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18 marzo 2011
L’ALTRA CIA CHE MANEGGIA INTRIGHI E SEGRETI di FEDERICO RAMPINI
LE INTERVISTE
LA SIGNORA DELLA BIENNALE di MARCO CICALA
ARBASINO: LA MIA AMERICA
Settimanale, Supplemento al numero odierno - Da vendersi esclusivamente con il quotidiano “la Repubblica” – Sped. Abbon. Post. - articolo 1 Legge 46/04 del 27/02/2004 - Roma
di ANTONIO GNOLI
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TIZIANO TERZANI: IL FILM
VITA E MORTE DI UN GIORNALISTA INCONTRO CON BRUNO GANZ ED ELIO GERMANO. IL RACCONTO DEL FIGLIO, FOLCO TERZANI di SIMONE PORROVECCHIO, ELENA MARTELLI, FEDERICA LAMBERTI ZANARDI e RAIMONDO BULTRINI
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COSÌ SONO DIVENTATO
TERZANI SCOPRENDO COME SI FA BRUNO GANZ ED ELIO GERMANO IN LA FINE È IL MIO INIZIO, DAL 1° APRILE NEI CINEMA ITALIANI. IL FILM È UNA PRODUZIONE TEDESCA (IN GERMANIA È USCITO NELLE SALE IN AUTUNNO) E PORTA SULLO SCHERMO L’ULTIMO LIBRO DI TERZANI, SCRITTO INSIEME AL FIGLIO FOLCO
A INGANNARE LA MORTE
TRE MESI PER ENTRARE NEL PERSONAGGIO. IL RAPPORTO CON IL FIGLIO, DAL QUALE HA POTUTO CONOSCERE GLI ULTIMI GIORNI DEL GRANDE CRONISTA. ARRIVA AL CINEMA IL FILM TEDESCO TRATTO DA LA FINE È IL MIO INIZIO. INCONTRO A BERLINO CON IL PROTAGONISTA BRUNO GANZ di SIMONE PORROVECCHIO
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ANGELA TERZANI STAUDE
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ERLINO. Per un regista, e un attore, una storia come quella raccontata nel bellissimo La fine è il mio inizio (dal 1° aprile nei cinema italiani) del tedesco Jo Baier è un po’ più di una normale sfida. Poco prima della morte, un uomo decide di raccontare la sua vita al figlio. La vita è quella di Tiziano Terzani, il celebre reporter del settimanale tedesco Der Spiegel (oltre che di Repubblica, del Giorno, del Corriere) che poco prima di morire, nel 2004, ha scritto insieme al figlio Folco il racconto-intervista dallo stesso titolo del film. La sfida è vinta perché la storia sullo schermo viene raccontata con massima parsimonia di flashback. L’attore svizzero Bruno Ganz, alla soglia dei settant’anni (li compie il prossimo 22 marzo), non poteva restituirci ruolo più appropriato (perché credibile) e indimenticabile di questo. Ganz ricrea, intatta, la bellezza dello sguardo di Terzani, le sue passioni, l’incredibile forza di una vita spesa per più di trent’anni in Asia, a raccontare guerre e crisi, cioè la Storia. Hitler. È stato difficilissimo. Anche nelMa regala anche la dimensione intima la vita di Terzani ci sono cose che non dell’ultima avventura di Terzani, quella mi appartengono, ma che ho rappredi una morte annunciata. sentato con convinzione». Ganz di nuovo al cinema. Negli ulti- Per esempio? mi anni la si vede molto spesso sul «Gli abitanti dei piccoli paesi italiani grande schermo e mai a teatro. Non si sono in genere persone genuinamente trova più a suo agio sul palcoscenico? squisite, simpatiche e accoglienti. Mi «No, non mi sento più a hanno raccontato di quando mio agio. Per fortuna non ne Terzani voleva portare in Non mi sono ho nemmeno bisogno. Il cipaese certi usi e costumi inidentificato nema mi permette di sfoga- con lui. Alcune diani. Io questo non lo avrei re più che mai ciò che mi delle sue fatto. I suoi racconti sulle cocpreme davvero». cinelle, al contrario, mi hanno scelte io Ha quasi settant’anni e non le avrei toccato il cuore. La sua preditanti film alle spalle. Cosa mai fatte sposizione per la natura era rende il cinema ancora bellissima e