una cena di gala presso l’Ambasciata di Svizzera in Francia su invito dell’Ambasciatore Roberto Balzaretti. Due momenti che si svilupperanno grazie al supporto di Svizzera Turismo
Francia in collaborazione con i Swiss Deluxe Hotels, l’associazione che riunisce 39 fra i migliori e più esclusivi Hotel 5 stelle della Svizzera, importanti partner del Festival da oltre 10 anni, unitamente alle Grandes Tables Suisses.
Tanti protagonisti per presentare le eccellenze svizzere nel settore dell’ospitalità e della ristorazione: Dario Ranza, del Ristorante Ciani – Lugano; Luca Bellanca (1 stella Michelin - GTS), del ristorante Meta – Lugano; Domenico Ruberto (1 stella Michelin- SDHGTS) dell’Hotel Splendide Royal, Lu-
gano; Massimiliano Sena (1 stella Michelin - SDH) del Four Seasons Hotel des Bergues, Ginevra; Dominik Sato e Fabio Toffolon (1 stella MichelinSDH) del The Chedi Andermatt. Coadiuvati dallo chef dell’ambasciata Jérôme Lemoine, presenteranno i sapori e i saperi della Svizzera in una cornice ricca di storia e di fascino.
«Un grande orgoglio – sostiene Dany Stauffacher, CEO & Founder di SPST – poter esportare i saperi e i sapori enogastronomici dei nostri territori in un Paese che è la culla dell’alta gastronomia. Come sarà un grande orgoglio ospitare in Ticino grandi personalità francesi, da nomi storici a rivelazioni dell’ultimo periodo, per una proposta globale e interessante per tutti. Un’edizione – continua Dany Stauffacher- che vuole essere l’inizio di un nuovo ulteriore percorso per un continuo scambio culturale».
• 1 ottobre Giuliano Sperandio (2 stelle Michelin - Restaurant Taillevent, Paris) ospite di Marco Campanella dell’Eden Roc di Ascona;
• 9 ottobre Christope Hay (2 stelle Michelin – 1 stella verde - Restaurant Fleur de Loire, Blois) ospite di Giuseppe Pistritto al Swiss Diamond Hotel di Morcote;
• 10 ottobre Lionel Giraud (2 stelle Michelin – Maison Saint Crescent La Table Lionel Giraud, Narbonne) ospite di Mattias Roock al Castello del Sole di Ascona;
• 12 ottobre Benoît Carcenat (1 stella Michelin – Migliore Chef
2023 per GM Suisse - La Table du Valrose, Rougemont) ospite di Nicola Leanza del Seven Ascona;
• 17 ottobre Florent Pietravalle (1 stella Michelin – La Mirande, Avignone) ospite di Davide Asietti del Blu Restaurant & Lounge di Ascona;
• 18 ottobre Marcel Ravin (2 stelle Michelin - 1 stella verde -Blue Bay, Montecarlo) ospite di Alessandro Boleso a Villa Castagnola, Lugano;
• 22 ottobre Franck Putelat (2 stelle Michelin – La Table de Franck Putelat, Carcassonne) sarà ospite di Riccardo Scamarcio a Villa Orselina;
• 24 e 25 ottobre Emmanuel Renaut (3 stelle Michelin – 1 stella verde –Flocon de sel, Megève) sarà ospite per due serate rispettivamente di Cristian Moreschi a Villa Principe Leopoldo - Lugano e di Dario Ranza e Loris Meot al Ciani di Lugano;
VIVE LA FRANCE
• 31 ottobre Jérôme Banctel (2 stelle Michelin – Le Gabriel, Hotel La Réserve, Paris) ospite di Emanuele Bertelli al Seven di Lugano;
• 5 novembre Gaël e Mickaël Tourteaux (2 stelle Michelin – Flaveur - Nizza) ospiti di Luca Bellanca al Ristorante Meta, Lugano.
• 7 novembre Mauro Colagreco (3 stelle Michelin, 1 stella verde, Mirazur, Mentone) ospite di Domenico Ruberto all’Hotel Splendide Royal, Lugano e Padrino del Festival.
L’affezionato pubblico di SPST scoprirà che nelle proposte francesi del momento, oltre a tanta storia, c’è una grande attenzione all’impegno ambientale, con utilizzo di prodotti stagionali e locali alla base dei menu e con la sostenibilità come caratteristica distintiva di tanti progetti culinari. Anche la Ladies night parlerà francese quest’anno: il 2 ottobre Georgiana Viou , rivelazione dell’anno con il suo ristorante Rouge a Nîmes e una stella Michelin, sarà al Seven di Lugano.
Come ogni anno il Festival inizierà
ufficialmente con il Grand Opening presso l’Hotel Splendide Royal di Lugano domenica 24 settembre dedicato agli Chef di Swiss Deluxe Hotels per poi continuare con le serate ufficiali e si chiuderà domenica
12 novembre sempre con il Final Party all’Hotel Splendide Royal di Lugano dove quest’anno alcuni chef
Grandes Tables Suisses del Ticino onoreranno la cucina del primo bistellato ticinese a fine anni ’60, Angelo Conti Rossini, di cui ricorrono i 100 anni dalla nascita.
Non mancheranno le serate promozionali oltre Gottardo dedicate al Ticino, nelle strutture di alcuni membri del gruppo Swiss Deluxe Hotels , quest’anno al The Dolder Grand a Zurigo e al Beau Rivage Palace di Losanna, dove affiatati gruppi di top Chef ticinesi porteranno il loro estro culinario abbinato alle eccellenze enologiche del nostro territorio, e tanti altri appuntamenti molto amati dal pubblico di SPST, tra cui l’immancabile appuntamento con il Déjeuner au Château presso la Tenuta Castello di Morcote il 17 settembre, un momento particolare dedicato questa volta alla cucina tardomedievale del grande cuoco bleniese del XV secolo, Maestro Martino, il primo cuoco moderno, a dimostrazione che il territorio che da 17 anni celebra grandi chef grazie a S.Pellegrino Sapori Ticino già da metà del 1400 era la culla della cultura gastronomica.
Torna anche la serata Lounge il 5 ottobre al Casino’ di Lugano, un momento dedicato principalmente ai giovani con una proposta enogastronomica sempre di alto livello.
Grande passione, grande impegno, grandi proposte e grandi partners: tutto questo è S.Pellegrino Sapori Ticino.
Maggiori dettagli su www.sanpellegrinosaporiticino.ch
01
Dall’alto a sinistra:
Tito Modugno, Ambrogio Stefanetti, Marco Badalucci, Davide Asietti, Marco
Campanella, Andrea Muggiano, Andrea
Pedrina, Trevor Appignani, Andrea Levratto, Loris Meot , Mattias Roock, Diego Della
Schiava, Luca Bellanca, Giuseppe Pistritto, Federico Palladino, Cristian Moreschi, Andrea Bertarini, Nicola Leanza, Riccardo
Scamarcio, Moreno Manzini, Domenico
Ruberto, Emanuele Bertelli, Alessandro
Boleso, Frank Oerthle, Dario Ranza, Lorenzo Albrici con Dany Stauffacher
02
Florent Pietravalle
Poutargue asperge
Ph: © Florian Domergue
03
Mauro Colagreco
Fleur De Capucine Concombre
Ph: © Matteo Carassale
04
Christophe Hay
Carpe à la Chambord, truffe uncinatum, écrevisse, sauce au vin de Cheverny
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Marcel Ravin
Volaille noire
Ph: © Fabbio Galatioto
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Gaël e Mickaël Tourteaux
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Georgiana Viou
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Benoît Carcenat
Homard
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Emmanuel Renaut
Cardon épineux de Plainpalais rôti
Ph: © Anne-Emmanuelle Thion
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Franck Putelat
Ravioli
Ph: © Verri
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Giuliano Sperandio
Pithiviers ris de veau truffe sauce vin rouge
Ph: © Arbès Food
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Jérôme Banctel
La Carotte
Ph: © Julie Limont
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Lionel Giraud
Pois chiches de Biograneta, frais et fermentés. Montbrun Lauragais
Relax & Recharge
Un olimpo di charme, dedicato al culto del benessere, pensato per gli ospiti dell’hotel, ma aperto anche ai visitatori esterni.
I LAGHI SONO UNA RISORSA IMPORTANTE PER IL TERRITORIO CON LA LORO INCREDIBILE VARIETÀ DI PESCI CHE RAPPRESENTA UNA GRANDE RICCHEZZA ORMAI BEN CONSOLIDATA NELLA TRADIZIONE CULINARIA REGIONALE.
Icorsi d’acqua in Ticino sono numerosi e, oltre a trasmette energia e serenità, offrono occasioni di benessere, sport, divertimento e tante altre attività. Il lago di Lugano o Ceresio, piccolo bacino naturale con la sua forma irregolare e il lago Maggiore, grande lago prealpino dal fascino tutto mediterraneo, sono mete molto ambite dai turisti. I ristoranti con le loro terrazze in riva al lago offrono un’ospitalità calda ed accogliente che si completa con un’offerta gastronomica gustosa, raffinata e di qualità. Trota, persico, coregone, salmerino, luccio e lucioperca, e ancora anguilla e tinca sono i pesci più cucinati dagli chef di Ticino Gourmet Tour: in carpione o con il risotto sono le ricette più tradizionali, ma ci sono anche diverse rivisitazioni in chiave più moderna.
DAL LAGO AL PIATTO
Lo chef Raffaele Giannone del ristorante Bottegone del Vino di Lugano propone un piatto di lago della tradizione culinaria lacustre ticinese: Filetto di luccioperca gratinato al timo.
Ingredienti per 4 persone:
• 300g di filetto di luccioperca
• un rametto di timo
• un cucchiaio da zuppa di pan grattato
• una testa di radicchio tardivo
• una carota
• una zucchina,
• un mazzetto di bruscandoli
• un cucchiaino da caffè di senape al miele
• 3 cucchiai di olio EVO.
Procedimento:
Pelare la carota e tagliarla a dadini insieme alla zucchina. Lavare il mazzet-
to di bruscandoli. Poi saltare in padella la carota, dopo un paio di minuti aggiungere la zucchina e cuocere a fuoco forte per circa tre minuti. Lasciare le verdure croccanti. Tagliare il radicchio a 1 cm di larghezza, scottarlo in padella e lasciarlo croccante. Cuocere in un pentolino il mazzetto di bruscandoli con olio e un goccino di acqua per pochi minuti. Poi adagiare il filetto di luccioperca su una teglia da forno coperta da carta da forno, aggiungere il sale sotto e sopra, aggiungere una spruzzata di pangrattato e timo, cospargere di olio e infornare a180° per otto minuti. Scaldare la carota insieme alla zucchina e al radicchio, adagiare su un piatto le verdure e appoggiare sopra il filetto, i bruscandoli e un goccio di olio prima di servire.
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PARLATO CON FABIO BONETTI, DIRETTORE ORGANIZZAZIONE
TURISTICA LAGO MAGGIORE E VALLI.
Che siano turisti nazionali o internazionali, in qualsiasi stagione, tutti sono sempre più alla scoperta di esperienze che permettano di scoprire la cultura dei luoghi, attraverso soprattutto l’enogastronomia. Un territorio ricco di tante stelle come il Ticino (ad Ascona Marco Campanella del Ristorante Brezza dell’Hotel Eden Roc, Mattias Roock della Locanda Barbarossa del Castello del Sole, Rolf Fliegauf del Ristorante Ecco dell’Hotel Giardino; a Lugano Cristian Moreschi di Villa Principe Leopoldo, Domenico Ruberto de I Due Sud presso l’Hotel Splendide
Royal, Luca Bellanca del Ristorante
Meta, Diego Della Schiava del Ristorante The View; a Bellinzona Lorenzo Albrici della Locanda Orico) può contare anche sul progetto di Dany Stauffacher, Ticino Land of Stars, pensato proprio per valorizzare l’aspetto enogastronomico della nostra regione e attirare turisti alto spendenti tutto l’anno.
L’enogastronomia
è uno dei principali motivi che spingono il turista a scegliere il Ticino come meta per le proprie vacanze. Avere un numero così importante di ristoranti stellati sul nostro territorio cambia qualcosa a livello turistico?
«La presenza di un numero significativo di ristoranti stellati nel nostro territorio ha sicuramente un impatto sul settore turistico. Questi ristoranti attirano l’attenzione di visitatori che apprezzano l’enogastronomia di alta qualità e sono disposti a viaggiare per sperimentare le eccellenze culinarie. Questo contribuisce a posizionare il Ticino come una meta privilegiata per gli amanti del buon cibo e del buon vino».
Che ruolo ha l’offerta enogastronomica all’interno della vostra proposta ai turisti?
«All’interno della nostra proposta turistica, l’offerta enogastronomica riveste un ruolo chiave. La promozione e la
valorizzazione della cucina locale, dei prodotti tipici e dei vini regionali sono elementi centrali per offrire un’esperienza autentica ai nostri visitatori. Cerchiamo di creare sinergie tra enogastronomia, cultura, paesaggio e ospitalità, per offrire un pacchetto completo che soddisfi le aspettative dei turisti».
Dalla vostra postazione privilegiata come vedete il futuro del turismo?
«Dal nostro punto di vista, vediamo il futuro del turismo come un mix equilibrato tra sostenibilità, autenticità e innovazione. È fondamentale preservare il nostro patrimonio naturale e culturale, offrendo al contempo esperienze innovative e coinvolgenti. L’evoluzione della tecnologia e le nuove tendenze influenzeranno sicuramente le modalità di viaggio e l’interazione con i turisti, ma la nostra attenzione rimarrà focalizzata sulla qualità dell’offerta e sul mantenimento di uno stretto legame con il territorio».
Come è cambiato il turista, se è cambiato, negli ultimi anni?
«Negli ultimi anni, abbiamo notato un cambiamento nel comportamento del turista. I viaggiatori sono diventati più esigenti e attenti all’esperienza complessiva del viaggio. Cercano autenticità, desiderano conoscere la cultura e la storia dei luoghi che visitano, e sono interessati a vivere esperienze uniche e personalizzate. Inoltre, sono sempre più sensibili alle questioni ambientali e alla sostenibilità».
Le esigenze del luxury traveller sono cambiate nell’ultimo periodo?
«Le esigenze del luxury traveller sono cambiate nel corso del tempo. Oltre al desiderio di comfort e servizi esclusivi, i turisti di lusso cercano esperienze autentiche, legate alla cultura e al territorio. Sono interessati a scoprire le eccellenze locali, compresa l’enogastronomia di alta qualità. La sostenibilità è diventata un aspetto sempre più importante anche per i viaggiatori di lusso, che sono attenti all’impatto ambientale e sociale dei loro viaggi».
Il turismo di lusso avrà un ruolo sempre più importante?
«Sì, il turismo di lusso avrà un ruolo sempre più importante, incluso nel contesto dell’enogastronomia. Molti viaggiatori di lusso sono alla ricerca di esperienze esclusive e raffinate, che includono anche la scoperta e l’apprezzamento della cucina locale e dei vini di alta qualità. L’enogastronomia di livello superiore può fungere da attrattiva per il turismo di lusso, offrendo esperienze culinarie uniche, visite a cantine prestigiose, degustazioni guidate e incontri con chef rinomati. Tutto questo non solo sul mercato interno bensì su quelli esteri che noi privilegiamo come Germania, Francia, Gran Bretagna e Nord America. Tuttavia, è importante mantenere un equilibrio tra il turismo di lusso e il rispetto per l’ambiente, la cultura e le comunità locali. L’enogastronomia di qualità può essere promossa in modo sostenibile, valorizzando prodotti locali, pratiche agricole sostenibili e una connessione autentica con il territorio. In questo modo, il turismo di lusso può es-
sere un driver positivo per lo sviluppo economico e la promozione del territorio, senza compromettere la sua integrità e autenticità. Attraverso l’enogastronomia avremo la possibilità di posizionarci anche nel segmento del lusso nei mercati esteri sui quali lavoriamo».
In questo contesto cosa pensa del progetto Ticino Land of Stars?
«Riguardo al progetto “Ticino Land of Stars”, lo vediamo come un’iniziativa interessante che può contribuire a valorizzare ulteriormente il turismo nel nostro territorio. La promozione del Ticino come una regione ricca di attrazioni enogastronomiche di alto livello, unita alla bellezza del paesaggio e alle ricchezze culturali, può attirare un pubblico più ampio e internazionale».
Quali sono le nuove strategie, quali le attività su cui avete scelto di concentrarvi?
«Le nuove strategie che abbiamo adottato si concentrano sull’innovazione e sull’adattamento alle nuove tendenze del settore turistico. Abbiamo investito nella promozione online e nei canali di comunicazione digitale, puntando sull’utilizzo dei social media e di piattaforme di prenotazione online. Stiamo riconoscendo il crescente interesse per le attività
all’aperto come un’opportunità strategica per il nostro sviluppo turistico futuro. Le attività outdoor abbracciano praticamente tutti i segmenti di mercato sui quali lavoriamo e agiscono come un complemento perfetto all’enogastronomia. Attraverso la valorizzazione del nostro paesaggio unico e delle nostre risorse naturali, miriamo a offrire esperienze coinvolgenti e avvincenti per i visitatori di tutte le età e di ogni livello di abilità. Dalle escursioni panoramiche alle av-
venture in mountain bike, dal trekking alpino alle esperienze legate al lago, abbiamo l’intenzione di promuovere attivamente l’ecoturismo e le attività all’aperto come parte integrante della nostra offerta turistica. Siamo consapevoli che le attività outdoor attraggono non solo gli amanti della natura e degli sport estremi, ma anche famiglie, coppie in cerca di romanticismo e viaggiatori alla ricerca di una pausa rigenerante. Pertanto, nei prossimi anni, lavoreremo attivamente per sviluppare e promuovere ulteriormente le attività all’aperto come parte integrante della nostra proposta turistica».
01
Barca, Gerra Gambarogno
© Ascona-Locarno Tourism
Ph: © Alessio Pizzicannella
02
Switzerland Tourism
Ph: © Christian Meixner
03
Mercato, Ascona
© Ascona-Locarno Tourism
Ph: © Alessio Pizzicannella
GUSTO E BENESSERE
LE PROPOSTE DEL RISTORANTE
“LA BREZZA” DELL’HOTEL
EDEN ROC AD ASCONA SONO
FIRMATE DAL PRESTIGIOSO
CHEF MARCO CAMPANELLA
DI GIACOMO NEWLIN
Due stelle Michelin e 18 punti Gault & Millau sono solo due dei riconoscimenti ottenuti dal giovane, poco più che trentenne, chef Marco Campanella, tedesco di nascita, ma italiano di cuore. La passione per la cucina l’ha sempre avuta, un po’ anche perché viene da una famiglia di gastronomi, mentre la professione l’ha imparata da grandi chef, come il tristellato Andreas Caminada al ristorante Schloss Schauenstein e come il bistellato Andreas Krolik al ristorante Lafleur a Francoforte. Da cinque anni è chef titolare del ristorante “La Brezza” dell’Hotel Eden Roc di Ascona, uno dei più prestigiosi alberghi della Svizzera. Marco ama molto viaggiare e la sua cucina è, come dice lui, una cucina aperta al mondo, in cui si percepisce a volte un afflato di profumi esotici, consistenze e prodotti, mentre rimane sempre ben presente, sia una linea mediterranea, sia una base della cucina classica francese. Nei suoi piatti i prodotti
vengono lasciati il più possibile al naturale, con un’attenzione particolare alla loro freschezza. Un aspetto di grande rilevanza è l’impegno, la cura che Marco dedica a tutte le sue preparazioni, affinché risultino salutari e perfettamente digeribili. Questo aspetto gli deriva da una solida base scientifica per un’alimentazione sana e dalla collaborazione con la nutrizionista londinese Rhaya Jordan. Ora siamo a tavola sulla bella terrazza, con la vista su un romantico e forse anche un po’ nostalgico tramonto sul Verbano. Dopo un gradito saluto da parte del direttore dell’Hotel Simon Spiller, si apre il sipario sul menu di otto portate con il relativo abbinamento di vini, menu denominato “Ispirazione”: il prologo con Sgombro, sedano, pesca, shiso; di seguito Manzo di Ennetbürgen, pomodori ticinesi, basilico, pepe della Vallemaggia; Ravioli ripieni di maiale iberico, peperone, aglio nero; Rombo atlantico, finocchio, cozze, salsa marinier; Animelle di vitello di Ennetbürgen,
piselli, finferli e rafano; Sella e stinco di capriolo estivo di Alfred Escher, ciliegia, scalogno al vino rosso; Tomme Mamelle di Jumi 100% mucca, torta “Bienenstich” con mirtilli, albicocca, latticello, melissa, opera della giovane ma già di grande talento chef patissière Livia Bucheli. Tutte le portate di questo ricco menu sono presentate con una veste coreografica che appaga anche l’occhio più distratto: d’altronde, “La Brezza” è un ristorante gastronomico dove i piatti non lasciano indifferenti e dove abbiamo in particolare apprezzato che diversi ingredienti prodotti in Ticino siano stati così ben valorizzati. Va da sé che l’accostamento con i vini è risultato magistrale, grazie ai due maître e sommeliers Nicole Schneider e Nicolas Russo, con vini soprattutto della migliore produzione ticinese tratti da una cantina di oltre 400 etichette. Marco Campanella segue personalmente la scelta dei prodotti per le sue creazioni e privilegia, per quanto possibile, prodotti del territorio, ovviamente stagionali e ci svela
che come grasso utilizza quasi esclusivamente olii d’oliva extravergini e veramente pochissimo burro. Due comunque sono i menu che Marco propone, uno è quello scelto da noi l’”Ispirazione” e l’altro, decisamente vegano e ugualmente attraente per una prossima volta, si chiama “Moving Mountains”, un menu che intende seguire l’esclusivo programma di esperienze che l’Hotel offre agli ospiti
per aiutarli a ripristinare la vitalità, riconnettersi con la natura e celebrare la gioia, insomma un’avventura dal gusto esaltante.
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L’ARTIGIANO DEL PANETTONE
La storia
Si narra che il panettone sarebbe nato nel XV secolo alla corte di Ludovico il Moro.
Era la Vigilia di Natale quando il cuoco bruciò inavvertitamente il dolce. Per salvare la situazione Toni, l’apprendista, impastò un panetto di lievito madre aggiungendo farina, uova, uvetta, canditi e zucchero, ottenendo un dolce particolarmente soffice e delicato. Fu talmente apprezzato che la famiglia Sforza decise di chiamarlo “Pan di Toni”, da cui si sviluppò nei secoli il nome “Panettone”.
Una relazione particolare
Guai a disturbare il Panettonista Andrea,
quando all’alba, con occhio attento e abilità, riesce a leggere e percepire lo stato di salute del “suo” lievito madre. Ogni giorno è diverso e può riservare delle sorprese. Come sta il suo “protetto”, cosa gli comunica oggi, come si presentano la consistenza, il profumo e il colore?
Da oltre 30 anni lo stesso lievito madre viene curato e nutrito giornalmente con grande attenzione e dedizione, affinché sviluppi tutte le qualità e le caratteristiche che conferiscono ad ogni Panettone Al Porto il suo particolare profumo, l’aroma e la morbidezza desiderata.
Quella del Panettonista è una profes -
sione di grande responsabilità e sapienza che in passato veniva tramandata unicamente di padre in figlio, assieme ai segreti del mestiere gelosamente custoditi.
Oggi invece, da Al Porto, il Panettonista Andrea condivide il suo segreto con i suoi colleghi che, a loro volta, iniziano a coccolare e nutrire il “loro” lievito seguendone l’evoluzione sotto l’occhio vigile del Maestro. Il lievito madre è il protagonista e da lui dipende tutta la lunga e complessa lavorazione e infine la bontà dei tanto amati Panettoni Al Porto.
I segreti dell’impasto La lavorazione dell’impasto inizia ben 2 giorni prima della cottura. Al lievito madre si aggiungono ingredienti selezionati quali farina, tuorli, zucchero e miele (nell’antichità augurio di abbondanza), per infine integrare frutta semicandita, pistacchi, noci, mandorle, ciliegie, albicocche, Marrons glacés oppure gocce di cioccolato Grand Cru.
La qualità e la quantità degli ingredienti, come pure il numero di impasti e le condizioni di lievitazione (tempo, temperatura, umidità) che si adottano per ottenere l’impasto finale dipendono dalla ricetta tradizionale e dalla lunga esperienza del Panettonista. A questi si aggiungono la creatività e la passione nella ricerca di nuovi abbinamenti che contribuiscono a creare la varietà e le delicate note di sapori delle specialità artigianali Al Porto.
La pirlatura e la lievitazione finale
La fase di formatura contribuisce a definire l’aspetto finale del Panettone e viene tradizionalmente realizzata attraverso i seguenti passaggi: la porzionatura dell’impasto finale, la pirlatura, cioè la lavorazione manuale di arrotondamento per dare la forma alle porzioni d’impasto e la posa nei pirottini, cioè la sistemazione dell’impasto negli stampi di cottura. La lievitazione finale avviene nello stampo secondo criteri ben definiti quali i tempi, la temperatura e l’umidità, e affinati nel corso degli anni in base all’esperienza del Panettonista. Prima di infornare si opera la scarpatura che consiste nell’incidere la superficie superiore dell’impasto con un taglio a forma di croce. Un gesto delicato che accompagna una sorta di augurio e conferisce al Panettone il suo inconfondibile aspetto.
La cottura e il raffreddamento Infine, anche la cottura ha un ruolo determinante e va seguita con attenzione nelle sue differenti temperature e tempistiche, a dipendenza delle forme e delle grammature dei panettoni, che in questa fase, raddoppia -
no il loro volume. Uno spettacolo che ogni volta sorprende. Nella fase di raffreddamento avviene il capovolgimento dei Panettoni. Questo singolare passaggio permette di preservare la loro sofficità e la bella forma arrotondata.
I diversi Panettoni, molti dei quali sono stati premiati, sono ora pronti per essere confezionati e decorati amorevolmente da abili mani, prima di raggiungere le Boutiques Al Porto dove, nelle splendide vetrine e sapientemente esposti, hanno il loro momento di gloria, prima di entrare nell’intimità delle case dei ticinesi e dei numerosi appassionati oltre Gottardo e all’estero. Al Porto propone, secondo stagionalità, ad ognuno il suo Panettone preferito nelle seguenti 9 squisite varietà… Tradizionale, Nostrano, Pan Dorato, al Cioccolato, alla Ciliegia (senza lattosio), all’Albicocca, al Pistacchio (senza lattosio), alla Castagna e da ottobre anche al Gianduiotto.
I Panettoni Al Porto sono ottenibili esclusivamente nelle 7 Boutique di Locarno, Ascona, Lugano e Bellinzona o nell’online shop www.alporto.ch
SIAMO AL VERTICE DELLA TRADIZIONE ALBERGHIERA SVIZZERA
Lei arriva a ricoprire questo importante incarico dopo aver gestito per sette anni lo storico Beau-Rivage Palace di Losanna. Quali sono state le principali tappe della sua carriera?
che possano essere molto utili nel mantenere l’atmosfera amichevole e collegiale tra i membri: un elemento chiave della nostra associazione, e quindi una delle priorità da affrontare nei prossimi mesi».
NATHALIE SEILER-HAYEZ È DA LUGLIO IL NUOVO AMMINISTRATORE DELEGATO DEGLI SWISS DELUXE HOTELS, IL GRUPPO DEI 39 HOTEL
A 5 STELLE PIÙ ESCLUSIVI DELLA SVIZZERA. IN QUESTA INTERVISTA FA IL PUNTO SULLE PROSPETTIVE DI QUESTA CATENA E SULLE IMPEGNATIVE SFIDE CHE LA ATTENDONO.
«Mi sono laureata alla EHL Hospitality Business School, e ho iniziato la mia carriera presso l’Hôtel Lutetia di Parigi in Sales & Marketing. Mi sono poi trasferita a New York e ho lavorato per Rosewood Hotels & Resorts. Al mio ritorno in Europa, sono stata nominata direttore generale del Radisson Blu Champs Elysées Hotel e ho supervisionato l’apertura dell’InterContinental Bordeaux – Le Grand Hotel nel 2007. Nel 2010 ho assunto la direzione del rinomato Connaught a Londra. Tornata in Svizzera, sono stata nominata “Hotelière of the Year” nella classifica alberghiera del Sonntagszeitung del 2018 e, sotto la mia gestione, il Beau-Rivage Palace di Losanna è stato nominato “Hotel of the Year” da Gault&Millau nel 2022».
Che cosa significa essere ora alla guida di un gruppo di primaria importanza come Swiss Deluxe Hotels?
«Sono molto legata a questa associazione, che fa molto per promuovere il settore alberghiero di lusso in Svizzera e fornire agli albergatori soluzioni in un mondo in rapida evoluzione. La mia esperienza del settore alberghiero di lusso internazionale e allo stesso tempo la conoscenza delle esigenze e delle richieste dei membri di Swiss Deluxe Hotels mi auguro
Ci può dare alcune cifre utili a comprendere il ruolo di primo piano che rivestono gli hotels aderenti al Swiss Deluxe Hotels?
«Il 2022 ha registrato ancora una volta per Swiss Deluxe Hotels un aumento dei pernottamenti, dell’occupazione e del fatturato. Il totale di 1.271.149 pernottamenti corrisponde a un aumento del 18,3%. Il tasso di occupazione dei
39 Swiss Deluxe Hotels ha così raggiunto il livello del 2019, ovvero prima dell’evidente interruzione causata dalla pandemia di coronavirus. In Svizzera, l’intero mercato alberghiero non ha ancora riconquistato del tutto la posizione del 2019, con un livello attuale inferiore del 3,5%. Ciò dimostra quanto velocemente i 39 Swiss Deluxe Hotels siano stati in grado di reagire e bene alla richiesta dei clienti internazionali e di rispondere in modo ottimale al nuovo comportamento di viaggio con prenotazioni anticipate, soggiorni più brevi ed esigenze individuali.
Gli Swiss Deluxe Hotels non avevano mai registrato così tanti pernottamenti di ospiti svizzeri in un anno come nel 2021. Con 552.187 pernottamenti, il mercato interno svizzero ha raggiunto una quota di mercato record del 53,2%. Se consideriamo invece l’evoluzione dei paesi esteri di provenienza, essa è molto eteroge -
nea. Mentre i vicini mercati europei come Germania (+7,4%) o Francia (+4,0%) mostrano solo un aumento moderato, mercati come Stati Uniti (+63%), Regno Unito (+61,1%), Asia (+59,8%), il Brasile (+43,5%) o la re -
gione del Golfo (+37,8%) mostrano alti tassi di crescita a due cifre. Il mercato cinese – a differenza di altri paesi asiatici – dovrebbe riprendere sensibilmente la sua crescita nel corso dell’anno».
È dunque possibile avanza previsioni ottimistiche anche per l’anno in corso?
«In generale, il 2023 dovrebbe essere un buon anno per gli Swiss Deluxe Hotels. Anche se le tensioni geopolitiche continuano a fare notizia e la politica dei tassi d’interesse e l’inflazione pesano sui consumi e sui comportamenti di viaggio, l’attività nel segmen -
to alto del turismo, della gastronomia e dell’industria alberghiera manterrà la sua stabilità».
Quali sono le principali richieste che provengono dalla vostra clientela?
«I clienti si aspettano maggiore sostenibilità, la digitalizzazione dei processi è migliorata ma contemporaneamente è aumentata la necessità di un suppor -
to personalizzato. Una delle maggiori sfide per continuare a crescere è la disponibilità di personale sufficientemente qualificato. Intelligenza artificiale e algoritmi ci insegnano ad anticipare le esigenze e i desideri dei nostri ospiti utilizzando le esperienze passate. Non basta preparare il quotidiano preferito del cliente o conoscere il suo tavolo preferito in sala da pranzo. Si tratta di offrire un servizio che sorprenderà il cliente e susciterà il suo entusiasmo. Ciò richiede molta attenzione e professionalità da parte del personale. Questa è senza dubbio la più grande sfida per il settore alberghiero di lusso. Ciò che distingue principalmente uno Swiss Deluxe Hotel da altri segmenti e categorie alberghiere risiede nel fatto che i clienti sono seguiti e serviti da personalità che hanno lavorato per anni, anche decenni, nella stessa struttura e quindi danno un volto, o più volti familiari, a quell’hotel».
La vostra associazione conta quasi 90 anni di vita. Che cosa vede nel futuro prossimo?
«L’associazione Swiss Deluxe Hotels (SDH) è stata fondata nel 1934 e riunisce le più rinomate strutture a 5 stelle della Svizzera, che hanno fatto la reputazione della nostra industria alberghiera di lusso, lasciando un segno per quasi due secoli. Con un tota -
le di 4.100 camere e suite e circa 8.200 posti letto, il Gruppo rappresenta oltre il 40% della capacità ricettiva a 5 stelle della Svizzera. Gli Swiss Deluxe Hotels sono quindi l’associazione più importante del settore. Il nome “Swiss Deluxe Hotels” è sinonimo di qualità esclusiva e standard elevati. Il servizio personalizzato è unico nel suo genere: più di 5.000 dipen -
denti assicurano il benessere di una clientela abituata al lusso, anche nel servizio. Nel 2022 il fatturato è stato di circa 1,56 miliardi di franchi».
L’HOTEL THE DOLDER GRAND
SI ERGE IN CIMA A UNA COLLINA
CHE DOMINA IL LAGO DI ZURIGO,
AI MARGINI DELLA FORESTA
DI ADLISBERG. COSTRUITO
NEL XIX SECOLO, È STATO
PROGETTATO PER ESSERE
UN LUOGO DI RELAX
E DI FUGA DAL QUOTIDIANO.
DI PAOLA CHIERICATI
MAESTOSITÀ E STORICITÀ
Attraversando il centro di Zurigo in seguito al nostro viaggio che parte da Lugano, tra ampie vie e ponti che si specchiano nelle acque del fiume Limmat, si scorgono tornanti che risalgono la collina ad est della città. Circondato da una distesa sconfinata alberi e sentieri che si addentrano nell’Adlisberg, il The Dolder Grand si innalza su una superficie di
oltre 40.000 metri quadrati.
Gli spazi esterni sono costellati di magnifiche sculture: una figura distesa in tre pezzi di Henry Spencer Moore fuori da una delle nuove ali, o l’estroso “Ombrello dei Troll” di Takashi Murakami, fino alla colorata statua di Zafting Nana dello straordinario artista franco-americano Niki de Saint Phalle, realizzato in collaborazione con Jean Tinguely da Le Monde. Di
fronte all’Hotel non manca un esteso campo da golf di 9 buche, a disposizione dei suoi ospiti.
Entrando nell’Hotel, a destra della hall, verso la zona bar altre opere d’arte sono appese alle pareti e all’angolo del bancone del bar sembrerebbe che un uomo sia accasciato a terra e per una frazione di secondo ci si chiede se qualche malaugurato ha avuto un malore. Ma poi guardando meglio e avvi -
cinandosi con prudenza, ci si imbatte in un’altra scultura dell’artista Duane Hanson, “Taveller”. Ma non solo, scendendo verso il piano inferiore nella zona del ristorante Saltz altre imponeneti opere d’arte sono appese alle pareti e dominiando al centro dei saloni di accoglienza, tra cui l’opera di Mel Ramos, “The pause that refreshes”. Insomma al the Dolder Grand l’arte la si resipra ovunque. Le suite premium che si estendono su centinaia di metri quadrati, alcune su due piani, sono ispirate da uno specifico “mecenate”, come la Suite Maestro, intitolata al direttore d’orchestra Herbert von Karajan e ricca di spunti musicali, tra cui un pianoforte a coda. La Suite 100, ispirata ai Rolling Stones e al famigerato 100 Club di Londra, un locale musicale situato al numero 100 di Oxford Street che ospita musica dal vivo dal 24 ottobre 1942, è dominata da colori scuri come il nero e il viola intenso; o la Masina Suite, che prende il nome dall’attrice italiana degli anni Cinquanta Giulietta Masina, moglie di Federico Fellini, considerata una delle maggiori attrici italiane della sua generazione. Allo stesso tempo, la Carezza Suite è una delle migliori suite al Dolder Grand, ispirata da Alberto Giacometti, con i suoi
230 mq di eccezionale eleganza all’ultimo piano, progettata con il colore oro e con materiali come pietra e legno, per soddisfare i gusti e le preferenze degli ospiti arabi. Due camere da letto, ognuna con bagno in marmo bianco “Lasa” venato d’oro: oltre alla vasca idro-massaggio ed alla doccia, la suite dispone anche di una sauna ed un bagno turco. Gli alti soffitti e le finestre dal pavimento al soffitto offrono alla suite una sensazione unica di spazio: la zona pranzo integrata può essere servita dalla cucina interna; mentre la zona TV si trova in uno spazio separato. Un altro punto forte della suite è la terrazza: percorre interamente la sua ampiezza, girando intor -
no alla suite, e offrendo favolose viste panoramiche sul Lago di Zurigo. L’originale hotel ha ricevuto il premio Forbes Travel Guide Five-Star nell’aprile 2022 in riconoscimento dell’eccezionale esperienza che possono vivere gli ospiti. I personaggi storici che hanno soggiornato in questa oasi di bellezza e rilassatezza sono stati Win -
ston Churchill, Thomas Mann, Albert Einstein, lo Scià di Persia, Henry Kissinger, John Wayne, Sophia Loren, Roger Moore, Artur Rubinstein, Nelson Mandela, Elizabeth Taylor, Michael Jackson, Luciano Pavarotti, il Principe Filippo e Mikhail Gorbachev, il Principe Carlo e in tempi più recenti il Principe William e Leonardo Di Caprio, oltre al leggendario regista David Fincher.
Il Dolder Grand fu costruito tra il 1897 e il 1899, su progetto dell’architetto Jacques Gros, e fu inaugurato ufficialmente il 10 maggio 1899, con successivi ampliamenti rispettivamente nel 1924 e nel 1964. Ma quando l’imprenditore Urs. E. Schwarzenbach diventa azionista di maggioranza nel 2001 della società che gestisce l’hotel, vengono effettuati lavori di ristrutturazione attraverso l’architetto di fama internazionale Lord Norman Foster il quale suggerisce di rimuovere tutti gli edifici costruiti dopo il 1899, ripristinando lo storico edificio principale e riportando completamente la facciata al suo aspetto originale, che viene rinforzata con una struttura d’acciaio, mentre nel 2005 si celebra la posa della prima pietra per la costruzione del nuovo Dolder Grand. Foster cognuga sapientemente lo storico edificio prin -
cipale dell’hotel del 1899 con moderni elementi architettonici. Nell’aprile 2008 viene riaperto il Dolder Grand, come nuovo resort cittadino che oggi vanta di 175 lussuose camere e suite e una SPA che ha vinto numerosi premi, tra le più esclusive della Svizzera. Con una superficie di oltre 4.000 metri quadrati, offre trattamenti e servizi per il benessere per soddisfare ogni esigenza. Oltre alla SPA, è disponibile un’Aqua Zone con piscina, una terrazza idromassaggio, bagno turco, sanarium, area sauna mista, biblioteca, una SPA Suite, aree relax e una palestra attrezzata coin macchinari Tecnogym di ultima generaztione. Il Dolder Grand è un hotel 5 stelle membro dei Leading Hotels of the World e di Swiss Deluxe Hotel. La struttura è considerata uno dei monumenti più famosi di Zurigo.
