TRASPARENZA E TRASPARENZE: per un arricchimento del lessico architettonico

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TRASPARENZA E TRASPARENZE PER UN ARRICCHIMENTO DEL LESSICO ARCHITETTONICO

TOMMASO SERAFINI 859673 RELATORE: PROF. MARCO VOLTINI



Ai romantici

che sognano sempre un po’ più in là del reale.


INDICE 6

Abstract

8

Introduzione

18 TRASPARENZA APPARENTE 23

PurovisibiltÃ

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La finestra

39

Opalescenza

1


47

90

TRASPARENZA FENOMENICA

2

TRASPARENZA DISCIPLINARE 5

51

I presupposti

95

Lo spazio e la prigione

57

La terza dimensione

105

Videosorveglianza

109

Bibliografia

113

Fonti immagini

66 TRASPARENZA METAMORFICA 3 71

Très Grande Bibliothèque

78 TRASPARENZA COMUNITARIA 83

4

La vetrina, la serra e la teca


8

ABSTRACT


L

a parola trasparenza è entrata a far parte del vocabolario architettonico in maniera preponderante nel corso del XX sec., quando, grazie alle conquiste strutturali e tecnologiche raggiunte a partire dalla seconda metà dell’ottocento, il massiccio impiego del vetro divenne elemento essenziale nella prassi architettonica. Fatta questa doverosa premessa, va detto che la trasparenza o le intenzioni che essa provoca sono da sempre una componente essenziale nella storia dell’architettura, adducendo o sottraendo alla composizione dinamiche permeabili, in senso fisico e figurato. Tali dinamiche di permeabilità e pervasione raccolgono una moltitudine di sensi connessi al tema, che è ben lungi dall’essere legato indissolubilmente al mero vetro, poiché sì, esso è indubbiamente trasparente, ma la trasparenza non è fatta di (solo) vetro. La trasparenza può, di fatto, essere costituita da opacità. Può essere: vaga, letterale, apparente, perturbante o fenomenica; trasparente può essere l’intenzione o l’intento, in un ambito architettonico che si fa morale e moralizzante. Data questa schizofrenia di significati, la parola è sì pregnante nella sua portata semantica ma allo stesso tempo ne risulta svilita, quasi inadeguata se si considera l’aleatorietà dei suoi intenti. Può quindi bastare da sola la parola trasparenza ad esprimere una serie di sensazioni e di concetti anche distanti tra loro? La risposta che si cercherà di dare è, che no, non può. La trasparenza esiste quando esistono i suoi attributi.

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INTRODUZIONE


L

a tematica della trasparenza, dall’architettura modernista fino a quella contemporanea ha assunto un ruolo sempre più fondamentale. Infatti come afferma lo storico e critico di architettura Anthony Vidler: «La modernità è sempre stata ossessionata dal mito della trasparenza: trasparenza del sé davanti alla natura, del sé davanti agli altri, di tutte le individualità davanti alla società - tutto questo rappresentato, se non costruito, da Jeremy Bentham a Le Corbusier, per mezzo della trasparenza universale dei materiali da costruzione, della permeabilità dello spazio e dell’onnipresente Il flusso di aria, luce e movimento.» 1

Questa ossessione così come la definisce Vidler, ha istaurato un dibattito, fatto di parole e di edifici che hanno contribuito a definire il concetto della trasparenza come uno degli elementi alla base della prassi progettuale architettonica. Diversi sono stati infatti gli autori e i progettisti che si sono spesi nell’affrontare il tema della trasparenza. Individuando in essa il presupposto alla base di trasformazioni sociali o, aspetti più strettamente legati all’ambito tecnologico dell’edificio come: l’apporto luminoso o quello della visibilità. Se l’impiego della parola trasparenza ha trovato particolare vigore nel XX sec. anche nella contemporaneità il dibattito è più vivo che mai. Nella prassi progettuale dell’architetto Norman Foster ad esempio è da sempre presente una forte propensione alla trasparenza, che ha reso il tema uno dei suoi tratti più indistinguibili. L’esempi da elencare non mancano di certo; dall’intervento

