lamezia e non solo -di tutto un po’- anno 26° - n. 45 luglio 2018 - copia omaggio
La Redazione augura a tutti Buone Vacanze Torneremo in edicola a Settembre Lamezia e non solo
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Franco Costabile, la sua poesia e la Calabria Ricordato nel 50 anniversario di Lamezia Terme di Domenico Caparello Presso la sala consiliare di Sambiase, si è tenuto un convegno sulla figura del poeta sambiasino Franco Costabile, ed il compaesano professore Iacopetta, il primo grande studioso del poeta calabrese. L’evento è stato promosso dal Comitato del 50° della nascita di Lamezia Terme, dal Sistema Bibliotecario Lametino, dal Trimestrale “Prospettiva Persona”, dall’Associazione culturale per la musica “Emozionote” di Firenze, e dal Cenacolo Filosofico di Lamezia Terme. Il tutto nell’interno del Maggio dei Libri. Hanno relazionato l’avvocato Basilio Perugini, i professori Pasquale Allegro, Vincenzo Villella e Filippo D’Andrea, accompagnati dalle note musicali dei maestri Giovanna Maria Stella (pianoforte) e Vincenzina Pagani (oboe), che hanno deliziato i presenti con le opere “Gabriel’s Oboe” di Morricone, “Libertango” di Astor Piazzolla, e “Bésame mucho” di Velázquez. Il dibattito è stato avviato dall’avvocato Basilio Perugini, che ha innanzitutto omaggiato il professore Iacopetta, definendolo gentile, corretto, oltre che fortemente attaccato alla città, a Lamezia Terme. Difatti, sempre secondo il relatore, proprio di Iacopetta fu l’idea di organizzare un convegno per ricordare uno dei più grandi intellettuali di origine sambiasina, quale Franco Costabile. È quindi intervenuto il prof. Pasquale Allegro, che ha sin da subito evidenziato come i due intellettuali, abbiano vissuto la stessa terra ripercorrendo le infinite bellezze che le appartengono. Il prof. Iacopetta è stato definito come un cultore della vita minima delle parole, che devono essere sempre più semplici, ed è per questo che arriviamo al concetto di una poesia propria dei poeti e dei bambini, conducendo una ricerca spasmodica all’interno della semplicità. Una semplicità, che attenzione però, non è sinonimo di superficialità, ma bensì, la si adopera per raccontare in maniera semplice, ma profonda. Per analizzare gli aspetti di un poeta, è molto
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importante contestualizzare anche il periodo storico di riferimento, concatenando le cause e gli effetti; sottolineando questo concetto, sono stati introdotti i due studiosi Filippo D’Andrea e Vincenzo Villella. Quest’ultimo nello specifico ha evidenziato innanzitutto, l’arretratezza plurisettoriale nella quale versava la Calabria, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, periodi contemporanei al poeta calabrese. E parallelamente a questa arretratezza era possibile notare un certo livello di emarginazione nei confronti dei calabresi da parte dei settentrionali, emblematica la scritta “Non si affitta ai meridionali”. La situazione nel meridione, continua ancora il professore Villella, era peggiorata dal fatto che vi era un completo assoggettamento ed una obbedienza totale e passiva nei confronti del latifondista, che veniva visto come autorizzato a poter far tutto. Al tempo si emanarono un insieme di provvedimenti volti a migliorare la situazione nel Sud Italia, seppur ottenendo esigui, se non nulli, risultati, dovuti al fatto che si trattò di riforme eccessivamente riduttive. E la poesia di Costabile, secondo il professore, si inquadra proprio in quest’ottica, fornendo una chiara testimonianza di quella che era al tempo la situazione meridionale. Difatti il poeta, trattò anche argomenti più “rudi”, parlando delle situazioni dei “cafoni”, dei “contadini”, dei “pastori”, di una Calabria in attesa del proprio riscatto. Prima di dare la parole al prof. Filippo D’Andrea è intervenuta Nella Fragale, direttore della casa editrice Grafiché, per raccontare del successo del volume “Franco Costabile. I tumulti interiori di un poeta del Sud al Salone Internazionale del Libro di Torino, insieme ad un secondo libro dello stesso autore “D’a cista d’u ciucciu. Semi di memoria di una famiglia del Sud delle terre e dell’emigrazione”, presentati con l’intervento musicale di Chiara D’Andrea, affiancata da Patrizio Pierattini e Giuseppe D’Andrea. L’intervento del professore D’Andrea ha
sottolineato gli aspetti di un Costabile molto profondo, ma al contempo fine in quanto a linguaggio ed animo, evidenziando come l’uomo ed il poeta divengono inscindibili, poiché diventa egli stesso la sua poesia. Il libro del professore D’Andrea “Franco Costabile. I tumulti interiori di un poeta del Sud”, di recente presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino, è il risultato di una ricerca, che ha avuto anche il sostegno del professore Iacopetta, descritto dal relatore come “galantuomo” ed “uomo vero”, il quale, apprezzando molto il manoscritto del professore, ha voluto scrivere la premessa. Il prof. D’Andrea ha voluto mettere in evidenza una frase tipica della cultura ebraica, presente all’interno del volume su Costabile, “Non si giudichi l’uomo dal modo in cui si comporta nel momento del dolore”, proprio per focalizzare come sia errato giudicare la figura del poeta calabrese, durante i suoi momenti di maggiore sofferenza, i suoi “tumulti”. Lo studioso ha parlato, perciò, di un poeta che narra la propria esistenza con i suoi paesaggi, i quali, presenti all’interno della poesia, devono essere usati per immergersi nei luoghi così da comprendere appieno il significato del suo poetare. In quel contesto storico, continua ancora il prof. D’Andrea, il poeta era la figura “maggiormente esposta”, poiché capace di avere una visione della realtà più profonda, potendone scrutare le più intime ferite; ed è per questo che, sempre secondo il professore, si arriva al concetto di poeta politico, nel senso ellenico di “civile”, in quanto all’interno del suo poetare è possibile evidenziare una denuncia di quella che era la realtà della sua terra. Durante il convegno, sono stati dati dei riconoscimenti da parte dell’avvocato Perugini, Presidente del “Comitato Lamezia Terme 4 gennaio 2018” -cui faceva parte anche il professore Antonio Iacopetta- ai relatori, oltre che a diversi presenti, come omaggio al loro impegno verso la città di Lamezia Terme, in questo cinquantenario.
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Spettacolo
TrameFestival8. Voci da un altro mondo Parole d’onore. Le voci della mafia, questo il titolo della performance andata in scena sabato 23 giugno nello storico Chiostro di S. Domenico. Un racconto a due voci con Attilio Bolzoni, giornalista, e Marco Gambino, attore, per la regia di Manuela Ruggiero. Un’altra produzione di Trame teatro, tratta dall’omonimo libro di Bolzoni, per l’edizione numero otto di Trame. Festival di libri sulle mafie con la direzione artistica di Gaetano Savatteri che si è svolta a Lamezia Terme dal 20 al 24 giugno 2018. Bolzoni e Gambino procedono attraverso due itinerari di ricerca diversi per sensibilità, strumenti di analisi, di lavoro. Il punto di incontro di questo viaggio è il palcoscenico. Il risultato finale del loro sforzo interpretativo, di conoscenza è lo spettacolo con Bolzoni che incarna il côté più realistico e Gambino quello più visionario e impalpabile in una somma di armonia razionale ed emotiva insieme. La voce narrante di Bolzoni ci introduce nella variegata fenomenologia mafiosa attraverso una miscellanea di brani. Da questo contesto narrato Gambino estrapola i personaggi più significativi costruendo con la sua interpretazione proteiforme un universo di segni, di parole, di silenzi. Con mirabile intensità, in una lingua ribollente di umori dialettali e nera ironia, Gambino riesce a trasmettere le tensioni di tutti i personaggi che lo abitano attraverso una gamma di atteggiamenti gestuali minimi che trovano compendio nel movimento delle mani. Mani agili nervose vorticanti scattanti. Mani che parlano. E le parole sono dighe che rimangono lì a bloccare ogni tipo di comunicazione o sono porte e in questo caso sembrano spalancarsi all’infinito, una dopo l’altra, senza per questo condurre ad alcuna meta precisa, ma avviluppando lo spettatore nella vertigine della loro successione più o meno armoniosa o invischiante. “Sono voci che provengono da altro mondo. Portano sempre un messaggio. Parlano di moralità e famiglia, affari e delitti, regole, amore, amicizie tradite, di religione e Dio, soldi e potere, di vita e di morte.[…]” E così la voce di Riina con la sua improbabile e accalorata difesa davanti ai giudici. Corleone e i suoi cittadini illustri tra santi, letterati, sindaci, pittori, patrioti, abati, sindacalisti e mafiosi. Vito Corleone, protagonista de “Il Padrino” di Mario Puzo che nel suo nome reca l’omaggio a Ciancimino e quello alla città
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siciliana. La condanna dei pentiti da parte del Capo dei Capi definiti “una manata di indegni”, “l’Italia dove deve andare con questi pentiti? Troppi pentiti, troppi tradimenti, troppe cose tinte.” Gaspare Mutolo? “Un bellissimo droghiere”. E ancora Corleone disseminata di cimici che diventa un grande microfono e Gaetano Riina, il fratello più piccolo di Totò, che a proposito del pentimento di Buscetta dice “Ha visto il mondo e gli è scoppiato il cervello” e il cognome del grande pentito a Palermo diventa sinonimo di “spione”. E poi il rituale del bacio tra uomini d’onore. La cerimonia di iniziazione, con la punciuta al dito e la santina della Madonna dell’Annunziata, protettrice di Cosa Nostra, che viene bruciata mentre si pronuncia il giuramento che somiglia ai dieci comandamenti “Come carta i brucio, come santa ti adoro, come brucia questa carta possa bruciare la mia carne se un giorno tradirò la Cosa Nostra…. Noi siamo uomini d’onore, gli altri sono uomini qualsiasi. Siamo l’élite della criminalità, assai superiori ai delinquenti comuni. Siamo i peggiori di tutti.” La mappa topografica dei commercianti di Palermo che pagano il pizzo da Via Napoli a Via Venezia, da Via Roma a Rione Capo, da Via Bandiera alla Vucciria… “Si può anche pagare a rate ma Natale o a Pasqua si salda sempre tutto, la dispensa dalla mesata c’è solo in un caso: un lutto in famiglia.”… Ma le estorsioni costituiscono una sorta di garanzia anche per chi paga “Primo perché si instaura un rapporto d’amicizia tra quelli che vanno a prendere la mesata e loro e poi perché sono garantiti. Se succede qualche furto, quelli dell’ambiente mafioso si daranno da fare per fargli restituire la roba rubata e se qualcuno combina una truffa c’è gente a disposizione per farci restituire i soldi… No, non è che ci perde soltanto è anche una questione di dare e di avere.” E ancora l’articolo 416bis e la professione di innocenza di Giuseppe Campo “[…] se per mafia s’intende, come io intendo, fare del bene al prossimo, dare qualcosa a chi ne ha bisogno, cercare lavoro per chi non ne ha, prestare soccorso per chi è in difficoltà, in questo senso sono stato, sono considerato e mi considero mafioso…Io non mai prestato nessun giuramento per aderire alla mafia. Io sono nato mafioso”. E così Giuseppe Gianco Russo considerato il capo dei capi della mafia “[…] La gente dice che sono un uomo molto potente e molto famoso: io dico che sono soltanto il capo della mia famiglia…La gente dice che parlo poco per discrezione. No, io parlo poco perché poco so… e non parliamo di mafia, parliamo di amicizia”. A seguire i tanti, troppi “non mi ricordo” di Calzetta e i 63 colpi sparati alla schiena a Giaconia “per sbaglio”. E poi La “devozione” degli uomini d’onore. Benedetto Santapaola che sogna di fare il sacerdote e finisce col fare l’assassino. Pietro Aglieri, “U signurinu”, il più mistico di tutti. “Ma voi ve lo siete mai chiesto perché la cupola si chiama cupola?” E ancora il monologo di Michele Greco “il Papa” “…Mi chiamano il Papa. Certo che io non mi posso paragonare ai papi per dottrina, cultura, o intelligenza ma per la mia coscienza serena e la mia profonda fede posso anche sentirmi pari a loro se non superiore! Io ho la pace interiore. Io ho una grande
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pace interiore che se anche mi portassero nel sotterraneo con le catene ai piedi io sprizzerò sempre serenità…La calunnia, la calunnia è arrivata sulla terra quando sono arrivati i primi uomini ed è stata sempre portatrice di atroci conseguenze. A me mi hanno distrutto le lettere anonime. Un anonimato cieco e cattivo. E ora con il vostro consenso vorrei farvi un augurio. Io vi auguro la pace e la serenità a tutti voi. Che queste non sono parole mie ma parole di Nostro Signore. E scusatemi, ma la pace e la serenità sono fondamentali per giudicare. Io vi auguro che questa pace e questa serenità vi accompagnino per il resto della vostra vita.” Poi la mappa criminale delle ‘nciurie ovvero una carrellata in ordine sparso dei soprannomi dati ai mafiosi: Bambolina, Mangialasagne, Totò Batteria, Culumusciu, Carognetta, Padrenostro, U tratturi, U vampiru, Zio Paperone, Rollò, Madre Natura, il Professore, Cicciu spara spara… e poi sempre lui, U curtu, Salvatore Riina e i suoi rapporti con i servizi segreti deviati “Io Salvatore Riina sono estraneo a questi riconoscimenti. Io nella mia vita non ho mai trattato con persone che la pensavano al di fuori di come la pensavo io. Se qualcuno dove trattare con me la doveva pensare come me… Voi lo dovete sapere chi è Salvatore Riina… Riina Salvatore è Riina Salvatore di Corleone, paese agricolo di campagna sperduto e buttato là...” Ancora scambi epistolari tra uomini d’onore che parlano di formaggio, televisioni dal segnale disturbato, cicoria e raccomandazioni. Poi le angosce, le incertezze sessuali, le sofferenze e le insofferenze dei familiari di Cosa Nostra che finiscono sul lettino degli strizzacervelli e i dati di tante cartelle cliniche che diventano confessioni. Il divieto per gli uomini d’onore di avere delle amanti. La professione di assoluta fedeltà alla famiglia da parte di Gaetano Badalamenti e Totò Scaglione. L’onta che colpisce la famiglia di Pippo Calò dove alcuni uomini d’onore avevano le amanti e per questo definita la “famiglia degli spazzini” perché senza moralità. Quella delicata dichiarazione d’amore per Rosaria sulle note di “Era de maggio”, grande amore osteggiato perché figlia di genitori separati “Fui duro e cattivo e ci dissi di non cercarmi mai più. Io ci volevo bene a Rosaria”… Palermo, città che cambia con la morte di Falcone e Borsellino. “Palermo, città fatta di lapidi, altarini e mazzi di fiori ad ogni angolo di strada. 100 omicidi nel 1981. 100 omicidi nel 1982.