THE DOLDER GRAND
Kurhausstrasse 65
CH-8032 Zurigo
T. +41 (0) 44 456 60 00
www.thedoldergrand.com
surprise with luxury
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Established in 1934, the Swiss Deluxe Hotels group combines 39 of Switzerland’s most iconic five-star hotels:
ANDERMATT: The Chedi Andermatt AROSA : Tschuggen Grand Hotel ASCONA : Castello del Sole, Hotel Eden Roc BAD RAGAZ : Grand Hotel Quellenhof & Spa Suites BASEL : Grand Hotel Les Trois Rois
BERN : Bellevue Palace, Hotel Schweizerhof Bern & Spa CRANS-MONTANA : Guarda Golf Hotel & Residences, LeCrans Hotel & Spa GENÈVE: Beau-Rivage, Four Seasons Hotel des Bergues, Mandarin Oriental Geneva
GSTAAD : Gstaad Palace, Le Grand Bellevue, Park Gstaad, The Alpina Gstaad INTERLAKEN: Victoria-Jungfrau
Grand Hotel & Spa LAUSANNE : Beau-Rivage Palace, Lausanne Palace LE MONT-PÈLERIN : Le Mirador
Resort & Spa LUGANO : Hotel Splendide Royal LUZERN : Mandarin Oriental Palace Luzern MONTREUX : Fairmont Le Montreux Palace NEUCHÂTEL : Beau-Rivage Hotel PONTRESINA : Grand Hotel Kronenhof
ST. MORITZ : Badrutt’s Palace Hotel, Carlton Hotel St. Moritz, Kulm Hotel St. Moritz, Suvretta House VEVEY:
Grand Hôtel du Lac VITZNAU : Park Hotel Vitznau ZERMATT: Grand Hotel Zermatterhof, Mont Cervin Palace, Riffelalp Resort 2222 m ZÜRICH : Baur au Lac, La Réserve Eden au Lac, The Dolder Grand, Widder Hotel
HOLDERS OF A VISA BONUS CARD CAN EXCHANGE THEIR POINTS IN A SWISS DELUXE HOTELS VOUCHER ON BONUSCARD.CH
LA QUINTESSENZA DEL GUSTO E DELL’ARTE CULINARIA
INCONTRO CON HEIKO NIEDER
CHEF DEL THE DOLDER GRAND DI ZURIGO
DI GIACOMO NEWLIN
Nel ponderoso volume che lo chef Heiko Nieder ha pubblicato per le edizioni Matthaes di Monaco di Baviera, specializzate in particolare in libri dedicati a chef affermati nelle attuali tendenze della cucina d’avanguardia, parlano un linguaggio chiaro le bellissime foto che ritraggono la grande professionalità dello chef ed evidenziano la passione e
il dinamismo che entra in ogni piatto in cui si condensa la ricerca della perfezione: nella presentazione, nel gusto, nell’aroma e nello stile. L’ospite comprende molto bene che Heiko Nieder, 51 anni, originario del Nord della Germania, eletto da G&M Cuoco dell’anno 2019, può vantare, ormai da 12 anni, due stelle Michelin e 19 punti Gault & Millau. Heiko, Culinary Chef & Chef Fine Dining, opera per il “The Restaurant”, che con la sua cucina moderna e leggera sorprende per il notevole spettro di gusti che riesce ad esprimere. Si cena in un’elegante sala dall’atmosfera soffusa e con i tavoli ben distanziati, ciò che rende ancora più gradevole l’esperienza. Il “The Restaurant” è il ristorante principale dell’albergo e uno dei più premiati di Zurigo e la sera offre due menù, uno di 6 e uno di 8 portate precedute da una serie caleidoscopica (erano sette) di “amuse bouche”, ne cito solo un
paio: litchi con cornichon dragoncello e wasabi; ceci con melanzane, melograno e sumach (una spezia del Medio Oriente che non può mancare sulle tavole turche, siriane e libanesi). Anche delle otto portate degustate con grande soddisfazione ne cito solo alcune: Granchio e foie gras con mango, verdure di mare e vadouvan (spezia indiana); Scampo con essenza di zucca “agro-piccante”; animelle di vitello con cavolo rosso e liquirizia; Wagyu con sedano, grano saraceno e tartufo del Périgord, piatti straordinari che vanno oltre i gusti classici, mentre menziono uno dei due dessert, strabiliante nella perfetta semplicità di gusto: Cocco con basilico, agrumi e zenzero. È andata in scena un’opera completa, con il pane fatto in casa, le mignardises e ovviamente un accompagnamento nuziale con i vini per ogni piatto, coordinato dalla brava Evelyn Igl, Service Manager. Meritato è stato
il plauso finale all’uscita di Heiko in sala per manifestargli la nostra gratitudine al termine di un’esperienza capace di farci viaggiare su lidi lontani, attraverso combinazioni armoniose di sapori. D’altronde ci dice: «Mi lascio sorprendere spesso dalle mie stesse idee e non voglio limitare la creatività, ma piuttosto darle libertà e spazio, non fermarla entro confini tracciati a volte in modo ingiustificato». Heiko è grato alla proprietà per dargli piena fiducia e i risultati sono tangibili. Al The Dolder Grand, oltre al “The Restaurant” l’ospite da pochi mesi può approfittare dell’autentica cucina giapponese nel boutique restaurant
“Mikuriya”, dove otto ospiti al massimo possono guardare davanti a loro i piatti che vengono preparati al momento dallo chef Atsushi Hiraoka: Nigiri di calamaro leggermente scottato, lime e sale Maldon; capesante e fegato d’oca, alga nori e funghi; sgombro a coda gialla affumicato a freddo, bianchetti, ravanello, shiso-miso, queste e altre prelibatezze di un ricco menu composto da 18 portate, vengono accompagnate da tradizionali bevande giapponesi come varie tipologie di saké (invecchiati, non filtrati, frizzanti o leggermente gassati), birre e anche uno spumante prodotto dalla fermentazione del riso. Al The Dolder Grand
c’è poi la grande e moderna sala del ristorante “Saltz” dove opera lo chef à la carte Julian Mai che ha ottenuto 14 punti G&M e dove le proposte hanno un approccio più semplice e comunque raffinato in cui figurano anche specialità regionali. Va da sé che il piacere gastronomico non può prescindere da una scelta appropriata di vini da abbinare alle singole pietanze e allora il libro delle etichette al “The Restaurant”, che consta di 60 pagine, offre tutto ciò che si può desiderare in fatto di qualità per i più armoniosi accostamenti. Accostamenti che, detto tra noi, non sempre ci appartengono, anche se tecnicamente ineccepibili, perché magari avremmo voluto un vino diverso, fuori dagli schemi proposti dalle regole degli abbinamenti. In questo caso siamo noi, il momento, l’atmosfera, che determina la nostra scelta, e il libro dei vini ci può coccolare in questo diverso approccio.
THE DOLDER GRAND
Kurhausstrasse 65
CH-8032 Zurigo
T. +41 (0)44 456 60 00
www.thedoldergrand.com
ARIELLA DEL ROCINO PRESENTA
UNO DEI GOLF CLUB PRIVATI PIÙ ANTICHI DELLA SVIZZERA SITUATO SUL VERSANTE MERIDIONALE DELL’ADLISBERG, IN UN AMBIENTE PITTORESCO E TOTALMENTE IMMERSO NELLA NATURA.
UN PICCOLO GIOIELLO INCASTONATO NEL VERDE
Un piccolo e impegnativo campo a 9 buche e una club house con un raffinato ristorante e una magnifica vista su Zurigo: con queste prerogative si presenta il Dolder Golf club Zurich che sorge sullo Zürichberg e offre una splendida vista sulla città di Zurigo.
Il Dolder Golf Club Zurich è stato fondato nel 1907, e nel 2007 ha festeggiato dunque il suo centesimo anniversario al Dolder Grand Hotel. Questo edificio era stato aperto nel 1899 come luogo di relax e rigenerazione per i cittadini bisognosi di riposo. Nel 1924 l’hotel passò dall’apertura stagionale a quello annuale. Di conseguen -
za, è diventato rapidamente l’indirizzo più ambito di personaggi famosi, punto d’incontro dell’alta società zurighese e scenario di balli eleganti ed esclusivi. Il 2012 è stato un altro traguardo importante nella storia del club: il contratto di locazione con la città di Zurigo è stato prorogato per i successivi 40 anni. Nell’inverno 2013-2014 anche la club house è stata completamente ristrutturata. Le mura esterne sono rimaste invariate, l’interno è stato completamente trasformato. Nel 2004-2005 il campo è stato leggermente modificato e tutti i green sono stati rinnovati. Il piccolo campo risulta essere curato con amore e professionalità, il che lo rende attraente anche per i
giocatori più esigenti. La distanza totale del percorso definita dai “Back Tees” è di 1683 metri. Il percorso vario può essere giocato in due turni, i tees rimangono gli stessi in entrambi i turni. Le numerose pendenze, i green a gradini, i bunker e uno storico e fitto bosco di alberi rendono il percorso un’esperienza fisicamente e mentalmente impegnativa nonostante la sua limitata lunghezza. Il Dolder Golf è dunque un campo con green piccoli e ben difesi, dove la precisione è quindi più importante della lunghezza.
Particolarmente ricca la dotazione di servizi che ne fanno uno dei Golf Club meglio attrezzati della Svizzera. A parte il bar con servizio snacking e un ristorante gourmet molto frequentato dai raffinati cittadini zurighesi, il Dolder mette a disposizione una vasta gamma di golfcar elettrici, qualificati
maestri per lezioni individuali e collettive, green d’approccio, campo pratica, ProShop, spogliatoi, Hi-Fi nella
Club House, a cui si aggiungono locali attrezzati per l’organizzazione di incontri, seminari ed eventi.
IL DESIGN INCONTRA L’ARTIGIANATO
ALLA SCOPERTA DELL’ALPINA
GSTAAD, UNA LUSSUOSA, DISCRETA E MODERNA STRUTTURA ALBERGHIERA A CINQUE STELLE DI NUOVA CONCEZIONE SITUATA IN UN’ESCLUSIVA ZONA COLLINARE DEL QUARTIERE DI OBERBORT.
DI PAOLA CHIERICATI
per la sua vasta gamma di attività estive e invernali, colma di classici chalet. Dalla sua apertura che risale al dicembre 2012, l’Alpina Gstaad mantiene un alto standard di raffinatezza ed eleganza. Il General manager Tim Weiland, affiancato dalla responsabile PR & Digital Marketing Amélie Guénard, è in carica dalla fine del 2018, vanta oltre due decenni di esperienza nel settore alberghiero di lusso, inclusi dieci anni con il rinomato gruppo Aman, dove ha ricoperto la carica di Direttore generale
in tre degli hotel più iconici del gruppo: «Sono nato in Germania e ho frequentato la Scuola alberghiera di Losanna, ho iniziato la mia carriera con la catena di hotel Banyan Tree prima di passare al gruppo Aman Resorts lavorando a Marrakech, nel Rajasthan in India e a Pechino per poi tornare in Francia come General Manager di Aman Le Melezin, Courchevel 1850. Sono felice di essere a capo di questo hotel innovativo che mi da modo di mettere a frutto la mia esperienza nell’ambito alberghiero.
Se si è seduti immersi nel parco antistante la bella piscina dove è possibile rilassarsi sotto il sole, oppure se ci si affaccia dalla terrazza della propria camera, ci si imbatte nelle magnifiche e imponenti Alpi bernesi e nel Saanenland, un’area nota
La filosofia di Aplina Gstaad è quella della valorizzazione i prodotti del territorio: per esempio, il legno che è stato utilizzato per costruire questo albergo proviene in parte dalle vecchie cascine in disuso. Dobbiamo sempre chiederci da dove proviene un prodotto, come è stato realizzato e quanto dovrebbe durare. Abbiamo persino applicato questo processo a qualcosa di semplice come le pantofole dell’hotel e ora forniamo ai nostri ospiti un prodotto sostenibile realizzato in pura lana piuttosto che una creazione in poliestere e plastica. Desideriamo essere una fonte di ispirazione per migliorare il benessere mentale e fisico delle persone».
Conosciuta per la sua architettura autentica in classico stile alpino, per la valorizzazione dell’artigianato locale, per gli ampi giardini circostanti e per la sua collezione d’arte, Alpina Gstaad propo -
ne 56 spaziose camere e suite, tutte con terrazze private e viste spettacolari, in un parco 20 ettari. I caminetti nelle aree comuni sono costruiti a mano con la pietra locale e i soffitti sono decorati con tradizionali intagli in legno. Ogni giorno nella hall ci sono fresche composizioni floreali che rilasciano una profumazione deliziosa. La struttura ospita la prima Six Senses Spa in Svizzera, con una vocazione olistica ispirata alle tradizioni del benessere asiatico che attinge dall’energia delle Alpi, un vero santuario di pace di cui possono godere sia gli ospiti che la gente del luogo. Il centro benessere dispone di un bagno turco Hammam, sale per trattamenti individuali dedicate a terapie specialistiche come la cromoterapia, docce emozionali, docce di ghiaccio con mini fontane; sei sale per trattamenti multifunzionali, una grotta di sale dell’Himalaya e una
cabina di crioterapia di nuova concezione. C’è anche un attrezzato centro fitness con una palestra all’avanguardia dotata delle più recenti attrezzature cardiovascolari, di forza e per l’allenamento con i pesi, incluso l’innovativo apparato Kinesis ed è possibile seguire lezioni private o di gruppo di yoga, meditazione e pilates, perfette per ristabilire l’equilibrio di corpo e mente. Attraverso programmi studiati appositamente sulla base delle proprie esigenze, è possibile migliorare il sonno, ridurre lo stress e l’eccitazione nervosa simpatica, ripristinare e rigenerare cellule e tessuti, aumentare l’immunità, migliorare la memoria e la capacità di apprendimento. Durante il periodo estivo è possibile seguire un seminario che prevede un incontro con un simpatico apicoltore locale, Stefan Neuhaus, una persona appassionata che sa trasmettere il suo amore e il grande rispetto per le api, che ci ha permesso di conoscere direttamente negli alveari situati nel parco dell’hotel, come avviene la produzione del miele, fornendoci indumenti protettivi, cappelli e guanti appositi. L’hotel ha ricevuto numerosi premi: il Gala Spa Award nella categoria “Best Luxury Hotel City/Resort”; il premio “Best Ski Spa de Luxe sopra i 1000 metri” dalla rivista Handelszeitung; il Premio Bienvenu; il TripAdvisor Travellers’ Choice Award 2018 (numero uno nella categoria “Hotel di lusso” dei premi Top 25 Luxury Hotels). La struttura compare regolarmente negli elenchi dei migliori hotel pubblicati da riviste rinomate, come SonntagsZeitung, Travel + Leisure (migliori 100 hotel in tutto il mondo) e la Condé Nast Gold List. L’Alpina Gstaad fa parte della collezione Legend di Preferred Hotels & Resorts, dell’esclusiva rete di viaggi Virtuoso e di Swiss Deluxe Hotels.
THE ALPINA GSTAAD
Alpinastrasse 23
CH-3780 Gstaad
T. +41 (0) 33 888 98 88
www.thealpinagstaad.ch
LA
LE ECCELLENTI OFFERTE DI UN ALBERGO PROIETTATO VERSO IL FUTURO
La prima sensazione che ho percepito all’entrata dell’Hotel Alpina a Gstaad è stata di un luogo in cui regna una grande armonia, dove tutto suggerisce accordo, sintonia, coerenza: dalla struttura in sé all’arredamento, dagli oggetti d’arte all’illuminazione. In seguito, altra sensazione che ha reso il soggiorno oltremodo piacevole e sereno, è stato l’amichevole rapporto che regnava tra i collaboratori di tutti i servizi dell’albergo, a partire dall’accoglienza calorosa e premurosa, sia del General Manager Tim Weiland, sia della responsabile PR & Digital Marketing Amélie Guénard. Inoltre, un elemen -
to che certamente influisce a creare quest’atmosfera idilliaca è senza dubbio anche la “location” privilegiata, grazie ad un paesaggio circostante di grande suggestione ed in particolare di pace in cui si trova la struttura. Fatte queste considerazioni, praticamente ogni dubbio su come sarebbe andata la permanenza in albergo, soprattutto per ciò che mi interessava di più ovvero l’offerta enogastronomica, è stato fugato. Il The Alpina Gstaad offre una ristorazione di alto livello grazie alla conduzione dell’executive chef Martin G ö schel, cuoco tedesco di origine, sulla cinquantina, che dirige i tre ristoranti di questa struttura di lusso: il Sommet che vanta una stella Michelin e 18 punti Gault & Millau; il MEGU di ispirazione giapponese; lo Swiss Stübli e l’Alpina Lounge. Con i suoi trenta collaboratori, Martin G ö schel riesce a soddisfare le esigenze culinarie di palati raffinati di ospiti molto esigenti. Nel ristorante Sommet, il principale, Martin offre una cucina con basi classiche ma proiettata al futuro, dove i migliori e stagionali prodotti che offre il mercato vengono trattati con delicatezza mantenendone la giusta consistenza ed esaltandone la struttura gustativa anche con ingredienti provenienti dalle esperienze dei suoi viaggi in altre culture gastronomiche. Il menu degustazione al Sommet
mi ha impressionato per la sequenza filologicamente accurata delle pietanze, dalle quali ne estrapolo una che merita un applauso a parte: Ravioli rossi di barbabietola al formaggio di Gstaad con acetosella e caviale imperiale. Salto subito al dessert della giovane e sorridente chef patissière Kim Jana Burkard che ha interpretato in modo mirabile una deliziosa Pavlova, ovviamente con meringhe, bacche ed erbe alpine.
Come detto all’esordio il “plusvalore” delle esperienze di un buongustaio sta anche nell’amabilità del personale in sala e allora un plauso sincero va rivolto al maître del Sommet Paolo
Ortu e alla sua brigata. La mansione del sommelier nell’abbinare i vini ad un menu degustazione non è sempre facile, ma la professionalità del sommelier Andrea Ferrari, ha centrato l’obiettivo, facilitato da una notevole cantina che conta oltre 1200 etichette, cito poiché degustati, il Sancerre di Pascal Jolivet e il Pinot Noir del Weingut Lenz. Ai propri ospiti questo lussuoso albergo offre diverse e interessanti attività, tre delle quali ho voluto assolutamente testare.
La prima il giorno dopo, circa un’oretta prima di pranzo, un “Cooking Workshop” con due cuochi tra cui l’executive chef Martin, durante il quale ci
siamo allenati a sfilettare a crudo un lucioperca di 60 centimetri e preparare poi la relativa salsina da aggiungere dopo la cottura allo “steamer”. Un’esperienza illuminante per capire cosa sta dietro ad una pietanza. Al tavolo poi, si è seduto anche il direttor Weiland, rimasto entusiasta del risultato ottenuto al “Cooking Workshop”.
La seconda attività si è svolta prima di cena, dove davanti all’importante esposizione di whisky giapponesi ci attendeva il simpatico bartender Luca Calderoni che, nonostante la sua giovane età, meno di trent’anni, è già esperto di cocktail e di whisky, con lui ci siamo cimentati nella realizzazione di due cocktail che ci hanno dato una grande soddisfazione e ci hanno fatto capire che per preparare un buon pre-dinner o un after-dinner bisogna seguire delle regole, mentre il provetto bartender può anche permettersi delle variazioni.
Giunti all’ora di cena, il maître Andrea Piras del ristorante giapponese MEGU ci ha fatto accomodare in una sala dalla delicata allure nipponica. Anche in questo caso ci attendeva un menu degustazione dai profumi e dai sapori esotici di erbe e salse magistralmente effuse su pietanze di carni (Wagyu) e pesci, dallo chef, ovviamente giapponese e Sushi Master, Tsutomu Kugota. Gli ottimi abbinamenti con tre tipologie di Sake hanno infine validato un’esperienza molto seducente. Il giorno del ritorno a casa non volevamo perdere la terza attività: un mini corso di apicoltura con colui che produce per l’Hotel il delizioso e cremoso miele che abbiamo trovato sul buffet della prima colazione. Nel periodo invernale è aperta agli ospiti la Swiss Stübli dove divertire la gola con le tipiche specialità svizzere.
THE ALPINA GSTAAD
Alpinastrasse 23
CH-3780 Gstaad
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UN GIOCO PER L’ESTATE: COSA CONOSCE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE DEL MONDO VITIVINICOLO TICINESE?
L’INTERESSANTE ESPERIMENTO PROPOSTO DA ANDREA CONCONI, DIRETTORE DI TICINOWINE.
Da alcuni mesi ormai, l’intelligenza artificiale è arrivata alla portata di tutti. Un esempio tra tanti, la ChatGPT, software che scrive di tutto e di tutti. Sotto un sole cocente, ho quindi deciso di giocare per valutare le conoscenze del Web sulla viticoltura del Canton Ticino. Inserite le parole chiave, ho chiesto di scrivere un testo di 4.000 caratteri. Dal primo elaborato, mi è sembrata un’intelligenza artificiale un po’ insicura: diverse volte all’interno del testo appariva la parola “probabilmente” e questa accompagnata dai termini Federviti, Interprofessione della vite e del vino ticinese e Ticinowine.
IL CANTON TICINO VITIVINICOLO E IL MERLOT
Al secondo tentativo, con meno termini di ricerca, ne è uscito un articolo semplice, scorrevole, sicuramente non una tesi di laurea, ma mi ha dato l’impressione di sentirsi più sicuro: il sostantivo “probabilmente” è sparito ed è stata sviluppato una composizione semplice e comprensibile anche per chi si avvicina, per la prima volta, a scoprire la viticoltura del Cantone.
Il testo, che potete leggere così come è stato scritto dall’intelligenza artificiale, non parla di Sottoceneri e Sopraceneri, di superfici, di altri vitigni e dei numerosi riconoscimenti ottenuti in questi anni dai nostri vini.
Senza dubbio, anche chi come il sottoscritto inserisce le parole chiave,
deve imparare ad utilizzare questi software nel migliore dei modi, certo che nei prossimi anni, diventeranno sempre più performanti. Ripeto, si è trattato di un gioco estivo e il risultato è accattivante. Vale forse la pena ricordare che il testo sotto riportato è stato scritto in 30 secondi!
Buona lettura.GPT scrivi:
4’000 battute in italiano: Canton Ticino, viticoltura, vitigno merlot, Mendrisiotto, Luganese, Locarnese, Bellinzonese, Bianco di Merlot, Federviti, Cantina Mendrisio, Associazione viticoltori vinificatori ticinesi, Interprofessione della vite e del vino ticinese, Ticinowine
Il Canton Ticino, incastonato nel sud della Svizzera, rappresenta un’eccezionale gemma nel mondo della viticoltura. Questa regione, caratterizzata da una combinazione di terreni diversificati e un clima mediterraneo mitigato dalla vicinanza ai grandi laghi alpini, ha trovato nella coltivazione del vitigno Merlot la sua anima enologica.
Il Merlot, originario della regione di Bordeaux in Francia, ha prosperato in modo sorprendente sotto il cielo ticinese. Grazie alle condizioni climatiche e geologiche favorevoli, il Merlot si è adattato splendidamente al terroir locale. Questa varietà di uva ha dimostrato di essere più che un ospite gradito: si è stabilita saldamente nei rigogliosi vigneti del Canton Ticino, diventando il protagonista indiscusso dell’industria vinicola locale.
Il Mendrisiotto, il Luganese, il Locarnese e il Bellinzonese sono le sotto-regioni che contribuiscono alla creazione di vini di pregio. Nel Mendrisiotto, l’arte dell’agricoltura e dell’enologia si fondono in un connubio perfetto, generando vini rossi strutturati e intensi. Nel Luganese, la grazia dei vigneti si riflette in vini rossi eleganti e raffinati, catturando l’essenza del territorio. Il Locarnese, baciato dal sole e cullato dai venti alpini, offre sia vini rossi che bianchi di notevole qualità. Il Bellinzonese, con la sua rilevanza storica, regala vini che celebrano la tradizione e la modernità.
Il Merlot, vinificato in rosso, rappresenta l’apice dell’espressione enologica del Ticino. Le uve mature e aromatiche vengono trasformate in vini di straordinaria ricchezza, con note fruttate di ciliegia e prugna, un tocco di spezie e tannini setosi che donano struttura e profondità. Ma il Merlot ticinese è versatile, capace di adattarsi alle più svariate interpretazioni. È da qui che nasce il “Bianco di Merlot”, un’affascinante controparte vinificata in bianco. Questo vino, fresco e fruttato, sorprende il palato con aromi di pesca, agrumi e fiori bian -
chi, offrendo una nuova prospettiva sulla potenzialità del Merlot.
La passione dei viticoltori ticinesi è sostenuta da organizzazioni come la “Federviti” e l’”Associazione Viticoltori Vinificatori Ticinesi”. Queste associazioni lavorano per promuovere l’identità e la qualità dei vini ticinesi, preservando al contempo le tradizioni e promuovendo l’innovazione.
L’”Interprofessione della vite e del vino ticinese” svolge un ruolo chiave nella regolamentazione e nel coordinamento dell’industria vinicola, garantendo l’eccellenza dei prodotti e promuovendo le pratiche sostenibili. “Ticinowine” rappresenta un’impronta digitale moderna nell’era digitale, condividendo la bellezza e la storia dei vini ticinesi con il mondo attraverso eventi, social media e informazioni dettagliate.
In sintesi, il Canton Ticino è un’oasi vinicola dove il Merlot è la stella incontestata. Attraverso l’arte dei viticoltori, la ricchezza del terroir e l’impegno delle associazioni, questa regione ha dimostrato che la passione e la dedizione possono tradursi in vini che deliziano i sensi e raccontano storie di tradizione e innovazione.
PROFESSIONISTA DELL’ECCELLENZA
“MIND OVER MATTERS”: IL SUCCESSO
È UNA QUESTIONE DI CARATTERE.
BASTEREBBE QUESTA FRASE
A RIASSUMERE NON SOLO
LA EVOLUZIONE PERSONALE
E PROFESSIONALE DI FABIO
CATTANEO, MA ANCHE IL
FUTURO DELLE SUE ATTIVITÀ.
Partito dal Ticino, dopo esperienze che lo hanno assurto a “cittadino del mondo”, oggi è ambasciatore delle eccellenze vinicole internazionali presso una clientela di alta gamma che non conosce confini. Della sua società, la AVU Luxury Wines SA di Sorengo, è CEO, presidente del Consiglio di Amministrazione. Come nel suo stile professionale, lo presentiamo anticipando i fatti alle parole, a conferma che la sua permanenza in uno dei settori merceologici più esclusivi è da intendersi come il risultato di un carattere vincente e intraprendente. Nel 2010, appena ventisettenne, ha vinto lo Swiss Economic Award, il riconoscimento che lo Swiss Economic Forum di Interlaken assegna ai migliori talenti imprenditoriali elvetici. Ma era probabilmente scritto nel destino che questo premio ne anticipasse un altro. Bilanz, il più autorevole mensile economico della Confederazione, nel giugno 2022 lo ha segnalato fra i 100 imprenditori svizzeri di maggior successo, e prima di avere raggiunto i quarant’anni. La motivazione: «Fabio Cattaneo è il professionista di riferimento per gli imprenditori delle eccellenze vinicole mondiali. La sede principale della sua AVU SA è in Svizzera, ma ha anche filiali in Spagna, Francia e Regno Unito. Nei suoi magazzini sono custodite migliaia di bottiglie per un valore di mercato che complessivamente raggiunge i 100 milioni di franchi».
Chiediamo a Fabio Cattaneo di raccontarci le sue esperienze.
«Da giovane ho subito capito che non ero destinato ad una carriera accademica. A sedici anni lavoravo come contabile in una società luganese atti -
va nel trading internazionale. Mi piaceva, ma sentivo che potevo fare altro. Grazie alla conoscenza delle lingue nazionali, oltre all’inglese trovai un lavoro nella vendita presso un noto broker di vini internazionali a Londra. Ho subito capito che quella sarebbe diventata la mia professione. All’epoca la società non era organizzata bene e dunque oltre alla ricerca di clienti e alla vendita, dovetti occuparmi di risolvere anche i problemi di backofficelogistica e pagamenti. È stata una sorta di percorso universitario per me! Non solo l’organizzazione e la gestione ma anche la cultura tipicamente anglosassone “del non aspettare che le cose cadano dal cielo” ma andare a cercarle in modo proattivo. Ma soprattutto sapevo intercettare le esigenze dei clienti e conquistare la loro fiducia. Insomma, già allora riuscivo a fare in modo che fosse la mia consulenza a tradursi nel valore aggiunto dei prodotti. Ed i risultati sono arrivati. In soli tre anni il mio lavoro non era più limitato alla vendita, ma ormai significava condividere con i clienti la esperienza culturale rappresentata dall’acquisto dei vini: eccellenti, unici ed esclusivi. Vedendo lo sviluppo economico e commerciale delle regioni asiatiche, nel 2007 mi trasferii ad Hong Kong dove avevo già relazioni con molti clienti. In seguito, anche sfruttando questi contatti, tornai in Svizzera dove ho avviato una azienda nel commercio dei vini. Imprenditori fra i più famosi al mondo oggi contattano la mia AVU Luxury Wines per selezionare le migliori produzioni internazionali. Insieme al mio team dedichiamo alle loro richieste il nostro tempo, ed i clienti ci ricambiano con la loro fiducia. Organizzo anche incontri
esclusivi per favorire il networking dei miei clienti con altri intenditori, che poi ritrovo come nuovi clienti. La nostra selezione di vini è composta da prodotti di alta qualità e rari, molto difficili da trovare altrove. Commercializziamo i più grandi vini prodotti in tutto il mondo con grande attenzione soprattutto ai Bordolesi, Champagne, Borgogna, Italiani, Spagnoli e Californiani. Siamo molto attenti alla qualità e alla provenienza. La nostra forza sta senza dubbio nel rapporto privilegiato con i più grandi produttori del mondo, come per esempio Chateau d’Yquem, Chateau Margaux e Chateau Mouton Rothschild. Inoltre, offriamo una consulenza esperta ed imparziale ai nostri clienti per aiutarli a scegliere i vini più adatti alle loro esigenze. Il mercato dei vini di lusso è molto competitivo, ma il servizio e la provenienza dei vini sono i fattori ancora più importanti, soprattutto per la fidelizzazione a lungo termine del cliente».
Veniamo all’attualità.
I momenti di incertezza economica accentuano le differenze sociali ed anticipano gli orientamenti del mercato. Qual è il suo commento sul periodo iniziato con la pandemia?
«Il confinamento sanitario ha portato anche i miei clienti a trascorrere più tempo tra le mura domestiche e dedicare più attenzione alle loro cantine. Come avviene in altri settori, anche la vendita dei miei prodotti rispecchia la cronaca geopolitica. Per esempio, si è ridotta la nostra presenza sui mercati russo ed ucraino. In Europa confermiamo le nostre quote di mercato. Invece oltreoceano registriamo ottimi risultati, a cominciare dalla America Latina. Ma a darci le maggiori soddisfazioni sono alcune zone degli USA. I mercati arabi iniziano ad essere interessanti, perché molte persone facoltose si sono trasferite in quella regione. Anche Hong Kong, Singapore, Giappone, India e soprattutto la Cina si
confermano promettenti. Da un punto di vista macro-economico, le difficoltà di quest’ultimo triennio si stanno rivelando un elemento divisivo della società. A soffrirne sarà la classe media, destinata a scomparire. I consumi invece si concentreranno nei due estremi: il mercato del lusso e, all’opposto, quello di massa. Il settore finanziario è ormai influenzato da eventi sociopolitici estranei alle tradizionali dinamiche economiche. La pandemia, il conflitto nell’Europa dell’Est, l’inflazione ed i problemi che ne sono seguiti, preludono a nuovi cambiamenti strutturali. Alle incertezze provocate da queste evoluzioni, replico concentrandomi sul mio lavoro. Un imprenditore deve concentrarsi solo su ciò che sa fare: con passione, entusiasmo e competenza. Per quanto mi riguarda, convivo ed anticipo le esigenze della mia clientela di altissima gamma. Il mio personale rende un servizio costante ed impeccabile ai clienti, ovunque nel mondo. Quando si lavora in questo modo, anche il prezzo diventa un fattore secondario».
Parliamo dell’evoluzione della sua professione…
«La relazione che ho con i clienti è solo una parte delle mie attività. Perché alla base di tutto resta la capacità di organizzare una impresa e vincere le sfide del mercato. La globalizzazione ha aperto nuove opportunità; ma solo in apparenza, perché anche i miei concorrenti si sono globalizzati. Da imprenditore, questi sviluppi mi impongono un aggiornamento continuo. Specie in campo digitale, perché la evoluzione tecnologica è inarrestabile.
Presso AVU Luxury Wines SA abbiamo un team di venti operatori che si occupano di informatica, di intelligenza artificiale-AI. Elaborano costantemente i trend del mercato, i dati delle nostre vendite, le richieste dei clienti e la disponibilità di prodotti nelle cantine dei nostri fornitori in tutto il mondo. Per me essere imprenditore signifi -
ca valutare i rischi, decidere metodi, tempi ed obiettivi per rinnovare strategie commerciali sempre vincenti. In passato, mi é capitato di dover avviare un nuovo percorso professionale. Poco prima della pandemia, nel 2019, ho deciso di iniziare una mia attività: non è stato facile. A mio parere, le chiavi del successo sono determinazione, sacrificio e perseveranza uniti ad una forte passione per quello che si fa. La mia grande fortuna è stato l’aiuto ed il sostegno di mia moglie, l’appoggio iniziale delle banche ed aver trovato un team di collaboratori motivati e di estrema fiducia».
SICILIA EN PRIMEUR
SI È SVOLTO IN SICILIA L’EVENTO
DI PRESENTAZIONE DELLE NUOVE
ANNATE DEI GRANDI VINI SICILIANI
ORGANIZZATO DA ASSOVINI SICILIA, L’ASSOCIAZIONE CHE RIUNISCE
LE PRINCIPALI AZIENDE VITIVINICOLE:
OLTRE CENTO GIORNALISTI
ACCREDITATI NAZIONALI
E INTERNAZIONALI, CON NOVE
WINE TOUR, OTTOCENTO VINI
IN DEGUSTAZIONE (DI CUI 20 DOC), SESSANTA CANTINE COINVOLTE, CINQUE MASTERCLASS, HANNO CHIUSO CON SUCCESSO
LA DICIANNOVESIMA EDIZIONE DI “SICILIA EN PRIMEUR”.
L’intervento di Laurent de la Gatinais (01), Presidente di Assovini Sicilia, ha aperto il convegno Sicilia en Primeur nella splendida cornice del parco botanico di Radicepura, ai piedi dell’Etna: «La Sicilia ha tutte le carte in regola per diventare una destinazione enologica d’eccellenza, la Napa Valley del Mediterraneo, per varietà e qualità del vino, bellezze paesaggistiche e un patrimonio storico e archeologico unico. L’enoturismo si sta rivelando di importanza economica e strategica in Sicilia per la capacità delle cantine di essere un luogo in cui si coniugano arte, storia, natura, cultura gastronomica e territorio».
ospiti sono affascinati dalle aziende familiari, ma soprattutto considerano importante che ci sia una narrazione dietro ogni esperienza», ha sottolineato Lorenzo Maraviglia (03) - Direttore Generale del San Domenico Palace, Hotel Four Seasons.
L’evento itinerante ha scelto quest’anno le bellezze di Taormina e Radicepura per presentare alla stampa internazionale i vini dell’ultima vendemmia e per discutere della crescita dell’enoturismo all’interno del convegno Sicilia. L’associazione vinicola sottolinea la vocazione e il ruolo delle aziende associate come ambasciatrici e custodi di cultura e territori, e traccia la strada per il futuro della produzione vinicola siciliana, sempre più legata all’enoturismo come esperienza del vino. Consapevoli del trend in crescita dell’enoturismo siciliano, i soci di Assovini Sicilia hanno scommesso sul binomio turismo e vino, e stanno contribuendo con successo a far crescere il brand Sicilia valorizzandone il territorio con competenza, determinazione e professionalità.
Roberta Garibaldi (02), docente dell’Università degli Studi di Bergamo e presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, nel suo intervento su Tendenze e tendenze del turismo enogastronomico ha sottolineato che «La Sicilia conferma il suo primato come migliore destinazione enogastronomica per i turisti italiani perché dell’appeal che l’enogastronomia fornisce l’enoturismo è uno dei punti di forza dell’offerta. Tra le wine experience prevalgono le degustazioni al tramonto (66%), le cene in vigna (60%), la vendemmia turistica (46% ), il wine trekking (42%) passando per il nuovo trend del foraging (46%). La parola d’ordine è “diversificare”, ma in base al target di riferimento, senza dimenticare programmi per famiglie e bambini».
«Lo sviluppo del turismo anche per noi è sempre più esperienziale. Il cibo e il vino accompagnano ogni viaggio degli ospiti, con le visite alle cantine tra le esperienze più popolari. I nostri
Antonio Rallo, presidente del Consorzio di Tutela Vini DOC Sicilia, ripercorre la storia del Consorzio DOC Sicilia dal 2012, anno della sua fondazione, sottolineando che «Le ricchezze dell’isola provengono da un patrimonio senza eguali clima ma anche da un territorio che conta più di 70 varietà autoctone e 42.000 ettari di viticoltura sostenibile. Tra i nostri impegni prioritari c’è quello di dedicarci alla conservazione della biodiversità generata dai 3000 anni di viticoltura sull’isola».
Oggi l’export di vino italiano si concentra principalmente sui mercati europei e nordamericani mentre l’Asia è ancora marginale, anche se in crescita. Lo stesso vale in proporzione per quanto riguarda la Sicilia: i cinque mercati più significativi sono infatti Germania, Stati Uniti, Svizzera, Regno Unito e Belgio. Da segnalare la crescita dell’export siciliano verso Stati Uniti e Svizzera tra il 2021 e il 2022.
Il Tour organizzato, orientato sulle Terre sicane e Val di Mazara, ha permesso di visitare diverse aziende viticole, tra le quali Cretto di Burri, Musita, Assuli Baglio, Tenuta Gorghi Tondi, Feudo Arancio, Serra Ferdinandea, Dimora SIQU e Mandrarossa Winery. Non è mancata una visita del Parco Archeologico di Selinunte e della splendida località di Taormina.
LE AZIENDE VITIVINICOLE SI PRESENTANO
Assuli: vini preziosi con un’anima Assuli, in dialetto siciliano “Al Sole”, sorge nel contesto di terreni della famiglia Caruso, una bellissima area naturale che si estende su una propriet à di circa 130 ettari. La cantina è il risultato di un lento ed accurato lavoro di ristrutturazione di un antico baglio del ‘700, rispettando i criteri originari in una struttura con sue esigenze di funzionalit à ed efficienza. Ed è proprio il legame con il territorio il filo conduttore di una storia iniziata nel 1948 quando il Cav. del Lavoro dott. Giacomo Caruso, imprenditore siciliano di successo e punto di riferimento per lo sviluppo dell’economia del territorio, intu ì le potenzialit à del ‘Perlato di Sicilia’, un marmo estratto sul vicino Monte Cofano. Parallelamente allo sviluppo nei settori edilizio e lapideo, la famiglia Caruso ha mantenuto salde le proprie radici, ampliando negli anni 2000 le proprie campagne, già di propriet à dal secolo scorso. Grazie al mantenimento scrupoloso dei canoni tradizionali di lavorazione di uve autoctone, Assuli ha ottenuto una produzione di vini biologici di eccellenza celebrati da numerosi riconoscimenti in tutto il mondo. Oggi la terza generazione Roberto, Nicoletta e Michele conduce l’azienda verso nuovi traguardi, trasferendo in bottiglia un antico sapere che si esprime in un vino di assoluta genuinit à e dall’inconfondibile carattere. Nero d’Avola, Zibibbo, Insolia, Lucido, Grillo, Perricone sono i vitigni coltivati.
Feudo Arancio: vini rispettosi dell’ambiente Feudo Arancio nasce nel 2001 e si estende su territori vocati alla vite e al vino sin dai tempi dei greci e dei romani. Le tenute, ricche di storia e di fascino, sono una sapiente combinazione di vitigni autoctoni (Nero d’Avola, Grillo, Inzolia) ed internazionali (Syrah, Merlot, Cabernet Sauvignon, Chardonnay). Le uve sono coltivate e vinificate attraverso tecniche e tecnologie all’avanguardia, ma con l’amore e la passione che contraddistingue da sempre i contadini siciliani. La filosofia Feudo Arancio è di produrre vini di alta qualità senza però mai perdere di vista l’ambiente circostante. A seconda delle operazioni agricolturali, si opera manualmente o meccanicamente al fine di ottenere il massimo della qualità che la Sicilia può offrire. Il tutto senza l’ausilio di sostanze di sintesi e preferendo tecniche, come la confusione sessuale e l’inerbimento dei filari per far crescere e proteggere le viti. I vigneti sono la base portante dello stile Feudo Arancio e sono curati avendo sempre presente che il vino di qualità si fa innanzitutto nel vigneto. Le cantine Feudo Arancio sono costruite per ottenere vini varietali di qualità.
Tenuta Gorghi Tondi: vini per natura
La storia della tenuta nasce più di 100 anni fa ma è nel 2000 che Michele Sala, padre di Annamaria e Clara, dopo un’appassionata carriera nel mondo del vino decide con la moglie Doretta e le figlie di iniziare a imbottigliare la bont à e la bellezza che da sempre li circonda. Annamaria e Clara hanno raccolto il testimone del padre e oggi continuano a prendersi cura di quel sogno che da sempre identifica la famiglia Sala con la Sicilia del vino di qualit à . Gorghi Tondi sorge in una riserva naturale, crocevia tra mare, sole e terra, ed è in questa maestosa complessit à che l’uva si arricchisce di profumi e viene lavorata con mano sapiente e sguardo al futuro per produrre un vino indimenticabile. È all’interno
della riserva naturale “Lago Preola e Gorghi Tondi”, che si snodano i 130 ettari dei vigneti nelle contrade di San Nicola e Ramisella. Il terreno pianeggiante ospita quattro piccoli laghi naturali di origine carsica, nati dall’azione della pioggia e del vento sul terreno. La Tenuta Gorghi Tondi è un ecosistema equilibrato e virtuoso alimentato da energia sostenibile e che punta a restituire continuamente il bene che trae dalla terra. Le uve della tenuta sono in prevalenza autoctone, come Grillo, Zibibbo, Nero d’Avola, Catarratto, Frappato, Nerello Mascalese e Perricone, ma anche Syrah, Sauvignon Blanc e Pinot Nero.
Musìta: vin di pura poesia
Musìta è una cantina di famiglia a Salemi (TP), fondata nel 2004 da due fratelli e due sorelle della famiglia Ardagna, attiva dal 2011. Le uve principali della zona sono il Catarratto, il Grillo e lo Zibibbo (uve bianche), il Nero D’Avola, il Syrah e il Cabernet (uve rosse). La distribuzione sul mercato italiano vale circa la met à del suo fatturato e altri mercati importanti sono gli USA, il Giappone, la Cina e l’Europa Centrale. L’obiettivo di Musìta è quello di diventare un punto di riferimento nella produzione di vino siciliano per qualit à e affidabilit à, una valida alternativa ai classici marchi. Come Cantina di famiglia, la missione è far crescere l’azienda compatibilmente con i suoi valori fondanti, come la lealt à e la ricerca della qualit à senza compromessi. Il territorio di Salemi è molto verdeggiante per tutto l’anno, per la presenza di fiumi sotterranei che si snodano attraverso le valli. Grazie ai venti che qui soffiano costantemente, le uve crescono e maturano con pochi o addirittura nessun trattamento. I vini di quest’area hanno quindi caratteristiche ben precise come freschezza, mineralit à, eleganza e struttura.
Planeta: l’ospitalità in primo piano
Planeta è un’azienda agricola con una storia di diciassette generazioni e tra le più importanti in Sicilia: 371 ettari di vigneto e sette cantine dislocate in cinque territori (Menfi, Sambuca di Sicilia, Vittoria, Noto, Etna e Capo Milazzo). Con l’obiettivo di valorizzare singolarmente ogni territorio attraverso un grande lavoro di ricerca, spaziando dall’adattabilità delle varietà internazionali ai vitigni autoctoni fino alle cosiddette “varietà reliquia” - quasi scomparse dal patrimonio ampelografico dell’isola - Planeta è tra le prime realtà in Sicilia e in Italia a essersi dedicata all’enoturismo di eccellenza.