involontariamenuna sfida emozionante? te poetica. Era uno con tutto, «Al cinema vale ancora il che mi pare la premessa perprincipio dell’identificazione. Per i re- fetta per affrontare il tema della morte». gisti di teatro di oggi l’identificazione è Lei ha paura della morte? come l’acqua santa per il diavolo. Dun«A settant’anni anni è ovvio che ci que non ci lavoro più bene. Tendo da pensi. Però magari, chissà, forse la sempre a identificarmi con i miei per- paura si volatilizzerà, un giorno, quansonaggi e riesco a dire cose, alle quali do sarà il momento». nella vita reale non crederei mai, con il Che ruolo ha avuto il figlio di Terzani, massimo della credibilità. Prenda il Folco, durante le riprese? «All’inizio ero un po’ spaventato dalla film La Caduta, sugli ultimi giorni di
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detto: non starai mica preparandoti?». E la risposta? «Si anticipa la morte parlandoci, sfiorandola con gli strumenti del mestiere. Ma sono riuscito a prendere le distanze da certi pensieri. Chi può sapere quando e come si annuncerà? Pensarci è una vera idiozia». E ci ha pensato due volte prima di interpretare La fine è il mio inizio? «Non sotto questo profilo, perché questo non è un film sulla morte». È una storia al servizio della vita? «Esattamente. Nulla si conclude. È una storia sul Vietnam e la Cambogia, sulla Cina e le guerre che Terzani ha vissuto e testimoniato». Il film evita il ricorso ai flashback. Forse perché girarli sui luoghi di Terzani sarebbe stato per la produzione economicamente insostenibile? «È vero. I critici in genere descrivono questo genere di film con la parola inglese talking heads, cinema a mezzobusto, dove, secondo loro, si parla troppo. Mentre io, che vengo dal teatro, e interpretata da Senta Berger. Tiziano che posso sostenere un monologo anTerzani, al contrario, ne fa una pièce che di un’ora, dico: non ho paura di parlare al cinema. La cosa può funzioche decide di consegnare al figlio». nare benissimo e il pubblico, anzi, Lei cosa farebbe? Ne parlerebbe? «Credo che potrei parlarne con un ascolta volentieri». figlio e con le persone più amate. Ma Quando la fine di un film è vissuta in solo se lo volessero anche loro. Se ne- un letto, interpretando la morte avcessario, prenderei anche decisioni ir- venuta, è routine per un attore? «No, soprattutto in querevocabili. Per esempio, se sto film la fine l’ho sentita un medico mi dicesse che Negli ultimi forte, sotto la pelle». devo aspettarmi lunghi meanni ho Tra pochi giorni compirà i si inchiodato a un letto tra i interpretato fatidici settanta. dolori, non so se riuscirei a tre volte «Suvvia, oggi ci arriviasopportarlo». un malato di Molti trovano una soluzio- cancro. E sono mo in molti, non è nulla di eccezionale. Diciamo che ne nella rimozione tout sempre morto court della morte. Da attoora trovo le cose più alla mia re, della morte, ha un’idea portata». diversa, forse più plastica? Questa la deve spiegare. «Ho iniziato molto presto a mettere «Ma sì, in tedesco diciamo che a quein scena la morte. Quando si è giovani st’età si diventa uomini (e donne) di cosi ha maggiore interesse per l’effetto noscenza». che fa. L’hai vista mille volte al cinema, Un’allegoria dell’esperienza? vuoi dar corpo a variazioni più raffina«Perché no. Lo sguardo è più acuto, te sul tema. Ma, a quell’età, ti limiti al anche se si portano gli occhiali spessi. piano del lavoro. Negli ultimi film che Perché non servono occhiali se è lo ho fatto riconosco, invece, di avere sguardo della mente che ti guida». pensato alla morte sul serio. E mi sono SIMONE PORROVECCHIO
