Lameziaenonsolo incontra Daniela Rambaldi novembre 2018

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Lameziaenonsolo incontra

-Nella Fragale-

Daniela Rambaldi

Come detto nel cappelletto dell’altra intervista due donne questo mese, che hanno in comune non solo un cognome importante ma anche l’essere diventate, nel tempo, donne importanti, donne che non hanno vissuto all’ombra del cognome ma che ne hanno saputo mantenere vivo il ricordo, distinguendosi e facendosi conoscere per la propria, spiccata, personalità. Daniela Rambaldi è, a mio avviso, una donna dalla disarmante bellezza e ... semplicità. Una donna che avrebbe potuto avere Hollywood ai suoi piedi se solo lo avesse voluto ma ha scelto di essere sposa, e di essere madre, e che madre! Un esempio per una società che sembra voler vivere sempre e solo sotto i riflettori.

Intanto la ringrazio per avere accettato di farsi intervistare. So che è stata intervistata parecchie volte ma, pur parlando di suo padre, in questa intervista cercheremo di conoscere meglio lei, Daniela Rambaldi.

poi mio padre mi rassicurò facendomi vedere che si muoveva solo se lui decideva di farlo muovere, allora ebbi il coraggio di farmi un giro seduta sul grande palmo della mano di Kong.

Cominciamo subito con una domanda che si sarà sentita fare spesso, lei come tutti i figli di personaggi così famosi, cosa si prova ad avere un cognome così importante? Si prova una enorme responsabilità oltre che orgoglio. Pesa la responsabilità dell’essere all’altezza di portare a termine progetti rimasti nel cassetto.

Dicono che dietro al successo di un grande uomo ci sia sempre la presenza di una grande donna. Lei può confermarlo? Assolutamente si. Mia madre ha gestito da vera PR ogni aspetto pubblico e privato della vita di mio padre. Mio padre si è sempre e solo concentrato sulla sua creatività.

Come mai, suo padre Ferrarese, è approdato a Lamezia Terme? Per merito o per colpa mia! Il detto “vai dove ti porta il cuore” descrive perfettamente le circostanze, avendo io sposato un lametino! Anche se in Italia suo padre aveva lavorato con grandi registi come Mario Monicelli, Marco Ferreri, Pasolini, Dario Argento, solo per citarne qualcuno, fu l’America che gli consentì di rivelare al mondo la sua genialità, come mai? È stato perchè in America aveva più mezzi e soldi a disposizione per creare opere grandiose? Esattamente. L’America gli ha dato l’opportunità di esprimere il suo talento geniale in quanto le produzioni hanno la possibilità di investire enormi cifre nel cinema. Eppure già nel 1971 le sue creazione erano così “reali” che per alcune scene che coinvolgevano animali nel film Una lucertola con la pelle di donna , regista Lucio Fulci fu citato in tribunale per maltrattamento e crudeltà verso e la condanna decadde perchè suo padre fornì alla Corte scene tagliate del film dalle quali si evinceva che si trattava di animali finti, è vero? Verissimo. Fu chiamato in tribunale per dimostrare che quei cani squarciati in alcune scene del film erano finti.

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Ha vissuto e vive fra l’Italia e l’America, ha conosciuto star di fama internazionale, fra le donne quale, secondo lei, si può definire una autentica diva? E fra gli uomini quale ritiene veramente carismatico? Sono tutte dive sul red carpet, ma la vera diva è colei che incontri al supermercato e si comporta normalmente senza darsi molte arie, e di queste dive, ad Hollywood, ce ne sono tantissime. In Italia invece, ho notato che al primo film da protagonista ci si sente subito “DIVA”! Tra gli uomini, senza alcuna esitazione, Michael Jackson il più carismatico.

Come era vivere con una persona geniale come suo padre? Non so perchè ma guardando le foto di suo padre, ho sempre pensato, per una certa luce negli occhi, ad Albert Einstein. Dicono che vivere con i geni non sia facile, è così? Come era il rapporto con suo padre? Non tradizionale direi. Da bambina soffrivo del fatto che mio padre non avesse mai orari prestabiliti, non era mai presente agli incontri scuola famiglia ne mi accompagna ai compleanni, ma la sua presenza la sentivo forte ed avvolgente tramite mia madre, alla quale lui aveva delegato anche il ruolo di padre. A lui bastava sapere che ero al sicuro.

E sempre pensando alla sua vita in mezzo a questo mondo dorato, le è capitato, da adolescente, di “innamorarsi” di un attore famoso? Si, da adolescente ero innamorata persa di Bruce Willis!

Come ha vissuto la piccola Daniela il trasferimento dall’Italia all’America? Dagli studi di Cinecittà a quelli di Hollywood?

Quando suo padre vinse il primo oscar, per King Kong lei era piccolissima, ha qualche ricordo di questo enorme gorilla, cosa ha pensato quando lo ha visto la prima volta avendo la consapevolezza che lo aveva costruito suo padre? Avevo quasi 7 anni quando arrivai a Los Angeles, dopo qualche giorno mio padre ci accompagnò negli studios di De Laurentiis dove stavano girando King Kong. Rimasi affascinata e spaventata dal braccio lungo 6 metri. Quando GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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viaggiavo nei weekend per raggiungerlo in Puglia, dove, avendo lui un’azienda importante di abiti da sposa, mi divertivo a mettere in pratica la mia passione, la moda. Terminati gli studi dovevo rientrare negli Stati Uniti, ma al cuore non si comanda e cosi decidemmo di sposarci, trasferendomi in Puglia. Purtroppo, forse per l’età troppo giovane, dopo 5 anni e tre bellissime bambine il matrimonio finì. Dovevo fare rientro negli Stati Uniti ma prima mi aspettava una breve vacanza in Calabria, ospite di una cara amica…e qui conobbi il mio attuale marito. Da questo colpo di fulmine sono nati due bambini, arrivando a quota 5! Ho bellissimi ricordi della mia infanzia ad Hollywood. Ricordo ancora l’entusiasmo del viaggio Roma-Los Angeles, arrivammo la sera prima della serata degli Oscar (1977) pensando di rimanere appunto solo una settimana, ma nel giro di poche ora (dopo aver ottenuto l’Oscar) il mio destino cambiò e la decisione di rimanere a Los Angeles fu presa in un batter d’occhio dai miei genitori. Un mondo che i miei occhi da bambina vedevano come spettacolare. Che bambina è stata Daniela? Vivace, quieta? Che rapporto aveva con i suoi genitori e con i suoi fratelli? Daniela bambina, un po’ viziata prima, un po’ ribelle dopo. Io sono nata dopo molti anni dai miei fratelli, dal desiderio di mio padre di avere una femminuccia. Ahimè, mi veniva concesso tutto! Ci parli di lei come donna, della sua famiglia, si è sposata giovanissima ed ha una famiglia numerosa… Sono cresciuta a Los Angeles avendo sempre nel cuore l’Italia dove puntualmente tornavo qualche settimana durante il periodo estivo. Dopo il diploma liceale negli USA, decisi di iscrivermi all’Accademia Europea d’Alta Moda e Costume Koefia a Roma. In questo triennio frequentavo quello che sarebbe poi diventato mio marito, e

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Come è il rapporto con i suoi figli? È una

Assolutamente appagata dalla scelta. Si dice che non è mai troppo tardi, oramai i figli sono cresciuti, non le piacerebbe provare? Per quanto possa sembrare strano, sono abbastanza timida e non mi sento completamente a mio agio davanti ad un pubblico. A proposito di figli, mi pare che solo una delle sue figlie, Cristina, faccia l’attrice, è contenta di questa decisione? Le capita di darle consigli? Sono felice della sua scelta, mi rispecchio alla sua età. Lei è molto più testarda di me in questo e non demorde in un mondo che reputo una giungla. Ha già fatto moltissime cose sia in America che in Italia ed è molto apprezzata. Non ho mai pilotato la sua scelta e mi limito semplicemente a darle consigli se mi viene chiesto.

mamma amica o una mamma severa? Sono diventata mamma diciamo in due tranche, la prima da giovanissima, basti pensare che a 24 anni avevo già 3 figlie, la seconda tranche ad un’età più matura e consapevole. Penso che con le prime tre io mi sia divertita molto, appunto ero “bambina” anch’io e siamo cresciute insieme. Oggi cerco d’essere più severa ma sempre con un approccio amichevole. Ci riesco? Ci provo!

È una domanda ispirata dalla curiosità, come mai ha Cristina ha il doppio cognome? A Los Angeles è consuetudine usare entrambi i cognomi dei genitori. Cosa è l’amore per Daniela Rambaldi? “L’amore è la tempesta del piacere e l’incanto della dolcezza”. Questa frase, (cit. anonimo), racchiude alla perfezione il mio pensiero sull’amore!

È una bella donna, ha un cognome importante e, mi pare di avere letto, ha anche studiato recitazione, credo non le sarebbe stato difficile entrare dalla porta principale nel mondo della celluloide, non lo ha fatto perchè ha preferito dedicarsi alla famiglia. Ripensandoci oggi, è pentita della scelta fatta? In realtà mentre studiavo in accademia ho preso parte ad una serie T.V. prodotta da Pupi Avati. Avrei potuto continuare certo, ma dopo essere diventata mamma, staccarmi da loro non era una cosa che prendevo in considerazione. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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Che moglie è Daniela? Questa domanda bisognerebbe farla a mio marito! Stiamo insieme da 23 anni, forse sarò una brava moglie! Ama leggere? se sì cosa preferisce leggere? Preferisco i film, ma quando sono sola a casa o in aereo mi piace rilassarmi con un buon libro. Scelgo sempre libri biografici o autobiografici, preferibilmente di Donne che raccontano la loro vita. E la musica che ruolo ha nella sua vita? Marginale, di sottofondo. Non amo il rock! E la religione quanto è importante per lei? Sono cresciuta in una famiglia con una mamma cattolica ma non praticante, e un padre ateo. Non vado a messa la Domenica ma quando sento la necessità. Trovo che ci siano molte controversie e questo mi fa pensare, senza mai mettere

per la moda? Penso sia una passione innata che poi ho sviluppato, come molte bambine a cui piace provarsi i vestiti della mamma, perché mi piaceva disegnare. Per diventare stilista ha fatto degli studi particolari o la sua è una passione innata? Certo. Ho perfezionato la mia attitudine alla moda, lo stile, i colori, gli abbinamenti quando ho frequentato l’Accademia d’Alta Moda e Costume Koefia. Ricordo le parole di mio padre che mi sollecitava dicendomi “chissà’, magari puoi diventare costumista e vincere anche tu un Oscar” ! Come ho detto prima non è mai troppo tardi e, magari, non è detto che non accada! Parliamo del suo Marchio DaRà, ci vuole parlare delle sue creazioni? DaRà è nata negli anni ’90 quando nella azienda del mio ex marito mi fu data l’opportunità di creare una mia linea dopo aver disegnato le prime collezione pret a porter della Conbipel, che all’epoca produceva solo capispalla. Poi, ci fu una pausa durata parecchi anni fino ad averla, nel 2014, rimessa in piedi in California con una linea di costumi bagno/lingerie. Da dove nasce l’ispirazione per creare le sue linee e quali linee produce? Per DaRà trovo ispirazione dalla femminilità delle Donne. Trovo che un costume possa diventare un prezioso capo di lingerie e viceversa, senza mai cadere nella volgarità o provocazione.

in dubbio che un Dio c’è. Una domanda che faccio a tutti … perchè mi tocca: ama gli animali? Moltissimo. Ho due beagle meravigliosi ai quali manca sola la parola. Ora lasciamo la famiglia e le sue preferenze e parliamo del suo lavoro, lei è una stilista, da chi ha preso questo amore Lamezia e non solo

I suoi capi vengono prodotti in Italia o in America? In America.