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100 omicidi nel 1983. Ogni volta che c’è un cadavere per terra tutti corrono a vederlo. Prendono i bambini per mano, se li mettono sulle spalle e dicono “talìa, talìa” guarda, guarda… È opulenta Palermo. Non è ricca, è sfrenatamente ricca. Palermo è la città d’Italia dove si vedono più gioielli. Tutto ciò che è costoso, firmato, esclusivo. È ostile Palermo. Ci sono due o tre magistrati che sfrecciano nelle loro auto blindate per le vie della città. Sirene, rumori, ci sono cittadini indignati che scrivono lettere al Giornale di Sicilia che volentieri le pubblica. Una di queste è della signora Patrizia…La signora Patrizia è vicina di casa del giudice istruttore Giovanni Falcone”. E poi l’Antica Focacceria San Francesco. Le sue focacce con la milza, il polmone e i riccioli di caciocavallo le hanno mangiate Francesco Crispi, Luigi Pirandello, i reali d’Italia, di Spagna, di Belgio. I Conticello, proprietari da cinque generazioni, devono “mettersi a posto” e così Vincenzo Conticello si ribella e decide di denunciare gli estorsori. In tribunale uno degli estorsori Francolino Spadaro alla fine del suo interrogatorio grida “La mafia fa schifo”. “La mafia fa schifo”, campagna pubblicitaria della Regione Sicilia. “La mafia fa schifo”, battuta pubblicitaria inventata da Totò Cuffaro quando era sotto indagine per concorso esterno per associazione mafiosa. “La mafia fa schifo”, battuta pubblicitaria che piace anche ai mafiosi. Da “La mafia non esiste” a “La mafia fa schifo” sono passati venti anni. Oggi è una mafia che si nasconde dietro gli slogan dei propri nemici. È una mafia che ha scoperto il valore dell’antimafia. L’antimafia è diventata un capitale anche per Cosa Nostra. Ed esiste in Italia una zona franca della legalità dove ci sono gli abitanti più buoni e onesti del Paese. Si trova a Caltanissetta, è stata voluta dall’ex governatore della regione Sicilia, Raffaele Lombardo, condannato per reati di mafia e da un imprenditore, il cav. Calogero Antonio Montante detto Antonello, nominato poi da Angelino Alfano, Ministro dell’Interno, all’Agenzia dei beni confiscati. “La mafia fa schifo. La mafia fa schifo. La mafia fa schifo. La mafia fa schifo. La mafia fa schifo”. “Adesso basta. Basta con la lotta all’antimafia e questi percorsi di verità. Leggiamo una bella lista e finiamola qua”. E con l’inventario delle cose ritrovate nel covo di Bernardo Provenzano tra cioccolatini, santini, maglioni di cashmere, dischi e la raccolta delle canzoni dei Puffi finisce lo spettacolo “Chi siano non lo so / gli strani ometti blu / son alti su per giù / due mele o poco più”. La mafia non esiste più? La mafia ha solo cambiato pelle come il serpente. La mafia si è attrezzata dopo la parentesi stragista, la nuova mafia è esattamente la mafia di sempre, si è riappropriata della sua natura, ha ripreso le promiscuità degli anni 6070, non è più la mafia che dichiara guerra allo Stato ma si relaziona con gli altri poteri come ha sempre fatto. Dolcemente, mollemente. Senza più armi. Perché la mafia se non la cerchi non la trovi. Si mimetizza. Eppure c’è. Forte e subdola. Nella vita e con le parole di tutti i giorni. Applausi scroscianti. Spettacolo straordinario.
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Associazionismo
Incontro promosso dal Rotary Club di Lamezia Terme sull’importanza dei vaccini Si è tenuto all’Istituto comprensivo di Sant’Eufemia un incontro sulla problematica relativa alla vaccinazione in genere e in particolare contro il papilloma virus, l’incontro è stato promosso dal Rotary club di Lamezia Terme presieduto dal dott. Vincenzo Scarcella. Al tavolo dei relatori erano presenti il dirigente scolastico prof.ssa Fiorella Careri, il medico di base del posto dott. Mimmo Miceli rotariano, il dott. Sisto Vecchio anch’egli rotariano e la dott.ssa Rosamaria Cristiano dell’Unità operativa Vaccinazioni dell’Asp. Dopo i saluti della dirigente scolastica Prof.ssa Fiorella Careri e del Presidente del Rotary Club Vincenzo Scarcella, la parola è passata ai relatori, che hanno efficacemente evidenziato come l’uso delle vaccinazioni non debba essere sminuito da presunte teorie e argomentazioni che non trovano alcun fondamento scientifico, ma la cui diffusione è stata possibile dall’uso sconsiderato dei moderni mezzi di comunicazione di massa . E’ stato sottolineato come solo un programma di vaccinazione esteso a larga parte della popolazione costituisce una sicura barriera contro il riemergere di pericolose malattie. In particolare, il dott. Mimmo Miceli ha relazionato sull’importanza della vaccinazione. “I vaccini sono sicuri – ha affermato Miceli – e rappresentano l’unico sistema per prevenire malattie infettive gravi, spesso mortali. La vaccinazione agisce sul principio di immunizzazione. Tra i vaccini obbligatori si trovano: anti-poliomelitico, anti-difterico, anti-tetanico, antiepatite B, anti-pertosse, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella, anti-Haemophilus Tipo B. Tra i vaccini fortemente raccomandati si trovano invece: anti-meningococco B (gratuito per i nati dal 21.05.2015), anti-meningococco A-C W135-Y (gratuito per i nati dal 01.01.1991), anti-pneumococco, antirotavirus. La vaccinazione dall’infezione da Papilloma virus è sicura e affidabile - ha concluso Miceli - è previene il principale responsabile, se trascurato, del tumore del collo dell’utero e viene raccomandata per le ragazze ed i ragazzi di 12-13 anni”. La dott.ssa Rosamaria Cristiano ha evidenziato l’importanza dei vaccini nella prevenzione delle malattie. “La vaccinazione – ha spiegato - è quella pratica sanitaria che simula il contatto con “l’agente infettivo” e stimola il sistema immunitario a formare gli anticorpi, cosìcchè, se l’individuo viene a contatto con quella malattia, gli anticorpi la bloccano e quindi non si manifestano né i sintomi né tanto meno le complicanze. Per alcune malattie basta un solo ciclo di vaccini, mentre per altre la “memoria immunologica, col passare del tempo, diminuisce per cui bisogna fare i cosiddetti “richiami”. Un concetto importante è l’“immunità di gregge”, che si ottiene con una alta copertura vaccinale, cioè il numero di persone vaccinate per quella coorte (età). L’immunizzazione di un alto numero di persone contro una determinata malattia per un lungo arco di tempo impedisce al virus di trasmettersi, fino alla sua scomparsa definitiva se il solo ospite è l’uomo: è il caso, appunto, del vaiolo. Il 95% è la soglia di copertura vaccinale raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge. Il raggiungimento di tale soglia consente, quindi, di tutelare anche le persone più fragili.
globalizzazione ha portato a un rapido diffondersi delle notizie e della mobilità della popolazione. Ciò comporta un più rapido diffondersi delle malattie trasmissibili. La storia della vaccinazione inizia ufficialmente le 1789 quando Edward Jenner sperimenta il primo vaccino contro il vaiolo, malattia un tempo terribile, ora eradicata in tutto il mondo, grazie alla pratica della vaccinazione. Si è passati dalle manifestazioni in piazza negli anni ‘60 del secolo scorso della popolazione per chiede i vaccini gratuiti come diritto alla salute, alle rimostranze dei no vax basate su false congetture e sui falsi dogmi che circolano sui social, in una società sempre più acritica e che ha perso la fiducia nelle Istituzioni. “Le vere controindicazioni alle somministrazioni dei vaccini sono del tutto eccezionali – ha affermato Vecchio - mentre le reazioni sono spesso banali e insignificanti, comunque, del tutto minimali rispetto agli effetti della malattia che si vuole prevenire. La riduzione delle coperture vaccinali ha portato all’istituzione dell’obbligo vaccinale nella fascia d’età 0-16 anni, nel mentre il morbillo imperversa nella nostra città e ha portato ad attuare un piano straordinario di vaccinazione. Segue poi una lezione molto particolareggiata sulle patologie causate dal Papilloma Virus. Il cancro della cervice è causato da un virus chiamato Papilloma Virus Umano o HPV (Human Papilloma Virus). La trasformazione cellulare da virus si accompagna ad una infezione persistente/ latente con espressione solo di alcuni geni precoci del genoma virale che rimane nella cellula. L’HPV si contrae prevalentemente per via sessuale: è sufficiente il contatto cute-cute o cute-mucosa per trasmettere il virus. Anche il sesso maschile può essere colpito dall’infezione da HPV: possono manifestarsi i condilomi determinati da «HPV a basso rischio» ma più raramente rispetto alla femmina si determinano tumori dell’apparato genitale e del cavo oro-faringeo. Come per tutte le infezioni da virus non esiste una cura per l’infezione da HPV; esiste però il vaccino che previene l’infezione causata dalla maggior parte dei ceppi”. La somministrazione del vaccino si effettua a partire dall’undicesimo anno di vita nei ragazzi e nelle ragazze. Il vaccino è efficace, ma solo per chi non ha ancora incontrato il virus o se ne è già liberato spontaneamente, per cui è importante somministrarlo precocemente, prima dell’inizio dei rapporti sessuali.
Il dott. Sisto Vecchio ha poi evidenziato come la pag. 6
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Associazionismo
Cambio al vertice del Rotary Club di Lamezia Terme:
l’avv. Domenico Galati è il nuovo presidente
Lamezia Terme, 5 luglio 2018 – Cambio al vertice del Rotary club di Lamezia Terme. Il dott. Vincenzo Scardella ha passato il testimone all’avvocato Domenico Galati, che guiderà il club per il prossimo anno. La suggestiva cerimonia si è svolta al T-Hotel, in una sala gremita di soci rotariani alla presenza dell’Assistente del Governatore, dottor Paolo Petrolo. Presenti anche i rappresentanti del Rotaract, dell’Interact, del Rotary Club di Amantea, del Lions Club, della FIDAPA e del Soroptimist, nonché altri ospiti. Dopo il saluto del presidente uscente Vincenzo Scarcella, che ha illustrato le attività realizzate nel corso del suo mandato, ha preso la parola il neo presidente Galati che ha sottolineato i valori rotariani e l’attività portata avanti dal club, non solo a livello locale ma nel resto del mondo. “I sogni si possono realizzare – ha affermato l’avvocato Galati – così come dimostrato dalla Rotary Foundation che è riuscita a eradicare la poliomelite: in tutto il mondo, infatti, si sono verificati solo 26 casi di virus selvaggio, e questo grazie al contributo determinante del Rotary, che è riuscito a raggiungere un obiettivo importante, che per noi è di estremo orgoglio. Il nostro obiettivo è quello di costruire un mondo migliore, grazie all’azione e l’apporto di tutti i soci. Noi crediamo in un mondo migliore, dove tutti i popoli promuovono cambiamenti positivi e duraturi delle comunità vicine e lontane. Vogliamo che il bene che facciamo sia duraturo”.
Barbieri, Raffaella Gigliotti, Claudio Sdanganelli e Giuseppe Senese. Il Rotary è un associazione mondiale di imprenditori e professionisti, di entrambi i sessi, che prestano servizio umanitario, che incoraggiano il rispetto di elevati principi etici nell’esercizio di ogni professione e che si impegnano a costruire un mondo di amicizia e di pace. Scopo del Rotary è incoraggiare e sviluppare l’ideale del “servire” inteso come motore e propulsore di ogni attività. In particolare esso si propone di promuovere e sviluppare relazioni amichevoli tra i propri soci, per renderli meglio atti a servire l’interesse generale; formare ai principi della più alta rettitudine la pratica degli affari e delle professioni; riconoscere la dignità di ogni occupazione utile a far sì che essa venga esercitata nella maniera più degna quale mezzo per servire la società; orientare l’attività privata, professionale e pubblica dei singoli al concetto del servizio; propagare la comprensione, la buona volontà e la pace fra nazione e nazione mediante il diffondersi nel mondo di relazioni amichevoli fra gli esponenti delle varie attività economiche e professionali, uniti nel comune proposito e nella volontà di “servire”.
