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Mensile di informazioni varie - anno 4 - n. 9 - Febbraio 2015 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme - n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: Tipolitografia Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com

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Intervistare persone che si conoscono non è facile, intervistare “amici” è ancora più difficile, con Maria non è stato così, è stato facile, più che una intervista è stata una lunga chiacchierata. Non ho ritenuto opportuno tagliare nulla, né spezzettare le risposte perché in questa intervista c’è “Maria”, così come è e così come la amano le persone che la conoscono. Potrei dire tanto ma sarei di parte e potrei anche rischiare di apparire melensa. Allora cito le parole di Simona Oberhammer che parla di una donna “forte”, descrizione che, a mio avviso, le calza a pennello.

“Ugo Foscolo”, di Soverato. Nello stesso anno, vinsi il concorso nella Scuola Media Superiore e, l’anno dopo ancora, decisi di chiedere la sede definitiva, proprio a Soverato, presso l’Istituto Alberghiero, dove sono rimasta fino al 2006. Dal 2007 insegno, invece, in quello che oggi si

Maria, questa non è un’intervista come le altre, non ti darò formalmente del lei, ma del tu... Ci conosciamo da una vita e credo sia giusto così. Vuoi raccontaci rapidamente il tuo percorso, da lametina, ad insegnante del Soveratese? Il mio percorso professionale è facile da raccontare. Sono capitata a Soverato ma non l’ho scelto io, inizialmente. Infatti, sono stata trasferita lì, d’ufficio. Ero finita, subito dopo l’anno di prova, sulla DOP (dotazione organica provinciale). Avevo vinto il concorso nel ‘96, con graduatoria di merito. E, a distanza di due anni, per effetto della restrizione provinciale, dopo un anno su DOP, ottenevo la sede definitiva sul primo posto libero presso il CTP (Centro Territoriale Permanente) con sede presso la Scuola Media

chiama ITE, ex ITC, “Antonino Calabretta”, comunemente noto la “Ragioneria” di Soverato. Questo il percorso professionale. Per quanto riguarda il percorso personale, ho deciso di non lavorare nella mia città d’origine. Mi sono trovata molto bene Soverato e viverci è stato naturale. È una cittadina piccola più consona al mio modo di essere. Ma alla base di tutto ciò, vi è un desiderio accarezzato fin da piccola: ho sempre desiderato vivere in una città di mare. Andavo spesso al mare, perché mio padre amava il mare. Noi vi andavamo spesso anche in inverno e d’estate, non solo in spiaggia, ma anche per ammirare il paesaggio. Quando andai per la prima volta sulla Costa Jonica, i suoi luoghi mi affascinarono molto, in particolare Soverato, la perla dello Jonio. Il mare diverso dal nostro, più blu, incon-

Le donne forti le riconosci, non passano inosservate. Non hanno paura delle sfide per trovare ciò che hanno nel cuore, non hanno paura nemmeno di soffrire per inseguire i loro ideali. Non vogliono piacere a tutti le donne forti, vogliono piacere soprattutto a se stesse. Le donne forti non sono donne che non sbagliano mai ma sono donne che affrontano i loro sbagli con la forza dell’anima. Le donne forti sono in grado di vestirsi di niente ma di sembrare tutto. È la loro anima che le veste, è la forza di se stesse che le circonda. Ed è proprio questa loro presenza, a volte difficile, che merita di averle conosciute.

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taminato... mi rimase impresso. Avevo quattro o cinque anni, la prima volta. Per cui, trasferita a Soverato d’ufficio, ho preso la cosa come un segno e non mi sono più voluta allontanare. Vivere il mare, per me, è fondamentale, indispensabile: mi fa stare molto meglio, anche per effetto del clima. Mi gratifica molto pensare che ci sia il mare a pochi passi da me. Per sei anni ho abitato proprio sul Lungomare, ora mi sono sposata più verso l’interno, però è la stessa cosa: sono sempre a poca distanza dal mare. Mi piace vivere a Soverato, lì sento il fascino del mare, appunto, e mi sento più felice. Una scelta di vita. Molti lametini mi snobbano un po’, per questo, chiedendomi ancora, dopo tanti anni, quando io mi decida di tornare alla base... La verità è che, forse, non riescono a concepire scelte diverse dal vivere un po’ lontano (neanche troppo) dalla propria famiglia d’origine o senza averne formato, come dicono loro, un’altra. Io ho sempre pensato che la propria famiglia sia al primo posto e ho cercato sempre di non trascurarla, ma che sia necessario anche fare delle scelte autonome. Ho sempre sognato di vivere in un posto di mare e, nel momento in cui è capitata l’occasione, l’ho colta al volo. E spero che, dopo tale intervista, io possa sperare di non udire più affermazioni o domande poco gradite...

Parliamo del tuo ruolo di professoressa, ora. Non pensi che i giovani, oggi, non siano abbastanza stimolati a causa di strutture scolastiche spesso decadenti e non accessoriate? Se mi chiedi un’opinione personale, ti rispondo che le strutture vetuste e poco accessoriate, come affermi tu, rappresentano solo la punta dell’iceberg del problema. Prendersela con le strutture o i mezzi è solo il pensiero di tutti. Della TV, dei professori, degli stessi alunni, dei genitori... Io la vedo diversamente. L’insegnamento non è una questione di strutture, ci sono posti nel mondo, in cui i ragazzi studiano lo stesso, senza aver veramente nulla, ma hanno l’idea di quello che possa essere un percorso culturale da seguire, per poter migliorare (strutture a parte). No, io non credo che le strutture siano la causa


del degrado che la scuola sta attraversando, Senz’altro, una scuola con delle potenzialità migliori facilita l’apprendimento. A scuola abbiamo la LIM (la lavagna interattiva), in tutte le classi e abbiamo in dotazione computers aggiornati. Personalmente, però, penso che nella scuola manchi, ormai, il volto del vero professore: questa professione, purtroppo, si è ridotta ad esercitare tutt’altro rispetto all’insegnamento vero e proprio! Il professore fa progetti, organizza viaggi, compila organici, documenti, graduatorie, richiede contatti con l’estero, con varie agenzie, risponde, anche penalmente, di ciò che capita in classe, è un esperto (io non tanto) informatico e usa mezzi elettronici, fa corsi di psicopedagogia, di informatica, inglese, stages per diventare dirigente, ma... mi chiedo... siamo certi che il professore, oggi, ami ancora il suo ruolo principale? Perché il professore, chi è? E’ colui che professa, ma cosa? Dovrebbe professare ciò che ha amato con lo studio e quindi insegnare quello che sa. Dunque, più apprende, più tende a trasmettere ciò che sa... I miei migliori professori erano così, ne seguo ancora l’esempio. Ancora oggi, ogni tanto, rileggo le note di ciò che mi hanno trasmesso e insegnato. Non tanto per quello che mi hanno lasciato (tanto, ormai, la cultura da autodidatti è ugualmente valida: basta un buon telefonino, un buon computer, uno smartphone di ultima generazione), ma quanto per la volontà di tramandare di un professore che ama quel che fa, che trasmette perché ama e facilita all’alunno l’apprendimento. Oggi preferiamo un mondo in cui non esistano più mediatori: la tecnologia ha sostituito (come 100 anni fa le macchine sostituirono l’operaio) l’uomo colto come guida. Noi professori siamo trattati alla stregua di impiegati statali, che timbrano il cartellino, eppure ciò che noi trasmettiamo, rimane per sempre, mentre la trasmissione dell’enciclopedia, virtuale o meno che sia, rimane anonima. In un libro ritroviamo almeno l’autore, ma di una serie di informazioni senza dialogo, cosa resta? Col professore è diverso. Egli pratica quella che Socrate definì maieutica. E a me piace, non tanto far lezioni frontali, ma lavorare insieme.

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Spesso gli alunni mi chiedono: “Perché lei spiega una volta sola e se chiediamo di rispiegare, lei ci invita a lavorare insieme?”. Ecco, è questa, per me, l’arte dell’insegnamento. Lavorare con, insieme all’altro, generare inputs... Dalla prima spiegazione bruta che introduce l’argomento, passare al lavoro condiviso. Nella mia disciplina non si dovrebbe, del resto, fare diversamente. Non solo perché la lingua straniera (francese) va praticata, ma perché le sue strutture, (la grammatica, per intenderci) vanno discusse, comparate e confrontate sempre; vanno reinventate e integrate nel contesto. Non ho mai insegnato nella stessa maniera, non ho appunti, non ho schemi. Ogni tanto faccio un fascicolo pensando di riutilizzarlo l’anno successivo, ma non sono mai riuscita, in tanti anni di carriera, ad usare qualcosa nella maniera già proposta. Preferisco, in ogni classe, rilevare la situazione di partenza (è la legge stessa che lo suggerisce e, in parte, lo impone). Ciò rigenera l’entusiasmo, ogni volta. Ed elimina possibili residui routinari.

Quando frequentavo il Corso di Formazione ed ho rivelato questo mio metodo, alcuni colleghi, con palese sarcasmo, mi hanno detto, che avrei fatto così per i primi anni! Ne sono passati tanti davvero e ancora continuo a pensarla allo stesso modo. In più, quando frequentai il Corso di Formazione per l’attuale grado di scuola in cui insegno, avevo già 10 anni di servizio alle spalle: neppure allora poteva dirsi di me, che fossi alle prime armi. Adesso ho tanti anni di effettivo servizio. Ho fatto il massimo che potevo per l’insegnamento, pagando i contributi anche per gli anni universitari e preruolo: non c’è una cosa che io non abbia fatto per esso. E non avrei mai tradito questa mia passione profonda, per tentare inutili carriere dirigenziali, in cui, non solo non sarei competente, ma non avrei alcuna soddisfazione, se non un maggior guadagno pecuniario. Se avrò la fortuna di arrivare in fondo alla mia carriera (dato che la vita non garantisce nulla), voglio arrivare soddisfatta, senza tralasciare nulla, senza avere sconti, ma soddisfatta per il

