Lamezia mese luglio agosto2

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Oggi incontriamo Luciana Parlati, donna molto conosciuta e stimata a Lamezia Terme, grande professoressa, poetessa che usa la penna come fosse un pennello e “dipinge” quel che sente in modo così realistico che, nell’ascoltarne i versi, si ha

quasi la sensazione di “vedere” quello che descrive… Luciana Parlati, figura molto cara e stimata a Lamezia Terme, insegnante, poeta, presidente Fidapa, oltre che mamma e moglie, abbiamo il piacere, per il mese di luglio, di poterla intervistare per il nostro mensile e non possiamo che ringraziarla per averci concesso questo incontro. Vogliamo cominciare parlando del suo ruolo di professoressa? Ho insegnato prima ancora che mi laureassi, incominciando nel lontano 1952, (anno scolastico ’62/’63), presso l’Istituto Magistrale parificato “Flora Panariti”, di Nicastro; ero iscritta al terzo anno del Corso di Laurea in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Messina, ero a posto con gli esami, avevo 19 anni e alcuni alunni erano più grandi di me. Guadagnavo lire 26.000 al mese e mi bastavano, riuscivo anche a risparmiare qualcosina. Da allora ho insegnato nella Scuola Media, prima a Sambiase, poi a Falerna paese. Devo dire che allora, con l’avvento della scuola media unificata, si era avuto un notevole bisogno di docenti, per cui si era

fatto ricorso ai laureandi. Nel frattempo mi sono laureata, ho fatto il Concorso (allora i concorsi si bandivano) ho continuato la mia carriera negli Istituti Superiori: Istituto Magistrale, Liceo Scientifico, Liceo Classico. Insegnante, per quanti anni lo è stata? Per 40 anni infatti sono andata in pensione dopo quarant’anni di insegnamento Come abbiamo detto, lei è molto amata, dai suoi alunni, dai loro genitori, questo vuol dire che è stata una ottima insegnante, ruolo oggi molto “criticato”, per lei cosa vuol dire essere una buona “prof”? Essere una buona professoressa per me significa amare il proprio lavoro, prepararsi quotidianamente, essere chiara e semplice nelle spiegazioni, scendere dalla cattedra e conquistare la fiducia degli alunni, dando

ad essi stessi fiducia, soprattutto a chi, per varie ragioni, sembra più debole in qualche materia. I primi anni di insegnamento forse sono stata più severa, poi sono, a poco a poco, diventata più indulgente ed ho capito che questo era il metodo migliore per avere risultati più proficui. Vuole parlarci di questo suo vissuto, magari ricordando momenti belli ed anche momenti meno belli? La scuola è stata molto importante nella mia vita; ho scelto quasi per vocazione questa professione, tanto che ricordo che fin dalle elementari io a casa giocavo a fare la maestra e, come alunna avevo una mia compagna di scuola, più grande di me, della quale ricordo solo il nome “Vincenzina”. Abitava in una campagna e mi era stata affidata dalla maestra affinché il pomeriggio la aiutassi nei compiti. La scuola mi ha dato molto; mi ha arricchita ogni giorno, soprattutto per il contatto con i giovani che si avvicendavano ogni anno. Tantissimi sono stati i miei alunni, molti dei quali ancora mi riconoscono, mi salutano, mi hanno riscoperta attraverso Facebook. Moltissimi sono stati momenti belli trascorsi nelle varie scuole. Ricordo un giorno a

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Falerna nel lontano 1964: era una giornata d’inverno, faceva molto freddo, io portavo da casa uno scaldino che tenevo, stando dietro la cattedra, sulle ginocchia sotto una sciarpa di lana. I ragazzini (prima media) erano tutti attenti, quando all’improvviso si scatenò una violentissima bufera, con vento e neve abbondante. Ricordo il giovanissimo Michelino Roperto (che poi avrei ancora ritrovato come alunno al primo liceo scientifico) che, all’improvviso, schizzò fuori dal banco e si precipitò alla finestra gridando in dialetto Falernese: “Prifhissorè! cchì timpesta, cchì timpesta!”. Tutti fummo distratti quel giorno dalla lezione. I ragazzi si alzarono dai banchi e si avvicinarono in cerchio alla cattedra, come per chiedere protezione, perché sembrava che tutto fuori potesse succedere. Trascorremmo le ore parlando di noi, di ciò che provavamo, di ciò che stava avvenendo fuori. Il vento poi si placò. Tutto era imbiancato, come purificato, come noi stessi che avevamo vissuto momento di raccolta intimità. Ricordo gli esami di maturità sia in sede che come commissario esterno con momenti che ho descritto e rappresentato a volte in varie mie composizioni in dialetto. Tra i momenti meno belli ne ricordo soprattutto due: Il primo quando un giorno, mentre interrogavo, bussò il bidello alla porta e mi pregò di fare uscire un’alunna convocata in presidenza, era venuto lo zio

materno a condurla casa, la madre della ragazza, una mia ex compagna di scuola, era stata tamponata andando al lavoro, aveva violentemente battuto la testa sul sedile, era uscita dall’auto per accertarsi del danno, ma subito si era accasciata a terra senza vita. Ho sempre in mente l’immagine della mia scolara tornata a scuola, tutta vestita di nero e con l’aria smarrita e con gli occhi azzurri senza più luce. L’altro episodio tristissimo fu quando (insegnavo al liceo classico), una mattina il banco di un mio alunno, bravo, dolcissimo, tenerissimo, era vuoto. Anche allora un incidente aveva stroncato nel fiore degli anni un giovane meraviglioso la cui fine mi fece pensare ai bellissimi versi in cui Virgilio, nell’Eneide, parlando della morte di Eurialo dice … “Cade morendo Eurialo, / e già tutto si sparge il sangue per le belle membra, / mentre il capo reclino sulla spalla languido muore, / qual purpureo fiore dal vomero reciso” La scuola oggi, perché è tanto criticata? Io non faccio più parte di quel mondo a me tanto caro e nel quale, se fosse possibile tornerei volentieri, quindi non so dire perché ci siano oggi tante critiche. Certo i professori sono (come sempre) una categoria bistrattata; oggi più di ieri non sono sistemati, sono mal pagati, non hanno certezze, sono precari a vita; le strutture non sono adeguate, i libri di testo sono sempre più cari e pesanti, i programmi vanno aggiornati e chi più ne ha più ne metta. I giovani di oggi sembrano non avere più, verso gli insegnanti, quel timore reverenziale che si aveva una

volta, questo è un bene secondo lei? I giovani oggi sono più spontanei, ma ciò non significa che manchino di rispetto verso i loro insegnanti, salvo alcune eccezioni in particolari situazioni ed ambienti. La scuola e la tecnologia, le scuole diventano sempre più tecnologiche, l’uso del computer, che è, in alcuni casi, arrivato a sostituire i libri cartacei, l’uso di internet per le ricerche e quant’altro, lei come vede questa evoluzione verso questo nuovo modo di intendere l’insegnamento? Credo che la tecnologia debba aiutare la scuola, perché l’uso del computer velocizza lo studio e dà uno straordinario apporto all’apprendimento, ma altresì credo che non si debbano sostituire i libri cartacei, la scrittura manuale (ricordate la bella grafia?) che costituiscono un bagaglio personale ed intimo di ciascuno di noi, bisogna quindi sapersi adeguare e utilizzare a buon fine il nuovo, senza cancellare tutto il vecchio. D’altra parte anche io che ho 72 anni non ho potuto fare a meno di imparare (anche se sono ancora una dilettante) ad utilizzare il computer. Verrà il giorno, a suo avviso, in cui sparirà la professione dell’insegnante e la preparazione e la cultura, saranno affidate a figure “virtuali”? Spero proprio di no. Ci vuole sempre il contatto umano per trasmettere emozioni non credo che robot abbiano questa capacità. Parliamo ora di un altro aspetto della sua eclettica personalità: la poesia, lei scrive

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e ca vulera ‘nu pocu ripusari. Cantu ppi llu duluri ca iu siantu e ppi la raggia ca m’infhoca dintra, e ppi l’amuri ca mi fha dannari ppi chista terra e ca mi fha trimari.