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di ristrutturazione del Palazzo del Reichstag, di Berlino del 1992; in cui l’architetto interviene coronando l’edificio con una cupola completamente vetrata; a quello del 2000 in cui compie un’operazione analoga nell’atrio d’ingresso del British Museum di Londra o ancora, nel Willis Faber Building a Ipswich in Inghilterra (1975) in cui l’edificio curvilineo caratterizzato da una facciata di vetro senza suddivisioni, rispecchia la città di giorno e entra a far parte di essa nelle ore notturne. « L’edificio di Foster combinava lo “chic” direzionale è una reinterpretazione dello spazio universale di MIes van der Rohe; attingeva elementi sia dei grattacieli minimalisti americani degli anni sessanta, sia dalle originali fantasie cristalline degli anni venti. » 2

Sul finire degli anni ottanta in Francia sotto la presidenza di Francois Mitterand prendono il via una serie di grandi progetti architettonici; in cui l’architetto Ieoh Ming Pei viene chiamato a progettare quello che diventerà il nuovo ingresso del Museo del Louvre. La struttura piramidale completamente vetrata, che l’architetto cinese va a realizzare è frutto di un’alta sofisticazione della tecnica, in cui furono realizzate insieme alla ditta Saint Gobain3 lastre di vetro particolarmente piane ed extra-chiare, per assecondare l’obbiettivo della trasparenza ad ogni costo. La piramide fortemente osteggiata dalle sfere più conservatrici, è poi divenuta uno dei simboli più famosi della Parigi contemporanea. Altri architetti come l’italiano Renzo Piano o la giapponese Kazuyo Sejima dello studio SANAA, hanno affrontato il tema della trasparenza dichiarandolo alla base o comunque centrale nel loro modo di fare architettura. Gli esempi non terminano di certo qui e risultano essere innumerevoli, anche perché tutti i progettisti (o quasi) si sono

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INTRODUZIONE

fig.1

fig.2

Restauro Palazzo del Reichstag,Norman Foster, Berlino 1992

Willis Faber Building, Norman Foster, Ipswich, Inghilterra 1975

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dovuti misurare con la necessità di interrompere la materia, di mettere in connessione il micro-cosmo dell’edificio con il macro-cosmo dello spazio esterno. Questa però, non è una storia della trasparenza e non ne ha la velleità di esserlo. Questa ricerca intende indagare, semmai, quali sono le implicazioni di questo concetto nella sfera architettonica e delle sue diverse manifestazioni ed espressioni, che si mischiano e si coagulano in un tema unico da cui l’architettura sembra non poter sfuggire. Nell’ultima parte della citazione di Vidler in apertura si fa riferimento a un concetto che risulta essere di particolare importanza, cioè quello di una “trasparenza universale”.

« […] per mezzo della trasparenza universale dei materiali da costruzione, della permeabilità dello spazio e dell’onnipresente Il flusso di aria, luce e movimento. » 4

Come insegna il metodo deduttivo aristotelico l’universale è la chiave per giungere al particolare e, cioè l’attitudine a poter discernere caratteri di peculiarità da un concetto generalizzato; questo può essere quindi considerato il punto centrale della tesi che s’intende sostenere. Se la trasparenza è un concetto universale quali sono i particolari che la compongono? Esistono temi che peculiarizzano e limitano il concetto di trasparenza?

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INTRODUZIONE

fig.3

Piramide del Louvre, Ieoh Ming Pei, Parigi 1989

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Il vocabolario Treccani alla voce trasparenza recita: « 1. a. La caratteristica e la proprietà di essere trasparente: la t. di un vetro, la t. dell’aria o dell’acqua limpida; la maggiore o minore t. di un corpo, dipendente non solo dalla sua natura, ma, in generale, anche dal suo spessore. […] tenendo interposto l’oggetto tra l’occhio e una sorgente luminosa, e vedere in t., apparire in t., riferito all’immagine che ne risulta. 2. fig. a. Chiarezza, facilità di comprensione o di intuizione del senso o del significato, anche se non è espresso in modo esplicito: t. di un’allusione (e analogam. t. di un gesto, di un comportamento); t. di un’allegoria; t. di stile, dell’espressione, alto livello di semplicità formale e di chiarezza espressiva. b. Con riferimento ad atti, comportamenti, situazioni, modi di procedere, soprattutto nella vita pubblica e nei rapporti con la collettività, significa chiarezza, pubblicità, assenza di ogni volontà di occultamento e di segretezza […] 3. In senso concr., disegno che rappresenta le parti interne di un oggetto, di un impianto, di un meccanismo, vedute attraverso la struttura esterna tracciata nelle sue linee essenziali, come se fosse trasparente. » 5