Ci stiamo lavorando Bene! Parliamo ora di un’altra, importante, delle sue molteplici attività: Lei è vice presidente della Fondazione Culturale Carlo Rambaldi che ha creato insieme a suo fratello Victor. Ce ne vuole parlare? Certamente, anzi fremevo che mi fosse chiesto! La Fondazione nasce nel 2014 per preservare e divulgare la figura di mio padre e la sua carriera arrivata all’apice nel mondo del cinema internazionale. Attraverso la Fondazione stiamo dando vita ad un museo dove verranno esposti tutti i cimeli cinematografici sia del cinema Italiano che Americano. Sarà un museo non solo espositivo ma formativo, in quanto ci saranno delle sale nella sede, nelle quali si terranno master class che spazieranno tra tante categorie dietro le quinte. Nel frattempo, credendo fermamente che i geni vengono dalle province, portiamo la mostra e la master class sugli effetti speciali in giro per l’Italia, una sorta di mostra interattiva e itinerante. I ragazzi restano entusiasti di conoscere trucchi cinematografici a loro svelati. Ed, ovviamente, non potevamo non parlarne e non approfondire. La Fondazione Carlo Rambaldi, in collaborazione con l’Università Telematica Pegaso di Lamezia Terme, ha consegnato una lavagna interattiva al Centro Imaginarium, come è nata l’idea? L’idea nasce nel 2015 dando vita ad un evento commemorativo, una serata in memoria di mio padre con una nota benevola. Ogni anno, il 10 Agosto,

Dove li vende? Per il momento solo in America. E chi volesse acquistare una sua creazione in Italia? GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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data della dipartita di mio padre, scegliamo un beneficiario dell’evento. Questa scorsa edizione abbiamo scelto “Imaginarium “ in quanto essendo una realtà in crescita ha bisogno di sostegno. Fortunatamente non abbiamo avuto difficoltà a far sposare la nostra iniziativa all’Università Pegaso coinvolgendo la Famiglia Carbone. Con la fondazione Carlo Rambaldi, state creando un museo a lui dedicato in Emilia Romagna, perché non farlo in Calabria e magari a Lamezia Terme? Perché creare qualcosa di bello a Lamezia, secondo lei, è più difficile che in altre città? No, penso sia difficile in qualsiasi città. È stata scelta Vigarano Mainarda, in provincia di Ferrara, semplicemente per un motivo affettivo di nascita. Certo che mi piacerebbe duplicarlo in Calabria, non dimentichiamoci che Lamezia è stata l’ultima residenza di mio padre per ben 9 anni. Ma purtroppo non è stato preso in considerazione in vita, figuriamoci ora. Non voglio farne una polemica ma credo che Lamezia abbia ben altro a cui pensare. Continueremo a portare gli eventi della Fondazione, mostra itinerante e master class, dove vorranno invitarci…anche in Calabria.

Non posso che darle ragione in merito al riguardo che Lamezia ha per i suoi cittadini illustri, ma caliamo un velo ... Lei è sempre in movimento, non solo per la famiglia, ma anche per gli innumerevoli eventi ai quali partecipa o che organizza, e non solo, è anche portavoce e promotrice di eventi che riguardano il sociale, come l’allarme lanciato per l’ospedale di Lamezia Terme, essere così impegnata è difficile? Penso che “facile” non sia nulla nella vita. Io faccio semplicemente cosa mi appassiona e per questo motivo non mi pesa. E poi, sinceramente, se abbiamo un minimo di voce ed influenza perché’ non metterlo a servizio di altri? È importante sensibilizzare su argomenti sociali che necessitano d’essere in qualche maniera risolti. Probabilmente non risolverò i problemi del mondo ma non voglio rimanere in silenzio sulle tematiche che ho a cuore. Diverse associazioni a Lamezia hanno omaggiato suo padre: l’associazione Attivamente, ha creato una riproduzione in cartapesta di ET, l’associazione UNA ha stampato delle locandine e delle tessere con i soggetti creati da suo padre, forse, quello che manca, è proprio un riconoscimento da parte della “Città”, come abbiamo detto, visto che suo padre ha vissuto nella città della piana, potrebbe riscattarsi cedendo alla Fondazione Rambaldi proprio il Palazzo Rambaldi che versa in pessime condizioni, oppure no? Magari. Ho già in mente cosa ci farei. Tornando agli eventi da le creati quale è stata la molla che le ha fatto creare quello di beneficenza “E.T. sotto le stelle”? Volevo che un giorno, per me profondamente triste, diventasse una festa con lo scopo della beneficenza. Tempo fa, a giusta ragione, fece scoppiare una polemica per il fatto che una statua, dedicata ad ET, che era stata posizionata nella piazza del Comune di Zagarise, era stata tolta e … buttata nei rifiuti, come è andata a finire? L’opera dell’artista Cosimo Allera è adesso esposta all’esterno dell’ingresso del Museo d’Arte moderna e contemporanea Marca.

“Dedicata ad una persona speciale.” che ne pensa? Posso solo ringraziare chi ha visto in me un’ispirazione! Fra tutte le sue passioni che ha quale metterebbe al primo posto? Difficile rispondere in quanto tutte le mie passioni sono al primo posto per me. Ma se proprio dovessi dare priorità per un giorno ad una di esse, sceglierei il ruolo di mamma. Fare la mamma è stata una vera passione, l’esperienza più bella della mia vita, moltiplicata per cinque! Lei torna spesso a Lamezia, pregi e difetti

del vivere in una città come la nostra e pregi e difetti del vivere in un una città come Los Angeles? Domanda da un milione di dollari! Lamezia è una città a dimensione d’uomo dove nel giro di una mattinata

È stata ispiratrice di una poesia che porta proprio il suo nome e cognome, scritta da Mario Giovanelli, che ha anche una dedica: pag. 6

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si riesce a fare bene o male tutto. Los Angeles non è una città ma un’estensione immensa dove il traffico la fa da padrone sempre. A Lamezia scarseggiano le opportunità lavorative, a Los Angeles fioccano. A Lamezia trovi il tempo per un caffè con un’amica, a Los Angeles lo devi programmare su un’agenda fitta di impegni. A Lamezia mandi tranquillamente tuo figlio a casa di un amichetto, a Los Angeles non lo fai perché non ti fidi. A Lamezia tutti sanno tutto di tutti, a Los Angeles non conosci neanche il vicino di casa. E neanche ti interessa. Un consiglio da dare a chi ci sta amministrando, male, in questo momento, mettendo tutti i lametini in ginocchio? Bisognerebbe smettere di guardare e coltivare solo il proprio orticello. Qual è il motto della sua vita? Ne ho due! Vivi e lascia vivere e Trust the journey…fidati del viaggio. Concludiamo con la domanda alla Marzullo che chiude le nostre interviste: la domanda che non le ho fatto e che avrebbe voluto le facessi, si faccia la domanda, ci dia la risposta Cosa ha insegnato ai suoi figli? Alle mie 4 figlie ho insegnato innanzitutto ad essere indipendenti, a viaggiare e scoprire il mondo liberamente ma con estrema cautela e di inseguire le proprie aspirazioni. Al mio maschietto insegnerò le stesse cose con una aggiunta…rispetta

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tutti ma soprattutto le Donne. Ed eccoci alle battute finali, Daniela Rambaldi ha vissuto una fanciullezza ed una adolescenza di quelle che la maggior parte di noi riesce solamente ad immaginare. Frequentare i personaggi del mondo della celluloide, quelli che noi ammiriamo dal grande e dal piccolo schermo, per lei era la “normalità” eppure nel momento in cui la vita la ha messa di fronte ad un bivio ha scelto la famiglia, ha scelto i figli, l’amore, i valori veri della vita, scelta della quale non si è pentita minimamente. Ma, pur facendo la mamma e la moglie, ha continuato a coltivare le sue passioni dedicandovisi poi, quando ha ritenuto fosse giunto il momento, facendosi trovare pronta a fare la stilista, ad avere un brand suo, ad abbracciare cause umanitarie, a portare avanti, con giusto orgoglio, il nome del padre. Shakespeare, parlando delle donne, degli occhi delle donne scriveva :”Dagli occhi delle donne derivo la mia dottrina: essi brillano ancora del vero fuoco

di Prometeo, sono i libri, le arti, le accademie, che mostrano, contengono e nutrono il mondo”. E’ questa la frase che voglio dedicarle, perchè gli occhi di Daniela, sono così, occhi scuri, luminosi, che parlano per lei, delle sue passioni, dei suoi amori, della sua famiglia, occhi che disvelano anche la sua ritrosia, la sua timidezza che, probabilmente, riesce a vincere perchè circondata da affetti sinceri. Spero che vi si ritrovi e spero anche sia questo il primo di altri articoli da dedicarle.

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Istruzione

Integrazione e accoglienza, modelli a confronto: docenti del Campanella in Erasmus a Londra Cinque giornate di full immersion nel sistema di accoglienza e integrazione inglese, a contatto con le tante realtà del Regno Unito che hanno scommesso sull’inclusione come elemento di innovazione e di crescita culturale ed economica. Questa l’esperienza di “Erasmus Plus AK1 Educazione degli adulti” dal titolo “Migrants in Europe: “Promoting Inclusion, Tolerance and Dialogue”, vissuta da alcune docenti del liceo Campanella di Lamezia Terme,

quali la comunità Progetto Sud e lo Sprar e i tanti progetti attivati dalla scuola per promuovere tra i ragazzi una cultura dell’inclusione e uno spirito civico aperto all’incontro con l’altro, in nome di diritti e libertà fondamentali sanciti dalla Costituzione e dalla comune appartenenza alla famiglia europea. Per il dirigente del Campanella Giovanni Martello, “l’Erasmus è un elemento che si inserisce in un percorso che ha da sempre visto la nostra scuola protagonista sui temi dell’inclusione e dell’integrazione, di fronte al dato storico di tante persone che dagli altri Paesi europei ed extraeuropei giungono nel nostro Paese. Trasmettere agli studenti una “visione europea” del mondo della formazione, del lavoro, della società in generale fa parte della mission della nostra scuola, in una realtà sociale sempre più multiculturale e in continua trasformazione”. Tecniche e pratiche ma soprattutto “un messaggio etico da trasmettere ai ragazzi in classe”, quello raccolto dalle docenti lametine ritornate da Londra. Intanto, sempre nell’ambito dei progetti Erasmus, da fine settembre alcune studentesse della VD del liceo delle Scienze umane hanno intrapreso un percorso di studio e lavoro per quattro mesi attività tra l’Inghilterra e l’Irlanda.

organizzato dall’associazione “Itaka Training” di Vibo Valentia insieme al progetto “Kairos Europe” di Londra, che ha visto le docenti lametine impegnate per quasi una settimana a Londra in un percorso intensivo di formazione a aggiornamento. L’attività rientra nell’ambito del progetto “Tutti a Scuola: la ricchezza della diversità per uguali opportunità”, finanziato con fondi strutturali europei. A partecipare al progetti, la docente Lina Serra, referente Erasmus dell’istituto superiore lametino, Maria Iacopino, referente inclusione, e le docenti Licia Di Salvo, Giuliana Manfredi, Pasqualina Ruffa, Olinda Suriano. Visita ad alcune community center londinesi che accolgono rifugiati e residenti asilo, come Caras e l’impresa sociale Haggerstone, lo studio della legislazione inglese in materia di accoglienza e confronto con le norme italiane, focus sui metodi per trasmettere ai più giovani i valori e le pratiche della tolleranza e del dialogo a partire dalla scuola. Questo il fitto programma intrapreso dal gruppo di docenti lametine che, nel corso dei workshop e dei vari momenti di confronto con docenti e professionisti da vari paesi europei, il tutto in lingua inglese, hanno avuto occasione di condividere l’esperienza del Campanella da sempre in prima linea sui temi dell’inclusione e dell’integrazione. In particolare è stata messa in evidenza la collaborazione dell’istituto superiore lametino con realtà locali pag. 8

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ANTONIO SALADINO REPERTI CONTEMPORANEI Gli spazi espositivi del museo MARCA, dal 24 Novembre 2018 al 19 Gennaio 2019, ospiteranno la mostra personale di Antonio Saladino, promossa dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro e dalla Fondazione Rocco Guglielmo. L’esposizione, curata da Teodolinda Coltellaro e intitolata ”Reperti contemporanei”, proporrà alla visione oltre 50 opere scultoree in ceramica, impreziosite da patine e inserti policromi, attraverso cui

nella sovrapposizione di elementi segnici significativi, riconducono alle tracce della storia e alla storia della loro genesi creativa, indicando in ciò stesso la loro leggibilità di opera. Essi sono straordinari e ingannevoli nella loro raffinata sintassi scultorea in ceramica. Sono oggetti di un mondo disperso, spesso torsi mutili, personaggi di una narrazione polifonica che, su più piani, raccontano la storia stessa dell’uomo;

l’artista declina la sua ricerca linguistica in una raffinata narrazione visiva ricca di suggestioni evocative sospese tra arte e archeologia. Nella dimensione museale, i suoi frammenti figurali, i corpi, gli oggetti ceramici si offriranno allo sguardo del fruitore che ne potrà cogliere la struttura formale, la capacità narrante, scoprendo nella loro identità scultorea contemporanea, la loro derivazione segnica che affonda nella densità del tempo storico. Infatti, “(…) quelli di Saladino- scrive la curatrice nel suo testo critico- sono reperti senza cronologia, senza storia che narrano di storia, che declinano antiche seduzioni suggerendone di nuove attraverso la propria unicità di manufatto artistico realizzato nei modi e nei riferimenti linguistici della contemporaneità. Possono definirsi reperti contemporanei con una stratificazione sedimentaria “a venire” che,