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mio percorso. Ogni giorno è sempre un giorno nuovo, in questa professione. Non mi sento un’impiegata statale, anche se, degli impiegati statali, ho massimo rispetto e ne ho conosciuto tanti che hanno garantito anche il mio lavoro. Ma lotto perché questa dicitura non qualifichi più il nostro operato, sminuendolo e minimizzandolo (in quanto non nasciamo come tali e non possiamo esserlo sol perché il nostro datore di lavoro è lo Stato)! Il mio lavoro mi piace molto, è un lavoro che ho scelto: non mi sono buttata nella scuola, come tanti affermano, e non credo che la scuola possa continuare ad essere un ammortizzatore sociale, per chi non sa fare alcuna scelta. Non mi sono laureata in ingegneria per poi insegnare, non mi sono laureata in legge per poi insegnare, non mi sono laureata in chissà cosa, per prediligere carriere dirigenziali. Ho studiato per insegnare. Ho scelto l’insegnamento e, in particolare, quello delle lingue, perché mi offriva una cultura più vasta per me e da trasmettere. Potendomelo permettere, ho scelto Firenze, come Università, perché era considerata, al tempo, la capitale della cultura umanistica e poteva darmi modo di spaziare tantissimo, anche per via di professori che trasmettevano davvero il massimo e che, ancora oggi, ringrazio. Qual è, oggi, il rapporto dei genitori con la scuola? Troppo presenti o troppo distanti? Insegnando nelle scuole superiori, noto entrambi gli atteggiamenti. Forse, nelle scuole elementari e medie, la presenza dei genitori è massiccia a volte, forse, persino ingombrante. Nella scuola media ho passato troppo poco tempo, per esprimermi in proposito. Lì c’è una maggiore presenza, che per me sarebbe auspicabile anche in quella superiore. Credo che i genitori debbano essere presenti: preferisco un genitore invadente che un genitore assente. Nelle scuole superiori c’è un po’ l’uno ed un po’ l’altro aspetto: a volte, lo stesso genitore, in alcuni periodi, è presente ed in altri, un po’assente. Mi permetto di dire una sola cosa. A volte ho notato l’assenza di genitori, i cui figli sono molto preparati. L’assenza di tali genitori, mi colpisce più della presenza ingombrante di quelli che hanno figli meno preparati... Un

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genitore, a mio modesto parere, deve sempre trovare il modo di farsi vivo e di informarsi circa il figlio. La risposta di alcuni genitori interpellati, magari per telefono: “Che vengo a fare a scuola? Tanto mio figlio è bravo...”, mi indispone e mi dà la dimensione educativa in cui vive il discente, fuori dalla scuola. I genitori devono partecipare alla vita scolastica dei figli, bravi o meno bravi, che i figli siano, in quanto l’interazione scuola-famiglia è da ritenersi fondamentale per la formazione di un cittadino che si rispetti.

Se tu ne avessi il potere, quale soluzione adotteresti per avvicinare nuovamente gli alunni alla scuola? Gli alunni sono, e sono sempre stati, vicini alla scuola. A scuola s’impara e si socializza. Auspicherei, intanto, un ritorno dell’insegnante come tale: i progetti vari vanno bene, ma si chiamino delle figure esterne, in modo da restituire più dignità al nostro lavoro fondamentale, che è, e non dovrebbe essere nient’altro, se non quello di trasmettere cultura. Non se ne può più: io, in particolare, non ne posso più, di diplomati e laureati che utilizzano un italiano da strapazzo, segno indelebile di una deriva scolastica, quasi inarrestabile! Si dovrebbero formare i docenti a fare i docenti, ad insegnare in classe, anche ad avere una forza autorevole, non derivata da responsabilità civile e penale, ma dal ruolo che il docente esercita, dalla sua preparazione, dalla sua abilità e capacità di trasmissione. Penso, inoltre, che, se nella scuola ci fossero figure adeguate, di sussidio costante all’insegnante, per compiti pratici, senza costringere l’insegnante ad una burocrazia illimitata, i contenuti disciplinari (unica cosa per cui dovremmo percepire un salario, o uno stipendio, che dir si voglia), passarebbero meglio e l’insegnante occuperebbe un vero ruolo serio, nella società. Ma ridono quasi tutti, i miei colleghi per primi, quando mi esprimo in tal senso. Mi tacciano di idealismo, di utopia... Sarà, ma nella Storia, chiunque abbia cercato di insegnare, ha pensato in forma ideale e forse

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utopica. L’insegnante, per sua natura, se lo è veramente, non accetta la mera realtà: tende sempre a migliorarne, se non il presente, almeno il futuro. Nella società è l’unico che pratica ancora la virtù, sia pure in forma laica, della speranza! Per quanto riguarda i progetti, punterei sulla comunicazione per testimonianza. I testimoni sono importanti per qualsiasi attività. Auspicherei, dunque, una maggiore presenza umana nelle scuole, per fare vedere, per esem-

pio, come si lavora in un determinato campo: interviste a figure di spicco del territorio o della Nazione. Che vengano a parlare in tanti, con i ragazzi, che parlino delle loro esperienze, lavorative, ma anche di vita, senza limitazioni ai ruoli istituzionali. Non tocco l’argomento tagli e tutto ciò che degrada la scuola, attimo per attimo, o non avrei più stima neanche di me stessa! Infine auspicherei, come faccio da anni, che le discipline diventassero terreno di gioco, sana competizione e vita. Utilizzando le discipline stesse, come trampolino, verso attività meno astratte, perché esse non siano avulse dalla realtà, ma vengano veicolate attraverso un metodo che includa la cultura nella vita, non che sposti la cultura su un piano marginale. Si vede chiaramente che ami la tua professione. Qual è l’aspetto dell’insegnamento che preferisci?

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Quello che amo di più, dell’insegnamento, è, innanzi tutto, il rapporto con le generazioni che cambiano. Questo è quello che mi piace di più. Non si invecchia mai con questo lavoro. Io non ho mai sentito l’avanzare dell’età, proprio grazie a questo lavoro: la mente è costretta a ridefinirsi continuamente, non si può mai insegnare, da un anno all’altro, nella stessa maniera. E non esiste il salto generazionale. Ho avuto la fortuna di cominciare a lavorare nel mio campo, molto presto. Per molti, ciò è una jattura. Avvertono la stanchezza. Io avverto la stanchezza di tutto ciò che non ci qualifica, dall’alto. Che, di anno in anno, ci degrada. Ma il mio lavoro, quello fatto in classe, continua a piacermi sempre più: non esiste un giorno uguale all’altro e chi pensa che questo sia un lavoro monotono non è un vero i n s e g n a n t e . La scuola, per me, non è solo un lavoro, dunque. Si, mi dà da vivere, ma la scuola mi piace proprio come esempio di vita, come crogiolo in cui si possano forgiare i pensieri e pentola in cui si possano cucinare le idee... La scuola come passione: perché le passioni sono vita. Che blaterino pure i miei colleghi che hanno perso l’entusiasmo! Prima di lottare per la pensione anticipata, lotterò, fino al mio ultimo giorno lavorativo, sia pure invano, perché al nostro lavoro sia assegnato una dignità più giusta e migliori condizioni, almeno logistiche (la piaga della mancata manutenzione nella scuola è fonte di insicurezza e condizioni di lavoro insostenibili). La scuola, inoltre, mi sintetizza tutte le grandi passioni che ho nel sangue, me le fa vivere. La passione per la Cultura, per la Letteratura, per l’Arte, per la Storia: la scuola è, per me, la passione per antonomasia. Quando, e se, avrò la fortuna di andare in pensione, credo che non mi mancherà proprio nulla, perché spero di avere la consapevolezza di aver dato tutto ciò che potevo. Non sarà una liberazione, ma neppure un rimpianto. Però so già cosa mi mancherà: la capacità di sintesi, che la scuola possiede in sé, di tutte quelle che io definisco scienze positive, perché nessun altro luogo è capace, nella società, di ritenerle tutte ugualmente e civilmente importanti.

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Ecco perché credo ancora nella Scuola come Istituzione. Non in quella formale, ma in quella che forma.

Ora basta parlare di scuola. Cosa puoi dirmi per conoscere e, soprattutto, per far conoscere meglio Maria, e non “la Palazzo”, a chi leggerà l’intervista? È una domanda un po’ imbarazzante, non per la domanda in sé, perché è ben formulata (e mi piace). Ma mi fa un po’ sorridere perché non so se sia davvero importante conoscermi da un punto di vista più personale. Mi sento un po’in difficoltà, perché non amo parlare e dare in pasto al mondo il mio privato. Mi riesce difficile parlare di me, intendo del mio privato, appunto, perché non ritengo, contrariamente all’andazzo attuale, che la vita privata di ognuno, debba diventare pubblica e di interesse comune. La mia vita privata è mia e di nessun altro. La gente ama sguazzare nella vita altrui, come fosse in un acquario. Si tende ad etichettare tutto, per sentirsi più sicuri. Diciamo che io, ogni volta che mi sento etichettare, sballo tutti i piani altrui, comportandomi come gli altri non si aspettano. Odio essere inquadrata e detesto gli inquadratori, che definisco squadristi della domenica, poiché tendono a darti un posto fisso e imprescindibile nella loro personale scala valoriale! Ho una sensibilità eccessiva e avverto subito l’imposizione dell’etichetta! E, poiché non mi ritengo un vino, né un prodotto da frigo, anche se sono in scadenza (nessuno è eterno!), cerco sempre di definirmi come mi definiva mia madre, la quale soleva apostrofarmi, con tali parole:“Maria, sei come un caleidoscopio, cambi forma e sfumatura nel colore, ma il tubo è sempre lo stesso!”. Mia madre era gran conoscitrice dell’animo umano. Ha dato la giusta definizione per me: il caleidoscopio ha gli stessi colori, però il colore stesso, appunto, a seconda del movimento, assume strutture e disegni diversi e non riesci mai a definire fino in fondo il colore, per classificarlo in maniera standard. La cosa più bella di un individuo è proprio la sua unicità, l’impossibilità di essere incasellato in termini ristretti. Così mi sento perfettamente adeguata, e perfettamente mi riconosco, nella definizione indefinita che mia madre ha dato di me. E fare finta che la vita sia definita o tutta da delimitare in concetti e spazi angusti, sia pure cerebrali, è la peggiore malattia che possa esistere. Forse rappresenta il nuovo mal du siècle: il peggiore di tutti i mali moderni dipende da questo. Dall’insicurezza con cui definiamo tutto, per sentirci meno esposti. Ma dipendere da un bisogno eccessivo di sicurezze, per delimitare le nostre paure, circoscrive anche lo spazio mentale in cui ci muoviamo e non ci accorgiamo che, dove si annida la paura è più facile che si annidi anche l’incerto! Mentre, invece, accettando una certa forma di insicuezza, che accomuna, poi, tutta l’umanità, forse noi riusciremmo, senz’altro, a vivere meglio e con maggiore consapevolezza. Senza vivere per piacere agli altri, senza adeguarsi ai luoghi comuni, ma cercando una strada più consona per noi.