delle poesie che sono un vero e proprio “spaccato” della vita dei nicastresi prima e dei lametini poi. Sì, mi piace molto scrivere poesie, prevalentemente in vernacolo; esse hanno vari registri che vanno dal serio al faceto, dal personale al descrittivo, dall’invettiva all’elegia, a secondo i momenti. Quando decide di scrivere una poesia da cosa è spinta? Da qualcosa che ha vissuto sulla sua pelle, da qualcosa che ha letto, che ha visto, oppure le idee “nascono da sole” (citando un famoso cantautore, Vasco Rossi), e lei sente l’ispirazione e prende la penna e si mette a scrivere? Di solito le mie poesie nascono da un’occasione, da una vicenda che può essere lieta o triste, da un pensiero, da una immaginazione, talora da una parola sentita a qualcuno. Non mi siedo al tavolino e decido di scrivere; i versi di devo sentire, così improvvisamente; le parole mi nascono dentro e nell’istante in cui scrivo vogliono “vedere la luce”. L’ispirazione non si può comandare; deve essere spontanea. È vero, alcune mie poesie sono uno “spaccato” della vita dei Nicastresi-Lametini. Sono quelle che nascono dall’osservazione della realtà cittadina che ho, che abbiamo tutti sotto gli occhi, ma che solo alcuni, come me, riescono a rappresentare con versi. Io non ho ancora pubblicato nulla, Ma spero di poterlo fare in seguito. Vuole dedicare ai nostri lettori qualche suo verso? Iu sugnu calabrisi Iu sugnu calabrisi e mi ndi vantu, e ppi ‘stà terra mia iu sempri cantu. ‘A musica ma ‘a ‘spira chistu mari, i paroli mi ‘i veni a sussurrari ‘u viantu, ca mi veni ad abbrazzari e la luci du ‘u suli a quadiari, e la candida luna a rinchjarari ‘stu cori ca ogni tantu è affrittu e stancu,

‘U mistiari da ‘a mamma ‘U mistiari da ‘a mamma un po’ mai fhurniri, e chistu ognunu ‘i nua l’ ha di sapiri. ‘Ncigna ‘u mumentu stessu ca t’ ha fattu,

ti guarda dintra l’ uacchji, e già ‘nu pattu d’ amuri eternu nasci tra di vua ca tutta ‘a vita dura e puru pua. Illa ti stà sempri vicinu a ti vigghjari, attenta stà si vua mangiari, si rispiri, si sta’ mali. ‘Un si ndi ‘mporta si tu sì randi divintatu, ppi d’ illa sempri ninnu sì ristatu. E ti vulera ancora coccolari, e ti vulera fhorti fhorti abbrazzari, puru ca puru tu ha’ janchjatu. -Su’ belli ‘i mammi dici ‘na canzuni - du ‘u mundu-, tutti ‘i mammi,ca ccu amuri

i figghji hanu crisciutu e no senza duluri. Passiamo ora al ruolo di Presidente di una importante associazione femminile. Sinceramente è stato per me un grande privilegio ed un onore diventare presidente della FIDAPA, sezione di Lamezia Terme, distretto sud-ovest, per il biennio 2013/2015, del che ringrazio vivamente le socie che con la loro scelta hanno attestato la loro stima e la loro amicizia nei miei confronti. Sono socia FIDAPA da più di 40 anni, entrata a far parte di quest’associazione, nata a Lamezia Terme 46 anni fa, negli anni verdi della mia vita e ne ho seguito da vicino il percorso e l’evoluzione non solo in ambito cittadino, ma distrettuale, nazionale ed internazionale. E’ stata per me una esperienza importante, mi ha arricchita sotto ogni punto di vista, ma soprattutto umano. Il ruolo della FIDAPA è quello di riuscire, attraverso la comunicazione a fare opinione; l’importanza del fare opinione è fare conoscere all’esterno la forza dell’associazione attraverso i temi trattati, temi che sono suggeriti dalle nuove esigenze e dai cambiamenti della società in evoluzione. Il ruolo di presidente di sezione è quello di seguire e attuare con l’aiuto del comitato e con il supporto di tutte le socie, le direttive indicate dal nazionale, mantenendo però una certa autonomia nella scelta e in modalità dei temi di rilievo da trattare. FIDAPA, acronimo che sta per Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari e nasce in Italia nel 1930 da una costola dell’americana F.B.W.I. (International Federation of Business and Professional Women), lei ha appena concluso il suo biennio, comincia già a sentire la mancanza degli

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innumerevoli impegni che tale ruolo comportava? Ho terminato il biennio di presidenza della sezione FIDAPA di Lamezia Terme ma rimarrò a fare parte del Comitato Direttivo come Past-President per il prossimo biennio 2015-2017 e spero di poter dare, un contributo, sulla base della esperienza maturata. Certo non ho più la responsabilità maggiore, e da questo punto di vista, mi sento più sollevata e meno in ansia. Vogliamo parlare un po’ in generale del vissuto dell’associazione lametina dalla sua nascita ad oggi? Sarebbe molto lungo parlare del vissuto dell’associazione lametina dalla nascita fino ad oggi. Posso dire che è stata una sezione molto attiva, per dirla con l’espressione di una presidente nazionale di qualche anno fa, essa è stata una punta di diamante nell’ambito del distretto regionale e nazionale. Non posso riferirmi a nessuna delle presidenti che mi hanno preceduta e che brillantemente hanno condotto la sezione, perché rischierei di dimenticarne qualcuna. Posso aggiungere che in occasione del 40º anno dalla sua nascita la FIDAPA di Lamezia Terme ha pubblicato un bellissimo volume in cui è raccontata tutta la storia della sezione, attraverso testimonianze, foto, immagini varie. Io conservo questo volume con molta cura e ogni tanto mi diletto a sfogliarlo. Tornando a lei, pregi e difetti dell’essere Presidente FIDAPA. Non posso proprio io parlare dei pregi e difetti dell’essere presidente FIDAPA. Ciò può essere rilevato dagli altri, sia all’interno dell’associazione stessa, sia all’esterno.

Certo nessuno di noi è perfetto. Ognuno di noi ha i propri limiti e bisogna riconoscerli. Penso però che in ogni momento debba prevalere il buon senso. Quali sono i momenti di questo biennio che ricorda con maggiore piacere? Ne ricordo tanti come il momento della inaugurazione, la festa delle candele, i vari convegni come quello sui Diritti negati delle bambine, La giornata della memoria, La lotta contro la violenza sulle donne. Ricordo ancora il convegno sul tema nazionale “Il ruolo dell’associazionismo femminile in una

società in rapida e continua evoluzione”, il convegno sul tema internazionale “Making a difference through leadership and action”, il convegno sull’immigrazione. Ricordo la partecipazione a convegni distrettuali e nazionali. Ci sono state inoltre tante altre iniziative che sarebbe troppo lungo enumerare. Basti ricordare solo che la FIDAPA ha fatto dono alla Caritas di Lamezia Terme di un robot da cucina industriale come segno di attenzione per chi opera per i più deboli. Essere stata insegnante le è stato di aiuto in questo difficile ruolo? Si certo, chi è insegnante lo è sempre; ho fatto tesoro della mia

esperienza lavorativa, ma a mia volta ho molto imparato. Spesso si sente dire che la FIDAPA è un’associazione “femminista”, ovviamente non da chi la conosce, ma è facile cadere nella retorica del femminismo quando si parla di associazioni al femminile, vuole dire ai nostri lettori perché la FIDAPA non è una associazione femminista? Credo che sia utile fare qualche precisazione in merito: il femminismo è stato il primo movimento politico di critica storica alla famiglia e alla società. Il manifesto di rivolta femminile nasce del 1870, anche se molto lontani sono i prodiani di un movimento di ribellione delle donne che si battono per l’emancipazione della donna e per la sua parificazione morale e giuridica con l’altro sesso in ogni settore della vita privata e pubblica. il femminismo trova il suo cardine nella lotta, nella ribellione. La FIDAPA non è assolutamente un’associazione che si fonda sulla rivolta. E’ un’associazione femminile, anzi una federazione internazionale di donne dedite alle arti, agli affari, alle professioni che, nata nel 1929, si propone una grande missione: migliorare il mondo, attraverso l’impegno e l’azione delle donne. Da quando la FIDAPA è stata fondata sono passati più di 85 anni; sono emerse nel corso degli anni varie problematiche prima vissute in silenzio come: violenza, emarginazione, differente trattamento salariale, assenza delle donne nei massimi ruoli dirigenziali pubblici e privati. La nostra associazione ha compiuto quindi sforzi per adeguarsi