riemersi dalla profondità del tempo così come sarebbero potuti affiorare dagli strati di uno scavo archeologico. L’artista li ha disseppelliti dalle misteriose profondità del proprio essere, dalle pieghe più riposte del proprio io, dalle modulazioni di se stesso e delle proprie memorie; li ha ripuliti con cura dalle incrostazioni prodotte dal tempo, ne ha recuperato la partitura essenziale, disposto e ridisposto i segni identificativi secondo un ordine nuovo suggerito dal proprio pensiero ispirato, dispiegando per essi un destino diverso, sottraendoli così al comune destino delle cose e affidandoli al tempo e al destino dell’opera d’arte. In questo processo di reificazione, ha dato ad essi identità formale e forza narrante attraverso uno scavo condotto nella loro stessa materia costitutiva densa di richiami al tempo storico, giungendo, nella ricerca di una loro verità più alta e sostanziale,

fin alle radici del suo mondo immaginativo. Egli, innescando un processo rigenerativo che ha necessità di forma, ha dato corpo e sostanzialità di opera alla narrazione dell’eterno vagare dello spirito nella ritessitura di momenti essenziali della sua storia, costruendo una contemporaneità frammentata che è memoria di sé e del mondo(…)”. Alice Traforti, nel suo contributo critico in catalogo, aggiunge : “(…) Un‘atmosfera classicheggiante avvolge

ciascun manufatto della mostra “Reperti contemporanei”: nell‘estetica che rimanda a mezzi busti, cammei, maschere e formelle, nelle tecniche appartenenti alla tradizione dei materiali (argilla, terracotta, ceramica, mosaico, smalto) e nei riferimenti contenutistici alla mitologia greco-romana. Privati degli arti e della testa come se fossero degli autentici reperti archeologici consunti dal tempo, tutti i corpi scultorei vengono depredati dei tratti individuali, solcati, forati, svuotati e ridotti all‘essenza. Trasformati in architetture antropomorfe, si fanno dimora per le allegorie dei miti ellenici che le abitano, mausolei di antiche glorie, oppure templi pagani, altari consacrati ai doni della natura e alla ricchezza immateriale. In una fusione plastica tra corpo umano e costruzione architettonica, diventano scenari finemente decorati con l‘immensità del mare e del cielo, con il calore del sole e con lo splendore della luce. Anche le raffigurazioni presenti nei singoli bassorilievi sono piccoli teatrini, e come tanti frammenti di una visione unitaria giungono infine a comporre una rappresentazione di valenza universale(…)”. Per l’occasione è stato realizzato un catalogo bilingue ( italiano /inglese), edito da Silvana Editoriale per la collana “I Quaderni del Marca”,contenente i testi critici di Teodolinda Coltellaro e Alice Traforti ed un apparato biobibliografico dell’artista.

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Associazionismo

IL VALORE DELLA CULTURA

Massimo Bray

inaugura il XXX Anno Accademico dell’Uniter di Lamezia Terme Lamezia Terme, 7 novembre 2018. Massimo Bray, presidente dell’Istituto di Cultura Treccani, inaugura il XXX Anno Accademico dell’Uniter con una relazione dal titolo Il valore della cultura. Dopo i saluti istituzionali del presidente pof. Italo Leone e la presentazione della vice presidente prof.ssa Costanza Falvo D’Urso, Massimo Bray inizia il suo intervento con la citazione del libro dello storico britannico Eric Hobsbawm Il secolo breve e ci invita a leggere la contemporaneità mettendola in relazione con il ‘900, secolo in cui c’erano i libri e gli intellettuali a fornire le chiavi di lettura. Basti pensare al lavoro di Gramsci, alle critiche di Pasolini alla società, alle lezioni americane di Italo Calvino. Poi un plauso rivolto alle donne e agli uomini dell’Uniter per la loro capacità di tenere vivo il confronto generazionale trasmettendo un messaggio non solo di fiducia ma di impegno civile nei confronti del paese e delle generazioni che verranno, soprattutto in un momento di forte difficoltà storica per il mondo occidentale. E il discorso ritorna sulla generazione del secolo scorso. Una generazione che ha vissuto il tema dei valori e del sacrificio in un Paese da ricostruire. Un Paese che non aveva più una dimensione internazionale, non aveva più politica perché viveva di contrapposizioni violentissime eppure quella generazione fu in grado di ricostruirlo perché c’erano dei valori di riferimento quali la famiglia, il concetto di memoria e di sacrificio, il ruolo essenziale della chiesa con le parrocchie e gli oratori, le scuole di grandissima eccellenza… Un Paese costruito quotidianamente da donne e uomini che avevano fatto dell’idea di nazione, da lasciare in eredità alle generazioni future, uno dei tratti caratterizzanti di quella ripartenza. Oggi, invece, si vive in una fase di individualismo esasperato e cita Catone che, in un’opera dedicata all’origine di Roma, non nomina mai i personaggi importanti della città perché ritiene che la grandezza di Roma risieda in questa capacità di essere res publica e di lavorare per la res publica. Oggi si è persa la capacità di lavorare per l’altro, è necessario, quindi, tornare a riflettere su alcuni valori fondanti di una comunità perché c’è una generazione che non crede più nel futuro, che non ha più grandi opportunità. Tra i grandi problemi sociali bisogna certo fare i conti con il tema della disoccupazione, ma non vanno pag. 10

dimenticati gli oltre 500 mila giovani italiani -provenienti in gran parte dal Mezzogiorno - che sono a Londra a lavorare e di questi solo il 5% va nelle grandi università o ha buoni posti di lavoro mentre gli altri svolgono lavori umili che in Italia non ci sono più. L’altro grande cambiamento è che il nostro paese ha perso la capacità di costruire delle opportunità e prendendo spunto dal tema della memoria collettiva trattato in una pubblicazione realizzata dall’Uniter per il decennale dell’Associazione invita tutti a riflettere sul valore della cultura nella società attuale e sul nostro rapporto con il tempo dove nessuno rispetta più i ritmi naturali confondendo il tempo del mercante, della famiglia, della libertà, del pensiero e della riflessione. Poi un personale e interessante profilo sulla sua esperienza all’Istituto Treccani fondato nel 1925 da Giovanni Treccani e dal grandissimo pensatore Giovanni Gentile il quale assegna all’Istituto alcune missioni tra cui quella di partecipare alla formazione delle classi dirigenti del Paese mettendo al centro di questo percorso di formazione la cultura, la cultura nella sua dimensione storica ma proiettata verso il futuro. E poi la funzione dell’Enciclopedia che, secondo il pensiero di Gentile, non era il fine dell’Istituto ma uno strumento in quanto portare l’Enciclopedia nelle case degli italiani significava portare una parte della storia e della cultura di questo Paese o per meglio dire ciò che, secondo la definizione gentiliana, sono le identità culturali, declinate al plurale, perché nascono dall’incontro di questo Paese con infinite civiltà con cui l’Italia si è sempre saputa confrontare assimilandole e rielaborandole. Non a caso l’altro tratto delle missioni di questo Istituto era la salvaguardia

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della lingua italiana e anche qui rivela la sua modernità perché, pur nella consapevolezza dell’esistenza di un altra grandissima Istituzione come l’Accademia della Crusca che difenderà la lingua storica, sa bene che la lingua è qualcosa di vivo che deve cambiare e cambierà ogni giorno e per questo viene istituito un osservatorio per studiare i cambiamenti a tutela della lingua. Ma sa anche che la cultura, come dirà Croce, non deve essere limitata da alcuna barriera politica. “L’istituto della Treccani mi ha insegnato moltissimo” continua Bray. “È sempre stato una comunità molto allargata. È chiaro che il mondo digitale ci ha fatto confrontare con la conoscenza in tempi molto veloci. Oggi, se si vuole sapere qualcosa basta consultare Wikipedia, ma l’Enciclopedia era concepita in modo differente. Se si vuole riflettere su un grande tema della contemporaneità come il fine vita, per esempio, non ci si può accontentare della descrizione del fine vita in 7 righe. In Treccani si chiede allo scienziato, al professore di diritto o di etica di spiegare cosa sia il fine vita che rappresenta una delle grandi frontiere della contemporaneità e, magari, leggeremo in quelle pagine che abbiamo perso il senso dello scorrere del tempo, che abbiamo tutti il terrore e la necessità di rimanere giovani dal punto di vista estetico ma noi spieghiamo perché, perché bisognerebbe saper accettare la propria età biologica. Questo Istituto è forse uno degli ultimi istituti al mondo a fare questi mestieri. Abbiamo rivolto grande attenzione al mondo dell’arte perché oggi il tema delle identità lo interpretiamo con i beni culturali. Il nostro è l’unico Paese ad avere questa storia fitta, questo paesaggio con moltissimi segni del patrimonio storico e artistico, tante tracce culturali stratificate nei secoli. Nessun paese ha tanti siti Unesco. Ed è interessante scoprire che in una ricerca sulla voce paesaggio nelle varie edizioni della grande Enciclopedia gentiliana che è quella che noi teniamo viva perché rappresenta un monumento nella cultura di questo Paese, nelle prime voci che sono della fine degli Anni ‘20 si capisce che il genere umano comincia ad avere consapevolezza dell’idea di paesaggio proprio nel Rinascimento grazie all’Italia e grazie a quegli scrittori, a quei viaggiatori, a quegli artisti che arrivando nel nostro Paese ne forniranno descrizioni e immagini. Un concetto introiettato in ciascuno di noi ma se si fa un salto in avanti nel tempo c’è da preoccuparsi perché nell’ultimo aggiornamento pubblicato un paio di anni fa, lo studioso francese Marc Augé, noto per aver coniato il termine di non luogo, ci spiega che noi oggi per paesaggio abbiamo la nozione di non luogo e molte volte il nostro rapporto con il paesaggio è quello con un centro commerciale dove ci si reca il sabato e la domenica. Un non luogo dove non c’è condivisione, dove non si conoscono le radici, le tradizioni, dove il cibo è tutto uguale, dove i rapporti umani sono mediati dagli interessi commerciali. Nella contemporaneità questo rappresenta uno stravolgimento incredibile perché ci priva di un carattere identitario e anche qui potremmo chiederci perché non abbiamo rispettato il nostro pa-

esaggio cementificando senza criterio. La cultura invece ci offre ancora una volta una speranza.” “Per vivere il presente non bisogna dimenticare le storie da cui veniamo” dice ancora Bray e citando l’articolo 9 della Costituzione Italiana “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” ribadisce che in ogni italiano dovrebbe albergare il senso profondo del valore dei beni culturali e il valore dell’armonia. Oggi questa armonia si è rotta. Non si investe nella scuola. Gli insegnanti a cui vengono affidati i ragazzi sono pagati poco, non hanno dignità sociale eppure sono i veri mediatori sociali perché hanno il compito di formare le future classi dirigenti del paese. Non si investe nella tutela dei beni culturali, non si investe nel paesaggio. E tutto questo non perché non ci siano risorse ma perché è stata sovvertita la scala di valori che dovrebbe avere come priorità la formazione della nuova classe dirigente in grado di governare facendo l’interesse di tutti cittadini e di costruire un paese di cui essere orgogliosi. Un paese in cui i giovani dovrebbero trovare lavoro misurandosi con il merito e con le competenze e non andare a fare i camerieri a Londra. Ma tutto questo non avviene, eppure i Padri costituenti lo avevano ben chiaro e ben chiaro lo aveva un grande Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che il 5 marzo del 2003 si esprime con queste parole “È nel nostro patrimonio artistico, nella nostra lingua, nella capacità creativa di noi Italiani che risiede il cuore della nostra identità, di quella nazione che è nata ben prima dello stato e ne rappresenta la più alta legittimazione, il nostro motivo di orgoglio. L’Italia che è dentro ciascuno di noi espressa dalla cultura umanistica, dall’arte figurativa, dalla musica, dall’architettura, dalla poesia, dalla scienza, dalla letteratura di un popolo unito. L’identità nazionale degli Italiani si basa sulla consapevolezza che devono essere custodi di un patrimonio culturale unitario che non ha eguali nel mondo.” E anche un grandissimo come Tolstòj assegna proprio alla cultura il compito di educare i cittadini al bene comune, a quei valori di eguaglianza che consentiranno di realizzare la convivenza pacifica tra gli uomini perché deve diventare un sentimento abituale, istintivo, di ciascuna persona che voglia riconoscersi nella comunità. C’è il concetto di cittadino, di rispetto, di persona, di comunità. Sono parole antiche? Forse ma anche una certa cultura italiana dovrebbe avere il coraggio di riscoprirle, di dirle senza imbarazzo. Una narrazione appassionante quella di Bray, che si conclude con un commovente e personalissimo ricordo di una grande donna e scienziata sua carissima amica, Rita Levi Montalcini, la quale ha saputo fare della vita un esempio da seguire. Una narrazione che, nelle parole di ringraziamento, il presidente prof. Italo Leone definisce un lezione di vita, la capacità di aver saputo tradurre la cultura e la conoscenza in impegno sociale, in realtà al servizio degli altri.