La filosofia di conduzione dell’azienda agricola è orientata alla massima sostenibilità: dalla conversione integrale di tutte le tenute in regime biologico alle attività raccolte sotto il concept Planeta Terra, un insieme di progetti volti alla tutela dell’ambiente e alla promozione di un concetto olistico di agricoltura. L’attività agricola è un veicolo per la tutela ambientale e motore di benessere per l’uomo e per il pianeta. Con Planeta è nata Serra Ferdinandea, progetto di vitivinicoltura e agricoltura biodinamica e Castello Solicchiata, progetto di acquisizione della storica tenuta dei Feudi Spitaleri, sogno e fulcro della vitivinicoltura etnea. Planeta non è solo vino ma anche olio: l’olio EVO biologico Planeta esprime appieno l’identità dell’Oasi Capparrina, storica proprietà della famiglia Planeta racchiusa tra due fiumi a picco sulle spiagge di Menfi. In occasione dell’evento ha presentato i vini di Noto: Santa Cecilia (Nero d’Avola in purezza), Controdanza (Nero d’Avola e Merlot), Allemanda (Moscato Bianco in purezza vinificato secco), Passito di Noto (Moscato Bianco in purezza).
Die Entstehung der
Hotel Krone Unterstrass, Zürich
09.Oktober 2023
Die Rebsortenweine des Gardasees im Mittelpunkt einer exklusiven Verkostung für die Association Suisse des Sommeliers Professionnels
STORIA, NATURA E TERMALISMO IN UNA REGIONE DOVE IL BENESSERE È DI CASA
QUARTO CANTONE SVIZZERO PER NUMERO DI ABITANTI L’ARGOVIA È COSTITUITA DA MOLTE REGIONI DECENTRATE CHE POSSIEDONO OGNUNA UNA PROPRIA CITTÀ CAPOLUOGO. LE PIÙ IMPORTANTI SONO AARAU, BADEN, BRUGG, WOHLEN, BREMGARTEN, ZOFINGEN E RHEINFELDEN. LE SINGOLE REGIONI SI DIFFERENZIANO DAL PUNTO DI VISTA PAESAGGISTICO, CULTURALE ED ECONOMICO.
Il Canton Argovia è stato fondato nel 1803. L’imperatore francese Napoleone Bonaparte unì infatti sotto il nome di Argovia dei territori che dal punto di vista politico, confessionale ed economico erano molto diversi tra loro. L’agricoltura rivestì un ruolo di primaria importanza fino alla fine dell’Ottocento, ma con l’avvento dell’industrializzazione questa situazione si è gradualmente evoluta. Anche se il Canton Argovia conserva a tutt’oggi il suo carattere rurale, tuttavia è presente sul territorio un’industria con grandi gruppi aziendali
internazionali e con molte piccole e medie imprese. A partire dalla seconda guerra mondiale poi il Cantone ha visto crescere l’affluenza di immigrati, che hanno contribuito allo sviluppo economico e che continuano a dare il loro contributo decisivo ancora oggi. Il Cantone Argovia vanta un folto numero di castelli, alcuni dei quali rientrano tra i più belli della Svizzera come quello di Lenzbourg, il castello di Hallwyl circondato da fossati o il castello di Habsbourg – feudo di questa famosa dinastia dal X secolo. Al Museo Vindonissa di Brugg è possibile riper-
correre le tracce lasciate dai Romani, mentre a Windisch c’è l’anfiteatro romano meglio conservato della Svizzera. Vale la pena di visitare anche le numerose piccole città storiche dell’Argovia come Bremgarten, Zofingen ed altre. Nelle varie regioni e nei comuni del Cantone esistono usanze e tradizioni diverse. A motivo della varietà storica del Cantone non esiste infatti una “unica” tradizione argoviese. Nelle città più grandi come Aarau, Baden, Brugg, Lenzburg o Zofingen le feste della gioventù, all’inizio dell’estate, rappresentano il momento culminante nel calendario degli eventi culturali. Lo svolgimento di queste feste è rimasto praticamente invariato nei secoli. In primavera in molti paesi delle zone rurali si celebrano i riti della fertilità e in autunno le feste di ringraziamento per il raccolto.
Aarau , capoluogo del cantone Argovia, è situata sull’Aar, da cui prende il nome. L’affascinante centro storico può vantarsi di possedere i tetti a capanna dipinti (i cosiddetti “Dachhimmel”) più belli della Svizzera. La città moderna denota a sua volta l’interesse per le belle arti: il Museo dell’Arte, la cui costruzione è stata ampliata dai famosi architetti Herzog & de Meuron, apre nuovi orizzonti in materia di architettura e di esposizioni d’arte. Il Museo di Storia Naturale «Naturama» non assomiglia affatto
ad un museo: gli animali, le piante, i coinvolgenti filmati mostrano le interazioni e i campi di tensione esistenti tra la natura e l’uomo in Argovia. Il parco faunistico di Roggenhausen ospita animali selvaggi nel loro habitat naturale e un sentiero didattico. I sentieri per passeggiate e le piste ciclabili lungo l’Aar, come pure i versanti del Giura invitano a trascorrere delle vacanze attive. Gli abitanti di Aargau sanno creare l’atmosfera giusta quando si annuncia una delle feste locali, come il corteo del “Maienzug” in luglio, o la festa del “Bachfischet”. Un tipico punto d’incontro ad Aarau è
il mercato ortofrutticolo che ogni sabato si svolge nel Graben con una vasta scelta di prodotti regionali. La tipica torta di carote argoviese (Rüeblitorte) è molto amata in tutta la Svizzera. Una volta all’anno viene allestito ad Aarau un grande mercato delle carote (Rüeblimarkt).
La cittadina di Baden oggi si è trasformata in un insediamento industriale e urbano che fa parte della metropoli di Zurigo, ma al tempo stesso conserva il carattere di tranquilla stazione termale e centro culturale. Le rovine di Stein ( Ruine Stein Schlossbergweg 4/a) dominano la città di Baden. Le origini di questo castello risalgono all’anno 1000. Dopo i Kyburg, nel 1263 la fortezza passò agli Asburgo. Nel 1415, quando avvenne la conquista da parte dei Confederati, il castello andò in fiamme. Dal 1658 al 1670, l’edificio venne notevolmente ampliato da parte della popolazione locale. Nel 1712, durante la seconda guerra di Villmergen, sotto la spinta delle potenze vincitrici e riformistiche di Zurigo e Berna, Baden fu costretta a ridimensionare la fortezza. Per umiliare la cattolica Baden, le pietre del castello vennero utilizzate per la costruzione della chiesa riformata presso
l’attuale piazzale della stazione. Oggi le rovine sono una popolare meta escursionistica perché la vista dall’alto è mozzafiato.
Passeggiare lungo la Limmat o partecipare a una visita guidata della città, concludere la serata con un concerto nella Nordportal o un teatro nel ThiK, sono solo alcune delle opportunità che la città offre al turista. E, ancora, ristoranti, hotel, bar unici club e locali musicali oppure il Grand Casinò Baden, senza naturalmente dimenticare le straordinarie sorgenti termali, i mercati tradizionali come quello di Natale o i mercati settimanali: ce n’è per tutti i gusti. Il calore naturale e la forza delle sorgenti termali sono stati sfruttati da oltre 2.000 anni. Ancora oggi, un milione di litri dell’acqua termale più ricca di minerali della Svizzera sgorga ogni giorno alla temperatura di 47°C da 18 sorgenti sulfuree. La città di Baden si fregia persino del marchio di qualità “Wellness Destination” con l’approvazione della commissione nazionale per la garanzia della qualità. Il marchio di qualità, creato nel 2008, contraddistingue le località e le destinazioni di vacanza che offrono un programma di benessere completo e di alta qualità.
Luogo di soggiorno ideale per andare alla scoperta di Baden è l’Hotel Blume (Kurplatz 4) che offre una vasta gamma di servizi per un meritato riposo dopo una giornata impegnata.
Per gli ospiti con auto, è disponibile un parcheggio privato, molto utile poiché l’hotel si trova nel centro cittadino. La superficie vitata del Canton Argovia è considerevole e conta un totale di circa 380 ettari. Il clima dolce è influenzato dai numerosi corsi d’acqua che attraversano il territorio. Il suolo giurassico, ricco di calcare si trova ovunque, con composizioni variabili, ed è una delle particolarità della regione: generalmente, conferisce una buona mineralità ai vini. Il Pinot Nero, quindi, è il vitigno predominante, un po’ come in Bordogna mentre, per ciò che concerne i vini bianchi, i produttori del Canton Argovia coltivano principalmente il Müller-Thurgau. Assolutamente da non perdere una visita alla cantina Wehrli Weinbau (Oberdorfstrasse 8, Küttingen). Susi SteigerWehrli è una delle 150 migliori viticoltrici svizzere ed incontrarla rappresenta una straordinaria opportunità per approfondire la cultura del vino dell’Argovia. Nella regione Weinhaus am Bach è invece d’obbligo una visita alla cantina Albi von Felten , dove ogni camera è stata decorata con amore da un enologo. Qui i vini nobili sono giustamente al centro dell’attenzione ed è piacevole lasciarsi guidare dallo chef in persona in un percorso enogastronomico ricco di emozioni.
Il Canton Argovia è luogo di eccezionali itinerari escursionistici o in bicicletta alla scoperta della natura della regione,
a contatto con prati rigogliosi, freschi boschi e suggestive pianure fluviali. Una curiosità è rappresentata senza dubbio dal Die Linner Linde (Linn 42, Linn): il tiglio di Linn è un tiglio estivo che si trova vicino a Linn, nel territorio del comune di Bözberg. Con un’altezza di 25 metri e un tronco di 11 metri di circonferenza, è considerato l’albero più imponente dell’Argovia.
Ovviamente nella regione Aargau ci si può anche semplicemente riposare, l’importante è arrivare a sera sentendosi meglio e pieni di energia. I magnifici stabilimenti termali fanno miracoli. Le terme Bad Schinznach (Badstrasse 50, Schinznach-Bad) sono alimentate dalla fonte di zolfo più ricca della Svizzera e una delle più potenti d’Europa. Bad Schinznach offre ai suoi ospiti un programma completo di spa e benessere. Circondato da un ampio parco e da foreste ancora più estese, il Kurhotel Im Park (Badstrasse 50, Schinznach-Bad) è un hotel costruito nel ‘700 e dotato di un centro benessere di 1.000 m² con piscine interne e all’aperto. Tutte le camere sono arredate con mobili lussuosi e vantano accappatoi, pantofole e connessione internet gratuita. L’Aquarena Fun & Therme Spa comprende uno scivolo lungo 65 metri, una vasca idromassaggio, una piscina con acqua fredda, delle saune finlandesi, un bagno di vapore, un solarium e numerose zone relax. Una tappa obbligata per gli appassionati gourmet e certamente rappresentata dal Landhotel Hirschen (Hauptstrasse 125, Erlinsbach) dove lo stile del ristorante è stagionale e utilizza prodotti regionali di elevata qualità. I concetti di biodiversità, ProSpecie-Rara e Slow Food vengono messi in pratica con convinzione. Dalle creazioni “fine dining” ai famosi piatti popolari fino ai semplici Spezerli di Erlinsbach, la gamma delle proposte è varia, interpretata in modo contemporaneo e i prodotti sono sempre freschissimi.
www.aargautourismus.ch
Mi piace scegliere
IL BUONO E IL BELLO ALLA BASE DEL TURISMO ENOGASTRONOMICO
NASCONO LE AGRIESPERIENZE, UN PROGETTO INNOVATIVO
PRESENTATO DA SEM GENINI, DIRETTORE DELL’UNIONE
CONTADINI TICINESI E PRESIDENTE
DEL CENTRO DI COMPETENZE
AGROALIMENTARI TICINO (CCAT), DA STEFANO RIZZI, DIRETTORE DELLA DIVISIONE DELL’ECONOMIA
DEL DIPARTIMENTO DELLE
FINANZE E DELL’ECONOMIA (DFE), E DA ANGELO TROTTA, DIRETTORE DELL’AGENZIA TURISTICA TICINESE (ATT).
Esperienziale, ovvero relativo all’esperienza, qualcosa che è oggetto prima di percezione e quindi di riflessione. Anche il turismo sta diventando sempre più esperienziale. Non basta più scattare foto e fare selfie accanto ai monumenti simbolo. Chi viaggia lo fa sempre più per vivere esperienze, entrare in contatto con la gente del luogo e immergersi nella loro cultura. Nell’ambito del turismo esperienziale i percorsi enogastronomici sono tra i più richiesti perché niente come il cibo avvicina alle altre culture.
Il turismo esperienziale riguarda una fascia di popolazione culturalmente interessata e che, per questo, ha bisogno di trovare una contropartita all’altezza. Per costruire percorsi adeguati di turismo esperienziale ci vo -
gliono figure qualificate. E proprio al fine di valorizzare al contempo il patrimonio culinario, paesaggistico e culturale del territorio ticinese, sono nate nascono le Agriesperienze. Esperienze semplici e autentiche che seguono le stagioni e il ritmo della natura: esse spaziano dalla raccolta partecipativa di ortaggi e frutta, alla scoperta dei processi caseari, all’incontro degli animali nella fattoria o al pascolo, alla scoperta dei sapori o delle peculiarità gastronomiche e naturalistiche, all’esplorazione della bellezza del paesaggio. Le possibilità sono davvero tante. I più audaci potranno anche partecipare a una o all’altra attività agricola “sporcandosi le mani”. Dove le norme igieniche e di sicurezza lo permetteranno, i partecipanti potranno altresì prendere attivamente parte
al processo produttivo o addirittura creare di persona il proprio manufatto. Esperienze immersive e partecipative di realtà autentiche e genuine. Inoltre, grazie all’accompagnamento di guide accreditate – Guide della Svizzera Italiana (GSI) – i partecipanti avranno l’occasione di scoprire la bellezza dei paesaggi rurali del Ticino, con i loro vigneti, i boschi di castagni, i prati verdi, così come di visitare luoghi di particolare interesse e mete all’infuori dal circuito degli itinerari più battuti. Una formula di esperienze itineranti e proattive che si rivolgono a tutti: adulti e famiglie, siano essi residenti o turisti. Il progetto Agriesperienze ha avuto origine da un incontro informale tenutosi
tra rappresentanti del settore turistico cantonale e di quello primario, promosso dal Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE). Il suo sviluppo è stato supportato da ATT e dal CCAT con la collaborazione delle Guide della Svizzera Italiana (Guide SI). Gli ospiti che soggiornano in Ticino sono sempre più interessati a conoscere l’origine e la storia degli alimenti che consumano. La novità di questa nuova offerta sta nel coinvolgimento delle Guide SI già dagli albori. In virtù della loro professionalità e della loro competenza è stato ideato un catalogo di interessanti proposte. Questa collaborazione permetterà inoltre un fluido sviluppo delle Agrie -
sperienze, che avranno luogo in concomitanza con l’usuale attività giornaliera delle aziende agricole. Il percorso per raggiungere il luogo dell’Agriesperienza, si svolga esso a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, è parte integrante dell’esperienza, per essere in linea con la crescente domanda turistica di esperienze sostenibili. Vi è altresì la possibilità di vivere più esperienze in una, o soddisfare eventuali richieste puntuali individualizzando le proposte.
Le Agriesperienze sono prenotabili online, in date precise, così come su richiesta. Ogni Agriesperienza è disponibile in italiano e in almeno una seconda lingua nazionale, oltre all’inglese. Le Agriesperienze propongono, per ora, sette itinerari in tutto il Ticino con attività diverse e tempi che variano dalla mezza fino alla giornata intera:
1. Locarno, fra città, realtà agricola e punti energetici – Azienda agricola BIO Agarta, Cavigliano;
2. La Valle Verzasca e le sue acque meravigliose – Azienda agricola Colombera, S. Antonino;
3. Immersi nel più bel paesaggio della Svizzera – Cantina Cavallini, Cabbio;
4. Una famiglia, una storia, un ottimo vino – Azienda agricola Bianchi, Arogno;
5. Una pedalata squisita – Azienda agricola Terreni alla Maggia, Ascona;
6. Dalla farina al pane, dal latte al formaggio – Azienda agricola Scoglio, Mugena;
7. Le vie dell’indaco. Un viaggio alla scoperta dei fiori edibili – Cambio, Cadenazzo.
Le singole esperienze si trovano su: agriesperienze.ch e vanno a completare la già vasta offerta di attività enoturistiche di qualità presenti sul territorio: vedi anche ticino.ch/swisswinetour. Le iniziative intendono così avvicinare le persone alla terra ticinese, familiarizzare con i produttori e con l’ampia offerta di prodotti enogastronomici. Un patrimonio di sapere e “saper fare” da divulgare e salvaguardare.
CON L’AUTUNNO TORNA LA 60A
EDIZIONE DELLA RASSEGNA
GASTRONOMICA MENDRISIOTTO
E BASSO CERESIO, IL TRADIZIONALE
APPUNTAMENTO CHE COINVOLGE
I MIGLIORI RISTORANTI DELLA
REGIONE E VEDE LA PARTECIPAZIONE
DI MIGLIAIA DI APPASSIONATI DEL
BUON CIBO E DEL BUON VINO
PROVENIENTI DA TUTTO IL TICINO
E NON SOLO. CE LA PRESENTA NADIA
FONTANA-LUPI. DIRETTRICE OTR
MENDRISIOTTO E BASSO CERESIO.
ESPERIENZA MOLTO GUSTOSA
Perché questa manifestazione riscuote ogni anno un così grande successo?
«Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, perché vanta una lunga tradizione. Quest’anno si tiene infatti la sessantesima edizione, a conferma di una formula che, pur evolvendo e migliorando nel tempo si è sempre mantenuta fedele alle sue radici, che affondano nella profonda matrice popolare della regione. Il Mendrisiotto è infatti da sempre un territorio con una spiccata vocazione nei confronti della buona tavola, con la presenza di numerosi grotti, macellerie con ottime carni, e naturalmente una produzione vitivinicola di tutto rispetto. Un altro elemento da non sottovalutare è dato inoltre dal fatto che in un settore come quello della ristorazione di qualità, dove la mobilità di gestori e chef è molto elevata, sono gli stessi ristoratori, riuniti in un apposito comitato che organizza la Rassegna, a garanti -
re la qualità dei locali partecipanti, affinché sia mantenuto vivo lo spirito originario dell’evento e al tempo stesso assicurato il livello qualitativo della proposta gastronomica».
Anche l’OTR Mendrisiotto e Basso Ceresio è coinvolto in prima persona nell’organizzazione dell’evento… «Anche questa è una peculiarità della Rassegna. L’ente di promozione turistica partecipa da decenni alla realizzazione di questa manifestazione. Siamo particolarmente orgogliosi di poter dire che la nostra Serena Moratti rappresenta un po’ la “memoria storica” della Rassegna di cui si occupa ormai da molti anni a tempo pieno, portando un importante contributo per la selezione dei ristoranti, la scelta dei premi e la comunicazione dell'evento».
Il successo di questa manifestazione è confermato dalle cifre relative alla partecipazione di appassionati del buon cibo e del buon vino…
«Credo che si possa ben dire che anno dopo anno la Rassegna è entrata davvero a far parte degli appuntamenti irrinunciabili del Ticino, complice anche la stagione in cui si tiene, al rientro delle ferie estive e prima dell’inizio del periodo natalizio. Ma, soprattutto è diventata un’occasione per riunire famiglie e gruppi di amici che si ritrovano per scegliere insieme i ristoranti, studiare i menu proposti, programmare le “incursioni” gastronomiche. In questo senso si può parlare di una vera e propria esperienza a 360° dove il cibo riacquista tutto il suo valore di elemento da condividere con amici e parenti. E questa visione corrisponde perfettamente a quell’idea di turismo esperienziale che la nostra OTR porta avanti da tanti anni e che cerchiamo di declinare secondo modalità sempre più diversificate e appaganti».
Dal punto di vista dei contenuti della Rassegna, si può parlare di una conferma di un format ormai consolidato?
«Alla Rassegna parteciperanno 41 ristoranti distribuiti su tutto il territorio del Mendrisiotto e Basso Ceresio, appartenenti a varie tipologie di esercizio, e un ospite fuori comprensorio che si trova a Lugano. Nei vari ristoranti è possibile gustare specialità della cucina
tradizionale regionale ticinese, con grande riguardo alla stagionalità, visto il periodo particolarmente favorevole. I partecipanti preparano i piatti della nostra tradizione culinaria, specialità classiche o rivisitate in chiave moderna. Ogni piatto o menù della rassegna, descritto nell’apposito opuscolo, dà diritto ad un omaggio e ad un timbro sul passaporto di fedeltà. Una volta completato è possibile richiedere il premio finale. Un omaggio speciale, costituito da un orologio da parete in noce, è previsto per festeggiare il 60° anniversario
della manifestazione. Sono confermati il Concorso di disegno dei bambini e quello fotografico, mentre vari altri premi e omaggi sono stati messi a disposizione da parte degli sponsor. Tutto questo concorre ad alimentare il ricordo dell’evento, contribuendo a prolungare il piacere dell’esperienza enogastronomica vissuta».
A questo proposito non va dimenticata anche l’importante presenza dei vini della regione… «La Rassegna Gastronomica promuove ogni anno un Concorso tra le aziende vitivinicole della Regione. I prodotti presentati in concorso vengono valutati in un gruppo di professionisti, e il vino vincitore accompagnerà i piatti della nostra Rassegna Gastronomica. Nello specifico, quest’anno sulla tavola sarà possibile gustare un Merlot prodotto dall’azienda Borgovecchio SA di Balerna».
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Conferenza stampa Rassegna Gastronomica Mendrisiotto, 21.09.2022
Ph: © tinotte
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Ph: © Svizzera Turismo, Giglio Pasqua
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Ph: © Alessandro Zaramella
SU E GIÙ DA 133 ANNI
FRANCESCO MARKESCH, DIRETTORE DI FUNICOLARE
MONTE SAN SALVATORE
SOTTOLINEA COME L’ASSEMBLEA
GENERALE DELLA SOCIETÀ, APPROVANDO IL BILANCIO 2022, ABBIA APPREZZATO I BUONI
RISULTATI OTTENUTI IN UN PERIODO
ANCORA DI USCITA DALLA PANDEMIA E GUARDI CON FIDUCIA ALLE PROSPETTIVE PER IL FUTURO.
Quali sono i principali risultati conseguiti nel corso del 2022?
«Parlerei senz’altro di un bilancio positivo se si considera che l’effetto post pandemia si è manifestato ancora nel corso della stagione con un calo delle frequenze pari a circa 15mila passeggeri in meno (-9%), passati da 254.000 a 239.000. Malgrado questi mancati ospiti sulla funicolare, a determinare in parte il buon risultato dei ricavi ha contribuito a voce “Altri proventi” dove è stato possibile aumentare gli in -
troiti tramite una diversificazione dell’offerta con prestazioni amministrative e contabili fornite a terzi e a migliori ricavi pubblicitari.
A fine anno si è registrato anche un confortante incremento della quota parte accreditata da FFS per la vendita degli abbonamenti generali con validità di due e tre anni. Confermato il contributo del Comune di Paradiso a fronte di una intelligente collaborazione in vigore da alcune stagioni che ha permesso di trasportare gratuitamente in vetta 4.600 unità fra residenti, ospiti degli alberghi, aziende, scolaresche
e società sportive. Avvalorato pure il sostegno dell’azionista di riferimento EFG Bank SA con un prezioso contributo di sponsorizzazione».
Anche nel corso degli ultimi mesi è proseguito il buon successo dell’offerta gastronomica dal Ristorante Vetta…
«Mangiare in vetta al Monte San Salvatore si sta confermando una piacevole abitudine sia da parte dei ticinesi che degli ospiti stranieri. La crescita sia qualitativa che quantitativa del Ristorante Vetta, si rafforza anche grazie ad uno stabile numero di banchetti organizzati sull’arco di tutta la stagione, di cui una parte legati alle opportunità congressuali».
Come da vostra consuetudine avete dedicato i mesi invernali a rendere ancora più efficiente il vostro servizio. In particolare, su quali interventi vi siete concentrati?
«La sospensione stagionale ha coinciso con gli indispensabili interventi legati alla manutenzione, alla sicurezza e alla perfetta funzionalità dell’impianto di risalita. Da segnalare, in modo particolare, l’importante opera di premunizione contro la caduta massi eseguita sulla seconda tratta per assicurare la massima sicurezza lungo il percorso della funicolare e l’agglomerato di Pazzallo/ Lugano. Svariati sono stati pure gli in-
vestimenti sull’impianto e alle imprese accessorie, con significative migliorie all’interno dell’esercizio pubblico. In ogni caso, anche gli sforzi compiuti verso una sempre maggiore destagionalizzazione hanno dato i loro frutti: durante i mesi invernali sono stati molti i residenti e turisti ad approfittare delle belle giornate soleggiate e passare qualche ora sul San Salvatore».
Che cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo futuro?
«Essere riusciti a mantenere il soddisfacente quadro economico della
scorsa stagione, a fronte di un calo delle frequenze, è particolarmente incoraggiante. Alcune misure adottate dalla Direzione nella gestione aziendale con criteri tesi a contenere gli oneri e a consolidare i proventi hanno inoltre contribuito a raggiungere un positivo risultato finale. Alla luce dei risultati conseguiti, ma consci dei rilevanti investimenti per il rinnovo totale delle vetture, la Società ha deciso di destinare ulteriori 300.000 franchi al Fondo Accantonamenti ora portato a CHF 1.150.000.
L’Assemblea ha pure preso nota che la Società per assicurare un futuro in piena sicurezza ha deciso di rinnovare totalmente le due vetture. Carrozzeria, chassis, elettronica ed idraulica verranno completamente costruite a nuovo e dopo la chiusura per le festività di fine anno ad inizio 2024 si procederà alla sostituzione. Un investimento di circa 5 milioni di franchi che la nostra Società è pronta a compiere con i propri mezzi. Ricordiamo che la San Salvatore è una Società Anonima privata e non riceve alcun sostegno da parte di enti esterni».
UN’OPERA INGEGNERISTICA ARDITA E SPETTACOLARE
La Funicolare Monte San Salvatore porta dal comune di Paradiso, nei pressi di Lugano, fino alla cima del Monte San Salvatore, punto panoramico sulla regione del lago e del distretto di Lugano, sulla pianura lombarda e sulle catene delle Alpi svizzere e della Savoia.
Dopo alcuni tentativi senza esito di costruire su questa montagna, una strada carrozzabile, una funicolare e un grande albergo, l’avvocato luganese Antonio
Battaglini il 10 agosto 1885 inoltrò al Consiglio Federale la domanda di con-
cessione per la costruzione di una strada ferrata ad ingranaggio da Lugano fino alla cima del San Salvatore. I lavori iniziarono il 24 luglio 1888 e il collaudo ufficiale avvenne il 20 marzo 1890.
Nell’inverno 1925/26 venne eseguita la completa trasformazione dell’impianto di trazione con un macchinario nuovo e conseguente aumento di velocità a metri 1,8 al secondo. Il tempo di percorrenza venne così ridotto da 26 a 18 minuti. Le vetture vennero sostituite con due nuove della capienza di 65 per -
sone contro le 32 precedenti. Nel 1938 la velocità di trazione venne portata da metri 1,8 al secondo a metri 2,5 al secondo, riducendo così la durata della costa a 14 minuti, poi scesa fino agli attuali 12 minuti. Verso il 1960 la funicolare dovette adeguarsi al nuovo regime di tensione adottato dall’officina elettrica di Lugano. Vennero eseguiti lavori di notevole impegno anche finanziario dovuto all’installazione di nuove vetture, alla sostituzione dell’impianto elettrico e del comando freni che passò dal sistema meccanico all’idraulico. La funicolare festeggiò nel 1990 il suo centenario. Negli anni a seguire furono effettuati ulteriori investimenti, i locali superiori del ristorante vennero trasformati in moderne sale multiuso, le strutture vennero rese accessibili ai disabili, alle persone con difficoltà motorie e agli ipovedenti. Se da una parte, il San Salvatore ha mantenuto inalterata la sua attrazione quale meta panoramica privilegiata, oggi, grazie al Ristorante Vetta, alle opportunità congressuali, alle manifestazioni promosse, la montagna luganese è diventata un apprezzato punto di riferimento per la gente locale e turisti che giungono al Lugano da tutto il mondo.
UN RISTORO TRA ECOSOSTENIBILITÀ E TRADIZIONE
TERMINATI I LAVORI DI RINNOVO DELLA SOVRASTRUTTURA FERROVIARIA E DELLE STAZIONI INTERMEDIE DI SAN NICOLAO E DI BELLAVISTA, È STATO RIAPERTO ANCHE LO STORICO BUFFET BELLAVISTA SUL MONTE GENEROSO. DOPO UN RESTYLING DALL’ APPROCCIO DECISAMENTE SOSTENIBILE E DOPO VARI E CONCRETI INTERVENTI A TUTELA DELL’AMBIENTE, L’ICONICO GROTTO RESTITUISCE AGLI ESCURSIONISTI IL LUOGO IDEALE PER UNA PAUSA RISTORATRICE IN ARMONIA CON LA NATURA. NON DA ULTIMO, È ANCHE TORNATO AD ESSERE LOCATION PER EVENTI PRIVATI ED AZIENDALI IN ESCLUSIVA.
Sin dalla sua apertura nel 1890, ai tempi dei primi viaggi a bordo del treno a vapore, il ‘Buffet de la gare ’ ha offerto agli escursionisti provenienti da tutta Europa la possibilità di ristorarsi nella natura abbracciati da un panorama suggestivo. Amato e apprezzato da sempre, il Buffet Bellavista, dalla sua riapertura a marzo di quest’anno, continua a regalare nuove emozioni a tutti. Situato nel bosco del Monte Generoso a 1223 metri di altitudine e con vista panoramica sul Lago di Lugano, è sicuramente un grotto unico nel suo genere. È facilmente raggiungibile con il treno della Ferrovia Monte Generoso da Capolago, che si ferma proprio di fronte alla sua entra-
ta e terrazza. Nel caso si voglia arrivare a piedi, invece, è possibile farlo dopo una breve passeggiata su strada forestale dal parcheggio Bellavista.
L’arrivo della stagione autunnale è l’occasione perfetta per un’escursione a bordo dei treni a cremagliera sino al Buffet Bellavista. Arrivati, ci si potrà godere la sua atmosfera ospitale e conviviale, impreziosita all’interno da materiali sostenibili come il legno di castagno indigeno, dagli arredi e dal calore sprigionato dal grande camino. Con 160 metri quadrati totali, disposti su due piani, sono 45 i posti a sedere dove poter salutare vecchi amici, incontrarne di nuovi e gustare i piatti della cucina tradizionale ticinese. Lo spettacolo del foliage del bo -
sco che in questo periodo si tinge di giallo, rosso e arancione affascina gli escursionisti, invitandoli a prendere posto sulla terrazza. Qui, tra panche e tavoli realizzati con un innovativo materiale naturale chiamato “conglomerato cimentizio”, composto da acqua, sabbia e ghiaia, si può godere appieno della vista. Proprio dalla terrazza, gli ospiti possono ammirare altri interventi sostenibili che legano il nuovo Buffet Bellavista al territorio e all’ambiente: il sistema di fitodepurazione per lo smaltimento delle acque reflue, la catasta di legno e il cumulo di pietre che favoriscono la biodiversità.
Il Buffet Bellavista, riscaldato da un grande camino e due stufe a pellet, dal 2 dicembre sarà aperto al pubblico tutti i weekend e festivi ed è a disposizione per prenotazioni in esclusiva in occasione di cene ed eventi serali tra amici, familiari e colleghi. Per queste occasioni, la Chef propone piatti stagionali tipici da gustare in compagnia, come polenta e brasato, ma anche la classica fondue chinoise a volontà o la raclette. Mangiare bene, immersi nella natura e in un’atmosfera decisamente impareggiabile non è mai stato così facile. Si potrà, infatti, raggiungere comodamente il Buffet Bellavista prenotando il treno speciale da Capolago, evitando di utilizzare l’auto. In questo modo, le serate saranno davvero spensierate e dedicate esclusivamente al piacere della buona cucina e del buon vino del territorio da gustare in compagnia.
Per informazioni e prenotazioni: events@montegeneroso.ch
T. +41 (0) 91 640 23 40
Il fotovoltaico che segue il sole
Quello della Franklin University College di Sorengo è il primo edificio in Europa con un sistema fotovoltaico mobile, capace di inseguire la posizione del sole, architettonicamente integrato grazie all’impiego di moduli di colore bianco. Nel corso di una giornata, le lamelle si muovono in autonomia posizionandosi sempre in maniera tale da approfittare al massimo dell’irraggiamento solare. Un meccanismo che rende l’edificio più sostenibile dal punto di vista ambientale e, al tempo stesso, offre ombreggiamento all’interno degli spazi per un maggior comfort termico e di illuminazione. I progressi degli ultimi anni nella produzione di elementi fotovoltaici hanno considerevolmente migliorato l’efficienza e la resa di quest’ultimi, e non solo. Oggi, per chi desidera realizzare un edificio bello esteticamente ma allo stesso tempo funzionale dal punto di vista energetico, si aprono varie possibilità per ciò che concerne forme, colori, luce e struttura architettonica. La realizzazione dell’impianto fotovoltaico della Franklin è stata possibile grazie alla rinnovata collaborazione tra l’ateneo di Sorengo e le Aziende Industriali di Lugano (AIL) SA, con il coinvolgimento di diversi partner locali attivi nel settore.
La Smart Community più grande del Ticino
Il complesso residenziale del quartiere di Brughette a Barbengo, di proprietà dell’Istituto di Previdenza del Canton Ticino, con i suoi 1396 pannelli solari, sopperirà alle necessità energetiche di 138 unità domestiche permettendo loro un risparmio medio in fattura dell’ordine di 10 cts/ kWh. Dal punto di vista ambientale, l’energia solare prodotta avrà un impatto indubbiamente positivo: si stima indicativamente un risparmio di 308 tonnellate/CO2, che equivale a fare 114 volte il giro del mondo in auto elettrica.
Per la gestione del raggruppamento di consumo, l’IPCT si avvarrà del prodotto ailSmart Community, come d’altronde sempre più proprietari immobiliari hanno scelto di fare negli ultimi anni.
Pregassona: centrale termica e impianto fotovoltaico per il centro Polis
Con voi verso un futuro sostenibile
ailSolar Cloud è la soluzione «senza pensieri» per il vostro impianto fotovoltaico. Noi finanziamo, progettiamo, installiamo e ci occupiamo della manutenzione dell’impianto per 20 anni; voi beneficiate sempre di tutta l’energia elettrica prodotta!
Infatti, se di solito solo il 35% dell’energia fotovoltaica generata viene usata dall’abitazione, grazie al “cloud” delle AIL, l’elettricità prodotta in eccesso durante le ore di sole viene immagazzinata e poi restituita quando serve di più (alla sera, di notte, durante l’inverno...).
Il progetto legato al Centro Polifunzionale di Pregassona rappresenta un primato a livello ticinese. Il nuovo centro, inaugurato a settembre 2021, è l’edificio pubblico con il più grande impianto fotovoltaico integrato in facciata del canton Ticino. La facciata fotovoltaica, associata ai moduli posizionati sul tetto assicurano il 57% dell’energia elettrica necessaria per tutto l’edificio. Le AIL SA hanno inoltre realizzato all’interno di Polis una centrale termica a cogenerazione che, grazie alla sua produzione di energia elettrica, permette di coprire quasi il 100% del fabbisogno elettrico dell’intero stabile.
«CI SONO MOLTE COSE CHE MI
LEGANO ALLA CHIESETTA SULLA
MONTAGNA: AMO IN PARTICOLARE
LA SEGRETEZZA, IL MAGICO
SILENZIO, QUEL NASCONDERSI E
ASPIRARE ALL’INVISIBILITÀ, IL TIMIDO
SOTTRARSI AL RUMORE E ALLA
FOLLA, UN RISERBO CHE CREDO DI COMPRENDERE SINO IN FONDO».
COSÌ SCRIVEVA NEL 1924 HERMANN
HESSE E ORA LA CHIESA DELLA
MADONNA D’ONGERO TORNA A
VIVERE DOPO ACCURATI LAVORI DI RESTAURO, COME CI RACCONTANO CORNELIA DEUBNER-MARTY, PRESIDENTE, E MARIELLE CHOLLET RAMPA, VICEPRESIDENTE
DEL CONSIGLIO PARROCCHIALE DI CARONA.
RINASCE LA “CHIESETTA SULLA MONTAGNA”
Possiamo fare il punto sullo stato dei lavori di restauro del complesso sacro della Madonna d’Ongero di Carona?
«L’elenco dei lavori già portati a termine è senza dubbio molto lungo. Nella prima fase dei restauri, incentrata sugli interventi esterni, è stata eseguita una manutenzione straordinaria generale del tetto, le scale di legno per accedere al campanile, ormai inservibili, sono state sostituite con solide scale di metallo; stessa sorte è toccata ai solai lignei del campanile, rifatti in legno. È
stata altresì ricostruita la struttura di ferro (cosiddetto castello) delle campane tramite una ditta specializzata del sistema ambrosiano e il campanile è stato oggetto di interventi strutturali di messa in sicurezza. Fra i lavori che sono già stati svolti possiamo annoverare la lanterna che si trova alla sommità del tiburio. L’intero volume edificato era profondamente ammalorato dal tempo e dalle infiltrazioni d’acqua e si è provveduto a un risanamento totale (sia per la volta muraria che per il rivestimento in rame). Quella situazione di precarietà è stata anche la causa
principale dei percolamenti di acqua sugli stucchi. All’interno si percepisce nuovamente la volta a stucco, ora anche illuminata con strisce led, secondo i corretti canoni tecnici».
Nello specifico, quali parti del complesso e quali elementi architettonici sono stati invece interessati nel corso della seconda fase dei lavori di restauro?
«La seconda fase si incentra sugli interventi interni. Lo stato di conservazione dello stucco era estremamente preoccupante. Evidenti erano le marcate presenze di sali che hanno disgregato la struttura stessa dello stucco degradandolo sino in profondità. Il restauro prevede la riadesione dello stucco, la pulitura delle superfici, l’eliminazione dei sali, il consolidamento degli stucchi, i risarcimenti delle lacune e l’integrazione pittorica. Anche la lanterna e la cuspide della torre campanaria richiedono ora un intervento mirato e deciso in tal senso. Inoltre, ispezioni e misurazioni hanno mostrato un evidente quadro fes -
surativo sulle murature del campanile e della sagrestia riconducibili a fenomeni di carattere statico quali spinte non adeguatamente contrastate provenienti dalla copertura e da archi preesistenti. L’intervento richiederà l’inserimento di tiranti in spessore di muratura degli ultimi due livelli del campanile e nella muratura perimetrale della sagrestia, messi in sicurezza durante la prima fase».
L’edificio è un piccolo capolavoro dell’arte barocca. Quali pregiate opere artistiche vi sono custodite?
«Notevole è la decorazione in stucco, condotta in gran parte da Alessandro Casella (circa 1620 – 1661): Dio Padre sopra l’altare maggiore, San Gregorio Magno, le figure di Fede e Carità, San Gerolamo, Santa Maria Maddalena e numerosi Angeli, nonché i Santi Andrea e Giorgio, Mosè e David. La lista è lunga e la cosa migliore è recarvisi di persona per vederli dal vivo. Ora che gli stucchi sono visibili da vicino grazie ai ponteggi, si può solo meravigliarsi della grazia, della cura del dettaglio e dell’armonia di queste opere. Per quanto riguarda gli affreschi, i più famosi sono di Giuseppe Antonio Petrini (1677-1758). Alla Madonna d’Ongero si possono ammirare due scene: la Disputa di Gesù con i Dottori della legge e La Presentazione al Tempio. Poi si può anche scoprire la piccola scena in monocromo della lotta tra Caino e Abele, nascosta in basso a destra di quest’ultima opera».
Perché questa «chiesetta sulla montagna», come l’aveva definita Hermann Hesse in un suo scritto, risulta tanto cara agli abitanti di Carona e delle zone circostanti ma anche a visitatori e pellegrini provenienti da tutto il Ticino e oltre? «Le origini della devozione popolare risalgono a un miracolo avvenuto nel corso del ‘600 quando una bambina sordomuta venne guarita presso una cappelletta a circa 300 metri dalla
chiesa della Madonna d’Ongero. C’è anche un’altra tradizione che risale agli anni di una pestilenza, quando gli abitanti di Gentilino invocarono la Madonna per protezione e vi si recarono poi in processione per ringraziare della grazia ricevuta. Questo pellegrinaggio esiste tutt’ora. Il Santuario è collocato in mezzo a un bosco, e oggi tante persone vi si recano semplicemente per immergersi nella natura. Il bosco di faggi e castagni che porta alla Madonna è infatti un luogo di pace e un luogo del Ticino che emana una particolare energia».
Quale è stato il contributo della locale Parrocchia nella promozione di questo restauro e nella raccolta del necessario contributo finanziario?
«La Parrocchia è proprietaria del Santuario e quindi garante, anche per le generazioni future, della sua salvaguardia. La prima tappa dei restauri è iniziata nell’urgenza di intervenire per contrastare la caduta di alcuni stucchi. Il Consiglio parrocchiale di allora ha avviato i lavori e lavorato sodo per permettere la messa in sicurezza e arrestare il problema dell’umidità di risalita. Poi la pandemia ha bloccato tutto, al pari della mancanza di fondi. Carona, piccola parrocchia di 600 fedeli, ha ben 4 chiese da mantenere. Il desiderio di lunga data del parroco di ridare splendore al Santuario, l’incontro con un generoso donatore pronto a sostenere parte del finanziamento, la frustrazione di avere sotto gli occhi un Santuario chiuso per motivi di sicurezza, la nomina di un nuovo Consiglio parrocchiale, sono state le opportunità per ripartire con il restauro, iniziando con la ricerca di fondi. La generosità degli abitanti di Carona e di tantissimi abitanti dell’Arbostora, della Collina d’Oro, il contributo della città di Lugano, di numerose fondazioni, i sussidi del Cantone e della Confederazione, tutto questo ha permesso di portare avanti il restauro».
Come festeggerete la conclusione dei restauri?
