JAN KNAP
JAN KNAP Trento Studio d’Arte Raffaelli 3 ottobe - 8 dicembre 2013
Edizione | Edition Studio d’Arte Raffaelli Testo | Text Marina Mojana Traduzione | Translation Intras Congressi s.r.l. Bologna Stampa | Print Litotipografia Alcione, Lavis (Tn)
JAN KNAP: ESPERIENZA E VISIONE testo di Marina Mojana
Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Salmo 84, 11-12
La prima volta che vidi un dipinto di Jan Knap rimasi perplessa. Mi sembrò un lavoro facile, quasi banale e soprattutto retrò. In quegli anni il sistema dell’arte internazionale premiava opere cariche di cupezza, simboli di morte in set artificiali di grande squallore, mentre Knap dipingeva verdi praterie, cieli azzurri, alberi carichi di frutti, bambini giocosi e angioletti che assomigliavano alle pubblicità anni 50 del sapone baby Zeni. Il disagio davanti ai suoi lavori era invece il segnale che lì dentro c’èra qualcosa di grande e di speciale, un messaggio vero e profondo sul cuore dell’uomo e sul suo destino. Bisognava che mi lasciassi guidare e farne esperienza! «Il lettore completa l’opera» scriveva Charles Péguy richiamandone la grande responsabilità. Come dire che anche un’opera d’arte la si fa sempre in due: chi la crea e chi la guarda. Anche per questa speciale cooperazione, la pittura di Knap riguarda il presente e non accetta nessuna museificazione. È un’esperienza del segreto del vivere: siamo dentro una creazione che ci fa. Da iconografo contemporaneo, l’artista “scrive” le sue immagini in modo semplice (non facile) e da tutti comprensibili, ma da exallievo di Joseph Beuys (1921-1986) e di Gerhard Richter (1932) lo fa in modo concettuale, attribuendo a ogni elemento della composizione un preciso valore simbolico. Ad esempio in ogni sua tela c’è sempre un asino: bruca l’erba in secondo piano, oppure sta al centro della scena, docile alle carezze. Perché? Forse in questo animale umile e resistente Jan Knap vede - sulla scia delle peripezie di Lucio nel romanzo L’Asino d’Oro di Apuleio, fino al Pinocchio con le orecchie d’asino nel racconto di Collodi la metafora dell’umana avventura, il simbolo della metamorfosi di una materia recalcitrante e ignorante in un essere spirituale, consapevole e felice. Oltre la cultura greco-romana l’asino è un simbolo regale in India e Cina, cavalcatura di principi ed eroi e anche il rabbi Gesù di Nazareth, il santo di Dio, entrò in Gerusalemme sul dorso di un puledro d’asino, acclamato da quella stessa folla che tre giorni dopo lo vedrà morire in croce perché re dei Giudei. Da oltre trent’anni Knap propone una rivoluzione dello sguardo, un po’ come avevano tentato di fare a Roma, nel primo 800, i pittori Nazareni. Erano tutti tedeschi, giovani e romantici; nel 1826 si aggiungerà al loro movimento anche Joseph von Führich, boemo come Knap; si ribellarono al Classicismo accademico e rinnovarono il linguaggio pittorico su basi religiose e patriottiche, guardando ai pittori del Quattrocento italiano. Anche Jan Knap dipinge San Girolamo nel deserto roccioso della Palestina - dove il dottore della Chiesa si era ritirato per tradurre la Bibbia in latino - e lo descrive secondo l’iconografia tradizionale con il
leone, il teschio e il cappello rosso da cardinale, componendo la sacra rappresentazione come farebbe un pittore rinascimentale. Oppure sceglie di mettere insieme, in modo un po’ arbitrario, sant’Antonio abate e santa Lucia e li dipinge in un eterno presente, a recitare il salmo 33 attorno alla colonna della flagellazione: «Il Signore riscatta la vita dei suoi servi, chi in lui si rifugia non sarà condannato». Soltanto in apparenza, però, la sua figurazione rivisita l’arte antica italiana e tedesca, benché molti critici abbiano sottolineato proprio quest’aspetto. Più che nelle forme, tratteggiate secondo modelli ben definiti, la novità del lavoro di Knap