A SINISTRA, TIZIANO TERZANI SULL’HIMALAYA. SOTTO, BRUNO GANZ SUL SET DI LA FINE È IL MIO INIZIO DI JO BAIER. IL FILM È STATO GIRATO NELLA CASA DI ORSIGNA (PISTOIA) DEI TERZANI, DOVE IL GIORNALISTA È MORTO IL 28 LUGLIO DEL 2004. LE FOTO DI TERZANI SONO TRATTE DA TIZIANO TERZANI. UN MONDO CHE NON ESISTE PIÙ (LONGANESI)
sua presenza. Poi il rapporto è cambiato. Perché ho capito che potevo fargli certe domande e ottenere risposte che non avrei trovato nella sceneggiatura sui momenti più intimi, gli ultimi minuti di Terzani. Folco mi ha fatto sentire anche un nastro con le sue ultime parole, dette dieci minuti prima di morire». Come si è preparato al ruolo di un uomo speciale come Tiziano Terzani? «Con semplicità. Cercando di ammorbidire il testo della sceneggiatura, di entrarci dentro, di farmi crescere la barba. Imparare questa parte ha richiesto, cosa per me inusuale, molto tempo. Mi sono serviti due, tre mesi, lavorando sette ore al giorno». Un impegno duro. «Alcuni affrontano questo lavoro con un’impostazione scolastica, come una poesia imparata a memoria. Il che può anche andare. Ma questo film ha naturalmente richiesto anche a me una disciplina fuori dell’ordinario». Oltre a un testo c’è una persona da incarnare. È questo che vuole dire? «Ci sono state scelte difficili da fare: nonostante la barba e la giacca IL VENERDI DI REPUBBLICA
bianca facciano il loro effetto, sapevo che il risultato alla fine non sarebbe stato come nella Caduta, dove la mia somiglianza con il Führer ha impressionato anche me. Qui sapevo che sullo schermo sarebbe venuto fuori un mix: di Terzani e di me». Ci sono attori alla sua età che fanno fatica a tenere a mente le battute. Oppure lavorano con il testo registrato in cuffia. Quando arriva per un attore il momento di ritirarsi? «Ognuno ha una risposta diversa. Ognuno, e non solo gli attori, devono riconoscere, e conoscere, i propri limiti e confini. Per me, trascinarmi come uno zoppo per una giornata di lavoro di dieci ore solo per odorare ancora una volta il profumo del cinema, sarebbe impensabile. Spero di lasciare prima». Negli ultimi tempi ha interpretato tre volte un malato di cancro. «E ogni volta sono morto. Assurdo, non trova? Benché si tratti di personaggi diversissimi. Nel film Satte Farben vor Schwarz (Colori prima del buio), l’uomo che interpreto non vuole parlare della malattia neanche con la moglie, 18 MARZO 2011
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L’ATTORE INTERPRETA NEL FILM IL FIGLIO DI TIZIANO TERZANI
NELLA FOTO GRANDE, ELIO GERMANO (A SINISTRA) CON FOLCO TERZANI. SOTTO, FOLCO CON IL PADRE, TIZIANO
LA SFIDA DI GERMANO: A TU PER TU CON LA MORTE lio Germano ha 31 anni ed è già un grande attore. L’unico italiano dopo Mastroianni ad aver meritato a Cannes la Palma d’oro, per la sua interpretazione di un uomo distrutto dalla morte della moglie in La nostra vita di Daniele Luchetti. La fine è il mio inizio è stata una prova non solo recitativa, ma anche umana: nel film interpreta Folco Terzani in un momento delicatissimo, mentre accompagna dolcemente alla fine un padre importante e carismatico. È stato difficile interpretare un personaggio come Folco? «Folco è stata la prima persona che mi ha contattato per fare questo film. Sono anche stato a casa sua a lungo per farmi raccontare chi era suo padre, per vedere i luoghi che amavano, per conoscerlo bene. Avendo scritto la sceneggiatura, era sempre presente sul set durante le riprese. Insomma, ero diventato una sorta di sua proiezione».