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ai tempi acquisendo sempre maggiori riconoscimenti. Ma al di là di ciò io credo che il compito delle associazioni femminili sia quello di testimoniare la volontà di riaffermare i valori perduti, coniugando così la tradizione con l’innovazione. Spesso, chi è stata Presidente di una sezione Fidapa, tende a continuare nell’interessarsi della vita dell’associazione, non come semplice socia, ma proponendosi per altri ruoli, non solo nella sede di appartenenza ma anche a livello Nazionale, è un suo obiettivo futuro questo? Non è questo il mio caso. Io continuerò a fare parte della FIDAPA sezione di Lamezia Terme, non ho più l’età né mai avuto ambizione di fare carriera. Concludiamo chiedendole di farsi la domanda che non le è stata fatta ed alla quale le sarebbe piaciuto rispondere. Mi sarei aspettata questa ultima domanda: “Nella tua vita in quale ruolo pensi di avere dato il meglio di te stessa?” Avrei senz’altro risposto nel mio ruolo di mamma iniziato quando avevo quarantanove anni e che mi ha gratificato fino ad ora con la vicinanza, l’affetto, la tenerezza dei miei nove nipoti che mi riempiono la vita di gioie di calore. Concludere

l’intervista,

parlando

di

Luciana è difficile perché lei fa “danzare” le parole e, per chi non è abituato a farlo, trovare quelle giuste per lei è impresa ardua, per cui ricorrerò a “metafore”. Un vecchio detto recita che nelle piccole botti stia il vino migliore ed è questo che mi viene in mente pensando a Luciana Parlati: fisico minuto e carattere forte e deciso ma non prepotente, caratteristica che solitamente fa il paio con chi è “forte e deciso”. Splendida donna, moglie, mamma e nonna. ottima insegnante, notevole poetessa. La dolcezza e la comprensione fanno parte di lei, sempre con il sorriso sulle

labbra, mai pesante, uggiosa, lamentosa, quand’anche ne avesse il motivo. Il dolore, il lamento, il disappunto, se li porta dentro, senza farli pesare a chi la circonda. Si dice che “Quasi mai i poeti sono tristi. Si portano dentro l´allegria dei naufraghi”, forse l’essere poeta le ha donato questo aspetto del suo carattere o forse l’essere così la ha portata ad essere poetessa, chi può dirlo? E concludo con questa frase di Stephen Littleword che le dedico: “Il Bello di una Donna è che sa essere semplicemente straordinaria in ogni situazione, seppur nella sua grande fragilità”

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Il giorno 04/06/2015 L’AIGA sezione di Lamezia Terme ha tenuto presso le Off Officine Sonore un nuovo appuntamento del “Caffè Giuridico”, avente ad oggetto I recenti interventi normativi e giurisprudenziali in materia di sostanze stupefacenti. La relazione è stata tenuta dall’Avv. Serena Perri del Foro di Lamezia Terme con l’intervento del Presidente del Consiglio dell’ordine Degli Avvocati di Lamezia Terme, Avv. Antonello Bevilacqua, il Presidente della sezione Aiga di Lamezia Terme Avv. Andrea Parisi e dell’Avv. Giuseppe Borrello. Con il decreto legge 20 marzo 2014 n. 36, convertito con Legge 16 maggio 2014 n. 79, sono state apportate modifiche al Testo Unico sugli Stupefacenti (DPR 309/90), a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014, le cui motivazioni sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale il 6 marzo 2014, che ha ripristinato il sistema sanzionatorio collegato agli illeciti relativi alle sostanze stupefacenti e psicotrope suddivise in quattro tabelle. La ratio di tale riforma è stato quello di fare una sorta di svuotamento delle carceri, perché la normativa dichiarata incostituzionale equiparando le droghe leggere e le droghe pesanti aveva creato un aumento degli arresti. Precedentemente alla sentenza della Corte un soggetto che trafficava cocaina o eroina veniva equiparato ad un consumatore, a volte anche occasionale, di droghe leggere come hashish o marijuana che nel nostro territorio sono le droghe leggere più diffuse. Ovviamente questo aveva creato un squilibrio dal punto di vista sanzionatorio non di poco conto. Questa nuova legge ha fatto rivivere nuovamente le tabelle che inquadrano le sostanze stupefacenti che si suddividono in quattro tabelle: la prima e la terza individuano le droghe pesanti (oppio e derivati dagli oppiacei, allucinogeni, anfetamina e derivati e barbiturici), la seconda e la quarta individuano le droghe leggere (cannabis e benzodiazepine) e poi vi è la tabelle dei medicinali nella quale sono state inserite le sostanze attive che hanno attività farmacologica e pertanto sono usate in terapia. Occorre, quindi, analizzare la situazione attuale del quadro normativo venutosi a creare dopo gli interventi legislativi per segnalare eventuali distorsioni ed individuare un percorso interpretativo aderente a tutte le ipotesi di commissione in concreto degli illeciti riconducibili all’art. 73, co. 5, del DPR n. 309 del 1990. La sentenza della Corte Costituzionale ha prodotto effetti sostanziali e processuali sulla disciplina dei reati in materia di stupefacenti, e su questi effetti si è pronunciata la Corte di Cassazione con le sentenze n. 397 e 399 del 28 febbraio 2014 che affrontano alcuni aspetti della situazione normativa attuale. Si torna alla vecchia legge in vigore fino al 27 febbraio 2006 (legge Jervolino-Vassalli) che distingue droghe leggere e droghe pesanti

ed è più severa per i reati che coinvolgono droghe pesanti (eroina, cocaina…., pena minima otto anni di reclusione) e più lieve per i reati che coinvolgono droghe leggere (hashish, marijuana) dato che la pena minima è di due anni di reclusione. La prima questione su cui vale la pena di soffermare l’attenzione riguarda il trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le droghe pesanti (per chi ha commesso reati dal 2006 al marzo 2014). Il problema è rappresentato dal fatto che la disciplina previgente, che come chiarito dalla Corte Costituzionale torna ad essere applicabile a seguito della dichiarazione di illegittimità, è più severa di quella caducata. Infatti, la disposizione contenuta nella legge Jervolino Vassalli (in vigore dal 1990 al 2006, ed oggi ripristinata a seguito della decisione della Corte) prevedeva per questi fatti la reclusione da 8 a 20 anni oltre la multa, mentre la disposizione contenuta nella legge Fini-Giovanardi (in vigore dal 2006 ed oggi dichiarata incostituzionale) prevede la reclusione da 6 a 20 anni oltre la multa. Il profilo viene affrontato espressamente dalla Corte Costituzionale che esclude che dalla dichiarazione di illegittimità possano derivare conseguenze pregiudizievoli per l’imputato, e attribuisce, pertanto, al Giudice il compito di applicare ed individuare la disciplina più favorevole tenendo conto dei principi in materia di successioni di leggi penali nel tempo ex art. 2 c.p.. In ogni caso i principi la cui Corte si richiama trovano fondamento immediato più che nell’art 2 c.p. nell’art. 25 co. 2 della Costituzione che stabilisce: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Al soggetto no potrà essere applicata, dunque, una sanzione che non fosse per lui chiaramente conoscibile al momento del fatto. Egli avrà diritto ad essere giudicato secondo la più favorevole norma che all’epoca dei fatti, e dunque in prospettiva ex ante, appariva valida: e cioè l’art. 73 nella formulazione introdotta dalla Legge Fini-Giovanardi. Dunque, per quanto concerne la questione in esame, nel caso di reati concernenti le droghe pesanti, dovrà essere applicata la norma dichiarata incostituzionale, qualora da essa derivi un effetto più favorevole per l’imputato. Invece, per chi ha commesso reati riguardanti sempre le droghe pesanti dal 6 marzo 2014 in poi si applica la normativa prima abrogata e poi risorta. Per quanto concerne invece le droghe leggere, per chi ha coltivato, prodotto, fabbricato, raffinato, estratto, venduto, ceduto, commerciato, importato, esportato, procurato ad altri, inviato, spedito, consegnato o comunque detenuto si applica invece sempre la normativa abrogata nel 2006 ed ora entrata nuovamente in vigore. Questo perché, in caso di successione di leggi penali nel tempo si applica

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la norma più favorevole fra quelle del tempo in cui il reato è stato commesso e quelle successive. Una riflessione importante riguarda il c.d “fatto lieve” (art. 73, co. 5, d.l. 146/2013). Il c.d. fatto lieve e quello nel quale l’azione è modesta (con riguardo a mezzi, modalità e circostanze dell’azione delittuosa) ed è modesto anche l’oggetto materiale del reato (qualità e quantità delle sostanze): si tratta di una valutazione del Giudice che ha importanti riflessi anche sul procedimento (durata minima della misura cautelare, prescrizione, pena). Con riferimento ai fatti di lieve entità, ciò che appare importante specificare è che il legislatore li ha qualificati come fattispecie autonoma di reato, mentre prima erano considerati come circostanze attenuanti, con conseguente sottrazione al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. Per i fatti di lieve entità la legge prevede lo spaccio “lieve” di sostanze stupefacenti senza distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti con la reclusione da 6 mesi a 4 anni oltre alla multa. L’art. 73 co. 5, pertanto, prevede lo stesso trattamento sanzionatorio sia per le droghe leggere che per le droghe pesanti. In base alla nuova normativa: - è consentito l’arresto in flagranza ai sensi dell’art. 381 c.p.p. ed il conseguente giudizio direttissimo in caso di convalida, salvo la verifica della gravità del fatto o dalla pericolosità del soggetto; - non è consentita la custodia cautelare in carcere per i fatti di cui al co. 5, conseguentemente le misure attualmente in corso dovranno essere revocate e sostituite con misure meno afflittive; - sono comunque consentite le intercettazioni telefoniche. Sempre con riferimento all’ipotesi del fatto di lieve entità è stata reintrodotta la disciplina della sanzione sostituiva del lavoro di pubblica utilità. Quindi, nel caso di piccolo spaccio o altri reati minori commessi da un tossicodipendente il giudice può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità che deve essere chiesta dall’imputato e ha una durata equivalente alla condanna detentiva. Tale modifica legislativa è avvenuta soprattutto per evitare che si arrestassero persone per episodi non così gravi da giustificare la custodia cautelare in carcere. Il nuovo quinto comma troverà sempre applicazione nei processi ancora in corso, eccezion fatta per i fatti relativi a droghe leggere commessi prima del 23 dicembre 2013 rispetto ai quali, in concreto, risulti più favorevole considerare il quinto comma come circostanza attenuante piuttosto che come fattispecie autonoma di reato ai sensi della nuova disciplina. La legge di conversione ha introdotto nuovamente il concetto di “uso personale” che per effetto della sentenza della Corte Costituzionale era sparito dal Testo unico. Pertanto, nella nuova disciplina si fa menzione della finalità di uso personale come causa di non punibilità delle condotte di cui all’art. 73.