Il presidente Galati, in questo anno sarà affiancato dal direttivo, composto dal past president Vincenzo Scarcella, dal presidente eletto 2019-2020 Natalia Antonietta Majello, dal vice presidente Rodolfo Inderts, dal segretario Massimo Sdanganelli, dal tesoriere Francesco Gigliotti, dal prefetto Caterina Restuccia, dal segretario esecutivo Carmela Dromì, e dai consiglieri Gianfranco
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Accade a Lamezia
Giuseppe Candido
Vescovo-scienziato di Nicastro ne resse la diocesi dal 1881 al 1888 Parte seconda Oltre che sacerdote, docente, vescovo, scienziato, mons. Candido fu anche geniale pittore. Un suo biografo, A. Foscarini, scrive che: “Non appartenne a nessuna scuola pittorica. Fu autodidatta e come nella scuola eccelleva pel disegno e per le arti meccaniche nelle quali era esimio, così (con la pittura, cioè) dava sfogo al suo temperamento pervaso di sentimenti gentili, empiendo tele di figure suggestive che spiccano per la tecnica e per i colori cromatici”. Fra i suoi dipinti voglio qui ricordare quelli più noti : Gli Ultimi giorni di Pompei [dipinto a soli 22 anni]; S. Pietro in vincoli; L’Ultima cena [copia dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci]; La Donna adultera; Le Nozze di Cana; La Distruzione di Borgo, [copia di un quadro di Raffaello che si conserva nei Musei vaticani]; bellissime tele effigianti la Vergine con il bambino; una grande quantità di-Ritratti-familiari. Della permanenza di mons. Giuseppe Candido a Nicastro, si raccontano alcuni singolari episodi. Ne trascrivo due, utilizzando le parole con cui vengono ricordati da un altro dei suoi biografi, Luigi de Sanctis. Il primo episodio è gustoso e paradossale: “Un dì, giunto presso un grandioso stabilimento a vapore – scrive il de Sanctis – intese che alcuni operai arrovellati in viso, schizzanti fiele dagli occhi torvi, bagnati di sudore, bestemmiavano. Avvicinatosi seppe che il macchinario da vari giorni era inerte e, per quanto avessero lavorato ingegneri e meccanici, non avevano scoperto il difetto: si aspettava, ultima speranza, il costruttore. Mons. Candido domandò di osservar la macchina. Vi fu chi scosse il capo con cinico sorriso. E vi fu chi disse: Egli è un santo e potrà operare pag. 8
un miracolo. Il dotto vescovo osservò minutamente, diè alcuni colpi di martello, poi comandò che si mettesse fuoco alla caldaia e s’attaccassero le pulegge. La ruota maestra, roteando con inaspettato, improvviso movimento, diè un sibilo come segno di vittoria, mosse ingranaggi e ruotine, il macchinario volava! Sorpresi gli operai e riconoscenti si gettarono ai suoi piedi, baciarono le mani e gridarono: Miracolo!…..Miracolo!…..Il vescovo paternamente sorrise, li benedisse, inculcò loro di ricorrere a Dio nei bisogni anzicchè bestemmiarlo e per parecchi anni il proprietario dell’opificio ne celebrava con festa l’anniversario avvenimento”. “Il fatto, conclude il citato bio-
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grafo, fu narrato da non pochi giornali calabresi”. Il secondo episodio è invece drammatico. Per comprenderne il significato, bisogna tenere presente che gli anni del vescovo Candido a Nicastro erano anche quelli del Governo di Francesco Crispi a Roma durante i quali le potenti Logge della massoneria italiana conducevano una lotta spietata contro la Chiesa e le sue organizzazioni laico-caritative. Tanto che il papa Leone XIII dovette intervenire con due Lettere Enclicliche: la “Humanum Genus” del 30 aprile 1884 con la quale veniva condannato il “relativismo morale e filosofico della Massoneria” e la “Inimica Vis” dell’8 dicembre 1892 con la quale il Papa scomunicava la ramificata ed influente Organizzazione massonica, le cui pratiche erano contraddistinte da un’ assoluta segretezza. Le cronache del tempo riferiscono che mons. Candido – che si era opposto frontalmente alle Consorterie massoniche anticlericali, che anche a Nicastro e nei paesi del circondario lametino combattevano aspramente le Istituzioni ecclesiali – ricevette minacce di morte e ne soffrì parecchio. Ma la reazione del grande vescovo leccese non si fece attendere e sebbene la sua presa di posizione fosse stata forte e decisa, senza cedere all’intimidazione, riuscì a sdrammatizzare l’accaduto e ricondurlo alle sue reali dimensioni. “Giunse a tanto – scrive il de Sanctis – l’audace perfidia di certi empi e corrotti ribelli (cittadini nicastresi, n.d.a.) da minacciarlo di morte. Mi uccideranno? – commentò mons. Candido con il suo innato senso dell’humour – Ma se è bello per lo scienziato morire tra le pile e i rocchetti, non sarà santo ed invidiabile per un vescovo di Gesù Lamezia e non solo
Cristo cader vittima del proprio dovere, amando la giustizia ed odiando l’iniquità?” Ho già scritto che di mons. Candido è stata finora édita una sola lettera pastorale, scritta nel momento in cui prese congedo dal popolo e dal clero nicastresi per trasferirsi nella diocesi d’Ischia, dove lo aveva destinato il papa Leone XIII. L’ho letta attentamente e, approfondendone i contenuti, credo di aver compreso ancor meglio la straordinaria tempra religiosa, civile, culturale di questo insigne vescovo. Mi son fatto, perciò, l’idea ch’Egli fu del tutto degno di alcuni suoi grandi predecessori (penso in particolare ai vescovi Marcello Cervini e Giovanni Antonio Facchinetti che, dopo essere stati vescovi di Nicastro, sarebbero diventati papi con i nomi, rispettivamente, di Marcello II (1555) e di Innocenzo IX (1591), ma anche a Giovanni Tommaso Perrone, che a causa dell’immane catastrofe del terremoto della domenica delle Palme del 1638, – che causò la distruzione, tra gli altri edifici, del Castello normanno-svevo, dell’Abbazia benedettina, nonchè dell’antica Cattedrale normanna ed in seguito al quale, dopo due mesi dal sisma, perì lo stesso vescovo diocesano Marco Antonio Mandosio – ricostruì, con fondi della propria famiglia, la nuova cattedrale – quella attuale – e resse il governo della diocesi per ben 38 anni, dal 1639 al 1677. Ma penso anche ai grandi vescovi che, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, succedettero a mons. Candido quali, per esempio, Domenico Valensise, Giovanni Régine, Eugenio Giambro, Vittorio Moietta, Renato Luisi. Altri tempi, mi si potrà obiettare. Questo è vero solo in parte. Perchè la congiuntura che la Chiesa sta oggi attraversando non è meno difficile di alcune altre fasi storiche durante le quali vissero i vescovi che ho citato sopra. Ed a me riesce difficile non pensare con nostalgia a quella eletta schiera di Pastori che con sapienza, amore, inclusività, accoglienza, equilibrio, fierezza, cultura, scienza e coscienza hanno governato la nostra antica e gloriosa dioceLamezia e non solo
si. Che, istituita nel corso del primo millennio dell’era cristiana secondo il rito greco-bizantino, con la successiva latinizzazione della Chiesa di Calabria e quindi anche di quella di Nicastro, ha visto assidersi sulla sua Cattedra Episcopale fin dall’anno 1094 il primo vescovo di rito latino, appunto, storicamente accertato, di nome Enrico. E che, perciò, porta con sé il carico di oltre mille anni di storia straordinaria. Lo stemma scelto da mons. Giuseppe Candido al momento della sua ordinazione episcopale rappresenta un candido cigno reale che, sormontato da tre luminosissime stelle, con atteggiamento fiero scivola sull’acqua. Mi piace immaginare ch’esso sia fortemente simbolico nel senso che la fierezza del cigno rappresenti il modo con cui si atteggiò lo stesso vescovo Candido, che riuscì ad incidere in profondità nella società religiosa e civile del suo tempo e le stelle rappresentino gli elementi càrdine ai quali fece sempre riferimento il suo Magistero pastorale nella chiesa nicastrese, prima, ed in quella di isclana successivamente, nel corso di quel tormentato fine del secolo XIX. Elementi càrdine ch’egli tratta ed approfondisce con padronanza teologi-
ca, religiosa e storica nella sua bellissima lettera pastorale cui sopra ho fatto cenno: la Fede, l’Amore per il papa, il ruolo del Vescovo. E’ veramente bella quest’unica lettera di mons. Candido! A cominciare da come è scritta: in modo piano, semplice, comprensibile, affinché tutti possano capirne il significato. E tuttavia culturalmente profonda, dai concetti teologici ricchi di riferimenti ai Padri ed ai Dottori della Chiesa, dai richiami alla Storia ed alle Sacre Scritture, pertinenti ed appropriati, che seppure, a volte, espressi in latino hanno il pregio di non appesantirne la struttura complessiva, ma al contrario, di renderla stilisticamente più elegante e colta. Rivolgendosi, per l’ultima volta, mentre sta per andarsene, ai nicastresi, si accomiata da loro con un atteggiamento di tale umiltà e modestia che io credo sia dote esclusiva delle grandi Personalità e degli Animi magni quella di manifestare questi sentimenti in modo così semplice, naturale, senza alcuna ostentazione. “Non posso dissimularvi – Egli scrive – che una diocesi così vasta ed interessante mi si faceva sentire, ogni giorno più, superiore assai alle mie limitatissime forze. La maestà medesima di questo Trono Episcopale, sul quale sedettero, fra i molti illustri Prelati, anche due Sommi Pontefici, Marcello II e Innocenzo IX, mi umiliava e richiamava spesso alla memoria il mio nulla”. E indirizzandosi per la prima volta agli ischiani, verso cui il suo animo si è già incamminato e che perciò “sono in cima ai [miei] più fervidi ed elevati affetti” rivolge loro questi “sentimenti e dolci speranze”: “Sono grandemente consolato di dover reggere una diocesi, ch’ebbe sempre lode per segnalati esempi di armonica unione col suo Pastore; e me ne diede fin qui prove non dubbie, che saranno soavemente scolpite nel mio cuore. Non mi resta adunque, o dilettissimi ischiani, se non esortarvi a perseverare; e pregare il Datore d’ogni bene, ch’io non abbia a demeritare di coglierne i frutti tanto sospirati”. Per davvero “Magno” questo vescovo Giuseppe Candido.
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cultura
Reading teatrale “Ho attraversato ridendo la terra capovolta… ma anche no”
Dopo diverse serate sold-out al Teatro Girandola , ritrovo culturale reggino, arrivano a Lamezia Terme Tiziana calabrò ed Eleonora Uccellini, in occasione del Maggio dei Libri, riuscitissima manifestazione annuale curata a Lamezia dal direttore del Sistema bibliotecario lametino, Giacinto Gaetano, coadiuvato dall’entusiasmo dei ragazzi del servizio civile . Serata piacevolissima e chiusura in simpatia all’edizione 2018 del Maggio con il reading tetrale “Ho attraversato ridendo il mondo capovolto ...” , tratto dal blog divenuto libro ed ora reading “La Medaglia del Rovescio” di Tiziana Calabrò , con la strepitosa coppia Tizianeda e Eleonora uccellini. Capovolta anche qui la terra, a Lamezia Terme; ma la serata con la strana coppia sembra aver messo un po’ tutto a dritta, ridendo ; con la parola d’ordine “celapossiamofare …ma anche no”, che fa da controcanto colorato a ciò che avviene fuori, tutto insieme, tra processioni, tredicine e divieti di sosta. Serata euforica nella sua dicotomica leggerezza e profondità in cui leit motiv sono state tante e tante parole d’amore, tra riso e commozione. Uno sfondo di orgoglio nell’appartenenza di genere che , pur scoppientante in ogni passaggio, tra ironia , sorrisi e amare consapevolezze, esprime una forza sul mondo , sul suo possibile cambiamento, che può venire solo quando si è in due a volerlo , in una compiutezza che viene dall’incontro con l’altro, dall’amore tra due esseri, senza steccati, inteso come amore universale , viatico fondante di un mondo migliore.