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LA VERSIONE DI FOLCO: IO E LUI, ALLA FINE UGUALI
UN GIOVANE E GENIALE STUDENTE DI CAMBRIDGE E UN PADRE CELEBRE E INGOMBRANTE CHE HA FATICATO A SCALARE LA VITA. POI L’INDIA, MADRE TERESA, LE INFINITE DISCUSSIONI E I DIVERBI. IL FIGLIO RACCONTA di ELENA MARTELLI
con gli asceti nella giungla e per vivere non mi serviva granché». Mi racconti di Cambridge: perché ha detto no a tutte le multinazionali che venivano a cercarla? «A undici anni ero campione di scacchi, leggevo Platone e Freud. Andare a Cambridge è sempre stata una mia aspi-
LA LOCANDINA DELLA MOSTRA DEDICATA ALLE FOTOGRAFIE SCATTATE IN ASIA DA TIZIANO TERZANI. È ORGANIZZATA DA FANDANGO. A PALAZZO INCONTRO, A ROMA, DAL 23 MARZO AL 29 MAGGIO
razione. Ho sempre letto e scritto tanto. Ma poi là ero infelice. Tutta quella conoscenza era arida». E suo padre che diceva? «Più o meno era d’accordo. Se invece di accettare un lavoro all’Onu volevo scrivere una commedia, andava bene». Invece si è ritrovato in India. «La prima volta ci andai con i miei genitori, in vacanza. Avevo nove anni e fu traumatico: lebbrosi, sporcizia ovunque. Lì ho visto per la prima volta i sadhu. Non avevano nulla, ma mi sembravano dei re. Quando, dopo Cambridge, ero in crisi, sono tornato là a cercarli». E si è imbattuto in Madre Teresa. «Sono passato da là con l’idea di starci due settimane e sono rimasto folgorato. Qui non ci sono libri: si vive, ho pensato. Ci sono rimasto quasi un anno. Mi IL VENERDI DI REPUBBLICA
sono anche sposato. Ed è nato il mio primo figlio, Novalis. Che oggi ha undici anni. Vive a New York, fa lo skater». Cosa faceva là? «Accompagnavo a morire. Mio padre mi voleva pratico? Imboccavo, pulivo la cacca. Un film dell’orrore. Uomini con l’orchite. Bambini con buchi in testa coi vermi. Deve essere stato come per mio padre andare in guerra in Vietnam. Per me non era la guerra: era la povertà. Ma non era la teoria di Cambridge, era la vita. Nasce una fede. Non inquadrata, ma un senso di presenza che io vedo nella natura, la sola religione in cui credo». (Su Madre Teresa ha girato un documentario che, amante dell’anonimato, non ha voluto firmare, ndr). Dopo? «Sono andato a Los Angeles». Dove prova a fare il regista grazie al «clan» degli amici di Cambridge, a cominciare da Christopher Nolan. Anche lì però non funziona. «Comunicare mi piace, ma a modo mio. Il mio babbo si preoccupava. Morto lui, ho fatto tutto». La sua fine è stato il suo inizio? «Quel libro lo sento mio. La sua morte mi ha fatto cambiare strada. Non puoi vivere di sola fede. Io che non volevo essere quel che era lui, poi lo sono diventato. Ad un certo punto devi uscire dall’ombra e combattere, come diceva mio padre. E lo faccio ora, con le cose del mio babbo. Finito il film, però, basta. Salvo il nuovo senso 18 MARZO 2011
M.I. ANTONELLI/AGF
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IRENZE. Chiacchierando con Folco Terzani nel casale di famiglia appena fuori Firenze – un posto che è come ti aspetti, una sintesi gioiosa tra Occidente e Oriente: fuori, le mura antiche della Toscana, dove i Terzani sono nati; dentro, la Cina declinata in oggetti, mobili, tappeti, quadri e libri – si fa strada una certezza. Questo bel ragazzo di 41 anni, nato a New York, ha assorbito la lezione del padre e anzi è andato oltre, incamminandosi, pacificato, lungo la via della ricerca ascetica. Roba da far preoccupare anche