In materia di sostanze stupefacenti o psicotrope non è stato individuato a livello legislativo un concetto determinante di uso personale, tale da distinguere la condotta in questione da quella di spaccio. La distinzione, tuttavia, è decisiva non solo dal punto di vista sanzionatorio ma, anche e soprattutto, sotto il profilo dei beni giuridici in gioco. Si osserva che, attualmente, le diverse condotte attinenti al traffico di sostanze stupefacenti risultano punibili ai sensi degli artt. 73 e 75 D.P.R. 309/1990, in virtù di una specifica destinazione finalistica, per cui a contrario qualora risulti che le sostanze siano “destinate ad uso esclusivamente personale”, l’importazione, esportazione, acquisto, ricezione o detenzione rientrerebbero fra gli illeciti amministrativi di cui all’art. 75 dello stesso decreto. Il tipo di destinazione che l’agente avrebbe dato alla sostanza stupefacente è da ricostruirsi secondo i criteri enunciati dagli stessi artt. 73 e 75 del testo Unico: la quantità della sostanza, specialmente se superiore ai limiti posti dal decreto ministeriale, la sua modalità di presentazione, con riguardo al peso lordo o al confezionamento frazionato, oppure le altre circostanze dell’azione, non meglio specificate ma che lasciano spazio all’interpretazione giurisprudenziale. Le soglie individuate dal decreto Ministeriale indicano la quantità massima detenibile e sono costruite sulla base di una valutazione che ha ad oggetto la percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza stupefacente. Le quote di stupefacente che la nuova legge sulla droga considera per uso personale e, quindi, non punibile ex artt. 73 sono: 1000 milligrammi di cannabis (circa 35-40 spinelli); 750 milligrammi di cocaina (circa cinque dosi); 250 milligrammi di eroina (circa dieci dosi); 750 milligrammi di Mdma (ecstasy circa cinque pasticche); 500 milligrammi di anfetamina (circa 5 pasticche) e 150 milligrammi di Led (circa 3 francobolli). Il superamento di tali quote fa scattare la denuncia per spaccio. Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 39017 del 2008, ha chiarito che il nuovo testo della legge sugli stupefacenti non ha introdotto una presunzione di responsabilità penale nel caso di detenzione di sostanza stupefacente in quantità superiore a quelle previste nelle tabelle allegate al D.P.R. 309/1990 poiché la legge punisce la detenzione solo quando la sostanza stupefacente appare destinata ad un uso non esclusivamente personale. In casi del genere il Giudice penale deve prendere in considerazione la quantità di principio attivo della sostanza stupefacente la modalità di presentazione, il peso lordo complessivo e il frazionamento, dovendo motivare in maniera rigorosa l’esclusione di un uso non esclusivamente personale della sostanza, pur in presenza del superamento dei limiti di soglia indicati nel decreto ministeriale. Nell’ambito di fatti costituenti illecito amministrativo subito dopo

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l’accertamento gli organi di polizia procedono alla contestazione immediata, se possibile, e riferiscono senza ritardo e comunque entro dieci giorni, con gli esiti degli esami tossicologici sulle sostanze sequestrate effettuati presso le strutture pubbliche, al prefetto competente. Entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione della segnalazione, il prefetto, se ritiene fondato l’accertamento adotta apposita ordinanza convocando la persona segnalata per valutare, a seguito di colloquio, le sanzioni amministrative da irrogare e la loro durata, nonché, eventualmente, l’invito ad intraprendere un programma terapeutico. Avverso l’ordinanza con cui il prefetto ritiene fondato l’accertamento può essere proposta opposizione al Giudice di Pace, entro il termine di dieci giorni dalla notifica all’interessato. Nel caso di minore l’opposizione va presentata al Tribunale per i minorenni. Se risulta che l’interessato si sia sottoposto, con esito positivo, al programma terapeutico, il prefetto adotta il provvedimento di revoca delle sanzioni, dandone comunicazione al questore ed al Giudice di Pace competente. Nella difficoltà di identificare l’esatta natura dell’indice quantitativo la giurisprudenza si è divisa in orientamenti spesso contrapposti che hanno dato vita a due filoni: il primo ritiene che, qualora il principio attivo contenuto nella sostanza sia insufficiente, quest’ultima non avrebbe una particolare efficacia drogante né potrebbe modificare l’assetto neuropsichico dell’utilizzatore, configurandosi così l’ipotesi di reato impossibile. Il secondo, invece, afferma che il quantitativo della sostanza non ha alcuna rilevanza, dovendosi piuttosto fare riferimento ai beni giuridici tutelati ed alla tipologia di sostanza indicata nelle tabelle. Pur riconoscendo il dato quantitativo come elemento determinante ai fini della perfezione del reato, la giurisprudenza maggioritaria sembra aderire a quest’ultimo orientamento, considerando i parametri enucleati negli artt. 73 e 74 T.U. quali elementi meramente indiziari. Ciò vuol dire che i parametri normativi dovrebbero essere corroborati da ulteriori elementi di prova. Sotto questo profilo, in particolare, la giurisprudenza ha elaborato ulteriori elementi indiziari della destinazione di spaccio che, sebbene non tipizzati, possono essere particolarmente significativi. Fra questi, oltre alle caratteristiche qualitative della sostanza stupefacente o psicotropa che assume un valore peculiare in tema di coltivazione, si registra in alcune pronunce il rilievo della compatibilità fra le condizioni economiche dell’agente e la detenzione della droga. Tale aspetto, anche se non riconosciuto dalla normativa, è stato recentemente ribadito dalla giurisprudenza in tema di

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consumo di gruppo. A tal proposito la giurisprudenza ha affermato che l’acquisto o la consumazione da parte di più assuntori può essere equiparata all’ipotesi del consumo personale, integrando così l’illecito amministrativo, qualora la codetenzione o la comunione del fine escludano la condotta di spaccio. Allo stesso modo, ugualmente significativa potrebbe risultare la condizione soggettiva dell’agente con riguardo alle modalità comportamentali dello stesso, al suo eventuale stato di tossicodipendenza o, ancora, con il soggetto destinatario della cessione. Si osservi poi come la questione attenga anche alla dimensione probatoria, per cui l’onere della prova della finalità di spaccio e dell’idoneità offensiva della condotta dovrebbe gravare sull’accusa. Un cenno va fatto sul divieto assoluto della cessione e della coltivazione. Sulla scorta di un’interpretazione strettamente letterale, le condotte di cessione, spedizione e coltivazione sarebbero intrinsecamente finalizzate allo spaccio, poiché la rilevanza penale delle condotte di cui al primo comma del T.U. non è subordinata alla destinazione “ad un uso non esclusivamente personale”, né risultano inquadrabili nell’alveo dell’illecito amministrativo di cui all’art. 75 del T.U. Vi è, quindi, l’inquadramento sia della cessione che della coltivazione come condotte di spaccio a prescindere da una verifica in concreto degli elementi che concretizzano l’offesa al bene giuridico tutelato, come la quantità della sostanza (ed il principio attivo estraibile), la sua qualità (e la maturazione o meno delle piante) e la finalità dell’azione (e la sua eventuale commercializzazione). Nella giurisprudenza è stato più volte ribadito che la cessione, ancorché a titolo gratuito, rientra fra quelle condotte pericolose poiché in grado di diffondere le sostanze stupefacenti e, per questo, ontologicamente incompatibile con il concetto di uso personale. Per quanto riguarda la coltivazione, la giurisprudenza non si è espressa in maniera univoca: secondo un primo orientamento, potrebbe tracciarsi una distinzione tra coltivazione in senso tecnico-agrario e quella domestica. Mentre la prima costituirebbe un’attività imprenditoriale intrinsecamente destinata allo spaccio, la seconda andrebbe considerata come una species del più ampio genus della detenzione al fine di subordinare la rilevanza penale ai criteri indicati nell’art. 73. Al contrario, un altro orientamento attualmente prevalente considera la coltivazione come reato di pericolo e da al Giudice il potere di verificare l’idoneità offensiva della condotta e che la condotta è inoffensiva soltanto se il bene tutelato non è stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo.