La definizione lascia intendere in maniera già abbastanza evidente che il concetto in sé tende a racchiudere una moltitudine di sensi, con una matrice che risulta essere indubbiamente comune ma che permette già di coglierne diverse sfumature e manifestazioni. Il linguaggio alle volte può risultare gioco lezioso o addirittura come affermava l’artista e professore del Bauhaus László Moholy-Nagy «Il linguaggio non è in grado di formulare il significato esatto e la ricchezza di sfumature delle esperienze sensoriali » 6

Ciò risulta essere sicuramente vero, anche se si crede che il linguaggio nella sua imperfetta aderenza sia sempre stato tratto inscindibile dalla pratica architettonica almeno fin dai primi trattatisti rinascimentali. Su questa tematica Adrian forty nel suo libro Parole e edifici,

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INTRODUZIONE

un vocabolario per l’architettura moderna afferma che: « È opinione comune che quello che viene detto o scritto riguardo le opere di architettura sia soltanto una mera traccia di esse, un riflesso meno che adeguato della loro realtà; tuttavia, il linguaggio stesso costituisce una realtà che è equivalente, pur non essendo uguale a quella fornita dagli altri sensi. » 7

L’idea che la trasparenza da sola non bastasse, a definire e connotare una classe variegata di intenti e sensazioni fu intuita a partire dalla metà degli anni cinquanta dallo storico e teorico dell’architettura Colin Rowe e dall’artista statunitense Robert Slutzky. « “Simultaneità”, “compenetrazione”, “sovrapposizione”, “ambivalenza”, “spazio-tempo”, “trasparenza”: [...] Queste sono, si crede, le specifiche caratteristiche formali dell’architettura contemporanea; e, sebbene maturiamo una sensibilità in risposta a questi fenomeni, raramente cerchiamo di analizzare la natura della nostra reazione. Il tentativo di trasformare definizioni così approssimative in strumenti critici efficaci può, in verità, risultare futile e, forse, ogni tentativo del genere non può che risolversi in sofismi. Tuttavia è chiaro che, se non si esamina la natura evasiva di questi termini, si rischia di fraintendere quelle espressioni di lucida complessità alle quali possono riferirsi; ed è per questa ragione che qui si opera il tentativo di chiarire alcuni livelli di significato di quali il termine “trasparenza” è stato investito. » 8

Nel loro primo saggio sull’argomento, scritto tra il 1955 e 1956 Transparency Literal and Phenomenal, gli autori rifacendosi a teorie esposte da Sigmund Giedion9 a Gyorgy Kepes10 individuano due classi distinte della trasparenza. La trattazione pittorica è il punto di partenza di questo testo, che sembra rimarcare il legame indissolubile e la reciproca influenza tra l’architettura e la pittura delle avanguardie artistiche. Le opere di matrice cubista vengono analizzate nell’ottica di un gioco tensionale che si istaura tra la figura e il suo sfondo;

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tale analisi porta a distinguere una trasparenza di tipo letterale da un’altra di matrice fenomenica. La prima come manifestazione vivida del fenomeno, insita nelle qualità fisiche, cristalline in particolare del vetro; la seconda come costrutto fortemente concettualizzato di una componente spaziale; spazio non considerato secondo rigidezza costante ma come un’idea che muta nel tempo e nella percezione di chi la concepisce. Il testo sulla trasparenza di Rowe e Slutzky, (che verrà approfondito nel secondo capitolo) risulta essere il perno alla base della modalità operativa che si è tentata di attuare nel corso dei seguenti capitoli, cioè quello di accostare una classe di attributi e definizioni che accompagnino il fil rouge della trasparenza. Le categorie elencate sono da intendersi come focus o casi tematici, accompagnati da testi e citazioni critiche -di storici o degli stessi autori- che non hanno il presupposto o l’intenzione di istituire classi rigide o dogmatiche. Al contrario vogliono tentare di circoscrivere e delimitare un terreno vasto e sconfinato di fenomeni, intenzioni, sensazioni e dinamiche spaziali. Un alfabeto, un insieme di note trasparenti che compongono la sinfonia di una trasparenza universale.