a uno come Terzani padre, esuberante, sfrenato, moderno eroe dei due mondi qual era. Il film mette, infatti, in luce il Tiziano padre, che si misura nel rapporto intimo con il figlio. E si spaventa tanto che, nella scena di un litigio in macchina (realmente accaduto), sbotta e chiede al figlio di concludere almeno qualcuno dei progetti intrapresi e mollati lì sulla via. Ecco perché siamo qui ad ascoltare la versione di Folco, il viaggiatore che ha fatto dell’India la sua patria spirituale, come per il padre fu la Cina, dopo essersi laureato in letteratura e filosofia a Cambridge e aver rifiutato tutte le allettanti proposte di lavoro del caso. È appena tornato dall’India e a casa con lui c’è un amico sadhu, un santone, un asceta, con barba bianca lunga e un minimo di senso pratico con cui cucina un risotto per tutta la famiglia, riunita a tavola con lui: Angela, moglie di Tiziano, e Geia, seconda moglie di Folco, metà fiorentina e metà indonesiana, con in braccio Cosimo, il bebé di nove mesi. Nella scena in macchina si sfidano due visioni della vita. «Esatto: quella di mio padre, che, nato povero, senza niente, da una famiglia che lui stesso diceva “sbagliata”, aveva cercato di riscattarsi. E la mia, che ho avuto tutto quel che volevo. E non ho mai cercato di “fare”, ma di “essere”. Tutte le nostre discussioni erano così. Lui che mi diceva “devi fare qualcosa di concreto” e io che gli rispondevo, come nel film, “non voglio fare nulla se non stare accanto a un fiume e ascoltare la pioggia che cade”. In quel periodo avevo da poco divorziato dalla mia prima moglie, vivevo molto in India
Stressante? «No, anzi. Gli chiedevo continuamente: ma qui cosa pensavi, cosa stavi leggendo? In fondo è il sogno di tutti noi attori fare domande al personaggio per entrare meglio nella sua psicologia. Ma è stato soprattutto il luogo dove abbiamo girato, la casa di Orsigna, a farmi entrare nel rapporto fra Folco e suo padre. Per due mesi siamo stati come in una sorta di ritiro spirituale. È un posto magico». Aveva letto Terzani prima di girare questo film? «Avevo letto i primi libri, che parlavano dei suoi viaggi. Conoscevo il Terzani pensatore, non il lato più spirituale». Lei che rapporto ha con la spiritualità? «Fa parte della vita di ogni essere umano. In Occidente oggi abbiamo molta paura ad affrontare temi come la malattia, la morte, il senso della vita. La Chiesa stessa si occupa di questioni più terrene – se è giusto o no usare il preservativo o abortire – invece che dare risposte su come bisogna prepararsi alla morte. L’essere umano progredirà quando riuscirà a pensare alla morte e a superarla». Lei fa yoga, meditazione o altre pratiche spirituali? «No, assolutamente. Ma in fondo recitare è un modo per coltivare il proprio spirito: mettersi nei panni degli altri aiuta a uscire da se stessi. E questo è un grande esercizio spirituale». FEDERICA LAMBERTI ZANARDI
ELIO GERMANO RICEVE A CANNES 2010 LA PALMA D’ORO COME MIGLIOR ATTORE EX EQUO CON JAVIER BARDEM
di responsabilità che ho conquistato». Si è liberato dalla condizione di figlio? «Mi piace di più imparare che insegnare. Per questo vado in India. Io sento il bisogno di andare in fondo a questa strada, e ci torno, non in albergo ma senza niente addosso, in mezzo alla natura». È stato più estremo di suo padre. «Lui mi diceva “sei andato oltre e, ciò che è peggio, troppo presto nella vita: ora cosa farai?”. Per questo era preoccupato.