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Scena verticale al Teatro Umberto con “Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria” In scena venerdì 3 luglio 2015, alle ore 21.00, presso il Teatro Umberto di Lamezia Terme “Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria” di e con Saverio La Ruina della Compagnia Scena Verticale. Scena Verticale è ormai, unanimemente, considerata una delle compagnie teatrali più interessanti e affermate del panorama artistico nazionale. Partendo da una periferica cittadina calabrese, distante dai circuiti culturali più importanti, ha saputo guadagnarsi la ribalta nazionale e l’attenzione dei critici più esigenti. Cinque Premi Ubu, un Premio Riccione, un Premio della critica teatrale: sono solo alcuni dei tanti riconoscimenti attribuiti alla compagnia di Castrovillari che, con il Festival Primavera dei Teatri diretto artisticamente da Saverio La Ruina e Dario De Luca e giunto ormai alla sua XVI edizione, è stata in grado di sfidare la condizione di

arretratezza culturale facendo di un piccolo centro della Calabria un polo pulsante di vita e di creatività, di incontri e di confronti. La poetica della compagnia si basa su una drammaturgia e una ricerca approfondita di nuove metodologie di rappresentazione scenica che innesta, su valori e simboli radicati, le esigenze e le problematiche del contemporaneo connotate dalla ormai ben nota cifra espressiva dialettale con qualche incursione nella lingua italiana. Così, nel tentativo - assai concreto - di ridisegnare la geografia “culturale” di una regione geneticamente refrattaria ad ogni forma di innovazione e di cambiamento, la sfida di Scena Verticale è stata quella di promuovere un percorso culturale attraverso una serie di progetti e di interventi non episodici ma ben strutturati, la cui ricaduta sul tessuto sociale è riuscita a diventare strumento di cambiamento reale e misurabile. Un lavoro di ricerca continua, motivata dall’innato amore per l’opera letteraria e dalla consapevolezza del teatro come strumento di crescita e di utilità sociale. Rappresentata per la prima volta nel 2007 sempre al Teatro Umberto di Lamezia Terme nell’ambito della rassegna teatrale “Ricrii” diretta da Dario Natale, “Dissonorata” è una delle opere più premiate del panorama teatrale italiano. Questa seconda messa in scena, completamente gratuita, è stata un regalo che Saverio la Ruina ha voluto fare a Don Giacomo Panizza e alla Comunità Progetto Sud in occasione del seminario di tre giorni dal titolo “Si deve si può, ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” promosso da Comunità Progetto Sud, Associazione Mago Merlino e Fondazione con il Sud nell’ambito del Progetto Spring, in collaborazione con le riviste “Lo straniero” e “Gli asini”. Una sedia, al centro del palcoscenico. Pascalina/Saverio, composta, nel suo striminzito scamiciato carta da zucchero a fiori bianchi principia il suo monologo interiore in una lingua aspra e dolce. Un dialetto calabrolucano sussurrato e cantilenante che diventa pura phoné in una sintassi

convulsa che ci offre parole perdute o dimenticate attraversate da un filo di amara ironia a ricreare atmosfere ora grottesche ora surreali ora tragicamente comiche eppur drammatiche. Dalla cenere della sua memoria riaffiorano i ricordi di una giovinezza che diventa un “vissuto” riconoscibile e condiviso, mentre il cambio delle luci in scena illumina il passato e il presente in un paesaggio sonoro che Gianfranco De Franco con clarino, sax e glockenspiele sa ricreare con discrezione sapiente. Così la linea del tempo si srotola attraverso le mani di Pascalina. Perché Pascalina si concede per sottrazione. Pascalina è mani e voce. Mani che si protendono, gesticolano, tirano – con gesto antico – l’orlo dello scamiciato sulle ginocchia o schermano il viso per pudore quando si illumina il tempo del ricordo. Mani che si serrano in timidi pugni a stringere carezze mai date tirando le maniche troppo corte del maglioncino come gesto estremo di protezione quando ritorna a vivere il presente. In queste intermittenze temporali la voce di Pascalina ci trasporta in un mondo primordiale e crudele incarnando l’archetipo di tutte le donne del Sud, fino al secolo scorso, che diventano tutte le donne del mondo. Infatti, la parabola individuale di Pascalina, da pastorella pudica a mater dolorosa, è anche il tentativo (felicissimo) di raccontare una forma mentis che trova la sua genesi soprattutto nell’Italia meridionale e rurale - in un substrato culturale arcaico e arcano dove la mentalità arretrata è legata soprattutto alla questione femminile cristallizzata nell’archetipo della donna moglie-madre-donna di fatica, priva di istruzione e, soprattutto, priva di diritto di parola laddove impera la figura del padre-padrone e dell’uomo seduttore e bastardo. Sono uomini che non amano le donne. E la cornice sociale legittima la violenza domestica perché la perdita dell’onore è un’onta che va lavata con il sangue. Eppure Pascalina sopravvive. Sopravvive all’orrore e alla violenza e alla tortura che sa di carne viva bruciata, strappata, vilipesa. Fino alla sua “resurrezione” attraverso la maternità che si sustanzia in una stalla. Grande Saverio La Ruina che con gesti minimi, pause e modulazioni vocali, fili di parole fatate legate dal gioco sottile di sinapsi intermittenti dove l’onda della memoria avanza, rotola, monta e s’infrange sullo scoglio doloroso e aguzzo dell’oblio per poi ritrarsi intimidita, sconfitta, pudica sollevando gocce di sale impalpabile e amaro, sorrisi appesi, sguardi bassi a contare le pietruzze sulla strada, occhi persi a guardare un abito da sposa in vetrina sa restituirci tutto il dolore di questa anima semplice e l’essenza di una femminilità antica fatta di obbedienza e di sottomissione, di sogni sognati ingannati traditi e andati in fumo come la sua carne… Ma una speranza rimane e ha nome Saverio.

Un repertorio con alcune delle colonne sonore più belle di Ennio Morricone, il rock di Gary Moore, il jazz di Miles David e un medley di successi italiani e internazionali. Questa una parte del programma del concerto dell’orchestra del Liceo Campanella di Lamezia Terme che alla vigilia della festa del Santo Patrono si è esibita sul piazzale antistante il Santuario di Sant’Antonio di Padova, nell’ambito dei festeggiamenti in onore del Santo Patrono. Diretti dal prof. Diego Apa, 40 studenti delle tre classi dell’in-

dirizzo musicale renderanno omaggio a Sant’Antonio con un energico mix di generi diversi scelti dai docenti del musicale che, insieme al dirigente Giovanni Martello, si sono impegnati nell’organizzazione dell’evento di domani sera come momento

conclusivo dell’anno scolastico. “E’ un motivo di grande orgoglio per il nostro Liceo e per i docenti e gli studenti del Musicale esibirsi in occasione dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio di Padova, che rappresentano per la nostra città uno dei momenti dell’anno in cui riscoprire quei legami identitari fatti di storia, cultura, tradizioni che rinsaldano il nostro essere comunità”, afferma il dirigente Giovanni Martello che ringrazia i docenti e gli studenti per lo studio e l’impegno nella preparazione del concerto di domani sera che “conferma come l’orchestra del Liceo Campanella sia ormai una realtà musicale importante nel panorama culturale della nostra città, già protagonista in diverse manifestazioni cittadine e che, negli scorsi mesi, ha avviato un’importante collaborazione con la corale diocesana “Benedetto XVI”

Giovanna Villella [foto di scena Angelo Maggio]

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Nazim Hikmet

Prima di tutto l’uomo Non vivere su questa terra come un estraneo o come un turista della natura: Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre; Credi al grano, alla terra, all’uomo. Ama le nuvole, le macchine, i libri ma prima di tutto ama l’uomo. Senti la tristezza del ramo che secca, dell’astro che si spegne, dell’animale ferito che rantola ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell’uomo. Da poco rientrato dal festival internazionale del cinema a Shanghai, dove ha presentato “ La Terra dei Santi” suo primo film, uscito nel 2015, nel Focus Italy, gli otto film scelti dai cinesi fra ottanta film italiani per far conoscere ogni anno il nostro mondo, Fernando Muraca, regista, trascorre con noi, spettatrici e scribanti per testata web, ore di felicità. Prima di tutto l’uomo. Con i versi di Nazim Hikmet su cosa debba dare la gioia, sto ancora nell’intervista, chiacchierata amichevole, che io, Giovanna Villella e sua sorella Francesca, abbiamo stasera fatto con Fernando. Peregrinando dal Chiostro di San Domenico, fin sul palco della piazzetta adiacente, e con alle spalle le mani di Trame, rassegna di libri contro le mafia, io scrivo, Giovanna domanda, Francesca fotografa e lui parla arrotolando minuscole sigarette che hanno l’inconsistenza del foglio. Lo guardiamo attente per non perdere momenti, spezzoni di un film che si fermerà nelle nostre menti, insieme alla musica che prima ci fece colonna sonora e che chiuderà stasera il festival Trame. Giovanna vuole sapere tutto del film, e chiede il come, il perché, e le sequenze diventano quasi una persona fra noi. Il film narra l’incontro fra una giudice, Vittoria, Valeria Solarino, e una madre -Assunta, Daniela Marra- due sistemi antitetici di vita.