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INTRODUZIONE

fig.4

Transparency Literal and Phenomenal, C. Rowe, R. Slutzky 1963

NOTE Vidler, A.,Il perturbante dell’architettura: saggi sul disagio nell’età contemporanea, Torino, Einaudi, 2006, pag.239 1

Curtis, W. J. R.,L’architettura moderna dal 1900, Milano, Phaidon, 2012, pag.595 2

3

Storica ditta francese nella produzione di vetro

Vidler, A.,Il perturbante dell’architettura: saggi sul disagio nell’età contemporanea, Torino, Einaudi, 2006, pag.239 4

5

Vocabolario Treccani, http://www.treccani.it/vocabolario/trasparente/

Forty, A.,Parole e edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna, Bologna, Pendragon, 2005, pag. 12 6

7

Ibid.

Rowe, C.,La matematica della villa ideale e altri scritti, a cura di Paolo Berdini, Bologna, Zanichelli Editore, 1993, pag. 147 8

9

Storico e critico dell’architettura 1888-1968

10

Pittore, educatore e teorico dell’arte 1906-2001

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TRASPARENZA APPARENTE


1


22


1. TRASPARENZA APPARENTE

S

e si parla di trasparenza la mente si sofferma sull’idea del poter vedere attraverso; il concetto dato per assodato racchiude in sé una sorta di componente “magica”. Si ha infatti la capacità di poter scorgere al dì là della materia ciò che accade, quando ciò non sarebbe possibile con un qualsiasi altro materiale che non presenti tale rara peculiarità. Il primo attributo che va a caratterizzare la trasparenza è proprio quello della sua manifestazione - in un certo senso più banale- ma allo stesso tempo più affascinante, l’apparenza. La trasparenza apparente è quindi quella nella sua componente letterale, propria del fenomeno fisico, che ne funge da innesco. Apparente è però una parola dal significato ambiguo, e che da questa ambiguità esplicita due componenti per certi versi dicotomiche della trasparenza. Come riporta il vocabolario Treccani, apparente è ciò: «1. a. Che appare chiaro, visibile, manifesto: non c’è tra i due fatti alcun nesso apparente. b. letter. Appariscente, di bella presenza. 2. Che pare ma non è (contrapp. a reale) […] » 1

Questa tensione che si tende ad istaurare porta a parlare della trasparenza letterale, in termini di gradualità della stessa. La trasparenza infatti può essere regolata; così che dalla (quasi) perfetta smaterializzazione della porzione opaca e quindi di una ricerca di “purovisibilità”, si possa giungere a un grado più sopito e meno rivelatore, che tende a sfuggire nell’opalescenza, alla fuggevolezza dell’ombra e alla perdita di fuoco dello sguardo.

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1. TRASPARENZA APPARENTE

PUROVISIBILITÀ Come afferma Adrian Forty «Trasparenza è un termine totalmente modernista, sconosciuto in architettura prima del XX secolo » 2

A partire da questo presupposto si tenterà di indagare il fenomeno della “purovisibilità” come metafora di perfetta trasparenza nella tradizione modernista, individuandone dei casi seminali nel processo di affermazione e definizione. «La superficie della Terra cambierebbe moltissimo se l’architettura in mattoni venisse eliminata e ovunque sorgesse al suo posto l’architettura di vetro. Sarebbe come se la terra si ricoprisse di gioie preziose smalto e brillanti. La magnificenza di un simile spettacolo è addirittura inimmaginabile. E ovunque avremmo sulla terra splendori e Delizie più grandi di quelle che si trovano nei giardini delle Mille e una notte. Avremo un paradiso sulla terra, e non sentiremo più il bisogno di guardare con nostalgia al Paradiso nel cielo. » 3

Con queste parole Paul Scheerbart nella sua opera Glasarchitektur, descrive l’auspicio di una società futura, che rifugga dall’idea di edificio come scatola chiusa, aprendosi ai vantaggi morali ed estetici della trasparenza. La componente favolistica e utopica di questo scritto ci aiuta a comprendere il clima dei primi decenni del novecento, in cui le diverse correnti architettoniche si scontravano e incontravano in una sedimentazione programmatica, che avrebbe portato alla “cristallizzazione” di questi concetti in quello che sarà poi chiamato International style. fig.5