La parte del lavoro, dell’impegno, non puoi saltarla. Ma quando lui invitava a cena i santoni, io con loro già ci vivevo. Da Madre Teresa lui c’era andato da giornalista, io vivendoci. Solo alla fine, dopo l’Himalaya, ha capito quel che io vivevo. Ed è riuscito a trasformarsi nel momento stesso in cui moriva. Volevo vedere che faccia avrebbe avuto da morto». E che faccia aveva? «Trionfo, distacco, serenità». 37
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TIZIANO TERZANI A KASHGAR, NELLO XINJIANG, IN CINA (1983). QUESTA FOTO, COME QUELLA NELLA PAGINA SEGUENTE, È TRATTA DA TIZIANO TERZANI. UN MONDO CHE NON ESISTE PIÙ , LONGANESI, PP. 302, EURO 22 (SOTTO, LA COPERTINA)
IL GIORNO CHE AI CONFINI DELLA GUERRA CONOBBI
IL MITO
A PESHAWAR, DURANTE GLI ATTACCHI AMERICANI, ARRIVA UN UOMO VESTITO DI BIANCO: VIENE DAL SUO RIFUGIO SULLE MONTAGNE DELL’HIMALAYA. VUOLE SEGUIRE IL SUO ULTIMO CONFLITTO. E NE DISCUTE CON UN COLLEGA... di RAIMONDO BULTRINI
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ANGKOK. Mi ero trasferito hindu. Indossava così anche un tradiin Asia da meno di due anni zionale cappello tagiko e un panciotto e Tiziano Terzani ne aveva elegantemente somigliante a quello dei passati qui almeno 35. Da pashtun in guerra. tempo si era messo a ripoSolo Beniamino Natale, amico di faso, tranne qualche racconto miglia da anni, aveva saputo del suo arda tribù sperdute o brevi analisi su rivo, e me lo aveva confidato come un qualche Paese del continente che si era segreto da non divulgare tra le frotte di scelto. Mai, in quella fine ottobre del giornalisti e fotografi italiani che assie2001, avrei immaginato d’incontrarlo un pavano il Pearl Continental, trasformato giorno d’improvviso, nel mezzo di una in un quartiere generale delle principali guerra, cronista di un’altra razza tra tv e testate giornalistiche del mondo. cronisti affannati nel frustrante «avam- Sarebbe stato lui a farsi vivo, mi disse, posto» di corrispondenza di Peshawar, ma a suo modo e tempo. ai margini estremi del conflitto anti-taNon ebbi difficoltà a tenermi il segrelebano in Afghanistan. to, anche perché egoisticamente pensai Per venire aveva lasciato in quattro e che così avrei conosciuto da vicino l’uoquattr’otto il suo ritiro spirituale di Al- mo che aveva contribuito non poco a mora sull’Himalaya, e al primo impatto creare il moderno immaginario dell’Asia la sua fu come la visione di politica e religiosa in Italia e un uomo che arrivasse da all’estero. A Peshawar, e duNessuno un altro pianeta, anche per rante i viaggi in India e Sudei giornalisti me che viaggiavo per l’Asia che avevo dest, avevo incontrato alcuni già dagli anni 80. Sebbene di conosciuto era tra i più celebri reporter vetefattura più elegante (anche tanto lontano rani che, con lui, avevano selui come tanti altri celebri dalla routine guito i conflitti del Vietnam e inviati aveva il suo sarto del mestiere della Cambogia, o vissuto in personale a Delhi, il mitico Cina, a Singapore, a Hong Jay Singh), i suoi abiti bianKong, a Tokyo, in Thailandia. chi erano quelli di un sadhu, Tra tutti, il suo amico Jeanun eremita indiano, così come l’accon- Claude Pomonti, di Le Monde, che assieciatura con la ciocca rialzata e il taglio me a Bernardo Valli era il terzo moschetdella lunga barba. Un sadhu che non tiere di un team quasi fisso, se non sul voleva offendere però la stragrande co- campo almeno davanti a un bicchiere. munità musulmana locale ostentando Ognuno mi ricordava un aneddoto dei nel vestiario simpatie per la religione loro rapporti, e ne emergeva il giovanile 38