«La fine del cantiere dovrebbe coincidere con la festa della Madonna, nel settembre 2024. Ora siamo ancora lontani dalla fine. In più, la terribile grandinata del 30 maggio ha danneggiato il tetto e dovremmo rimettere i ponteggi che erano già stati tolti. Facciamo un passo alla volta e il traguardo ci riempie il cuore di gioia. Abbiamo già tante idee di come la vogliamo inaugurare. E quel giorno potremo sicuramente dire che il nostro sentimento è quello di un’enorme gratitudine per tutte le persone coinvolte in questo restauro, i nostri generosi donatori e tutta l’equipe degli operatori sotto la guida attenta dell’architetto Luca Giordano e il team Tecnoclima».
Per informazioni: www.parrocchiacarona.ch
PROFUMO DI MARE
Ocean Biretrograde Black & White Automatic 36mm (01 / 02)
Gli orologi Ocean Biretrograde rappresentano la coppia perfetta di esemplari di spicco della collezione. Con un contatore delle ore e dei minuti decentrato a mezzogiorno, due contatori retrogradi per i secondi e i giorni e, infine, un datario a ore 6, questi affascinanti modelli sono diventati dei riferimenti dal design iconico. Caratterizzato da una splendida combinazione di 199 diamanti, madreperla e dettagli laccati neri, l’Ocean Biretrograde Black & White Automatic 36mm è un lussuoso segnatempo sportivo che vanta una personalità fortemente dinamica. Pensato per essere indossato tutti i giorni, grazie al robusto movimento automatico e all’impermeabilità fino a 100 metri, non manca di un’affascinante complessità. Questo modello è limitato a 100 pezzi.
LA MAISON HARRY WINSTON, I CUI PRODOTTI POSSONO
ESSERE AMMIRATI PRESSO LA BOUTIQUE TOURBILLON
DI LUGANO IN VIA NASSA 3,
PRESENTA CON I MODELLI DELLA
LINEA OCEAN UNA COLLEZIONE
DI SEGNATEMPO CHE
RAPPRESENTANO LA SCELTA
IDEALE PER VIVERE UNA STAGIONE ESTIVA IN GRANDE STILE.
Designata come la collezione sportiva della Maison ed immediatamente riconoscibile grazie ai tre archi caratteristici della corona di carica – un chiaro riferimento all’ingresso del Salon Harry Winston a New York – i segnatempi Ocean propongono una ricca varietà di modelli adatti a ogni occasione e caratterizzati da uno spirito di prestazioni e tecnicità. Celebrando il suo 25° anniversario nel 2023, la collezione Ocean deve il suo successo a un carattere unico e audace, accompagnato da un senso ben definito e sofisticato di glamour.
Ocean Date Moon Phase
Automatic 42mm (03 / 04)
La Maison Harry Winston presenta un segnatempo Ocean con una configurazione del quadrante completamente nuova. Sempre fedele ai codici della collezione Ocean, l’ultimo modello cambia rotta e propone un’affascinante disposizione asimmetrica per le fasi lunari, l’ora e la data. Impreziosito da iridescente madreperla che ricorda la spuma marina e da 352 diamanti taglio brillante, l’Ocean Date Moon Phase è dotato di un movimento automatico con una generosa riserva di carica di 68 ore è impermeabile fino a 100 metri. Questo orologio è destinato a diventare un classico.
Project Z16 (05)
Project Z16 è il sedicesimo modello della serie Project Z e compie un ulteriore passo avanti in tema di funzionalità con un pratico calendario completo dotato di data, giorno della settimana e del mese. Realizzato in Zalium e in edizione limitata a 100 esemplari, Project Z16 è una creazione contemporanea ed esuberante che rende omaggio ai ritmi energici e all’architettura di New York, dove Harry Winston ha fondato il marchio omonimo di alta gioielleria nel 1932. Il design inimitabile di questo orologio offre un panorama urbano scheletrato in 3D, composto di ruote dentate e componenti meccanici supportati da una rete simmetrica di ponti.
Dedicati a chi osa e vive la vita appieno, gli orologi Ocean donano un fascino unico e inimitabile a chi li indossa. Con la collezione Ocean è arrivato il momento di abbandonare le convenzioni e di soffermarsi sul meglio che la vita ha da offrire.
UN CLASSICO CHE NON TRAMONTA MAI
LA VERSIONE SPIDER DELLA FERRARI
ROMA SI FA NOTATE SUBITO PER IL SUO TETTO IN TELA CHE
TORNA A FARE BELLA MOSTRA
DI SÉ SU UNA ROSSA DOPO 54 ANNI.
INVARIATO INVECE IL MOTORE V8 BITURBO DA 620 CV.
Con le sue prestazioni e la sua eleganza senza tempo, la Ferrari Roma Spider reinterpreta in chiave contemporanea lo stile italiano degli anni 50 e 60. La grande novità di questa spider – che riprende per proporzioni, volumi e tecnologia utilizzata il concept già apprezzato sulla Ferrari Roma – risiede nel tetto rimovibile in tessuto, soluzione che vede il proprio ritorno nella gamma a motore anteriore del Cavallino Rampante a 54 anni dall’ultima apparizione sulla 365 GTS4
La capote viene reinterpretata in versione moderna e con ampie possibilità di personalizzazione, grazie all’impiego di ricercati tessuti sartoriali con cuciture a contrasto. I ridotti tempi di
apertura del tetto, pari a 13,5 secondi (fino a 60 km/h), si sposano con le ragioni tecniche che hanno portato gli ingegneri Ferrari ad adottare questa soluzione: la riduzione del peso e il contenimento degli ingombri. Ciò ha garantito una minima riduzione del vano bagagli, che perde circa 20 litri attestandosi a 255.
Il motore della Ferrari Roma Spider è il lo stesso della coupé, ossia il V8 biturbo 3.9 che eroga 620 CV a 7500 giri. Sulla Spider è stata introdotta un’importante evoluzione della pompa olio che ha permesso di ridurre lo scatto in caso di partenza a freddo del 70%, oltre a incrementare la portata ai medi regimi. In abbinamento al V8 c’è un cambio doppia frizione in bagno
d’olio, che deriva dalla trasmissione a 8 rapporti introdotta sulla SF90 Stradale. Le modifiche principali rispetto a quest’ultima consistono in una rapportatura più lunga e nell’aggiunta della retromarcia meccanica. ll peso totale della Roma Spider è cresciuto di 84 kg rispetto alla coupé (1.556 kg a secco con i contenuti opzionali di alleggerimento) e le prestazioni sono rimaste immutate: oltre 320 km/h di punta massima, 3,4 secondi per toccare i 100 km/h da fermo e 9,7 secondi per raggiungere i 200 km/h. Esteticamente, la zona maggiormente rivista della Ferrari Roma Spider è la coda, che ha un andamento piuttosto spiovente, con il lunotto in cristallo integrato nella struttura della capote. La casa ha poi sviluppato un nuovo deflettore del vento automatico, azionabile dal guidatore anche in marcia fino a una velocità massima di 170 km/h. Quando il cliente decide di aprirlo tramite la pressione di un tasto posizionato sul tunnel, lo schienale dei sedili posteriori (se inutilizzati) ruoterà e si posizionerà dietro le teste degli occupanti. Le molle a gas che azionano il deflettore sono state sviluppate maniacalmente così da avere un comportamento controllato e fluido in tutti gli istanti e in tutte le condizioni ambientali.
Dal punto di vista aerodinamico, l’elemento di maggior impatto per la generazione del carico è lo spoiler attivo installato in coda. Il cofano posteriore della Ferrari Roma Spider ospita infatti una parte mobile in grado di assumere tre posizioni predefinite: LD o Low drag, MD o Medium downforce, HD o High downforce. Gli ingegneri hanno poi messo ulteriormente a punto il software di controllo Side Slip Control (SSC), che adotta un algoritmo di stima dell’angolo di assetto in tempo reale permettendo di coordinare e azionare i sistemi di controllo dinamico in modo rapido e preciso.
Gli interni della Ferrari Roma Spider replicano l’impostazione di quelli presenti sulla coupé, con due cellule crea -
te dedicate a pilota e passeggero. Il quadro strumenti digitale è protetto da una palpebra antiriflesso che si estende con continuità a partire dalla plancia. Un display centrale di serie da 8,4”, incastonato tra i cockpit e parzialmente flottante tra plancia e tunnel, raccoglie le altre funzioni lega -
te al sistema multimediale e i comandi del clima. Disponibile su richiesta il display passeggero, per condividere le informazioni di guida. L’interfaccia uomo-macchina sulla Ferrari Roma Spider rappresenta una versione riveduta e perfezionata di quella già vista sulla Ferrari Roma.
SULLE ALI DELLA TECNOLOGIA PIÙ RAFFINATA
LA “REGINA” DELLA GAMMA RICEVE
L’ESCLUSIVA PROPULSIONE IBRIDA
AD ALTE PRESTAZIONI PER SFOGGIARE
UN DINAMISMO RAFFINATO, TANTO
SORPRENDENTE AL VOLANTE
QUANTO EFFICACE PER VERSATILITÀ DI IMPIEGO.
Prestazioni fuori dell’ordinario con tutta la raffinatezza e la ricercatezza proprie della categoria al vertice del mondo Mercedes: la Classe S declinata secondo la divisione sportiva AMG è parte integrante della tradizione, a partire dalla 300 SEL 6.8 AMG del 1971. Ora ritorna nella chiave tecnologica più moderna, contraddistinta dalla tecnologia ibrida di ultima generazione derivata dall’esperienza della Casa nella massima formula e orientata alla performance spinta.
Il look levigato della sinuosa ammiraglia riceve diverse personalizzazioni che ne esaltano stilisticamente l’espressività, inclusa per la prima volta l’adozione della mascherina frontale specifica AMG contraddistinta da lamelle verticali, in combinazione a prese d’aria maggiorate, specifici rivestimenti sottoporta, ampio diffusore posteriore nonché cerchi in lega fucinati con diametro fino a 21 pollici. Altrettanto ricercato l’ambiente di bordo, sottolineato dall’impiego di materiali, combinazioni cromatiche e tonalità esclusivi della divisione sportiva, bilanciati tra l’accrescimento di sportività e dinamismo dell’atmosfera e piena conservazione di raffinatezza ed esclusività di allestimento.
Nonostante la vocazione al viaggio, la S E Performance viene inoltre corredata di specifiche schermate di strumentazione, head-up display e sistema multimediale dedicate alla massima prestazione, tra cui quella Supersport che vi-
sualizza tra l’altro cartina di navigazione con dati di telemetria oltre alle configurazioni specifiche di assetto e cambio.
Per l’impiego più dinamico sono disponibili i programmi di marcia Sport+ e Individual (programmabile dall’utente), cui si aggiungono quello sportivo intermedio, due dedicati alla marcia in elettrico - il primo per viaggiare solo a corrente, il secondo per privilegiare il mantenimento del livello di carica -, la modalità dedicata al massimo comfort e infine il programma specifico per adattare l’auto ai fondi con aderenza limitata. Il cuore ibrido della Classe S E Performance AMG si compone del classico otto cilindri a V, biturbo da 612 cv combinato al propulsore elettrico da 190 cv, montato sull’asse posteriore e corredato di una sua specifica trasmissione a due velocità. Quest’ultimo lavora di concerto con il cambio automatico principale a nove rapporti (del tipo a doppia frizione, più diretto e coinvolgente di quello a convertitore di coppia) per poter sfruttare la coppia totale di sistema, che supera l’impressionante livello di 1400 Nm. Non meno importante la specifica batteria al litio High Performance AMG (HPB) da 13,1 kWh, concepita per poter assicurare una potenza elevata e richiamabile frequentemente: 70 kW di potenza continua e picco di 140 kW sostenibile per 10 secondi. La ricarica beneficia di una potente rigenerazione in rallentamento selezionabile su quattro livelli, oltre che all’occorrenza su reti esterne. L’autonomia elettrica raggiunge i 33 km.
L’intera dinamica di marcia di questa esclusiva ammiraglia sportiva viene adattata in tempo reale a seconda di andatura e stile di guida: sterzata integrale, sospensioni regolabili con controllo attivo del rollio, programma di stabilità, trazione integrale 4MATIC+ Performance e differenziale posteriore autobloccante a controllo elettronico sono ricalibrati di continuo per garantire la massima efficacia e le migliori condizioni di esercizio. In questo modo, tra le curve la Classe S E Performance riesce a mettere in campo un comportamento dinamico a livello delle migliori sportive, con i rettilinei che scompaiono sulla spinta della poderosa capacità di spinta.
IL SUV PIÙ LUSSUOSO AL MONDO
LA NUOVA GENERAZIONE DI MODELLI PRESENTA INTERESSANTI NOVITÀ
SIA DAL PUNTO DI VISTA DELLE MOTORIZZAZIONI CHE PER LE SOLUZIONI TECNOLOGICHE
D’AVANGUARDIA, CONFERMANDOSI UNA VETTURA LUSSUOSA ED
ELEGANTE DALLE ELEVATE PRESTAZIONI. TUTTI I MODELLI
RANGE ROVER LI TROVATI PRESSO EMIL FREY NORANCO.
Capostipite dei SUV di lusso, la Range Rover è all’avanguardia da oltre 50 anni, sintesi di comfort eccezionale e prestazioni senza pari. La gamma di motori della Range Rover viene ulteriormente ampliata. Gli ibridi plug-in potenti e a basso consumo di carburante dispongono di un nuovo motore elettrico da 160 kW che, combinato con il motore a benzina a sei cilindri Ingenium da 3,0 litri, produce 550 cavalli e 460 cavalli rispettivamente per le versioni P550e e P460e, rispetto ai 510 cavalli e 440 cavalli delle versioni precedenti.
Questi progressi tecnologici migliorano l’accelerazione in modalità EV (100% elettrica) riducendo di cinque secondi il tempo necessario per raggiungere i 100 km/h. Abbinando le due fonti di alimentazione, la P550e può accelerare da 0 a 100 km/h in 5,0 secondi, rispetto ai 5,5 secondi precedenti. Disponibili accanto agli esistenti mo -
tori Ingenium a sei cilindri mildhybrid benzina e diesel, questi motori forniscono emissioni di CO2 di 16 g/ km con un’autonomia completamente elettrica aumentata fino a 121 km invece di 113 km.
Il V8 utilizza per la prima volta la tecnologia Mild Hybrid Electric Vehicle (MHEV). Questo sistema aumenta l’efficienza del carburante raccogliendo l’energia che altrimenti andrebbe sprecata durante la decelerazione e la
frenata e migliorando la ripresa quando l’energia immagazzinata viene riutilizzata nella fase di accelerazione. Unita ad altri vantaggi, tra cui un funzionamento più fluido del sistema start & stop, questa tecnologia riduce le emissioni di CO2. Sulla Range Rover
SV viene introdotto anche un V8 benzina MHEV biturbo, con potenza potenziata a 615 cavalli e 750 Nm di coppia, che offre prestazioni tanto elevate quanto delicate.
I lussuosi interni della Range Rover combinano connettività semplice e tecnologia intuitiva come mai prima d’ora grazie al sistema multimediale Pivi Pro1 di ultima generazione che offre un’interfaccia chiara e intuitiva in grado di controllare le principali funzioni del veicolo tramite l’elegante touch screen in vetro flottante da 13,1 pollici. I nuovi menu laterali scorrevoli di facile utilizzo consentono un controllo immediato e preciso delle funzioni, indipendentemente dal display principale, e circa l’80% delle attività può essere eseguito con soli due clic dalla schermata principale. Il tocco con feedback tattile offre un livello superiore di interazione con l’utente. L’avanzato sistema di aggiornamento software remoto Software Over The Air (SOTA) assicura che la Range Rover disponga sempre delle funzionalità più recenti, consentendo al veicolo e alle sue attrezzature di migliorare nel tempo. Per la prima volta sulla Range Rover, la nuova tecnologia Country Road Assist perfeziona il cruise control adattivo per
migliorare il comfort dei passeggeri e ridurre il carico di lavoro del conducente. Questo sistema intelligente utilizza i dati di navigazione per regolare automaticamente la velocità ideale, tenendo conto delle svolte della strada e dei cambiamenti di limitazione, accelerando o rallentando il veicolo.
Dopo il suo debutto nella Range Rover Sport, Dynamic Response Pro3 migliora notevolmente la guida della Range Rover. La potente tecnologia di controllo del rollio elettrico riduce l’inclinazione del corpo in curva per una guida più rilassata e precisa, utilizzando attuatori in grado di applicare fino a 1400 Nm di coppia a ciascun asse. Le impareggiabili capacità offroad di Range Rover sono inoltre migliorate dall’introduzione del controllo adattivo della velocità di crociera in fuoristrada. Specifico per il nuovo sistema Terrain Response 2®, aiuta il conducente a navigare su terreni difficili mantenendo un progresso costante a seconda delle condizioni del terreno. Il conducente può selezionare una delle quattro impostazioni di comfort e il sistema intelligente regola la velocità del veicolo di conseguenza, consentendo al conducente di concentrarsi esclusivamente sul volante per navigare su terreni difficili.
Nuova Range Rover Elettrica 2024
La prima Range Rover elettrica si avvicina al lancio e sarà in vendita entro la fine del 2024. Come la sua progenitrice sarà basata sulla piattaforma MLA, che supporta sia i motori ibridi ICE che quelli completamente elettrici. Secondo Nick Collins, direttore del programma veicoli di JLR, «la vettura offrirà i veri valori Range Rover, tra cui capacità fuoristrada, usabilità e raffinatezza con un approccio senza compromessi. Sarà un punto di riferimento per il lusso raffinato e una testimonianza di ciò che questo marchio creerà». La piattaforma MLA genererà altri veicoli elettrici in futuro, come parte dell’impegno di JLR di avere un modello elettrico per ciascuno dei suoi quattro marchi (Range Rover, Discovery, Defender e Jaguar) entro il 2026. La Range Rover elettrica utilizzerà inizialmente batterie fornite da un fornitore esterno, prima di passare all’uso di celle prodotte dalla Tata, società madre di JLR, quando la sua gigafactory sarà in funzione entro i prossimi cinque anni. La sottile evoluzione del design della Range Rover nel corso degli anni suggerisce che la sua silhouette riconoscibile è intrinseca al nome del modello, quindi è probabile che venga mantenuta per tutte le varianti di propulsione.
IL MERCATO IMMOBILIARE DEL FUTURO VERRÀ INEVITABILMENTE
INFLUENZATO DAL COMPORTAMENTO DELLE NUOVE GENERAZIONI.
SARANNO DUNQUE GLI STILI DI VITA
A DETERMINARE QUALI SARANNO
LE PROPRIETÀ CHE CONTINUERANNO
A DESTARE INTERESSE E DUNQUE
AD ESSERE UN INVESTIMENTO
A LUNGO TERMINE. PER QUESTA
RAGIONE WETAG CONSULTING NON
SI LIMITA A PROPORRE L’ABITAZIONE
IDEALE E, NELLA SUA CONSULENZA, VALUTA ANCHE QUALI PROPRIETÀ, NEL TEMPO, MANTENGONO IL LORO VALORE INTATTO.
STILI DI VITA E PROPRIETÀ SU MISURA
Voi siete l’immobiliare leader nel mercato del lusso ticinese. La situazione attuale indica che le proprietà esclusive, sul Lago di Lugano e sul Lago Maggiore, non hanno perso valore. Vista la sua esperienza - anche a livello internazionale - pensa che in futuro il mercato del lusso verrà penalizzato per la mancanza di proprietà?
U.S.: «La situazione evidentemente è cambiata. In passato, quando non c’erano vere e proprie regole per la costruzione e c’erano molti terreni a disposizione, si potevano liberamente realizzare proprietà da sogno, capaci di rispondere completamente alle esigenze dei proprietari. Oggi, pur esistendo regolamentazioni più severe, il
mercato immobiliare è in continua espansione e la situazione non è assolutamente allarmante: ci sono, infatti, numerose abitazioni edificate nella seconda metà del secolo scorso, le quali sono vetuste sia dal punto di vista ingegneristico sia per quanto riguarda l’estetica, quindi necessitano importanti ristrutturazioni e, alcune di esse, vengono abbattute per dare libero spazio alla creatività degli architetti. Per terminare mi sento di dire che ci sarà sempre la possibilità di trovare una proprietà o un luogo ideale, naturalmente ci vuole un po’ più di pazienza rispetto al passato e anche gli investimenti saranno sempre più importanti, ma questi sono i segnali tipici delle regioni, come il Ticino, dove la qualità di vita è alta».
Come esperti del mercato del lusso conoscete anche le dinamiche che portano una persona a preferire una proprietà a un’altra. In che misura i vostri clienti, persone comunque con possibilità finanziarie sopra la media, chiedono di trovare il giusto investimento? Oggi come oggi quali sono le tipologie di proprietà che hanno un potenziale a lungo termine?
P.P.: «Posso rispondere in modo molto semplice, dicendo che da sempre, ancora oggi (e anche in futuro) lo slogan: Location, Location, Location! è quello che conta e interessa di più. Location di prestigio - in qualsiasi parte del mondo - manterranno praticamente sempre il loro valore di mercato, addirittura aumentandolo nel tempo. Sì, siamo esperti del lusso e quindi siamo abituati a una clientela esigente, con richieste specifiche, con budget veramente grandi, la quale però non è sempre facile da soddisfare. Sappiamo che proprietà direttamente a lago e con grandi parchi (giardini) esistono in numero limitato e il Ticino non è immenso. Per questa ragione offriamo ai nostri clienti una consulenza completa, consigliando il giusto investimento che, ripeto, riguarda soprattutto la location, la posizione della
proprietà e la sua privacy, così come la vista lago e il verde, tutti fattori che dopo la pandemia sono diventati ancora più essenziali. Quanto detto vale per tutte le proprietà».
I tassi ipotecari sono al rialzo e l’inflazione ha colpito tutt’Europa, eppure, come abbiamo appena sentito, le proprietà di lusso non conoscono crisi…
I.A.D.: «Quando le circostanze e le dinamiche che influenzano l’acquisizione di un bene immobiliare diventano
più sfavorevoli e gravosi per i potenziali acquirenti, come nel caso dell’aumento dei tassi ipotecari, è lecito attendersi una contrazione delle vendite. In questi casi le proprietà più colpite sono le dimore secondarie, le abitazioni di vacanza, poiché sono beni immobiliari di natura ludica e di prestigio, ma quando si parla di lusso la situazione è completamente diversa. In tempo di crisi, coloro che godono della possibilità economica di trasferire la propria residenza in un Paese che possa offrire migliori condizioni, lo fanno. Stiamo parlando di persone disposte ad investire nella loro casa oltre la decina di milioni di franchi. In virtù di tale dinamica stiamo attraversando un periodo particolarmente positivo per quanto concerne la compravendita di proprietà di lusso, ciò che conduce inevitabilmente alla solidificazione dei prezzi, e addirittura, in alcune circostanze, a un loro incremento».
L’ ARCH. ANDREA SILVAGNI
E L’ARCH. GIACOMO MORO, RISPETTIVAMENTE FONDATORI
DELLO STUDIO SETA ARCHITECTURE
E SETA PROJECT MANAGEMENT, RACCONTANO LA LORO ATTIVITÀ
DI ARCHITETTI E IL RUOLO
ALL’INTERNO DEL GRUPPO SETA, REALTÀ CHE OPERA NEL SETTORE
IMMOBILIARE TICINESE E NON SOLO.
DIAMO FORMA CONCRETA AI DESIDERI DEI CLIENTI
Entrambi con esperienza decennale in due importanti realtà presenti in Ticino, hanno deciso di unire le loro forze, o per meglio dire le idee, e incanalare le loro energie all’interno delle due società di progettazione del gruppo SETA.
Che ruolo ha la figura dell’Architetto all’interno di un gruppo multidisciplinare?
A.S.: «Il ruolo dell’architetto è di fondamentale importanza all’interno di un gruppo di professionisti che hanno
come obiettivo quello di pianificare e realizzare spazi di vita. È necessaria una combinazione di creatività, competenze tecniche e sensibilità sociale per creare ambienti che soddisfano le esigenze e i desideri delle persone, ricercando un equilibrio tra i molti fattori che condizionano una costruzione».
G.M.: «In un mondo che cambia velocemente diventa importante trovare il tempo di costruire una visione e per poter dare delle risposte è necessario, di conseguenza, porsi molte domande. Il nostro approccio ci mette costantemente nella condizione di andare oltre alle esperienze pregresse, fornendo soluzioni innovative alla complessità della nostra attività».
La gestione di società come le vostre implica la necessita di impegnarsi su vari fronti. Come si svolge una giornata tipo?
G.M.: «L’attività quotidiana è intensa, dinamica. È fatta di cantieri, di progetti, di rapporti umani, di ricerca, di studio. L’ “io” non esiste: i momenti di confronto con il team sono quotidiani e ogni punto di vista viene preso in considerazione e valorizzato, con l’obiettivo comune di trovare la migliore soluzione alle problematiche. I profumi sono quelli del caffè la mattina, della terra durante uno scavo, del cemento fresco e del ferro, ma anche di un buon bicchiere quando si tratta di festeggiare la conclusione di un’opera».
Qual è il vostro approcio ai nuovi progetti?
A.S.: «Tutto parte dalla vistita sul luogo, ed è per noi l’aspetto più importante. Questo momento ci trasmette il feeling con il contesto in cui ci troviamo: le emozioni che ci suscita sono fondamentali e ci suggeriscono le basi per lo sviluppo del progetto. Il territorio, uno scorcio, l’alternarsi di luci e ombre, un profumo, sono gli stimoli necessari per comporre l’alchimia delle nostre architetture. Siamo consapevoli che la nostra responsabilità piu’ grande è quella di creare edifici fatti per restare nel tempo, che caratterizzano quartieri, città e il nostro territorio; per questo, alla base del processo progettuale, sono fondamentali i seguenti aspetti: integrazione nel contesto, estetica, benessere, sostenibilità e tecnica».
Quali sono i vostri strumenti di lavoro?
G.M.: «In un mondo in cui la tecnica sta correndo a ritmi fino a “ieri” inimmaginabili, il tutto parte in modo anacronistico da una matita e un foglio bianco: un’idea diventa schizzo, uno schizzo diventa idea, lo si fotografa, lo si cestina, lo si riprende, lo si elabora. Lo si trasforma in materia con modelli di studio, lo si taglia, lo si cuce. L’idea inizia a prendere forma in maniera vettoriale per poi diventare tridimensionale e integrata. Ecco i render fotorealistici. Era così che lo immaginavamo? Ripartiamo da zero?
La ricerca di SETA è concentrata anche all’identificazione e il perfezionamento degli strumenti di accompagnamento alla progettazione, integrando tecniche bidimensionali, tridimensionali, BIM e intelligenza artificiale».
Come si passa “dalla carta” al cantiere?
A.S.: «Lo studio opera con un metodo sviluppato in seguito ad un’attenta ottimizzazione e semplificazione dei processi, che parte dalla fase di appalto, si trasforma in ingegnerizzazione del progetto, sfocia nella gestione del cantiere e si conclude con la consegna dell’opera».
Parlate di ottimizzare e semplificare: come riuscite a facilitare questo aspetto cosi “spinoso” per tutti?
G.M.: «All’interno del processo costruttivo esistono tre criteri principali misurabili: tempi, costi e qualità. Il lavoro quotidiano mira a mantenere sotto controllo questa triangolazione in maniera metodica, tenendo in considerazione e coordinando tutti gli aspetti e le figure che gravitano attorno alla costruzione di un edificio: l’ambiente, gli artigiani, i progettisti e i tecnici, le autorità, le normative, la costruzione, l’economia, il tempo, la
meteorologia, ecc. Ci assumiamo la totale responsabilità dei tempi, dei costi e della qualità del risultato finale, avendone noi la gestione perché crediamo in questo controllo.
La scelta dei partner che compongono la squadra è una parte fondamentale del lavoro, ma la ricerca costante di nuove soluzioni e il perfezionamento di quelle conosciute possono dare un ulteriore valore aggiunto al risultato finale. Questo comporta un processo di ricerca continua e aggiornamento costante delle competenze: ecco che le figure che fanno parte del team, sono spesso impegnate a confrontarsi con nuove soluzioni tecniche, rapportandosi con le eccellenze del settore nei suoi vari ambiti».
Cosa augurate al gruppo SETA nei prossimi anni?
«Dall’inizio dell’attività, sono state portate a compimento molte opere e molte altre sono in fase di pianificazione o in cantiere. Abbiamo una visione ben chiara in merito al futuro del nostro operare: l’obiettivo è quello di realizzare edifici concepiti per massimizzare tutti i criteri legati alla sostenibilità, integrare le novità in ambito tecnologico e rispondere in maniera concreta ai nuovi modi di vivere gli edifici, nell’ottica di massimizzare il benessere e la qualità di vita».
SOLUZIONI ABITATIVE CHE ANTICIPANO IL MERCATO
GIOVANNI MASTRODDI FA IL PUNTO SULLE INCERTEZZE CHE CONTRADDISTINGUONO L’ATTUALE ANDAMENTO DEL MERCATO IMMOBILIARE E PRESENTA UN VENTAGLIO DI SOLUZIONI IN GRADO DI SODDISFARE LE DIVERSE
In base alla sua personale esperienza e ai dati macroeconomici disponibili, dopo la pausa estiva, quali prospettive dobbiamo attenderci per ciò che riguarda l’andamento del mercato immobiliare svizzero e ticinese?
«Il quadro presenta molti elementi in parte contraddittori e questo induce ad un atteggiamento di massima prudenza riguardo a quelle che potranno essere le prospettive a breve-medio termine. Diversi rapporti economici rilevano un aumento dei canoni d’affitto a Lugano. Per contro, si registra una diminuzione del prezzo delle case in vendita, determinata da una contrazione del mercato, e questa situazione si spiega con l’aumento dell’inflazione che, seppur frenata dall’aumento dei tassi, ha segnato una crescita nei mesi scorsi e si teme che possa tornare a crescere in autunno. Perdura poi il fatto che la dinamica demografica in Ticino risulta essere particolarmente stabile, e questo si riflette anche sul mercato immobiliare. Non ultimo, il Ticino risulta essere tra i Cantoni che applicano l’aliquota
più alta e di conseguenza questo scoraggia la permanenza dei contribuenti più facoltosi. In sintesi, credo che in questo momento sia opportuno soprattutto mantenere la calma e confidare che si ristabilisca una situazione di maggiore stabilità del mercato».
In particolare, molti potenziali acquirenti si dicono frenati rispetto ad eventuali investimenti immobiliari dalla perdurante inflazione e soprattutto dall’aumento dei tassi ipotecari. Qual è la sua opinione in merito?
«Senza dubbio l’aumento dei tessi ipotecari, passati dall’1 al 3% circa, ha inciso in modo più sensibile sulla fascia di ceto medio a reddito fisso che rischia di essere maggiormente frenato nella sua propensione all’acquisto di una casa, scegliendo invece soluzioni abitative in affitto. Va ricordato che in Svizzera i tassi ipotecari hanno oscillato sempre tra il 2,5 ed 3%, quale conferma di stabilità economica e politica. Il periodo dei tassi negativi e delle banche centrali che stampavano banconote per milardi, ha creato una abitudine non naturale.
L’aumento dei tassi avrebbe invece una minore influenza su quelle persone benestanti che potrebbero assorbire meglio i maggiori costi dei mutui, ma che da tempo vanno purtroppo lasciando il Ticino, attratti da altri Cantoni che offrono condizioni più vantaggiose. Infine, un aspetto da non trascurare riguarda il fatto che il Ticino rientra tra quei Cantoni che devono ridurre la propria superficie edificabile e questa situazione di incertezza destinata a durare fino a quando non avremmo una mappa della classificazione dei terreni, può frenare l’interesse degli investitori ad intraprendere nuove operazioni immobiliari».
Nell’ultimo periodo si sono registrati significativi mutamenti per quanto riguarda la tipologia delle richieste che ricevete da parte di acquirenti domestici ed internazionali?
«Vorrei innanzitutto sottolineare il fatto che i cambiamenti nelle richieste dei potenziali acquirenti si registrano oggi con una velocità maggiore rispetto al passato, addirittura nel volgere di pochi mesi. Così, per esempio, se ancora alla fine dello scorso anno, le richieste dei clienti domestici si orientavano verso appartamenti di 4,5 e 5,5 locali, oggi
anche in relazione alla diminuzione dei prezzi che si è registrata (fino al 10%) quello stesso cliente ricerca appartamenti per un investimento sicuro di medie dimensioni. Per quanto riguarda invece il cliente internazionale ricerca sempre immobili in location di qualità e spazi immobiliari importanti, sebbene continua, come ho già detto, il trasferimento verso altri Cantoni o altre destinazioni al di fuori della Svizzera, facilmente spiegabile se si considera che, in virtù della politica fiscale adottata, alcuni globalisti hanno visto la loro imposta cresciuta anche di 2 o 3 volte».
Quella appena conclusa è stata anche per il Ticino una stagione turistica molto positiva. Questa conferma della regione come destinazione privilegiata per chi vuole trascorrere soggiorni in condizioni di assoluto relax e benessere, si è tradotta anche in un aumento di richieste di seconde case per vacanze?
«Negli ultimi mesi il turismo in Ticino ha fatto certamente rimarcare un positivo andamento e questo trend si è registrato anche rispetto alla vendita di case e appartamenti per vacanze, che già avevano rimarcato una forte cre -
scita nel periodo del Covid, cui era poi seguita una fisiologica flessione. A beneficiarne sono stati soprattutto i Clienti provenienti dalla Svizzera ed anche dalla vicina Italia, mentre gli acquirenti provenienti dal nord Europa si orientano soprattutto verso immobili che permettono trasferimenti definitivi. In ogni caso, a limitare il mercato delle seconde residenze permangono i vincoli di una legislazione in materia che si conferma essere particolarmente restrittiva».
Da ultimo, quali sono le più interessanti proposte intorno a cui si concentra attualmente l’attività di MG Immobiliare e quali oggetti di particolare pregio intende segnalare?
«Siamo sul mercato da oltre trent’anni e in questo lungo periodo abbiamo sempre cercato di interpretare al meglio le esigenze dei nostri clienti e addirittura anticiparle. Disponiamo di una vasta gamma di oggetti immobiliari, che abbracciano e soddisfano le diverse esigenza abitative. A questo proposito, vorrei citare un piccolo condominio in fase di progettazione e commercializzazione a Gentilino - Collina d’Oro ma anche le diverse soluzioni di appartamenti che spaziano da 2,5 a 5,5 locali collocati nel centro di Lugano oppure in prima collina con vista lago. Abbiamo vari appartamenti di prestigio ubicati nelle immediate vicinanze di Lugano, a Vico Morcote, Morcote, Porza, Savosa, fino a proporre uno splendido attico ad Albonago, o a una esclusiva villa di grandi dimensioni e in una posizione con una vista eccezionale situata a Lugano Breganzona, quindi opportunità per ogni esigenza». MG FIDUCIARIA IMMOBILIARE SAGL
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dità e dei servizi che la città offre. Infatti la posizione del nuovo progetto Green Corner è davvero unica: si trova nel vantaggioso comune fiscale di Paradiso, circondato dall’incantevole natura del Ticino, a due passi dal lungolago di Lugano. Il Comune offre numerose e diversificate attività. Le buone infrastrutture pubbliche fanno di Paradiso un luogo privilegiato in termini di qualità della vita. A ciò si aggiunge poi l’apertura sul lago, che offre un importante valore paesaggistico al luogo. La residenza Green Corner si sviluppa con nove piani fuori terra: il piano terreno ad uso commerciale e i restanti ad uso abitativo, mentre i tre piani interrati sono dedicati alle autorimesse. All’edificio si accede da Via San Salvatore, sul lato est. Nei piani interrati sono dislocati complessivamente 38 posti auto, 37 cantine, 7 locali adibiti a magaz-
zino, diversi vani adibiti a deposito, nonché un locale tecnico per l’impianto elettrico e di riscaldamento. Al piano terreno si trova un grande spazio commerciale che può essere suddiviso in due, con accesso pedonale da Via Geretta (lato sud) e Via San Salvatore (lato est). Anche l’ingresso residenziale si trova in Via San Salvatore. Il tetto dell’edificio è diviso in due parti, ciascuna delle quali è adibita come terrazza ad esclusivo utilizzo dei rispettivi attici.
Ai piani residenziali sono previsti 37 appartamenti di proprietà (prima e seconda casa) che presentano diverse tipologie di appartamenti da 1.5, 2.5, 3.5 e 4.5 locali. Gli ampi spazi abitativi godono di abbondante luce naturale e sono perfetti per rilassarsi e sentirsi a proprio agio. La cucina aperta è dotata di elettrodomestici di alta qualità. I bagni sono eleganti e funzionali mentre nelle spaziose camere da letto è possibile trovare tranquillità e riposo.
La cura dei dettagli è un punto di forza della residenza Green Corner e lo confermano gli elevati standard di costruzione e la scrupolosa scelta dei materiali esterni e delle finiture interne; la facciata è costituita da una struttura ventilata rivestita da pannelli in travertino alternati da pannelli fotovoltaici; i rivestimenti interni delle parti comuni sono anch’essi pensati in lastre di travertino. Questo palazzo rappresenta la soluzione ideale per chi desidera vivere in un ambiente moderno e accogliente.
Il gruppo immobiliare LIKA sviluppa e realizza progetti di costruzione di alta qualità valorizzando i piccoli e i grandi comuni cittadini, offrendo visioni sostenibili, una gestione efficiente del progetto, una pianificazione affidabile e una garanzia di qualità. Durante la progettazione, l’attenzione è rivolta alle esigenze e ai requisiti locali, con il risultato di edifici che si adattano perfettamente al paesaggio urbano. Grazie al suo pensiero innovativo, il Gruppo LIKA è in grado di affrontare e realizzare con successo progetti immobiliari anche molto impegnativi.
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CHIAVI IN MANO DI OGNI TIPO D’OGGETTO. NE PARLIAMO CON GIAN PIETRO SIGNORELLI, DIRETTORE GENERALE.
Festeggiate quest’anno 30 anni di presenza sul mercato immobiliare ticinese. Guardando al passato come si è trasformato nel corso di questo periodo il territorio del Cantone e quali sono i principali problemi urbanistici e edilizi tuttora aperti?
«Se confrontati allo sviluppo di un territorio e alle sue modifiche 30 anni potrebbero sembrare un periodo poco significativo. Tuttavia la società e la velocità con cui sta cambiando hanno portato dei mutamenti enormi sia sul tessuto costruito che sul modo di vedere lo sviluppo urbanistico.
Direi che l’obbiettivo odierno è quello di costruire un dialogo tra le parti in modo tale che il necessario sviluppo economico e territoriale sia piani -
ficato in accordo con un proporzionale adeguamento delle infrastrutture pubbliche e private. D’altra parte sarebbe opportuno chinarsi sul risanamento degli immobili antecedenti agli anni ’90, che rappresentano una gran parte del tessuto urbano cogliendo l’opportunità per ritrovare l’armonia tra il costruito e l’ambiente circostante».
Quali principali vicende hanno caratterizzato la storia di Promeng e quali sono state le più importanti realizzazioni portate a termine?
«Promeng è una realtà fortemente territoriale, oggi ben inserita nel tessuto edile ticinese grazie alla caparbietà del fondatore Francesco Salinetti che ci ha lasciati nel 2016. Dopo la nascita ed i primi passi
mossi in Engadina con le prime promozioni, il centro di interesse si è spostato in Ticino. Le nostre realizzazioni vanno dagli edifici residenziali quali la residenza Crossover all’entrata nord di Lugano o il complesso di Villa Branca sul lungolago di Melide, agli edifici di interesse pubblico come l’ampliamento delle cure intense all’Ospedale civico di Lugano o la nuova Casa della Socialità di Pro Infirmis e il nuovo quartiere residenziale Parc en Ciel a Bellinzona fino a progetti molto specifici come la ristrutturazione dell’Hotel Gabbani in Piazza Cioccaro a Lugano così come la ricostruzione del Mulino di Maroggia distrutto da un terribile incendio. Una realizzazione che ben rappresenta la specificità del nostro operare anche di fronte a sfide particolarmente complesse. In ognuno di questi progetti per Promeng il denominatore comune è la ricerca della qualità, nel rispetto di tempi e costi, attraverso una realizzazione curata nei particolari a confermare quello che è diventato il nostro motto: “La cura del dettaglio, la soddisfazione del cliente”».
Informatica, digitalizzazione, sostenibilità: come vi siete attrezzati per affrontare quelle che, anche nel vostro settore, rappresentano le sfide del futuro?
«Al giorno d’oggi senza strumenti informatici e digitali non si può essere competitivi. Per stare al passo con i tempi bisogna continuare ad evolversi digitalmente. Tutti i calcoli, gli ordini, la progettazione passano dal digitale. Anche in cantiere gli strumenti digitali permettono di svolgere i lavori in modo più preciso aumentando la sicurezza operativa. La sostenibilità sta attraversando una rivoluzione per cui nello specifico la tecnologia ci permette di essere più responsabili sull’’impatto ambientale nella scelta dei materiali e della loro messa in opera rendendo il nostro operare quotidiano più consapevole nella costruzione di edifici che generano un enorme valore aggiunto per il territorio e per le generazioni future».
Quando si festeggia un anniversario si guarda necessariamente anche al futuro. Quali obbiettivi vi siete dati per i prossimi decenni?
«Un anniversario permette di soffermarsi a riflettere su quanto fatto fino ad
ora e su dove si vuole arrivare in futuro. Ad oggi, porsi degli obbiettivi troppo lontani risulta essere illusorio per cui nei prossimi anni Promeng vuole continuare a contraddistinguersi per la qualità esecutiva, da sempre riconosciuta come punto di forza dell’azienda».
Uno delle vostre ultime promozioni riguarda la Residenza VERA. Di che cosa si tratta e quali sono i più significativi elementi che lo caratterizzano?
«L’ultima promozione immobiliare è la Residenza Vera a Bellinzona. Uno stabile di sole 9 unità abitative caratterizzato dai suoi spazi polivalenti. Si passa dai 2.5 ai 4.5 locali comprendendo anche un attico con un ampio giardino pensile di 100 mq. L’edificio caratterizzato da un involucro efficiente sotto il profilo energetico globale e delle emissioni dirette di CO2. All’elevato comfort abitativo si sommano le finiture di pregio. La cornice dei castelli e la vicinanza con i principali punti d’interesse della città, rendono questa residenza un luogo attrattivo in cui vivere. Per avere maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.verarealestate.ch».