Casa Farnswoth, Ludwig Mies Van Der Rohe, Chicago 1951

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PUROVISIBILITÀ

La corrente architettonica espressionista4, di cui lo stesso Scheerbart era precursore, auspicava che i nuovi materiali da costruzione con un particolare accento sul vetro si sarebbero fatti “demiurgo” di obiettivi di trasparenza e leggerezza nell’architettura così come nella società che da essa ne sarebbe venuta. Il suo amico nonché destinatario di questa opera poetica, l’architetto Bruno Taut, sembra incarnare questi valori in occasione dell’Esposizione del Deutscher Werkbund realizzando il Padiglione di vetro (Colonia, 1914), in cui le fantasticherie scheerbartiane sembrano concretizzarsi. « L’impiego di vetro trasparente, opaco, colorato, la varietà degli effetti di luce naturale e artificiale, l’esile struttura che rendeva l’edificio quanto possibile simile a un cristallo, splendente al buio di luce propria, mostravano come l’intento di Taut fosse quello non solo di esaltare le possibilità tecniche espressive del vetro, ma soprattutto di offrire la rappresentazione concentrata di un futuro ideale, il manifesto di un mondo utopico di cui una simile architettura avrebbe dovuto costituire lo strumento di costruzione ed il volto. » 5

Se il vetro era certamente tema essenziale, l’assoluta trasparenza non veniva ancora perseguita; gli effetti cromatici dei vetri colorati invocavano sensazioni caleidoscopiche, traslucide. Il presupposto era sì di trasparenza ma in un senso di suggestione per mezzo di elementi scintillanti, non era quindi necessario vedere ad ogni costo ma filtrare e stupire. Nel 1925 la scuola del Bauhaus diretta dall’architetto Walter Gropius abbandona la città di Weimar, dove era stata fondata nel 1919. Il clima di intolleranza verso le idee progressiste della scuola che venivano accusate di “degenerazione culturale” e “bolscevismo”, divennero sempre più insostenibili lasciando pre-

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig.6

fig.7

Glaspavillon, Bruno Taut, Colonia 1914

Dettaglio scala interna

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PUROVISIBILITÀ

-sagire quello che sarebbe stato il clima negli anni trenta con l’avvento del nazismo. La scuola si sposta così nella città di Dessau, dove Gropius è chiamato a progettare in un terreno pianeggiante fuori città, la nuova sede dell’istituto. «Le superfici vetrate trascendevano le proprie caratteristiche meramente formali o funzionali, diventando un emblema dell’età della macchina. Talvolta il vetro fu posato a filo con la facciata, rinforzando il carattere volumetrico complessivo di uno spazio contenuto da una membrana; altre volte venne arretrato, accentuando i bianchi piani orizzontali sospesi; e tutte queste scelte di dettaglio dovevano articolare i più ampi movimenti e temi del progetto. » 6

Nella sede del Bauhaus di Dessau si assiste quindi alla maturazione di concetti che in precedenza erano stati tentati o immaginati dalle avanguardie così come anche dallo stesso Gropius con Adolf Meyer nelle Officine Fagus (1911). La trasparenza qui assume un ruolo se non di assoluto protagonismo, di una necessaria simbiosi, contribuendo e rafforzando i piani solidi in un gioco di pieni -bianchi e puri- e di vuoti, dati dalle grandi superfici vetrate che esibiscono l’articolazione della struttura, scandendo la funzione dei vari spazi. Se il Bauhaus di Gropius aveva incarnato la tematica della trasparenza conferendole protagonismo o almeno una forte rilevanza progettuale, è probabilmente con l’architetto Ludwig Mies van der Rohe che la trasparenza nella sua forma letterale giunge al suo stadio più puro. L’architetto tedesco negli anni venti muovendosi nel solco della corrente espressionista, partecipa al concorso per il Grattacielo nella Friedrichstrasse (Berlino, 1921) dove immagina una torre interamente vetrata dalle forme prismatiche. « Le forme taglienti, le romantiche silhouette, il ricco gioco di superfici trasparenti e riflettenti sembrano suggerire sia una cattedrale di cristallo che l’edificio per uffici » 7