furore professionale di Tiziano, «un giornalista che sapeva annusare buone storie» come lo descrisse Pomonti. Quando prendemmo a camminare e chiacchierare lungo le strade dei bazar e sotto i pochi alberi sopravvissuti del centro, mi resi conto che nessuno degli altri suoi colleghi sembrava ancora essersi staccato quanto lui, e in modo apparentemente così indolore, dalla routine quotidiana dell’andare, cercare e scrivere. Eppure Pomonti mi aveva raccontato di quando anche al grande Terzani pesavano dolorosamente le gabbie del giornalismo di corrispondenza, con le chiusure dei giornali, la fretta di mettere ordine in tempo le idee per la prima edizione da mandare in stampa. A Peshawar il suo abbigliamento e la imponente presenza destavano la curiosità dei vecchi sui sonnolenti carri di buoi, e il suo amico Beniamino si divertiva a chiamarlo Sua Santità, per IL VENERDI DI REPUBBLICA
l’aspetto da guru che aveva assunto a forza di starsene sulle montagne, incurante di internet e dei capi redattori. Tutti gli offrivamo le nostre informazioni o deduzioni, sperando le trovasse interessanti. Cercavamo di capire quali, secondo lui, avessero un valore e quali sarebbero crollate col passare delle ore. A volte sembrava spaesato ascoltando quell’accozzaglia di racconti racimolati nei campi dove giungevano i profughi di una guerra lontana. Cercava forse il paragone con le sue altre guerre, e ripeteva di tanto in tanto: «Ma non ci sono gli aeroplani?». Terzani prese alloggio in una linda guest house vicino alla mia stanza rumorosa sul Chowk Yadgar, dove si chiudeva a lungo per lavorare – scoprii dopo – al suo libro Lettere contro la guerra. Lo invitammo per un pranzo di benvenuto al Khan Club, un vecchio albergo ristorante col cibo pashtun che aveva mantenu18 MARZO 2011
to un dimesso decoro. Mangiammo ke- suo stare con l’America pensando a bab di carne a volontà, che Terzani, ve- tutti gli errori e le colpe passate. Gli getariano, rifiutava, e riso biryani fatti, spiegammo che invece noi, nonostante specialmente per lui, senza carne. tutto, avevamo paura di una resistenza Riposato dal viaggio, spiegò che, no- di lunga durata, e lo invitammo a veninostante da giornalista fosse in pensio- re lungo la frontiera sigillata, sul Kyber ne ormai da un pezzo, non Pass, dove andavamo a ceraveva saputo resistere al ricare in cielo e in terra tracce Non aveva chiamo della Storia. «Tutte del conflitto. Ma lui aveva i saputo le sere dopo le mie medita- resistere suoi percorsi non necessazioni e passeggiate, lassù in alla curiosità. riamente guidati. Un giorno montagna, mi ritrovavo ad Mi disse: scoprimmo della sua vecandare nel baretto del villag- ogni sera chia amicizia con un vendigio vicino per vedere la Bbc» cercavo la Bbc tore di tappeti del bazar viraccontava ridendo «dentro cino alla torre di un minareuna televisione minuscola e to resa celebre dal mercenabizzosa, sempre accesa. Allorio italiano dell’800 Paolo ra mi sono detto: oh bischero, se non re- Bartolomeo Avitabile, che fu per anni sisti in pace, tanto vale che vai a vedere governatore di Peshawar. Da quella con i tuoi occhi la tua ultima guerra. E torre Avitabile faceva buttare giù ogni allora eccomi qui». mattina qualche prigioniero per amAnche se non amava gli eccessi dei monire eventuali facinorosi, cosicché Talebani, ci diceva, non poteva in cuor Abu Tabela, come lo chiamava39
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VITE STRAORDINARIE TERZANI, CON UN BONZO CHE GLI FA DEGLI SCONGIURI CONTRO LA MALASORTE, DURANTE IL VIAGGIO RACCONTATO IN UN INDOVINO MI DISSE (1993)