UN APPROCCIO INTERDISCIPLINARE ALL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA
L’ARCH. MILO PICCOLI, DIRETTORE DELLA SUCCURSALE DI LUGANO DI ITTEN+BRECHBÜHL, PRESENTA LE PIÙ RECENTI REALIZZAZIONI DI UNO STUDIO DI ARCHITETTURA TRA I PIÙ IMPORTANTI IN SVIZZERA, CHE PROVVEDE ALLA PROGETTAZIONE, AL MONITORAGGIO E ALLA GESTIONE DELL’INTERO PROCESSO DI COSTRUZIONE, DALLA FASE PROGETTUALE FINO ALL’ENTRATA IN FUNZIONE DELL’EDIFICIO.
Qual è l’idea di architettura che guida le vostre scelte progettuali?
«Se un tempo l’architetto era il singolo autore del progetto, ora l’architettura è un grande processo collettivo, un lavoro in collaborazione con un obiettivo comune. Pertanto, solo le reti di competenza locali potranno vincere le sfide future. Sta a noi architetti creare un mondo nuovo e migliore. Le nostre risorse non sono inesauribili e questo ci costringe alla razionalità e all’efficienza, ma non basta. Se pensiamo al futuro, dobbiamo introdurre nella nostra visione anche un elemento utopico».
La tipologia degli edifici da voi realizzati spazia in ambiti diversi… «L’attività di Itten+Brechbühl contempla la realizzazione di progetti eterogenei come ospedali, laboratori e centri di ricerca, stazioni ferroviarie, complessi
immobiliari ad uso uffici o impianti sportivi. Siamo specializzati nel settore della sanità e della cura, nel campo dell’istruzione e della ricerca, nei servizi e nell’industria. Nello specifico, tenendo conto dell’evoluzione continua dei requisiti delle infrastrutture ospedaliere, abbiamo da tempo sviluppato un concetto di Core Hospital: servizi concentrati nell’infrastruttura, con tutte le funzioni base e specialistiche e, parallelamente, un insieme complementare di singole funzioni associate alla salute».
Fare architettura significa oggi avere una particolare attenzione nei confronti della sostenibilità…
«Il futuro dell’architettura non è più segnato principalmente da quello che facciamo, bensì da quello che non facciamo. Le risorse dell’ambiente non sono infinite. Le questioni importanti dell’architettura, come i consumi energetici, la scienza dei materiali da co -
struzione e l’impiantistica, non sono più semplici problemi estetici degli spazi, ma temi di elevata complessità tecnica e di grande rilievo. Siamo convinti che si possono ottenere soluzioni sostenibili solo se un progetto architettonico viene inteso come un processo integrato, unico e contestualizzato, frutto della collaborazione di tutti i partecipanti sin dalle prime fasi di progettazione. IB si impegna a perseguire questo obiettivo entro il 2030, allineandosi cosi agli impegni assunti dalla Svizzera per lo sviluppo sostenibile, con la sottoscrizione di una “Carta per lo sviluppo sostenibile – Strategia architettonica 2030”».
In che modo e in che misura digitalizzazione e automazione hanno trasformato il modo di progettare di IB?
«La digitalizzazione dei processi di progettazione offre nuove possibilità di rappresentazione ed elaborazione delle informazioni. Alcuni temi della discussione, come il Building Information Modeling (BIM), la Virtual Design and Construction (VDC) e la Smart Architecture, rappresentano una sfida per il ruolo centrale e di coordinamento degli architetti. Con il nostro impegno in Svizzera e con le nostre relazioni internazionali promuoviamo nuovi standard nello sviluppo e nell’elaborazione digitale di progetti che dimostrano la loro validità a livello interdisciplinare. Tutte le persone coinvolte nella pianificazione hanno così la possibilità di accedere contemporaneamente allo stato corrente della pianificazione».
Possiamo vedere alcuni vostri lavori in corso?
«Certamente. Partirei dal nuovo Centro polifunzionale d’istruzione e tiro di Monteceneri, un progetto concepito come una galleria, che sviluppa una testa principale in grado di contenere tutte le funzioni di uso generico e che si colloca nella “fossa di scavo”. Questa fossa rappresenta l’elemento preparatorio necessario alla realizzazione
della “galleria” e ospiterà l’edificio di contenuti a servizio. Nella galleria si posizioneranno invece le linee di tiro, con un sistema ottimizzato e sovrapposto in grado di ridurre al minimo lo spostamento degli utenti e di ottimizzare l’impiantistica soprattutto in termini di ventilazione e ricambi d’aria.
Il Politecnico Federale di Losanna ha scelto IB e 3XN per la progettazione e la costruzione del nuovo Campus Ecotope a Losanna, quale estensione dell’attuale Parco della Scienza e del Quartiere dell’Innovazione. Il nostro progetto risponde alla sfida lanciata dall’EPFL di creare un luogo che avrà un impatto positivo sulla società nei prossimi anni. Ecotope sarà un Campus che faciliterà e genererà soluzioni innovative e senza precedenti, grazie all’interfaccia tra l’EPFL e la società in generale. Si tratta anche di ripensare il rapporto tra le dimensioni, gli spazi e gli usi e di trovare soluzioni tecniche innovative per ridurre al minimo l’impatto dell’edificio sull’ambiente. Tra queste, la scelta di un’architettura compatta e modulare, e la preferenza per materiali «RE» riciclati/ riciclabili/ riutilizzabili esprime l’ambizione di realizzare un eco-sistema con un alto grado di sostenibilità e circolarità.
La progettazione e la realizzazione del Palazzetto sportivo provvisorio Gloriarank a Zurigo, appena terminato, rispecchia molto bene la visione di progetta-
zione sostenibile del nostro ufficio che in questo caso ha concepito un edificio in legno di larice composto da elementi prefabbricati che potrà essere smontato e rimontato in un altro contesto urbano. La realizzazione dell’intero edificio, che ha richiesto 12 mesi, ha rispettato perfettamente una delle condizioni più impegnative del bando di concorso».
Uno degli ambiti in cui siete specializzati riguarda la realizzazione di residenze per la terza e quarta età…
«Questo è un tema che ci sta particolarmente a cuore e i nostri sforzi sono indirizzati alla realizzazione di edifici che soddisfino al tempo stesso esigenze di cura, benessere e socializzazione degli anziani. Questa filosofia è bene esemplificata dal complesso che abbiamo progettato per l’Ente autonomo Casa per anziani Canobbio-Lugano. L’edificio è attualmente in fase di realizzazione ed entrerà in esercizio nel 2024».
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ITTEN+BRECHBÜHL SA
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ORIGINARIO DELLA MANCHA, LA STESSA TERRA DOVE NACQUE
DON QUIJOTE, E FORSE PER QUESTO PORTATORE DI FANTASIA E CREATIVITÀ, ALFONSO GIRÓN DOMÍNGUEZ È UN ARCHITETTO
SPAGNOLO TRAPIANTATO DA UNA DOZZINA DI ANNI IN TICINO, DOVE REALIZZA SPLENDIDE
VILLE E RESIDENZE, CON UNA PARTICOLARE ATTENZIONE ALL’AMBIENTE E ALL’UTILIZZO DI MATERIALI NATURALI.
RISPETTO DEL LUOGO, FUNZIONALITÀ, STILE MODERNO
Quali sono le motivazioni professionali e personali che l’hanno indotta a lasciare la Spagna per trasferirsi in Ticino?
«Mi sono laureato in Architettura presso l’Universitat Politècnica de Valencia e in quella bellissima città sono poi restato alcuni anni lavorando come architetto all’interno del gruppo Typsa, una delle più importanti società immobiliari del Paese, con prestigiosi complessi residenziali per clienti spagnoli e internazionali. Successivamente sono rientrato nella mia terra nativa e sono stato cofondatore a Villarrobledo (Comunità Autonoma Castiglia-La Mancia) di uno studio di architettura specializzato anche nella realizzazione di interni e complementi d’arredo. La svolta è avvenuta nel 2011, quando le condizioni politiche ed economiche della Spagna si erano fortemente deteriorate e con la mia famiglia ho scelto di trasferirmi in Ticino, una regione che conoscevo molto bene per averla più volte visitata, apprezzandone sempre, oltre che il clima, la qualità della vita, la sicurezza, la voglia di guardare con positività al futuro delle persone e della collettività. Un aspetto particolare è poi dato dal fatto che io sono appassionato di ciclismo e il Ticino è un vero e proprio il regno dei cicloamatori. Ho avuto anche modo di collaborare per alcuni anni all’allestimento di diversi show-room della Assos, anche quello a Paradiso».
Ci vuole raccontare quale è la sua idea di architettura e quali sono i principali lavori realizzati in Spagna?
«Credo che la “buona architettura” non abbia bisogna di molte definizioni, basandosi in definitiva su pochi concetti tanto semplici a dirsi quanto molto più complessi da applicare nella realizzazione di un edificio. Per me i valori cardine dai quali non è mai possibile prescindere sono quelli dell’assoluto rispetto delle peculiarità del luogo, che deve essere analizzato nei minimi dettagli; della funzionalità, cioè della costante preoccupazione nell’individuare le soluzioni più idonee a rendere più pratica e gradevole, in una parola migliore, la vita delle persone che in quell’edificio lavoreranno o abiteranno; della bellezza, dando vita a forme e linee essenziali, pulite, contemporanee. L’applicazione di questi elementi è già un buon punto di partenza per progettare edifici che potranno durare nel tempo».
In che misura è stato invece influenzato dalla tradizione architettonica svizzera e in particolar modo dall’Accademia di Mendrisio?
«Nel tempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare le opere di molti architetti che hanno operato in Svizzera e in Ticino come Aurelio Galfetti, Peter Zumthor, Livio Vacchini o Luigi Snozzi per citarne solo alcuni. Si tratta di grandi personalità che hanno ciascuno lasciato un segno nel -
la storia dell’architettura. Non credo però che si possa parlare di una “scuola ticinese” quando piuttosto di percorsi individuali accomunati dal fatto di aver promosso una sorta di “ribellione” nei confronti dai canoni stilistici e accademici fino ad allora dominanti. Ammiro naturalmente anche i progetti di Mario Botta, anche se il suo approccio e le sue scelte architettoniche mi sembrano più convincenti riguardo per esempio ad alcuni edifici religiosi realizzati all’inizio della sua carriera piuttosto che in edifici civili della sua maturità».
Recentemente lei ha realizzato una villa di grande fascino a Carona: quali sono gli elementi architettonici che la contraddistinguono?
«È stato un lavoro che mi ha molto appassionato perché mi ha dato modo di esprimere liberamente quello che dovrebbe sempre essere il ruolo dell’architetto: una sorta di direttore che,
con il suo progetto, mette insieme e coordina le peculiarità imposte dal luogo, le normative vigenti, il funzionamento e la professionalità del cantiere, la scelta attenta dei materiali. Nel caso della villa realizzata a Carona, mi piace pensare di essere riuscito a valorizzare al massimo la spettacolare posizione e la sua vista panoramica, distribuendo gli spazi in modo da costituire una continua relazione tra interno ed esterno e dunque con la natura circostante. Direi che, complessivamente, l’edificio si caratterizza per uno stile moderno, dove il minimalismo di alcune soluzioni non penalizza in alcun modo la funzionalità della costruzione. Un altro aspetto che vorrei sottolineare è che il progetto comprendeva anche la realizzazione di tutti gli arredi interni, che sono stati appositamente studiai al fine di raggiungere un’uniformità stilistica ed un ottimale equilibrio tra l’involucro esterno e rivestimento interno».
Nei suoi edifici lei utilizza spesso materiali naturali come la pietra e il legno: quali le ragioni di questa scelta?
«È vero. Per me il legno costituisce una sorpresa continua, e il più antico
materiale da costruzione che l’uomo abbia mai impiegato, non finisce mai di stupirmi e soprattutto dimostra attraverso il suo impiego di essere assolutamente contemporaneo e all’altezza di altri materiali innovativi. Anche la pietra è da sempre considerata uno dei materiali edili tra i più pregiati e anche se per un certo periodo è stata soppiantata da altri materiali come il cemento armato, l’acciaio e il vetro, di recente si sono riscoperte le sue preziose qualità. Le costruzioni in legno e pietra non appartengono unicamente alla tradizione, anche se ne sono l’emblema, ma possono scoprire il loro volto moderno pur mantenendo un grande fascino. L’importante è riuscire ad integrarli creando un nuovo equilibrio con altri materiali caratteristici delle contemporaneità».
Il tema della sostenibilità è centrale anche nell’architettura e nell’edilizia: che cosa significano per lei parole come ecosostenibilità e rispetto dell’ambiente?
«Realizzare un’architettura sostenibile significa progettare edifici in grado di minimizzare il loro impatto sull›ambiente, sia in termini di materiali e tecniche di costruzione utilizzate, sia in termini estetici, sia in termini di prestazioni energetiche. Purtroppo queste
buone intenzioni sono molto spesso ridotte a retoriche dichiarazioni “di facciata” cui non fanno seguito comportamenti coerenti. Fare della “buona architettura” vuol dunque dire cercare di definire un modello di casa (e di costruzione più in generale) che sia sostenibile e allo stesso tempo realizzabile a basso costo come risposta efficace e facilmente replicabile al cambiamento climatico e alla crisi abitativa mondiale, senza tuttavia trascurare mai il concetto di funzionalità e l’obbiettivo di progettare qualcosa di bello che soddisfi anche il nostro gusto estetico».
Lei si occupa anche di architettura d’interni e di fotografia. Come nascono queste passioni e come si inseriscono nel suo percorso professionale?
«L’architettura d’interni è una disciplina che ho sempre praticato, dando anche vita, nel corso della mia vita, a studi professionali specializzati nella progettazione, realizzazione e commercializzazione di arredamenti e complementi d’arredo. La fotografia è invece una passione più recente ma che vivo con intensità e che trovo assolutamente complementare al mio ruolo di architetto. La fotografia di architetture e particolarmente quella d’interni sta vivendo una fase di rinascita. In un’epoca in cui tutti si improvvisano fotografi grazie a uno smartphone, le caratteristiche di uno scatto professionale rischiano ancora di non essere percepite come distintive. Eppure è evidente che una foto scattata da un’angolazione particolare e con la luce giusta può cambiare totalmente l’impressione su chi osserva. Quando di tratta di mostrare il progetto o la realizzazione di una casa, di dover mostrare le un ambiente l’occhi di un bravo fotografo d’interni fa la differenza».
ARCHITETTO
ALFONSO GIRÓN DOMÍNGUEZ
Via Principale 11 CH-6914 Carona-Lugano
T. +41 (0)79 101 76 10
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LA PAROLA, VEICOLO DEL PENSIERO, LO MODELLA E DEFINISCE MODI ED EFFETTI DELL’AZIONE. UN’INTERVISTA
DI APPROFONDIMENTO CON L’ESPERTA DI FILANTROPIA
ELISA BORTOLUZZI DUBACH*FILANTROPIA, COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO
*Dr. Dr. Elisa Bortoluzzi Dubach, consulente di Relazioni Pubbliche, Sponsorizzazioni e Fondazioni, è docente presso varie università e istituti superiori in Svizzera e Italia e co-autrice fra gli altri di La relazione generosa-Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati (www.elisabortoluzzi.com)
Quanta importanza ha la comunicazione nell’attività filantropica?
È essenziale, anche se ha un peso specifico diverso a seconda dei diversi ambiti. Basti pensare al suo ruolo nel comparto finanziario, ove fake news ed informazione distorta arrivano a generare vistose manipolazioni dei mercati. Tuttavia di questo esiste ancora scarsa consapevolezza, mentre se ne recepisce l’importanza in altri ambiti: per esempio, è noto il ruolo delle nuove tendenze della comunicazione sulla creazione di valori e sul comportamento giovanile. Ma nella stampa generalista (e talora anche di settore) il tema della comunicazione in filantropia, della scelta e del peso del linguaggio utilizzato, del suo influsso nella relazione fra mecenate e beneficiario, fra mecenate e istituzione, nello spostamento di capitali filantropici, ha finora trovato poco spazio».
In che modo l'uso distorto o scorretto della parola può avere un impatto sulla relazione filantropica, e in generale sul mercato della filantropia?
«Il primo caso può essere quello della parola falsa, cioè che oggi si suole de -
finire come fake news. Si può ad esempio prendere un certo evento e generalizzarlo. Lo scandalo legato ad un filantropo diventa lo scandalo di tutto il mondo filantropico, con evidenti ricadute sugli investimenti e sul senso di sicurezza degli ambienti interessati. Il secondo punto concerne la parola usata inappropriatamente, generando divergenze e perdita di fiducia. Si prende un gossip e lo si amplifica pretestuosamente. In un mestiere come il nostro, in cui il rapporto umano riveste un ruolo centrale, certe parole creano divisioni, alimentano generalizzazioni banali, mentre nel settore è di importanza capitale l’aspetto relazionale e la creazione di un solido rapporto fra le parti. Capita di comunicare senza rispettare il principio della riservatezza, o di fornire informazioni che non sono comunque necessarie. Gran parte dei clienti giunge a noi attraverso chi già ci conosce, ed il riserbo assume un valore significativo. Un errore clamoroso di comunicazione che spesso si osserva consiste nel diffondere troppo presto informazioni in merito ad una campagna di raccolta di capitali a favore di un progetto filantropico, creando una pressione sia su chi chiede sia su chi dà. L’uso della parola deve essere misurato, anzi centellinato come qualcosa di importante se non addirittura prezioso, alla stregua di un vino pregiato o di un profumo raro e prezioso. Il silenzio ha un suo ruolo esclusivo, come silenzio arricchente, per ascoltare, sapere, capire, non per giudicare. Vi è poi l’aspetto della “parola gentile”. Se in altri contesti la gentilezza è sì cosa piacevole ed auspicabile ma non essenziale, nel nostro lavoro essa è “tutto”, tanto da determinare le sorti della relazione».
In che modo i cambiamenti del linguaggio e del lessico, l’intrusione della “neolingua”, inglese ma non solo, influenzano la vostra comunicazione?
«Questo è un elemento centrale. Ho sempre pensato che è un valore aggiunto significativo, esprimere contenuti complessi in modo accessibile. A tiolo d’esempio l’inglese è entrato dappertutto, con una terminologia che al comune cittadino risulta spesso incomprensibile. Di fronte a termini come Effective Altruism, Mission related investment ecc. il lettore non specialista si arrende o rimane confuso. Usare una certa terminologia “fa chich”, altrimenti si teme di apparire incompetenti. Io penso invece che la comprensibilità sia tutto nella comunicazione di un fenomeno che per sua natura è già estremamente complesso. Basti pensare come negli articoli della stampa generalista si faccia un’enorme confusione fra il mondo delle fondazioni, quello del mecenatismo individuale e quello dello sponsoring. Qui la differenza non è terminologica, ma di essenza, perché il mercato delle fondazioni è più del mecenatismo individuale e più del mercato dello sponsoring. La chiarezza terminologica è fondamentale, i neo-anglicismi aggiungono confusione. Accade così che Bill Gates diventi il filantropo per eccellenza, ma quest’ultimo non è certo rappresentativo del panorama italiano e men che meno di quello svizzero».
Come si adatta la comunicazione ai diversi contesti culturali, religiosi, etnici, sociali?
«È una questione primaria, perché il quadro religioso e culturale cambia l’approccio alla tematica, influenzando nel loro insieme i comportamenti sociali legati alla filantropia. Così per esempio nel mondo buddista il termine generosità, ha una valenza completamente diversa da quella che lo stesso termine assume in ambito cattolico, in quanto il mondo buddista prevede tutta una serie di comportamenti a vari livelli, alla cui cuspide sta il filantropo. Se poi consideriamo la cultura islamica, la zakat, cioè la donazione da parte dei benestanti,
più che un atto di generosità è una vera e propria norma regolata giuridicamente. Ecco perché il contesto culturale condiziona la filantropia sia in termini comportamentali e sia nell’uso terminologico. Risulta dunque del tutto fuorviante generalizzare: la filantropia in un Paese del Golfo o dell’Asia non ha alcuna somiglianza con quella italiana o svizzera. E tutto questo va poi considerato alla luce dei diversi quadri giuridici, che possono favorire o meno la filantropia. In Svizzera abbiamo una situazione per certi versi ideale, anche per quanto riguarda i filantropi, persone molto facoltose che vivono felicemente e svolgono la loro attività senza particolari problemi di eccesso di visibilità».
L’età del filantropo e del beneficiario influenzano la comunicazione?
«Assolutamente sì. Anche in questo bisogna essere molto attenti. Se, a titolo di esempio, scrivo ad un fondatore avanti negli anni, con un’attività filantropica nel Regno Unito, che possiede un’immagine di status elevata, mi esprimerò in modo diverso rispetto a quando scrivo ad un collega quarantenne che lavora per una fondazione erogativa italiana. Anche qui il contesto culturale, insieme all’età, entra in gioco nel definire status e “distanza sociale”, condizionando anche la scelta del linguaggio, il “tono” del testo e la lunghezza del messaggio. In Europa, quando i filantropi non sono fondatori ma persone molto facoltose, di solito sono sopra i sessant’anni, ed hanno staff che si occupano degli aspetti comunicazionali e dei social media. In generale per prendere contatto con queste persone è preferibile utilizzare la lettera tradizionale rispetto all’e-mail».
Nel tempo della cosiddetta “correttezza politica”, talvolta esasperata, soprattutto in materia di genere, la vostra comunicazione ne viene influenzata?
«Sì, ne ho avuto prova io stessa al momento della pubblicazione di alcuni miei articoli in tedesco. Mi sono state chieste
modifiche terminologiche che esasperano il linguaggio e rischiano di rendere certi passaggi incomprensibili. Sono una donna e mi sono sempre battuta per i diritti della donna, ma mi pare che talvolta si presti più attenzione alla forma che non alla sostanza delle cose. Sarebbe meglio un atteggiamento sostanziale, pragmatico, piuttosto che toni esasperati destinati a complicare i rapporti».
Quale rapporto tra filantropia e nuovi mezzi di comunicazione?
«Premetto che la filantropia si avvicina ai social media a passi tardi e cauti. Ha un rapporto problematico con questi strumenti, per svariate ragioni. Certo, i social media sono usati per conferenze in rete o per la pubblicazione di articoli. Ma veicoli quali Facebook, Instagram, Telegram e simili richiedono cautela e non appaiono troppo adatti alle nostre attività, e peraltro stanno vivendo un momento un po’ difficile. Potremmo dire in sintesi che non si addicono all’eccellenza, alla qualità del nostro lavoro ed all’atmosfera particolare in cui essa prende forma. Per noi la scelta del contesto si rivela essenziale,
ed in quei mezzi troviamo sovente messaggi urlati, vituperio, aggressività. Nella doppia relazione filantropo-beneficiario e beneficiario-filantropo il linguaggio utilizzato deve invece riflettere calma, tranquillità, fiducia reciproca, così da garantire chiarezza su progetti ed interventi; deve dunque essere un linguaggio adeguato, conciso ma esauriente e rigoroso nella sostanza. Le parole spingono il filantropo verso la scelta, sempre evitando un atteggiamento di dominanza. E se anche sorge un motivo di dissenso, se il piano proposto non appare attuabile o nascono fattori di squilibrio, l’eventuale dissenso va manifestato in modo gentile. Nei social media troviamo purtroppo spesso contrapposizioni esasperate e sovente neppure argomentate. Ricordiamo invece che anche nella dialettica e nel confronto aperto di idee, proposte, punti di vista, fiorisce la creatività, fattore essenziale delle relazioni filantropiche».
Mondo della filantropia e della finanza sono in stretto contatto, ma con stili di comunicazione molto diversi fra loro. Come conciliarli?
«Spesso si tratta semplicemente di “tradurre” i linguaggi, le mentalità, gli approcci. È ciò che caratterizza il nostro lavoro: dobbiamo essere veloci e versatili nel passare, ad esempio, da un contesto artistico ad uno scientifico, gestendo al contempo il rapporto col mondo finanziario da cui si traggono le risorse. In più dobbiamo verificare che comportamenti e strumenti finanziari impiegati siano corretti ed in linea con lo spirito di ciò che si vuole realizzare. Non mancano gli esempi di istituzioni con comportamenti non ottimali in termini sociali, ambientali o di governance, ma la cui comunicazione appare invece cristallina. Al riguardo, possediamo criteri di controllo abbastanza raffinati. Da queste brevi considerazioni si può ricavare quanto la comunicazione sia importante nell’attività filantropica e quanto le sue sfaccettature e modulazioni, adattandosi ai diversi contesti possano contribuire al successo delle nostre iniziative».
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Corrispondenza:
Casella postale 370, 6962 Viganello
DIRETTRICE
SWISS PHILANTHROPY FOUNDATION E PRESIDENTE DI SWISSFOUNDATIONS, L’ASSOCIAZIONE DELLE FONDAZIONI EROGATIVE SVIZZERE.
A FIANCO DI TUTTI I DONATORI
ciò nel contesto di una missione di ampia portata e di interesse generale. Attraverso il mio lavoro, ho la fortuna di poter combinare quotidianamente il mio impegno per l’interesse generale e il mio spirito imprenditoriale».
Quando è stata costituita la Fondazione?
«La Fondazione è stata costituita nel 2006».
Qual è lo scopo della Fondazione?
Lei è la Direttrice generale della Swiss Philanthropy Foundation. Quali sono state le tappe della sua carriera e come e perché ha deciso di affrontare questa sfida professionale?
«Dopo aver conseguito un Master in Relazioni Internazionali, il mio interesse si è rivolto agli scambi commerciali internazionali, ciò che mi ha portata a lavorare con enti governativi e operatori privati in Europa per diversi anni. Ho poi sentito il bisogno di tornare ai miei interessi iniziali e dare un contributo positivo al mondo che mi circonda. Nel contempo, si è presentata un’opportunità con la Swiss Philanthropy Foundation. Fin dal mio ingresso, con il sostegno del Consiglio di fondazione e dei collaboratori che mi hanno progressivamente circondata, ho lavorato con impegno per sviluppare la crescita della Fondazione. Il mio ruolo è evoluto parallelamente allo sviluppo di quest’ultima, sino a rivestire il ruolo di Direttrice generale. Ho scelto di affrontare questa sfida professionale poiché mi sono sempre considerata una persona impegnata, desiderosa di fare azioni utili e realizzare progetti validi. Questa opportunità mi ha offerto la possibilità di fare tutto
«Swiss Philanthropy Foundation è una fondazione mantello di pubblica utilità, indipendente e con sede a Ginevra. I suoi scopi comprendono un’ampia gamma di settori, consentendole quindi di sostenere tutte le cause di interesse generale, fatto salvo quelle religiose. Questa apertura è essenziale, poiché aspiriamo ad accogliere la filantropia di tutti e concretizzare tutte le iniziative filantropiche, che provengano sia da persone sia da fondazioni erogative».
Quali sono le tappe fondamentali della storia della Fondazione?
«Le attività della Fondazione sono iniziate nel 2006. Nel 2008 è diventata la rappresentante svizzera della rete Transnational Giving Europe (TGE), rafforzando così il suo ruolo nella promozione della filantropia europea. Nel 2015 sono entrata a far parte della Fondazione come prima dipendente fissa, mentre veniva lanciato il primo fondo collaborativo tra fondazioni erogative. Nel 2018 la Fondazione ha assunto la presidenza del TGE e ha rilanciato la Master Class in filantropia in collaborazione con partners accademici. Nel 2019
abbiamo creato il 50. fondo filantropico e abbiamo aperto un blog sulla generosità e la filantropia ospitato dal quotidiano romando Le Temps. Nel 2020, in collaborazione con la Fondazione delle Nazioni Unite, abbiamo gestito il Fondo di risposta solidale COVID-19 dell’OMS. Nel 2021, abbiamo lanciato il programma Jeune Talent. Attualmente, la Fondazione conta 12 collaboratori più un totale di ca. 120 persone membri dei vari comitati direttivi dei fondi filantropici. Dal 2006, la Fondazione ha beneficiato di donazioni per un importo complessivo di più di 350 mio. di franchi e le erogazioni hanno raggiunto ca. 40 mio. di franchi all’anno, ciò che dimostra il ruolo centrale che svolge Swiss Philanthopy Foundation quale punto di riferimento per i filantropi e la filantropia».
La Swiss Philanthropy Foundation è una fondazione mantello, che cosa significa?
«Una fondazione mantello è una piattaforma che offre ai donatori un’alternativa semplice, efficace e flessibile rispetto alla fondazione classica: il fondo filantropico (“sottofondazione”). Inoltre, può sostenere sia persone sia altre fondazioni nelle loro iniziative filantropiche. L’obiettivo principale di una fondazione mantello è di sgravare i donatori dai complessi oneri amministrativi e finanziari associati alla creazione e alla gestione di una fondazione indipendente, nonché dal trattamento delle donazioni, in modo che possano concentrarsi sulla loro missione filantropica. In Svizzera, dove esistono già più di 13.000 fondazio -
ni, la fondazione mantello offre una soluzione necessaria e complementare per consentire una maggiore agilità nella filantropia. Da poco, siamo anche chiamati ad assorbire le fondazioni dormienti che non hanno più attività o governance attiva».
Quanti fondi filantropici ha la Swiss Philanthropy Foundation?
«Storicamente, abbiamo creato 87 fondi, 64 dei quali sono attualmente attivi. Questi fondi sono costituiti da persone, famiglie o da fondazioni erogative, singolarmente o in collaborazione tra di loro. Inoltre, la Fondazione ha 4 fondi tematici aperti al cofinanziamento, un fondo generale e il fondo europeo per le donazioni transfrontaliere (TGE). Infine, ospitiamo anche fondi testamentari, un nuovo modello che si sta sviluppando in risposta alla crescente domanda».
In quali Paesi è attiva la Fondazione?
«La Swiss Philanthropy Foundation è un’organizzazione che opera sia in Svizzera sia all’estero, grazie alla flessibilità dei nostri scopi, i nostri fondi possono effettuare donazioni ovunque
CHI È SABRINA GRASSI?
Sabrina Grassi è entrata a far parte della Fondazione nel 2015 e dal 2020 ricopre la carica di Direttrice generale. Laureata in relazioni internazionali e diplomata in commercio di materie prime, si occupa dell’attuazione della strategia della Fondazione, dell’accompagnamento di donatori, della supervisione della buona governance e dello sviluppo della Fondazione e dei fondi filantropici, in collegamento con il Consiglio di Fondazione. È membro del Comitato direttivo di SwissFoundations dal 2020 e assume la carica di presidente da giugno 2023.
desiderino, purché i beneficiari siano organizzazioni di pubblica utilità».
Avete collaborazioni in atto con la Bill e Melinda Gates Foundation? Per quali progetti e con quali obbiettivi?
«Nel 2013 abbiamo ricevuto un sostegno da questa fondazione nell’ambito del progetto di un fondo, ora chiuso».
Quali criteri vengono utilizzati per selezionare i progetti da sostenere?
«Come fondazione mantello, non selezioniamo direttamente i beneficiari dei nostri fondi. Nel caso dei fondi per conto di individui o fondazioni, è il comitato direttivo del fondo a essere responsabile della selezione delle organizzazioni beneficiarie. Una volta proposto il beneficiario, ci assicuriamo sistematicamente che soddisfa i criteri di pubblica utilità svolgendo un’adeguata due diligence e convalidiamo formalmente ogni donazione. Per i nostri 4 fondi tematici, e a volte anche per altri fondi, lavoriamo con gli esperti WISE-philanthropy advisors per identificare e pianificare i progetti incorporando precisi criteri di impatto. Questo approccio ci permette di garantire una selezione precisa delle organizzazioni e un uso ottimale delle risorse filantropiche dei donatori che cofinanziano questi progetti.
Come misurate l’impatto dei progetti?
«Offriamo ai membri dei comitati direttivi dei fondi la possibilità di essere accompagnati da esperti in filantropia incaricati di valutare l’impatto delle iniziative che sostengono. Questo approccio ci permette di agire in sinergia e di integrare tutte le competenze del nostro ecosistema».
La Swiss Philanthropy Foundation
è il membro svizzero della rete Transnational Giving Europe (TGE). Di che cosa vi state occupando concretamente e quale quota parte nella vostra quotidianità avranno questi progetti?
«In veste di rappresentante esclusivo per la Svizzera della rete TGE, la Swiss Philanthropy Foundation si impegna a facilitare e promuovere la filantropia transfrontaliera in Europa. Questo ci permette di fornire una soluzione su misura per i donatori in Svizzera che desiderano effettuare donazioni verso l’Europa e di consentire alle organizzazioni in Svizzera di ricevere donazioni dall’Europa. Inoltre, grazie al TGE, contribuiamo a costruire una rete di conoscenze e competenze con fondazioni di riferimento in tutta Europa».
Per un anno Lei è Presidente di SwissFoundations che è l’Associazione delle fondazioni erogative svizzere. Quali sono gli obiettivi e le priorità che si è data e qual è la sua visione del ruolo di SwissFoundations per il futuro della filantropia in Svizzera?
«In qualità di Presidente di SwissFoundations, voglio continuare a difendere e promuovere gli interessi del settore filantropico in Svizzera, anche perché le fondazioni svolgono un ruolo cruciale nel trovare soluzioni alle sfide che il mondo di oggi deve affrontare e possono offrire approcci pionieristici e innovativi che completano quelli dello Stato. Ritengo inoltre che la collaborazione tra le fondazioni sia un modo per aumentare l’impatto del loro lavoro. Ciò riguarda anche i gruppi di lavoro di SwissFoundations, la digitalizzazione e l’integrazione di tutte le regioni linguistiche della Svizzera. Come Presidente di origine romanda e ticinese, sono entusiasta dell’idea di creare maggiori legami con la Svizzera tedesca. Continueremo inoltre a impegnarci per promuovere la buona governance e la professionalizzazione del settore. Infine, vogliamo proseguire la nostra collaborazione con le reti internazionali di pari livello, in modo da poterci ispirare a vicenda e creare sinergie transfrontaliere, attingendo alle migliori pratiche e alle idee innovative».
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SWISS MEDITERRANEAN Brissago, rif LOC1314 Montagnola, rif LUG1317 Bosco Luganese, rif LUG1288 Minsuio, rif LOC1221 Agno, rif LUG1300HOW WE STAND WITH REFUGEES
Philipp Siedentopf, you have been working in philanthropy for a few years now, but you have a relationship with your work that is more than a job, it is a passion. Why? «That’s right. I was raised with a deep conviction and belief that it is important to care for others. To help where we can. I have the feeling that society today is becoming increasingly selfish. We are perhaps heading towards a situation where people walk around with blinders on and mainly care about their own wealth, self-being, advancement, and about status symbols. Yet, those who need our help the most fall through the cracks.
Everyone can make a difference. It is not about radically changing one’s life but looking left and right to see how one can help others. Some can give their time, their know-how or even provide services. And finally, some others can help with donations. The old principle applies: if many do something we get a lot done».
When did you first come into contact with philanthropy and what role did your family play in your desire to devote yourself to this profession?
«As mentioned, my family was very influential in my choice of career. As children, my brother and I were told
that giving is better than receiving. My parents have both always been involved with charitable organizations and got us involved early. So that at the age of 11, I was already standing on soccer fields in my hometown and -under supervision, of course- sticking band-aids on the legs of amateur soccer players as part of a first-aid service. Not only has giving and caring for others modeled my life path for me, but my family history has had a similar impact as well. During and after World War II, my grandparents’ generation, both on my father’s and mother’s sides, were forced to leave their homeland in what is today Poland. They fled to West Germany. The loss of your homeland, your roots and almost all of your possessions was still omnipresent in my youth. A trauma that is deeply anchored and has lasted for decades. This is also the reason why it has always been a dream of mine to work for, or at least with an organization such as the UN Refugee Agency (UNHCR)».
The UHNCR is an international Organization. What gave rise to the need and the decision to establish a foundation under Swiss law?
«Switzerland for UNHCR is UNHCR’s National Partner for Switzerland. Established as a foundation to support the work of the UN Refugee Agency. The decision to create this foundation under Swiss law was made to provide a legal and administrative framework for raising awareness and critical funds in Switzerland and Liechtenstein.
The need to establish Switzerland for UNHCR arose from the increasing global number of forcibly displaced people worldwide and the growing demand for humanitarian assistance and protection of refugees worldwide. The UNHCR works tirelessly to provide shelter, protection, and assistance to millions of refugees and displaced per -
sons around the world. In the last 10 years we have seen the number of people forced to flee almost double to the staggering figure of over 104 million today. More than 73% of all refugees are hosted in neighboring countries, and these are often countries that are already facing challenges of their own».
When was the Foundation
Switzerland for UNHCR established? What are its aims and where is it based?
«Switzerland for UNHCR was founded in March 2020. One day before the lockdown caused by the pandemic. A rough start, but we managed to achieve quite a bit already, despite the difficult times. The goal of the Foundation is to raise awareness among the Swiss and Liechtenstein populations about the concerns of refugees, forcibly displaced persons, and stateless persons around the world. As UNHCR’s needs to carry out its missions, increase exponentially the Foundation’s mission also includes the vital mobilization of funds from the private sector. The Foundation’s headquarters are located in Geneva, close to UNHCR Headquarters, and most of our colleagues are based there. However, over the last few years, we have also established offices in the German and Italian speaking parts of Switzerland. These colleagues, of which I am one, are responsible for their respective regions and are available to all interested parties, be they potential supporters, foundations, or companies. The result is that we are present in the different Swiss regions, and this enables us to respond to cultural differences and to quickly respond to any enquiries, in person, should it be necessary. In Ticino, for example, we have our colleague Leandro Sugameli, who can look back on years of experience and is always available as a reliable contact (see box)».
TO KNOW MORE
Are you thinking about partnering with UNHCR? Please get in touch:
For the German speaking Switzerland: Philipp Siedentopf, Strategic Partnerships Manager, philipp.siedentopf@unrefugees.ch
For the Ticino: Leandro Sugameli, Executive Delegate - Strategic Partnerships leandro.sugameli@unrefugees.ch
For the French speaking Switzerland: Marion Lombard, Strategic Partnership Officer, marion.lombard@unrefugees.ch
Who sits on the Board of Trustees and how many staff do you have?
«Despite being founded only three years ago, Switzerland for UNHCR is witnessing a fast-growing team. We currently have around 20 colleagues and this could be explained by the incredible support shown for the refugee cause in Switzerland, crisis like in Ukraine forced us to quickly organize ourselves in a way that could allow an efficient response to the overwhelming rush of solidarity that we witnessed in the country. In the Private Sector Partnership Team, we are divided by language region and experts take care of the respective sectors. Our board of directors consists of 7 members. People from many different professions and regions of Switzerland are represented. They all do their best to support us in our daily work and all contribute enormously to the success of Switzerland for UNHCR».
How does the foundation describe its activities?
«The primary objective of Switzerland for UNHCR is to raise awareness for the refugee cause and around UNHCR’s mandate and mobilize critical resources to provide critical humanitarian aid and protection to forcibly displaced populations. By generating financial support from the private sector, individual donors, foundations, and other organizations, the foundation seeks to complement and enhance the efforts of UNHCR in addressing the needs of refugees. The same applies to our awareness-raising efforts. We complement the UNHCR’s local and global efforts, each time making sure that we adapt a global message to a local audience».
What projects is the Foundation currently pursuing?
«Switzerland for UNHCR supports all programs that UNHCR is running around the world. UNHCR works to protect and support refugees, internally displaced persons (IDPs), stateless individuals, and other forcibly displaced populations around the world. Their projects encompass several key areas: Emergency Response: UNHCR provides life-saving assistance during humanitarian crises, including the provision of shelter, clean water, healthcare, and protection services to those affected by conflicts, natural disasters, or other emergencies.
Refugee Protection: UNHCR strives to ensure the safety, well-being, and rights of refugees. They work to advocate for legal frameworks and policies that protect refugees and ensure their access to basic rights, such as education, healthcare, and employment.
Shelter and Settlement: UNHCR supports the provision of temporary and long-term shelter solutions for displaced populations. They work to establish and improve refugee camps,
settlements, and host communities, ensuring adequate living conditions and promoting self-reliance.
Education: UNHCR aims to ensure that displaced children have access to quality education. They collaborate with governments, NGOs, and other partners to establish schools, train teachers, provide learning materials, and promote education for both children and adults.
Health and Nutrition: UNHCR prioritizes the health and well-being of displaced populations. They support healthcare systems, provide medical assistance, vaccinations, and reproductive health services. They also address malnutrition and other health challenges in refugee populations. Solutions and Resettlement: UNHCR works towards finding durable solutions for refugees, which include voluntary repatriation, local integration, and resettlement to third countries. They engage in negotiations, advocacy, and coordination with governments and other stakeholders to secure safe and dignified options for refugees».
How does the foundation get funded?
«In 2022, for every franc donated to the Switzerland for UNHCR Foundation, about 82 cents will go to UNHCR programs supporting uprooted people. The remaining 18 cents will be used to cover our investment and operating costs. Each year we are committed to reducing our costs as much as possible to maximize our impact on the ground».
When we think of the enormous challenges that the UHNCR faces, it may seem that contributions from other, perhaps smaller foundations are marginal. Is this the case or is it a misperception?
«Not at all, the contributions from other, smaller foundations to Switzerland for UNHCR can indeed play a significant role in addressing the chal -
lenges the organization faces. While UNHCR is a large international agency tasked with providing protection and assistance to refugees and displaced persons worldwide, it relies on a range of funding sources to fulfill its mandate. Smaller but more targeted funding may help us better target a particular challenge that the organization is facing. In addition, a contribution that might be seen as smaller at first, may sometimes create a dynamic movement that make the total number of contributions grow in favor of a specific need.
The UNHCR’s budget is primarily funded through voluntary contributions from governments, intergovernmental organizations, and non-governmental organizations (NGOs). While major donor countries contribute a significant portion of the UNHCR’s budget, smaller foundations and organizations also contribute to its funding. These contributions, though comparatively smaller in scale, can make a huge difference in complementing the overall funding pool.