Massimo Bray è Direttore Generale dell’Istituto della Enciclopedia Treccani. Entratovi per la prima volta nel 1991 come direttore responsabile della sezione di Storia moderna della Piccola Treccani, nel 1994 ha assunto la carica più prestigiosa di direttore editoriale dell’Istituto Italiano. Consapevole delle innovazioni tecnologiche del XXI secolo e delle odierne esigenze degli utenti, grazie alla sua formazione che riesce a coniugare cultura umanistica con i saper scientifici, ha operato nell’istituto Treccani una rivoluzione quasi copernicana realizzando l’Enciclopedia nel formato online, mettendo a disposizione dei fruitori un patrimonio di conoscenze di alta qualità e di rigore culturale. Già direttore della rivista di cultura politica Italianieuropei, attualmente ha un suo blog culturale sull’edizione italiana dell’Huffington Post. Ha presieduto il Consiglio di Amministrazione della Fondazione La Notte della Taranta organizzando ogni anno un grande festival nella penisola salentina per mantenere alta la tradizione della musica popolare, la cosiddetta Pizzica, eredità intellettuale del famoso antropologo ed etnologo Ernesto De Martino. Nelle elezioni politiche del 2013 è stato eletto deputato nelle liste del PD e nominato Ministro per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo nel Governo presieduto da Enrico Letta. Nel 2015 si è dimesso e ha fatto ritorno all’Istituto della Enciclopedia italiana. Nelle edizioni 2017 e 2018 è stato presidente della Fondazione del Salone del Libro di Torino. Lamezia e non solo

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Associazionismo

CAMBIO AL VERTICE DEL SOROPTIMIST CLUB DI LAMEZIA:

CONCETTA GIGLIO È LA NUOVA PRESIDENTE

L’avvocato Concetta Giglio, imprenditrice, è la nuova presidente del Soroptimist club di Lamezia Terme. Il passaggio delle consegne è avvenuto nei giorni scorsi, alla presenza della past president Lucia Greco, del comandante del gruppo dei carabinieri Massimo Ribaudo, oltre che dei presidenti dei club cittadini di Fidapa Enza Galati, Rotary Domenico Galati, Unesco Mauro Vasta e Slow food Maria Cristina Mazzei, oltre a numerosi rappresentanti dei club Soroptimist calabresi. Dopo l’interno della past presidente Greco, che ha illustrato l’intensa attività portata avanti nei suoi due anni di presidente, è toccato alla neo eletta Giglio presentare il programma che verrà portato realizzato dal club. In particolare, spazio alla medicina di genere, con particolare attenzione alle patologie cardiache, e la presentazione nelle scuole del progetto “Maggie” che è un app game che servirà a favorire le bambine e le ragazze ad approcciarsi agli studi matematici e scientifici, ancora pochissimo frequentati dalle donne. Iniziativa “Si va in biblioteca” e al sostegno al progetto Women Water in Rwanda

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“La nostra è un’associazione femminile – ha detto Concetta Giglio – il che significa che si occupa e si preoccupa di ciò che ci circonda e lo fa con le alte competenze, con la sensibilità e la sapienza delle donne, che da sempre hanno a cuore il benessere dell’intera parte dell’umanità, sia la parte femminile che quella maschile, e perchè stesso un club Soroptimist ha particolare attenzione al superamento delle disuguaglianze di genere e con il preciso compito di sostenere le donne proprio perchè le donne, sono in grado di prendersi magnificamente cura del tutto che ci circonda tutti. Il Soroptimist è infatti una libera associazione di donne professionalmente qualificate, impegnate attivamente nel mondo lavorativo, sociale e culturale: donne attive che operano secondo principi di etica, moralità, rispetto dei diritti umani, solidarietà, pace, comprensione ed amicizia internazionale. Donne impegnate a servire le comunità locali, nazionali e internazionali e a partecipare attivamente alle decisioni a tutti i livelli della società”.

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Religione

Il santuario mariano di Conflenti è basilica minore pontificia.

Cardinale Sarah:

“sia luogo privilegiato per incontrare Dio” “Mi auguro che questa Basilica possa essere per chiunque verrà il simbolo di ciò che tutti noi siamo: il tempio di Dio. Questa Chiesa sarà un luogo privilegiato in cui fare silenzio, mettersi in ascolto della Parola di Dio e sperimentare la sua misericordia. Qui saremo sicuri di trovare il conforto materno della Vergine Maria, la sua protezione costante. Uscendo da questa Chiesa, siamo chiamati ad essere creature nuove, trasformate dall’amore di Dio, testimoni della purezza che rigenera del Vangelo”. Così il cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che ha presieduto la concelebrazione eucaristica con la

quale il santuario diocesano della Madonna della Quercia di Conflenti, nella diocesi di Lamezia Terme, è stato elevato a basilica minore pontificia. Richiamando la storia di Conflenti, luogo dove Maria apparve al pastorello Lorenzo Folino nel 1578 e dove la Vergine volle venisse costruita una Chiesa, il cardinale

ha sottolineato la missione che “da oggi in poi questa basilica avrà: quella di essere segno visibile della comunione con la Chiesa di Roma e il Sommo Pontefice. I fedeli che verranno in questo luogo dovranno essere formati a stare alla presenza di Dio e a vivere con sempre maggiore consapevolezza e partecipazione la sacra liturgia”. Commentando il Vangelo della domenica, l’episodio dei figli di Zebedeo Lamezia e non solo

che chiedono a Gesù di farli sedere accanto a lui nella gloria, il presule ha riconosciuto che “anche noi tante volte siamo poveri spiritualmente e con una scarsa sapienza evangelica. Come i figli di Zebedeo siamo attaccati ai beni materiali e alle aspettative umane. Siamo chiamati ad entrare nel mistero di Cristo, nella sua Passione, nella missione di Gesù che non è camminare verso il potere ma assumere su di sé il peccato di tutti gli uomini”. Concludendo la celebrazione, il cardinale Sarah ha invitato il popolo lametino a pregare per lui e a guardare a Maria “donna umile, ad essere

umili come lei, perché questo ci avvicina a Cristo, mite e umile di cuore”. Dal vescovo di Lamezia Terme Luigi Cantafora, parole di gratitudine al cardinale Sarah e a Papa Francesco che “con la concessione del titolo di basilica a questo luogo ci ha dato un ulteriore segno di affetto paterno per questa nostra chiesa diocesana. Nei secoli da Conflenti la devozione alla Madonna della Quercia si è irradiata in tutto il Paese. Qui è sorto il monastero delle Clarisse, luogo di silenzio e di preghiera. Qui impariamo che come dice Papa Francesco, la Chiesa non ha bisogno di mondanità. Ma di silenzio e preghiera”.

Ad accogliere il cardinale Robert Sarah, tanti pellegrini giunti da varie parti della diocesi lametina, il sindaco di Conflenti Serafino Paola insieme ai sindaci di vari comuni dell’hinterland lametino e ai rappresentanti istituzionali e delle Forze dell’Ordine. A pochi metri dal santuario, è stata scoperta una targa a ricordo della giornata di oggi, in cui tutta la comunità conflentese esprime la gratitudine a Papa Francesco per l’elevazione a basilica minore del santuario della Madonna della Quercia.

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politica

Per Mimmo Lucano a Lamezia, 4 novembre 2018, L’emigrazione è un fenomeno sociale, che fa parte della storia dell’umanità e si ripresenta di tempo in tempo per cause e sotto forme diverse. Questo nostro mare, il Mediterraneo, si è riempito già in antico di popoli e città lungo tutte le sue coste non solo e non tanto per lo spirito d’avventura alla maniera di Ulisse o per ricerca e scambio di materie prime, ma soprattutto perchè lungo le sue rive hanno cercato rifugio e terra d’accoglienza popolazioni in fuga da invasioni, guerre, tirannidi, carestie, povertà. Potrei raccontarvi tante storie di città fiorenti da un capo all’altro di questo nostro mare, che hanno avuto origine dalla disperazione di gente in fuga e dal coraggio di ricominciare in una terra che non era la loro. Nei prossimi giorni il nostro Presidente della Repubblica e il Presidente dell’Albania si incontreranno qui, a S. Demetrio Corone, per ricordare, a 500 anni dalla morte, il patriota albanese Giorgio Castriota Skandeberg, che lottò strenuamente per impedire la conquista turca della sua patria; dopo di lui ci fu la migrazione in massa del suo popolo verso l’Italia e soprattutto verso l’Italia meridionale e la Sicilia. Certo ci fa onore che i profughi albanesi abbiano trovato generosa e lungimirante accoglienza sulle terre messe a loro disposizione da re e feudatari, ma ciò significò anche ripopolarle dopo tante scorrerie, devastazioni e carestie; tornarono così ad essere coltivate, a produrre economia e benessere, e videro fiorire un centinaio di comunità, che restano ancora oggi fiere della loro cultura e della loro lingua, ma sono grate di essersi potute integrare nel tessuto civile, sociale, umano delle regioni in hanno allora ricevuto accoglienza. La Calabria è quella con il maggior numero di comuni di origine albanese, tanto da avere anche una diocesi cattolica di rito greco, quella di Lungro. Il mondo di oggi, e non solo in Europa e nelle Americhe, è l’esito di fenomeni ricorrenti di emigrazione e di immigrazione e di processi, difficili, lunghi e spesso amari, di integrazione. C’è oggi una nuova congiuntura epocale di fenomeni migratori in atto, che sono frutto di tante politiche sbagliate del passato anche recente, di guerre terribili, di veri e propri genocidi, di povertà assoluta, di disperazione. Si illudono Trump, Salvini, Orban se pensano di poter arginare il fenomeno costruendo muri, chiudendo porti, stendendo recinti di filo spinato sui propri confini. Il problema è diventato globale e va certo affrontato e risolto in ottica globale, da parte delle nazioni e degli organi sovra-nazionali e mondiali.

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Ma c’è un agire quotidiano che interpella l’umanità, la coscienza, la responsabilità delle comunità locali, delle parrocchie, delle associazioni locali di volontariato, dei singoli cittadini che spinge a Lampedusa come a Trapani, a Palermo come a Riace, a Reggio, a Crotone a salvare vite umane allo stremo, sfuggite al grande sepolcro che è diventato il mare Mediterraneo: e prestare soccorso, fornire assistenza, praticare l’accoglienza, sperimentare forme possibili di integrazione è innanzitutto un problema di coscienza, cristiana e laica fa lo stesso, è un problema di umanità, e non si può girare la testa dall’altra parte, aspettando che siano gli altri ad occuparsene. Riace è tutto questo, ma è altro ancora: è un piccolo esempio di condivisione spontanea di uno spazio umano quasi del tutto spopolato, come ne abbiamo tanti in questa nostra difficile terra di Calabria, che ha trovato nuova linfa, è stato rivitalizzato, vi sono faticosamente rifiorite attività, rinate scuole, aperte botteghe, un piccolo centro che ha ripreso a vivere. Riace è un invito e un pungolo a cercare nuove vie a livello locale, nazionale e internazionale, per affrontare il problema per risolverlo a monte con politiche di pace e di sviluppo; ma anche un monito a non soffocare i processi di integrazione avviati localmente, a Riace come in tante altre generose realtà dell’Italia intera, e a cercare piuttosto di incanalarli in un progetto nazionale (ed europeo) di politiche mirate all’accoglienza e all’integrazione nella sicurezza e nel rispetto di tutti. Ci vorrebbe un Ministero specifico dedicato ad affrontare il problema e tradurlo in una grande risorsa per il Paese. Nell’esperienza di accoglienza ed integrazione di Riace si intrecciano altissimi valori religiosi e più semplicemente umani e sociali, e dobbiamo essere grati a Mimmo Lucano per essersi speso generosamente per tanti anni per far vivere un sogno. Per il procedimento giudiziario che lo riguarda, ho solo da augurargli un giudizio che non sia solo giusto secondo la legge, ma sia un giudizio anche equo. Dove entra in gioco l’umanità, lo slancio, la generosità, la ricerca di soluzioni possibili anche percorrendo strade inesplorate e inciampando in qualche ostacolo, il giudizio non può essere solo giusto e formale, deve essere equo, come ci insegna la saggezza degli antichi filosofi greci, perchè il livello più alto di giudizio è quello che tiene conto di tutto e soppesa danno eventuale e beneficio ed esprime un verdetto capace di mantenere in equilibrio i piatti della bilancia.