Tutto è condotto lungo una trasmutazione di punti di vista, dove la gioia delle piccole cose conduce al sogno e al volo di quando si è bambini ; Il movimento dialettico, di hegeliana memoria, forse inconsapevolmente presente nelle sbilenche giornate dell’autrice , si ricompone nella semplicità del quotidiano, si dilata e si ricompone nella straordinaria interpretazione dell’Uccellini e nello sguardo complice di Tiziana fino a divenire ricerca del tempo perduto anche per gli spettatori, in un reading corale che coinvolge e acquieta tutti, in una salvifica nostalgia. E allora , dalla dolcezza delle nonne , dai profumi e fumi delle cucine di Calabria , si dispiega un ordine simbolico di genere che racconta la nostra storia ; una linea femmina , non esclusiva dell’altra parte , ma che si identifica e tramanda per sua ineludibile natura la storia familiare , la memoria dei luoghi ; i profumi del mare , lo stordimento dei barchi agrumati, l’asprezza dell’appenninica spina dorsale di questa regione, dono incommensurabile di cui si nutre l’essenza antropologica della gente di Calabria , tra terrestre e metafisica. Una sorta di canto delle sirene, il canto di Tiziana e Eleonora, quali figlie e odierne cantori di Calliope , di figure mitologiche femmine che sono spiaggiate e spiaggiano ancora oggi nelle coste del sud, e del “sud suddissimo”
dal
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arte e dintorni
MATTEO CURC I O IL PITTORE DELLA LUCE di Fernando Conidi
Matteo Curcio nasce a Catanzaro nel 1985. Già da bambino rivela una propensione per il disegno artistico, che negli anni successivi diverrà una vera e propria passione, rivelandone il naturale talento. Egli, da autodidatta, continuerà a studiare ogni tipo di tecnica pittorica, riuscendo - tra materiali e colori - a crearne una sua personale, che gli consentirà di realizzare effetti di chiaroscuro e sfumature capaci di esaltare l’espressività artistica delle sue opere. Con questa sua tecnica di pittura a olio, l’artista realizzerà opere di grande impatto visivo, sia per la capacità comunicativa che per la loro raffinatezza. Benché egli riesca a esprimersi al meglio anche con le tradizionali tecniche artistiche, per la maggior parte delle sue opere prediligerà la pittura a olio su tela o su legno, con cui riuscirà a esprimere eccellentemente il suo estro artistico. Per il maestro calabrese i colori, le tele, o le tavole di legno appositamente trattate, diverranno non dei semplici strumenti, ma quasi un’estensione del suo pensiero, della sua creatività, riuscendo a rendere tangibile la sua incredibile capacità espressiva. I colori, le forme, gli ambienti stessi, prendono vita come se emergessero da una penombra; la luce soffusa e i riflessi tracciano i contorni di forme e figure immerse in un’atmosfera carica di emotività. I variopinti riflessi di luce svelano i particolari delle opere, ottenendo un parallelismo con la vita reale, dove sono proprio i particolari e le peculiarità a dare senso a una normalità che altrimenti passerebbe quasi inosservata. Osservando le fasi della creazione di una sua opera, si nota come, partendo da una semplice linea, i tratti del disegno si vadano ad armonizzare tra loro formando figure cariche di espressività già nella loro forma più semplice. I colori fanno prendere vita alle immagini, quasi a renderle tangibili e tridimensionali. I chiaroscuri, i tratti sottili e i particolari, quindi, esaltano la comunicatività dell’opera. Le posizioni assunte da talune figure riescono a rendere immaginabile, quasi visibile, un movimento che dà energia e vita all’opera stessa.
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San Francesco di Paola, traversata dello stretto di Messina - Opera realizzata da Matteo Curcio, nel 2014, per il Santuario di San Francesco di Paola di Catona (RC)
Le opere dell’artista calabrese hanno subito suscitato l’interesse di molti critici d’arte, portandolo a essere conosciuto in molti ambienti autorevoli, e a vincere premi sia in Italia che all’estero.
Ad occhi chiusi (a mia madre) - Collezione privata - Opera di Matteo Curcio, 2017
Le sue doti artistiche - anche di ritrattista iperrealista, capace di esaltare la personalità espressiva dei soggetti pure attraverso la loro collocazione in scene d’ambientazione ricche di particolari - ha suscitato l’interesse di molti, in particolare di alcune diocesi che gli hanno commissionato dei lavori che sono tra i più importanti di quelli da lui realizzati, sia per qualità che per gran-
dezza dell’opera. Tra questi vi sono: le opere per il quinto centenario della morte del santo patrono della Calabria, san Francesco di Paola, collocate nel suo stesso santuario di Paola (CS); le opere per la sede episcopale di Locri-Gerace; quattro grandi tele sulla misericordia per l’altare maggiore del Santuario della Madonna di Polsi, nel comune di San Luca (RC), realizzate su commissione dell’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini; l’opera di ben diciotto metri quadri, realizzata in occasione del 550° anniversario della traversata dello stretto di Messina di san Francesco di Paola, collocata sulla volta del santuario del santo a Catona (RC), luogo da dove egli, partendo alla volta di Messina, operò il prodigio; il trittico eseguito per l’altare della chiesa di Santa Maria della Pietà, di San Luca (RC); le opere per il TEIC (Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Calabro), a Reggio Calabria, e quelle per il Seminario regionale San Pio X, a Catanzaro. L’artista realizzerà pure un dipinto raffigurante san Francesco di Paola, che - su idea di mons. Morosini - verrà coniato su una medaglia in bronzo in occasione del sesto centenario della nascita del santo calabrese. La Calabria continua ancora a dare i natali a grandi personalità artistiche e il maestro Curcio è sicuramente un artista che non ha mai rinnegato le sue origini, anzi le ha esaltate con la sua stessa arte.
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PER LE VICENDE DI PARAVATI, LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA A CHI GIOVA?
Ormai è divenuto un caso nazionale la vicenda di Paravati dove vige il divieto di culto che dura da quasi un anno, con i devoti che non possono più assistere alla Santa Messa e pregare come hanno sempre fatto. Non riesco a capacitarmi che nel terzo millennio, in uno degli Stati più avanzati del mondo, possa accadere che non si pratica il culto non perché non ci siano i fedeli, come capita in tantissime realtà dove le chiese sono vuote, ma perché il capo della chiesa locale ha deciso che non lo si deve praticare. E ciò è avvenuto non in una chiesa sperduta della Calabria, bensì in uno dei posti più vivi della cristianità italiana, dove i devoti si recavano in parecchie centinaia al giorno per dissetarsi alla fonte che lì ha voluto la Madonna, così come rivelato alla nostra Mamma Natuzza. Man mano che passano i mesi, si ricompone il puzzle e viene fuori sempre più chiaramente un disegno curato nei particolari: mettere le mani sulla Fondazione, a tutti i costi. Ma oltre a ciò, se si guarda con attenzione si denota che, a piccoli passi, si va verso un obiettivo ancora più raccapricciante e preoccupante per i fedeli di Maria e devoti di Natuzza, un obiettivo che a dire il vero probabilmente sfugge agli stessi manovratori. La Bellissima Chiesa, chiesta dalla Madonna a Natuzza e realizzata con i sacrifici dei devoti, benché i lavori siano terminati da tre anni, attende ancora di essere consacrata. Solo a pensare che la prima pietra di questa opera meravigliosa sia stata benedetta addirittura da San Giovanni Paolo 11° il 13 Maggio 1998, per il comune devoto è molto difficile comprendere come possa coniugarsi la mancata consacrazione con le vicende relative alle modifiche dello statuto della Fondazione. Lo stesso Papa Wojtyla, in quel caldo giorno di Maggio, certamente non avrà immaginato che l’apertura della chiesa sarebbe stata legata al rifiuto di modifica dello statuto. Faccio presente che per questo Statuto, proprio allo scopo di impedire possibili interferenze col disegno tracciato dalla Madonna, si è “scomodato” perfino il Paradiso. Ricordo a tutti che l’anima di Monsignor Colloca, vissuto nell’800 e morto agli inizi del 900, apparve in visione alla mistica per suggerire le modifiche da apportare allo stesso e renderlo cosi inattaccabile da future incursioni. Ritengo che tale evento basti ed avanzi per far desistere dalla tentazione quanti hanno veramente a cuore le sorti del patrimonio spirituale di Natuzza. Relativamente alla causa di beatificazione, dal 2015 ad oggi sentiamo sempre la stessa filastrocca senza nulla di nuovo, potendo concludere che anche su questo versante non si è concretizzata nessuna azione positiva. Recentemente la Congregazione per il clero ha rigettato il ricorso del Presidente della Fondazione Anastasi, in relazione alla revoca dello statuto ed alla sospensione dell’assemblea dei soci fondatori, per gli effetti ed ai sensi del diritto canonico. Ma ricordiamoci e fissiamolo nella nostra mente che la stessa Fondazione rientra nell’ambito delle competenze del diritto privato (civile) e non di quello canonico e, quindi, gli effetti dei decreti vescovili e quanto stabilito dalla Congregazione del Clero poco possono incidere, se non nulla, sulla attività della fondazione medesima. In questi giorni abbiamo sentito un brusio di pseudogiornalisti, inclini ad essere le voci del padrone, che si sono adoperati per confondere le idee dei credenti. Certamente hanno gettato scompiglio e confusione sui non addetti ai lavori, soprattutto sulle migliaia e migliaia di fedeli che vivono con trepidazione i travagli di Paravati, a partire dal decreto dell’i agosto 2017. Non vi è dubbio che qualche ripercussione la possano subire pure gli organi direttivi, benché animati unicamente dalla volontà di pag. 12
portare avanti il progetto voluto dalla Madonna ed annunciato dalla sua messaggera Natuzza. Costoro, oltre il peso della responsabilità, sentono su di loro pressioni ingiustificate che nulla hanno a che fare con la cura e la salvezza delle anime. Sia chiaro che lo scompiglio e la confusione giova solo a chi mira ad espugnare la Fondazione. Voglio tranquillizzare i devoti, soprattutto coloro ( e sono tantissimi) che hanno a cuore unicamente il patrimonio spirituale lasciato da Mamma Natuzza: stiano sereni perché nessuna azione umana può modificare ed incrinare quello che il cielo ha voluto preservare, anche attraverso l’aiuto dello spirito di Monsignor Colloca. Si rassegnino, invece, coloro che con tutti i mezzi si stanno adoperando per bloccare, mi auguro inconsapevolmente, il progetto voluto dalla Madonna: nulla può l’uomo su ciò che è segnato dal cielo. Devo dire che, tuttavia, per adesso qualche caduco risultato negativo sono riusciti a strapparlo: il calo delle presenze dei pellegrini. Sia chiaro che tutto questo non danneggia gli organi direttivi, ma solamente il progetto della Madonna. I devoti sono chiamati a prendere pienamente coscienza di ciò, tranquillizzandosi e riprendendo, più di prima, i pellegrinaggi a Paravati dove la Madonna e Natuzza ci aspettano con la cura e l’amore di sempre. Sappiano i fedeli che alcune persone hanno assunto il compito di contrastare proprio i pellegrinaggi! Vedo un accanimento continuo ed una forte determinazione per un disegno che va nella direzione di dilapidare il patrimonio spirituale di Mamma Natuzza, e ciò non lo permetteremo mai, se ne facciano una ragione. Tutti siamo chiamati a difendere quanto Natuzza ci ha lasciato, e lo dobbiamo fare con grande determinazione e senza tentennamenti. Non sono assolutamente giustificati coloro che, al soffio del vento in altra direzione, si prostrano al servizio di chi sembra impugnare lo scettro. Qui si tratta di mettersi solo al servizio del volere della Madonna che il suo progetto lo ha ben delineato e lo ha affidato, senza ombra di dubbio, nelle mani delle persone giuste, scelte direttamente da Mamma Natuzza, persone che da anni si sono unicamente spese perché quel disegno trovi piena applicazione. Se questo percorso chiaro e consolidato non lo si riconosce più, vuoi dire che si è persa la bussola della fede, o peggio, che quella bussola non è mai stata la propria stella polare. Mi permetto di consigliare di non fare richiami alla regola dell’obbedienza se questa è solo uno strumento funzionale per soddisfare le bramosie di qualcuno. Guarda caso, i paladini di tal regola sono i primi a trasgredirla, chi utilizzando la massoneria e con ciò mettendosi in contrasto con le disposizioni della Chiesa, chi disattendendo clamorosamente le vive esortazioni personali di Mamma Natuzza (quando era in vita) ad ubbidire. Voglio chiudere con una sincera esortazione verso coloro che un qualche ruolo io hanno assunto nelle vicende di Paravati: nella storia della chiesa e dei Santi, abbiamo tanti esempi in cui gli attriti hanno costituito terreno fertile per il maligno, consentendogli di aprirsi varchi e iniziare la sua opera. Quanti fino adesso si sono adoperati per creare scompiglio, sono invitati a riflettere onde evitare che il male possa trovare la porta aperta. Catanzaro, 18 Giugno 2018
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Dr. Francesco Faragò Devoto di Natuzza Lamezia e non solo
Istruzione
CONCLUSO ALLA PRESENZA DEL COMMISSARIO ALECCI IL PROGETTO SCUOLA LAVORO ITE DE FAZIO
ECOSISTEM – LAMEZIAEUROPA. Si è concluso il progetto di alternanza scuola\lavoro realizzato in collaborazione con LameziaEuropa e l’azienda Ecosistem che ha coinvolto, nel periodo maggio-giugno 2018, 21 studenti delle terze classi, indirizzo amministrazione, finanza e marketing, dell’istituto Tecnico Economico “De Fazio” di Lamezia Terme. Gli studenti nel periodo indicato hanno realizzato il progetto denominato “Il mio futuro in azienda” nell’ambito del modulo finanziato dai fondi strutturali europei (FSE) che ha previsto per gli alunni la possibilità di fare una esperienza di stage nell’area industriale di Lamezia Terme, consentendo loro di affacciarsi così al mondo del lavoro, calandosi nell’operatività della gestione contabile ed amministrativa di una azienda. Gli studenti hanno effettuato ore di alternanza scuola\lavoro presso le aziende Ecosistem, Vincenzo Notaro, gruppo Mantella e Silagum. Con il coordinamento di Lameziaeuropa sono state inoltre realizzate alcune visite aziendali presso le società Axil Cucine, Dinamica srl, Arpaia srl insediate nell’area industriale, e nel settore della ricerca presso i laboratori della Fondazione Terina accompagnati dal presidente Gennarino Masi, i laboratori Agatos del Distretto Matelios e la sede CNR di Lamezia accompagnati dalla responsabile Claudia Calidonna. Particolarmente interessante è stata
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la giornata conclusiva del progetto di alternanza che si è svolta nella sala convegni della Ecosistem presso il comparto 11 dell’area industriale di Lamezia Terme, dove gli studenti hanno presentato gli elaborati finali dei progetti realizzati. Presente ai lavori il prefetto Francesco Alecci, Commissario del Comune di Lamezia Terme, che ha voluto rivolgere un saluto ed un plauso agli studenti per il proficuo lavoro svolto in queste settimane che sarà certamente utile per il loro percorso formativo, al dirigente scolastico ed ai docenti dell’Istituto Tecnico Economico “De Fazio” di Lamezia Terme, agli amministratori della Ecosistem per il loro percorso imprenditoriale che ha permesso alla società di crescere nel tempo e diventare una importante realtà imprenditoriale lametina che opera con successo in un settore molto delicato e complesso, alla Lameziaeuropa spa, di cui il Comune di Lamezia Terme con il 28,52% è il principale azionista, per la sua costante attività di promozione ed animazione territoriale. Il dirigente scolastico dell’ Istituto Tecnico Economico “De Fazio” Simona Blandino ha voluto ringraziare il Prefetto Alecci per la sua partecipazione e tutti gli attori in campo per l’ottima riuscita dell’iniziativa, Lameziaeuropa ed Ecosistem, le altre aziende coinvolte, gli studenti ed in
particolare i docenti Orfeo Sirianni e Francies FahY che hanno reso possibile tale attività, il vice preside Domenico Mercuri ed il direttore dei servizi generali amministrativi Francesco Falvo che hanno curato tutti gli aspetti tecnici e logistici dell’iniziativa. L’ Amministratore Delegato di Ecosistem, Salvatore Mazzotta, nel ringraziare il Prefetto Alecci anche a nome di Tonino Marchio, Rocco Aversa e Giampaolo Carnovale, si è mostrato entusiasta del periodo di formazione svolto dagli studenti nella sede dell’azienda “nella speranza di poter ritrovare tra qualche anno qualcuno di questi stessi alunni assunto con contratto presso il nostro gruppo, orgogliosi di aver suscitato interesse per la nostra attività in particolare per il tema della valorizzazione dei rifiuti e della economia circolare di cui tanto sentono parlare sui mezzi di informazione”. “Un consuntivo incoraggiante per effettuare altre iniziative di questo tipo nelle aziende dell’area industriale di Lamezia - ha detto Tullio Rispoli, dirigente della LameziaEuropa che ha portato i saluti del presidente Carmelo Salvino anche per far conoscere agli studenti ed al mondo della scuola realtà imprenditoriali ben consolidate che operano sul territorio lametino”.