sta nella visione e nel racconto esistenziale che comunica. Nei suoi quadri, come nelle icone bizantine, non c’è azione ma contemplazione: non si dice del Regno di Dio, ma lo si rende presente come esperienza viva di bellezza e di felicità. Che cosa si vede, dunque? Quasi sempre un innaffiatoio (porta l’acqua che lava, purifica, disseta e salva), molti strumenti musicali (a corda, a fiato o a percussione suonano l’armonia del cosmo), pecorelle e conigli bianchi (l’ubbidienza è feconda), un papà, una mamma, un po’ di bimbi, un paio di scarpette rosse, perché la famiglia è sacra quando è il luogo dell’amore, ma chi comincia ad amare deve essere pronto a soffrire e le scarpe rosse – come quelle che indossano i Papi – sono il simbolo di chi cammina su questa terra come pellegrino e testimone, fino a versare il proprio sangue per la vita di un altro. Nei quadri di Knap tutto è segno: il melo dai pomi rossi indica l’albero biblico del bene e del male, mentre la scala per raccogliere il frutto della conoscenza richiama quella che apparve in sogno a Giacobbe (Genesi XXVIII, 12-17) e che mette in contatto il mondo visibile con quello invisibile. Perciò, attraverso il lavoro dell’artista, tutti siamo chiamati a riacquistare questa visione primordiale, intuizione di bellezza, presentimento di armonia, esperienza di gioia e di pace. Anche il colore nell’opera di Knap non è un semplice mezzo di decorazione, ma è manifestazione del mondo trascendente: bianco per l’innocenza, blu per la vita divina, rosso per l’amore in azione, marrone per la terra, verde per l’anima, giallo per la luce di Dio, come nelle icone russe. Tutta la produzione di Knap è una visione e la sua arte è fedeltà ad essa. Non si forma a priori, in un laboratorio sospeso dal mondo, ma nasce nell’attenzione a ciò che sta dietro l’apparenza. Non è sogno, ideologia o allucinata sregolatezza. La visione dell’artista riguarda la verità, che è sempre imprevedibile, fuori dalla nostra norma e dalle nostre misure; tuttavia, in un tempo segnato dal soggettivismo e fondamentalmente irrazionale come il nostro, Knap e la verità rischiano l’estraneità.
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Già dai tempi dell’Accademia a Düsseldorf, infatti, il pittore contestava il linguaggio concettuale e di maniera secondo cui, dopo Marcel Duchamp, tutto è opera d’arte e dopo Joseph Beuys tutti siamo artisti. Nel 1979, mentre vive a New York, fonda il gruppo “Normal” con Milan Kunc e Peter Angermann, promulgando in tempi non sospetti l’idea di una pittura che medita sui canoni della bellezza. Dal 1982 al 1984 studia teologia a Roma, dal 1984 al 1989 lavora a Colonia, dall’89 al ’92 si trasferisce a Modena. Infine lascia l’Italia e torna a Chrudim, in Repubblica Ceca, dove è nato nel 1949. Ripercorrere la biografia di questo artista unico e inimitabile è doveroso per entrare nel migliore dei modi alla sua stessa arte. Il suo lavoro rispecchia le molteplici esperienze vissute tra Stati Uniti e Italia, Germania e Repubblica Ceca e lascia ben intendere la ricchezza e la straordinarietà della sua cifra stilistica. Knap usa un linguaggio trascendentale in modo disarmante e commovente. Risveglia nostalgie soprannaturali anche nei cuori meno disposti e dipinge una natura dove regna l’innocenza della purezza. Di che cosa è segno il bambino che gioca in un catino pieno d’acqua, sotto una doccia celestiale generata da un volo di angioletti che dipanano nastri bianchi e rossi a forma di spirale? Non è forse la metafora del sacramento del Battesimo cristiano? Con un’immagine Knap dice più di mille parole ed evoca il mistero di Gesù che si incarna, muore e risorge per permettere agli esseri umani di rinascere a una vita nuova, quella dei figli di Dio. Come un monaco del Monte Athos anche il pittore della Repubblica Ceca indirizza lo