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Calendario di Gizzeria 2019 in data 16 Dicembre 2018 il tanto atteso “Calendario Jazzarrotu del 2019 ” . Un ricco documento dialettale che nasce nel 1999 da un Idea del geniale ricercatore storico Michele Maruca Miceli di Gizzeria e che si protrae fino al 2008 . Un periodo lungo 10 anni ricco di storie, di tradizioni popolari, di proverbi, di invettive, di aneddoti e di racconti accanto al braciere. Questo storico calendario ritorna in auge dopo un fermo di circa 8 anni . Michele Maruca Miceli aveva visto bene, nel intraprendere questa avventura, dato che col suo calendario aveva voluto proiettare nel mondo la voce storica del suo piccolo paese, trascrivendo meticolosamente, come una volta in un linguaggio antico , consono al nostro centro storico di Gizzeria, ricordi dell’ illustre passato e dei suoi grandi personaggi. Gizzeria , ove il tempo segna ancora, anche la sua parte scandendo le ore dalla vetta di un vecchio campanile. Una paese ricco di gloria che nel lontano 1860 ,con la costituita Unità d’Italia, poté vantarsi di grandi eroi,quali il nostro patriota Tenete Antonio Miceli, che con grande coraggio e ardimento alimentò

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i moti carbonari e fu fondatore della “Giovane Italia di Gizzeria e del valoroso Maggiore garibaldino Alessandro Toia che non esitò a partire dal molo di Quarto di Genova per prendere parte volontariamente alla spedizione dei MILLE. Questo è sempre stato l’intento mio nel produrre questo calendario poiché ho sempre ritenuto il nostro piccolo borgo come una fonte inesauribile di vissuti che lo hanno reso unico nel tempo. L’ho voluto realizzare , anche con il desiderio di incrementare nei nostri giovani la voglia di voler condividere con la mia generazione, l’amore e la ricerca continua della nostra storia affinché nulla venga tralasciato o dimenticato. Pertanto a quanti vorranno tuffarsi nel passato pur vivendo il presente diamo appuntamento a Gizzeria per discutere e parlare della lingua e cultura dei nostri padri.

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Rubrica di Antonio Saffioti totosaff@gmail.com

DISSESTO IDROGEOLOGICO E ANTICO MESTIERE DEL CANTONIERE DISSESTO IDROGEOLOGICO E ANTICO MESTIERE DEL CANTONIERE

Questo mese, vi parlerò della vera emergenza della Calabria e dell’Italia, il dissesto idrogeologico, analizzandone cause e soluzioni. Infine parlerò, dell’antico e attuale mestiere del Cantoniere – perché, praticato dal mio bisnonno materno Annibale, che era CapoCantoniere. – e perché è un mestiere che se implementato, come avveniva in passato, potrebbe in parte contribuire, ad evitare molte tragedie causate dal dissesto idrogeologico.

Dedico questo articolo, a tutte le vittime, del dissesto idrogeologico e del maltempo, in Calabria e in Italia. In ricordo, dei tre angeli (madre e due figli) vittime, della tragedia di Curinga: STEFANIA, CHRISTIAN e NICOLÒ. A voi lettori, lascio, parte del post facebook, scritto da ANGELO FRIJIA, marito di STEFANIA e padre di CHRISTIAN e NICOLÒ: «Prendete esempio dalla mia storia, dalla mia disgrazia, dalle persone volontarie che hanno cercato insieme a me e i miei compagni i miei familiari. Ci vogliono esseri umani che non distruggono, ma che costruiscono con il cuore e l’anima pulita che li accompagnano. Questa storia, questa disgrazia, questa data, quattro ottobre 2018, resterà per tutti noi un mistero per ciò che insegna…Ammiro e stimo i volontari di “Costa Nostra” o chi come loro fa gesti d amore per gli altri. Basta raccomandazioni, basta soldi nel portafogli a persone furbe o meglio che si sentono furbe. I più forti di questa terra non sono loro, ma chi usa il cuore e mette amore in tutto ciò in cui crede…». IL DISSESTO IDROGEOLOGICO

È l’insieme dei processi morfologici che hanno un’azione fortemente distruttiva in termini di degradazione del suolo e quindi indirettamente nei confronti dei manufatti. Esso comprende tutti quei processi, a partire dall’erosione superficiale e sotto la superficie, fino agli eventi più catastrofici quali frane e alluvioni. Le condizioni meteorologiche e le variazioni climatiche non sono che una causa marginale del dissesto idrogeologico. Le origini del fenomeno sono infatti di natura antropica. Tra le prime c’è l’eccessivo consumo di suolo, unito a pratiche come la pag. 16

cementificazione e la conseguente deforestazione. In Italia - dopo che per decenni si era provveduto con mere erogazioni statali di indennizzo dei danneggiati dalle alluvioni e dalle altre calamità - sono nati vari movimenti dal basso con la partecipazione anche di amministratori locali, volti a tutelare e difendere il territorio: Le azioni attuabili in relazione a questo rischio sono fondamentalmente la previsione, la prevenzione e la mitigazione degli effetti. La previsione, secondo l’articolo 3 comma 2 della legge n. 225 del 1992, consiste nelle attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi. La mitigazione degli effetti distruttivi consiste nella serie di azioni attuate al fine di ridurre il rischio a persone, manufatti e ambiente. In Italia è stimato che basterebbero 4,1 miliardi di euro per mettere in sicurezza il paese con un’adeguata pianificazione che gestisca la fase di intervento e stabilisca i piani di manutenzione con effetti e ricadute positive anche in termini economico-occupazionali. Al momento, per favorire la formazione nel settore della difesa del suolo e della riduzione del rischio idrogeologico, è stato istituito, a decorrere dal primo gennaio 2000, presso il Ministero dell’ambiente, il “Fondo nazionale” per l’alta formazione nel settore della difesa del suolo. DISSESTO IDROGEOLOGICO IN CALABRIA

Il territorio calabrese, è “esposto a prevedibili ed elevatissimi rischi geologici”. Si trascura che la Calabria, oltre a possedere il patrimonio edilizio più degradato d’Italia, è la regione a più elevata sismicità e l’unica regione d’Italia con tutti i territori comunali compresi in zona sismica di prima e seconda categoria. ..Si è continuato a ignorare sia specificità geologiche e diffusione e gravità del dissesto idrogeologico del territorio calabrese, sia la necessità di tutelare e valorizzare il grande patrimonio di risorse naturali disponibili. Territorio esposto a prevedibili ed elevatissimi rischi geologici come: alluvione, frane, terremoti e maremoti; ma anche ricchissimo di preziose risorse naturali, come: le decine di migliaia di sorgenti con l’acqua potabile migliore d’Europa; i numerosi e vari giacimenti minerari metallici e litoidi; gli estesi rilievi collinari e montuosi con suoli fertilissimi e l’aria più pura d’Europa; i 716 chilometri di costa con il 20% delle spiagge balneabili dell’intera Penisola del Bel Paese. Gran parte degli amministratori locali dei 409 comuni della Calabria continua a sottovalutare sia la progressiva estensione dei processi di degrado idrogeologico sia l’inadeguatezza di gran parte del patrimonio edilizio pubblico, privato e storico a resistere alle previste sollecitazioni sismiche. Si trascura che la Calabria, oltre a possedere il patrimonio edilizio più degradato d’Italia, è la regione a più elevata sismicità e l’unica regione d’Italia con tutti i territori comunali compresi in zona sismica di prima e seconda categoria. Così come si trascura il fatto che i territori di 114 dei degli stessi comuni a più elevata pericolosità solo da pochi anni e, comun-

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que, dopo la costruzione di gran parte del patrimonio edilizio esistente, sono stati classificati a più elevata pericolosità. E, quindi, che lo stesso patrimonio edilizio non abusivo è stato progettato e costruito con criteri di resistenza sismica e sicurezza inferiori a quelli attualmente ritenuti necessari. Sulla rilevanza e gravità dei rischi ai quali sono esposti le popolazioni e il territorio calabrese non si può continuare a fare come gli struzzi e ignorare che nella veste di capo della Protezione Civile nazionale, il prefetto Gabrielli ha dichiarato anni fa di aver gli incubi al pensiero dei danni del terremoto in Calabria. E che il primo Responsabile della Missione contro il dissesto idrogeologico “Italia Sicura” del Presidente del consiglio dei ministri, D’Angelis ha detto di non dormire la notte al pensiero del rischio alluvione in Calabria dove i fiumi sono “bombe ad orologeria”. L’ANTICO MESTIERE DEL CANTONIERE

Gli addetti alla sistemazione delle strade vennero chiamati stradini e successivamente cantonieri. Questo mestiere esiste tuttora, ma nel corso degli anni è mutato nella sostanza. Una volta le strade erano quasi tutte a sterro e richiedevano molta manodopera, mentre oggi sono quasi tutte asfaltate e per tenerle a posto è determinante l’impiego di macchine che facilitano e velocizzano notevolmente il lavoro. A questo punto si rende necessaria una spiegazione sui due vocaboli utilizzati: il termine stradino venne usato a partire dal XVI secolo. Deriva da strada e indica un operaio addetto alla manutenzione stradale, mentre l’espressione cantoniere deriva dal francese canton, che significa cantone ed è più moderna. Inoltre, la tradizione popolare identifica lo stradino in colui che si occupa della manutenzione delle strade secondarie (comunali), mentre il cantoniere è quello che sistema le strade provinciali o statali, cioè le vie di comunicazioni più importanti. Lo stradino di una volta, svolgeva il suo lavoro del tutto manualmente, aiutato solo da pochi strumenti rudimentali: una pala, un martello, una zappa, una falce, una carriola. Ogni stradino aveva la manutenzione di cinque o sei chilometri di strada comunale non asfaltata, oltre alle strade di campagna (vicinali), aiutato, in quest’ultimo caso, sempre dai contadini. Le strade vicinali, quasi tutte sterrate o malamente imbrecciate, erano transitate solo con carri trainati da animali,

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biciclette e da bestie da soma, ma essendo spesso delle scorciatoie erano comunque frequentate da un buon numero di viaggiatori locali. (Nella foto, il mio bisnonno Annibale in divisa da Capo-Cantoniere)

Ogni comune aveva alle proprie dipendenze diversi cantonieri e più il territorio era vasto più stradini necessitavano. Ognuno di loro aveva assegnato un tratto di strada del quale era responsabile (un tratto di 3-4 chilometri). Il lavoro era gravoso: spargere la ghiaia, pulire i fossi, creare le cunette, tagliare le erbacce, non era tutto, perché dovevano preparare anche la materia prima. Infatti allo stradino veniva lasciata una grossa quantità di pietre (spesso anche i contadini fornivano al cantoniere i sassi che levavano dai campi), che lui doveva sbriciolare con il solo aiuto di un martello. Perciò era costretto, per ore e ore, a battere energicamente le pietre, per ottenere i sassi e sassolini della giusta dimensione (questi venivano misurati con cerchietti calibrati, dentro ai quali dovevano passare). Questo controllo veniva fatto generalmente da un capo cantoniere che soprassedeva ai lavori e che, quando era necessario, non risparmiava rimproveri ai sottoposti. La spanditura della ghiaia avveniva preferibilmente all’inizio dell’inverno, perché grazie all’umidità del terreno i sassi penetravano meglio nel fondo stradale e non schizzavano via al passaggio dei mezzi. Se il lavoro veniva fatto bene, la strada si manteneva tutto l’anno, anche se le piogge costituivano sempre un problema. Oggi, essendo cambiate tante cose, anche la figura dello stradino o cantoniere, come dir si voglia, è profondamente mutata: non si trova più l’operaio che lungo la strada, tra la chiusura di una buca e l’altra, chiacchiera con il passante di turno, ma si vedono solo “équipe” di lavoro che con l’aiuto dei mezzi meccanici, velocemente riparano, sistemano, puliscono, per rendere rapidamente libero da intralci il via vai dei mezzi sulla strada. (Nella foto, il mio bisnonno Annibale con la sua squadra di Cantonieri) Dopo 150 anni la funzione della figura del cantoniere viene modificata ed aggiornata. Nel 1982 viene introdotto il “Regolamento dei Cantonieri” che cancella il vecchio concetto di ‘cantonè e introduce ‘squadre, nuclei e centri di manutenzionè dotati di personale e mezzi. LA CASA CANTONIERA

Le case cantoniere sono degli immobili, di proprietà demaniale e gestiti dall’ANAS, caratterizzati dal tipico colore rosso pompeiano. Prendono il nome dai “cantonieri”, gli operai addetti alla manutenzione delle strade, che per esigenze di servizio, avevano necessità di alloggiare sul luogo di lavoro. Distribuite su tutte le strade statali storiche italiane, all’interno delle case cantoniere vengono custoditi i mezzi e le attrezzature utilizzate per espletare le operazioni di manutenzione delle strade statali. In alcuni casi venivano costruite al confine fra due cantoni ed ospitavano le 2 famiglie dei cantonieri. Nel corso degli anni ottanta del XX secolo, per eccessivi costi, ne sono state dismesse numerose. Successivamente, a seguito del processo di declassificazione di numerose strade statali avvenuto nel 2001, ne sono state dismesse molte altre; alcune sono state semplicemente chiuse, altre sono invece passate agli enti regionali o provinciali. Ne rimangono aperte ancora, specie nel sud o nei centri principali. Dove le case cantoniere sono state chiuse la gestione manutentiva è affidata, in genere, all’ANAS. (Nella foto, la Casa Cantoniera di Platania, dove prestò servizio il mio bisnonno Annibale)