Smaller foundations often have a more targeted and flexible approach to their funding, allowing them to support specific programs, initiatives, or regions that align with their goals and priorities. These contributions can be instrumental in supporting innovative projects, piloting new approaches, or providing essential resources to address the unique needs of displaced populations. Additionally, smaller foundations can act as catalysts for raising awareness and mobilizing resources, encouraging others to contribute as well.
Furthermore, UNHCR recognizes the importance of diversifying its funding sources to ensure sustainability and flexibility in its operations. By fostering partnerships with a broad range of donors, including smaller foundations, the organization can reduce its dependence on a few major contributors and maintain a more balanced fund-
ing portfolio. This approach strengthens the overall resilience of the UNHCR’s funding and allows it to respond to emergencies, support longterm solutions, and sustain essential programs and services.
In summary, while the UNHCR faces enormous challenges, contributions from smaller foundations should not be perceived as marginal. Their contributions, though relatively smaller in scale, can have a meaningful impact in addressing the needs of refugees and displaced persons. By leveraging diverse funding sources, the UNHCR can enhance its ability to provide critical support, advocate for the rights of refugees, and work towards durable solutions for displaced populations worldwide».
How is the foundation integrated into the networks of the Swiss foundations and how does it cooperate with them?
«We are a member of various associations of foundations in Switzerland and maintain a lively exchange with many foundations. An effective cooperation between the foundations is elementary to use synergies and to overcome hurdles together. Switzerland is a country that is home to many foundations, as they find good conditions for their work here. Nevertheless, foundations should work together to ensure that these conditions are preserved so that the important work of foundations in Switzerland and beyond can continue».
What contribution can a foundation like yours make to the discussion on the role and function of foundations in Switzerland?
«I think Switzerland for UNHCR, even if still very young, responds to a specific philanthropic need that was not fully covered in the country. It can build a bridge for many foundations in Switzerland as I am firm believer that foundations are stronger when work-
ing together. Many foundations want to address the issue of refugees, stateless persons, or forcibly displaced persons. Some have been doing so for years. UNHCR heads the UN Cluster for Protection and, for example, coordinates all aid and NGOs on the ground in the event of a disaster. We work with a large number of organizations - small or large- on the ground to make aid more effective and efficient and to deploy financial resources locally. Many foundations in Switzerland are not set up in a way that they can directly reach the field. And the opposite also applies: some foundations are only field-oriented and lack of a more strategic and global approach. Unfortunately, as a result, we see time and time again that aid does not reach where it is needed most. Effective coordination is essential in such disaster situations. Switzerland for UNHCR can become this bridge, ensuring that the funds made available to us reach where they are most urgently needed».
What is your personal vision of philanthropy for UHNCR in the coming years?
«As mentioned at the beginning, in my personal view, in the last decades, our society has increasingly developed into a self-centered system. In the future, I fear, we will have to reckon with even more increasing numbers of displaced persons. Armed conflicts are on the rise, and let’s not even mention climate change, identified as a major cause for and increased number of conflicts in the future. This also means that we will need to find new and alternative ways to raise funds for the refugee cause, and this will mean involving the private sector more and more. Thus, the part that the private sector can play is becoming more and more important to address the problems of refugees and forcibly displaced people, which in my opinion will be the most urgent
problem of our society in the future, next to global warming, but the two are intertwined.
However, we are seeing signs, and I hope that this will continue, that more people want to help, and share their prosperity with others. The good feeling of being able to give something back and enable people who have lost everything to live in dignity is driving more and more people. This gives me hope».
COSTRUIRE UNA SOCIETÀ DEMOCRATICA ED ECOSOSTENIBILE
Lei è un professionista di lunga esperienza e con una reputazione internazionale. Quali sono state le tappe della sua vita professionale?
«Conosco il mondo del finanziamento privato sia dal punto di vista dei donatori che dei beneficiari. Ad esempio, ho scritto la mia tesi di dottorato sulla promozione delle arti e, prima di diventare Direttore generale della Fondazione Mercator Svizzera, ho ricoperto diverse posizioni dirigenziali nell‘ambito delle arti, della promozione culturale e della politica culturale, da ultimo come direttore della Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia. Parallelamente, mi sono impegnato per molti anni in attività di pubblica utilità, tra cui come membro del comitato direttivo di SwissFoundations, come membro del consiglio di amministrazione della Swiss Photo Foundation e in vari comitati scientifici».
C’è una persona in particolare che l‘ha ispirata e quando ha capito che la filantropia sarebbe stata parte della sua vita lavorativa?
«Non è stata una persona o un momento specifico a spingermi a questa scelta, ma piuttosto numerosi incontri con personalità diverse. Durante queste conversazioni, mi è apparso sempre più chiaro quanto sia importante ed efficace l’impegno della società civile per costruire un futuro orientato al bene comune. Tutti questi incontri hanno anche ripetutamente rafforzato la mia convinzione che le grandi sfide del nostro mondo
possono essere risolte solo insieme dalla politica, dalle imprese e dalla società civile».
Oggi lei è Direttore Generale della Fondazione Mercator Svizzera. Qual è lo scopo della fondazione?
«La nostra visione è quella di una società democratica, con pari opportunità ed ecosostenibile. Con questa visione alle spalle, vogliamo contribuire a costruire il futuro. Insieme a un‘ampia gamma di attori, promuoviamo, sviluppiamo, testiamo e diffondiamo idee per affrontare le attuali sfide a livello sociale. Tre cose sono fondamentali per noi: rafforzare la società civile, creare ampie alleanze e applicare un approccio sistemico.
Tutto ciò ci aiuta non solo a combattere i sintomi, ma anche ad affrontare le cause sottostanti per contribuire ad avviare un cambiamento sociale».
Nel 2020 la Fondazione ha cambiato radicalmente strategia, perché?
«Viviamo in un mondo interconnesso, complesso e, in molti settori, globalizzato, in continua evoluzione. Allo stesso tempo, ci troviamo di fronte a grandi sfide sociali: La democrazia è sotto pressione, le disparità in termini di pari opportunità sono in aumento, la trasformazione digitale pone questioni elementari per la società e la crisi climatica continua a farsi sentire. L’urgenza di risolvere le grandi sfide del nostro tempo cresce di giorno in giorno e per noi è diventato chiaro: se come fondazione di erogazione di fondi vogliamo dar forma in modo attivo e sostenibile al cambiamento sociale, abbiamo
bisogno di basi strategiche e organizzative che possano essere continuamente oggetto di riflessione e di ulteriore sviluppo in termini di contenuti, processi e metodi. Una strategia e un metodo di lavoro agili e orientati all‘impatto sono quindi fondamentali per noi. Tutto questo include l’impegno in esperimenti strategici, dai quali impariamo a sopportare le battute d‘arresto e ad accogliere gli imprevisti. Questo significa che lasciamo un percorso familiare e ci addentriamo nell’incertezza, ma è un cammino più entusiasmante ed efficace che ci fa crescere continuamente come fondazione».
Quali progetti sta attualmente portando avanti la fondazione?
«Nel 2022 abbiamo finanziato 110 progetti di pubblica utilità, per un totale di 16,9 milioni di franchi. La maggior parte sono progetti operativi che rientrano nei nostri settori e programmi (clima, apprendimento per il futuro, democrazia, trasformazione digitale + società, diversità). Inoltre, sosteniamo le organizzazioni della società civile nel loro sviluppo organizzativo, affrontiamo le questioni relative al futuro e rafforziamo gli ecosistemi in cui siamo attivi con un’ampia gamma di offerte. Per quest‘ultimo aspetto, abbiamo creato di recente il programma “Società civile + filantropia”. Inoltre, organizziamo regolarmente workshop e scambi per rafforzare le competenze del personale delle organizzazioni non profit nel loro lavoro progettuale e condividiamo conoscenze ed esperienze nella rivista del nostro sito web (https://www.stiftung-mercator.ch/)».
Come si finanzia la Fondazione Mercator Svizzera?
«La Fondazione finanzia le proprie attività con il reddito del proprio capitale di dotazione, integrato da contributi annuali della famiglia dei fondatori provenienti dal patrimonio dedicato a cause filantropiche, gestito sotto l’egida della Fondazione Meridian».
Cosa pensa che i filantropi e le fondazioni erogative debbano fare per ottimizzare l’impatto delle loro attività a favore della società civile?
«Ascoltare e avere fiducia nei propri beneficiari. Agire anche in partnership e reti, e non solo a livello di progetto: una trasformazione sociale sostenibile richiede una cooperazione intersettoriale a livello strategico. Invece di concentrarsi su iniziative di finanziamento selettive e isolate, le fondazioni dovrebbero puntare su metodi di lavoro collaborativi orientati all’impatto, che partano dal livello sistemico.
In questo modo, queste ultime possono fare molto di più che “solo” dare soldi. In quanto istituzioni che creano ponti, possono riunire un’ampia varietà di attori e quindi promuovere l’innovazione intersettoriale e transfrontaliera. Possono creare l’accesso alle reti, contribuire con il loro know-how e fare da sparring partner in un percorso di apprendimento comune. Questo non vale solo per la cooperazione con i partner finanziari. Anche le collaborazioni tra fondazioni o le alleanze intersettoriali sono aree importanti per lo scambio, il networking e l‘apprendimento condiviso e offrono grandi opportunità per l’ulteriore sviluppo del settore filantropico.
Laddove altri attori sono riluttanti per ragioni economiche o politiche, le fondazioni e i filantropi hanno la libertà di sperimentare e rischiare. Possono usare questa libertà per provare approcci non convenzionali. Perché non sostenere un progetto il cui successo non è ancora assicurato al cento per cento? Perché non sostenere un’idea o un processo di sviluppo di un’idea invece di un progetto completamente concepito? Nel migliore dei casi, il progetto avrà successo; nel peggiore, si sarà imparato qualcosa!
Infine, ma non meno rilevante: le fondazioni erogative possono anche utilizzare il loro patrimonio per impegnarsi a favore di finalità di pubblica
utilità, investendolo secondo gli stessi valori e principi che utilizzano per realizzare il cambiamento sociale con i loro progetti filantropici. Che si tratti di investimenti sostenibili o di impact investing: attraverso investimenti mirati del proprio patrimonio, le fondazioni erogative possono generare importanti benefici sociali».
Qual è la sua visione: che ruolo avrà la filantropia nei prossimi anni?
«La filantropia si basa su valori, non sul profitto. Il “profitto” della filantropia è l‘impatto sociale positivo. Ciò dà origine a una libertà di cui la filantropia dovrebbe approfittare. Una libertà che è però allo stesso tempo un obbligo a fare ciò che altri settori non possono fare, o almeno non ancora. Questo è particolarmente efficace se la filantropia riesce a monitorare le tendenze, a riconoscere i segnali e a continuare a mettersi in discussione e a svilupparsi in modo critico.
Così inteso, il settore filantropico può continuare a dare un contributo centrale alla difficile ricerca di soluzioni sostenibili. Per farlo, però, dovrebbe anche impegnarsi con idee coraggiose, visionarie e audaci – proposte che non hanno paura di mettere in discussione i paradigmi esistenti e di cercare soluzioni orientate al futuro. E questo, laddove possibile, facendo affidamento su approcci collaborativi e sistemici».
*Andrew Holland è Direttore Generale della Fondazione Mercator Svizzera. In precedenza, è stato attivo nel settore della cultura per 20 anni in un’ampia gamma di ruoli - nella produzione culturale, nella promozione culturale e nella politica culturale. Più recentemente, Holland, che ha conseguito un dottorato in legge, ha diretto la Fondazione svizzera per la cultura, Pro Helvetia.
A COLLOQUIO CON MARIA LUISA SICCARDI TONOLLI, MEMBRO
DEL CDA DI MEDACTA GROUP
E VICEPRESIDENTE DELLA
FONDAZIONE MEDACTA FOR LIFE
DI ELISA BORTOLUZZI DUBACH
LA RICCHEZZA MULTIFORME DEL DONO
Maria Luisa Siccardi, quando e com’è nata la sua passione per la filantropia?
«La mia passione per la filantropia affonda le radici in una naturale vocazione. È un sentimento che mi porto fin dall’adolescenza, ho fatto da sempre ricerca sui temi del sociale e operato nel volontariato negli anni universitari. C’è un moto che si riattiva in me ogni volta che sono confrontata con eventi che toccano i più fragili, o quando vengo a conoscenza di realtà semi-nascoste della società che ci circonda. Credo fortemente nel valore dell’azione filantropica, soprattutto organizzata, sistemica e in rete. Credo nella ricchezza multiforme del dono.
Vi è poi una spinta etico-religiosa, nonché l’esempio della mia famiglia che da sempre ha dato sostegno a chi in difficoltà. C’è un profondo senso di riconoscenza radicato dentro tutti noi. Le stesse azioni che intraprendiamo oggi attraverso la Fondazione sono possibili grazie al prezioso lavoro che giorno dopo giorno i miei genitori, i miei fratelli Alessandro e Francesco e tutti i dipendenti di Medacta Group SA svolgono con impegno, dedizione e grande passione da oltre vent’anni».
Che cosa l’ha spinta insieme alla sua famiglia a istituire la Fondazione Medacta for Life?
C’è stato un evento particolare?
«La Fondazione nasce nel 2011 e la sua prima espressione è il nido aziendale My Baby. Completamente assorbita dal mio lavoro, mi guardo intorno
e in Medacta sono presenti tante giovani donne come me. So quanto sia impegnativo conciliare tutto, professione e vita privata, da qui la decisione di creare un nido aziendale, da subito aperto anche alle famiglie del territorio e ai loro bisogni. L'obiettivo è quello di sostenere la genitorialità, promuovere il rientro delle donne nella vita professionale dopo la maternità e favorire la conciliabilità lavoro/formazione - famiglia. Senza soluzione di continuità, il progetto, di fatto manifestazione più attiva della Fondazione, si amplia anno dopo anno: oggi My School Ticino comprende Nido, Scuola dell’Infanzia, Scuola Elementare, Servizio Extrascolastico e una scuola di lingue. L’Istituto scolastico attualmente conta oltre 200 bambini iscritti, tra figli dei dipendenti dell’azienda e di famiglie del territorio».
Qual è lo scopo statutario della fondazione?
«Il primo scopo della Fondazione è legato storicamente appunto alla gestione del nido aziendale. Da qui il passo è breve: lo scopo statutario si amplia verso i servizi scolastici in generale e alla realizzazione di progetti di utilità sociale per il territorio circostante, in Svizzera e nel mondo. I nostri interventi si raccolgono attorno a tre grandi aree:
• Sviluppo delle nuove generazioni: My School Ticino
• Partecipazione a progetti sociali: My Giving
• Supporto a missioni mediche: My Mission
Con focus principale sulla prima infanzia, la Fondazione investe costanti energie e mezzi nelle generazioni che rappresentano il nostro futuro. My School Ticino ne è l’espressione più significativa. L’Istituto scolastico mu -
tua dall’esempio aziendale la tensione, oltre che al benessere dei soggetti a cui si rivolge, all’innovazione e all’eccellenza: proponiamo qui un nuovo modo di fare scuola, complementare all’offerta già presente sul territorio.
My Giving è quell’area della Fondazione attiva per una filantropia sistemica soprattutto a livello locale, garantendo il sostegno a diversi enti ed associazioni dedicati alla protezione, l’assistenza, l’aiuto e la promozione di
CHI È MARIA LUISA SICCARDI TONOLLI
Membro del Consiglio di amministrazione di Medacta Group SA, Vicepresidente della Fondazione Medacta for Life e Fondatrice di My School Ticino, Maria Luisa nasce in una famiglia di solide tradizioni. Laureata in Economia e agli esordi di una carriera in banca, è il 2000 quando accettando la sfida di famiglia partecipa alla costituzione di Medacta International SA, azienda oggi leader mondiale di settore specializzata
nella progettazione, produzione e distribuzione di prodotti ortopedici e nello sviluppo di tecniche operatorie innovative, occupandosi principalmente della direzione finanziaria della stessa. Da sempre anche alla testa del Family Office, nato nel 1999 a seguito della vendita di una precedente azienda familiare, Maria Luisa si occupa della gestione patrimoniale, immobiliare, fiscale e legale per tutti i membri della
famiglia Siccardi. Dal 2011, anno della sua creazione, è inoltre alla guida di Fondazione Medacta for Life, catalizzatore dell’operato filantropico dell’azienda e quindi della famiglia stessa. Nel 2019 segue in prima persona il processo di quotazione alla borsa di Zurigo di Medacta Group SA, successivamente lascia il suo ruolo operativo in azienda divenendo Board Member con delega ai temi ESG.
iniziative per l’infanzia, la gioventù e le famiglie. Ci dedichiamo ad azioni che mirino alla valorizzazione della salute, dello sport e delle buone prassi di vita. Abbiamo non da ultimo molto a cuore la salvaguardia e la valorizzazione del territorio e dell’ambiente, con un occhio di riguardo ai temi inerenti alla sostenibilità. My Mission, infine, supporta varie iniziative umanitarie in tutto il mondo, intervenendo in caso di emergenze ma soprattutto sostenendo i chirurghi volontari che desiderano fornire assistenza gratuita alle comunità dei paesi svantaggiati. Col supporto di Medacta International SA, forniamo inoltre impianti e strumentari medicali a realtà disagiate».
Che cosa l’ha spinta a scegliere proprio questi ambiti di sostegno?
«Oltre alla parte più legata al medicale e vicina all’operato dell’azienda (My Mission), la prima infanzia e l’età scolare sono sicuramente l’ambito che più mi sta a cuore, in quanto fondativi dell’essere umano. Sia attraverso My School Ticino che con l’operato di My Giving, sono mossa dalla prospettiva di un mondo migliore, da costruire tutti insieme: i bambini e i giovani sono il nostro futuro. Il più grande successo sarebbe per me una società più consapevole e unita che non lasci indietro nessuno».
Di quali progetti si occupa correntemente la fondazione?
«Dopo My School Ticino, nostro progetto più attivo, siamo molto legati e vicini in particolare a due realtà del territorio: l’Associazione Ticinese Famiglie Affidatarie (ATFA) e la neonata Associazione ConTatto. In collaborazione con ATFA, ho fortemente voluto e avviato il progetto denominato Famiglia Affidataria Professionale (FAP), primo passo verso la realtà delle Casefamiglia. Attiva dal 2020, la FAP ha dato ad oggi accoglienza a 13 minori. Essa vuole essere una modalità diversa e professionalizzata in supporto al nu-
mero insufficiente di famiglie affidatarie in Ticino. Punto d’Incontro è l’altro bel progetto creato con ATFA. Il primo Punto di Incontro ha aperto le sue porte a marzo 2022; si tratta fisicamente di un luogo, uno spazio sicuro e neutrale di incontro tra genitori e minori in situazioni familiari difficili. Qui si beneficia della mediazione di operatori qualificati, che garantiscono al bambino protezione e supporto e all’adulto un sostegno educativo. ConTatto è l’associazione da me cofondata per assicurare il prosieguo del progetto denominato Educativa Territoriale e avviato nel 2021 (2021-22 per la fase sperimentale; 2022-25 fase pilota). Con i Comuni di Chiasso e Mendrisio, Educativa Territoriale mira ad implementare azioni e servizi strutturati in supporto a famiglie con bambini tra i 5-10 anni che evidenziano fragilità educativa. L’obiettivo è di aiutarle e prevenire situazioni future più gravi (abbandono scolastico, violenza, affido, ecc), intervenendo direttamente presso le famiglie, nelle loro case. Per i progetti FAP ed Educativa Territoriale vedo due aree di grande successo: innanzitutto l’aver stabilito e lavorato in una riuscitissima collaborazione tra pubblico e privato: la Fondazione, i Comuni, il Cantone. Entrambi i progetti hanno ottenuto, riconosciuta la loro bontà, il supporto economico da parte del Cantone a seguito della fase sperimentale sostenuta da noi in collaborazione con altri privati, percorso che auspichiamo si realizzi anche per il Punto di Incontro. Il progetto di Educativa Territoriale è inoltre monitorato dalla SUPSI, per una concreta misurabilità dell’impatto delle azioni in campo. Un caso esemplare di filantropia sistemica. Dagli Enti che sosteniamo mi aspetto che divengano via via più formati e strutturati, al fine di rendere evidente l’alto valore dei progetti avviati così che sia il Pubblico che altri organismi privati contribuiscano sempre più al loro sostentamento. Questo è in fondo il modo di ope -
rare che più mi è familiare e che porto avanti da oltre dieci anni già dai tempi del progetto Casa delle Nascite. Potendo avviare azioni sin dall’inizio ben strutturate e co-finanziandone le fasi sperimentali in collaborazione con altri istituti, ho la certezza di vederne i risultati e la loro utilità sociale, che viene in seguito riconosciuta dall’Ente Pubblico e quindi portata avanti in modo più ampio a beneficio dell’intera comunità. Ho una profonda gratitudine per quanto possiamo fare con la nostra Fondazione, dove lo sforzo economico investito è opera anche del lavoro quotidiano della mia famiglia e di ognuno dei collaboratori che sono al nostro fianco in azienda. Un circolo virtuoso che nobilita donando valore».
Qual è la sua visione per il Ticino delle fondazioni?
«Sono convinta che, affinché le diverse azioni filantropiche portate avanti dalla nostra come da altre fondazioni divengano sempre più efficaci, sia necessario collaborare e trovare punti di incontro che ci accomunino, aumentando il più possibile la collaborazione tra pubblico e privato. Mi rallegro della nascita di ASFESI, associazione che rappresenta le Fondazioni erogative attive nella Svizzera Italiana. Oltre ad avvalorare e tutelarne le pratiche presso autorità e pubblico in generale, è questo un passo concreto e deciso verso la sistematizzazione del nostro operato: il dialogo e la cooperazione per delle azioni efficaci, mirate, misurabili e continuative. In una parola: sistemiche».
Si ringrazia Siria Chiesa Dané per la collaborazione
VOGLIAMO FORMARE UNA GIOVENTÙ SANA E MOTIVATA
nazionale rossocrociata: primo mondiale nel 1987 a Vienna, poi una lunga interruzione per ragioni di lavoro, e infine una serie di trasferte: Berna, Stoccolma, Helsinki, Minsk, Mosca, Praga, Parigi, Riga... oltre alle Olimpiadi di Torino. Un clima fantastico, sia perché bianconeri o biancoblu diventiamo tutti biancorossi, sia perché fra i tifosi delle varie nazioni regna un clima di festa. In anni recenti (2018-2020) sono stato poi membro del Comitato delle HC Ladies Lugano: è stata un’esperienza importante che mi ha aiutato a conoscere e comprendere i meccanismi che regolano il funzionamento di una squadra sportiva e le aspettative dell’ambiente che la circonda».
L’AVV. MASSIMO PEDRAZZINI
HA SCELTO DI METTERE TUTTA
LA SUA GRANDE PASSIONE PER
L’HOCKEY E LA DETERMINAZIONE
CON CUI ACCETTA OGNI GENERE
DI SFIDE AL SERVIZIO DI UNA NUOVA
IMPRESA: DARE UNA NUOVA E MEGLIO
DEFINITA IDENTITÀ ALLA FONDAZIONE ACADEMY HC LUGANO CON
L’OBIETTIVO DI SOSTENERE
I GIOVANI E TUTTO IL MOVIMENTO
HOCKEYSTICO TICINESE.
Perdoni la mia curiosità, ma cosa l’ha indotta ad accettare questo nuovo impegno?
«Mi considero un sognatore, idealista, amante dello sport dell’hockey ed attento alle esigenze dei nostri giovani. Condivido questa visione con i colleghi di Consiglio, Fabio Gaggini, Emilio Martinenghi, Luca Pedrotti e Lara Pozzoli».
Veniamo alla fondazione Academy. Qual è la sua finalità?
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Per lei dunque l’hockey è una malattia da cui è impossibile guarire… «Credo proprio di sì. Ho scoperto I’hockey nel 1977, ma non ho potuto praticarlo perché a 14 anni era troppo tardi per imparare a pattinare. Sono cresciuto nell’ammirazione di Alfio Molina e da allora sono stato sempre un appassionato tifoso della
«La Fondazione sostiene l’Associazione HC Lugano nel promovimento e nella formazione del proprio Settore Giovanile. In sostanza si occupa della raccolta di fondi che vengono elargiti direttamente al Settore Giovanile. La Fondazione ha versato complessivamente CHF 625’000. Ma, vorrei sottolinearlo con forza, il nostro intervento non può in alcun modo limitarsi soltanto ad integrarne il bilancio: si tratta invece di sostenere progetti di sviluppo e miglioramento, quali sono stati quelli sostenuti negli ultimi tempi dalla nostra Fondazione e senza la quale non sarebbe stato possibile realizzarli: dal Ghiaccio estivo, per ovviare ad una interruzione di 4 mesi degli allenamenti, allo Skills coach, per mi -
gliore sotto la guida di uno specialista il pattinaggio in tutti i suoi dettagli, il tiro e la conduzione del disco. La lista dei progetti da sostenere è lunga: dal Coach pro off-ice al tutor liceo per un coordinamento e aiuto nello studio».
Perché la crescita del Settore giovanile è così importante per l’HC Lugano?
«Il Settore Giovanile si occupa di circa 400 fra ragazzi e ragazze, professionalmente allenati da 24 allenatori, di cui 9 professionisti e 15 volontari. Inoltre il settore può contare sui più di 130 volontari che svolgono ruoli diversi (tavolo giuria, casetta gialla, accompagnatori, regia, arbitri). Il compito del Settore Giovanile è sostenere ragazzi nella loro formazione di atleti completi, e nel contempo supportarli al fine di terminare la loro formazione scolastica e professionale. Il Settore Giovanile trasmette quindi alle giovani leve dei valori sportivi importanti ed educativi nel rispetto dello sviluppo personale del ragazzo. Viene insegnato ai giovani a mettersi in gioco ma soprattutto divertirsi e formare lo spirito di gruppo aggregativo, lottando tutti insieme per un unico obiettivo, con il sogno di riuscire un giorno ad entrare
in prima squadra. Il supporto dato a diversi livelli a questi ragazzi è molto importante se si considera che sono confrontati quotidianamente con diverse ore di allenamento a temperature fredde, con ore di trasferte intervallate da giornate di studio e ore di recupero. In questo contesto, l’impegno sportivo non deve diventare un obbligo che poi genera stress e frustrazione, ma mantenere la sua dimensione di occasione di crescita, divertimento, benessere fisico e mentale».
Qual è dunque il modello di Academy che avete in mente di realizzare?
«Vogliamo sostenere dei progetti a vantaggio dei giovani che, a vari livelli e in ambiti diversi, compongono il complessivo movimento hockeystico ticinese, senza che per forza a beneficiarne sia solo la prima squadra dell’HC Lugano. È vero infatti che il Settore Giovanile, anche col sostegno della Fondazione Academy HC Lugano, ha formato molti giocatori che hanno poi trovato sbocco nella nostra attuale prima squadra, fra cui Luca Fazzini, Giovanni Morini, Marco Zanetti, Thibault Fatton nostro terzo portiere e già portiere della Nazionale Under 20 oppure il nostro Head Coach, Luca Gianinazzi. Ma bisogna ri -
cordare anche che ha formato giocatori che hanno trovato il loro sbocco in altre squadre, come Alessio Bertaggia, ora a Ginevra, Dario Simion ed Elia Riva, ora a Zugo, o Elvis Merzlikins che come è noto milita addirittura in NHL. Ciò che è importante sottolineare è che dal Settore Giovanile sono anche uscite molte persone che hanno trovato poi il successo in vari altri ambiti professionali. E questo è il vero senso e la missione di un Settore giovanile. Lo sport di gruppo può essere molto educativo per un giovane, soprattutto se ben combinato con gli studi. I sacrifici che i ragazzi devono affrontare per conciliare sport e studi li portano a sviluppare resilienza e competitività, due caratteristiche importanti nella formazione di un giovane».
Lungo quali linee e con quali partners la Fondazione Academy si muoverà dunque nei prossimi mesi?
«Abbiamo ben chiaro quale è l’obbiettivo che ci siamo prefisso, e cioè contribuire a formare una gioventù sana e motivata. Per raggiungere questo scopo è necessario, insieme ai colleghi di Consiglio, batterci con tutto il nostro peso alla ricerca di sostenitori e benefattori ricorrenti che diano la solidità necessaria a sostenere il Settore Giovanile per molti anni a venire. Questo significa elaborare progetti credibili che possano suscitare l’interesse di partners e sponsor consapevoli del valore formativo e sociale delle nostre iniziative. Ma ci rivolgeremo anche ai Comuni e ad enti e istituzioni pubbliche al fine di coinvolgerli in progetti che proprio per il loro contenuto abbiano un forte impatto sulle comunità e sul territorio ticinese. I giovani sono la nostra maggiore ricchezza e noi vogliamo aiutarli a crescere perché siano degli autentici sportivi, magari anche dei campioni dell’hockey, ma soprattutto capaci di costruire con lealtà, coraggio e tenacia il loro futuro e quello del Ticino».
PRESSO LA CLINICA SANT’ANNA DI SORENGO È ATTIVO UN
AMBULATORIO DEDICATO ALLA
CURA DELLE PATOLOGIE
COMPLESSE, E NON, DEL PAVIMENTO PELVICO. CE NE PARLANO IL DOTT.
GIOVANNI DE LUCA, SPECIALISTA
IN GINECOLOGIA E OSTETRICIA
E IL DOTT. FILIPPOS FILIPPAKOS, SPECIALISTA DI GINECOLOGIA E OSTETRICIA OPERATIVA.
L’IMPORTANTE È PARLARNE CON IL MEDICO
Possiamo innanzitutto definire che cosa sono le problematiche del pavimento pelvico?
G.D.L.: «Si tratta di più patologie organiche, ma anche funzionali che sono sempre più diffuse nella popolazione. Il pavimento pelvico è un insieme di muscoli che contribuiscono a mantenere nella posizione corretta gli organi pelvici: utero, retto, vescica e uretra. Le più diffuse patologie sono l’incontinenza urinaria e fecale, i prolassi cosiddetti genito-urinari, la stipsi ed il dolore pelvico cronico. Sono coinvolti il compartimento anteriore, uro ginecologico, e quello posteriore, proctologico. La componente femminile è più toccata a causa dell’anatomia della pelvi e dello stress al quale sono sottoposti i tessuti durante la gravidanza ed il parto, fattore che può favorire questo tipo di problemi».
Come affronta il vostro team questo tipo di problemi?
F.F.: «Direi che il punto di forza è sicuramente rappresentato da un approccio multidisciplinare che ci consente di riunire in una sola unità operativa una serie di competenze diverse che comprendono ginecologia, urologia, proctologia e anche neuro-urologia. La presa in carico di una paziente o di un paziente significa dunque la possibilità di avviare un percorso, nello stesso luogo e con i medesimi medici, che parte dalla fase diagnostica, comprende l’individuazione della cura e si conclude con l’eventuale riabilitazione. Nel caso fosse poi necessario un intervento di tipo chirurgico, saranno gli stessi medici ad indirizzare all’interno della Clinica Sant’Anna verso le specializzazioni competenti».
A proposito di diagnostica, quali sono gli esami a cui è necessario sottoporsi?
F.F.: «Per definire con esattezza la natura del problema il paziente viene sottoposto ad una serie di accertamenti per la diagnosi delle patologie funzionali a carico delle vie urinarie inferiori. L’esame urodinamico esamina infatti il comportamento della vescica e dell’uretra studiando i fattori fisiologici e patologici legati all’accumulo, al trasporto e all’eliminazione dell’urina in sede di malattie o di particolari condizioni cliniche, quali l’incontinenza urinaria e le ostruzioni minzionali o le lesioni midollari. L’esame urodinamico ci permette così di studiare le pressioni interne alla vescica durante le fasi della minzione e serve a evidenziare i problemi legati alla sensibilità, all’ipoattività o all’iperattività della stessa. Nel nostro ambulatorio eseguiamo anche la cistoscopia, che grazie all’introduzione di una piccola telecamera in vescica ci permette di studiare la struttura anatomica di quest’ultima e l’eventuale presenza di lesioni o di calcoli».
Molte persone sono preoccupate all’idea di sottoporsi ad esami ritenuti invasivi…
G.D.L.: «L’esame urodinamico prevede l’inserimento di un catetere vescicale estremamente sottile dotato di un trasduttore, ed il riempimento della vescica del paziente con una soluzione fisiologica. Si tratta quindi di un esame molto poco invasivo e quasi del
tutto indolore. Il medico comprende però il fatto che il paziente possa provare un certo imbarazzo ed in questa prospettiva è molto importante il rapporto che si stabilisce con il personale curante, appositamente preparato a garantire quel supporto di accoglienze e psicologico che specifiche situazioni possono richiedere».
Perché è così importante non sottovalutare queste patologie e rivolgersi ad un Centro specializzato?
F.F.: «I disturbi a carico delle vie urinarie possono interessare entrambi i sessi, a tutte le età, con un impatto negativo sulla vita delle persone. Il primo approccio per trattarli in maniera efficace consiste nella valutazione dello specialista che dovrebbe essere il più precoce possibile, già al primo insorgere dei disturbi. Attraverso un’anamnesi accurata, l’esame obiettivo specifico e quelli di primo livello, il ginecologo sarà in grado di stilare una prima diagnosi o, se indicato, richiedere esami strumentali specialistici come gli esami urodinamici. La vescica irritabile, l’incontinenza, l’infezione alla vescica o il prolasso degli organi pelvici sono patologie molto diffuse tra le donne, tuttavia sono poche quelle che parlano apertamente di tali problemi di salute e pertanto non si rivolgono fiduciose al proprio medico, anche se i disturbi summenzionati comportano una grande sofferenza e notevoli limitazioni della vita quotidiana. Per questo anche in questo campo ri -
sulta essere quanto mai necessaria la diffusione di una cultura della prevenzione o ricorrere allo specialista prima della cronicizzazione del disturbo».
Infine, come vengono trattate queste patologie?
G.D.L.: «Come ho già detto si tratta di una vasta gamma di situazioni che di conseguenza possono richiedere soluzioni ampiamente differenziate. Gli specialisti del centro possono procedere a interventi di resezioni coliche laparoscopiche, di sospensione degli organi pelvici per i prolassi rettali e pelvi perineali complessi con tecniche all’avanguardia. Ma nella maggior parte dei casi molte patologie, ove precocemente diagnosticate, possono essere curate con opportuni trattamenti farmacologici mentre importanti risultati si ottengono con la fisioterapia. Il centro dispone di un servizio di fisioterapia mirato, che buona parte delle volte permette già la risoluzione del problema e comunque è sempre necessario nel periodo peri-operatorio».
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È LA PI Ù EVOLUTA BIOHACKING & ANTIAGE CITY CLINIC EUROPEA, DOVE ATTRAVERSO PROTOCOLLI INTEGRATI, ALTAMENTE PERFORMANTI E AD ELEVATO CONTENUTO TECNOLOGICO, IL CLIENTE VIENE GUIDATO VERSO LA MIGLIOR VERSIONE DI S É STESSO.
L’obiettivo di The Longevity Suite è quello di aiutare chiunque lo desideri a vivere in piena salute, bellezza ed energia mentale, sempre al massimo del proprio potenziale, conducendo uno stile di vita che sia sano e lungimirante e che permetta di ottenere un equilibrio perfetto tra bellezza esteriore e benessere interiore.
Il metodo Longevity nasce dal lavoro di oltre 20 anni di ricerca del team del Dott. Massimo Gualerzi, medico cardiologo, co-founder e direttore scientifico di The Longevity Suite, dal know-how farmaceutico di Elisa Mondelli, Co-founder e Head of Business
Excellence, e dalla visione lungimirante di Luigi Caterino, Co-founder e CEO. Il network si caratterizza da un approccio integrato di un background medicale, tecnologie estetiche d’avanguardia, trattamenti manuali sinergici, prodotti nutrizionali detox e una linea di cosmeceutici firmata The Longevity Suite. In alcuni dei diversi centri localizzati in tutta Italia, in particolare le City Clinic di Milano, Parma, Bologna, Lugano e Olbia, l’approccio del brand è maggiormente orientato su un focus medicale che permette di coltivare il proprio benessere attraverso trattamenti che rispondono al quadro clinico del singolo.
All’inizio di qualsiasi programma di Salute e Benessere, il cliente verrà sottoposto a un Longevity Checkup, che costituisce le fondamenta del protocollo dei trattamenti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati attraverso un algoritmo in grado di monitorare lo stato di benessere/salute del singolo individuo. È così possibile sottoporsi a test mirati, come quello relativo allo Stress Ossidativo – responsabile dell’invecchiamento precoce – o per verificare la definizione della Body Composition, e lo status generale della pelle e del sonno (Skin Check, Detox Test, Sleep Test e Stress Test insieme alle quattro tipologie di DNA Test - Diet, Skin Aging, Sport e Complete - volte a studiare il proprio codice genetico, come i fattori esterni lo influenzano e le conseguenze sul benessere dell’organismo.). In questo modo, verranno delineati percorsi bespoke, altamente personalizzati e sviluppati in base alle esigenze e agli obiettivi del singolo: trattamenti corpo, prodotti cosmeceutici, piano nutrizionale, consigli fitness e sessioni di mindfulness interagiranno così per assicurare il raggiungimento di un benessere a 360° che possa diventare parte di una agevole e sana routine quotidiana.
Recentemente, Longevity S.p.A., di cui fa parte The Longevity Suite, ha conseguito un importante traguardo nel suo piano di sviluppo e consolidamento nel campo scientifico-medicale acquisendo Lipinutragen s.r.l. - la prima azienda italiana ad applicare al settore una branca della medicina molecolare. Il Longevity Check-up si arricchisce quindi grazie all’introduzione di un nuovo test, il Longevity Molecular Profile. Si tratta di un prelievo del sangue, analizzato da un robot di laboratorio con screening dei seguenti parametri: inflammaging, risposta metabolica, salute cardio-vascolare, protezione immunitaria, reattività allo stress cellulare e indice di neuro-protezione. A partire dall’analisi dell’equilibrio molecolare così ricavata, è possibile valutare l’epigenetica, ovvero riconoscere quali condizioni di stress o lo stile di vita in generale influiscono sui segnali che la cellula riceve per adattarsi e di conseguenza definire un piano di trattamenti per ribilanciane lo stato. In questo modo, l’individuo avrà un quadro clinico più chiaro e completo e il percorso verso il raggiungimento di un benessere a 360 sarà ancora più rapido e tailor-made.
THE LONGEVITY SUITE
Palazzo Mantegazza
Riva Paradiso 2, Lugano
lugano@thelongevitysuite.com
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NELLA SEDE LUGANESE DI TLS, PRESSO IL PALAZZO MANTEGAZZA
A RIVA PARADISO, PRESTA LA SUA OPERA ANCHE IL DOTT. ROCCO CERRA, SPECIALISTA IN CHIRURGIA GENERALE.
LA CHIRURGIA CHE DONA BENESSERE E BELLEZZA
La filosofia di The Longevity Suite è un approccio olistico che combina un’avanzata expertise medicale con le tecnologie più innovative e le più note filosofie olistiche tradizionali per ottenere risultati concreti di salute e bellezza nel lungo termine, attraverso una customer experience di Lusso. I 3 pilastri su cui si fonda il Metodo Longevity sono: esposizione al freddo, detox fisico/ mentale e consapevolezza estetica. Il Dott. Rocco Cerra si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Napoli nel 1987. Nel
1992 ha conseguito anche la Specializzazione in Chirurgia Generale presso il medesimo Ateneo. Successivamente, ha proseguito la sua formazione con il Corso di aggiornamento professionale sulla chirurgia plastica ricostruttiva oncologica, il Corso di “Brest Cancer: oncologic and reconstructive surgery” a Dusseldorf ed il Corso “Plastic and reconstructive breast surgery” presso l’Istituto Nazionale Tumori di Milano. Si è specializzato soprattutto in mastectomia, ricostruzione di neoplasie del viso, ricostruzioni ginecologiche, lifting a viso e cosce, rinoplastiche e filler. Oltre alle varie esperienze lavorati-
ve in Italia e all’estero, dal 1993 è stato Dirigente Medico di I Livello Presso la Struttura Complessa di Chirurgia Senologica dell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori “G. Pascale” di Napoli e attualmente svolge attività libero-professionale presso Centri Privati. Autore di oltre 60 pubblicazioni scientifiche, vanta la partecipazione in qualità di relatore a oltre 80 tra convegni e congressi.
La chirurgia plastica è oggi una disciplina ben riconosciuta e apprezzata dalla comunità chirurgica. I concetti di bellezza, miglioramento di sé e armonia estetica, insieme ai principi ricostruttivi su cui si basa la chirurgia plastica, fanno parte del patrimonio culturale umano fin dalle origini.
Se si pensa che le prime testimonianze di ricostruzione dei tessuti risalgono a tempi in cui non esisteva l’anestesia, il controllo delle infezioni era scarso e le tecniche chirurgiche erano meno sviluppate, non sorprende vedere come la chirurgia plastica si sia evoluta nel tem-
po, di concerto con l’esperienza acquisita e i progressi testimoniati in tutti i campi della medicina e della chirurgia. L’innovazione rivoluzionaria nella chirurgia plastica ricostruttiva è arrivata negli ultimi decenni, con l’avvento della microchirurgia e di studi approfonditi sull’anatomia vascolare. L’introduzione dei lembi microchirurgici ha ampliato l’armamentario delle tecniche ricostruttive, ottimizzando l’uso di tessuti autologhi per la copertura e il ripristino di quasi tutti i difetti tissutali. Ad oggi, i lembi microchirurgici, che rappresentano la migliore evoluzione tecnica degli approcci ricostruttivi egiziani e indiani, sono apprezzati come cavallo di battaglia per la ricostruzione di ferite scarsamente vascolarizzate e di difetti tissutali complessi derivanti da traumi e resezioni oncologiche, evitando – quando possibile – interventi in più fasi e fornendo risultati estetici sempre migliori. Il valore della chirurgia plastica va quindi riconosciuto nel fatto di essere una disciplina che risolve i problemi, che si è evoluta parallelamente ai progressi tecnici, alle conoscenze scienti -
fiche e all’intuizione creativa, per garantire le soluzioni ricostruttive più adatte e piacevoli a vantaggio di diverse specialità mediche e chirurgiche. Nel campo della Chirurgia Plastica e Oncologica Ricostruttiva e della Microchirurgia, il dott. Rocco Cerra esegue interventi di demolizione e ricostruzione ghiandole mammarie post- mastectomia, mastectomia, ricostruzione di neoplasie di naso, orecchie, palpebre e labbra comprendenti tutto il distretto cervico-facciale. Interventi di trasposizione di lembi cutanei e miocutanei con rivascolarizzazione in microchirurgia. Ricostruzioni ginecologiche per tumori erosivi della vulva. Per quanto riguarda invece la Chirurgia Plastica ed Estetica è specializzato in mastoplastiche, rinoplastiche, lipoaspirazioni, lifting, volto, interno braccia e interno cosce, nonché in Chirurgia estetica di base: filler peeling chimici, laser.