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Rubrica di Antonio Saffioti totosaff@gmail.com
Il matrimonio di un tempo Di recente, ho preso parte, ad un matrimonio “moderno”, con tanto di: serenata, drone al seguito, selfie, video, buffet di dolci ecc. In quell’occasione, mi è venuta voglia di raccontarvi: “Il matrimonio di un tempo”. In passato, il celibato veniva considerato come uno stato innaturale e improduttivo per la società, mentre il matrimonio era il fattore di crescita sociale, umano ed economico per tutta la comunità. In una società in cui le relazioni sociali al di fuori del matrimonio erano condannate, la scelta del coniuge presentava difficoltà. Spesso erano i genitori che provvedevano, in modo molto riservato, rendendo la cosa pubblica soltanto ad accordi raggiunti. La discrezione era la regola regina, come molto riservati erano i segnali da inviare sulla scelta che si vorrebbe fare. Alla ragazza, solitamente il messaggio era lanciato dai genitori del ragazzo, ovvero i genitori della stessa, se gradivano rilasciavano appositi segnali, diversamente segnalavano ugualmente il loro dissenso. Un metodo per comunicare il proprio parere all’ambasciatore era quello di offrirgli un caffè, se dolce significava che si poteva trattare, diversamente, se amaro, significava che il pretendente non era gradito. Da notare che si mandava sempre l’imbasciata, quasi mai si agiva direttamente. Altro metodo di comunicazione era l’accipamento, di notte si poneva un grosso ceppo dinanzi alla porta della pretesa, se il ceppo era portato dentro la risposta era si, se era allontanato la risposta era no. Il tempo per decidere era massimo di tre giorni. Succedeva, nel caso in cui i genitori ostacolavano il matrimonio, che la coppia organizzasse una “Fujtina”, ovvero scappavano di casa in modo che la ragazza, ormai compromessa, era costretta a sposarsi. Poteva essere anche un espediente quando le condizioni economiche delle famiglie non avendo i mezzi economici per affrontare un matrimonio secondo i canoni normali per il tempo. Altra via per arrivare al Matrimonio, era quello dello “Scapiddramientu” il pretendente, attendeva l’Amata innanzi alla Chiesa, davanti alla gente, gli toglieva il copricapo, ovvero “U Mannile” così la ragazza veniva compromessa e la famiglia era costretta ad accordare il matrimonio tra i due. Le donne, fino al matrimonio, venivano definite “Vergine in Capillis” questo significava che la donna, non poteva uscire in pubblico, con i capelli sciolti e senza un copricapo, “U Mannile” ciò s’intendeva che la donna era vergine.e pronta per il matrimonio. Dopo che era stato dato l’assenso si procedeva agli accordi anche di carattere economico che poteva essere anche scritta. Dopo questa fase si procedeva all’affidamento”, fase in cui il cerchio si allargava perché si sceglievano i testimoni, i compari. La pag. 14
fase successiva era la promessa solenne da compiersi innanzi al parroco. Dopo che l’ambasciatore ” U Sansale” portava l’assenso da parte della famiglia della sposa c’era la prima visita ufficiale, ovvero la famiglia di lui si recava presso la famiglia della ragazza. Qui, in segno di assenso e benvenuto, si procedeva al taglio del capocollo, suggellando in questo modo l’unione tra le due famiglie. Durante il fidanzamento era uso scambiarsi regali, in particolare quelli di oro. Gli incontri avvenivano sempre in pubblico, mai i fidanzati erano lasciati soli. Esistevano anche i matrimoni per procura, ovvero gli sposi residenti in zone diverse, di solito la sposa in Italia e lo sposo all’estero, procedevano al matrimonio senza la presenza fisica dello sposo. In questo caso la cerimonia era molto più modesta, lo sposo era presente in foto. Tempo dopo la cerimonia la sposa raggiungeva lo sposo all’estero. In passato esisteva anche il matrimonio “ncannistrinu”, clandestino, quando il parroco scopriva impedimenti per poter celebrare il matrimonio secondo le regole. In questo caso due compari entravano nella curia a distrarre l’attenzione del prete finchè gli sposi comparivano pronunciando le formule di rito. Lui: questa è mia moglie, lei: questo è mio marito. Se riuscivano a pronunciare le frasi il matrimonio doveva essere trascritto e riconosciuto. I matrimoni endogamici erano quelli celebrati tra parenti al fine di non disperdere il patrimonio usato dalle famiglie aristocratiche. Serviva una autorizzazione ecclesiale speciale e durante la cerimonia gli sposi dovevano tenere in mano un cero acceso. Fin dalla nascita di una figlia femmina, mamma e nonna si adoperavano a realizzare il corredo la dote, che comprendeva mutande e sottovesti ricamate, tutto in numero pari, sei, dodici, ventiquattro, “e viertule” per quando si andava a mietere, sacchi, tovaglie per il pane, “u saccune” grande sacco che veniva riempito con foglie di pannocchie di granturco oppure di paglia, lenzuola, asciugamani, coperte e tovaglie da tavola che un tempo si tessevano. Le nonne che avevano il telaio venivano interpellate per ricamare il corredo. Allora erano pochissime le famiglie che pagavano con soldi, di solito il pagamento avveniva con scambi di prodotti, grano, olio, ed altre merce che ricavavano dalla terra. Come utensili per la casa si portava: “a majjddra”, u crivu, u spitu, pentole di rame di diversa grandezza, mestoli di legno, padelle, pignate, tianeddre, posate bicchieri e piatti. Qualche mese prima del matrimonio, il corredo veniva tirato fuori dalle cassepanche per essere lavato. Si andava ai torrenti o alle fiumare più vicine. Si
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corteo seguita da tutti gli invitati, fino alla chiesa. Durante il cammino la sposa veniva salutata dalle famiglie con lanci di grano o fiori, giunti in chiesa, la sposa veniva affidata allo sposo e iniziava il rito religioso. Alla fine della cerimonia in chiesa, ai due sposi venivano lanciati piccoli confetti misti a qualche monetina: i ragazzi del paese per raccoglierli si buttavano a terra, tra le gambe dei partecipanti. A nozze avvenute si girava con i vassoi pieni di liquori, pasticcini, confetti. Nei tanti paesi della Calabria, dopo il giro con le guantiere, c’èra “u cumbitu” (il pranzo di nozze) che veniva offerto dalla famiglia della sposo. Come primo piatto c’erano ziti al sugo o “ i maccarruni i casa”, mentre per secondo veniva ammazzato un animale, vitello, capra, pecora, maiale e cucinato al ragù e arrosto con contorni vari,
accendeva il fuoco, si faceva bollire il tutto in un grande recipiente chiamato “a cuadara” (grande recipiente in rame). Dopo qualche ora veniva risciacquato il tutto e steso sulle siepi per farlo asciugare. Infine si riponeva tutto in una cesta e veniva legato con nastri rosa..Una settimana prima del matrimonio, nella futura dimora degli sposi, viene aggiustato il letto matrimoniale. Per l’occasione si espone il corredo che porta in dote la ragazza e che le donne nubili della famiglia portano, dalla casa paterna alla futura casa degli sposi. Vengono invitati tutti i parenti e il vicinato. Una volta aggiustato il letto viene lanciato il bambino più piccolo nel centro del letto come augurio di fecondità. Sul letto nuziale tutti gli invitati appuntano soldi sui cuscini, ognuno secondo le proprie possibilità, e si concludeva il rito, festeggiando con pasticcini fatti in casa, liquori e balli, di solito tarantelle. Si arrivava finalmente al giorno del matrimonio: all’alba, le donne del vicinato addobbavano con tralci d’edera e fiori l’uscio che la sposa avrebbe varcato. L’abito bianco della sposa veniva portato, dalla casa paterna di lui, alla casa paterna di lei, dalla suocera, in una grande cesta di vimini. La futura nuora, affinché la cesta non ritornasse indietro vuota, ricambiava il dono con un altro dono (normalmente un pezzo di stoffa per confezionare un abito). Non appena la sposa era pronta - accompagnata dal padre - partiva in
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il vino scorreva abbondante e liquori erano fatti in casa. Le famiglie povere che non potevano permettersi un banchetto offrivano agli invitati fichi secchi, castagne, frutta secca e lupini. Gli invitati consegnavano i “cumprimienti” che venivano esposti. La sera quando i festeggiamenti erano finiti, un gruppetto di amici si riunivano sotto il balcone della camera da letto, con chitarra e mandolino e suonavano e cantavano la serenata agli sposini freschi. Finito il canto la sposa si chiudeva nella camera da letto, mentre lo sposo, per ringraziare offriva da mangiare e da bere a tutto il gruppetto, dopodiché raggiungeva la sposa. Per otto giorni gli sposi non potevano uscire di casa e nello stesso periodo la sposa non poteva cucinare, era la mamma di lei che la mattina portava il caffè, per il pasto e la cena le due consuocere si alternavano. Alla fine degli otto giorni gli sposi uscivano per andare a messa. Lo sposo indossava il vestito delle nozze mentre la sposa indossava il secondo abito che aveva ricevuto il giorno delle nozze. Finita la messa, per usanza, erano invitati dalla suocera della sposa, per un pranzo di festa in famiglia. Il decimo giorno andavano a mangiare a casa della mamma della sposa. L’undicesimo giorno la sposa poteva iniziare a cucinare.