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Il nostro territorio

Il matrimonio a Gizzeria nel ricordo del tempo passato Ripercorrendo il capitolo delle trattative matrimoniali di un tempo, notiamo come la promessa sposa sia sempre assente nella preparazione del suo matrimonio. Lei sapeva come si doveva comportare da buona sposa, buona massaia e futura madre di famiglia. In quanto alle decisioni concernenti il suo matrimonio, vi provvedevano la famiglia, il parentato, il vicinato e il comparaggio. Inoltre bisognava avere anche una certa disinvoltura per ammogliarsi perchè l’antico credeva tanto nel volgo che definiva “china tena fhaccia trova mugliera, chi no perda chilla chi tena ! la settimana prima del matrimonio la suocera riceveva il ricco corredo portato in dote dalla nuora. Esso veniva trasportato a mano dalle donne del vicinato facendone bella mostra durante il trasporto dalla casa della ragazza alla casa futura degli sposi. L’inizio del trasporto veniva di solito annunciato dal suono dell’organetto per le famiglie di ceto medio per richiamare l’attenzione del popolino e far notare la quantità del corredo dato. Lungo il percorso le donne, numerose tanto più erano i capi da trasportare, di tanto in tanto si fermavano per ballare la tarantella. La suocera riceveva il corredo, sistemandolo nelle cassapanche ne valutava la quantità e la qualità, poi per disobbligarsi delle donne portatrici offriva loro confetti e bottigline di liquore preparato in casa. Altre famiglie, in altri periodi non potendo dare ciò evitavano di fare questa dimostrazione, si davano le cose essenziali e basilari come il corredo della ragazza e poche cianfrusaglie, qui di seguito accuratamente descritte dalla viva voce di un vecchietto nel ricordo dell’epoca del suo matrimonio che consistevano in (4 segge, un tavulo, un tribbito ppe cucinare; una codara de rama; un codarellu; 2vanchi e lettu cculli tavuli, un saccuna di foderi di ndiano e uno di paglia di avena; una cassalora grande, una picciola, uno luma a petrolo; cinqua chili di pasta mbiscata, menzo chilo di sala, due vertule, una pella campagna e una pella città; na lancella e ogliu, nu salaturu de alivi virdi e una ‘mpurnata de pana). la preparazione del letto matrimoniale: Questo compito spettava anche alla suocera contornata dai parenti più intimi,la quale sistemava il miglior paio “pariglia” di lenzuola di cotone o di ruvido lino o di ginestra; con la migliore coperta bianca ricamata dalle mani della ragazza ,facendo attenzione a interporre fra le lenzuola e il materasso una certa quantità di panni di stoffa chiamati “u fhulluna” che sarebbe servito il giorno successivo come prova della verginità. Questa prova in alcuni paesi si dava su richiesta della suocera in altri veniva appesa al balcone in modo che venisse vista da tutti. Il letto era provvisto di una lunga fascia di candido tessuto bianco con la svolta sulla coperta, chiamata “sberza” ricamata con le iniziale dei due sposi e serviva per copag. 18

prire i cuscini. Il letto matrimoniale, veniva ricoperto da confetti bianchi fino a formare due grandi cuori uniti, riempiti di soldi e chicchi di riso bianco. La mattina del nozze, la suocera di buon ora si recava dalla futura nuora e le portava l’abito nuziale ,non era infatti di buon auspicio che la sposa lo vedesse prima del giorno delle nozze, perciò l’abito era stato confezionato senza che la sposa l’avesse scelto o visto. ne erano bastate soltanto le misure per prepararglielo. Il tessuto poteva essere di seta o lanseta damascata secondo la stagione. Il colore variava secondo il ceto sociale e condizioni economiche delle famiglie. Il bianco primeggiava sempre nelle nobili famiglie, gli altri colori dal grigio all’azzurro in tinta unita era riservato alle altre, mentre per le famiglie contadine e socialmente disagiate primeggiava il bellissimo costume tradizionale della pacchiana cucito per l’occasione con stoffe damascate di seta nera, una candida e bianca sottana ,panno rosso, mbustinu o jippuna di raso o seta nera o colorato, con le maniche, il mandile in testa e una “gunnella arriccita” sul di dietro. In questa occasione la sposa abbandonava il tradizionale panno color caffè di signorina “schietta” per indossare il rosso delle maritate (panno rosse). Da questo momento la vita della giovane schietta cambiava completamente, fra dissensi, lacrime e incomprensioni familiari tanto che si tramanda ancora oggi l’antico detto “si sapia a schetta quantu ssà a maritata stavia llu lettu e fhacia a malata”. Volendo significare che spesso si convola a nozze perchè attratti dalla forza cieca dell’amore che fa perdere la testa,infatti spesso nel dolore, nei sacrifici della povera mamma di famiglia la schietta non ci capisce niente poi lo saprà dopo, una volta che anche lei diventerà mamma sarà in grado di capire. La sposa nel passato veniva accompagnata in chiesa da qualche gentiluomo del paese la cui presenza dava onore agli sposi e lustro agli invitati. In seguito questa figura venne sostituita dal compare d’anello il quale provvedeva a comprargli le fedi nuziali e a battezzare il primo figlio con l’impegno morale di sostenere la famiglia e il bambino e addirittura sostituirsi ad essa qualora fosse necessario. Oggi pur rimanendo primaria la figura del compare d’anello, il compito di accompagnare la sposa in chiesa spetta al padre o al fratello della sposa riscattandosi così il privilegio di accompagnare la propria figlia o sorella all’altare e consegnarla al futuro marito. Appena la sposa compariva sulla soglia di casa era accolta da una pioggia di confetti ,monetine e riso in segno di ricchezza e abbondanza. Nelle zone interne dei monti, festeggiavano l’uscita della sposa con colpi di arma da fuoco in aria. Anticamente la sposa doveva essere vestita e pettinata da cinque signorine del paese, le quali tutte premurose e dietro i consigli delle anziane più intime del vicinato ,la vestivano e la pettinavano, in ultimo la suocera le metteva i gioielli “brillocchi” come pure la goliera o la lunga catenina chiamata “u lazzu “e gli orecchini. La sposa accompagnata da qualche gentiluomo del paese o dal compare d’anello o dal padre,o fratello apriva il corteo, seguita dalle donne in base al loro ceto sociale e parentato. Gli uomini seguivano in coda, tirati a nuovo nei loro abiti di fustagno o di vigogna tutti muniti di berretto o cappello, segno distintivo del loro ceto sociale, calzando le lucide scarpe artigianali preparate dal calzolaio del luogo.

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Sport

ROYAL, INIZIO IN SALITA MA SI LOTTERÀ SEMPRE! Tre punti nelle prime sei partite per la Royal Team Lamezia nel suo primo torneo di Serie A, iniziato con una settimana di ritardo (lo scorso 14 ottobre) per il rinvio della trasferta Roma con l’Olimpus a causa della tragedia di San Pietro Lametino. Da allora: sconfitta interna (a Vibo) con Milano, vittoria a Napoli per 5-0 (con gol di Nasso e doppietta ciascuno di Saraniti e Rovito) e altre 4 sconfitte. Subìte in casa (sempre a Vibo) con Breganze (0-6) e Falconara (1-5) e in trasferta a Statte (3-0) e Grisignano (6-1, con gol di Kale). Ed è fino a questa gara che si ferma il nostro racconto poiché poi si va in stampa. Ebbene, tra le novità di questo scorcio di campionato c’è da annotare quello sullo staff tecnico. Mister Ragona, che rimarrà comunque nella storia della Royal essendo stato l’allenatore che l’ha guidata in Serie A per la prima volta, ha rassegnato le dimissioni la domenica sera dopo la sconfitta interna con Falconara del 4 novembre scorso. Fino ad allora 4 sconfitte e l’unica vittoria, finora, a Napoli per il tecnico di Gioiosa Jonica, Al di là di qualsivoglia commento, va reso merito a Ragona per quanto fatto nell’oltre anno di permanenza alla Royal. Evidentemente sarà successo qualcosa che gli ha impedito, forse più mentalmente, di proseguire il suo percorso. Nel commiato, tra le altre cose oltre a ringraziare la società lametina, disse: “Credo che ogni momento abbia il suo tempo. Il gap tecnico con le altre squadre tarda ad essere colmato e quindi, nella massima serenità, e per il bene di questo gruppo di ragazze che adoro davvero, rassegno le mie dimissioni, irrevocabili, da allenatore della Royal Team Lamezia. Auguro il meglio ed una svolta immediata a questa storica stagione di serie A”. Ovviamente non tutte colpe di Ragona, anzi a sua difesa c’erano valide attenuanti: dalla squadra totalmente rinnovata, all’inutilizzo di Kale per il mancato arrivo del transfer (giunto poi per Grisignano), al fatto di aver incontrato ben tre (su 5) squadre che lotteranno per lo scudetto: Milano, Breganze e Statte.

off persi in semifinali e vice campione d’Italia in Coppa Italia, contro la vincente corazzata Sandos. “Qui nessuno vuole retrocedere e consumeremo l’ultima goccia di sudore per raggiungere la salvezza”, questo l’incipit di Carnuccio alla sua presentazione di martedì 9 novembre. E ancora: “Sono ritornato con grande entusiasmo alla Royal e sono molto stimolato a fare bene, anche perché sono legatissimo al presidente Mazzocca che ho sempre ammirato per la grande passione per la Royal e per quanto è riuscito a portare a Lamezia, la Serie A. Qui ho trascorso due anni pieni di soddisfazioni. Ora bisogna fare di tutto per trattenere a Lamezia questo patrimonio che è la Serie A, per cui occorre remare tutti nella stessa direzione e c’è bisogno di risollevare l’autostima. Auspico anche un coinvolgimento di tutte le Istituzioni, perché garantire le migliori condizioni possibili, mi riferisco soprattutto al PalaSparti, significherà agevolarci nel nostro lavoro. E poi una grande spinta ce la darà sicuramente, la nostra splendida tifoseria. Proprio il sostegno dei nostri tifosi – conclude Carnuccio - è stato spesso decisivo per ribaltare risultati negativi in tante partite del mio passato qui”. E Carnuccio s’è tuffato subito nel lavoro al suo arrivo: “Sarò a vostra disposizione per ogni cosa” ha detto alle ragazze a Maida alla prima seduta di allenamento, presentandosi con il sorriso. L’esordio a Grisignano non è stato dei migliori, ma s’è visto tanto impegno e volontà, da lì in poi ovviamente servirà altro e Carnuccio ne è ben consapevole. Proprio in Veneto da registrare l’esordio della brasiliana Kale, finalmente sorridente anche lei per il ‘benedettò arrivo del transfer. S’è data molto da fare la top brasiliana, segnando anche l’unico gol della Royal con un diagonale di rara bellezza. “Con Carnuccio siamo andati sul sicuro – ha spiegato patron Mazzocca -, scegliendolo in una rosa di tre nomi. Come ha detto lui, nessuno della società vuole retrocedere e faremo di tutto per salvarci!”. Nuovo anche il preparatore dei portieri, Fortunato Palmieri (“per me è una sfida dopo tanto calcio a 11”, ha detto), con tanto di record di imbattibilità da ex portiere della Rosarnese, riconfermati invece Alessandro De Sensi e Pietro Mercuri nello staff tecnico. Prossimo impegno il recupero di mercoledì 14 a Roma contro l’Olimpus. Quindi domenica 18 a Pentone (PalaSparti ancora chiuso, ma qualcosa sembra muoversi, e sarebbe ora!) contro la Florentia.

Tant’è, con dispiacere la Royal ha provveduto a sostituirlo con una vecchia conoscenza, quel Paolo Carnuccio, quasi due anni in panchina in A2 con altrettanti play Lamezia e non solo

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Sport

Più di 50 anni di sogni “buttati nel cesto” per colpa della burocrazia Nera, anzi nerissima. La pagina più brutta (o forse solo seconda a Dirty Soccer) dello sport cittadino si è consumata sul finire dello scorso mese di ottobre. Quasi un fulmine a ciel sereno a spezzare i sogni di chi da bambino sperava un giorno di vedere giocare in città cestiti di pari livello degli allora Meneghin, Riva, Morse etc. non in tornei, come quello dei primi anni 90, ma in un campionato vero. Sogni ed illusioni cullati per tanti anni che cominciavano ad avere un filo di speranza. Finalmente qualcosa si era mosso; la scalata era iniziata. Nonostante il diniego ad utilizzare l’impianto cittadino il basket lametino aveva fatto il salto di qualità. La storica promozione in un campionato nazionale aveva fatto strabuzzare gli occhi a chi

ormai ci aveva messo una pietra tombale sopra. Il campionato era iniziato girovagando da Reggio Calabria a Catanzaro per giocare le gare interne, un pò come nei primi anni ’80, quando per mancanza di un impianto al coperto si andava di qua e di là. Invece nella giornata del 22 ottobre si consumava il primo atto di un ottobre nero con il primo comunicato del Basketball Lamezia.