Assunta è costretta a sposare il fratello del marito morto e madre di un giovane ‘ndranghetista, è divisa fra i due mondi di Vittoria, la legge, e della cognata Caterina -Lorenza Indovina, questa una versione cattiva della persona totalmente amorale. Come sono state scelte le donne protagoniste? “Per trovare Assunta ho fatto più di cento provini, volevo una donna che ricordasse il sud, che fosse del sud, che lo facesse vedere sulla pelle, perché è la pelle che fa la differenza. Caterina doveva essere il male assoluto, quindi avevo bisogno di una attrice come Lorenza, ed il magistrato, Valeria Solarino, essere elegante. Insieme umana e rappresentante istituzioni certe. In cui credere. “ Come mai il film è ambientato in Puglia e non in Calabria, a Lamezia? “ La regione Calabria si è sempre disinteressata al progetto. Infatti ci sono voluti sei anni per realizzarlo. La Puglia ha favorito il lavoro, contribuendo a che si realizzasse. Ho spostato l’ambientazione a Manfredonia e dintorni perché luoghi più somiglianti al mare di Lamezia, all’anfiteatro del Parco Mitoio di Caronte, dove avrei voluto svolgere la scena dell’uccisione del figlio di Assunta, una scena da tragedia greca.” Il film, ci sorprende Fernando, non è sulla ‘ndrangheta, in senso stretto, ma sul dolore. Sulla scelta fra credere possibile alleviarlo ed avere speranza, oppure non credere e vivere nel buio, nel vuoto. Lui ci ricorda infatti che noi viviamo nella terra dei santi ed antropologicamente siamo strutturati per amare, per essere generosi , non solo cose da riempire, ma esseri che vogliono donare. Non possediamo nulla, malgrado ciò tutti vorremmo riempire questo nulla con cose, dimenticando che possediamo l’umanità. Tutto questo modo di pensare precede il Cristianesimo, non appartiene ad un credo religioso, benché il regista sia cristiano. Questo pensiero risale ai filosofi che si interrogarono su chi e cosa fosse l’uomo, da Socrate in poi, su come bisognasse educare, dando fiducia a ciascuno, cercando di vedere al di là di ogni atto e situazione contingente l’uomo. Nel darci lo scoop della serata, ci rivela in anteprima per Lameziaterme.it il titolo del suo nuovo film “ Siamo Fratelli” scritto con Angela Iantosca, questa volta sugli uomini della ‘ndrangheta e nello stesso tempo un film su un popolo che non può essere capito solo con processi cognitivi e applicazioni di leggi, ma ha bisogno di essere compreso con l’intelligenza emotiva. Un popolo, quello della ‘ndran-

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gheta, che può essere disarmato se togliamo l’oggetto del gioco, i fucili, ed al loro posto regaliamo le bolle di sapone. Un popolo che deve essere accolto dai rappresentanti della legge non solo con pene detentive e carcere ma applicando quei meravigliosi articoli della Costituzione Italiana, articolo 13 e articolo 27 in cui le pene tendono alla rieducazione. Il giudice, continua ora Fernando, di fronte a tre avvocate, che si sono fermate per salutare, deve avere altezza di intendimento, trovare l’uomo nello spirito della legge e così devono fare gli avvocati penalisti, non relegarsi a semplici passacarte ma uno specchio in cui l’altro possa riflettersi. Specchio di umanità. Con le parole alte di una società civile che debba camminare dando la mano a chi sta in difficoltà, accogliendo e a fermarsi se qualcuno sbaglia, con gli esempi della Fazenda appena inaugurata a Lamezia, veniamo trasportati nel regno di una idealità fattiva. Ciascuno di noi, ci chiede Fernando, può, nel suo campo, portare la buona novella, evangelica, mai tramontata. Prima di tutto l’uomo e Fernando ci raccomanda di non lasciare soli coloro che danno vita al progetto della “Fazenda da Esperança”, che ha aperto in Italia la sua prima sede in località Lenza Viscardi a Lamezia Terme, in una struttura confiscata alla criminalità organizzata e affidata dal Comune di Lamezia alla Caritas Diocesana nel dicembre 2014.

“opere segno”, progetti che esprimano il riscatto morale e sociale attraverso la promozione della giustizia e della solidarietà, dicono tanti giornalisti. “Quattro fondatori – Nelson Giovanelli, Frate Hans Steppel, Lucylene Rosendo e Iraci Leite – che all’inizio degli anni ‘80 diedero vita in Brasile alla prima comunità per il recupero di giovani tossicodipendenti, con un metodo fondato sulla vita evangelica e sulla riscoperta della dignità della persona 12 giovani saranno accolti nella comunità lametina, che sarà guidata da Marden Svicero, Clayton Ribeiru e Padre Joseph Citumba.” da un articolo del Dispaccio. Prima di tutto l’uomo. “Intanto escono le nomination dei Globi d’oro: Siamo nella cinquina per il premio Miglior Opera Prima” leggo sulla bacheca di facebook Fernando Muraca con noi. Da Il Visconte di Bragelonne di Dumas, libro che stava per andare al macero, fra i tanti dello scaffale, e che invece la zia portò a lui, a Divisione Cancro di Solženicyn, libro comprato, a nove anni, dopo aver letto il Visconte, con la richiesta fatta al libraio di dargli il libro più difficile che ci fosse, Fernando ha aperto il suo mondo nello stesso modo in cui la lettura ha aperto a lui un mondo. Sono passate le ore e dobbiamo salutarci convinte che questo modo di fare cinema, di fare scuola, di fare informazione sia il migliore dei modi e dei mondi possibili. con Hikmet nella chiusa della sua poesia un augurio felice di realtà condivise: “Ti dian gioia tutti i beni della terra. L’ombra e la luce ti dian gioia, le quattro stagioni ti dian gioia ma soprattutto, a piene mani ti dia gioia l’uomo.”

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Ippolita Luzzo

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Tra i problemi da affontare e avviare a soluzione dalla nuova Giunta guidata dal Sindaco Mascaro ci sono quelli dell’ambiente e della tutela e valorizzazione del prezioso patrimonio di risorse naturali disponibili nei 162 chilometri quadrati del territorio comunale. Risorse naturali rilevanti e di alto pregio come ad esempio: le cento sorgenti e ricche falde con acque fredde e calde e di ottima qualità anche per uso potabile e cure termali; suoli fertilissimi in vaste aree pianeggianti, collinari e montani in un contesto con ampia disponibilità di “oro blu”, microclima favorevole per coltivazioni pregiate e intensive; diffusa rete idrografica con tredici corsi d’acqua, e circa 9 chilometri di costa bassa e ampi litorali come è raro trovare nel nel resto della costa tirrenica del Bel Paese, giacimenti litoidi e rocce di tutte le ere geologiche con preziose fonti energetiche ecc. In particolare, riguardo l’ampia disponibilità delle risorse idriche va ribadito che entro i confini comunali sono state rilevate ben104 sorgenti con portata maggiore a sei litri al minuto. Nel settore occidentale, nel territorio dell’ex comune di Sambiase sono state censite 68 sorgenti comprese quelle termali solfuree. Tra le 36 sorgenti censite, nell’ex comune di Nicastro nei primi decenni nel secolo scorso, ci sono alcune con portate di centinaia di litri al secondo. Si tratta delle 4 sorgenti denominate Candiano, Sabuco, Cappellano e Risi, che complessivamente risultano in grado di fornire circa 20 miliardi di litri d’acqua all’anno. Sulla rilevanza di questo dato va considerato che corrisponde alla quantità di litri d’acqua potabile necessaria a 313 mila persone, (poco meno dell’intera popolazione della Provincia di Catanzaro, oggi di 363.979 abitanti), un consumo di 175,4 litri per abitante al giorno pari a quello medio nazionale. Un patrimonio, evidentemente, da valorizzare e che impone la necessità, tra l’altro, di adottare gli adempimenti richiesti dalle norme vigenti per la protezione e la gestione dell’acqua. Adempimenti finalizzati a: - identificare e analizzare le acque, - classificare le stesse per bacino e per distretto idrografico di appartenenza, - adottare piani di gestione e programmi di misure specifiche per ciascun corpo idrico. Adempimenti richiesti e necessari sia per salvaguardare il prezioso patrimonio di risorse idriche disponibili sia per evitare le multe della U.E. come già accaduto per la mancata depurazione delle acque. Daltra parte va ribadita l’assenza di memoria storica ed il mancato riferimento alla specificità del Territorio da parte dei responsabili del governo e gestione dello stesso territorio comunale. Dalla nascita di Lamezia Terme, le classi dirigenti hanno impedito la piena e razionale valorizzazione delle risorse naturali senza assicurare la regolare econtinua disponibilità d’acqua a tutti i cittadini. E, quindi, senza assicurare la sicurezza delle popolazioni dei