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Tu sei brillante, chi ti conosce lo sa: spesso riesci a far ridere gli altri, con le tue battute sagaci. Ma a te Maria, cosa ti fa ridere? Un’altra professione che avrei potuto svolgere, sarebbe stata proprio quella del comico. Se ci fosse stato un modo più definito per intraprenderla, credo che non avrei esitato e credo che avrei anche avuto successo. Ma detesto il mondo dello spettacolo e le sue leggi. Proprio perché vivo molto, in prima persona, la pesantezza della vita (sono fondamentalmente pessimista, pur se non sembra, dato che mi batto sempre per una speranza possibile), tendo ad ironizzare su tutto. Anche sul mio lavoro. Poiché, per natura, tendo a prendere tutto troppo sul serio, cerco sempre di trovare la battuta giusta, come via d’uscita. Di buttarla sul sorri-

so, sia pure amaro, anche se, spesso, la battuta può essere fraintesa o non capita, anche se la battuta può farti odiare, a volte, per aver urtato la suscettibilità di qualcuno. Esempio tipico, in Francia con l’affaire Charlie Hebdo, in cui, un certo tipo di satira estrema è stato visto come offesa, magari per chi vive l’esistenza in maniera piuttosto uniforme, per non dire rigida. Ecco un’esistenza troppo rigida, mi farebbe paura... A me piace molto far ridere, però con ironia. Odio il sarcasmo. Anche qui subentra la mia personalità. Sono, in genere, molto, molto permalosa. I miei genitori hanno cercato di aiutarmi a superare la mia permalosità, ridendoci su. Io rido di me stessa, sono autoironica, però divento permalosa nel momento in cui avverto nell’altra persona una forma di compiacimento nel colpire qualcosa nell’altro si vede come debolezza. La mia maniera di far ridere, colpisce sempre il fatto, mai la persona.

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Così, se negli altri noto il contrario, divento di ghiaccio o aggressiva, molto aggressiva: non sopporto ciò che viene fatto con lo scopo di colpire. Nel caso in cui avverto, invece, che la punzecchiatura è solamente per ridere e per far ridere, a quel punto sono quasi felice, perché i difetti che ci accomunano gli uni agli altri, sono così esilaranti, da non poter non ridere... Mi fa ridere... cosa? Credo la vita, che crea situazioni al limite: la comicità è la possibilità di esorcizzare le paure, di superare i momenti, anche attraverso una gran bella risata...

So che leggere è la tua passione. Quale libro (o quali libri) hai sul comodino e quale giornale (se hai l’abitudine di leggerne) hai in cucina? La cucina è il posto della casa, che preferisco. Quello dove ho sempre studiato... In questo momento sul comodino ho due libri di Franco di Mare, “Il cecchino e la bambina” e “Non chiedere perché”. Avevo questi due libri sul comodino, da anni, da quando Franco di Mare venne a Lamezia per “Il Sabato del Villaggio”, curato dal professor Raffaele Gaetano. Nel momento in cui ho conosciuto il giornalista, non sono riuscita a leggere subito i suoi libri (anche perché ho l’abitudine di comprare i libri, seguendo l’istinto, però non è detto che io li legga subito). “Il cecchino e la bambina”, ce l’ho, da allora, sul comodino, ma non sono mai riuscita a leggerlo. L’altra sera, dopo la trasmissione de L’Angelo di Sarajevo, con Giuseppe Fiorello, che adoro, perché antidivo, uomo colto e raffinato, ho letto, d’un fiato, il libro in questione, iniziando subito l’altro. L’argomento dei due volumi è essenzialmente quello della Guerra nei Balcani. Ho conosciuto persone che hanno partecipato alla Missione di Pace, in Bosnia. Quando lavoravo presso la Scuola Media di Sersale, ho partecipato, con le mie classi, all’iniziativa nazionale per le scuole, “10.000 cartoline in Bosnia” per il nostro contingente e ricevemmo molte cartoline di risposta e accogliemmo anche un sottufficiale dei Paracadutisti, che espresse il desiderio di conoscerci. Leggere di quella guerra, alle nostre porte, di cui pochi parlano ancora,mi fa capire molte più cose. Questi due libri mi aiutano a capire che la Storia non è quella dei critici, ma quella narrata dai testimoni. Questi due libri credo mi resteranno impressi per molto tempo, avendoli letti proprio quando ero pronta per leggerli. Perché il libro, quando ti capita fra le mani, è come una persona che ammiri da lontano e che, ad un certo punto, decidi di conoscere meglio. Non sai se il libro ti darà quello che cerchi, però tu affronti ogni pagina come affronteresti una persona tutta da scoprire. Il libro che stavo leggendo prima, invece, è quello scritto da una mia carissima amica, Maria Primerano, medico cardiologo della Sttruttura Ospedaliera Pugliese-Ciaccio. Il libro è “L’anello stregato di Mozart” e, su questo libro, che ho già recensito per Lamezia e non solo, ritorno di tanto in tanto. Lo uso come cornice e trait d’union fra un libro e l’altro: ne rileggo sempre qualche pagina, prima di inizia-

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re una nuova lettura. Mi piace averlo sempre sul comodino. Quasi come mònito. Perché narra di Mozart, non solo come musicista geniale, ma come uomo. Maria Primerano ha colto questo aspetto, regalandoci pagine memorabili che, quasi in forma di romanzo, aprono uno spiraglio anche sulla vita interiore del genio. Per quanto riguarda la lettura dei giornali, leggo un po’ di tutto. Leggo di meno i quotidiani e preferisco le riviste. Per l’informazione quotidiana scelgo Internet, in quanto, quest’ultimo, dà la notizia in forma bruta, poi sviluppi tu la tua opinione. Mentre il cronismo televisivo, o giornalistico classico, fornisce già un’idea. Le riviste che preferisco per rilassarmi, sono quelle che parlano di arredamento d’interni: mi piace notare l’accostamento dei quadri, dei colori: ciò è creativo, mi distrae piacevolmente e mi carica interiormente. Non prediligo le riviste femminili, ma ma ogni tanto leggo “Gioia”, perché ha un taglio ampio e vario e perché amo seguire le tendenze che vanno di moda, anche se poi non le seguo pedissequamente. Sono, poi, abbonata, dal 1987, alla rivista “Il Carabiniere”, che leggo con grande interesse, per la mia passione per la Storia, in generale, e per quella particolare per la Storia Militare. Sono un’appassionata dell’argomento e mi piace tenermi aggiornata. Leggo, infatti, anche altre riviste di argomento storico-militare, perché mi sarebbe piaciuto lavorare nell’Esercito Italiano. Ho, infatti, lottato fattivamente per l’ingresso delle donne nelle carriere militari, facendo da corrispondente per l’organo di stampa dell’A.N.A.D.O.S. (Associazione Nazionale Donne Soldato) e iscrivendomi regolarmente all’Associazione, per tutti gli anni Novanta. Partecipando alle manifestazioni di piazza, ai rap camp e ai convegni, nonché alla giornata trascorsa col contingente della Missione “Bronzi di Riace”, in Aspromonte, proprio qualche mese prima dell’ingresso ufficiale delle

donne, nei vari reparti militari. Infine, mi piace leggere riviste di poesia, dato che ne scrivo.

Hai mai pensato di scrivere un libro? Ho sempre pensato di scriverlo ma non mi piace il mondo dei libri, perché, per me, è troppo simile a quello odierno dello spettacolo. Un mondo in cui si valuta poco, si accetta di tutto e non si bada all’effettivo valore delle opere. Mi piace scrivere, ed infatti colgo tutte le occasioni per poterlo fare. Collaboro con Lamezia e non solo, con Il Lametino e, se capita, con altre testate: questa, per me, è la maniera migliore per esprimersi. Scrivere per professione non mi piacerebbe. Mi piacerebbe scrivere un libro in un mondo senza mercato dei libri. Purtroppo il libro è diventato un business come un altro. Colpa di chi non ha mai fatto leggi giuste sull’editoria! E sulla distribuzione del prodotto editoriale. Mi piacerebbe pubblicare le mie poesie. Ma che non tutto finisse in un contratto in cui tu stampi, a tue spese, un sacco di copie e poi finisci col regalarle, magari a forza, a gente che non fa altro che criticarti, per avergli propinato un pezzo di te! Un libro dovrebbe essere Arte, e vi sono libri che sono “Arte”, ma quando sono stati giudicati tali? Solo dopo la morte dello scrittore! Bisognerebbe creare dei circuiti di scrittura e lettura, oltre il business, creare una legge per i diritti d’autore, che non comportino spese eccessive, al fine di non creare solo corsie preferenziali per chi sgomita e chi paga! Dare diritti agli scrittori e diritti alle case editrici, per non procedere senza garanzie. E forse è anche il rapporto scrittore-editore che dovrebbe cambiare. La scrittura è un’esigenza dell’essere, un’offerta a chi legge. Si può dire la propria urlando o in

punta di piedi: non dovrebbe esistere un mercato dietro la scrittura. o meglio, dovrebbe esistere un mercato più limpido e meno oneroso per entrambe le parti, generare un rapporto del tipo datore di lavoro-dipendente, non del tipo se vuoi farti conoscere devi stare alle mie condizioni! Dovrebbe essere esente dalle mode del momento e privilegiare il veicolo culturale, non dettare leggi sul genere più in voga. Diventare un’Istituzione, non restare un prodotto d’élite! Ma, forse anche questo è utopico. Per cui non credo che scriverò mai un libro. Anche perché la poesia, l’unico genere che sento veramente mio, in un mondo fondamentalmente materialista, non ha più spazio. Utopico anche questo! Mi piacerebbe anche scrivere un libro di mie ricette. Ma sempre mai alle condizioni del busines... E, sicuramente, un libro su mio padre. Non sulla sua biografia, ma su di lui e basta. Non so come, non so quando, ma, forse, su questo, non ho completamente abbandonato l’idea... Sbaglio, o sei innamorata dei cappelli? Moltissimo. Ne ho una discreta collezione. Secondo me una donna con il capo coperto è molto più affascinante. Il copricapo, nelle sue diverse fogge, dà alla donna quell’aspetto mutevole che, pur facendoti sembrare diversa, ti rende più profondamente te stessa, permettendo di mutare aspetto, ma non personalità. Nulla completa l’abbigliamento, come un cappello, che sia estate o inverno. Dicono che siano i gioielli, le scarpe o le borse, il naturale completamento del vestire. Altri pensano addirittura sia il trucco o il taglio dei capelli. No, io ritengo che l’unica forma di completamento autentico, sia il cappello. Perché la testa è la prima cosa che viene guardata. Il taglio di capelli non può variare con l’abito, il cappello si. In inverno completa quello che indossi, ma ti ripara anche dal freddo. In estate completa l’abbigliamento, ma ripara dal sole e, in più, rappresenta un capo voluttuario, una civetteria accessoria per una donna... Mi piacerebbe fare una mostra con i cappelli che ho, non perché siano di valore, ma per quello che, secondo me, rappresentano. Indossare un cappello è una forma d’arte. E anche una maniera originale per rappresentare meglio (in maniera più completa, a parer mio) se stessi.

