7 minute read
AtALANtA sHAKtHAr
from Calcio2000 n.246
by TC&C SRL
Una Dea a san siro
Advertisement
“Non doveva finire così, non è giusto, non ci meritavamo una beffa del genere”. Diciamo che abbiamo un po’ edulcorato i concetti e vi abbiamo risparmiato le imprecazioni, ma questo era lo stato d’animo di tutti i tifosi bergamaschi dopo la gara contro lo Shakhtar Donetsk. A rappresentare la categoria, Alessandro e Paolo, due bergamaschi DOC e tifosi da sempre, ovviamente. Perché chi è bergamasco, è atalantino. Punto. Non ci sono cuori divisi a metà, non ci sono ballottaggi, non ci sono dubbi. E, questo, per un forte e naturale legame con il territorio, alimentato – però – anche da una sagace politica del club, partita dalla mini-maglietta dell’Atalanta regalata ad ogni nuovo nato nella Provincia e culminato con l’acquisto e la ristrutturazione del nuovo stadio. E forse il segreto del successo di questa Atalanta è proprio questo: la passione di tifosi straordinari, coltivata e ripagata da una società lungimirante. Ma torniamo a noi. Anzi, torniamo ad Alessandro e Paolo, due ragazzi non di “primo pelo”, diciamo così, cresciuti a pane e Atalanta. Solito percorso: l’atalanta all’appuntamento con curva, parterre (qui i più giovani si perderanno, ma una volta erano i posti in piedi a bordo campo), fino alla tribuna. L’Atalanta ha scanla storia. non è stata dito la loro vita e li ha visti crescere: ragazzini una favola a lieto fine, anche un po’ turbolenti, universitari, imprenditori e papà. Forse solo più invecchiati, sicuma l’esperienza resterà ramente non meno tifosi. E le ultime stagioni, indimenticabile per i tifosi nerazzurri al seguito… unite alla crescita del club e all’orgoglio di tutti i suoi tifosi, hanno riacceso l’entusiasmo: è (ri)scattato l’abbonamento alla pay-tv, pri-
ma, e allo stadio, dopo. Naturalmente, dopo aver seguito la cavalcata in Europa League a Reggio Emilia dello scorso anno, non poteva certamente mancare il mini-abbonamento alla Champions League. A San Siro, poi. L’Atalanta alla Scala del Calcio. E non da invitata, ma da Star. La favola è troppo bella per non essere raccontata. E non è detto che le favole senza lieto fine siano più brutte. Anche perché, il lieto fine, è semplicemente un punto di vista. Tutto comincia lunedì sera. Squilla il telefono. Sul display compare Alessandro Bergamo, l’ho salvato proprio così: “Sergio, ma dove si parcheggia a San Siro? Io l’ultima volta che son venuto mi ci ha scortato la polizia (ride, n.d.r.)”. “E io: aspetta, ma se ti venissi a prendere e ci andassimo insieme?”. Così, alle 16, ci ritroviamo all’uscita di Bergamo. Ovviamente Ale e Paolo non avevano problemi d’orario: “Ma sei matto? Abbiamo preso ferie oggi, come tutta la città di Bergamo d’altronde. Tanto, anche se andavamo in ufficio, non ci avremmo capito nulla. Ma hai presente la tensione? Non ho neanche dormito stanotte. Va come sudo…”. Si suda, ma la sciarpa al collo ovviamente non manca. E il fatto che sia vintage aggiunge una spruzzata di romanticismo. L’A4 da Bergamo fino all’uscita Certosa è colorata di nerazzurro. Una carovana di pullman, macchine e finanche motorini in pellegrinaggio. Si strombazza, si ride, si scherza, si mostrano i vessilli. Insomma, una sorta di scampagnata, tipo Pasquetta per intenderci. Ma quando si fa sosta all’Autogrill per il “birrino” di rito, e la discussione scivola sulla partita, il clima torna serio: “Quella di Zagabria non era mica l’Atalanta. Eh, ci siamo fatti prendere dall’emozione e siamo crollati di nervi. Ci hanno sovrastato fisicamente e tatticamente, ma noi non siamo scesi in campo. La squadra però ha reagito dopo la batosta e sono convinto che stasera sarà un’altra storia”. C’è tensione, sì, ma anche grande fiducia nei confronti del Papu, di Zapatone, di Josip. Li chiamano così, perché alla fine sono gente di famiglia. Camminando per Bergamo alta li puoi incontrare serenamente a passeggio con la famiglia, dar loro una pacca sulla spalla, farti un selfie e pure offrire da bere ai tavolini di Piazza Vecchia. Perché a Bergamo è tutto più rilassato, a misura d’uomo. E questo soprattutto da quando da quelle parti sono arrivati Mister Gasperini e il suo calcio champagne. È stato praticamente amore a prima vista: “Quando quest’estate si diceva che il Mister potesse andare via, ero davvero preoccupato. Più di Zapata, Ilicic e compagnia. Perché alla fine noi siamo abituati a vedere andar via i calciatori, è anche un vanto, ma alla società e agli allenatori, soprattutto a quelli bravi e che si integrano con la città, siamo affezionati. Qui Delio Rossi è ancora osannato, anche se poi alla fine con lui siamo retrocessi. Noi non chiediamo vittorie, ma sacrificio. Lottare è nel nostro DNA. Se