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Sanità
Intensa attività del Ser-D di Lamezia Terme nelle scuole contro la dipendenza patologica Si è concluso il progetto “Scuole Amiche” messo a punto dal SerD di Lamezia Terme, per l’anno accademico 2017/2018, e che ha interessato diversi istituti superiori lametini. Il progetto, realizzato in collaborazione con Istituzioni e Associazioni presenti sul territorio, è stato messo a punto nell’ambito delle attività di prevenzione delle dipendenze patologiche espletate dal SerD sul territorio lametino. In particolare, sono stati organizzati incontri su temi importanti come la dipendenza da droga, alcol e gioco d’azzardo, nel corso dei quali gli studenti hanno potuto affrontare questioni molto attuali, che spesso li riguardano anche da vicino. Tutte le iniziative sono state accolte con molto interesse, per le tematiche trattate e ritenute di primaria rilevanza, da parte di tutti i dirigenti scolastici coinvolti, i quali hanno auspicato una più stretta e fattiva collaborazione per il prossimo anno scolastico. In particolare, al Liceo classico “Francesco Fiorentino” si è svolta la “Giornata in Fazenda”, in collaborazione con il SerD di Lamezia Terme, nell’ambito dell’attività alternanza scuola-lavoro. Oltre alla visita della “Fazenda dell’Esperanza”, gli alunni del Liceo classico hanno incontrato le suore Clarisse del vicino monastero e partecipato alla santa messa celebrata da don Roberto Tomaino, parroco di Soveria Mannelli. Molto importante e decisiva all’espletamento della giornata, organizzata dalla dott.ssa Teresa Natrella del SerD, è stata la collaborazione offerta dalla Diocesi Lametina e la sensibilità verso queste tematiche del vescovo Mons.
Luigi Cantafora. Sempre al liceo “Fiorentino”, nel novembre scorso si è tenuto un incontro che ha avuto come tema “Droghe e cervello”, al quale hanno preso parte il prof. Giovanni Biggio, neurofarmacologo dell’Università di Cagliari e il dott. Giovanni Falvo, responsabile SerD di Lamezia Terme. A marzo si è tenuto un secondo incontro, sempre con il dottore Falvo, che ha affrontato il tema degli effetti dell’alcol sul cervello. Ad aprile è stata infine organizzata una visita dei ragazzi alla comunità terapeutica “Fandango”, che ospita ragazzi tossicodipendenti e alcolisti che svolgono un percorso di recupero riabilitativo e reinserimento sociale. Una giornata che è stata organizzata con il referente della comunità terapeutica dott. Massimo Vaccaro e grazie alle referenti scolastiche, prof. sse Gianna Nicastri e Annamaria Scavelli, e fortemente volute dal Dirigente Scolastico dott. Nicolantonio Cutuli. Un altro progetto di prevenzione della ludopatia è stato organizzato dal SerD, in particolare dalla dott.ssa Teresa Natrella, in collaborazione con il movimento “Vivere In” di Lamezia Terme, che ha coinvolto gli studenti del Liceo “Tommaso Campanella”
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di Lamezia, in particolare si sono tenuti due incontri preparatori e poi la giornata conclusiva che ha coinvolto gli alunni delle seconde e terze classi dell’istituto. In particolare, è stata allestita nella scuola una mostra con delle vignette ironiche e sarcastiche sul fenomeno del GAP. Referente del movimento “Vivere In” per l’area di Lamezia Terme è la prof.ssa Maria Rita Di Cello. Un altro progetto ha coinvolto gli studenti del Liceo Scientifico “Galileo Galilei”, dove è stato organizzato l’incontro dal titolo “Legalità e dipendenze patologiche”, realizzato in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri (tenente Carbone e maresciallo Rizzello). In questo caso, sono stati coinvolti gli alunni delle seconde classi. L’attività del SerD si è svolta anche all’Istituto Tecnico commerciale “De Fazio” di Lamezia Terme, dove è stato organizzato un incontro con la testimonianza dei ragazzi della “Fazenda della Esperanza”, promosso sempre dalla dott.ssa Natrella. Infine, al Liceo Scientifico di Decollatura è intervenuta la dott.ssa Mirella Samele sul tema “Neurobiologia del cyberbullismo”.
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medicina
Settimana del Cervello il 13 marzo 2018 presso l’istituto Ei Come funziona il cervello? Al 19° Congresso europeo dell’ EMDR tenutosi a Strasburgo presente la lametina Dr.ssa Mariannina Amato che ha evidenziato in campo internazionale un lavoro altamente specialistico ed innovativo in campo psicoterapeutico dell’EMDR con un approccio integrato alla stampante 3D. Procedura accolta dal Comitato Scientifico e dai partecipanti al Congresso europeo con molto entusiamo ed interesse. Alla metodologia psicoterapeutica EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) che promuove, attraverso la stimolazione oculare, il ripristino naturale dei processi di elaborazione delle informazioni e dei ricordi, congelati in memoria e che provocano disagio . A questo processo la Dr.ssa Amato ha associato la metodologia della 3D Therapy® che materializza le emozioni e ricordi negativi in oggetti 3D, oggetti che diventano elementi fondamentali nella dialettica psicoterapeutica e che porta a soluzione, in breve tempo, il disagio psichico manifestato dal soggetto.
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Sport
L’ENTUSIASMANTE STAGIONE DELL’US GIRIFALCO AD UN PASSO DALLA A2
Sacrifici e sudore per superare brillantemente problematiche variegate: questo è accaduto al Girifalco questa stagione capace di giocarsi la A2 ai play off perchè di base c’è stata smisurata passione ed amore per il futsal! Sette vittorie ed un pareggio (al netto di 4 sconfitte) hanno consentito all’US Girifalco Futsal Femminile di scrivere una pagina prestigiosa della sua storia. Seconde infatti alla fine della regular season in Serie C, a soli sei punti dalla promossa Sangiovannese, la squadra del presidente Domenico Lo Prete ha sognato la A2 fino allo scorso 10 giugno. Trascinata dai gol (30 in regular season e 11 nei play off) di Domenica Scicchitano e dalla classe di Domenica Florio (10 gol più 2), oltre che dall’impegno di tutta la rosa, la simpatica squadra del piccolo centro catanzarese di circa 6mila anime ai piedi del Monte Covello, ha strabiliato tutti imponendosi a suon di gol (ben 53, miglior attacco ex aequo con la capolista cosentina) e vittorie. Emozionanti poi i play off: in semifinale contro l’Arcadia Termoli, andata in Molise con sconfitta per 9-6 (gol calabresi tutti di Scicchitano) e ritorno alquanto ricco di pathos, risolto con merito in extremis per 9-4 (4 gol di Scicchi-
tano, 2 di Iellamo, 1 di Florio, Bilotta e Papaleo) e passaggio in finale. Qui contro il forte Valmontone, presentatosi a pieno organico contro quello ‘striminzito’ del Girifalco per motivi vari, non c’è stata storia. All’andata a Maida sconfitta netta (per 8-1, unico gol di Scicchitano), già dopo pochi minuti passivo pesante con tiri da fuori che hanno punito eccessivamente la pur brava Zafaro in porta. Girifalco rimasto addirittura in 4 nella ripresa per il rosso a Iellamo e la forzata assenza a gara in corso di Mazzitelli per motivi di lavoro. Insomma problemi di organico acuitisi ancor di più nelle ultime gare per il Girifalco. Che anche al ritorno ha, come previsto, perso (15-2, con gol di Florio e Bilotta). “E’ stata una stagione entusiasmante – spiega la forte Domenica Florio – anche perché non prevista nell’ottimo risultato raggiunto ovvero i play off. Non avevamo un obiettivo preciso se non quello di divertirci, ma a torneo in corso ci siamo rese conto di poter dire la nostra e l’abbiamo dimostrato arrivando seconde. Grazie a chi ci ha sostenuto, pubblico compreso, che è andato aumentando dopo un inizio in sordina, e al nostro presidente”. Ben 14 anni di calcio per l’eclettica Florio assist a go-go e corsa da centometrista, inizi col calcio a 11 (Futura Bivona e Boys Marinate), poi il passaggio al futsal con Crotone, Locri, Mileto e Vibo, “proprio qui – conclude Florio – è stata la mia miglior stagione col primo posto e play off persi per la A2 col Messina, ma anche Crotone la ricordo con piacere”, strano che non ci si sia accorti del talento di questa giovane calcettista vibonese, ma forse è giunto il momento. ORGANIGRAMMA Presidente: Domenico Lo Prete Dirigente: Francesco Giuseppe Chiaravalloti
Collaboratore Tecnico: Francesco Schiavello ORGANICO
Portieri: Maria Assunta Zafaro, Maria Grazia Mellace;
Difensori: Valentina Mazzitelli, Mimma Bilotta, Maria Paola Ferraina; Laterali: Mariarosa Papaleo, Katia Macario, Domenica Florio; Pivot: Domenica Scicchitano, Mary Iellamo. pag. 18
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Sport
ROYAL TEAM LAMEZIA AL LAVORO PER LA PRIMA STAGIONE IN SERIE A Mister Ragona: “Dare il massimo con tanto tanto lavoro e sacrificio” oltre due mesi per l’iscrizione al suo primo e storico torneo di Serie A di Futsal femminile. Gong fissato a metà luglio e al riguardo la società del presidente Nicola Mazzocca non si è fermata un attimo per, verrebbe da dire, svegliare le coscienze lametine e non, su quello che sarà un vero e proprio evento storico per la città di Lamezia Terme e la Calabria intera. La nostra Regione infatti, da metà settembre sarà al centro delle attenzioni nazionali vedendo la sua portacolori lametina, la Royal Team appunto, affrontare i colossi dell’olimpo del Futsal. Ben sedici le squadre in lizza: dalle finaliste-scudetto Ternana (vittoriosa) e Kick Off San Donato Milanese, al Breganze (Vi), Grisignano (Vi), Lazio, Bisceglie, Statte (Taranto), Salinis (Margherita di Savoia prov. Barletta-Andria-Trani), Pescara, Montesilvano (Pe), Olimpus Roma, Cagliari, Flaminia (Fano), AZ Gold Guardiagrele (Chieti), Florentia Firenze. Ed il presidente Mazzocca col mister Ragona sono già al lavoro per formare un roster di qualità e conquistare una salvezza dignitosa. Al primo anno infatti, l’obiettivo della Royal è quello di assestarsi nel massimo campionato, riportando la gente, il suo affezionato pubblico, al PalaSparti. Ed a proposito della struttura lametina, chiusa al pubblico dallo scorso 27 dicembre, finalmente nella seconda metà di giugno si è mosso qualcosa nelle fino ad allora immobili stanze del Palazzo comunale. Finalmente, lo ribadiamo con forza, ci si è dati una svegliata mettendo in atto operazioni che sarebbero dovute partire sei mesi fa. Tant’è, sulla spinta del sempre vigile (ma probabilmente ‘morbido’) Comitato “Sì allo sport”, i poco solerti funzionari comunali hanno proceduto al sopralluogo del palasport lametino, iniziando così tutto l’iter che porterà – ci si augura a breve – alla riapertura del PalaSparti per la prossima stagione sportiva. Anche perché il malcontento delle varie società interessate, compresa la Royal, stava Lamezia e non solo
portando ad azionai eclatanti e clamorose. Al riguardo aveva dato l’input la Top Volley che aveva annunciato, con tanto di comunicato, che non si sarebbe iscritta al prossimo torneo di A2. Ma non ci si sarebbe fermati qui. Rinfrancato al riguardo il presidente della Royal, Mazzocca: “Le buone nuove sull’imminente inizio dei lavori al PalaSparti ci hanno tranquillizzato. Non si può immaginare, dall’esterno, le gravose problematiche che ci ha creato la chiusura del PalaSparti e quindi nel giocare a Vibo o a Pentone, sempre ancora ringraziando chi ci ha permesso di usufruire di quelle strutture. Non solo a livello economico, ma anche logistico e mentale, non poter disporre della propria struttura per la gare interne ha in parte inficiato il lavoro della squadra, che ha dovuto peregrinare per disputare le gare interne. Senza soffermarsi poi sui disagi nel giocare a porte chiuse, senza il calore del nostro pubblico che, è bene rammentarlo, è il più numeroso dell’intera A2, con picchi ragguardevoli anche per la Serie A”. A mister Ragona, come già annunciato riconfermato per la prossima stagione, abbiamo chiesto le sensazioni in questa fase preparatoria dopo l’approdo in A. “Sicuramente positive: attesa, determinazione, pathos. Cimentarsi per la prima volta in una categoria nuova e farlo insieme alla stessa squadra che comunque sarà una matrico-
la, è una sensazione bella. Ciò nonostante sarà un campionato molto difficile, in cui si vincerà molto meno dell’anno scorso e ci sarà da lottare, sudare e mettere il massimo della determinazione in ogni partita perché comunque saremo una squadra che dovrà salvarsi. Consapevoli che avremo un organico meno importante di quelle 2-3 squadre pronte a spaccare il torneo, dovranno esserci fattori determinanti in più e cioè essere sempre concentrati e consci che le sconfitte serviranno per imparare e non per demoralizzarsi. Un domani chissà la voglia è fare anche noi campionati di vertice, però questo sarà un anno di prova anche per una società come la Royal che si affaccia per la prima volta in questa categoria”. Propositi? “Anch’io sarò all’esordio in A, tra l’altro al secondo anno di femminile, e arrivare in Elite non è stato facile quindi darò il massimo. E poi studiare, capire il gioco, gli equilibri del massimo torneo di futsal nazionale, fatto di grandissime giocatrici anche internazionali, addirittura di chi ha ricevuto il premio come migliore del mondo. Cercherò di dare quel quid in più che possa permetterci di avere un salto sul piano del gioco e di approccio alle partite. Quindi stare sempre concentrati, e fare tanto lavoro e molto sacrificio: questo richiede la categoria e questo sport bellissimo, molto difficile, tecnico e molto tattico dove niente si lascia al caso. E dove il mister non è quello che fa semplicemente le sostituzioni, ma è colui che ragiona molto su come giocano le avversarie e sulle potenzialità della propria. Quindi intanto – conclude mister Ragona - mi propongo di dare il massimo sul piano dell’impegno cosiccome fatto l’anno scorso”.