Un ricordo cui sei legata, con il cuore e con la mente? Non ne ho uno in particolare, senz’altro se dovessi focalizzarne qualcuno… Ecco... le uscite con mio padre, da piccola, e con la mia famiglia. I ricordi di guerra di mio zio Salvatore, ascoltati accanto al fuoco, in inverno, spegnendo tutte le altre luci... Mio fratello bambino... Mia madre intenta nei suoi lavori domestici e nello studio della materia che insegnava... I ricordi legati alla mia famiglia, i ricordi legati alle mie amicizie di vecchia data, i ricordi uni-

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versitari, persino i ricordi recenti, con le persone che stimo, le persone che ho amato... Non ho un ricordo che amo particolarmente. Diciamo, però, che adoro ricordare. Con gioia, ma senza rimpianti. Non vorrei tornare indietro, non vorrei essere più giovane, non penso che il passato sia stato migliore. Ma mi piace ricordare per tenere vive le esperienze che ho vissuto, fortunata di averle vissute. Infatti, mi piace anche parlarne. Ricordare mi dà la dimensione di quello che profondamente sono, piacevoli o meno che siano, nella loro totalità, i ricordi... E mi aiuta, nei momenti difficili, a non perdere il filo e il senso della mia stessa esistenza. Quando non sei impegnata ad insegnare o a leggere, cosa ti piace fare? Mi mi piacciono un sacco di cose, mi piace moltissimo il teatro, il cinema. Spesso mi piace andare da sola, al cinema. Scelgo così, perché mi piace gustare il film senza nessuno vicino, mi piace sentirmi sola: io e il film. Commuovermi, ridere, senza che nessuno mi osservi... L’altra cosa che faccio volentieri è ascoltare musica. Di ogni genere. La musica è proprio una componente integrante della mia vita, fa parte di me. Mi piacciono molto i cantautori storici, conosco a memoria quasi tutte le canzoni di Lucio Dalla che è stato, è e sarà, sempre il mio idolo. Lo amo proprio per la sua capacità di essere sempre nuovo, di reinventarsi. Un’altra cosa che mi piace molto è anche conversare (credo che questo lo sappiano tutti ndr), mi piacerebbe far parte di gruppi che conversano. Ultimamente ce ne sono molti di meno anche su Facebook, perché la conversazione diventa quasi sempre aggressione, mentre è bello conversare anche con vivacità, con foga, per avere il piacere di dire la propria opinione e conoscere quella altrui. Anche confrontarsi su un terreno di scontro. Avere qualcosa da dire. Mi piace molto conversare, parlare: ormai l’arte del parlare è caduta in disuso.

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Quando inizi una discussione, spesso vieni troncato sul più bello, a qualcuno si brucia il sugo, o si ricorda di qualcosa di urgente da fare, molti si stancano, addirittura! La verità è che si preferisce il proprio cerchio magico, cercando sempre interlocutori che approvino, piuttosto che interlocutori che siano di parte avversa. Il maledetto quieto vivere, che livella, che affossa, che implode ogni forma di intelligenza, che fa invecchiare prima del tempo, illudendoci che, finalmente, abbiamo raggiunto la pace interiore, mentre, invece, stiamo, lentamente, indirizzandoci al declino, imparando, come disse qualcuno, a stare zitti! Il vuoto della parola è stato sostituito dalla scrittura sui social: la macchina ci ha sostituiti, in tutto e per tutto! A volte, allora, mi sfogo anch’io, su Facebook. Molti non amano questa mia forma di comunicazione. Forse perché “scripta manent” … A qualcuno fa bene, a qualcuno fa male, ma è il rovescio della medaglia, della mancanza di dialogo. Tornando a qualcosa che mi piace: mi piace molto la Moda. Non quella dettata dalle grandi firme. Amo i grandi stilisti. Non per forza da indossare: non potrei permettermi abiti esclusivi. Stimo infinitamente Anton Giulio Grande, perché ha lavorato sodo e valorizzato, col lavoro, il suo talento. Mi è sempre piaciuto Valentino e il Pierre Cardin della prima ora, che usò, per primo, i materiali poveri e, snobbato dal mondo della moda italiana, emigrò a Parigi, chiedendo la nazionalità francese. Mi piace la moda come rivelazione di una personalità e di uno stile, non il must del grande nome sbandierato. A volte basta un accessorio, per renderci glamour: nessun bisogno del nome, tanto più ridicolo, a mio parere, per prodotti in serie! Cose frivole, forse, ma che rivelano la parte meno pesante di me... E poi mi piace viaggiare. Se si può, anche in posti lontani. Ma non per forza. Mi piace visitare luoghi nuovi, passeggiare in posti diversi. Ho fatto bellissimi viaggi. La Francia, varie volte: Provenza, Normandia, Bretagna, la valle della Loira, l’Egitto, l’Israele, l’Austria, la Bosnia, Malta, poi l’Italia (i viaggi più belli, in Italia, quelli che mi hanno portato sulle isole: l’Arcipelago Toscano, le Isole Eolie, Capri, Favignana...), dalle Dolomiti, alla Sicilia... Un posto che mi piacerebbe visitare è la Martinica (e le Antille Francesi) e poi, il Senegal e Madagascar (ma ora i viaggi sono diventati troppo costosi e un po’ pericolosi...). Mio padre diceva di avere l’istinto del nomade:

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beh, credo che me l’abbia trasmesso col suo DNA...

Che genere di film ami? Mi piace tantissimo Quentin Tarantino. Il regista mio coetaneo. E ho il culto dei film di guerra, per esorcizzare la paura della morte e della guerra stessa. E c’è, in me, un antico amor di Patria, che non mi abbandona, anche se, ora, una politica indegna, mi fa, a tratti, quasi vergognare di essere italiana!

Maria e l’amore … Vuoi dirmi che ruolo ha l’Amore, nella tua vita? Non amo molto parlare di questo argomento, come non amo parlare di me. Contrariamente a molte donne: perché è un argomento troppo sfruttato, troppo banalizzato. Si parla solo d’amore, ti chiedono se hai un compagno, se hai un punto di riferimento nella tua vita amorosa, se ami, se non ami... È un altro di quegli argomenti triti e ritriti, per cui detesto parlarne. Se non hai una persona con cui esibirti o da esibire, sembra a tutti che tu non ami. Parlare d’amore è un fatto che può essere reso pubblico, ma parlare del proprio vissuto d’amore deve restare privato. Ho avuto due grandi amori nella mia vita. Ho dato al sentimento provato e a questi due uomini che ho amato, un’importanza molto profonda. L’amore, per me, è un sentimento, non un trampolino di lancio per uno status a due. Amare attiene a un sentimento molto difficile da definire. Amare è già una cosa molto complessa, in tutte le sue forme. Amare chiunque è un’operazione che richiede cura. Amare un uomo è cercare continuamente il dialogo, nello scontro, come nell’incontro. Ed è quello che ho fatto sempre, nelle mie due grandi storie d’amore. Amare vuol dire essere completamente sullo stesso piano. Non accetto assolutamente che, in amore, una persona sia inferiore a me o superiore a me. Un famoso proverbio recita che “in amore c’è sempre qualcuno che ama di più”... Ecco, questo è un proverbio che non fa per me: in amore non accetto questo compromesso. Quando amo, se mi accorgo che il rapporto va verso questa direzione disparitaria, cerco sempre di ristabilire un contatto che ci metta alla pari. Per molti, ho un’idea utopica anche sull’amore. Non importa: ognuno vive secondo i suoi canoni. E, poi, cos’è l’utopia, se non il sogno, se non la mancanza di rassegnazione ad un mondo becero che ti fagocita? E l’amore è, in parte (in parte, dico), un sogno. Se perde quella parte, che va sempre tenuta viva, prima o poi, muore e non bastano i contratti o i tribunali a resuscitarlo. Per cui, o ho la possibilità di vivere anche il sogno, o, sinceramente, non sono interessata. Perché la persona che ami è quella che il cuore ti mette davanti, non la testa. Certo, prima o poi, subentra anche la testa, ma il cuore resta fondamentale.

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E’ quello che mi hanno insegnato i miei stessi genitori. Mio padre mi ha sempre detto: “Un uomo, Maria, deve, innanzi tutto, piacerti, poi devi cercare di capire se gli vuoi bene davvero e se ti vuol bene anche lui, conoscerne la personalità e notare se può essere compatibile con la tua: non si deve mai rinunciare a ciò che per noi è fondamentale”. E mia madre, in punto di morte, fino a pochi minuti prima di morire, ha detto: “ Vi lascio papà: io l’ho voluto e l’ho amato fino alla fine”. L’amore vissuto come sentimento che ti ispira, la volontà di trovare, nell’altro, le cose che ti piacciono, non una volta e basta, ma giorno per giorno. L’amore non sempre dura per sempre. Può anche prendere altre strade, ma resta l’esperienza umana più elevata e più completa. La più bella che io abbia vissuto.

Il femminismo e la solidarietà femminile esistono ancora? Personalmente, ammetto di non provare molta solidarietà femminile. Verso le donne ammetto diessere molto, ma molto critica. Sono solidale con le donne al di fuori degli stereotipi tipicamente femminili, quelle che non rinunciano mai alla loro personalità, che non rinunciano per avere dei privilegi, o semplicemente un uomo e una famiglia. Non ho solidarietà verso le donne che espongono i loro sacrifici, come se qualcuno avesse imposto loro uno stile di vita. Oggi le donne sono molto più libere di scegliere. Zero solidarietà con le donne che criticano gli uomini, facendo, della disistima verso il genere maschile, il loro cavallo di battaglia. Per quel concetto di parità, che ho sempre coltivato, non sopporto neppure certe artiste, come la Littizzetto che, per non saper far ironia su altro, parla di uomini che non si lavano o di una superiorità femminile di bassa risma! Solidarietà zero con le donne, poi, che usano la propria avvenenza per sentirsi qualcuno. In generale, il parere maschile è che la solidarietà femminile non esista. Forse è vero: troppa rivalità. Solidarietà a mille con tutte le donne che lottano per qualcosa. Non per forza per l’affermazione di se stesse (ma anche): senz’altro, per quelle che lottano per un mondo migliore. Solidarietà a tutto spiano con le donne che non si affermano squalificando gli uomini, ma unendosi ad essi. Rifiuto netto delle quote rosa: negano che una donna possa affermarsi perché vale, come chiunque, uomo o donna che sia. Le quote rosa sono l’espressione di un femminismo becero, avulso dalla lotta per il meglio e ancorato ad un falso diritto. No all’affermazione che la donna sia angelo del focolare: la donna è angelo ovunque e vi sono anche Angeli e Arcangeli con la spada. La donna è forza, coraggio. Niente solidarietà con le false vittime, che si autocompiangono per farsi consolare e solida-

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rietà a tutto tondo, con le vittime vere: le vittime della violenza, della mafia, del bullismo, delle ingiustizie sociali e di ogni genere, della mancanza di rispetto, ecc. Solidarietà, ancora, per le donne che si battono per il bene comune, per una società più giusta, per l’uguaglianza, per la pace fra i popoli; per la donna che sceglie una determinata via e riesce ad essere felice, pur nelle difficoltà; per la donna che trova il modo di scegliere, non di essere scelta dalla società.