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig.8

fig.9

fig.10

Scuola del Bauhaus, Walter Gropius, Dessau 1925

Assonometria

Grattacielo Friedrichstrasse, Ludwig Mies Van Der Rohe, Berlino 1921

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PUROVISIBILITÀ

I rimandi sono ancora fortemente legati alle visioni di Taut e di Scheerbart se pur l’edificio sembra essere spogliato di una componente totalmente utopica, stabilendo piuttosto una azione programmatica. « L’architettura è sempre volontà di un’epoca tradotta in spazio, nient’altro. » 8

La suggestione si basava infatti sui progetti concreti delle torri per uffici che oltreoceano avevano ridisegnato la fisionomia di città come Chicago. Tra gli anni venti e trenta Mies realizza una serie di opere di fondamentale importanza che contribuiranno a definire e rafforzare la sua cifra stilistica-progettuale. Tra il 1928 e il 1930 realizza Casa Tugendhat in cui le logiche spaziali introdotte nel Progetto per una Villa in mattoni (1923) e nel Padiglione tedesco realizzato un anno prima a Barcellona (1929) sembrano concretizzarsi in un ambiente domestico, in cui le ampie superfici vetrate e una pianta libera gerarchizzata da pareti piane esprimono una raffinatezza classica, reinventata mediante il linguaggio della macchina. La completa maturazione dei concetti espressi in queste prime opere giunge a compimento nella fase americana, in cui l’architetto lascia la Germania nazista (1937) alla volta degli Stati Uniti d’America. Il clima statunitense permette a Mies di realizzare i suoi primi grattacieli: appartamenti a Lake Shore drive (Chicahgo 1948-51) e il Seagram Building (con Philip Johnson, New York City 1954-58) in cui le velleità utopiche espressioniste sembrano essersi spogliate, elementarizzate in un’estetica sì sublime ma che rinuncia a concetti messianici e rivoluzionari. Più o meno contemporaneamente ai grattacieli Mies realizza la Crown Hall dell’Illinois Institute of Technology (1956-60)

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig.11

Villa Tugendhat, Ludwig Mies Van Der Rohe, Brno, Repubblica Ceca 1930

fig.12

Seagram Building, Ludwig Mies Van Der Rohe, New York 1958

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PUROVISIBILITÀ

e la Casa Farnsworth (Plano, Illinois 1945-51); in quest’ultima in particolare l’architetto tedesco riesce a esprimere il concetto della scatola vetrata in tutta la sua potenza, andando a definire (o consolidare) il concetto di “trasparenza miesiana” come di una pura permeabilità dello sguardo e leggerezza. « Qui, la cristallina scatola di acciaio si poneva di nuovo con un ideale classico. Nella forma complessiva nel dettaglio, quelli che Wright aveva chiamato “gli elementi più bassi dell’architettura” furono distillati in una versione meccanicista è sospesa, di plinto, supporto e architrave. Ma la composizione faceva anche “scivolare la casa” e la sua pedana di ingresso l’una sull’altra, in un modo che ricordava la pittura astratta degli anni venti. » 9

La “cristallina scatola” che Mies van der Rohe va a realizzare trascende il suo aspetto più funzionale e cioè quello della abitazione (per cui si dimostrerà inadeguata), scomponendo l’idea di casa, di edificio e alle sue linee più essenziali. La continuità con il paesaggio esterno è pressoché assoluta -perfino lo scarno mobilio interno rappresenta un intralcionon c’è un dentro, non c’è un fuori oppure l’uno si congiunge con l’altro. Come un nastro di Möbius10; la superficie è interna poi esterna e viceversa; esiste un solo lato, un solo bordo. Rimane un solo ed ultimo limite, quello della fisicità della materia. « Anche la natura dovrebbe vivere la sua propria vita. dovremmo guardarci dal turbarla con i colori delle nostre case e degli arredi. dovremmo invece sforzarci di ricondurre a unità superiore la natura, le case e gli uomini. Se si osserva la natura attraverso le pareti vetrate di Casa Farnsworth, essa acquista un significato più profondo rispetto a quando vi trovate all’esterno. così si esprime la natura - essa diventa parte di un tutto più vasto. » 11

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig.13

Casa Farnswoth, Ludwig Mies Van Der Rohe, Chicago 1951

NOTE 1

Vocabolario Treccani http://www.treccani.it/vocabolario/apparente/

Forty, A.,Parole e edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna, Bologna, Pendragon, 2005, pag. 304 2