sguardo umano verso il sovrasensibile, il solo che valga la pena di essere visto; contempla il divino che entra nell’umano e trova il perché del suo fare arte. Nessun rigetto della storia, dunque, ma Dio sotteso a tutto, in tutto. La pittura di Knap è un viaggio verso il segreto ultimo del mondo. Segreto che non ci aspetta là, in un sottofondo delle cose o del tempo, ma emerge sulla superficie rapida dei giorni e delle ore, nel gesto quotidiano di raccogliere le mele o di servire il te. Un segreto che si presenta e che non perde il proprio mistero nel presentarsi. Ciò che più mi incanta nel lavoro di Knap è la luce; una gran luce immobile di un sole verticale, trionfante, che lascia sul suolo solo ombre brevi. Non sono nere, ma colorate e velate di grigio, come quelle che dipingeva Federico Barocci, il pittore davanti alle cui tele, nella Roma del primo Seicento, san Filippo Neri pregava e andava in estasi. Milano, 3 settembre 2013
JAN KNAP: EXPERIENCE AND VISION text Marina Mojana
Mercy and truth will meet together, righteousness and peace will kiss each other. Truth will spring out of the earth, and righteousness will look down from heaven. Psalm 85, 11-12
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The first time I saw a painting by Jan Knap I was puzzled. It looked like an easy job, almost trivial and above all retro. In those years the international art system rewarded works full of gloom, symbols of death in artificial sets of great squalor, while Knap painted green meadows, blue skies, trees laden with fruit, playful children and angels that looked like the 1950s advertisements for Zeni baby soap. Uneasiness faced with his work was instead the signal that there was something great and special in it, a true and profound message on the heart of man and on his destiny. It was necessary for me to let myself be guided and experience it! “The reader completes the work,” wrote Charles Péguy, reminding us of his or her great responsibility. As if to say that a work of art too is made by two people: the one that creates it and the one that looks at it. For this special cooperation too, Knap’s painting concerns the present and doesn’t want to be shut away in a museum. It is an experience of the secret of living: we are in a creation that makes us. As a contemporary iconographer, the artist “writes” his images in a simple (not an easy) way and in one understandable for everyone, but as an ex-pupil of Joseph Beuys (1921-1986) and Gerhard Richter (1932) he does so in a conceptual way, attributing to each element of the composition a precise symbolic value. For example, in every picture there is always a donkey: it grazes the grass in the background, or is at the centre of the scene, docile to caresses. Why? Perhaps in this humble and tough animal Jan Knap sees – following on from the adventures of Lucius in the novel The Golden Ass by Apuleius, down to Pinocchio with donkey ears in the story by Collodi – the metaphor of human adventure, the symbol of the metamorphosis of recalcitrant and ignorant matter into a spiritual being that is aware and happy. Beyond Greek-Roman culture the donkey is a royal symbol in India and China, the mount of princes and heroes and also of the rabbi Jesus of Nazareth, the Holy One of God, who entered Jerusalem on the back of a donkey colt, acclaimed by the same crowd that three days later was to see him die on the cross as king of the Jews. For over thirty years Knap has proposed a revolution in looking, rather as the Nazarene painters had tried to do in Rome in the early nineteenth century. They were all Germans, young and romantic; in 1826 Joseph von Führich, a Bohemian like Knap, was to join their movement too; they rebelled against academic Classicism and renewed painterly language on religious and patriotic bases, looking to the painters of the Italian Quattrocento. Jan Knap also depicts Saint Jerome in the