no, è usato ancora come spauracchio per i bambini che fanno i capricci. In quei giorni Terzani ci scrisse un articolo quasi a dire: «Vedete, nemmeno noi possiamo dare lezioni a nessuno». Non parlò mai della sua malattia, di cui avrei saputo solo molto più tardi. Si discuteva, del resto, ben poco delle cose personali, tante ne succedevano tutto attorno. Talvolta mi chiedeva informazioni sui suoi conoscenti in Thailandia, dove aveva vissuto molti anni lasciando dietro di sé una scia di aneddoti, soprattutto sulle sue feste nella vecchia Casa della tartaruga di Bangkok. Ma presto si tornava a parlare di Afghanistan, e del fatto che, passato un mese dall’inizio dei bombardamenti, le storie da Peshawar cominciavano a inaridirsi, anche per la stanchezza e l’oppressione ai polmoni della polvere che sembrava essere rimasta sospesa nell’aria dai tempi delle carovane giunte da Samarcanda sulla Via della Seta. Una domenica telefonò un caporedattore, proprio mentre pranzavamo meno tutte le proprie aspirazioni. parlando dei limiti del raccontare storie Infatti non era lì a cercare notizie, col fiato sul collo delle redazioni («pro- anche se appena poteva guardava semblema che grazie a Dio non ho da parec- pre le news online per vedere che cosa chi anni» diceva Terzani). Poiché la con- avevano scritto gli altri. Voleva conferversazione avvenne davanti ai suoi oc- me – lasciava capire – alla sua premonichi, non potei nascondere di aver chiuso zione, che quella guerra avrebbe segnabruscamente il telefono, doto «la fine dell’impero ameripo aver chiesto inutilmente cano». Di certo sapeva che Si faceva al giornale un giorno di paunon si sarebbe conclusa cochiamare sa prima di rimettermi a Anam, il senza me in Vietnam, con perdono scrivere. Quando gli spiegai nome, quasi reciproco e scambi commerche avevo la seria intenzione a combattere ciali. Almeno non durante la di farmi sostituire, mi ester- l’ego di chi ha sua vita. nò tutta la sua solidarietà. realizzato tutto Eppure, man mano che «Fai bene!», disse con un sorgiungevano notizie dei sucrisetto sotto la lunga barba. cessi americani, Peshawar Poi dopo aver parlato del più stava sempre più stretta a e del meno, mi chiese quanti figli avessi, Terzani. Dopo un tuffo in famiglia a Dele se il giornale fosse il mio solo introito. hi, partì per l’Afghanistan subito dopo la Con lo stesso sorriso tornò a parlare del presa di Kabul, come fecero molti altri capo redattore. «Fossi in te gli farei una del nostro gruppo, compresi Natale e la telefonata» mi consigliò nel modo dolce sfortunata collega del Corriere alla quale e paterno che hanno le persone avvezze avevamo appena presentato Terzani, ai moti dell’orgoglio. Non a caso nelle Maria Grazia Cutuli, che fu uccisa in un sue email private si faceva chiamare agguato assieme ad altri tre colleghi. anam, il senza nome, quasi a disinnescaPrima della sua partenza, con la prore virtualmente la bomba dell’ego in un messa di rivederci in Thailandia, paruomo che aveva visto realizzate più o lammo dei comuni interessi per le prati18 MARZO 2011
che buddhiste tibetane e gli yoga indiani. Ma anche questi argomenti finivano per riportarci a discutere della guerra. Quando gli riferii che un lama himalayano mi aveva messo in guardia dal provare compassione spirituale verso degli assassini che vogliono imporre la legge coranica al mondo, scoppiò in una risata fragorosa. «Anche il mio Guruji», il vecchio indiano che guidava le sue meditazioni in cima all’Himalaya, «mi aveva detto che bisognava eliminare tutti i Talebani. I nostri saggi orientali» continuò col suo sarcasmo dissacrante «vivono in un’altra dimensione, dove le battaglie sono celesti, con il buon Arjuna, Krishna e il dio Ram che combattono i nemici di un regno giusto e ideale. Ma esistono regni ideali su questa terra?». Lo sentii per l’ultima volta quando mi chiamò dall’aeroporto di Bangkok dopo una breve vacanza al mare in Thailandia. Morì nel giorno del mio compleanno. Sarà stata una coincidenza, ma come regalo avevo ricevuto un’intervista con una delle persone che Terzani aveva stimato di più, il Dalai Lama. RAIMONDO BULTRINI
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