On line, web, app, blog, hashtag: visto che hai un profilo su FB, questi termini ti saranno familiari. Posso chiederti cosa ne pensi dei Social Network in generale? A tuo avviso se ne fa buon uso? Credo che non debba essere demonizzato il mezzo ma l’uso, appunto, che se ne fa.

Qualunque cosa può essere utilizzata bene o utilizzata male. Non sono mai stata, né contro, né a favore, in maniera assoluta, di qualcosa. Tanto meno riguardo ai social network o all’uso delle nuove tecnologie. L’importante è essere sempre se stessi. Se c’è modo di vivere la propria vita anche con queste cose va benissimo, l’importante è che non sostituiscano, in alcun modo, la vita reale. Anche se mi accorgo che, un po’, la sostituiscono veramente... Vedo che i giovani non si riuniscono più, non fanno esperienze insieme. E gli adulti che si ubriacano di social, sono più vuoti di prima. Ciò che, però, mi fa paura di più, non è neppure il fatto che la gente esca di meno, ma l’idea che il mondo reale possa essere sostituito da quello virtuale, l’arrivare a non concepire più il limite. Penso che tutto ciò che tenda a sostituire la realtà, per crearne un’altra, sia una sorta di paradis artificilel, una droga che sostituisce il reale con l’illusione e l’allucinazione. Non sono per la demonizzazione di alcunché, ma temo tutto ciò che ci allontanerebbe, inesorabilmente, dalla vita vera. Bene, Maria stiamo giungendo al termine di

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questa bella chiacchierata, un’ultima domanda… La domanda che non ti ho fatto? Concludendo, tengo a dire che ho risposto senza conoscere in anticipo le domande che mi venivano rivolte. Mi piace così, perché mi piace parlare a ruota libera. In questa intervista mi è stato chiesto di tutto e sono immensamente grata per la possibilità di aver potuto esprimere quello che sono. Sono persino commossa. Forse l’unica dmanda che non mi è stata fatta è se io sia, o meno, contenta della mia vita e se mai avrei voluto vivere la vita di qualcun altro, ma credo che la risposta traspaia da tutto ciò che ho già detto. Aggiungo soltanto che, a parte gli alti e bassi, comuni a chiunque, sono felice della mia vita e della mia possibilità di scelta: non avrei voluto viverne altre. E, finché Dio vorrà lasciarmi sulla terra, spero di poter lottare sempre per ciò in cui, personalmente, credo. Forse, un’altra domanda che avrei voluto mi fosse rivolta, ma apprezzo la discrezione di non averla formulata, è se sento la mancanza di figli. Rispondo, e con tale risposta chiudo davvero, che adoro i bambini e i ragazzi: ho adottato un ragazzo a distanza. Si chiama Jean Baptiste, vive in Madagascar. Ha poco più di vent’anni. Poi con la scuola ho compensato molto. Se osservo molte situazioni, dico che io non ce l’avrei mai fatta. Esistono genitori meravigliosi. Osservandone altre, sono portata a pensare che io avrei saputo fare meglio. Esistono anche genitori difficili da capire. Non vado oltre. Essere madre non è solo un fatto fisico. Madre mi sento dentro. Madre è essere vita, è dare vita. Trasmettere vita. Mi sento madre nell’animo. Madre di ogni cosa che creo, di ogni cosa che amo. Ringrazio i miei amici Nella e Pino Perri per la stima e la fiducia, ormai trentennale e, se dovessi farmi una domanda io, e darmi una risposta, parlerei dell’amicizia. L’amicizia, per me, per quanto rara sia, è il sentimento più puro, in assoluto. Conosco tantissima gente e tantissima ne stimo, ma ho anche amici veri. Sono quelli che mi capiscono, senza dare troppe spiegazioni. Vorrei nominarli tutti... Ecco, Nella e Pino Perri, sono un esempio. Sono la messa in pratica, per me, di quella frase di Antoine de Saint-Exupéry (lo scrittore del Piccolo Principe), secondo cui, “amare”, e anche “essere amici”, “non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”. Io, l’amicizia, la vedo così... Grazie Nella, grazie Pino, grazie a tutto il vostro staff... Con imenso affetto. Maria Palazzo

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La contrarietà al business del vento degli Amici della Terra è motivata da ragioni sia di ordine generale (**) che locale. La contrarietà ai “mercanti del vento” in tutto il Bel Paese è motivata compiutamente negli atti della VI Conferenza Nazionale sull’Efficienza Energetica, svoltasi a Roma nei giorni scorsi, e già disponibili a tutti sul sito web degli Amici della Terra. Motivi che aumentano in una regione come la Calabria ampiamente in grado di far fronte alla domanda di energia elettrica interna perché produce più di quanto consuma e rappresenta oggi una delle principali regioni esportatrici di energia. E con un territorio caratterizzato dai massimi di insolazione e di rilevantissime quantità di acqua e rilievi per la produzione di energia solare e idroelettrica.

eolico.

Le pale eoliche sono incompatibili non solo con il contesto ambientale, paesaggistico e storico del territorio; rischiano di provocare danni rilevanti ad un contesto geologico e geografico unico e, tra l’altro, caratterizzato da assetti idrogeomorfologici tra i più favorevoli allo sviluppo della più grande varietà di habitat e forme di vita vegetale e animale.

Si tratta del contesto della grande frattura conosciuta come Graben della Stretta di Catanzaro dove affiorano rocce del Paleozoico, più antica Era geologica, identiche a quelle che formano la catena alpina, la Sardegna, la Corsica e l’Arcipelago toscano.

Un progetto voluto, finanziato e in parte realizzato “allo scopo di tutelare i beni naturalistici insieme con quelli storico-artistici, archeologici e culturali, che derivano da secoli d’interazione e reciproco rispetto fra le popolazioni locali e l’ambiente che le circonda”. Un progetto, costato moltissime centinaia di milioni di lire, approvato e sostenuto dagli stessi comuni di Lamezia Terme, Decollatura, Conflenti, Platania e Motta S. Lucia, convocati alla prossima Conferenza dei Servizi per decidere se approvare o no il progetto di parco

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La rilevanza di quanto è documentato sulle rocce della frattura della Stretta di Catanzaro, già negli ultimi decenni del XIX secolo, veniva sottolineata dall’Ing. Cortese, il più grande studioso ed esperto della natura ed evoluzione del territorio calabrese, in varie pubblicazioni scientifiche apprezzate anche fuori dei confini europei. La stessa frattura, nella “Descrizione Geologica della Calabria”, è considerata dal Cortese: “esempio manifesto dello squarcio che possono produrre le faglie in un continente esistente e dell’opera che i mari posteriori e i sollevamenti possono fare per risaldare le due parti staccate” Le specificità geologiche e geografiche che caratterizzano lo stesso territorio, da sempre all’attenzione degli studiosi di tutto il mondo, sono stati definiti “interessantissimi esempi da studiare” dallo stesso dall’Ing. Cortese negli anni della sua appartenenza corpo reale delle Miniere e R. Ufficio geologico.

La netta contrarietà agli impianti di produzione di energia eolica sui rilievi del lametino è rafforzata dalla necessità di tutelare le preziose specificità geo-ambientali che caratterizzano gli stessi rilievi che segnano le propaggini meridionali del Massiccio silano. Va subito evidenziato che già l’impatto visivo, sonoro e sull’avifauna che possono produrre le opere necessarie per realizzare un “impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica” è incompatibile con la realtà delineata e descritta nel progetto del Parco Regionale dei monti Reventino, Tiriolo e Mancuso.

gici che hanno prodotto il riempimento e sollevamento del fondo dello stesso Canale e che hanno portato al ricongiungimento terrestre come lo vediamo attualmente percorrendo la rete stradale e ferroviaria tra il Tirreno e lo Jonio.

Una frattura che ha separato i monti del Parco Reventino-Mancuso-Tiriolo dagli altri monti che si elevano più a Sud del massiccio delle Serre e dei territori dei comuni di Maida, Filadelfia, Squillace, ecc. In corrispondenza della stessa frattura, anche le rocce del Reventino e della Stretta di Catanzaro documentano la presenza, intorno a 5 milioni di anni fa, di un Canale marino come quello dell’attuale Stretto di Messina. Un canale d’acqua che separava i rilievi della Sila da quelli delle Serre. Cosi come documentano vicende climatiche e processi geolo-

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La rilevanza degli stessi contesti geologici e geografici, tra l’altro, caratterizzati dalla presenza di preziosi giacimenti minerari, è testimoniata anche dal fatto che già nel 1981 e poi nel 1956 furono organizzati a Catanzaro due importanti Congressi internazionali dalla Società Geologica Italiana. Una rilevanza che continua ad essere all’attenzione dei maggiori centri di ricerca internazionali ma ignorata o sottovalutata dagli Enti preposti alla gestione e controllo del Territorio e che dovranno decidere sull’autorizzazione ai “mercanti del vento” se “impalare” o meno lo stesso territorio.

Gli stessi Enti e soggetti responsabili del governo del territorio non devono continuare ad impedire il recupero della memoria storica e la realizzazione dei necessari interventi di salvaguardia e valorizzazione del prezioso patrimonio di biodiversità e geo-diversità disponibile sui rilievi del Reventino. Non si può continuare ad ignorare o trascurare che le rocce che formano e circondano i

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rilievi del Reventino, tra l’altro, comprendono antiche rocce granitiche generate dallo stesso magma che ha generato le più note rocce granitiche della Sardegna e dalle quali sono state separate da imponenti movimenti della crosta terrestre dai processi di oceanizzazione del Tirreno. Movimenti iniziati milioni di anni fa, ancora in atto e connessi all’evoluzione geodinamica della subduzione della litosfera ionica mesozoica al di sotto del Mar Tirreno.

Movimenti registrati e documentati sulle rocce del Reventino dove, tra l’altro, affiorano Serpentine e Ofioliti (rocce chiamate anche marmi verdi) e che documentano le fasi più remote della formazione ed evoluzione della struttura della regione e dell’intero Belpaese. (Le Ofioliti, devono la loro formazione alla circolazione di fluidi idrotermali attraverso la crosta oceanica neoformata, sono presenti nelle principali catene montuose mondiali come l’Himalaya e le Ande. Il loro chimismo è correlato alle zone di subduzione e alla chiusura dei bacini oceanici e alla collisione fra zolle).