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“Il Basketball Lamezia comunica che nella giornata odierna ha comunicato alla Federazione Italiana Pallacanestro di rinunciare alla partita in programma il 25-10-2018 Amatori Pescara – Basketball Lamezia. Alla luce della situazione ormai di evidente ostracismo delle Istituzioni Comunali che ci ha messo nelle condizioni di non avere neanche un campo per poterci allenare non ci resta che valutare seriamente la prosecuzione del Campionato Nazionale di Serie B . Lanciamo un ultimo accorato appello alle Istituzioni, affinchè consenta a Noi, e a tutte le altre eccellenze sportive lametine, di avere la possibilità di competere ad armi pari con gli avversari. Riaprite il PalaSparti, fateci giocare a casa e, ancora più semplicemente, fateci allenare a casa nostra e non sbatteteci fuori da tutto, a Noi e a tutti i nostri ragazzi. V. Basketball Lamezia s.s.d. a r.l.” Tre giorni più tardi la mazzata finale. “La Società V. Basketball Lamezia in data odierna ha ufficialmente comunicato alla Federazione Italiana Pallacanestro la rinuncia a proseguire il campionato di Serie B 2018/2019. I motivi, comunque arcinoti a tutti, saranno affrontati in una conferenza stampa prevista per venerdì alle ore 19 presso l’Ipub di Via Loriedo a Lamezia. V. Basketball Lamezia s.s.d. a r.l.” Sono così volati via anni di sogni per tantissimi appassionati della palla a spicchi ed il nostro pensiero è andato a colui che ha portato, promosso ed ancor oggi divulgato questo sport nella nostra città.

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Per chi come me è stato suo allievo pronunciare il suo nome è come dire “basket”. Non puoi dissociare l’uno dall’altro. “ Non vi è nulla di nuovo sotto il sole, in

ogni tempo fu, è e sarà sempre la stessa cosa”. Queste le prime parole del Prof. Michele Amatruda, che da noi sentito così continua: “La vicenda che ha interessato gli impianti sportivi a Lamezia Terme mi ha fatto tornare alla memoria le lotte, gli scontri avuti con passate Amministrazioni mai interessate seriamente allo sviluppo dell’attività sportiva nella nostra Città, vuoi per l’inettitudine dei soggetti che hanno operato ed operano negli uffici tecnici all’uopo preposti, vuoi per la mancanza di una visione lungimirante e di un reale e concreto coinvolgimento della “classe politica” che, lasciamelo dire, non ha ravvisato alcuna utilità personale d’ordine economico o un “ritorno” in termini di voti elettorali nell’agevolare chi fattivamente e spassionatamente si è adoperato per la formazione sportiva e spirituale della gioventù nicastrese e lametina poi. Non ho partecipato in prima persona ai recenti eventi ma traspare evidente la mancanza di sensibilità della triade commissariale se non, addirittura, una certa sorta di ostracismo perpetrato ai danni della Comunità lametina. Conservo ancora una “lettera aperta” inviata nel lontano 1969 all’allora Ministro della Pubblica Istruzione Ferrari Aggradi ove si lamentava l’indifferenza delle Autorità Scolastiche e Civili nei riguardi dello Sport ed un articolo a firma di Saverio Critelli pubblicato sul Giornale di Calabria il 21 novembre 1986 concernente la situazione del “Palazzetto dello Sport”. Diceva il buon Saverio “ Nel gioco dello scaricabarile a rimetterci è solo lo Sport”! Ed è quello Lamezia e non solo


Sport

Nuoto, Arvalia Nuoto Lamezia conquista il terzo posto al II Meeting “Città di Vibo Valentia” La stagione agonistica per il nuoto è ai blocchi di partenza. Domenica 4 novembre l’Arvalia Nuoto Lamezia ha partecipato al Secondo Meeting “Città di Vibo Valentia”. L’evento è stato organizzato dalla ASD Hipponion nuoto presso la piscina Comunale di Vibo Valentia, in vasca da 25 metri. Il Meeting ha avuto carattere interregionale, ed ha visto la partecipazione di atleti provenienti da tutta la Calabria ed anche dalla Sicilia. Ed arriva proprio da Vibo il primo trofeo stagionale per la squadra guidata dagli allenatori Massimo Borracci e Francesco Strangis, che si è classificata al terzo posto con 321 punti. Una vetrina che ha consentito di mettere in mostra le proprie capacità e il livello di preparazione raggiunto dalla giovane squadra, che ha dimostrato di avere grandi margini di miglioramento. Sull’esperienza vissuta in vasca la Società Acli Arvalia Nuoto Lamezia esprime tutto il proprio entusiasmo per il considerevole lavoro dei Mister nella costante crescita

che è successo ancora oggi a distanza di ben 32 anni. Che dire? Sono costernato! Vedere gli sforzi e l’entusiasmo dei “miei” allievi, che tanti sacrifici hanno sopportato in termini di tempo e denaro per ottenere un risultato mai prima raggiunto a Lamezia Terme, essere vanificati dall’insensibilità di certi personaggi che dovrebbero invece promuovere ed incentivare l’attività sportiva, non può che rafforzarmi nell’idea che niente si fa se non c’è un tornaconto personale. 52 anni di passione e sacrifici

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tecnica del gruppo. La Società si congratula inoltre con tutti gli atleti per il giusto spirito sportivo dimostrato, si segnalano i buoni tempi cronometrici dei seguenti medagliati: Leonardo Grasso, oro nei 200 dorso, 100 misti e 200sl Gianluca Pittelli, oro nei 100 rana, 100 misti e 100 dorso Martina Maglia, oro nei 100sl, 100 misti e 100 dorso Danila Gullo, oro nei 100 e 200 dorso, argento nei 100 rana Gabriele Muggeri, oro nei 100sl e 100 farfalla, argento nei 100 misti Ilaria Matti Altadonna, oro nei 100 misti, argento nei 100 dorso, bronzo nei 100sl Angelo Talarico, argento nei 200 farfalla e 200 misti, bronzo nei 100 farfalla Giulia Rocca, bronzo nei 100sl e nei 100 misti Aurora Furci, bronzo nei 200sl Federica Turtoro, argento nei 100 rana e nei 100 misti Demis Francesco Lico, argento nei 100 cancellati dalla povertà di pensieri e sentimenti di aridi burocrati.” Chi amministra il bene pubblico dovrebbe mettere da parte interessi e scopi personali, per pensare al bene comune fuori e dentro i termini burocratici ma tant’è; a rimetterci è lo sport che non va inteso come una semplice competizione ma, un modo per stare insieme, crescere e socializzare fuori e dentro il terreno di gioco. Dopo quasi un anno dall’inizio di questa odissea, con itinerario da Reggio Calabria a Corigliano passando da Vibo Valentia, Catanzaro e Pentone, le risorse cominciano ad

misti Mariafrancesca Cimino, bronzo nei 100 misti Alice Vinci, argento nei 100 misti Gaia Anna Silvana Ottaviano, bronzo nei 200 dorso L’Arvalia ha inoltre ottenuto il bronzo nella 4×50 misti con Ilaria Matti Altadonna, Danila Gullo, Angelo Talarico e Leonardo Grasso. Hanno conseguito ottimi piazzamenti e punti importanti per la classifica di Società: Niccolò De Giorgio Vienni, Antonio Devito, Alessia Banditelli, Giulio Torcasio, Michele Severino Aquilano, Giorgio De Pace, Anna Gaia De Sando, Chiara Maria Macrì, Mattia Pio Iuliano, Benedetta Gaetano. esaurirsi e senza il PalaSparti si rischia di far compagnia, quanto mai sgradita, ai gialloblù. Il 50° sta per esaurirsi, sarà l’inizio di una nuova era? Una seconda giovinezza o un semplicemente traghettamento burocratico?

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Carissimi lettori, avevamo già parlato di Danilo Pagliaro e del suo primo libro: Mai avere paura, che apriva un universo nuovo, sulla Legione Straniera. Per molti anni, il mondo dei legionari è rimasto sconosciuto ai più e, se non proprio tale, comunque, molto lontano. Ciò ha alimentato la fantasia. Di autori, registi, persino di comici. Di certo, nessuno dimenticherà mai il film di Stanlio e Ollio: Figli del Deserto che, per circa un secolo, ha fatto nascere burle e detti un pò irriverenti sulla Legione. Mi ricordo che, da bambina, subito dopo aver visto il vecchio film (quando la TV trasmetteva cultura), ogni volta che mi sembrava di aver subìto un torto in famiglia, andavo da mio padre e, impettita, mi rivolgevo a lui con un: “Se continuate così, mi arruolo nella Legione Straniera”… Ovviamente ottenevo il risultato di un’ilarità generale, ma mio padre, che era stato, sin da bambino, fiero come me (io ne avevo ereditato tutte le caratteristiche e lui, in me, riconosceva le sue), dava peso ad ogni mia affermazione. Un giorno mi prese in braccio, mi fece sedere sulle sue ginocchia e mi chiese: “Ma tu sai veramente cosa sia la Legione Straniera?”. Risposi che avevo visto il film dei due inseparabili comici… Ridacchiando, mio padre, prese un vecchio libro e io vidi, per la prima volta, la foto di un legionario vero… Mi raccontò di Luigi Filippo d’Orléans che l’aveva istituita, della battaglia di Camerone e della Guerra d’Indocina; di Danjou e Amilak, dei vari reparti e del perché fossero Francia a tutti gli effetti, ma si chiamassero sempre stranieri… Mi parlò di uomini che avevano in sprezzo il pericolo e di come la Francia li avesse accolti come figli, dimenticando qualunque loro passato. Mi disse anche che si narravano cose truci della Legione, ma che riteneva fossero favole: “L’addestramento duro”, mi disse, “preserva gli uomini dalla morte” e mi spiegò del loro combattere in territori ostili e dell’abnegazione verso i compagni. Ricordo distintamente che gli chiesi perché portassero quello strano cappello con la coda di stoffa e papà, ridendo alla mia affermazione, disse che era per riparare il collo dal sole: un’accuratezza mai vista in nessun reparto militare di nessuno Stato… Forse fu proprio quell’affermazione di papà a farmi capire che dietro l’eroismo dei legionari, vi fosse un senso pratico disarmante.

Francia, perché non si diffondano idee sbagliate al riguardo. Pensavo di essere l’unica ad aver sentito raccontare frottole sulla Legione, ma negli scritti di Danilo Pagliaro si scopre quanto grande sia l’ignoranza riguardo a un tal Corpo. Il motto: “Legio Patria Nostra”, parla da solo di un Corpo unito, per nulla “massiccio e incazzato”, come narrano i fantafilm d’azione. L’unità fa la forza, non solo in situazioni di conflitto, ma anche in situazioni che i legionari affrontano, in nome delle loro missioni. Danilo Pagliaro parla di contratto, di scelta, infatti il suo secondo libro ha per titolo proprio “La scelta”, per rimarcare che chiunque decida di arruolarsi nella Legione Straniera, sceglie di operare, lavorare e prestare il suo servizio per qualcosa in cui crede. Molte volte mi sono trovata a sfatare la dicerìa che i legionari siano mercenari e spesso ho visto gli occhi di molti ignoranti, sgranarsi, quando ho ribadito con fermezza che non sono. I legionari hanno un passo di marcia diverso dagli altri militari, operano per la Francia (che è stato membro dell’EU), in territori in cui occorre un addestramento specifico, una grande forza d’animo e un sangue freddo, spesso, al di là del comune: legionari non si nasce, ma si diventa. Ciò che di eccezionale viene rilevato in situazioni difficili, non si improvvisa, ma è frutto di umiltà, di servizio, di lavoro. È di questo che Pagliaro ci parla, dalle sue pagine. La scelta non è solo un libro che narra, ma che fa riflettere. Che sposta l’accento dal mito alla realtà, che pur ne è l’ossatura. Se il mito ha fatto conoscere la Legione, è pur vero che ha alimentato false credenze, mentre la realtà è fatta di cose semplici, di lealtà, di fedeltà fra uomini che diventano straordinari proprio nel quotidiano. Spesso, nei corpi militari, si parla di eccezionalità, di coraggio quasi temerario, di forza fuori dal comune… Ma i legionari descritti da Danilo Pagliaro che, nella Legione ha vissuto un’esperienza reale e non fantastica, finalmente, non sono supereroi, ma uomini. Che guardano in faccia, spesso, il dolore, la morte, il pericolo, la paura. E, se Mai avere paura (il primo libro di Pagliaro) ci mette di fronte ad una paura vissuta, mai negata, ma attraversata e superata, La scelta ci pone di fronte ad uomini senza veli interiori. Egli si riconosce in un uomo che pensa di aver perso molto nella vita e che, pian piano, riacquista, non solo un nuovo coraggio, ma anche una nuova speranza.