vari quartieri dai rischi idrogeologici e dalle cosiddette “calamità naturali” cui è esposto il territorio. Si è trascurato e si continua a trascurare che gli attuali assetti idrogeomorfologici del territorio, sono il risultato di lunghi e complessi processi geologici ancora in atto. Assetti che, nel mentre favoriscono la formazione delle risorse naturali acqua e suoli, tra l’altro, documentano come lo stesso territorio è esposto a eventi naturali di particolare intensità riguardo la sismicità e piovosità. In pratica, gli stessi assetti idro-geomorfologici ignorati dalla classe dirigente, documentano anche il tipo di fenomeni naturali e, quindi, i cosi detti “rischi geologici”, come terremoti, frane, inondazioni, ecc. a cui il territorio è stato e continuerà ad essere esposto. Per porre fine al depauperamento ed irrazionale utilizzo del prezioso patrimonio di risorse disponibili, oltre alla valorizzazione e al razionale utilizzo si pone la necessità di avviare a soluzione i problemi per la bonifica dei terreni e delle acque inquinate e,o rischio inquinamento. Necessità sottolineata anche nel Rapporto Ambientale relativo al PSC e redatto nel dicembre 2012 sono riportati sia gli obiettivi specifici del PAI sia indicati alcuni obiettivi di sostenibilità ambientale. Tra gli “Obiettivi specifici del Piano stralcio di Assetto Idrogeologico” (PAI) riportati: • Proteggere le popolazioni, gli insediamenti, le infrastrutture e il suolo. • Garantire al territorio adeguati livelli di sicurezza rispetto all’assetto geomorfologico, relativo alla dinamica dei versanti e al pericolo di frana. • Garantire al territorio adeguati livelli di sicurezza rispetto all’assetto idraulico, relativo alla dinamica dei corsi d’acqua al pericolo d’inondazione. • Garantire al territorio adeguati livelli di sicurezza rispetto e all’assetto della costa, relativo alla dinamica della linea di riva e al pericolo di erosione costiera. Obiettivi motivati anche nella documentazione VAS per il Piano Strutturale dove si sottolinea che: “il territorio di Lamezia Terme presenta rilevanti criticità. In tal senso due momenti sembrano emergere in particolare con una sicura evidenza: a) una evidente fragilità sotto il profilo della sicurezza ambientale, con riferimento a fattori di grande incidenza, quali la sismicità dell’intera area geografica, la ricorrente precarietà idrogeologica e geomorfologica, la difficile stabilità dei versanti; b) le debolezze endemiche via via emergenti in un territorio investito da vistosi ed estesi fenomeni di abusivismo edilizio, capaci di vanificare in larga misura i pur ricorrenti tentativi di procedere nel senso di un effettivo governo del territorio.” Tra gli Obiettivi generali e specifici di sostenibilità ambientale per il PSC non sono da trascurare, ad esempio, quelli indicati per le risorse idriche e

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l’ambiente marino costiero. Nel Rapporto prodotto per conto dello stesso comune di Lamezia Terme si evidenzia che per le “RISORSE IDRICHE necessita “Migliorare la gestione ed evitare il sovrasfruttamento delle risorse naturali rinnovabili (acqua)”. E, quindi: • Perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili (risparmio idrico, eliminazione degli sprechi, riduzione dei consumi , incremento di riciclo e riutilizzo) – Dlgs 152/2006 • Prevenire e ridurre l’inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati - Dir 2000/60/CE, Dlgs 152/2006 • Conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni per quelle destinate a particolari usi – Dlgs 152/2006 • Proteggere, migliorare e ripristinare tutti i corpi idrici sotterranei e prevenire o limitare le immissioni di inquinanti negli stessi. Riguardo l’AMBIENTE MARINO E COSTIERO necessita “Migliorare la gestione ed evitare il sovrasfruttamento delle risorse naturali rinnovabili (acqua)”E, quindi: • Proteggere le acque territoriali e marine e realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia, compresi quelli miranti a impedire e d eliminare l’inquinamento dell’ambiente marino allo scopo di arrestare o eliminare gradualmente gli scarichi, le emissioni e le perdite di sostanze pericolose prioritarie al fine ultimo di pervenire a concentrazioni nell’ambiente marino vicino ai valori del fondo naturale per le sostanze presenti in natura e vicine allo zero per le sostanze sintetiche antropogeniche – Dlgs 152/2006 • Per le acque a specifica destinazione funzionale, mantenimento delle caratteristiche qualitative specifiche per ciascun uso (acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, acque idonee alla vita dei pesci, acque destinate alla vita dei molluschi, acque destinate alla balneazione) Dlgs 152/2006. • Proteggere le coste dai fenomeni erosivi e le aree costiere dai fenomeni di subsidenza naturale ed antropica. Riguardo le “Aree naturali protette natura e biodiversità” c’è la necessità di: • Migliorare la gestione ed evitare il sovrasfruttamento delle risorse naturali rinnovabili (biodiversità) • Arrestare la perdita di biodiversità e contribuire a ridurre il tasso di perdita

di biodiversità - SSS • Garantire la continuità ambientale (corridoi ecologi) Riguardo il “Suolo e rischi naturali e antropogenetici” , c’è la necessità di: • Migliorare la gestione ed evitare il sovrasfruttamento delle risorse naturali rinnovabili (suolo) • Assicurare la tutela e il risanamento del suolo e sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione - Dlgs 152/2006 • Ridurre la contaminazione del suolo e i rischi che questa provoca – COM(2006)231 • Migliorare la gestione ed evitare il sovrasfruttamento delle risorse naturali rinnovabili (suolo) • Utilizzo razionale del suolo per limitare l’occupazione e impermeabilizzazione del suolo - COM(2006)231 Riguardo i “Rifiuti e Bonifiche siti contaminati “ c’è la necessità di: • Evitare la generazione di rifiuti e aumentare l’efficienza nello sfruttamento delle risorse naturali ragionando in termini di ciclo di vita e promuovendo il riutilizzo e il riciclaggio • Prevenire e ridurre la produzione e la pericolosità dei rifiuti – Dir 2006/12, SSS, SNAA. COM(2005)666
Recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo od ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie o l’uso di rifiuti come fonte di energia - Dir 2006/12 • Recuperare e smaltire i rifiuti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente - Dir. 2006/12/ CE, SSS, SNAA, COM(2005)666 . D’altra parte, nella “Sintesi delle osservazioni dell’Arpacal” segnalate, in qualità di Autorità con competenza ambientale, al comune con atto Prot. Arpacal n. 1529 del 3/12/2010, si legge che: l’“Analisi ambientale del contesto territoriale da sviluppare tenendo in debita considerazione i seguenti aspetti: 1) inquinamento atmosferico da traffico, sistema produttivo e sistemi di riscaldamento domestico (con una verifica sui combustibili utilizzati per questi ultimi due ambiti); 2) emissioni odorigene provenienti da attività insalubri soprattutto se collocate in contesti incongrui; 3) inquinamento e ciclo di depurazione delle acque (sistema attuale di raccolta reflui e depurazione e valutazione delle proposte di variante dello stesso), scarichi civili ed industriali trattati e non nel suolo e in acque di superficie; 4) aziende agricole autorizzate alle operazioni di spandimento (anche a piccola scala) delle aree in cui sono effettuati spandimento di reflui oleari e di liquami zootecnici; 5) presenza di siti contaminati e relative pressioni ambientali; 6) dati sulla produzione e sulla gestione del ciclo dei rifiuti; 7) elettromagnetismo: definizione delle fasce di pertinenza e di rispetto delle linee elettriche in particolare di alta tensione; 8) vulnerabilità degli acquiferi di riferimento nell’ambito della relazione geologica; 9) sistema vincolistico sovraordinato 
Monitoraggio ambientale del PSC: in particolare l’ARP ACAL sottolinea l’assenza di un piano di monitoraggio per quanto attiene al Piano Strutturale, osservando come tale mancanza debba essere colmata in ottemperanza a quanto stabilito dall’art. 21, comma 3 let. c) del Regolamento regionale n. 3/2008” . Problemi e necessità sopra accennati non possono essere ignorati o sottovalutati dalla nuova Giunta guidata dall’Avv. Mascaro. Si può e si deve porre fine e dare una concreta svolta alla dissennata politica di spreco e depauperamento del prezioso patrimonio di risorse naturali disponibili. Abbiamo tutti il dovere di favorire lo sviluppo sostenibile necessario per migliorare la qualità della vita dei lametini e garantire un futuro alle prossime generazioni.