rocky desert of Palestine – where the doctor of the Church had withdrawn to translate the Bible into Latin – and describes him according to the traditional iconography with the lion, the skull and the red cardinal’s hat, composing the sacred representation as a Renaissance painter would. Or he chooses to put together, in a somewhat arbitrary way, Saint Anthony Abbot and Saint Lucy, and paints them in an eternal present, reciting Psalm 33 around the column of the flagellation: “The Lord redeems the life of his servants, those who take refuge in him will not be condemned.” Only in appearance, however, does his figuration revisit the old Italian and German art, although many critics have pointed out precisely this aspect. More than in the forms, traced out according to well-defined models, the novelty of Knap’s work lies in the vision and in the existential story that it communicates. In his paintings, as in Byzantine icons, there is not action but contemplation: he does not talk about the Kingdom of God, but makes it present as a living experience of beauty and happiness. What do we see, then? Almost always a watering can (it contains the water that cleanses, purifies, refreshes and saves), many musical instruments (strings, woodwind or percussion sound out the harmony of the cosmos), sheep and white rabbits (obedience is fruitful), a father, a mother, a few children, a pair of red shoes, because the family is sacred when it is a place of love, but those who begin to love must be ready to suffer and red shoes – like those that popes wear – are the symbol of those who walk on this earth as pilgrims and witnesses, to shed their blood for another’s life. In Knap’s pictures everything is a sign: the apple tree with red apples indicates the biblical tree of good and evil, while the ladder to pick the fruit of knowledge recalls the one that appeared in a dream to Jacob (Gen. XXVIII, 12-17) and that connects the visible world and the invisible one. Therefore, through the artist’s work, we are all called to regain this primordial vision, an intuition of beauty, a foreboding of harmony, an experience of joy and peace. Colour too in Knap’s work is not just a means of decoration, but is a manifestation of the transcendent world: white for innocence, blue for divine life, red for love in action, brown for the earth, green for the soul, yellow for the light of God, as in Russian icons. Knap’s entire production is a vision and his art is loyalty to it. It is not formed a priori, in a laboratory suspended from the world, but is born in attention to what is behind appearance. It is not a dream, ideology or hallucinatory recklessness. The artist’s vision concerns the truth, which is always unpredictable, outside our norm and our measures; however, in a time marked by subjectivism and fundamentally irrational like ours, Knap and truth risk being estranged.
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Indeed, as long ago as the time of the Academy in Düsseldorf, the painter challenged the conceptual and mannerist idiom according to which, after Marcel Duchamp, everything is a work of art, and after Joseph Beuys we are all artists. In 1979, while living in New York, he founded the “Normal” group with Milan Kunc and Peter Angermann, promulgating in times above suspicion the idea of a painting that meditates on the canons of beauty. From 1982 to 1984 he studied theology in Rome, from 1984 to 1989 he worked in Cologne, and from 1989 to 992 he moved to Modena. Lastly, he left Italy and returned to Chrudim, in the Czech Republic, where he was born in 1949. Going over the biography of this unique and inimitable artist is right, in order to get in the best way possible into his art itself. His work reflects