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IL BUSINESS DIVENTA SOSTENIBILE
In principio era la Borsa Immobiliare Ticino, ora siamo di fronte ad una rete di eventi e di persone che abbracciano ambiti diversi nel business e negli investimenti…
«In effetti siamo cresciuti ad un ritmo veramente sostenuto e abbiamo progressivamente esteso le nostre aree di interesse. Il Real Estate è stato un punto di partenza che mantiene tutta la sua importanza ma i nostri forum rappresentano sempre più l’occasione per creare opportunità di valore, presentare proposte, servizi, progetti, ma anche entrare a fare parte di una community esperta e consapevole delle dinamiche ambientali ed ESG: una rete di persone in grado di comprendere il proprio impatto in tema di sostenibilità e di saper cogliere opportunità per generare investimenti fruttuosi e sostenibili».
Anche in questa edizione del forum di Lugano avete scelto di focalizzare l’attenzione sul tema della sostenibilità…
REPEOPLE FIRMA LA NONA EDIZIONE
DELL’ESCLUSIVO FORUM CHE SI TERRÀ
IL 20 E 21 SETTEMBRE AL PALAZZO
DEI CONGRESSI DI LUGANO. E GIÀ
SI ANNUNCIANO GLI ALTRI EVENTI
ORGANIZZATI DA REPEOPLE, TRA
CUI IL FORUM DI ZUGO (21 NOVEMBRE)
E IL MONACO ET SUISSE
INVESTMENT FORUM PREVISTO
IL 15 MARZO DEL 2024 PRESSO
IL PRESTIGIOSO YACHT CLUB
DEL PRINCIPATO. NE PARLIAMO
CON PAOLO CASPANI, CEO & FOUNDER DI REPEOPLE.
Perché il networking è oggi così importante per una azienda proiettata verso la creazione di valore?
«Siamo assolutamente convinti che un buon progetto non possa mai crescere da solo ma abbia bisogno del supporto di varie competenze in ambiti diversi.
In quest’ottica l’obbiettivo dei nostri forum è proprio quello di creare l’ambiente perfetto per gli imprenditori per stabilire connessioni vantaggiose durante un evento di networking con un parterre di aziende e individui accuratamente selezionati. Tutto ruota attorno alle connessioni. Viviamo in un’era così dinamica e frenetica che il networking ha acquisito un’importanza strategica assoluta per l’affermazione e la crescita di un’impresa».
«Assolutamente sì. Quello della transizione verso un’economia e una finanza rispettose dell’ambiente, attente alle trasformazioni climatiche, proiettate verse la conservazione del pianeta e il benessere globale della sua popolazione costituisce un processo irreversibile. Proprio per questo abbiamo l’ambizione, che è già una realtà dopo il successo delle precedenti edizioni, di diventare il punto di riferimento per creare opportunità di valore volte a trasformare il Real Estate in un settore sostenibile, guidato da investimenti responsabili».
Sostenibilità che coinvolge direttamente anche la vostra organizzazione…
«Questo è un aspetto che ci rende particolarmente orgogliosi. Nel pieno rispetto della nostra nuova visione, d’ora in poi, intendiamo contenere l'impatto ambientale delle nostre iniziative, compensando le emissioni con un programma di carbon neutrality favorito dalla collaborazione con Positive Organizations Sagl, anch'essa presente all'evento. In questo senso abbiamo, ad esempio, sostituito il magazine cartaceo con una edizione online, reso l’informazione quasi totalmente digitale, ma stimolia-
mo anche le aziende partecipanti a raggiungere il Palazzo dei Congressi di Lugano utilizzando i mezzi pubblici. Non da ultimo il fornitore del catering utilizza solo materiale riciclabile per il proprio servizio. È anche nostra responsabilità lanciare un segnale ai nostri interlocutori della manifestazione, sulle buone pratiche che possono contribuire alla salvaguardia dell’ambiente».
Anche quest’anno proporrete un intenso programma di incontri e conferenze tematiche?
«Sarà senza dubbio uno dei punti qualificanti anche del prossimo forum di Lugano. Un evento che vedrà la partecipazione di tantissimi professionisti: architetti, artigiani, progettisti, promotori che avranno diversi momenti di incontro a disposizione per confrontarsi tra loro, come anche con le richieste dei tanti visitatori invitati al forum. Le con-
ferenze tematiche sono tutte finalizzate ad affrontare aspetti diversi dell’innovazione e della sostenibilità applicata in ambiti diversi. Vorrei citare ad esempio Swisscom, main sponsor pubblico dell’evento, che affronterà varie questioni legate alla digitalizzazione in Svizzera, o Helvetic Diamond Exchange che ci parlerà di forme di investimento alternativo, le quali insieme alle criptovalute, saranno al centro anche del forum a Zugo».
A questo proposito, cosa possiamo aspettarci dai prossimi appuntamenti di Zugo e di Monaco?
«I lusinghieri riscontri ottenuti dai forum degli scorsi anni ci hanno indotto ad allargare lo sguardo al di fuori dei confini del Cantone. Così, dopo Monaco (due edizioni negli scorsi anni), saremo il 21 novembre a Zugo, mentre in prospettiva stiamo già organizzando eventi a Ginevra e Milano, due capitali
importanti del business internazionale. A Zugo saremo ospiti dello Shed Zug, uno spazio che si caratterizza per la sua enorme flessibilità, il prestigio di cui gode e la qualità degli eventi organizzati. Tutti i nostri eventi rappresenteranno una straordinaria occasione per fare incontrare imprenditori, investitori, uomini e donne d’affari che sono alla testa di società tra le più importanti al mondo. Come per Lugano e per Monaco, anche a Zugo l’evento sarà presentato da Sheila De Lucia».
IL PROGRAMMA DELLE CONFERENZE TEMATICHE
20 settembre a partire dalle 19:00
• Il paradosso in-Sostenibile Bjorn Klingenberg – Architetto e titolare dello studio Klingenberg Arkitektur
• Investimenti in microfinanza e un modello di business unico per sostenere i paesi in via di sviluppo e generare rendimenti Vincenzo Trani – Presidente di Mikro Kapital Management S.A.
• La gemmologia è matematica Dario Cominotti – Titolare di Helvetic Diamond Exchange
21 settembre a partire dalle 18:15
• IFZA Dubai: una free zone business friendly con un ecosistema internazionale Nicola Zanni – Titolare della NZ Investment
• Come la digitalizzazione favorisce la sostenibilità in Svizzera
Michele Savino – Business Development B2B, Swisscom (Svizzera) SA
• Interior design e le nuove dinamiche di sviluppo immobiliare residenziale
Rudi Manfrin – Architetto di Arredo Più International SA
• Il giardino senz’acqua
Marco Lo Baido – Titolare della Speedy Green (Svizzera)
PISCINE SEMPRE PIÙ ALL’AVANGUARDIA
pazione alle Olimpiadi di Atlanta 1996 e con il brevetto per ristrutturare piscine in cemento ormai obsolete (Myrtha RenovAction), abbiamo continuato a crescere. Dal 2009 siamo partner di World Aquatics (ex-FINA) e oggi, dopo aver realizzato piscine in progetti con archistar del calibro di Philippe Starck e SANAA, siamo riconosciuti anche nel mondo hospitality. E proprio per questo settore e per il mondo dei privati, da alcuni anni realizziamo anche saune, bagni di vapore, frigidarium e altre cabine wellness combinando così l’offerta acquatica del benessere con la parte ‘asciutta’».
LA PRESENTAZIONE DEL PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DELLE NUOVE
PISCINE A TENERO HA OFFERTO L’OCCASIONE PER FARE IL PUNTO SULLE PIÙ INNOVATIVE SOLUZIONI PROPOSTE DAL SETTORE. INCONTRO CON ROBERTO COLLETTO, CEO DI PISCINE CASTIGLIONE E CORRADO COLTELLA, CEO DI REZZONICO LUGANO (REZZONICO FACILITY SA)
Lei è CEO e proprietario del marchio Piscine Castiglione. Quali sono state le principali tappe dello sviluppo dell’azienda?
Roberto Colletto: «L’azienda è stata fondata nel 1961 da mio padre che ebbe l’abilità di creare il mercato delle piscine private in Italia praticamente da zero. Nel 1977 con l’acquisto del brevetto tedesco della tecnologia Myrtha abbiamo fatto il salto di qualità. Un’altra tappa importante sono stati i campionati Europei di nuoto di Stra -
sburgo nel 1987, il nostro primo grande evento. Da allora, oltre ad innovare gli standard per il settore delle piscine private, siamo cresciuti diventando i leader nell’ambito delle piscine omologate per competizioni internazionali. Negli anni ’90, con la prima parteci -
Nel mondo siete conosciuti come Myrtha Pools dal nome della tecnologia utilizzata per la realizzazione di piscine sportive. Nello specifico, di che cosa si tratta?
Roberto Colletto: «La tecnologia Myrtha consiste in una struttura di pannelli modulari in acciaio inox laminati a caldo che a differenza delle piscine realizzate in cemento ci consente nu -
merosi vantaggi come velocità d’installazione, flessibilità ai movimenti del terreno e leggerezza. Un aspetto quest’ultimo fondamentale nel caso di installazioni di piscine su piani rialzati come terrazzamenti o rooftop. La precisione millimetrica del sistema Myrtha evita inoltre brutte sorprese in cantiere sia per la realizzazione di piscine private che nel caso di piscine per i grandi eventi sportivi dove le tempistiche non concedono alcun margine d’errore. Teniamo inoltre presente il fatto che oggi tutta la progettazione avviene in base al Building Information Modelling, un processo di costruzione digitale in 3D dove tutte le informazioni per ogni componente del progetto sono gestite e condivise per l’intero team durante tutte le fasi di costruzione e per tutto il ciclo di vita della struttura».
Quali sono le prospettive di sviluppo di progetti legati al mondo delle piscine di lusso e delle SPA in Ticino?
Roberto Colletto: «Negli ultimi anni abbiamo registrato un aumento della richiesta di piscine e SPA di lusso, che rappresentano un elemento sempre più importante, direi quasi indispen -
sabile, nella realizzazione di una villa, un attico o un appartamento di prestigio. Il design e il benessere sono imprescindibili per il mondo hospitality, e dunque anche riguardo al settore privato siamo sicuri che il binomio Piscine Castiglione e Rezzonico Lugano ci assicurerà una crescita in termini di progetti nel Canton Ticino. Anche il nostro settore ha conosciuto infatti in anni recenti un’evoluzione in termini di nuovi materiali utilizzati, finiture e dotazioni tecnologiche con ampio ricorso all’elettronica e e questo comporta una manutenzione e un’assistenza sempre più attenta e professionale».
In particolare, che importanza riveste per Piscine Castiglione l’aggiudicazione delle nuove piscine del Centro Sportivo di Tenero?
Roberto Colletto: «Progetti come quello di Tenero se ne contano sulla punta delle dita in Europa. Si tratta di un centro acquatico con una piscina tuffi e con 2 piscine da 50 metri complete di accessori che rendono multifunzionali le vasche sia per il nuoto che per altre attività acquatiche. Un progetto quindi molto importante per noi anche dal punto di vista architettonico che
siamo sicuri avrà un ritorno positivo non solo per gli atleti professionisti, ma anche per tutti i ticinesi».
Avete firmato un accordo con Rezzonico Lugano per l’assistenza su tutto il territorio svizzero per tutte le piscine pubbliche che sono state realizzate negli anni di Piscine Castiglione. Quali vantaggi ritenete che possano derivare da questo accordo?
Roberto Colletto: «Una piscina Myrtha è sinonimo di qualità per questo riteniamo giusto offrire un servizio all’altezza anche nel post-vendita. Rezzonico Lugano è stata una scelta naturale che ci consente così di rispondere alle esigenze delle nostre piscine pubbliche svizzere con un servizio locale in grado di rispondere in tempi brevi e con elevati standard di assistenza. Sia che si tratti di piscine private che di piscine pubbliche, la parola d’ordine è la soddisfazione del cliente e degli utilizzatori finali delle nostre piscine».
Rezzonico Lugano è attiva da quasi 90 anni nel settore idraulico e da 15 concessionaria del marchio Piscine Castiglione per il Ticino e la Svizzera. Ci vuole raccontare quali sono state le principali vicende aziendali che hanno accompagnato questa lunga storia?
Corrado Coltella: «Come si può immaginare il mondo nel corso di 90 anni di storia della nostra azienda è cambiato più volte, dirigo Rezzonico Lugano da 15 anni e posso raccontare solo quest’ultimo periodo. Quando sono arrivato eravamo fortemente orientati alla realizzazione di grandi impianti, soprattutto per il settore residenziale, lavorando con le imprese di costruzioni con le quali abbiamo realizzato tanti immobili a Lugano in particolare e in generale in tutto il Ticino. È noto che in questo settore vi è un’importante pressione sul prezzo e non sempre il rapporto con le imprese è trasparente. Dopo alcuni anni di at-
tività abbiamo compreso che non siamo tagliati per questo genere di mercato, abbiamo ceduto alcune nostre aziende per orientarci sul settore piscine e sulla gestione delle riparazioni e manutenzione nell’ambito dell’idraulica, riscaldamento e clima. Grazie al marchio Piscine Castiglione abbiamo potuto realizzare piscine importanti e centri SPA come ad esempio l’Hotel The View di Lugano, la piscina olim -
pionica di Uster, le piscine dei grappoli a Sessa, il Camping Campo Felice a Tenero e tanti altri».
Quali prospettive si aprono per Rezzonico Lugano in seguito all’accordo firmato con Piscine Castiglione? Corrado Coltella: «Anzitutto per un’azienda ticinese poter operare in ambito nazionale è indubbiamente
motivo di orgoglio oltre che dimostrazione di know how maturato negli anni (anche grazie ai corsi regolarmente frequentati presso Piscine Castiglione dove abbiamo conquistato, fra i primi, il diploma di Master Acadmy). Le prospettive sono di poter assistere clienti istituzionali (piscine pubbliche) sia nella manutenzione che nelle riparazioni consolidando relazioni con Swiss Swimming Pool (federazione svizzera di nuoto) e con i vari gestori cantonali di piscine pubbliche e sportive, senza dimenticare il mondo hospitality (hotel prevalentemente di lusso) dove Piscine Castiglione è ben radicata con piscine e SPA».
Che cosa rappresenta il Centro Sportivo di Tenero per il suo contenuto tecnologico nel campo dell’automazione delle piscine sportive e come la vostra azienda è strutturata per fare fronte alle richieste di questo avveniristico progetto?
Corrado Coltella: «Il Centro Sportivo di Tenero sarà un punto di riferimento internazionale, non solo per il contenuto tecnologico delle sue piscine, ma anche come centro sportivo a tutto tondo. In Svizzera abbiamo una reputazione di eccellenza in questo ambito e il rinnovamento del Centro Sportivo catalizzerà ancora più attenzione nei confronti di questa straordinaria struttura. Siamo pronti a raccogliere questa importante sfida anche perché non dobbiamo dimenticare che abbiamo iniziato a discuterne con Swiss Swimming nel 2013 in occasione dei Campionati del mondo di nuoto a Barcellona. Un progetto durato 10 anni che ci ha visto impegnati assieme a Piscine Castiglione in tutto il percorso di studio e di sviluppo; una grande soddisfazione essere stati scelti e soprattutto che parte dei lavori e delle ricadute economiche vadano in Ticino. Dimostra ancora una volta che siamo un Cantone seppur piccolo ma dinamico, intraprendente e ambizioso».
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CE LA PRESENTA STEFAN BRUNNER, RESPONSABILE REGIONE TICINO E VALLESE GRUPPO TERTIANUM.
UNA LUSSUOSA RESIDENZA ASSISTITA IN RIVA AL LAGO
Possiamo riassumere brevemente quali sono state le principali tappe dell’affermazione del Gruppo Tertianum nel settore?
«La storia inizia nel 1982 quando l’architetto Richard Schubiger, l’economista Peter Kühler, l’albergatore Hannes Imboden e il consulente Toni Häusler fondarono l’azienda a Berna con l’obiettivo di fornire servizi di assistenza per la terza e quarta età. Battezzandola «Tertianum», vollero sottolineare fin da subito la competenza e il riguardo nei confronti delle persone in età avanzata. Il nostro obiettivo è infatti quello di soddisfare le esigenze di ospiti alla ricerca di autonomia, servizi, sicurezza, cure e assistenza di qualità con offerte e prestazioni personalizzate. In questo
modo contribuiamo in maniera decisiva a migliorare la qualità della vita delle persone anziane, avvalendoci di collaboratori orientati ai valori del Gruppo. La nostra rete conta complessivamente in Svizzere circa 90 strutture di accoglienza di tipologie diverse, tra residenze, case medicalizzate e centri di cura, con oltre 5.600 collaboratori. In Ticino abbiamo 7 strutture che diventeranno 8 con l’apertura della Residenza Du Lac».
La Residenza Du Lac offrirà un’esperienza di vita assistita lussuosa. Che cosa significa concretamente questo concetto?
«Siamo davvero molto orgogliosi di questa nuova realizzazione che fornirà ai nostri ospiti l’esperienza di vita assi-
stita più lussuosa della Svizzera. Innanzitutto va sottolineata la posizione assolutamente straordinaria di questa residenza, affacciata sul lago e al tempo stesso a pochi minuti dal centro di Lugano, con tutte le opportunità di cultura, shopping, intrattenimento che la città può offrire. E poi, un’architettura moderna e di classe e servizi di elevato livello, con un’attenzione particolare alla salute e al benessere, in grado di conferire alla struttura un’atmosfera da hotel di lusso ma nel contempo rispettosa dell’autonomia e della privacy di ogni residente che potrà continuare a vivere mantenendo le proprie abitudini e il proprio lo stile di vita».
Nello specifico, quali sono le caratteristiche di questa moderna architettura e quali i principali servizi offerti?
«La nuova realizzazione ha comportato la demolizione dell’hotel Du Lac (chiuso dal 2011), nonché di una villa retrostante, sull’altro lato della strada. Al loro posto sorgerà un complesso residenziale-sanitario composto da due stabili, uno a lago – che riprenderà i volumi dell’hotel Du Lac – e uno a monte. Nell’edificio montagna si troveranno oltre ad alcuni spazi abitativi 40 posti letto dedicati alla cura. Nell’edificio lago, invece, la parte medicalizzata la-
scerà spazio a lussuosi appartamenti di diverse metrature: sono previsti 34 appartamenti con una camera da letto, 22 con due camere e due penthouse, al piano attico, che godono di ampi spazi esterni e di una vista spettacolare. Dunque, due strutture separate, ma unite da un tunnel, che non solo rende sicuro il passaggio, evitando di dover attraversare la strada cantonale, ma consente anche agli ospiti di muoversi liberamente e in autonomia ovunque essi vogliano, promuovendo così la socialità. L’edificio lago è circondato inoltre da una passerella pubblica sul Ceresio che offre ulteriori opportunità di passeggio e relax. Dal punto dei servizi, vi sarà una piscina interna, vari ambienti dedicati alla cura del corpo e della persona, un ristorante e un lounge bar, questi ultimi aperti alla città 7 giorni alla settimana».
La Residenza Du Lac prevede un sistema di emergenza attivo 24 ore su 24 e l’assistenza sanitaria personalizzata da parte del personale altamente qualificati. In concreto, come funzionano questi servizi?
«Chi vorrà trasferirsi potrà infatti usufruire in ogni momento dei servizi del personale di cura interno. Inoltre sono previsti vari livelli di allarme sempre attivi in ogni appartamento. In altre
parole, ogni ospite potrà scegliere in piena autonomia e in funzione delle sue effettive esigenze quale tipo di tutela meglio rassicura lui (e aggiungo anche i suoi famigliari lontani) nella consapevolezza di avere sempre e comunque a disposizione un personale sanitario in grado di prestare le prime cure o attivare gli interventi necessari».
La salute e il benessere degli ospiti passano anche attraverso una ristorazione di qualità. Che cosa propongono Il ristorante “La Pentola” e la “Lobby, Lounge & Terrace”?
«È questo un altro punto qualificante della nostra offerta di residenza con servizi paragonabili a quelli di un hotel cinque stelle. Riteniamo infatti che la possibilità di usufruire di una ristorazione di livello superiore faccia parte di quella qualità della vita che può rendere piacevole anche la terza e la quarta età. Il che non esclude, evidentemente, il fatto di avere comunque e disposizione soluzioni personalizzate per chi necessita di particolari regimi alimentari. E accanto ad una ristorazione così accurata, o agli spazi lounge dove godere di un aperitivo o di un tè davanti al lago, verrà proposto un variegato programma ricreativo e culturale di altissimo livello. La socializzazione degli ospiti rappresenta infatti un valore assoluto della nostra filosofia e le strutture e i servizi sono studiati apposta per favorirla in ogni modo possibile».
Dopo l’apertura della Residenza Du Lac quali saranno i successivi progetti di espansione del gruppo Tertianum?
«Al momento riteniamo che in Ticino e nella Svizzera tedesca sia stato raggiunto un equilibrio tra ammontare della popolazione anziana e disponibilità di posti letto in strutture di accoglienza e di cura. Il nostro interesse sarà dunque prevalentemente orientato perso la Svizzera romanda dove vi è invece ancora lo spazio per una ulteriore crescita del Gruppo Tertianum».
QUESTO OROLOGIO È MIO, ANZI NOSTRO
nali specializzate nel marketing digitale - che abbiamo scelto di utilizzare questa tecnologia per aprire una asset class in passato riservata solo ad una élite di fortunati collezionisti. Con prezzi di acquisto che in alcuni casi raggiungono cifre sicuramente molto elevate, gli orologi di alta gamma sono sempre stati un lusso esclusivo, alimentando un’aura di mistero intorno a questi oggetti che i produttori di orologi hanno capitalizzato fin dalla creazione del primo orologio da polso. Ebbene, noi oggi ci proponiamo di sfatare tutto questo, rendendo accessibili questi oggetti preziosi ad un pubblico più vasto, comprendente anche fasce di giovani che hanno una maggiore consuetudine con le tecnologie digitali e al tempo stesso sono affascinati dallo straordinario mondo degli orologi».
PAOLO CATALANO, CEO, E GIANVITO GRASSO, CTO, SONO I CO-FONDATORI
DI ELEPHANTS, START UP
TICINESE CHE ATTRAVERSO
UNA PIATTAFORMA DIGITALE CONSENTE DI ACQUISTARE E POSSEDERE FRAZIONI
DI ICONICI OROLOGI DI LUSSO IN CO-PROPRIETÀ.
Il collezionismo di orologi costituisce una passione condivisa da molte persone. Ma quando si tratta di preziosi orologi di lusso, storici perché ormai fuori produzione e di conseguenza disponibili sul mercato in numero estremamente limitato, il discorso si fa molto più complesso e le opportunità di acquisto diventano, non fosse altro che per ragioni economiche, assai ridotte, mentre crescono i rischi riguardo all’autenticità, l’integrità, lo stato di conservazione e, in definitiva, la qualità e l’effettivo valore degli orologi offerti. «Ed è proprio partendo dalla constatazione dello stato di fatto di questo particolarissimo segmento di mercato - esordisce Paolo Catalano, laurea in Bocconi a Milano e ESCP Business School a Parigi, poi con una solida esperienza in ruoli apicali presso aziende internazio -
La proposta di Elephants è apparentemente molto semplice: una piattaforma innovativa che tokenizzando asset di alto valore, rende la proprietà di orologi di lusso una realtà a disposizione di molte persone. E i ri -
sultati non si sono fatti attendere. La prima campagna per la promozione di un prezioso orologio Patek-Philippe è andata esaurita in soli 16 giorni. «Il meccanismo - spiega Gianvito Grasso, un dottorato di ricerca presso l’Università della Svizzera Italiana e un’attività di insegnamento e ricerca preso l’Istituto Dalle Molle di Studi sull’Intelligenza Artificiale (USI/SUPSI) - parte da un database proprietario che consente di monitorare costantemente il mercato in modo che le nostre decisioni si basino su dati storici e proiezioni future. Il nostro team di ricerca seleziona quindi accuratamente i segnatempo più iconici, ad un prezzo interessante, e che mostrano il maggior valore crescente. Successivamente il team addetto alla due diligence esamina tutti gli avvertimenti legali. Elephants opera infatti in conformità con le normative svizzere e antiriciclaggio ed è affiliata all’OAD SO-FIT. Una volta individuato l’orologio perfetto, lo si blocca e si digitalizza l’asset, frazionandolo sulla Blockchain, che ci assicura protezione e tracciabilità, e il numero delle frazioni può variare da asset ad asset. Tutte queste frazioni sono protette e tracciabili. I beni autenticati sono assicurati e conservati in luoghi sicuri. Le azioni acquistate sono costantemente monitorate e il loro valo -
re è visibile in qualsiasi momento sulla pagina personale dell’acquirente. Infine, dopo il periodo di apprezzamento, monetizziamo l’asset, vendendolo al miglior offerente. I fondi vengono distribuiti ai proprietari delle varie quote, in base alla percentuale che possiedono».
La piattaforma di Elephants non consente tuttavia soltanto di acquistare quote di orologi preziosi, ma si propone di costituire una vera e propria comunità di appassionati e si pone come punto di riferimento per chi intende operare in questo mercato. A tal fine l’Elephants Club permette di accedere a tutta una serie di informazioni e servizi difficilmente reperibili da parte di chi non ha già una buona conoscenza del settore. Per iniziare ad investire in acquisti di orologi di qualità non bisogna infatti fermarsi solo al costo ma conoscere il background e le caratteristiche che rendono certi orologi così preziosi. Prezzo e caratteristiche sono strettamente correlate tra loro dal momento che sono l’espressione di audacia ed eleganza in pieno rispetto della filosofia della maison produttrice. Gli orologi di lusso sono beni pregiati che acquisiscono valore nel tempo per varie ragioni, che possono riguardare i proprietari che li hanno indossati o le tecnologie che, nonostante vengano superate da nuove innovazioni, rendono tali orologi indistruttibili nel tempo.
«Per rendere il nostro progetto credibile - riprende Paolo Catalano - e per poter puntare ad acquisire un ruolo di leadership in questo settore, abbiamo attentamente valutato, prima del rilascio della piattaforma avvenuto soltanto pochi mesi fa, quali fossero tutti i servizi da offrire e le competenze necessarie all’interno del nostro gruppo al fine di attivarli nel modo più corretto ed efficace. In questa fase di incubazione abbiamo stabilito la nostra sede presso il Tecnopolo di Manno e ci siamo avvalsi anche di Fondazione Agire per strutturare la nostra azienda
e reperire i primi finanziamenti. Fondamentale, in questo senso è risultato essere un investimento pre-seed di CHF 500.000 da parte di investitori privati che ci ha consentito di arrivare al lancio della piattaforma. Un altro aspetto che vorrei sottolineare è che fin dall’inizio abbiamo scelto di strutturarci come una impresa che vuole rapidamente crescere e nella quale già oggi lavorano, oltre ai due fondatori, alcuni collaboratori preziosissimi come Maurizio Porcu, Head of Marketing, che hanno riversato tutte le loro risorse per rendere Elephants una realtà. Tutti insieme vogliamo contribuire a riscrivere le regole dell’industria orologiera di lusso, dando uno spazio sempre maggiore agli appassionati di orologi di tutto il mondo».
Alla domanda del perché il nome di Elephants dato all’azienda, Gianvito Grasso risponde divertito: «Gli elefanti sono simboli di forza, affidabilità, lealtà e memoria a lungo termine, caratteristiche che abbiamo incorporato nella nostra azienda e che ci aspettiamo diventino marchi distintivi della nostra reputazione sul mercato». E a giudicare dai positivi esordi c’è davvero da credergli.
ICARO SOGNAVA DI ALZARSI IN CIELO
IMITANDO I VOLATILI E I FRATELLI
WRIGHT CI RIUSCIRONO NEL 1903
PERCORRENDO UNA TRATTA DI 36
METRI IN 12 SECONDI. UNA DELLE PIÙ
GRANDI CONQUISTE DELL’UMANITÀ
È PRONTA PER UNA NUOVA SVOLTA
EPOCALE CON UNA RIVOLUZIONE
TECNOLOGICA SENZA EGUALI.
IL TICINO E LA SVIZZERA SONO
GIÀ PRONTI AL DECOLLO.
LE ALI A PIUMA DI UCCELLO E IL JET ELETTRICO SILENZIOSO
Sales & Marketing DirectorDai 15 minuti che divideranno Lugano da Milano entro il 2026 a bordo di un aereo completamente elettrico saranno trascorsi 123 anni dal primo volo a motore che il 17 dicembre 1903 i fratelli americani Wilbur e Orville Wright riuscirono a realizzare, rimanendo in aria 12 secondi per una tratta di 36 metri.
Una delle più grandi conquiste dell’umanità, che già Icaro sognava con le sue ali a piuma di uccello, segnerà un’altra svolta epocale nella navigazione del cielo con un’autentica rivoluzione tecnologica e soprattutto ambientale. Il programma a “impatto 0”, che ha l’ambizioso obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, è già lanciato.
Rispetto dell’ambiente
Il Lilium Jet, dell’omonimo costruttore tedesco con sede a Monaco di Baviera, è il primo velivolo elettrico a reazione concepito per viaggiare a velocità elevata (e con un profilo acustico molto basso) nel pieno rispetto dell’ambiente. Air-Dynamic, compagnia privata di Lugano che opera nel settore da quasi vent’anni, sarà in grado di proporre questa novità di portata internazionale su rotte regionali come appunto il collegamento Lugano-Milano, Ginevra con altre località della Romandia o Zugo con la regione di Zurigo.
Un gioiello di tecnologia
La tecnologia del nuovo jet a decollo e atterraggio verticale, dotato di 30 motori elettrici e 10 pacchi di batterie (ricaricabili in 55 minuti a 350 kW), garantirà altissimi standard di sicurezza, tanto che la probabilità di guasto è pari a una su un miliardo di ore di volo.
Il Lilium, di 11 metri di lunghezza, 3 metri di altezza con un’apertura alare di 14 metri, toccherà una punta massima di 280 km/h con un’autonomia di 175 km, consentendo di volare velocemente su distanze regionali con un notevole risparmio di tempo per i passeggeri rispetto all’attuale trasporto via terra.
Un costo di 250 euro a passeggero
Il costruttore tedesco stima un costo di 250 euro a passeggero per una tratta di 15-20 minuti come quella che divide il centro di Lugano dal centro di Milano, oggi offerta in auto a un prezzo minimo di 200 euro per una durata di 90 minuti. Una nuova mobilità che contribuirà a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e a promuovere la transizione verso un sistema energetico più sostenibile, con particolare attenzione anche allo sviluppo di nuove tecnologie per quanto riguarda le batterie, i motori e i sistemi di gestione dell’energia.
Nuove frontiere da superare
Questo rapido piano di sviluppo, che da sempre caratterizza l’evoluzione degli
aeroplani, ha già aperto la nuova dimensione dei mezzi ipersonici, supersonici e addirittura spaziali, che potranno ridurre ulteriormente la durata di percorrenza e superare nuove frontiere. Oggi, un servizio confortevole e sicuro permette di volare in tempi relativamente brevi. I giganteschi aeroplani di linea, come l’Airbus A380 o il Boeing 747-8, possono trasportare centinaia di persone ogni giorno, da un capo all’altro del mondo, con l’impatto della tecnologia digitale a tutti i livelli, tanto da diffondere l’accesso a internet con la connessione Wi-Fi anche in cielo, migliorando il lavoro e l’intrattenimento a bordo.
Servizio privato sempre più diffuso
In questo contesto, si inserisce perfettamente un servizio aereo privato in continua espansione, con un numero di passeggeri sempre più crescente in grado di accedere a questo tipo di viaggi esclusivi per un’esperienza su misura che superi le limitazioni dei voli di linea tradizionali.
Uno dei principali fattori che ha contribuito a questo sviluppo è l’au -
mento della domanda da parte di persone e aziende che cercano una maggiore flessibilità e comfort durante i loro spostamenti. Il servizio aereo privato consente ai passeggeri di evitare code, tempi di attesa e restrizioni dei voli commerciali, offrendo un’esperienza di viaggio più rapida ed esclusiva.
Domanda in aumento
La pandemia, con la paralisi (quasi) totale dell’aviazione civile, ha avuto quale effetto l’aumento dei voli privati in Europa e particolarmente nel Regno Unito, fino a superare mezzo milione di viaggi nel 2022. Fra le destinazioni principali, la tratta ParigiLondra, mentre l’aeroporto di Ginevra-Cointrin figura fra le prime sei basi con 14.582 partenze, prevalentemente verso la capitale francese.
I voli privati dalla Svizzera sono aumentati dai 7.890 del 2020 ai 35.269 del 2022, con Zurigo-Basilea, GinevraSion e Zurigo-San Gallo fra i trasferimenti interni più richiesti. Lo scalo più breve è quello fa Altenrhein (SG) e Friedrichshafen, in Germania.
L’AVV. PATRICIA DE MASI TADDEI VASOLI PRESENTA LA SOCIETÀ
DMTV INTERNATIONAL, CON SEDE A LUGANO, CHE FORNISCE AI
PROPRI CLIENTI LE COMPETENZE
E LE SOLUZIONI INDISPENSABILI PER INNOVARE E INTERNAZIONALIZZARE
IL BUSINESS, FACENDO IN PARTICOLARE RICORSO ALLE NUOVE TECNOLOGIE DIGITALI.
CONSULENZA GLOBALE INTERNAZIONALE
Qual è la visione e il progetto imprenditoriale che sottendono alla costituzione della dMTV International?
«dMTV è l’acronimo e il marchio dello studio legale de Masi Taddei Vasoli, fondato a Milano nel 1979. Nel corso degli anni abbiamo maturato una significativa specializzazione nell’ambito della consulenza legale e fiscale internazionale che ci ha consentito di dare vita a dMTV Global, e dMTV Europe con sedi rispettivamente a Singapore e Malta e succursali in Asia e nei Paesi Arabi, gestite in modo autonomo direttamente dall’avv. Federico Vasoli. Negli ultimi anni, tuttavia, anche in conseguenza dell’esplosione dell’epidemia di Covid, gli equilibri politici, economici e finanziari mondiali si sono profondamente modificati, alcuni mercati sono cresciuti ed altri ridimensionati. Soprattutto, la digitalizzazione è entrata in modo dirompente nelle modalità di approcciare i mercati, e di conseguenza anche nel nostro modo di offrire una consulenza globale. Tutto quanto è accaduto, e in ragione anche delle nostre nuove competenze nel
frattempo acquisite, ci ha indotto a individuare nella Svizzera un crocevia fondamentale per lo sviluppo del business internazionale, e dunque abbiamo deciso di intensificare la nostra presenza in questo Paese, attraverso appunto dMTV International, che ha ora una sede proprio nel cuore di Lugano, a due passi da piazza della Riforma».
Quali sono gli ambiti in cui si esplica principalmente il vostro lavoro?
«La nostra società è composta da persone che, per esperienza diretta, oltre che per costante contatto con i propri clienti, sono abituate ad una mentalità imprenditoriale e conoscono le sfide legate a passaggio generazionale, nuovi mercati, nuove tecnologie, customer satisfaction, e dunque comprendono le esigenze di manager e imprenditori. Oltre a svolgere tutte le attività tipiche della consulenza legale, la nostra assistenza, con l’eventuale concorso se necessario di professionisti specializzati, riguarda dunque operazioni anche molto complesse come processi di internazionalizzazione, fusioni e acquisizioni, PMI innovative, assistenza a nuove attività d’impresa oppure gestio -
ne di crisi d’impresa, trust e successioni. I nostri clienti sono tipicamente società manifatturiere di grandi e piccole dimensioni, start-up, fondi d’investimento, società di gestione, società immobiliari, imprenditori e privati».
Lei ha sottolineato come le nuove tecnologie e la digitalizzazione hanno trasformato il vostro lavoro e il concetto stesso di consulenza. Possiamo vedere in concreto di cosa si tratta?
«Molto volentieri. I mesi della pandemia e il conseguente rallentamento del nostro lavoro ci hanno dato modo di soffermarci un momento e guardare più in profondità quali nuove esigenze, e al tempo stesso quali opportunità, si andavano affermando. E abbiamo studiato: sì, ci siamo proprio impegnati ad acquisire e allargare il campo delle no -
stre competenze. Facciamo l’esempio della Blockchain, una architettura informatica che si configura come uno degli argomenti maggiormente discussi nell’attuale scenario fluido di transizione dall’internet dell’informazione all’internet delle cose, confluendo rapidamente dal contesto tecnico-informatico a quello socio-economico. In altre parole, siamo di fronte ad un nuovo paradigma tecnologico, portatore di connotati peculiari ed innovativi in netta discontinuità rispetto al panorama precedente, tanto negli aspetti tecnici del funzionamento come nella fase definitoria e regolatoria demandate al diritto ed all’operatore giuridico. Tali aspetti particolari, discendenti direttamente dal suo funzionamento e modo di essere, sono in grado di aprire questioni giuridiche rilevanti e per certi versi inedite, dipanandosi dal diritto privato a quello amministrativo, passando inevitabilmente per la materia internazionale e transnazionale, per non parlare delle implicazioni, che già impegnano legali di tutto il mondo, relative alla tutela dei marchi, alla proprietà intellettuale e al diritto della concorrenza».
Da questo punto di vista Lugano e la Svizzera rappresentano un punto di riferimento assoluto… «Infatti. Nella scelta di intensificare la nostra attività a Lugano non è estranea la considerazione del ruolo che questa
città sta assumendo a livello europeo nel campo delle criptovalute, della Blockchain, dell’intelligenza artificiale e in generale dei processi di digitalizzazione che coinvolgono il mondo della finanza, dell’economia, ma anche, più semplicemente l’attività pratica e quotidiana di aziende e professionisti. In questa prospettiva siamo molto attenti e partecipi delle iniziative promosse dagli enti e dalle istituzioni pubbliche luganesi e apprezziamo vivamente l’attenzione che viene rivolta alla formazione e diffusione di una cultura riguardante materie che sono ancora in buona parte sconosciute e non regolamentate».
dMTV International si propone come studio di consulenza globale internazionale: che cosa significa?
«In un mondo sempre più interconnesso è indispensabile per società e imprenditori, che vogliono approcciare mercati lontani da quello domestico, disporre di informazioni certe e aggiornate relative ai Paesi nei quali intendono estendere le proprie attività, da un punto di vista giuridico, amministrativo, fiscale, commerciale e molto altro ancora. Come studio di consulenza globale dobbiamo dunque essere in grado di fornire un supporto internazionale grazie a un team di professionisti, di avvocati abilitati o consulenti, in ogni Paese in cui le esigenze lo richiedano, e tutto ciò può essere da noi assicurato attraverso relazioni, contatti e alleanze con Studi legali e notarili presenti nei principali ordinamenti. In particolare, viene fornita assistenza in caso di controparti straniere, consulenza nella apertura di sedi locali, nella conclusione di joint venture, nella tutela della proprietà intellettuale, nella costituzione di società all’estero, con supporto anche a livello locale».
DMTV INTERNATIONAL
Via Crocicchio Cortogna 6
CH-6900 Lugano
T. +41 (0) 76 482 46 19
info@dmtvinternational.ch
LE BUONE MANIERE: LA VIA PER IL SUCCESSO
IL 21 OTTOBRE 2023, NELLA CORNICE DELL’HOTEL DE LA PAIX DI LUGANO SI TERRÀ IL SEMINARIO INTERNAZIONALE DI GALATEO, ORGANIZZATO DALLA SCUOLA DEL BENESSERE.
Una giornata alla scoperta del mondo del galateo e delle tematiche legate al tema, come l’arte della conversazione educata o l’accoglienza di un ospite. Non mancheranno esperti di settore e ospiti d’eccezione provenienti dall’ Accademia Italiana del Galateo di Roma, come Samuele Briatore, dottore nel campo del Galateo e Shubha Marta Rabolli che con stile ed eleganza guideranno i partecipanti all’incontro in un interessante viaggio, molto più profondo e complesso di quanto si possa pensare. Un’occasione unica per conoscere preziose pillole di galateo sull’importanza delle buone maniere nell’espressione della propria unicità e nei rapporti interpersonali a qualsiasi livello.
Lo scopo del Seminario è sensibilizzare e condividere l’importanza della Buona Educazione, delle Buone Maniere e del Rispetto, sia per l’altro che per sé stessi, in modo da migliorare la propria qualità di vita valorizzando nel contempo la propria persona e migliorando il rapporto con gli altri.
Il galateo, oggi è una vera e propria forma di comunicazione e accompagnato dalla gentilezza rappresenta la chiave del successo in qualsiasi ambito della vita. Il linguaggio delle buone maniere, costituisce un modo diverso di comunicare e di ascoltare il prossimo.