atalanta- sHaKtHar DonetsK 1-2
Stadio San Siro – Milano – 01/10/2019
ATALANTA (3-4-1-2): Gollini; Toloi, Palomino, Masiello (24’ st Muriel); Hateboer, De Roon, Pasalic, Castagne (13’ st Gosens); Gomez; Ilicic (13’ st Malinovskyi), Zapata. A disposizione: Sportiello, Kjaer, Freuler, Djimsiti. Allenatore: Gasperini SHAKTHAR DONETSK (4-2-3-1): Pyatov; Bolbat (48’ st Dodo), Kryvtsov, Matviienko, Ismaily; Stepanenko, Patrick (24’ st Solomon); Marlos (40’ st Konoplyanka), Kovalenko, Taison; Moraes. A disposizione: Shevchenko, Bondar, Marcos, Dentinho. Allenatore: Castro ARBITRO: Stieler (Ger) MARCATORI: 28’ pt Zapata (A), 41’ pt Moraes (S), 50’ st Solomon (S) NOTE: Pyatov (S) ha parato un rigore a Ilicic (A) al 16’ pt. Ammoniti: Ilicic, De Roon, Toloi, Malinovskyi (A); Kryvtsov, Stepanenko, Moraes, Bolbat (S). Recupero: 2’ e 4’. Calci d’angolo: 4-4 Spettatori: 26.022 per un incasso di 1.181.215 euro
non lo fai con noi, non sei uno di noi”. E Gasperini è uno che lotta duro e che i suoi li fa trottare. Si gioca calcio a tutto campo, si morde dappertutto, si scappa e si rincorre. Ininterrottamente, dal 1’, al 100’ minuto. Pure negli spogliatoi. E forse è per questo che tra Giampiero da Grugliasco e il popolo di Bergamo è scoppiato l’amore. Reciproco. Ma non divaghiamo. Si arriva a San Siro con largo anticipo, pit-stop al “baracchino” (“Mai vendute tante birre come stasera”, ci racconta il proprietario), poi si entra. È presto, non c’è ancora quasi nessuno dentro, ma bisogna gustarsi il momento. Si fa qualche foto-ricordo come si fosse al santuario, la si manda agli amici che rosicano davanti alla TV, si prega, perché la tensione sta salendo e i sorrisi cominciano a sparire. L’Atalanta parte forte, col solito ritmo, quello balbettante di Zagabria è solo un lontano e spiacevole ricordo. Al cospetto di uno Shakhtar maturo e consapevole, sono i nerazzurri a menare le danze. Al 16’ la grande occasione: rigore! San Siro si zittisce, impallidisce dalla paura. Ale si gira e se lo fa raccontare da Paolo. Ma in realtà gli basta vedere la faccia del “collega” sullo scalino superiore per capire quello che è successo, ancor prima del brusio di delusione che sale dalle viscere del Meazza. Non è da un rigore che si giudica un giocatore, però. E nemmeno una squadra. Soprattutto se questa squadra è l’Atalanta. E infatti il Papu suona la carica e Zapata colpisce. È 1-0. E un tripudio. Ora tutta Bergamo ride e sogna. Prima dell’intervallo, però, Moraes riporta tutti con i piedi per terra. Quando il Signor Stieler manda i giocatori negli spogliatoi per il tradizionale tè caldo, sugli spalti crolla la tensione. C’è gente letteralmente svuotata. Paolo sbuffa: “Mamma che stress, non so se arrivo al 90’ se continuiamo così. È sempre una sofferenza”. Nel secondo tempo, come d’abitudine, i ragazzi di Gasperini danno l’anima in campo, ci lasciano il cuore e ogni stilla di sudore, ma non basta. Al 96’ arriva addirittura la beffa: Solomon trasforma in una clamorosa (e ingiusta) sconfitta, una gara che l’Atalanta avrebbe meritato di vincere. La delusione è di quelle da lutto. Le lacrime scorrono inarrestabili. Gli applausi, però, si sprecano. E l’orgoglio, se possibile, aumenta. Fuori dallo stadio, di fronte ad un panino “ignorante” e ad un’altra birra alla spina, gli occhi sono ancora lucidi. Ale scuote la testa incredulo: “Che botta ragazzi, non so se mi riprendo. A Zagabria se non altro non abbiamo giocato, ma qui no. Qui se c’era una squadra che meritava, questa era l’Atalanta. Han perso tempo tutto il secondo tempo, puntavano al pareggio e hanno addirittura vinto. Una roba mai vista. Ancora non ci credo. Così fa male”. In ogni caso, la fiducia resta immutata: “Abbiamo fatto una grande partita, questa è un’ottima squadra, quando la vedo giocare mi trascina, mi entusiasma, volo. Lo so che non è finita. E, comunque andrà, sarò orgoglioso di loro”. Perché, si sa, non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta. Per questo l’Atalanta di Gasperini non perde mai.