the many experiences in the United States and Italy, Germany and the Czech Republic, and clearly shows the richness and uniqueness of his artistic style. Knap uses a transcendental language in a disarming and moving way. He awakens supernatural nostalgias even in the least willing hearts and paints a nature in which the innocence of purity reigns. What is the child playing in a bowl full of water a sign of, under a celestial shower generated by a flight of angels that unfold white and red ribbons in a spiral shape? Is it not perhaps the metaphor of the sacrament of Christian baptism? Knap with a picture says over a thousand words and evokes the mystery of Jesus that is embodied, dies and rises again to allow human beings to be reborn to a new life, that of the children of God. Like a monk on Mount Athos, the Czech painter too directs the human gaze towards the supersensible, the only thing worth seeing; he contemplates the divine entering the human and finds the reason for his being an artist. No rejection of history, then, but God underlying everything, in everything. Knap’s painting is a journey towards the ultimate secret of the world. It is a secret that does not await us there, in a background of things or of time, but emerges on the rapid surface of days and hours, in the daily act of picking apples or serving tea. It is a secret that presents itself and does not lose its mystery in presenting itself. What most enchants me in Knap’s work is the light, great immobile light of a vertical sun, triumphant, leaving only short shadows on the ground. They are not black, but coloured and veiled with grey, like those painted by Federico Barocci, the painter in front of whose works, in Rome in the early seventeenth century, St. Philip Neri prayed and went into ecstasy. Milan, 3 September 2013
10 - 11
JAN KNAP 2010 Olio su tela 75 x 90 cm
12 - 13
JAN KNAP 2010 Olio su tela 68 x 100 cm
14 - 15
JAN KNAP 2010 Olio su tela 55 x 67 cm
16 - 17
JAN KNAP 2010 Olio su tela 45 x 60 cm
18 - 19
JAN KNAP 2010 Olio su tela 40 x 30 cm
20 - 21
JAN KNAP 2010 Olio su tela 220 x 170 cm
22 - 23
JAN KNAP 2009 Olio su tela 75 x 120 cm
24 - 25
JAN KNAP 2009 Olio su tela 50 x 65 cm
26 - 27
JAN KNAP 2009 Olio su tela 85 x 120 cm
28 - 29
JAN KNAP 2009 Olio su tela 40 x 50 cm
30 - 31
JAN KNAP 2008 Olio su tela 40 x 50 cm
32 - 33
JAN KNAP 2001 Olio su tela 85 x 120 cm
34 - 35
JAN KNAP 1998 Olio su tela 65 x 85 cm
36 - 37
JAN KNAP 2013 Acquerello su carta 100 x150 cm
JAN KNAP 2006 Acquerello su carta 42 x 60 cm
38 - 39
A
B
C
D
E
F
G
40 - 41
I
L
H
M
N
O
P
Q
42 - 43
A) JAN KNAP, 1985, Penna e acquerello su carta, 16,5 x 16,5 cm B) JAN KNAP, Penna e acquerello su carta, 19 x 16 cm C) JAN KNAP, Penna e acquerello su carta, 17,5 x 13 cm D) JAN KNAP, Penna e acquerello su carta, 27 x 14,6 cm E) JAN KNAP, Acquerello su carta, 21 x 16 cm F) JAN KNAP, 1982, Acquerello su carta, 30 x 21 cm G) JAN KNAP, Acquerello su carta, 14,4 x 20,5 cm H) JAN KNAP, Acquerello su carta, 26,5 x 10,5 cm I) JAN KNAP, Pastello su carta, 31,3 x 24,3 cm L) JAN KNAP, Pastello su carta, 31,5 x 24 cm M) JAN KNAP, Pastello su carta, 24 x 31,5 cm N) JAN KNAP, Pastello su carta, 34 x 26,5 cm O) JAN KNAP, Carboncino e pastello su carta, 31,3 x 24,3 cm P) JAN KNAP, 1987, Matita su carta, 29, 5 x 21 cm Q) JAN KNAP, Matita su carta, 29,7 x 21 cm
Jan Knap
Cenni biografici 1949
Nasce a Chrudim, Repubblica Ceca.
1970-1972 Frequenta l’Accademia d’Arte Statale Düsseldorf (con Gerhard Richter). 1972-1982 Vive a New York e lavora come illustratore. 1979
Fonda con Milan Kunc e Peter Angermann il gruppo “Normal”.
1982-1984 Studia filosofia e teologia a Roma. 1984-1989 Vive e lavora a Colonia. 1989-1992 Vive e lavora a Modena. 1992
Rientra e lavora nella Repubblica Ceca.
Mostre personali 2013
Studio d’Arte Raffaelli, Trento. Petr Novotný, Praha.