Ma c’è di più, nella valutazione dell’impatto prodotto da scavi, scassi e altre opere necessarie per le infrastrutture connesse all’eventuale realizzazione ad un parco eolico, c’è da considerare che le rocce con ofioliti tettonizzate, come quelle del Monte Reventino, sono amiantifere. E, non è difficile immaginate le conseguenze di eventuali immissioni e circolazione di amianto nell’aria che circonda i rilievi del Reventino; aria che, con le polveri e sostanze contenute, ogni sera s’incanala e scende lungo la Valle del Torrente Piazza rinfrescando, come la brezza, i quartieri più densamente abitati dell’ex comune di Nicastro. Non è nell’interesse generale come non è nell’interesse delle popolazioni che attualmente vivono nel lametino ignorare che le rocce della Stretta di Catanzaro contengono le ampie e più remote testimonianze della formazione ed evoluzione sia del paesaggio terrestre sia degli insediamenti umani dell’intero Belpaese. Testimonianze che tutti abbiamo il dovere di salvaguardare e lasciare in eredità alle generazioni future. geologo Mario Pileggi del Consiglio nazionale “Amici della Terra

(**) Sul piano nazionale, la contrarietà degli Amici della Terra all’eolico e “mercanti d’aria”, oltre che negli atti della VI Conferenza Nazionale sull’Efficienza Energetica, è espressa dalla Presidente nazionale dell’Associazione Rosa Filippini, anche nei due interventi sotto riportati:

1) “Il business del vento, in Italia, si regge su un’incentivazione, attraverso il meccanismo dei cosiddetti “certificati verdi” che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto favorire tutte le fonti rinnovabili mentre, come vedremo, finisce per incrementare solo le installazioni eoliche a scapito delle altre. Il meccanismo funziona così: in base alla legge Bersani, a partire dal 2002, tutti i produttori e importatori di energia elettrica devono immettere in rete un quantitativo di elettricità da fonte rinnovabile pari al 2 per cento dell’energia prodotta da fonti convenzionali. Essi possono soddisfare l’ob-

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sidiare i crinali delle nostre montagne, sacrificando un futuro promettente di valorizzazione turistica e culturale del territorio. Rosa Filippini Presidente degli Amici della Terra 2) E, nella critica al Governo per i maxincentivi a spese dei consumatori e del Paesaggio. Filippini dichiara:

bligo anche mediante l’acquisto di “certificati verdi”, titoli che attestano un certo quantitativo di energia rinnovabile prodotta. Da parte sua, un produttore di elettricità da fonti rinnovabili, oltre a vendere energia al gestore della rete al prezzo corrente del chilowattora (circa 5,60 cent di euro), vende anche certificati verdi ai produttori di energia elettrica da fonti convenzionali. Il prezzo del certificato verde viene stabilito in base a criteri abbastanza complessi dettati da’’Autorità per l’energia e, solo in teoria, determinati dal mercato. Nel 2002, è stato di circa 8,40 cent di euro/kWh. Sommando il prezzo di vendita dell’energia e quello del certificato verde, il produttore di energia da fonti rinnovabili ricava circa 14,00 cent di euro/kWh (5,60 + 8,40 = 14). Da uno studio accurato del costo di produzione del chilowattora eolico in funzione della ventosità del sito, si ricava che, al di sopra dei 6 metri al secondo di velocità media annua del vento, l’eolico è già competitivo, senza bisogno di incentivi. Con il certificato verde, a queste condizioni, il ricavo è più che raddoppiato e costituisce un business molto attraente. Addirittura, l’incentivo rende conveniente anche un impianto eolico di scarsa ventosità, al di sotto dei 5 metri al secondo, che funziona, non 2.000 o 3.000 ore all’anno, na anche solo 1.000 ore. Ecco perché in Italia si è verificata la corsa alla costruzione di impianti eolici, anche in siti che, in Germania, in Danimarca o in Inghilterra, non verrebbero nemmeno presi in considerazione per la loro scarsa produttività. Gli operatori hanno abbastanza da guadagnare anche in siti non idonei, e possono promettere compensi ai comuni per agevolare il rilascio delle autorizzazioni all’installazione degli impianti. Come se non bastasse, alcune regioni, come la Campania, hanno deciso di concedere ulteriori incentivi in conto capitale, a fondo perduto, utilizzando i fondi strutturali europei. Da notare che, già oggi, sono state depositate al gestore della rete domande di impianti eolici per una potenza complessiva di oltre 14.000 MegaWatt. Ma esiste davvero un potenziale eolico così alto nel nostro paese? Quale può essere il contributo al bilancio energetico nazionale? In altre parole, quale sarebbe il vantaggio effettivo a fronte del sacrificio del nostro paesaggio montano? Considerando tutti i siti con condizioni favorevoli di ventosità (velocità media annua di 6 metri al secondo) e in assenza di vincoli di natura storico paesaggistica, gli Amici della Terra, in uno studio che stanno ultimando per il ministero dell’Ambiente, valutano un potenziale massimo di 8000 MegaWatt (di 600 MegaWatt inferiore alle domande depositate), capace di generare circa 15 TWh all’anno. Questo contributo teorico massimo rappresenterebbe il 5 per cento del fabbisogno nazionale di elettricità (310 TWh nel 2002) e l’1,8 per cento dell’intero bilancio energetico italiano. Tuttavia, il valore di 15 TWh rappresenta anche il limite massimo di accettabilità da parte della rete elettrica per qualsiasi fonte di natura intermittente, dunque non solo per l’energia eolica, ma anche per quella solare. Ora, il senso dell’incentivazione alle fonti rinnovabili non era quello di fare affari esagerati con una tecnologia matura e dal potenziale limitato ma riguardava soprattutto la promozione di fonti energetiche di importanza strategica, capaci di rappresentare, in futuro, un’alternativa reale al consumo di fossili, fonti bisognose di sostegno anche per facilitare la sperimentazione di tecnologie in evoluzione. Il certificato verde, invece, concedendo un incentivo indifferenziato a qualsiasi fonte, senza tener conto dei diverso costi di investimento, finisce per scoraggiare proprio le tecnologie per ora più costose ma strategicamente più significative come, ad esempio, il solare fotovoltaico. Se, a causa degli incentivi così definiti, verranno realizzati gli impianti eolici relativi all’intero potenziale di 8.000 MW, circa 8.000 torri alte un centinaio di metri, sarà precluso ogni spazio di sviluppo del solare e, in pochi anni, il paesaggio montano risulterà irrimediabilmente compromesso. Non per niente, il Piano energetico nazionale del 1988 indicava un potenziale eolico di gran lunga più basso (300-600 MW) perché aveva escluso, in accordo con la legge Galasso, tutti i siti al di sopra dei 1.000 metri. Ora questi vincoli non sono più considerati, e se Don Chisciotte non avrà sostegni adeguati nella sua battaglia apparentemente folle, apertamente avversata anche da molti ambientalisti come quelli di Legambiente, un esercito di frullatori giganti finirà per pre-

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“Ci risiamo: sembra che anche questo governo non riesca a resistere al fascino della lobby eolica e si appresti a dare ancora altri soldi agli impianti di rinnovabili elettriche a spese delle nostre bollette e del paesaggio italiano. E’ il viceministro allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ad annunciare un provvedimento “tampone” per ridefinire il tetto di 5,8 miliardi di euro destinati dal decreto 6 luglio 2012 agli incentivi alle fonti rinnovabili elettriche diverse dal fotovoltaico. Il viceministro dichiara che “abbiamo bisogno di accompagnare le rinnovabili alla grid parity anche perché è importante consolidare le filiere che si stanno formando in Italia”, ma omette di spiegare quanto ci costi un tale “accompagnamento”. Lo ricordiamo noi: - Il tetto di spesa di 5,8 miliardi verrebbe rialzato a favore delle sole fonti rinnovabili elettriche, principalmente pale eoliche che deturpano i crinali degli Appennini e grandi impianti a biomassa o geotermici non cogenerativi, ovvero che producono solo elettricità senza recupero di calore e che, nel caso di quelli a biomasse, sono generalmente alimentati con olio di palma o altra materia prima proveniente dall’estero. - In queste filiere, compreso il fotovoltaico, c’è ben poco di italiano se non l’incentivo fuori misura che è già costato ai cittadini italiani 38 miliardi di euro dal 2009 a oggi e che, per gli stessi impianti già installati, costerà almeno altri 200 miliardi nei prossimi 20 anni. Un esborso, equivalente a circa 13 miliardi all’anno, che pesa come un macigno sulle possibilità di ripresa dalla crisi economica. - L’obiettivo del 17%, assegnato dall’Europa al 2020 per la produzione di energia da fonti rinnovabili, è già quasi raggiunto con 6 anni di anticipo e, in particolare, quello stabilito a livello nazionale per l’energia elettrica (29% del totale dei consumi elettrici) è stato abbondantemente superato arrivando a coprire quest’anno circa il 36% dei consumi elettrici. - Questo salasso pesa sulle bollette elettriche come tassa occulta condannando molte piccole imprese italiane al fallimento e le grandi ad una scarsa competitività sui mercati internazionali. Inoltre le bollette elevate penalizzano gli usi efficienti dell’elettricità come le pompe di calore o le cucine a induzione. - Allo stesso tempo, l’entità degli incentivi agli impianti eolici è tale che ha finito per alimentare il nuovo business della criminalità organizzata in tutto il Mezzogiorno. - Questo drenaggio di risorse avviene a scapito delle fonti rinnovabili termiche e dell’efficienza energetica che con un quinto delle risorse impiegate potrebbero dare gli stessi risultati in termini di riduzione dei gas serra sviluppando, però, filiere davvero italiane. La stessa Strategia energetica nazionale voluta fortemente dal Ministro De Vincenti durante il Governo Letta denuncia l’eccesso di incentivazione alle rinnovabili elettriche a discapito del costo dell’energia al consumatore finale e delle altre filiere di rinnovabili e di efficienza energetica. Nei primi mesi del Governo Renzi, la ministra Guidi si è preoccupata di correggere il tiro con il decreto “spalma incentivi” che, diluendo gli incentivi al fotovoltaico, si proponeva di alleggerire la bolletta elettrica. Gli Amici della Terra hanno sostenuto quel decreto, non tanto per il suo contenuto quanto per il segnale che sembrava dare di un cambiamento di rotta rispetto alle speculazioni provocate dagli eccessi di incentivazione di questi anni. Ora il Governo prepara una nuova giravolta. Ci aspettiamo che almeno l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas esprima una censura di questa arrogante proposta di decreto che sembra costruita nei corridoi del Ministero dello Sviluppo economico su misura delle lobby dell’eolico che, grazie agli incentivi incassati, hanno il tempo e le energie di stazionarvi in permanenza.” DI SEGUITO LINK degli ATTI DELLA VI CONFERENZA EFFECIENZA ENERGETICA DEGLI AMICI DELLA TERRA http://www.amicidellaterra.it/images/sestaefficienza/programma_VI_efficienza.pdf http://www.amicidellaterra.it/images/sestaefficienza/Dossie r_La_ricetta_Italiana_12-2014.pdf