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Sport
1° Secolo di Vigor
Dopo il Comitato per i 50 anni di Lamezia non poteva mancare la costituzione di un Comitato per festeggiare i 100 anni dall’intuizione di Pietro Carlo Baccari di costituire una squadra che portasse alto il nome dell’allora Nicastro in uno sport ai suoi albori. Si è così costituito il Comitato “Primo Secolo di Vigor” con l’intento di celebrare i 100 anni di storia calcistica biancoverde e recuperare valori che sembrano dispersi, riportare alla memoria passaggi epici che hanno destato entusiasmi ed esaltato eccellenze, riaccendere una passione sopita, risvegliare il senso di appartenenza. Nel 1919 Pietro Carlo Baccari, con l’aiuto dei fratelli Alfredo ed Antonio, riuscì a
mettere insieme gli amici, che un tempo si divertivano con la “palla i pezza”, per costituire una vera e propria squadra. Per la cronaca è bene ricordare che il gioco più amato al mondo nacque il 26 ottobre 1863 quando dodici rappresentanti di società sportive e università della capitale britannica si ritrovano alla Freemasons’ Tavern di Londra per creare la Football Association e stabilire che il football andava giocato solamente coi piedi, e che anche i calci negli stinchi dovevano essere considerati falli. Nacquero così le prime regole. Nato tra le élite della gioventù inglese ci
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metterà un ventennio per diventare un fatto sociale. Questo succederà quando viene inaugurata la settimana corta, il sabato libero permetterà agli operai inglesi di andare a giocare a foot-ball e così da quel momento diventerà un gioco di massa e quasi emarginerà l’èlite, che continuerà a comandare ma a giocare molto meno.
La squadra creata da Baccari, tanti anni più in là, si decise di chiamarla Vigor a voler simboleggiare l’incrollabile fede e speranza nel nuovo gioco del calcio dei giovani che la componevano con forza, coraggio e vigore.
La prima divisa della Vigor era composta da una maglia bianca con una larga striscia Verde sul petto e pantaloncini bian-
chi. Il bianco voleva sottolineare la massima lealtà che animava i giocatori, il verde per significare la speranza di far sempre meglio.
Ogni partita costituiva un impegno supremo che non poteva essere tradito: “Bisogna cercare di vincere, perché la sconfitta è un disonore e la Vigor non può percorrere questa strada” come diceva Baccari ai suoi ragazzi. La squadra dei “Pallisti” (all’epoca non era stato ancora coniato il termine calciatori) biancoverdi da allora ne ha fatta di strada, diventando un simbolo per le ge-
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nerazioni a venire. La Vigor non è più una squadra o una società; è l’essenza stessa del calcio in cui si sposano la fede e la passione, il cuore e la ragione, l’amore e l’odio, l’entusiasmo e la sofferenza. Per celebrare questo secolo di passione sono state sviluppate tante idee messe subito in cantiere da sabato 23 giugno con una Mostra Fotografica, sull’isola pedonale di Corso Nicotera, prologo di una serie di eventi che si protrarranno fino alla fine del 2019. Una sorta di aperitivo-apripista. Non poteva certo mancare l’idea di un
Logo che racchiudesse l’essenza storica della fondazione della Vigor e dei suoi 100 anni con l’effige dei fratelli Baccari posti al centro dell’attenzione. Un logo del tutto particolare, su sfondo cromaticamente biancoverde, graficamente innovativo nel simboleggiare l’epoca di fondazione societaria, tramite l’ausilio delle effigi dei tre mitici fondatori della Vigor, con tanto di look postbellico da “prima metà del 900”. Un Logo singolare che non ha mancato di generare simpatiche attenzioni e tanta curiosità tra i molti che hanno ammirato la mostra ma non solo.
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Carissimi lettori, ho conosciuto personalmente l’autore del libro, di cui parlo questa volta. Un libro che ci parla della nostra Storia. Che non poteva essere scritto se non da un animo colto, attento ai particolari, ma, soprattutto, dalla delicata profondità. Indagare in un fatto storico che toglie vita e resta impresso per la sua tragicità, non è per nulla facile. Specie se, alla tragicità, si mescolano Destino e Abnegazione, che contrastano fra loro. Giovanni Petronio ci è riuscito. Con il suo I RAGAZZI DELLA FIUMARELLA, volume edito da LINK EDIZIONI, Lamezia Terme, non solo fa sì che non dimentichiamo le belle anime volate via in giovane età, ma fa che esse rivivano per noi, di esempio, in un mondo che ha quasi dimenticato aspettative e speranze: affinché sappiamo cogliere ancora, pur in un tempo che corre, la lentezza del cuore, non dimenticando la nostra vera essenza. Si coglie, già nella dedica, lo spirito che anima l’autore, nell’esporci, non solo i fatti, ma l’anima dei fatti, secondo un gran concetto di manzoniana memoria. “Alla memoria dei ragazzi della Fiumarella, di coloro i quali sono diventati per me dei compagni di viaggio. Alle loro amate e mai dimenticate mamme. A chi continua ad amarli e a ricordarli per sempre.” A tal proposito, il libro presenta anche una galleria fotografica molto interessante. Ci viene data, per la prima volta, l’occasione completa di conoscere le anime di cui si parla, ammirarne la forza e la semplicità dei volti. Un fatto storico entra nell’immaginario collettivo, anche se lontano da noi. Non ero nata, quando si consumò la tragedia della Fiumarella, ma i miei genitori, ogni volta che giungevamo nei pressi del Ponte più alto d’Europa ad una arcata, non dimenticavano mai di ricordare i non sopravvissuti, in gran parte giovanissimi, essendosi consumato il tutto, in prossimità della chiusura delle scuole, per le festività natalizie. Giovanni Petronio, fa rivivere quei ragazzi Lamezia e non solo
e a tutti dona, non solo anima, ma voce: restituisce loro un sapere antico, che sa di vita e di speranza. E dà voce a chi è rimasto, a chi ha fatto di loro un simbolo e un baluardo di trepidazione e volontà di vita bella. Petronio permette, non solo che la memoria non si cancelli, ma offre un’ottima occasione di confronto ai giovani, raccontando, è vero, i fatti dolorosi, ma anche svelando ciò che nulla ha di antico, ma che trasuda attualità, nella freschezza di ogni gioventù che sogna. I sogni, forse, sono diversi, ma l’ardore dell’età che si affaccia alla vita, in fondo, è sempre la stessa. E, in ciò che è diverso, di cui sentiamo la discrepanza, è facile sentire una carezzevole nostalgia, non per il tempo andato, ma per ciò che è vero e genuino. La narrazione dei fatti è condotta come quella degli antichi corrispondenti: seria, oculata, colma di particolari, ma anche piena di rispetto, per tutte le parti coinvolte. Lo spirito del vero narratore è presente in Giovanni Petronio che, senza cercare le colpe, come molte voci narranti oggi fanno, cerca l’essenziale per la memoria e per il servizio alla realtà odierna. La domanda che l’autore si pone non è mai il cui prodest? contemporaneo, ma quella che individua le ragioni in un fatto che, fosse o non fosse ineluttabile, è, comunque, accaduto, lasciando una traccia in noi, come quella di un terremoto. Perché la perdita di quelle vite umane, non fu solo un fatto di cronaca, ma distrusse, purtroppo, quasi un’intera generazione, l’intero futuro di una zona della Calabria.
soccorso ai viaggiatori rimasti feriti” (cfr. pag. 189), perché i sopravvissuti poterono evitare il peggio solo grazie a chi mise in pericolo, per loro, la su stessa vita. Capitolo di grande riflessione, perché, in quei nomi, ritroviamo tutto il nostro intimo, ancestrale, calabro amore. Il libro termina con un poema, scritto in Adami dal Sacerdote Rocco Puzzo: LA SCIAGURA IN FIUMARELLA (pag.211). Questa insolita conclusione marca, ancor più, la dimensione interiore di tutto il narrato, che Petronio ha voluto eseguire col taglio che gli è oltremodo congeniale: quello che, dalla mera cronaca, possa non staccare mai l’umano. Il racconto di una tragedia potrebbe allontanare i lettori superficiali, ma io consiglio a tutti di leggere e meditare questo libro, come saggio storico e come volume che apra gli occhi del cuore ad una luce più vasta. Esso ha proprio il merito, oltre che di farci conoscere tutti i particolari dei fatti, ha anche il pregio di farci procedere verso orizzonti più elevati. Un testo di pregio, perché leggere non può essere soltanto hobby e passatempo, ma deve farci scoprire anche la reale natura di cui siamo fatti… Buona (speciale) lettura. Alla prossima e…BUONA ESTATE.
Oggi, a leggere di loro, di quei ragazzi, che, forse, altrimenti, non avremmo mai conosciuto, perché persi nel bell’anonimato della vita, dell’esistenza quotidiana, ci si chiede se avremmo potuto conoscerli attraverso le loro aspettative realizzate… E, con Giovanni Petronio che ci riporta le loro immagini e di loro parla, ci si chiede cosa avremmo, oggi, potuto ammirare di loro… Egli non si limita solo a tutto questo, ma parla anche di coloro che vennero insigniti del Premio Stella della Bontà, essendosi prodigati “con abnegazione nell’opera di GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844
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L’angolo della Grafologa
La grafologia nella prevenzione e nella rieducazione della devianza Scopo della società non è solo quello di individuare i criminali e punirli, ma anche quello di operare una forma di prevenzione e di rieducazione del criminale stesso per recuperare quelle individualità deviate e riportarle ai valori della società, o meglio ancora, evitare, sin dall’origine, con la prevenzione, che delle individualità possano trasformarsi in criminali. Le due prospettive programmatiche che concorrono nello sviluppo delle scienze sociali, pedagogiche e psicologiche, sono la prevenzione del delitto e la rieducazione del delinquente. I risultati delle ricerche svolti in questi campi hanno evidenziato la forte e reciproca influenza “dei fattori ambientali e dei connotati psichici della personalità nelle sindromi delinquenziali”1. È certo che l’anti-socialità del comportamento, la devianza, che caratterizza tutte le manifestazioni criminali, è il risultato di una serie di condizioni familiari, educative, sociali, economiche, soggettivamente negative che interagiscono con strutture individuali particolarmente recettive. La definizione “soggettivamente negative” si riferisce al fatto che la negatività non debba sempre essere assimilata alla povertà, ad una educazione autoritaria, o al sentimento di inferiorità dovuta allo status sociale, anzi, classificare in maniera statica in queste categorie può portare solo ad influenzare, a distorcere l’opinione pubblica e quindi accrescere la possibilità che tali situazioni possano costituire il substrato reale ed addirittura la causa principale del crimine. Infatti sono proprio questi stereotipi a creare la convinzione, negli individui, che questo sia il loro destino e che nulla possa cambiarlo. Tuttavia non è così, perché anche una condizione di agiatezza economica, una forma di educazione permissiva e l’appartenenza ad uno status sociale rispettabile, possono condurre al de1 G. Galeazzi , N. Palaferri , F. Giacometti, La grafologia, p. 378.
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litto perché “soggettivamente negative”. In cosa consiste la tendenza criminale? Sicuramente non in stereotipi classificabili, in una tipologia specifica di interazioni tra fattori psicologici e ambientali predeterminate, ma consiste nelle modalità individuali in cui si attua tale interazione. Quando parliamo di tendenza ci riferiamo alla possibilità che un soggetto, il quale presenti una predisposizione a rischio disadattivo, può trovare delle condizioni ambientali le quali, insieme le esperienze del vissuto personale, possono maturare dei requisiti idonei al contenimento della tendenza, senza ripercussioni, senza rischi, incanalando la tendenza stessa, quindi la potenziale pericolosità rimuovendola senza danni. Ma non sempre avviene ciò, infatti, a causa di una interazione negativa tra il soggetto con temperamento difficile, ed un ambiente ostile, può aumentare la reazione di disagio, aumenta il rischio degenerativo per cui il soggetto può sconfinare nella devianza, cioè, in comportamenti anti sociali. La condotta deviante è oggetto di studio da parte di varie discipline tra cui la criminologia che si occupa in particolare di quelle situazioni devianti sfociate in condotta criminale. L’aspetto forse più affascinante della criminologia è proprio quella della definizione dei profili criminologici. Ciò consiste nel costruire, da parte del criminologo, partendo dal modus operandi del criminale sconosciuto, un identikit psicologico che aiuti a restringere il campo dei sospetti, per pervenire infine , ad identificare il colpevole. Ma quando ci troviamo di fronte un caso criminale, obbligatoriamente ci troviamo di fronte un uomo con la sua individualità, con il suo vissuto, con la sua condizione di vita che spesso riflette un disturbo di personalità, “ una situazione psicomentale che è sfociata in azioni devianti a seguito di un tipo di sviluppo che ha portato
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il soggetto a discostarsi dalla norma”2 . Altro elemento oggetto di studio è quello della responsabilità “… uno degli interessi principali della psichiatria nei confronti della criminalità, dei disturbi mentali e del pazzo criminale, riguarda il problema della responsabilità dell’accusato per l’atto criminoso commesso”3 . Infatti, pur essendo vero che i soggetti disturbati nella personalità non sono perseguibili, è pur vero che non possono essere lasciati liberi di sfogare i propri istinti. Tuttavia è difficile limitare il campo della responsabilità o della non responsabilità in quanto “… la responsabilità (…) non è un dato che possa essere misurato come una funzione psicologica, perché è in primo luogo una funzione della socializzazione. In relazione all’età e al tipo di trasgressione cambiano solo le modalità pratiche di convinzione, dissuasione, punizione ecc., il che peraltro ha una notevole rilevanza sotto molti aspetti”4 . Ovviamente la mancanza di responsabilità non può essere la scusante per una riduzione di pena o per altre facilitazioni che possano permettere al soggetto deviante ed anche pericoloso, di ritornare in società a rischio di ulteriori crimini, ma è necessario che a tali soggetti sia data la possibilità di una riabilitazione che li aiuti ad un reinserimento sano nella società e soprattutto che non siano relegati in strutture simili lager, ma in strutture professionali adatte a tale scopo.