2012
Galleria Duetart, Varese. Galleria Baccina Techne, Roma.
2011
Galerie Havelka, Praha.
2010
Zonca&Zonca, Milano.
2008
Galleria Duetart, Varese.
2007
Galerie Art Chrudim, Chrudim. Giampiero Biasutti, Arte Moderna e Contemporanea, Torino. Galleria Comunale, Spoleto. Galerie Caesar, Olomouc, Repubblica Ceca. Studio d’Arte Raffaelli, Trento.
2006
Il Polittico, Roma.
2005
2000 & Novecento, Reggio Emilia.
2004
Galleria Toselli, Milano.
2003
3 G Arte Contemporanea, Udine. Giampiero Biasutti, Arte Moderna e Contemporanea, Torino. Palazzo Panni Atelier Segantini, Arco (TN).
2002
Galleria Claudio Poleschi Arte Contemporanea, Lucca. Studio Simonis, Parigi.
44 - 45
2001
Galleria Toselli, Milano.
2000
Gallerie Cà di Frà, Milano. Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, San Marino.
1999
Sperone Westwater Gallery, New York. Galerie Sternberg, Sternberg.
1998
Albrecht Dürer Gesellschaft, Kunstverein Nürnberg. Kunstverein, Lingen. Fondazione Stelline, Milano. Studio d’Arte Raffaelli, Trento. Galerie V. Špály, Praha.
1997
Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano. Sio Galería, Barcelona. Mestska Galeía, Ostrava.
1996
Centraal Museum, Utrecht. Städtische Ausstellungshalle Galerie im Karmeliterkloster, Frankfurt am Main.
1995
Galerie Kaess-Weiss, Stuttgart.
1994
Galerie Mot & Van den Boogaard, Bruxelles. Galerie Caesar, Olomouc. Galerie Ruce, Praha.
1993
Galleria Toselli, Milano.
1992
Galleria Toselli, Milano.
1991
Studio d’Arte Raffaelli, Trento. Galerie Wanda Reiff, Maastricht.
1990
Galleria Piano Nobile, Perugia. Galerie Bilinelli, Bruxelles. Galerie Hlavniho Mesta, Praha.
1989
Galerie Varisella, Frankfurt/M. Galleria Toselli, Milano.
1988
Holly Solomon Gallery, New York. Galleria Toselli, Milano.
1987
Galerie Wanda Reiff, Maastricht. Galería La Maquiña Española, Sevilla.
1986
Galerie Paul Maenz, Köln.
1985
Galerie Ilverich, Düsseldorf. Galerie Hans Jürgen Müller, Köln.
Principali mostre collettive 2009
“The Choice”, Galleria Francocancelliere, Messina.
2008
“Il drago di Giorgio”, LAB 619 XL, Sovramonte (BL). “Per Amore”, Palazzo Incontro, Roma. “RipArte 4/ Spazio tempo”, Casagiove (CE).
2005
“Prague Biennale 2”, Prague (Gruppo Normal). “Veritas”, Studio d’Arte Raffaelli, Trento.
2004
“Post Tenebra Lux”, Palazzo Magnani, Reggio Emilia.
2001
“Melancholie”, Moravskà Galerie, Brno.
1998
“Kunstverein”, Nürnberg.
1997
“Künstlerinnen”, Kunsthaus Bregens.
1994
“De mat der dingen”, Gemeentemuseum, Helmond.
1993
“Der zerbrochene Spiegel”, Messepalast, Wien/Deichtorhallen, Hamburg.
1991
“Gli anni novanta”, Bologna.
1984
“Von hier aus”, Messegelände Halle 13, Düsseldorf (Gruppo Normal).
1981
“Normal”, Neue Galerie und Sammlung Ludwig, Aachen (Gruppo Normal).
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Finito di stampare nel mese di settembre 2013 da Litotipografia Alcione, Lavis (Tn)