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Venerdi 26 giugno alle ore 18.00 nel giardino della biblioteca comunale, grazie alla collaborazione del Sistema Bibliotecario Lametino e al patrocino del Comune di Lamezia Terme, è stato presentato il libro, “Tourpendolare”, monologo scritto e interpretato da Domenico D’Agostino, primo libro dell’autore lametino, che riguarda la Poesia per pendolari. In una pittoresca e originale cornice: Il progetto fotografico di Aldo Tomaino, ideato e legato al Tourpendolare, con le tendine blu di un treno a far da sipario. Il sottofondo musicale di Giorgio caporale ha accompagnato la presentazione del testo allietando il pubblico. Hanno fatto da cornice all’incontro le illustrazioni ispirate alla poesia di D’agostino , opera dell’artista Simona Ponzù Donato. Tali opere hanno illustrato il testo in una versione del tutto originale. L’artista e curatrice messinese è già nota, ormai, al pubblico lametino per le sue creazioni artistiche ed esposizioni d’arte contemporanea personali e collettive. Le più belle poesie del libro “Poesia per Pendolari” son diventate immagini grazie alla fantasia e alla versatilità di questa artista figurativa. Hanno collaborato: Elisabetta Longo e Mariella Matera. Il giovane autore lametino ha conquistato la “menzione speciale” per il primo libro “Poesia per pendolari” al Concorso Nazionale “Premio Francesco Graziano 2015” IV edizione. La giuria, presieduta da Annalisa Saccà, docente di letteratura italiana presso la St. John’s University di New York, era composta da: Mariangela Chiarello, segretario del premio di Cosenza, Vincenzo Ferraro, dirigente scolastico e critico letterario di Cosenza, Luigina Guarasci, direttore de il filorosso di Cosenza,Salvatore Jemma, poeta e saggista di Bologna,

Maria Lenti, poeta e saggista di Urbino, Giuseppe Sassano, docente e promotore culturale di Cosenza. “Poesia per pendolari” nasce dall’esperienza diretta dell’autore come pendolare universitario. Egli, con i suoi “andata e ritorno” da Lamezia Terme all’Università della Calabria, anche se per brevi tratti, meditava sulla vita, sull’autenticità nell’arte, che altro non è che una forte vicinanza tra l’opera e l’interiorità di chi la crea. Com’egli stesso ha affermato: “Non occorre viaggiare per lunghe mete, le sconfitte della vita possono spesso portare il passeggero, anche per brevi tratte, ad alzare lo sguardo e dare un significato diverso a ciò che si ha davanti, fermare quel momento, rendendolo unico e prezioso, come un flash, una fotografia che vive di istanti. “ “Divenire curiosi, aprirsi al mondo, svegliarsi dal torpore verso il quale la quotidianità spesso ci spinge. “In sostanza, per l’autore ciò che conta e che ha grande importanza,è meditare, ma soprattutto riuscire a cogliere la bellezza delle piccole e/o delle grandi cose vicino a noi, aprirsi al mondo e viaggiando con la fantasia. Non importa quanto tempo o voglia si abbia per osservare tutto, o quanto grande sia,ciò che importa è viaggiare con la fantasia e scacciare la routine e l’abitudine perdendosi nella bellezza delle piccole cose. Nasce così, “Poesia per Pendolari”, la raccolta del giovane e promettente scrittore lametino Domenico D’agostino Non è stata la semplice presentazione frontale del libro ma un monologo dell’autore che ci ha spiegato come ne è nata l’idea, affiancato dai suoi colleghi del blog collettivo Manifest. Il tutto si è svolto nel verde del giardino della biblioteca comunale Giornata all’insegna della socialità a cui ha fatto seguito un aperitivo a cura di Manifest.

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Ospite a Lamezia del Liceo Campanella e della Libreria Tavella (intervista realizzata il 24 aprile 2015 prima che Michela Marzano formalizzasse le dimissioni da deputata) “Non accetterei di ricandidarmi. Dietro le ragioni per cui mi era stata proposta la candidatura nel Partito Democratico, c’era una volontà di strumentalizzazione. Non è “fare politica”, una politica che non ti dà i tuoi spazi, che non ti dà la possibilità di metterti a servizio della cosa pubblica con le tue competenze e le tue energie”. Dopo una mattinata con gli studenti del Liceo Campanella e in vista dell’appuntamento con il pubblico lametino alla Libreria “Tavella”, abbiamo incontrato Michela Marzano, docente di filosofia all’Università di Parigi V (René Descartes) e parlamentare del Partito Democratico. Dalle aule universitarie a quella di Montecitorio, dalle battaglie portate avanti con i libri a quelle realizzate con i progetti di legge, Michela Marzano ha fatto tappa a Lamezia per presentare il suo ultimo libro – intervista con la giornalista di “Repubblica” Giovanna Casadio dal titolo “Non seguire il mondo come va. Rabbia, coraggio, speranza e altre emozioni politiche”. Un libro in cui la filosofa “prestata alla politica” parla della sua avventura tra i banchi di Montecitorio come emblema dell’esperienza “traumatica” di chi per la prima volta entra nell’agone politico e scopre le tante contraddizioni di un mondo dove, più che gli ideali e principi, contano le conoscenze e le convenienze del momento e dove le ragioni nobili per le quali ci si impegna vengono barattate in nome di interessi e ambizioni personali. “E’ stato bellissimo parlare con gli studenti questa mattina, toccare con mano il loro coinvolgimento rispetto a questi temi e soprattutto percepire la loro fame di parole, di parole autentiche” ci dice la Marzano al termine della mattinata con gli studenti dell’istituto superiore diretto da Giovanni Martello, dove la Marzano ha conversato con la coautrice del libro Giovanna Casadio, la docente Michela Cimmino e la blogger Ippolita Luzzo. Come fa una filosofa ad arrivare a Montecitorio? Era il giorno della Befana e il telefono della Marzano squilla: sono Pierluigi Bersani ed Enrico Letta che le propongono di candidarsi nelle fila del Partito Democratico alle elezioni politiche del 2013. “Ho detto subito di sì” – ci racconta – perché volevo mettere a ser-

vizio del progetto del Partito Democratico le mie competenze sui temi dei diritti e delle libertà individuali; perché sentivo il bisogno di restituire qualcosa al mio Paese ; perché a un certo punto della mia vita ho capito che non bastava più criticare dall’esterno, scrivendo articoli e libri: dovevo agire dall’interno per provare a cambiare le cose”. Ed è qui il “gap” tra la politica sognata e la politica vissuta, tra gli ideali e la pratica quotidiana della politica “politicante”. Perché se è vero che Michela Marzano ha presentato una serie di progetti di legge su temi da sempre affrontati nei suoi libri e nel suo impegno da intellettuale – dal progetto di legge sul matrimonio gay a quello per il contrasto ai disturbi alimentari – la docente romana, dopo due anni, parla della sua candidatura come un “tentativo di strumentalizzazione”: “spesso si è da soli a portare avanti determinate battaglie, a portare avanti un modo di vedere la politica come servizio al bene comune. Puoi presentare tutti i progetti di legge che vuoi, ma se poi non vengono calendarizzati è inutile”. Ma non è certo antipolitica quella della Marzano, bensì “la volontà di riscrivere la grammatica della politica che per me resta un valore alto, l’espressione più bella della dedizione al bene comune e alla causa comune. Ci sono due cause principali che, a mio avviso, hanno determinato uno “scarto” tra l’ideale della politica e la pratica politica. Innanzitutto, la logica dominante è passata dal “servo” al “mi servo”: servirsi della politica per massimizzare i propri interessi individuali. Inoltre, c’è un problema di selezione della classe dirigente dei partiti che non viene individuata in base ai meriti e alle competenze, ma in base alla fedeltà al leader e a logiche di potere”. La Marzano non cavalca l’antipolitica e non nasconde di guardare con un certo distacco al mondo 5 Stelle. “Basta vedere le dichiarazioni di voto del deputato 5 Stelle Alfonso Bonafede il giorno in cui è passata in aula la legge sul divorzio breve: un attacco a tutto spiano nei confronti del Partito Democratico, senza proferire parola sul merito del provvedimento. Io non sono così. Io credo alla politica e vorrei che anche Matteo Renzi ritornasse il Renzi delle primarie, cioè una persona che vuole rompere con le logiche della vecchia politica. Per farlo, però, non deve circondarsi di “fedelissimi”, ma di chi ha competenze ed energie da mettere a servizio del bene comune”. Sul suo futuro politico, la Marzano è chiara: “non mi ricandiderei mai più. La domanda che mi pongo è un’altra: sono più utile al mio Paese restando in Parlamento o dimettendomi da deputata e proseguendo la mia battaglia intellettuale?” E infine, Michela Marzano non si è tirata indietro di fronte al “gioco della torre”: “salverei Chiara Gribaudo, una giovane parlamentare che si è subito messa al lavoro con passione e competenza, pur essendo la sua prima volta in Parlamento”. Dalla “torre”, forse ispirata dall’atmosfera calabrese, la Marzano butterebbe la “collega” del Pd Enza Bruno Bossio: “rappresenta tutto quel modo e quello stile di fare politica che io combatto” Salvatore D’Elia

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