Maria Gabriella Sanvito Grafologa Consulente tecnico grafologico giudiziario perizia su scrittura Gabriellasanvito74@gmail.com 2 I. Zucchi, Il rapporto devianza –grafismo, p.293. 3 E. L. Hinsie, R. J. Campbell, Dizionario di psichiatria, p. 172. 4 G. De Leo, L’interazione deviante, p.19.
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La parola alla Nutrizionista
La gravidanza In gravidanza è molto importante pianificare un’alimentazione corretta. Gli errori nutrizionali fatti un questo periodo si ripercuotono sulla madre e rappresentano il primo step dell’obesità infantile. • Il primo errore che non si deve fare è pensare di dover ’’mangiare per due‘’, sicuramente le esigenze nutrizionali cambiano rapidamente, sia qualitativamente sia quantitativamente; ma l’aumento di peso dovrebbe essere tra i 9 e i 12 kg. A livello calorico l’incremento dovrebbe essere distribuito aumentando 50 kcal nel primo trimestre, 100 kcal nel secondo trimestre ,250-350 kcal nel terzo trimestre. E’ importante suddividere la quota calorica in 5-6 pasti: 3 pasti principali (colazione, pranzo e cena)2-3 spuntini (metà mattina, metà pomeriggio e talvolta prima di coricarsi). Il frazionamento ha lo scopo di rendere ciascun pasto leggero senza quindi appesantire lo stomaco. • Il secondo errore sono l’eliminazione dei carboidrati, perché magari si sta aumentando di peso! I carboidrati sono una componente essenziale della dieta, costituiscono la fonte di energia più importante. E’ consigliabile utilizzare alimenti integrali, in quanto contengono la fibra che aumenta il “senso di sazietà”. I carboidrati complessi sono fondamentali per una corretta crescita fetale. Ciò che bisogna ridurre per non aumentare di peso e non avere problemi glicemici sono gli zuccheri semplici, quindi no a bevande zuccherate, no a zucchero nelle tisane e neanche ad una quantità elevata di dolciumi. Che cose il diabete gestazionale? il diabete gestazionale è una patologia legata unicamente alla gravidanza, gli ormoni della placenta tendono a contrastare l’azione dell’insulina prodotta dalla madre impedendo di assorbire in maniera adeguata gli zuccheri. Viene diagnosticata intorno alla 28 settimana in seguito ad un esame chiamato curva glicemica che consiste nel misurare la glicemia per tre volte in tre momenti diversi: prima di assumere una quantità di 75 grammi di glucosio e poi, nuovamente, a distanza di un’ora e di due ore. Normalmente la glicemia a digiuno non dovrebbe superare i 95 mg/dl mentre dopo i pasti dovrebbe essere meno di 120 mg/dl. E’ necessario prestare attenzione alla glicemia in gravidanze perché se i livelli della madre sono molto elevati dopo la tredicesima settimana il pancreas del bambino reagirà producendo insulina, l’eccesso d’insulina favorirà lo sviluppo del tessuto adiposo con la conseguenza di un parto difficile e un bimbo molto grosso con tendenza negli anni successivi all’obesità. Se con la dieta e l’attività fisica non si riesce a ristabilire
degli acidi grassi omega 3 Importantissimo è il consumo di frutta e verdura. Per la frutta è importante non superare le tre porzioni giornaliere da 150 gr. Le vitamine e i Sali minerali giocano un ruolo importantissimo, come la vitamina D e l’acido folico. L’ acido folico è una vitamina che appartiene al gruppo B, essenziale per il normale sviluppo di cervello, colonna vertebrale, cuore reni. L’acido folico si trova nella frutta e nella verdura, ma non in quantità sufficienti per coprire i bisogni della gestante. Per questo motivo è importante, per chi programma una gravidanza e durante il primo trimestre, l’assunzione di 0,4 mg al giorno. Il farmaco è prescrivibile gratuitamente dal proprio medico e serve per prevenire i difetti del tubo neurale, spina bifida. La vitamina D è altrettanto importante durante la gravidanza ed ha un ruolo chiave nel corretto assorbimento del calcio. Se l’apporto di calcio con la dieta non è sufficiente, non sempre induce disturbi nel feto, però può provocare un’eccessiva demineralizzazione ossea nella madre. L’apporto di ferro in gravidanza, pur facendo un’alimentazione equilibrata, è difficile da raggiungere . In particolar modo, gli alimenti di origine animale come carne e pesce hanno una biodisponibilità del Fe-eme, mentre gli alimenti di origine vegetale hanno una biodisponibilità ridotte di Fe-non eme. Per aumentare la biodisponibilità del Fe-non eme si consiglia di associare Fe-eme con Fe-non eme Es. Carne e spinaci; Tonno e fagioli oppure Associare Fe-non eme con Vit. C Es. Spinaci e Limone; Lenticchie e Broccoli; Rucola e pomodoro altrimenti scegliere agrumi o kiwi come frutto a fine pasto. Spesso in gravidanza si soffre di stipsi, a causa di un rallentamento della motilità intestinale, probabilmente dovuto agli elevati livelli di progesterone. E’ importante per questo motivo consumare cibi ricchi di fibra, bere molta acqua (2-3 litri al giorno) e fare un po’ di attività fisica. In gravidanza è opportuno moderare il consumo di sodio (sale) per ridurre la ritenzione idrica, mentre sono particolarmente consigliati spinaci, broccoli, cavoli, la verdura a foglia scura e il tuorlo dell’uovo, in quanto ricchi di un pigmento antiossidante, la luteina, importante per il corretto sviluppo della retina del futuro nascituro. Infine alcuni alimenti dovrebbero essere evitati, in quanto potrebbero causare tossinfezioni da batteri o altri microrganismi: come la Toxoplasmosi , Lysteriosi o Salmonellosi. Ecco qui una breve lista di alimenti da evitare. Metodo di preparazione degli alimenti: SICURO/RISCHIO
la glicemia bisognerà ricorrere all’insulina in quanto non si possono usare iopoglicemizzanti orali perché sarebbero dannosi per il bambino. Per quanto riguarda invece il fabbisogno proteico è normalmente 1gr di proteina per ogni chilo di peso, in gravidanza la quota aumenta: le proteine sono i mattoni dell’organismo, necessari per sostenere la sintesi dei tessuti materni e fetali. I grassi (lipidi) sono la fonte di energia per il feto, vanno preferiti quelli di origine vegetale (olio extra-vergine di oliva) rispetto a quelli animali (burro). Tra i grassi, importantissimo è il consumo Lamezia e non solo
Carni crude RISCHIO Insaccati non stagionati (meno di 30 gg.) (salsiccia o salame fresco) e/o prodotti a livello familiare RISCHIO Carne affumicata RISCHIO Verdure fresche/insalate anche se acquistate prelavate confezionate RISCHIO Latte di capra crudo sfuso proveniente direttamente dalla mungitura RISCHIO Latte Pastorizzato SICURO Carni, anche crude, consumate dopo congelamento per almeno 24 ore SICURE Carne cotte ad almeno 60° C per alcuni minuti (colore scuro alla superficie di taglio) SICURA Prosciutto cotto, mortadella, Salame cotto SICURI
Alma Battaglia Biologa Nutrizionista Vice presidente SIPS delegazione Calabria FB Centro Nutrizione Sport Salute
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Spettacolo
“FATTI DI MUSICA 2018”:
SUCCESSO E PREMIO PER GIO’ DI TONNO, Con il seguitissimo concerto di Giò Di Tonno in Piazza del Santuario di Maria SS. delle Grazie di Tresilico di Oppido Mamertina, primo del suo tour estivo “A volte Giò, a volte no”, si sono conclusi i tradizionali Festeggiamenti predisposti dall’Associazione Culturale “I Ponti” e dal Comitato Feste, legati all’apparizione della Madonna che ebbe la mistica Rosa Vorluni, nella prima metà dell’800, nell’antico e suggestivo centro aspromontano in provincia di Reggio Calabria. I tre appuntamenti, tra musica e cultura, hanno registrato un grande interesse e una folta partecipazione popolare, culminata con il concerto dell’artista abruzzese e della sua band. Dopo il successo di Notre Dame De Paris, in cui sin dalla prima edizione italiana di David Zard del 2002, su scelta dello stesso Riccardo Cocciante, ha interpretato in modo impareggiabile il personaggio di Quasimodo, Giò Di Tonno è partito col tour che lo porterà in lungo e largo per l’Italia. Durante due ore di concerto, ha sfoderato tutta la sua bravura di artista completo e di cantante dalla voce unica e possente, eseguendo i suoi successi più noti, i celebri brani delle Opere musicali di cui è stato protagonista, apprezzatissimi omaggi a nomi storici della canzone d’autore e, finanche, dei piccoli sipari con l’imitazione di big della canzone, da Guccini a Califano. Confermate ecletticità e straordinaria bravura, che gli hanno consentito di vincere un Festival di Sanremo, un’edizione di “Tale e quale Show” di Carlo Conti e di imporsi come autentico protagonista della stagione televisiva appena conclusa, nel programma “I fatti vostri” di Michele Guardì. Numerosissimi i suoi fan
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arrivati a Tresilico anche dai centri vicini. Con lui, nel mezzo di un elegante allestimento ricco di effetti e immagini, la sua band composta da Pasquale Angelini, Marcello Ingrosso, Egidio Marchitelli, Mauro Vaccarelli e dalla corista Cynzia Cirone che, prima dell’inizio del concerto, ha accompagnato l’arrivo della Statua della Madonna nel Santuario, eseguendo una emozionante “Ave Maria” di Schubert. L’evento era inserito nel ricco programma della trentaduesima “Fatti di Musica Radio Juke Box”, il festival del live d’autore ideato e diretto da Ruggero Pegna. Ospite della serata è stato l’orafo crotonese Gerardo Sacco, che ha realizzato il Riccio d’Argento, prestigioso premio del festival, e un quadro della Vergine in oro e argento consegnato al Rettore del Santuario con l’impegno, anticipato da alcune bozze, di realizzare per il prossimo anno una creazione per la venerata Statua della Madonna delle Grazie. A fine concerto, il promoter ha chiamato sul palcoscenico il sindaco di Oppido, dottor Domenico Giannetta, che ha consegnato a Giò Di Tonno il riconoscimento del Festival. Per Tresilico, come ha sottolineato il sindaco, una serata indimenticabile e da incorniciare, come le altre che l’hanno preceduta. Molto seguito era stato, infatti, anche l’incontro letterario d’apertura dedicato all’attualissimo tema “Migranti e Diritto al futuro”, con il romanzo “Il cacciatore di meduse” dello stesso promoter-scrittore. A discutere di integrazione, accoglienza, razzismo e di ogni aspetto connesso, partendo dalla storia di Tajil, il piccolo migrante somalo sbarcato a Lampedusa con la madre, sono stati la professoressa Antonietta Bonarrigo, don Letterio Festa, don Benedetto
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Rustico, Rettore del Santuario, l’autore e l’editore Michele Falco, in un Santuario stracolmo e attento. Infine, unanimi consensi e apprezzamenti ha ricevuto il giovane cantautore calabrese Francesco Sicari, che sabato sera ha tenuto il suo concerto accompagnato da Massimo Cusato, batteria e percussioni, e Attilio Costa, chitarre. Autore dell’originale e bellissimo album “Spartenza”, che ha messo in luce le sue qualità di musicista, autore e compositore, Sicari è certamente tra i cantautori più ispirati e promettenti nel panorama degli emergenti italiani. Il suo concerto si è realizzato anche grazie alla collaborazione dell’Assessorato Regionale al Turismo nell’ambito del progetto “La Calabria è talento”, ideato dallo stesso Pegna per mettere in luce e valorizzare i veri talenti della regione. “Oppido, con la sua Tresilico, che ne è una frazione connotata da un forte sentimento di appartenenza” ha detto il promoter al termine dei vari appuntamenti - è certamente uno dei luoghi calabresi dal Patrimonio culturale e paesaggistico inestimabile, a cominciare dalla maestosa Cattedrale, sede della Diocesi, che domina una delle più belle piazze della regione. Non c’ero mai stato e ne sono rimasto molto colpito. Credo che il Santuario e la gigantesca Cattedrale, che conservano intatti secoli di storia, meritino di essere visitati, come i vari borghi che rappresentano una Calabria a molti sconosciuta, ricca di suggestioni e umanità, davvero da scoprire. Ringrazio tutti per il calore e l’affetto ricevuti.”.
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