più scarni di come li vediamo dall’esterno. Sono fieri, è vero, ma questo deriva proprio da quella semplicità che contraddistingue chi, spesso, per riacquistare tutto, è disposto a perdere tutto e viceversa: questo è il senso di quella che, personalmente, definisco la loro tenerezza. Il legionario è un uomo che combatte, è un soldato che accetta di diventare francese. La Francia, che inizialmente gli chiede, come Danilo Pagliaro spiega benissimo nel libro, di entrare in Legione in anonimato, perdendo la sua nazionalità, lo rispetterà sempre come straniero che la sceglie, pur dandogli una nuova Patria. Nel titolo del libro vi è tutta la forza e il pathos di questa decisione. Le regole sono dure, come per ogni uomo che sceglie di confrontarsi con una professione che possa includere il pericolo e la morte, ma tali regole non sono inflessibili, perché la vita in Legione non è un film d’azione, ma una vita di disciplina che rende in grado di affrontare, fino in fondo, ciò che si è scelto. Consapevolmente, non per farsi strada nel mito. Gli esempi che la Storia ci ha lasciato della Legione, spesso sono stati fraintesi, al fine di valutare l’eccezionalità esaltante che molti vorrebbero emulare. Danilo Pagliaro ci riporta alla normalità, alla vita, non certo da oscuro topo di biblioteca, del legionario, ma neppure a quella del Rambo da strapazzo. Molti si sorprenderanno, ed è questo il bello, di trovare nel vero legionario, molti più aspetti dell’uomo comune che dell’eroe. Ed è questa normalità, a mio avviso, che rende eccezionali gli scritti dell’autore. Proprio come l’autenticità, e non il mito, ci restituisce la vera essenza della Legione Straniera, fatta di umani, non di fumetti! Non mancano, nel libro, i momenti toccanti. Le descrizioni di cuore e non di propaganda. Nel suo libro, Pagliaro non invoglia nessuno ad arruolarsi e non fa pubblicità occulta alla Legione. La scelta, come Mai avere paura, sono il racconto di una vita vissuta e la volontà di far conoscere il vero su ciò che si è vissuto e tolleranza zero verso la falsità. Di tutti i libri che ho letto, dei e sui legionari, quelli di Pagliaro sono i libri più intensi, mai intrisi di simbologia, schietti e immediati, perché alla Legione non serve pubblicità, la Legione non è un panda da salvare, la Legione non è un mito, ma una piccola grande patria nella patria, esattamente come recita il motto del Corpo, precedentemente citato.

Ho sempre nutrito, in fondo al cuore, per i legionari, una forte empatia: qualcuno mi dice, scherzando, che, forse, in una vita passata, sono stata un legionario, altri mi dicono che ne ho l’esprit…

Non vi è esaltazione di medaglie, ridondanza di encomi: il legionario è semplice, essenziale, per alcuni versi spartano. Spogliato di ogni orpello, di ogni sovrastruttura, egli vien fuori dal libro con la sua più profonda verità.

La lettura, non solo vi appassionerà, per il vissuto narrato, ma per gli interessanti spunti culturali da trarre e conservare per sempre, certi di aver scoperto qualcosa, non di aver fantasticato sull’irreale.

In ogni caso, mi emoziono, ogni volta che sento parlare della Legione e, nelle quinte classi, ho sempre fatto studiare questo aspetto storico della

Sono solita dire ai miei alunni, quando parlo della Legione Straniera come aspetto particolare della civiltà francese, che i legionari sono molto

Un grazie a Danilo Pagliaro che ha voluto condividere con noi la sua esperienza.

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Buon libro a tutti, col cuore.

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Il parere del pedagogista

Appunti di quotidiana pedagogia (Consulenze genitori-figli)

Genitore età. 42 - libero professionista – “mia figlia ha 16 anni ed è in quella fase della vita in cui pensa solo alle amiche e al ragazzo, questo mi sta anche bene. solo che con le amiche e il ragazzo non fa che programmare scioperi, occupazione della scuola e roba del genere. è tutto nella norma o ho una figlia votata alla politica? soprattutto sono preoccupata per i risvolti che questo comportamento ha sul suo andamento scolastico non proprio brillante, anche perchè i professori la vedono come la promotrice di sommosse studentesche. cosa devo fare? Gent/ma Signora, innanzitutto il tutto mi sembra piuttosto normale. Sua figlia inizia a fuggire dal concreto ed inizia ad elaborare e concentrarsi su delle ipotesi, congetture, pensieri, idealità che l’aiutano a trovare se stessa. In gergo inizia la fase dell’intellettualizzazione, una sorta di difesa psicologica per iniziare a capire, a mettere in gioco se stessa ed iniziare a confrontarsi con le regole e la realtà degli adulti, non certamente sue. Altro aspetto, questo lo trovo positivo ed interessante, vivere il sociale attraverso “attivismo politico” a dispetto di coloro che vedono lontani i giovani dal confronto sociale e resi passivi dal disincanto della politica. In sua figlia c’è il bisogno di confrontarsi con gli adulti (genitori, docenti ecc.), il suo idealismo le permette di scoprirsi e di soddisfare anche il suo egocentrismo e a mettere alla prova la sua intelligenza. Altro aspetto, non meno importante, può essere quello di sfuggire ad una sempre più diffusa sensazione di solitudine, dalla percezione di inutilità, noia e disorientamento e cercare di soddisfare il desiderio di un maggiore senso di appartenenza alla comunità e riempire un “vuoto” mediante il confronto, la solidarietà e perché no? Il leaderismo. Come confrontarsi con tutto ciò? In primo luogo iniziare ad esplorare il suo mondo interiore per comprendere il suo percepire la realtà. Per fare ciò è importante iniziare un dialogo attraverso il suo linguaggio, le sue emozioni, i suoi sentimenti, mettersi dal suo punto di vista. Farsi coinvolgere nelle sue analisi, nella sue idee, nel suo fantasticare, fargli vivere questo momento con atteggiamento di apertura a questa sua esperienza. Fargli capire che si è lì per ascoltarla, per condividere con lei la scoperta di valori morali e per indirizzarla verso anche un’analisi delle regole che vanno rispettate. Accettarla così com’è, intendendo con ciò il rispetto per lei,

non una condanna attraverso il suo comportamento ma, un’apertura autentica verso lei come persona capace di assumersi delle responsabilità. Una comunicazione di apertura e comprensione del tipo “sei come ognuno di noi di fronte ad un percorso di vita e ti trovi di tanto in tanto a sperimentare momenti di difficoltà, solitudine, decisioni sbagliate, comportamenti ed atteggiamenti sbagliati, incertezza, rabbia ed amarezza … sai che ci sono intorno a te persone che possono essere interlocutori positivi e disponibili. Utilizzali quando puoi e se vuoi”. Accoglierla e consentirle di vedere riconosciuti i suoi bisogni, i suoi tempi in una completa autonomia di crescita. Il rispetto dei tempi di personalizzazione della comunicazione attraverso un rapporto di “avvicinamento-allontanamento” che la fa sentire artefice del proprio cammino senza il rischio di dipendere dalle figure genitoriali, restituendogli la capacità di prendere decisioni su di sé, di rendersi conto chiaramente dei cambiamenti che stanno avvenendo nella certezza di essere sempre accolto nel contesto famiglia con affetto. Coinvolgere i suoi amici ed il ragazzo in una discussione “salottiera”, riproporsi come genitori aperti al dialogo per comprendere anche il perché della “flessione” del rendimento scolastico, tra l’altro tale flessione è presente nella vita scolastica di ogni adolescente (I° e 3° superiore), coincidente con diversi fattori intrapsichici caratterizzanti la prima e seconda parte dell’adolescenza.

Raffaele Crescenzo-

Pedagogista –ambiti di intervento/aiuto: Pedagogia Familiare–Pedagogia della Salute Pedagogia e Psicologia dell’adolescenza Contatti: creraf@libero.it - Cell. 3479712654

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L’autunno nel piatto

Il cambio stagione è un periodo delicato ed è importante affrontarlo nel migliore dei modi anche con una sana alimentazione che può aiutarci a prevenire stanchezza , influenza e raffreddore. In autunno la tavola si colora di arancio e verde : zucche, broccoli , arance e mandarini ricchi di vitamina C , carotenoidi , magnesio e acido folico sono i protagonisti indiscussi. La vitamina C è uno dei più potenti alleati a tavola, grazie alla sua funzione antiossidante ci aiuta a combattere l’azione dei radicali liberi del nostro sistema immunitario. Non solo gli agrumi sono ricchi di vitamina C ma anche kiwi, rucola, cavolo cappuccio peperoni, prezzemolo e peperoncino. Il fabbisogno giornaliero di vitamina C, è di circa 90 mg per gli uomini e di circa 70 mg per le donne, nei bambini è di circa 40-50 mg al giorno. Essendo una vitamina essenziale è necessario introdurla dall’esterno basta bere una spremuta d’arancia o di due limoni per raggiungere il fabbisogno giornaliero. Attenzione però : essendo una vitamina C una vitamina instabile la spremuta va fatta e subito bevuta altrimenti si rischia di perderne i benefici! Attenzione anche alla cottura: essendo la vitamina C sensibile alla luce e al calore è bene evitare lunghi tempi di cottura. L’autunno non è solo la stagione delle spremute ma anche delle zuppe calde . Cosa c’è di meglio dopo un’intesa giornata di lavoro che farsi coccolare da buona minestra che ci aiuterà ad addormentarci meglio ? Quindi via libera a cereali integrali in chicco come orzo , farro , avena alleati del giro vita che ci aiutano anche a combattere infezioni gastrointestinali causate da virus e batteri . Un’ottima zuppa può essere fatta con l’ avena un cereale ricco di proteine e fibre principalmente betaglucani, indispensabili per attivare i globuli bianchi e quindi per difenderci dalle infezioni e riparare i tessuti danneggiati. L’avena è un cereale molto versatile possiamo utilizzare la farina a colazione per creare dei dolci gustosi o il classcio oat meal un tipo di porridge arricchito con frutta secca e oleosa. La regina d’autunno è la castagna . Le castagne sono ricchissime di vitamine del gruppo B , calcio , potassio , magnesio, fosforo , ferro . Sono un ottimo spuntino , soprattutto dopo un’attività fisica in quanto contengono un quantitativo elevato di amidi in 100 g che corrispondono a circa 6 castagne medie abbiamo 165 kcal 37 g di carboidrati di cu 9 g zuccheri semplici 1,7 g di grassi 4,7 g di fibra. A dieta come è preferibile consumarle? Sicuramente non a pranzo dopo pasto ricco di carboidrati. Le consiglio sempre a spuntino. Per quanto riguarda la cottura 100 g di castagne bollite apportano circa a 120 kcal ma le proprietà nutrizionali vengono perse nell’acqua di cottura, 100 g di castagne arrostite invece apportano 193 kcal ma con questa modalità di cottura si manterranno tutti i benefici e le proprietà nutrizionali. Quindi a voi la scelta!

1 rapa Spezie a piacere 20 g di olio d’oliva Portate in una casseruola dell’acqua ad ebollizione salatela e cuocete per circa 30 minuti l’avena. Nel frattempo sciacquate gli spinaci e mondate la carota e la rapa, e riduceteli a dadini. In una casseruola fate rosolare della cipolla con un cucchiaino di olio e due di acqua. Unite 8 dl di acqua la carota e la rapa e fate cuocere fino ad ebollizione . Una volta che l’avena è cotta aggiungetela alla minestra di verdure insieme agli spinaci. Condite con un cucchiaio d’olio e servite.

Alma Battaglia

Biologa Nutrizionista Vice presidente SIPS - delegazione Calabria FB Centro Nutrizione Sport Salute

Presentazione del Calendario 2019 del Rifugio Fata

Scatti Rubati ...

a conclusione

conviviale mento mo

Via del Progresso - Lamezia Terme

Fra un the ed un pasticcino fra una chiacchiera ed una fotografia fra un po’ di buona musica e tanti, tanti, amici pelosi Vi aspettiamo

Domenica 2 dicembre 2018 - ore 16,30 Tipografia Grafiché di Antonio Perri Via del Progresso, 200 - Lamezia Terme

Ecco qui una Minestra Autunnale Per 4 persone 200 g di avena decorticata 200 g di spinaci feschi 2 carote pag. 24

GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Lamezia e non solo


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