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Pomeriggio piacevole e sereno, all’insegna dell’amicizia e dell’accoglienza, quello trascorso martedì 27 gennaio u.s. presso la Casa del Sacerdote, dove il Convegno di Cultura Maria Cristina di Savoia di Lamezia Terme ha ospitato l’autrice del libro “In un tappeto d’acqua…Storie di ago… filo…amicizia… poesia”, Anna Cardamone, docente di Scienze e Matematica presso la Casa Circondariale di Siano(CZ) e Presidente della associazione culturale Altrove. Partendo dal tema “Quello che sanno fare le mani di una donna”, si è sviluppata la conversazione sull’arte del ricamo, un lavoro manuale, forse non più di moda tra le giovani d’oggi, ma che potrebbe dare,se praticato, oltre alla soddisfazione personale, anche una onesta occupazione. In questa direzione si muovono alcune delle attività del Volontariato Vincenziano lametino, portate avanti con dedizione e competenza dalle amiche Angela Zaccone e Teruccia Angotti, anche loro ospiti graditissime della “Maria Cristina”. Al pubblico in sala sono stati presentati i lavori prodotti nel laboratorio avviato da tempo nei pressi della Chiesa di San Giovanni Calabria, dove ragazze come Viola e Maria hanno potuto imparare ad eseguire ricami pregevoli, sotto la guida di mani esperte. Questi risultati servono per ribadire oltre l’efficacia dell’azione caritativa, l’impegno a favore della dignità della persona e della donna, anche sull’esempio lasciatoci dalla Beata Maria Cristina di Savoia che, nella sua breve ma intensa vita terrena, ha dato grande importanza al lavoro manuale del ricamo e della tessitura da lei stessa praticato, considerandolo una possibilità concreta di lavoro per le famiglie e per la loro realizzazione sociale. Ne è prova il ripristino delle seterie della Real Colonia di San Leucio di Caserta, da Lei fondato e concepito come luogo dove le famiglie avevano casa, lavoro, chiesa e scuola obbligatoria. Vale la pena riportare le parole con cui, nel Libro dei Proverbi, lo scrittore sacro fa l’elogio della donna perfetta che “si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani”; l’immagine biblica vuole ricordarci che compito della donna è di costruire il mondo, vestendo il marito e i figli, avvolgendoli con la sua tenerezza di moglie e di madre nell’unità della famiglia. E non a caso il breve libro di Anna Cardamone ci propone, in un mondo moderno estremamente intriso di tecnologia e di consumismo, la riflessione sulla bellezza del ricamo,lavoro fatto con le mani, con l’ago e il filo. Nella sua accurata presentazione, la Prof. Miriam Guzzi, amica di Anna e socia di Altrove, ha tratteggiato la personalità dell’autrice, descrivendola gioiosa nel lavoro come in famiglia, sensibile ai problemi della vita reale, con un’attenzione particolare ai detenuti, che Anna chiama amabilmente “i miei mostri”, nella certezza che la divulgazione dei loro vissuti o dei loro lavori faccia emergere “il seme della luce di Dio che alberga anche nel peggiore criminale”, come soleva dire il giudice Borsellino. Questa è una delle analogie tra le due associazioni, l’Altrove e la Maria Cristina, che si rinnova nell’amore per l’arte del ricamo… perché il ricamo è frutto di concentrazione, di costanza, di competenza, di creatività e soprattutto di amore per ciò che realizza il nostro io profondo. Le donne sanno scrivere le loro storie anche con l’ago e il filo!! Erano e sono in tante a farlo: nell’austera essenzialità dei conventi come nelle sale lussuose di aristocratici palazzi, nel cantuccio dignitoso di una casa come nei laboratori artigianali; ricamando si riusciva a comunicare la speranza e a guardare al futuro con l’entusiasmo ricamato nel cuore. “In un tappeto d’acqua”, opuscolo originale nel contenuto, agile nell’esposizione, leggiadro nella veste grafica, è ben lontano dall’essere un noioso libretto di istruzioni pronto all’uso per ricamatrici improvvisate; è, invece, il racconto dell’evoluzione dell’arte tutta femminile del Ricamo, che approda al tentativo ben riuscito di ridare dignità e valore ad un’arte

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raffinata. L’opuscolo, arricchito da una riproduzione fotografica dei ricami eseguiti, invoglia piacevolmente a curiosare tra la simbologia e le merlature folcloristiche dei paesi del mondo, richiamandoci garbatamente alle usanze del nostro passato. Leggendo il libro, si scopre, per esempio, che il Ricamo ha avuto fin dalle origini una formidabile utilità: è stato strumento di alfabetizzazione e di diffusione della cultura e dell’arte, contribuendo ad una funzione morale ed educativa tra le ragazze che eseguivano i ricami servendosi degli “imparaticci” o samplers (semplici pezzi di stoffa su cui appuntare figure e punti di ricamo), divenuti nel tempo sempre più preziosi come piccoli capolavori del ricamo artistico, oggetti da collezionare e da custodire nei musei di tutto il mondo. Proseguendo la lettura, si scopre che il ricamo non ha confini: da occidente ad oriente, dove pare sia nato, si intreccia tra le leggende dei paesi nordici, tra le scene di vita popolare o tra gli arredi dei palazzi reali o ancora tra le immagini sacre, riprese dal Vecchio e Nuovo Testamento, diffusissime queste ultime nel ricamo ecclesiastico, fatto di filati preziosi ed accurati. Incuriosisce non poco il fatto che nel mondo islamico sono solitamente mani maschili a ricamare gli orli degli abiti (le mani femminili erano considerate impure), e i ricami delle bordure assumevano quasi un valore apotropaico di difesa del corpo; tutti i lavori poi, presentavano una finitura mal riuscita a significare che la perfezione è solo di Dio. I punti più usati erano, e lo sono tuttora: il punto piatto, il punto pittura, il punto erba, il punto scritto, catenella, il punto riccio; abbinati a filati di seta policromi, metalli preziosi, perle, diamanti, gemme che diventavano le sfumature di veri e propri soggetti artistici, a volte firmati dalle ricamatrici o dalle maestre nelle scuole. Ma il più amato nel mondo e dalla nostra autrice è il punto a croce: “così semplice …così magico, con il quale lei riesce ad eseguire veri e propri quadri, “opere nate dall’uso sapiente e creativo della manualità”, ispirati ad amicizie profonde (come quella del prof. Luciano Amicizia) e abbinati a versi d’autore necessari a carpire le profonde emozioni e gli stati d’animo. Come un pennino intinto nell’inchiostro dei colori più caldi dell’arcobaleno, l’ago di Anna incide alfabeti, numeri e cornici; fissa nella tela paesaggi, figure umane, volti di madonne, angioletti eterei, poesie o preghiere e fiori. Così sono i ricami di Anna Cardamone! Miriam Guzzi, dice di Anna: << Il ricamo è stata una scelta spontanea e a volte voluta. Il buon gusto nella scelta dei soggetti e nella delicatezza dei colori rivela il suo stato d’animo e forse, una ricerca di serenità, che a volte con la vita frenetica di ogni giorno difficilmente si raggiunge. I suoi lavori riflettono un amore profondo per ciò che è armonioso, ogni filo scorre come la vita e tiene uniti ricordi di storie lontane e di legami indissolubili. E proprio i fili utilizzati da Anna, mi hanno fatto fin da subito pensare a quelli invisibili che tengono legate le persone e a quei legami rari che vanno oltre il tempo e le distanze. Fili che raccontano di storie e pensieri, di sguardi che si incrociano…, di mani che si cercano tra l’immenso fluire della vita quotidiana…. Anna con pazienza, amore, cura ha trasformato il filo in un prodigio, diventando linfa di umani interessi, riuscendo a dar vita a creazioni di intensa bellezza.” Ecco il ricamo di un bel pomeriggio insieme!

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Filomena Cervadoro

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il 27 1 2015 nel salone del Circolo di Riunione di Lamezia Terme la FIDAPA.sezionedi Lamezia Terme ha voluto celebrare la Giornata della Memoria che ricorre il 27 gennaio di ogni anno per ricordare le vittime dell' Olocausto.La data è significativa,perchè vuole sottolineare la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz ad opera delle truppe sovietiche dell' armata rossa per l' appunto avvenutail 27 1 1945. Dopo i saluti, la presidente Luciana Parlati,e dopo una breve introduzione sul tema ,ha ceduto la parola al prof Antonio Bagnato,docente di storia e filosofia presso il Liceo scientifico G: Galilei di Lamezia Terme,il quale ha intrattenuto,direi rapito,l' uditorio con una conversazione colloquiale,ricca di notazioni, di eventi, di acute osservazioni, ,spaziando per più di un secolo nel seguire la tragedia della Shoah ,ciò con la partecipe sensibilità di chi conosce nel profondo l' argomento e che ha anche la capacità espressiva e dialettica di renderlo semplice e coinvolgente.La conversazione si è poi arricchita con il video dell' intervista a due protagonisti della Shoah,sopravvissuti allo sterminio, che ha visivamente commosso

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gli astanti.Le parole dei due intervistati hanno conferito una sorta di sacralità alla serata con l' insegnamnto che se ne è potuto trarre,per cui la forza della vita vince ogni brutalità e la libertà della parola fa

rivivere la memoria per sempre.

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La Vita è solo un giorno

Il mare freddo del nord, le onde radio, la voce e il suono.

Scende la pioggia ma che fa, cantava Gianni Morandi, in inglese cantata dai Turtles. Riconosco questa canzone, poi Senza Luce, I Dik dik , Whiter Shade Of Pale dei Procol Harum Vedo questo film in apnea, ringraziando la sorte che mi ha spinto nel Teatro Umberto, dove scopro questa associazione che proietta film in lingua originale con sottotitoli in italiano.

Vibra su tutto l'esaltazione e l'entusiasmo di essere vivi ed eterna è la sconfinata allegria di testarsi capaci di cotante osare. Dall'alto del pennone si ha la vertigine che ti fa tuffare giù, a capofitto, e il conte ed il re, si ritrovano amici. Una sfida a noi stessi, alla piaggeria, al monotono e arido formular editti, una sfida al Regno Unito d'Inghilterra, ai burocrati e alle carte.