La Scuola del Benessere da tempo aiuta le persone a stare bene e a migliorarsi tramite il Metodo Zero, ideato da Claudia Negrini, Life Coach e
Counseller del Benessere e Galateo. Attraverso l’allenamento del potenziale si può diventare più forti, più belli e più decisi alla conquista dei propri obiettivi personali. La mission è proprio quella di promuovere l’importanza della gentilezza e delle buone maniere nella vita di tutti i giorni e guidare le persone in un percorso di crescita sia personale che professionale. Per la scuola, valori come rispetto e buon comportamento sono fondamentali, motivo per cui il seminario, approfondirà questi aspetti per sensibilizzare le persone sull’importanza della buona educazione e del galateo. Spesso si ha difficoltà nel relazionarsi o nell’esprimere le proprie idee sia in ambito privato che lavorativo, molte volte perché si è timidi o insicuri. Sapersi valorizzare, sentirsi a proprio agio e avere maggiore consapevolezza delle buone maniere aiuta a rafforzare questi aspetti e consente alle persone di contraddistinguersi attraverso la gentilezza. Il seminario sarà un’occasione unica per tutti coloro i quali vorranno migliorarsi attraverso il buon uso del galateo senza rinunciare alla propria autenticità, conoscersi meglio e analizzare la storia dei propri comportamenti e de -
dicare maggiore attenzione alle altre persone. Ma non solo, i partecipanti potranno acquisire nuove competenze delle buone maniere anche nel contesto lavorativo. Rimanendo in tema business, gli imprenditori o le imprenditrici, potranno infatti confrontarsi e fare networking oltre ad approfondire l’argomento che si rivelerà molto utile anche da un punto di vista professionale. Durante la giornata si passerà dalla teoria alla pratica e ci sarà modo di mettere in atto quanto acquisito, sarà previsto anche un momento dedicato alla buona cucina in cui i partecipanti potranno assaporare gustose prelibatezze in un ambiente elegante e suggestivo. Per finire, a tutti gli ospiti verranno distribuiti fantastici gadget omaggiati dalla Scuola del Benessere. In altre parole un seminario davvero interessante e utile sotto diversi aspetti.
Per l’acquisto dei biglietti: https://www.eventim-light.com/ch/ a/64a838a7963a486390d5e8e5/e/64 a846b0963a486390d5e8f6?lang=it
Per ulteriori informazioni: https://scuoladelbenessere.ch/ seminario-internazionale-di-galateo/
LA PROMESSA DI UN SONNO DI QUALITÀ
IL SONNO OCCUPA PIÙ DI UN TERZO
DELLA VITA DI UNA PERSONA E SVOLGE UN RUOLO FONDAMENTALE PER IL NOSTRO BENESSERE E LA NOSTRA SALUTE. AL GIORNO
D’OGGI DORMIAMO ESATTAMENTE
COME MANGIAMO: IN MODO SANO. PER RAGGIUNGERE QUESTO
OBIETTIVO, GLI ESPERTI NELLA MEDICINA DEL SONNO SOTTOLINEANO QUANTO IL COMFORT OFFERTO
DAL LETTO SIA FONDAMENTALE PER RICAVARE DAL RIPOSO IL MASSIMO BENEFICIO. DA QUI, IL NOSTRO
INCONTRO CON UNA MANIFATTURA
SVIZZERA CHE DETIENE LA RICETTA DEL BUON RIPOSO SIN DAL 1895...
Dormire meglio per vivere meglio
Il sonno è un bisogno fisiologico essenziale. Come la buona alimentazione, un sonno ristoratore nel senso scientifico del termine produce effetti benefici sulla nostra salute fisica e mentale. Gli effetti positivi del sonno sul cervello sono numerosi: aiuta a “ripristinare” il suo funzionamento e a consolidare la memoria, riduce il rischio di depressione e lo stress. Inoltre svolge un ruolo importante nella gestione delle emozioni. In termini di salute fisica, stimola e migliora il sistema immunitario e la rigenerazione cellulare. Il sonno rappresenta quindi un elemento fondamentale per la nostra vitalità quotidiana e merita la dovuta attenzione.
Il materasso potrebbe avere su di noi effetti a lungo termine...
Coadiuvato da ingegneri e medici del sonno, la manifattura svizzera Elite continua a migliorare la qualità dei suoi materassi, riconosciuti in tutto il mondo per il loro comfort. Perché il sonno sia riposante, il corpo deve essere allo stesso tempo totalmente rilassato e perfettamente sostenuto, per evitare il rischio di microrisvegli che ne interrompono i cicli, in particolare quello del sonno profondo. Per poter ottenere il massimo beneficio, è il materasso che deve adattarsi alla morfologia e non viceversa! Questo è il vantaggio offerto dalle molle insacchettate utilizzate nei materassi Elite, che sostengono il corpo in ogni punto favorendo un allineamento ottimale della colonna vertebrale.
Il sostegno: un parametro oggettivo “La scelta di un materasso è per l’80% una questione di tecnica e per il 20% di sensazione”, afferma François Pugliese, CEO di Elite. Nonostante l’idea di comfort sia puramente soggettiva (alcuni preferiscono un materasso più rigido, altri uno più morbido), quello del sostegno è un parametro oggettivo. Per questo motivo, dal 2017, l’azienda ha realizzato i propri negozi “Elite Gallery”, allo scopo di offrire ai propri clienti una consulenza personalizzata nella scelta del materasso.
Dormire bene in modo naturale... Per Elite, dormire sano significa anche eliminare dai materassi qualsiasi componente organico volatile (VOC). La casa li realizza di conseguenza utilizzando esclusivamente materiali naturali che garantiscono la termoregolazione durante la notte. I suoi materassi sono cer-
tificati Ecolabel EU; un’etichetta che garantisce anche una durata decisamente superiore rispetto ai prodotti industriali. Questa certificazione preserva tanto la salute del pianeta quanto quella dei clienti del marchio. Sempre in questo spirito di sostenibilità, l’intera catena di produzione si svolge in Svizzera. La lana, il crine di cavallo e il legno utilizzati per realizzare questi letti eccezionali provengono tutti da produttori locali.
Dal materasso al letto completo Ma il savoir-faire della Maison Elite non si esaurisce qui. Forte della sua lunga tradizione di selliere-tappezziere, essa propone anche letti realizzati su misura. Dalla produzione del materasso a quella del boxspring e della testiera, tutto è realizzato a mano nei suoi laboratori che offrono la libertà di una produzione completamente personalizzata e finiture perfette.
www.elitebeds.ch
Manifattura svizzera dal 1895
A SCUOLA DI DIPLOMAZIA CULTURALE
INTERVISTA ALLO STORICO
FRANCESCO CEREA, DOCENTE
UNIVERSITARIO E DIRETTORE
CULTURALE DELL’ASSOCIAZIONE DEI
BORGHI PIÙ BELLI DELLA SVIZZERA:
SI PARLA DI DIPLOMAZIA CULTURALE, UNA DELLE FORME PIÙ NOBILI
DELLE PUBBLICHE RELAZIONI
CHE SI CONCENTRA SU UNA COMUNICAZIONE APERTA AL MONDO.
DI DIMITRI LORINGETT
Il prossimo 21 settembre lei sarà ospite al Parlamento europeo a Bruxelles per la conferenza di chiusura della COST Action “Underground4value”, alla quale rappresenterà la Svizzera in qualità di membro del Comitato direttivo. Che cosa significa partecipare a un simile evento?
«Sicuramente sarà una giornata speciale che vedrà riuniti anche alcuni membri del Parlamento UE, rappresentanti della Commissione europea e di altre istituzioni internazionali ed esperti di beni culturali. Quando nel 2021 il Fondo na-
zionale svizzero mi designò membro elvetico del comitato di questa azione COST (European Cooperation in Science and Technology), speravo di poter aver la possibilità di convincere i colleghi rappresentanti degli altri Stati a realizzare uno degli incontri scientifici nel nostro Paese. Lo scorso settembre siamo riusciti, a presentare il caso delle nevere sul Monte Generoso al convegno tenutosi nel 2022 al campus della SUPSI di Mendrisio, grazie alla sinergia fra l’associazione dei Borghi più belli della Svizzera con altri soggetti ed entità locali, come l’OTR Mendrisiotto e Basso Ceresio e il Museo Etnografico della Valle di Muggio. È stata una bella vetrina del nostro territorio, e in particolare per il Sottoceneri, con esperti da oltre 30 paesi che si sono ritrovati qui in Ticino. In questi convegni scientifici c’è anche l’aspetto della convivialità che gioca un ruolo importante nell’instaurare delle proficue relazioni con i colleghi di altre nazioni, da cui poi possono nascere ulteriori progetti. Ciò vale pure nel caso degli incontri con le differenti associazioni della Federazione “Les Plus Beaux Villages de la Terre”: ricordo ancora una piacevole conversazione, riguardante le relazioni storiche fra la Confederazione e Vaduz, durante un pranzo con Daniel Risch, l’attuale primo ministro del principato del Liechtenstein, a Triesenberg, in occasione della visita dello spagnolo Francisco Mestre, all’epoca presidente di turno della Federazione».
Dunque potremmo parlare di una “diplomazia culturale” fra Svizzera e Paesi europei, ma anche fra le regioni della Confederazione, che spesso non si conoscono così bene… «Certamente in questo senso sono stato felice di vedere gli esiti positivi avuti
dal romanzo Il nero Schumacher, di cui ho curato storicamente la traduzione con l’aggiunta di una mia appendice sulle secolari relazioni fra Zugo e il Ticino, pubblicato appositamente nel 600° anniversario dalla battaglia di Arbedo. La presentazione del libro, ricordata anche nel discorso del presidente della Confederazione in concomitanza con i festeggiamenti per la commemorazione dello scontro bellico, ha in effetti portato all’instaurarsi di ottime relazioni proprio fra la Bürgergemeinde di Zugo e il Comune di Arbedo-Castione. È davvero fonte di soddisfazione pensare che tutto ciò abbia potuto prendere forma da un semplice libro».
La scorsa primavera lei è stato invitato in Vaticano alla serata svizzera organizzata per la prima volta nel cortile di San Damaso in occasione dei festeggiamenti dell’apertura dell’Ambasciata della Confederazione presso la Santa Sede. Come ha vissuto questa esperienza?
«È stato un momento storico, considerando che le relazioni fra il Vaticano e Berna non sono sempre state semplici, in particolare nel XIX secolo. La mia presenza era legata a due miei libri. Il primo, Il nero Schumacher, venne infatti scritto da Joseph Spillmann che apparteneva per vocazione ai gesuiti, ossia il medesimo ordine del Santo Padre. Il secondo volume, che ho consegnato sempre quella sera al colonnello Christoph Graf, illustra il villaggio di Ernen, concentrandosi sulla storia del piccolo borgo, nel 500° anniversario dalla morte del Cardinal Schiner.
Quest’ultimo fu una figura controversa, ma allo stesso tempo fondamentale per la storia elvetica del XVI secolo».
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SALVAGUARDIA E VALORIZZAZIONE DELLE PIANTE IN UN GIARDINO STORICO
Quando ci si approccia ad un giardino storico, capita spesso di considerarlo di vecchia concezione e verrebbe l’intenzione di ricominciare daccapo, anche perché la visione degli spazi muta di pari passo ai cambiamenti culturali. Se lo si facesse, sicuramente sarebbe la cosa più semplice, ma i giardini storici portano con sé una importante eredità sia, appunto, culturale che paesaggistica. Ricordiamoci che quegli alberi e piante hanno prosperato per decenni o addirittura secoli. Preservare e valorizzare queste piante permette di è mantenere l’autenticità e l’estetica di un giardino storico.
ALFREDO BARATELLA SPIEGA L’IMPORTANZA DELLA SALVAGUARDIA DELLE PIANTE IN UN GIARDINO
STORICO E FORNISCE SUGGERIMENTI PROFESSIONALI SU COME
VALORIZZARE AL MEGLIO QUESTE MERAVIGLIE NATURALI.
Valutazione delle condizioni delle piante
Prima di intraprendere qualsiasi intervento, è essenziale valutare le condizioni delle piante presenti nel giardino storico. Affidarsi a un professionista qualificato, come un esperto di giardini storici o un arboricoltore (in Ticino, spesso, si fa confusione tra selvicoltori e arboricoltori; il selvicoltore ha una preparazione professionale rivolta al bosco e dunque al taglio degli alberi e alla valorizzazione del legname) può fornire una valutazione accurata della salute, della stabilità e delle esigenze delle piante.
Preservazione delle piante storiche
Le piante “anziane” richiedono innanzi tutto una valutazione della loro salute e della stabilità, potature eseguite molti anni fa, capitozzature e ancoraggi fatti in modo scorretto possono aver pregiudicato l’autonomia della pianta stessa, non necessariamente significa che sia da abbattere. Anzi, forse è proprio il caso di accompagnarle nei loro prossimi anni
di vita con degli accorgimenti che permetteranno loro di evitare traumi dovuti ai sempre più frequenti eventi atmosferici straordinari.
La regola generale è di non potare mai una pianta in maniera eccessiva pensando di riformarne la chioma. Solitamente, per quasi tutte le piante, potature che superano un diametro di 5 cm sono a rischio e sopra i 10 cm sono da evitare.
Le azioni da intraprendere possono includere la potatura selettiva per ridurre il carico dei rami in caso di carico nevoso (sempre più raro ma accompagnato spesso da piogge che ne aggravano le conseguenze).
L’eliminazione di rami secchi o malati e l’eventuale ancoraggio, che va eseguito senza tenere la corda in tensione, sono da valutare con un arboricoltore per piante con rami instabili. Nel 2014 è stato fatto un inventario delle piante meritevoli di conservazione, è quindi opportuno chiedere informazioni in tal merito all’ufficio tecnico comunale.
Gestione sostenibile dell’ambiente circostante
In natura ogni organismo non è solo ma interagisce con molti altri; di conseguenza, nella gestione di un giardino storico con piante monumentali, per garantirne la loro vitalità, è necessario adottare un approccio sostenibile all’ambiente circostante.
L’uso di pesticidi chimici sia insetticidi che fungicidi, il compattamento del suolo durante eventuali lavori di sistemazione della casa, i depositi di terra nei sotto-chioma degli alberi, sono tutte pratiche che possono essere deleterie. Inoltre, promuovere la biodiversità e creare un habitat favorevole per la fauna locale può contribuire alla salute complessiva del giardino.
Pianificazione e integrazione di nuove piante
Sebbene sia fondamentale preservare le piante esistenti, è possibile integrare nuove piante in modo armo -
nioso per arricchire la bellezza e la diversità del giardino storico. Quando si selezionano nuove piante, è importante considerare quelle che si integrano bene con l’aspetto generale del giardino e rispettano il suo carattere storico. Ma soprattutto scegliere in base alle esigenze delle piante. Scegliere piante autoctone o tradizionali della regione può essere una scelta appropriata per mantenere l’autenticità del giardino.
Educazione e coinvolgimento della comunità
La valorizzazione e la salvaguardia di un giardino storico richiedono un impegno da parte della comunità e un’adeguata sensibilizzazione sull’importanza di queste aree verdi. Organizzare visite guidate, eventi educativi o attività di volontariato può coinvolgere la comunità locale nella salvaguardia e valorizzazione del giardino storico, creando una connessione emotiva e un senso di responsabilità verso la sua conservazione.
La salvaguardia e la valorizzazione delle piante in un giardino storico richiedono dunque un approccio professionale e consapevole. La conservazione delle piante esistenti, la gestione sostenibile dell’ambiente circostante, l’integrazione oculata di nuove piante e il coinvolgimento della comunità sono tutti elementi chiave per preservare l’autenticità e l’estetica di un giardino storico. Investire nel mantenimento delle piante storiche e nel rispetto del loro carattere contribuirà a creare un ambiente unico, ricco di storia e bellezza naturale.
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DI GIANNI SIMONATO
Perché le persone si dimettono dal posto di lavoro? Nel numero precedente di Ticino Welcome abbiamo analizzato le cause. E ora passiamo alle possibili soluzioni. Nello studio “Great Attrition or Great Attraction? The choice is yours” di McKinsey emerge che alla base dell’abbandono del posto di lavoro non ci sono, in genere, ragioni di tipo economico, come uno stipendio troppo basso. La ricerca evidenzia che il problema delle dimissioni in massima parte non dipende dalla retribuzione. Ha invece a che fare con un modo nuovo di interpretare il lavoro da parte delle persone. Emerge che “invece di sentirsi apprezzati, i dipendenti si sentono parte di una transa -
SE LE PERSONE SI DIMETTONO, LE AZIENDE COME POSSONO REAGIRE?
zione”. Forse è qui la soluzione del problema? Lo scambio posto di lavoro contro denaro non è più sufficiente, tant’è che ho registrato una escalation di “le farò sapere” da parte dei candidati alla fine del colloquio di lavoro per futura assunzione.
Come? Ma non erano le aziende che rispondevano così solo qualche anno fa? Sembra che, almeno nel mondo occidentale, il potere contrattuale stia dalla parte dei candidati. È chiaro che i collaboratori chiedono altre forme di leadership da parte dei loro CEO e manager. Se si sentono “parte di una transazione” questo ha a che fare con il modo in cui i leader gestiscono i loro collaboratori. Vengo alle possibili soluzioni che intravedo:
• fine della leadership top-down, e a grande richiesta benvenuta una leadership bottom-up;
• la leadership smette di essere quella del Capo, che imposta il modo di gestire secondo il suo stile;
• nascita di uno stile di conduzione che tiene conto di chi si ha di fronte e di ciò che si incontra, appunto quale “ambiente situazionale”.
Sembrerebbe tutto facile, quindi, basta cambiare schema. Non è proprio così. I CEO non sanno utilizzare gli approcci da Leadership Situazionale. Una svolta epocale per i Manager, la maggior parte dei quali è totalmente impreparata a gestire
questi nuovi metodi. Cosa si intende per “Leadership Situazionale”?
Consiste in un approccio alla gestione delle persone e del lavoro che si basa sul concetto che non esiste un unico stile di leadership efficace in tutte le situazioni. La leadership situazionale sostiene che il modo in cui un leader dovrebbe comportarsi dipende dalle caratteristiche specifiche della situazione e dai membri del team. In pratica, caro leader sei tu che devi modificare il tuo modo di gestire in relazione all’ambiente che trovi.
Il modello di leadership situazionale è stato sviluppato da Paul Hersey e Kenneth Blanchard negli anni ‘70 e si basa su due dimensioni principali:
• comportamento di supporto
• comportamento direttivo
Il comportamento di supporto si riferisce alle azioni del leader volte a fornire supporto emotivo, incoraggiamento e sviluppo delle competenze dei membri del team. Include ascoltare, dare feedback, fornire coaching e supporto.
Il comportamento direttivo, d’altra parte, si riferisce alle azioni del leader volte a fornire orientamento, istruzioni e direzioni chiare. Include assegnare compiti, definire obiettivi e stabilire scadenze.
Secondo il modello di leadership situazionale, un leader può adottare
quattro stili di leadership in base alla combinazione del comportamento di supporto e direttivo richiesto dalla situazione. Facciamo un esempio: quale stile adottare nel caso di due collaboratori: entrambi della stessa età, uno però nel ruolo da 5 anni e l’altro, più bravo ed esperto, ma spostato ad un nuovo ruolo da due mesi?
1. Direttivo (D1): Questo stile di leadership è adatto quando i membri del team hanno un basso livello di competenza o fiducia nella realizzazione di una determinata attività. Il leader fornisce indicazioni e istruzioni chiare per guidare il team.
2. Persuasivo (D2): Questo stile di leadership è adatto quando i membri del team hanno una certa competenza, ma ancora mancano di fiducia o motivazione. Il leader fornisce direzioni chiare, ma si impegna anche nel convincere e motivare il team a raggiungere gli obiettivi.
3. Partecipativo (D3): Questo stile di leadership è adatto quando i membri del team hanno una buona competenza, ma mancano di fiducia nella loro capacità di prendere decisioni. Il leader coinvolge i membri del team nelle decisioni e nel processo di problem solving, incoraggiando la collaborazione e l’autonomia.
4. Delegante (D4): Questo stile di leadership è adatto quando i membri del team hanno alta competenza e fiducia nella loro capacità di realizzare le attività. Il leader assegna compiti e responsabilità, consentendo ai membri del team di prendere le proprie decisioni e di svolgere le attività in modo autonomo.
L'obiettivo della leadership situazionale è quello di adattare lo stile di leadership alle esigenze dei membri del team e della situazione specifica. Un leader efficace deve essere in grado di valutare la competenza e la motivazio -
ne dei membri del team, nonché le richieste e le sfide della situazione, per adottare l›approccio giusto.
È importante sottolineare che la leadership situazionale richiede flessibilità e capacità di adattamento da parte dei leader. Questi devono essere in grado di valutare costantemente la situazione e di adeguare il proprio stile di leadership per ottenere i migliori risultati e favorire la crescita e lo sviluppo dei membri del team.
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DONNE E GOLF SI, GRAZIE!
Una falsa ed ironica etimologia attribuisce l’origine del termine “golf”, all’acronimo “Gentlemen
Only Ladies Forbidden”, ovvero “Solo per Gentiluomini, Vietato alle Donne”; intendendo la pratica golfistica come un’attività preclusa al sesso femminile, divieto rimasto a lungo inalterato: basti pensare che solo nel 2014 lo storico Royal and Ancient Club di Saint Andrews – ritenuto per secoli la “capitale del golf” – ha aperto le porte della memership alle giocatrici, che da allora possono diventare socie a tutti gli effetti: un onore precluso al sesso femminile per oltre 260 anni. In realtà ben prima di questa data, molte giocatrici – dotate di grinta e passione che non hanno nulla da invidiare a quelle dei loro colleghi –hanno calpestato il green, dimostrando così il carattere inclusivo e trasversale del golf, che si caratterizza come uno sport praticabile da chiunque, senza alcuna distinzione anagrafica, sociale o di genere. Infatti, benché i numeri e le statistiche propendano ancora per una predominanza maschile sul campo, è innegabi -
le che sin dalle origini del golf moderno a giocare ci siano state anche numerose presenze femminili; basti pensare che all’ormai lontano 1893 risalgono sia la nascita della Ladies Golf Union (tra giocatrici dilettanti provenienti da Irlanda e Gran Bretagna), sia il primo Ladies’ British Amateur Championship, che fu disputato presso il Royal Lytham & St. Anne’s. Altra data storica per quanto concerne il rapporto tra il golf e le donne, è il 1950 quando si costituisce la Ladies PGA of America, formata dalle giocatrici professioniste statunitensi ed emblema dell’affermazione femminile nel panorama sportivo golfistico. In Europa il golf femminile professionistico si afferma invece più recentemente, quando – verso la fine degli anni ’70 – si costituisce in Gran Bretagna la prima organizzazione di giocatrici “pro” che porta poco dopo alla creazione di una versione europea e di un vero e proprio circuito di gare (chiamato dal 2000 “Ladies European Tour”).
Anche nel circuito golfistico femminile esistono poi i Major, i tornei più attesi e prestigiosi: dal 1950 lo Us Open, dal 1955 lo Us Pga Cham -
pionship, dal 1979 il British Open, seguiti poi da quello nato nel 1983 e dall’Evian Masters dal 2013. Il successo in termini di interesse ottenuto dalle gare femminili ha avuto come positiva conseguenza una generale apertura nei confronti del golf rosa da parte di diversi organi di controllo ed associazioni. Il carattere inclusivo del golf ed il suo riflettersi sul mondo femminile ha poi una positiva ricaduta anche sul target più giovani: una recente ricerca effettuata dimostra infatti come l’incremento della partecipazione femminile sul green favorisca, conseguentemente, l’avvicinarsi al golf da parte delle fasce più giovani. In particolare, rispetto ai “colleghi” maschi, le donne sono disposte a portare in campo con sé i figli nel 38% in più dei casi rispetto agli uomini. Ne consegue la necessità di incentivare il coinvolgimento femminile per estendere il target di potenziali giocatori. È da augurarsi dunque che nel prossimo futuro le associazioni, gli sponsor, i finanziamenti decidano di accordar sempre maggior fiducia al mondo del golf femminile e permettano di superare gli antichi pregiudizi che attualmente risultano anacronistici e del tutto immotivati.
Partendo dalla sua personale esperienza come si è avvicinata alla pratica del golf e quali eventuali difficoltà ha dovuto affrontare per affermarsi in questo sport?
G.C.M.: «Per anni ho organizzate gare di golf in Svizzera e all’estero. Visto dall’esterno mi sembrava uno sport poco interessante e praticato soprattutto da persone non più giovanissime. Mi sono poi accorta che organizzando le gare in settimana ovviamente i giovani di regola non potevano partecipare. A un certo punto un maestro di golf mi invitò a provare questo sport e così mi accorsi che non era per nulla scontato riuscire a colpire la pallina, ma quando ci riuscivo provavo grande soddisfazione e il desiderio di lanciarla sempre più lontano. Da allora non ho più smesso di praticare il golf, uno sport che richiede impegno, costanza e pazienza per continuare a migliorare il proprio gioco».
E.B.: «Mi sono avvicinata al golf grazie a un invito di un’amica. A quel tempo stavo cercando un’attività sportiva da frequentare, possibilmente all’aria aperta e che si potesse intra-
HANNO PARTECIPATO ALL’INCHIESTA:
ALESSANDRA
prendere anche a 50 anni. Essere una donna alle prime armi nel golf è vero che può sembrare difficile, in uno sport visto per molti anni per soli uomini. Personalmente mi sono trovata bene fin dall’inizio, una volta avuto l’accesso al campo, ottenendo i cosiddetti “green card” prima e l’handicap poi, ho potuto giocare con altri soci i quali si sono sempre rilevati ben disposti ad aiutarmi, insegnandomi sul campo le regole del golf e i “trucchi” del mestiere. Infine malgrado abbia iniziato relativamente tardi, devo ammettere che ho raggiunto un buon livello di gioco, conseguendo buoni risultati. Questo sport si è trasformato in una vera passione che ho trasmesso a mio marito, a mia figlia, a mio genero e a diverse mie amiche. Poter giocare tutti insieme malgrado differenze di età, sesso e livello è davvero bellissimo».
A.A.: «Ho iniziato ad interessarmi al golf come hobby all’età di 40 anni.
Con il papà e con la sorella, abbiamo iniziato nel campo pratica di Locarno prima di passare al golf di Losone, così da praticare un’attività all’aperto assieme. È stato molto bello iniziare tutti assieme. Ho subito capito che la pratica del golf era tecnica e abbastanza impegnativa,
ma molto interessante in quanto si tratta di una bella sfida contro sé stessi. Da allora sono passati più di15 anni e la pratica del golf è sempre rimasta un hobby da praticare per ‘ricaricare le batterie’ e per stare all’aperto, camminando e gustando delle belle ore in famiglia e con amici».
C.D.P.: «Ho iniziato a giocare al golf molto tardi, ero Procuratore al Tribunale Internazionale del Ruanda a Arusha-Tanzania e la Presidente mi disse che per passare la domenica c’era solo la possibilità di giocare a golf, 9 buche in fronte al nostro albergo. Le difficoltà sono quelle di tutti coloro che iniziano con lo svantaggio dell’età avanzata in particolare per la rotazione Non si tratta di affermarsi, ma di riuscire a giocare abbastanza bene per potersi divertire e partecipare alle gare e il sistema Hd aiuta molto».
Quali sono per le donne, i benefici da un punto di vista fisico e posturale determinati dalla pratica del golf?
G.C.M.: «Il grande vantaggio del golf è che si pratica all’aperto e solitamente in posti splendidi. Ciò porta
già notevoli benefici per il benessere generale. Giocando 18 buche si cammina per circa otto-dieci chilometri, ben più dei 10’000 passi raccomandati al giorno. È quindi uno sport ideale per l’apparato cardiovascolare, mantiene allenate le articolazioni e mostra benefici per la mobilità, la coordinazione e l’equilibrio. Ricerche hanno rivelato che durante una partita di golf si consumano più calorie che durante una partita di tennis. Inoltre, uno studio su 300’000 partecipanti scandinavi ha sorprendentemente svelato che i giocatori di golf, rispetto ai non golfisti, hanno un’aspettativa di vita di cinque anni in più».
E.B.: «A mio avviso giocare a golf fa bene a corpo e spirito sia per gli uomini sia per le donne. È uno sport che permette non solo di fare del movimento, ma di farlo all’aria aperta, immersi nel verde, in compagnia, ingaggiando elementi come la concentrazione e la tecnica. Solitamente quando percorro un campo da 18 buche cammino per 4 ore, per oltre 10’000 passi (8 km), bruciando fino a 1000 calorie, senza dimenticare che lungo tutto il percorso bisogna anche spingere il carrello con la propria sacca che pesa circa 10 kg. Per eseguire lo swing (dai più ampi ai più piccoli) oltre a una buona coordinazione, caratteristica forse facilitata nelle donne, si utilizzano infatti diversi muscoli, come gli addominali (soprattutto gli obliqui) e i muscoli della schiena. Tutti muscoli che vi assicuro che a fine percorso sentirete di aver utilizzato. Inoltre posso dire che nel golf vi è anche un po’ di yoga, se si considera l’equilibrio, le rotazioni e le torsioni del busto e l’aspetto meditativo generale della permanenza sul campo. Tutti aspetti che hanno infatti aiutato molto il mio fisico, spesso anche indirettamente. Alla ripresa del golf, dopo la breve pausa invernale, mi sento effettivamente più debole e poi durante la stagione riprendo le mie forze».
A.A.: «I benefici del golf sono sia fisici che psicofisici. Evidentemente questi benefici dipendono dall’impegno e dalla frequenza e quando si lavora non è sempre facile trovare il tempo necessario per la pratica di questo affascinante sport. Ma ogni volta che si gioca, ci si rende conto di come questa attività sia bella e rigenerante anche se ogni tanto ci si arrabbia un po’ con se stessi per un brutto colpo o un gioco poco gratificante, ma questo è anche il bello del golf. Praticare regolarmente il golf è fondamentale per vedere miglioramenti a livello fisico, come d’altronde in qualsiasi altro sport. Il golf richiede una buona flessibilità per eseguire movimenti fluidi durante lo swing. Si tratta di un movimento tecnico che va appreso e praticato e per migliorare necessita anche del sostegno dei maestri, in quanto ogni minimo cambiamento del movimento può avere grandi conseguenze sulla qualità del gioco e questa è un’interessante sfida continua.
Quando si giocano 18 buche si cammina per circa 4 ore e si percorrono 8-10 km e questo è sicuramente positivo per il benessere fisico. Il golf coinvolge una serie di movimenti che richiedono l’uso di diversi gruppi muscolari delle braccia, delle spalle, del torace, del core e delle gambe. Ripetendo questi movimenti nel corso di una partita, si può migliorare la forza e la tonicità muscolare. Il golf richiede e migliora anche la coordinazione.
Durante il golf, si devono mantenere una buona postura e un equilibrio stabile per eseguire correttamente i movimenti dello swing. È proprio una bella attività!».
C.D.P.: «Non ci sono, a mio avviso, benefici per sole donne determinati dalla pratica del golf, ma per tutti i giocatori, camminare per ore all’aria aperta in meravigliosi parchi giocando senza dimenticare la positiva esperienza
della connessione con tante altre persone. Lasciamo perdere i benefici da un punto di vista posturale, perché il movimento nel colpire la palla non è proprio il miglior esercizio per la schiena…».
A livello psicologico, mentale, che tipo di benefici se ne possono invece trarre e quale ritiene debba essere l’approccio più corretto per conseguire i risultati migliori?
G.C.M.: «La pandemia ha ben dimostrato i benefici della pratica del golf anche per la salute mentale. Infatti, praticare sport immersi nella natura, in presenza di molta vegetazione, acqua, animali, biodiversità e luce naturale, contribuisce ad aumentare la vitamina D e a ridurre lo stress. Da non dimenticare che il golf favorisce anche l’interazione sociale, sia perché di regola si pratica in gruppi di 3-4 persone, sia perché al termine della partita è d’uso ritrovarsi al ristorante per bere una bibita insieme. Per quanto riguarda l’allenamento, come in ogni sport, è fondamentale un riscaldamento muscolare prima di iniziare la pratica per evitare il rischio di lesioni. Inoltre, a chi vuole raggiugere risultati sportivi nelle gare è consigliato un allenamento muscolare specifico, una corretta alimentazione – prima, durante e dopo la gara – come pure lo sviluppo di un giusto approccio mentale. Non dimentichiamo che la gara dura da quattro a cinque ore e non è scontato riuscire a mantenere alta la concentrazione su ogni colpo giocato per un lasso di tempo così lungo».
E.B.: «Dicono che il golf sia uno degli sport più impegnativi al mondo dal punto di vista mentale. Devo ammettere che riuscire a mantenere la calma e la concentrazione sotto pressione per l’intero percorso non è sempre facile. Specialmente nelle “giornate no”, imparare a controllare la
propria mentalità è importante. Ritengo che il golf costringe a lottare con sé stesse, insegnando la resistenza e a darsi fiducia. L’aiuto dei compagni di gioco è pure fondamentale, poiché il golf a mio avviso non è solo uno sport individuale. Trovo che sia importante sostenersi a vicenda, complimentandosi per i bei colpi e cercando di motivarsi per migliorare quelli peggiori. Infine il golf richiede anche creatività e strategia per arrivare in buca con la soluzione migliore, occorre dunque anche un po’ di fantasia per ottenere risultati. Senza dimenticare che a volte anche un po’ di fortuna non guasta».
A.A.: «Il golf dona una serie di benefici piscologici e mentali per tutte le persone in generale. Innanzitutto il fatto di camminare nel verde per chilometri e praticare l’attività con altri, visto che di regola si gioca a gruppi di quattro persone anche se ognuno fa la sua partita (e può iscriversi individualmente alla partita), aiuta a ridurre lo stress, a rilassarsi e a ‘ricaricare le batterie’. Il golf richiede una certa concentrazione per pianificare il gioco, i colpi, per calcolare la distanza e per stabilire la strategia da seguire. Questo può favorire l’abilità alla concentrazione e la capacità di prendere regolarmente delle decisioni. Il golf è pure un interessante sport sociale, in cui si incontrano e si conoscono persone da ogni dove. Evidentemente non è facile mantenere la concentrazione quando il gioco non soddisfa e questo rappresenta una bella sfida contro se stessi. Il golf richiede la capacità di gestire le emozioni. Imparare a mantenere la calma e gestire le frustrazioni durante il gioco è importante e questo può servire anche nella vita di tutti i giorni. Il golf oltre che un benessere fisico dona anche un piacevole benessere mentale.! Il golf richiede pazienza, impegno e perseveranza! È un’attività affascinante e coinvolgente. Quando si
prova, si rimane affascinati. Importante è non gettare la spugna davanti alle prime difficoltà».
C.D.P.: «Giocando a golf ci si trova in un lungo momento lontano da qualsiasi pensiero che non sia direttamente collegato al gioco e quindi liberi di ogni preoccupazione, per cui l’approccio migliore è proprio quello di riuscire a concentrarsi solo sul gioco restare calmi e poi i risultati arrivano».
Quali interventi a suo giudizio dovrebbero essere promossi da parte dei circoli golfistici per favorire la diffusione di questo sport tra le donne?
G.C.M.: «Nella maggior parte dei club vi è già una buona rappresentanza di donne, che naturalmente può essere ulteriormente incrementata. Vi sono due occasioni da cogliere in quest’ambito: anzitutto in gioventù quando imparare il movimento corretto è più facile e quindi un’opportuna promozione tra i bambini si rivela vincente. E poi nella fase della vita in cui gli impegni diminuiscono, sia a livello familiari con i figli ormai grandi, sia nella vita lavorativa dal momento in cui si riduce il carico lavorativo e si ha più tempo da dedicare alle proprie passioni».
E.B.: «Il mio club (Golf Club Lugano) ha già la sezione delle Ladies alla quale faccio attivamente parte. Normalmente ci troviamo una volta a settimana per giocare insieme e la sezione, capitanata dalla bravissima Presidentessa Marie-Louise Jelmoni, organizza spesso diverse ottime attività, gare e trasferte. È un momento a cui attendo con molto piacere nella mia settimana. Tuttavia la ricerca di sponsor è sempre più difficile, specialmente per le gare. Una pubblicità più attiva in questo senso, come pure atti -
vità promozionali mettendo la figura femminile al centro dell’attenzione, sarebbero auspicabili».
A.A.: «Penso che varie attività vengano già effettuate dai vari club, i quali si impegnano su più fronti per essere sempre innovativi. Si può come in tutti gli ambiti sempre ancora fare di più e meglio. Le sfide sono quelle di attirare giovani a questo sport, coinvolgere gente del luogo e certamente le donne, oltre che i preziosi turisti che trascorrono le vacanze nel nostro bel Cantone.
L’accoglienza è importante per tutti ed è apprezzata da tutti. Accogliere quindi le donne con piacere rappresenta sicuramente un aspetto importante. Inoltre importante per coinvolgere ancora più donne potrebbe essere prevedere degli incontri informativi, dei corsi ad esse dedicate, degli eventi in cui possano partecipare attivamente, oltre che organizzare tornei di vari livelli come si fa da tempo.
Molto bello è anche organizzare delle attività collaterali che possono essere apprezzate anche dalle donne. Il golf Losone organizza tra le tante altre cose anche dei corsi di yoga presso il golf. Trovo queste idee molto interessanti per offrire la possibilità anche di conoscersi meglio e di praticare delle attività che fanno bene e aiutano anche nella pratica del golf. In Ticino abbiamo tre magnifici campi da 18 buche e uno da nove. Non aspettate, scoprite questa affascinante attività».
C.D.P.: «Il mio golf di appartenenza è il Golf Patriziale di Ascona. Qui le donne sono numerose e la Direzione asseconda appena possibile le richieste della Sezione Ladies per l’organizzazione delle diverse gare femminili. È stato cosi possibile introdurre anche la gara del Nine and Dine che piace alle donne perché si gioca solo nove buche e permette anche di migliorare l’Hd».
RICKY PETRUCCIANI (LOCARNO, 30 GIUGNO 2000) VELOCISTA
SVIZZERO, NON È PIÙ UNA PROMESSA
MA UNA CERTEZZA DELL’ATLETICA
LEGGERA, DOPO ESSERE DIVENTATO
CAMPIONE EUROPEO UNDER 23
DEI 400 METRI PIANI A TALLINN 2021
E MEDAGLIA D’ARGENTO AGLI
EUROPEI DI MONACO DI BAVIERA 2022.
DIVERTIRSI AIUTA A VINCERE
Lei ha cominciato a correre fin da ragazzo. Quali sono state le principali tappe del suo avvicinamento al mondo dell’atletica?
«In verità i miei esordi nel mondo dell’atletica sono stati abbastanza contrastati perché a 12-13 anni ho fatto un anno dividendomi con il calcio, uno sport che mi piaceva tantissimo. Nell’atletica ero arrivato secondo sui 60 metri e sul chilometro in Svizzera. Chi vinceva si qualificava per la finale Svizzera e io sono arrivato secondo. Nonostante questo bel risultato ho deciso di smettere perché mi è stato chiesto di scegliere tra l’atletica e il calcio e in quel momento ho scelto il calcio. Ho fatto 2 anni nel team Ticino, ma durante le selezioni under 15 /16 non mi hanno scelto, quindi ho ricominciato con l’atletica nel 2015: e questa volta la mia decisione è stata definitiva e i risultati sono finalmente arrivati».
La partecipazione all’Olimpiadi di Tokyo e agli Europei di Monaco sono stati finora i momenti più importanti della sua attività agonistica. Che cosa le piace ricordare di quelle esperienze?
«A questa domanda rispondo sempre raccontando un episodio che risale al
2016 mentre guardavo in televisione le Olimpiadi di Rio de Janeiro e dissi a mio padre che alle successive volevo esserci anche io: Tokyo era il mio sogno e sono stato di parola. È stata un’esperienza incredibile perché a causa della pandemia stavamo chiusi in hotel in quarantena e potevano uscire solo per allenarci. In seguito ci siamo spostati nel villaggio, e l’ingresso per la prima volta allo stadio olimpico mi ha dato una sensazione strana, era enorme ma vuoto, anche se sembrava pieno per i sedili con i colori diversi. L’esperienza di Monaco è stata invece del tutto diversa, ero probabilmente più preparato a gestire lo stress, soprattutto nel corso delle qualificazioni, e tutto è andato per il meglio, con un secondo posto di grande prestigio per l’atletica Svizzera».
Da qualche tempo la sua famiglia si è trasferita a Locarno. Come si svolge la sua giornata tra trasferimenti, allenamenti, studi, ecc.?
«Questo spostamento mi consente di essere più vicino a Zugo, che ho scelto come sede dei miei allenamenti. La mia preparazione prevede 8 allenamenti distribuiti su 5 giorni ogni settimana. L’impegno è notevole, un po’ difficile da gestire, soprattutto quando ti alleni e non riesci a migliorare i tuoi
tempi. E poi la tua vita privati non esiste quasi più. Ma per ora sono fortemente motivato e penso che valga la pena di continuare così».
Lei è sempre rimasto fortemente legato alla valle Onsernone. Che cosa rappresentano per lei quei luoghi e quella natura?
«Sono fortemente attaccato alle mie radici, anche se l’attività sportiva mi costringe a trascorrere molte giornate lontano da casa. Tornare in quei luoghi significa respirare l’aria di un ambiente sereno, a misura d’uomo, dove i rapporti umani sono più facili e sinceri: e tutto questo aiuta non poco a ricaricare le batterie».
Quali sono i suoi prossimi obiettivi e come si sta preparando per raggiungerli?
«Il prossimo Mondiale di Budapest (agosto 2023) rappresenta l’obiettivo più importante di questa stagione, senza trascurare il fatto che l’anno prossimo ci sono le Olimpiadi a Parigi ed è importante mantenere una buona posizione nel ranking internazionale. Mi sto preparando a questi appuntamenti con molto impegno e mi sento fortemente motivato, consapevole di non ripetere alcuni errori commessi in passato».
Quali emozioni si provano quando si corre, in allenamento o in gara?
«È difficile a dirsi perché si provano varie emozioni diverse, ma poi su tutto prevale la concentrazione riguardo alla condotta di gara. Una cosa però voglio sottolineare, anche se può sembrare banale: io quando corro mi diverto e questa sensazione di piacere e benessere mi fa affrontare tutta la gravosità dell’impegno. Per tutto questo sono grato a mio padre, che mi segue ed è in un certo senso il mio portafortuna, alla famiglia, agli allenatori e a tutto lo staff tecnico. Un ringraziamento doveroso va poi a Willy Winteler che ha sempre creduto nelle mie potenzialità assicurandomi il sostegno di AMG Club».
FORGET IMPOSSIBLE
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