I Love Radio Rock (The Boat That Rocked) un film del 2009 scritto e diretto da Richard Curtis, sulle radio pirata inglesi degli anni sessanta, la storia di Radio Caroline. Un atto d’amore verso la musica rock. Le canzoni degli anni sessanta e i gruppi che nascevano allora I Beach Boys, i Kinks e gli Who e Flash dei Rolling Stones Dal 1967 ad oggi non é passato neppure un giorno. Tantissime radio che ritornano, in effetti io sento per la prima volta, perché il diaframma fa passare e non fa passare, alza il diaframma e respira, ti dicono i maestri zen Nella straorzante virata che fa la tua barca puoi sempre contare su zattere e natanti che accorrono in aiuto nella procella-

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ci salverà la musica... i film, la poesia. Questo io scrissi subito, mentre cercavo penna per appuntare, nel buio, i titoli delle canzoni che riconoscevo. Continuai ad andare ad ogni appuntamento, nella felicità di incontrare L’allegria che viene. Titoli che amo, film che mediano, fra individuo e realtà, la lettura di fatti storici ed individuali, una lettura che ci farà liberi. Continuo ad andare con lo stesso entusiasmo di quel pomeriggio, malgrado il freddo sia sempre una costante del teatro. Impianto di riscaldamento off, mi dicono. Nata il 14 novembre 2011…l’associazione ha scelto questo anno bellissime cartoline, disegnate dall’artista Pasquale De Sensi e realizzate dal grafico Andrea Caligiuri. Un omaggio al cinema, all’opera d’arte.

“UNDERGROUND, di Emir Kusturica, Jugoslavia, Germania 1995 (170 min.) Oggi alle 18.00 Teatro Umberto Lamezia Terme a Lamézia, Calabria, Italy Natasa Jovanovic ti ha invitato all'evento di UNA Associazione culturale” Ieri sera eravamo di nuovo lì, a bere il tè caldo, al tepore delle stufe accese, al tepore umano dell’accoglienza che sembra un tratto caratteristico di tutti i soci dell’associazione. Abbiamo visto per 170 minuti “C’era una volta un paese” Un paese che va alla deriva allegramente, sulle note di una musica tzigana. C’era una volta un paese, e c’è ancora, nel cinema, il paese dell’immaginazione. Quando il cinema vive con noi. Scelti da UNA. Ippolita Luzzo

la pres, territoriale INES PUGLIESE.

AVVISO: PRELIEVO GRATUITO DEL CORDONE OMBELICALE.

Una ostetrica ADISCO,della sez di Lamezia Terme, si offre volontaria per la raccolta del sangue del cordone ombelicale presso l'Ospedale di LAMEZIA TERME.La raccolta è iniziata. Si prega le giovani partorienti di prendere contatto con i medici dell ospedale reparto Osterticia e Ginecologia,di Lamezia Terme

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I diciott'anni per noi ragazzi sono il traguardo più atteso nel corso del l'adolescenza, in quanto si crede di raggiungere l'apice della maturità. In realtà i diciott'anni sono solo l'inizio dell'immenso cammino che ci preserva la vita. Possiamo affermare che fino a questa età abbiamo vissuto una vita embrionale, senza mai staccarci dal cordone ombelicale; adesso invece usciamo dalla pancia dei "nostri genitori" per affrontare la vita reale, con entusiasmo e gioia. Aspettiamo e aspettiamo con l'adrenalina a mille di spiccare il volo nel cielo, che è la vita, senza preoccuparci dei predatori che potrebbero deviarlo. I predatori spesso sono le difficoltà, le preoccupazioni, le aspettative e tentiamo di riuscire, a tutti i costi, a superare le difficoltà, ad affrontare le preoccupazioni e a non fallire le aspettative. Questo è l'ostacolo che più terrorizza i diciottenni, che arrivati a quel punto realizzano il vero corso della vita, con tutto ciò che comporta. A questo punto ci vengono in soccorso le solite frasi "anche se è difficile, sarà una bellissima esperienza" allora ci armiamo di coraggio e diventiamo dei valorosi guerrieri che vanno incontro all'imperscrutabilità della vita. Portiamo con noi il piccolo bagaglio, che abbiamo colmato con insegnamenti, esperienze, sconfitte, vittorie e prendiamo il treno che ci porta nella vita reale. Arrivati tutto ci sembrerà un giungla, nella quale dovremmo lottare contro i nostri simili in maniera pacifica e rispettosa e tenteremo di conquistare il mondo con le nostre capacità. Dopo aver

in quanto solo questo ci può rendere felici, mentre la maturità non potrà eguagliare tali piacere. Noi ragazzi potremmo essere o non essere d'accordo con la filosofia di Leopardi, ma per il momento continuiamo a vivere l'attesa e ci auguriamo che l'enigmatico futuro possa non deludere le nostre speranze e i nostri sogni.

analizzato questo aspetto che caratterizza la vita di tutti i giovani, mi ritorna in mente il pensiero che avvolge la poesia: "Il sabato del villaggio" di Giacomo Leopardi. In questa poesia la maggior parte dei giovani potrebbero rispecchiarsi nella figura della donzelletta, che aspetta con ansia il giungere della domenica, ma una volta passata, la felicità svanisce perché si ha davanti nuovamente la settimana, la quale proietta le ombre della fatica e della maturità. Dunque per Leopardi la bellezza sta per lo più nell'attesa che viene accostata al sabato. Così nella quarta ed ultima strofa, Leopardi rivolge un invito a tutti i giovani, nel godere i piacere dell'età e dell'attesa,

Clotilde Gaetano

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Ultimamente, sembra davvero impossibile poter parlare di poesia. Eppure vi sono componimenti che spuntano come primule e violette, profumatissimi, nel prato verde della letteratura. Ogni volta che leggo di poesia, adoro assaporare le atmosfere che partono dai versi. La poesia è diventata, ormai, un mondo parallelo, in cui non tutti sanno rifugiarsi. Un mondo in cui tutti vorremmo vivere, ma finiamo col considerarlo soltanto un riparo dallo stress eccessivo del vivere... Gocce di rugiada, di Franca Di Leone Mercuri è un piccolo, ma ricco volume. Ricco di emozioni, di suoni e aure nascoste, a cui ognuno anela. GOCCE DI RUGIADA Sull’erba nuova,\ che al lieve alito di vento\ ondeggia dolcemente,\ gocce di rugiada\ brillano tremolanti al sole\ più preziose\ del più prezioso diamante,\ lacrime di amore\ vivificanti\ l’erba assetata.\ Il sole poi,\ in una fantasia\ di luci d’oro,\ riscalda il mondo\ e le brillanti\ gocce di rugiada\ evaporano nel cielo profondo. Comincia così, con la poesia omonima, il libro in questione. Quasi un diario in versi, tutto ciò che la poetessa descrive è permeato da un velo di malinconia, che non esclude mai, tuttavia, un sorriso nascosto, che occhieggia discreto. Così come il sorriso che lei regala, se t’incontra, se ti parla, se ti offre un po’ della sua

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esperienza, mai come sentenza, ma come condivisione, contro ogni forma di indifferenza o solitudine. La natura, i sentimenti delicati, la forza delle passioni, l’amore come verità e scambio, la profondità dei sogni, quelli infranti e quelli realizzati, sono temi cari alla Di Leone Mercuri. L’amore vissuto come fluido che permea il mondo, il cuore e ogni essere vivente. L’amore che non trascorre, ma pervade l’animo, a volte senza far rumore, altre irrompndo, travolgendo ogni argine. Mai come in questi brevi versi l’amore rappresenta la vita. Leggerli è come un bagno nel nostro stesso fluido vitale... La punteggiatura è rada. La versificazione sciolta e colloquiale, quasi pudica nel verso: colta, ma mai sentenziosa, mai didascalica. I titoli delle poesie sono impalpabili, come le parole usate. Scelte naturalmente, senza la fatica e la pesantezza del labor limae, in modo che i lettori possano identificarsi, come in un discorso sulla vita quotidiana: ed è proprio questo il pregio dei suoi versi. La loro quotidianità, mai banale, intensamente incisiva, esalta il nostro stesso vivere. Franca Di Leone donna e poesia come simbolo. Mai quota rosa di rappresentanza, ma raro punto di riferimento in quest’oggi che va sfumando troppo in toni che di rosa non hanno nulla. Lei ci offre toni colorati del tramonto e cieli azzurri nel mattino. Bearsi in questo fluido, ora fresco, ora ardente di vita ed è come immergersi nella vita stessa, finalmente consapevoli proprio di vivere...

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Maria Palazzo

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Dal successo planetario della serie televisiva Violetta prodotta da Disney Channel, arriverà anche in Calabria il tour mondiale di Lodovica Comello in partenza il prossimo 1 febbraio da Roma; poi tappe a Milano, Torino, Padova, Bari, Napoli e, domenica 1 marzo, la prima calabrese al Teatro Politeama di Catanzaro. In risalita dalla Sicilia, dopo gli spettacoli a Palermo e Catania, la seconda data in Calabria sarà al Teatro Garden di Rende venerdì 6 marzo. Sia a Catanzaro sia a Rende, gli spettacoli avranno inizio alle ore 17.00 e faranno parte di “Fatti di Musica Radio Juke Box”, la 29° edizione della rassegna del live d’autore diretta e organizzata da Ruggero Pegna che, non poche volte in questi anni, ha voluto presentare anche alcuni degli spettacoli più amati e richiesti dai giovanissimi. L’attesa tra le piccole fan è enorme, come dimostra il folgorante avvio

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della prevendita dei biglietti seguito ad un autentico passaparola attraverso il web. All’indomani del prevedibile successo mondiale dell’album di debutto “Universo”, Lodovica Comello è pronta per questo imponente tour che, dopo l’Italia, toccherà i tanti Paesi dove la giovane cantante, ballerina e attrice è un’autentica star tra le teenager, con un concerto-spettacolo totalmente dal vivo. Uno show imperdibile, in cui una grande band e uno straordinario corpo di ballo, in una cornice scenografica da megashow, accompagneranno l’inconfondibile voce e l’energia travolgente di Lodovica Comello. Tra i suoi brani più noti: “Otro Dia mas”, “I Only Want To be With You”, “Sòlo Musica” e, appunto, “Universo”, che ha dato il titolo all’intero album e ad un video che vanta oltre tremilioni di visualizzazioni. Il prossimo 3 febbraio, in con-

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temporanea con la partenza del tour, sarà anche pubblicato il nuovo “Mariposa”. Per la Comello, dopo il successo di Violetta, si preannuncia un nuovo strepitoso trionfo anche dal vivo, accompagnato dal battage promozionale internazionale di Disney Channel.

Per gli spettacoli di domenica 1 marzo alle ore 17.00 al Teatro Politeama di Catanzaro e del 6 marzo alle ore 17.00 al Teatro Garden di Rende i biglietti hanno i seguenti prezzi: € 39 per la platea e da € 34, € 29, € 24 per i palchi e la galleria. Per Informazioni e prenotazioni: tel. 0968441888. Per prevendite e acquisto online su Ticketone sono disponibili i siti www.ruggeropegna.it e www.ticketone.it. (Prevendite abituali - Catanzaro: Bar Mignon tel. 0961741000, Cosenza: Inprimafila tel 0984795699, Lamezia T.: Uffici Pegna tel. 0968441888)

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