Movimento culturale europeo circoscrivibile a circa un ventennio che coincide con i primi anni del 1900, inquadrabile nelle cosiddette avanguardie artistiche e sviluppato soprattutto in Germania 3

Scheerbart, P.,Glasarchitektur, ed. it. Architettura di vetro, Torino, Adelphi, 2004, pag.35 4

De Benedetti, M. e Pracchi, A., Antologia dell’architettura moderna. Testi, manifesti, utopie, Bologna, Zanichelli Editore, 2010, pag.240 5

Curtis, W. J. R.,L’architettura moderna dal 1900, Milano, Phaidon, 2012, pag.196-197 6

7

Ibid. pag.189-190

Mies van der Rohe in De Benedetti, M. e Pracchi, A., Antologia dell’architettura moderna. Testi, manifesti, utopie, Bologna, Zanichelli Editore, 2010, pag.402 8

Curtis, W. J. R.,L’architettura moderna dal 1900, Milano, Phaidon, 2012, pag.403 9

10

In matematica, e più precisamente in topologia, il nastro di Möbius è un esempio di superficie non orientabile e di superficie rigata Zimmerman, C., Mies van der Rohe, ed. it. Mies van der Rohe, Colonia, Taschen, 2016, pag 11

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1. TRASPARENZA APPARENTE

LA FINESTRA La finestra è stata probabilmente, l’elemento architettonico che più di tutti - nella tradizione pre-moderna - ha rappresentato un primo approccio a quel desiderio di mettere in relazione l’esterno con l’interno dell’edificio. Questo desiderio, come si è visto, aveva trovato la sua piena attuazione durante il XX secolo con la progressiva smaterializzazione della parete che si faceva essa stessa finestra. Se la sua sorte sembrava quella di scomparire così come era scomparsa la funzione portante dell’involucro, così non accadde, poiché si trasformò ribadendo la propria importanza di elemento primario anche nei contorni tracciati dell’architettura moderna. L’architetto Le Corbusier, uno dei padri del movimento moderno, nel 1926 illustra i suoi cinque punti, definendoli “certezze” di un nuovo modo di comporre l’architettura; tra di essi afferma proprio il ruolo della finestra e più precisamente della fenêtre en longueur (la finestra a nastro). « La finestra è uno degli elementi essenziali della casa. Il progresso porta una liberazione. Il cemento armato rivoluziona la storia della finestra. Le finestre possono correre da un bordo all’altro della facciata. La finestra è l’elemento meccanico-tipo della casa; per tutti i nostri alloggi unifamiliari, le nostre ville, le nostre case operaie, i nostri edifici d’affitto » 1

La trasformazione semantica e formale che investe la finestra è ben espressa da una serie di dichiarazioni polemiche avvenute a partire da un’intervista dell’architetto Auguste Perret nel 1923 ai danni proprio dello stesso Le Corbusier. Il primo difendeva il modello della “finestra francese” alta e verticale, l’altro il modello della finestra a nastro, bassa e fig.14

La condizione umana, Renè Magritte 1933

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LA FINESTRA

orizzontale, che non aveva più il mero scopo di “mostrare” ma di liberare e tagliare la parete selezionando la parte di paesaggio da mostrare. Perret: « La funzione richiede la forma, ma la forma non deve sostituire la sua funzione... Tuttavia, vediamo nel lavoro di Le Corbusier una tendenza a utilizzare cluster di finestre per ottenere il volume, che lasciano grandi aree della parete completamente vuote; oppure per un capriccio artistico, costruisce finestre dalle forme scomode, finestre che presentano un eccessivo allungamento orizzontale. Dall’esterno questo può fare un’impressione originale, ma temo che dall’interno lo sia molto meno perché il risultato è che almeno la metà delle camere sono senza luce naturale, e credo che questo è prendere l’originalità troppo da lontano. » 2 Le Corbusier: « Ed ecco l’ultimo insulto del signor Perret: le mie finestre non hanno abbastanza luce. Questa accusa mi fa davvero infuriare perché la sua falsità è più che evidente. Cosa vuol dire? Mi sforzo di creare interni ben illuminati..., questo è il mio obiettivo primario, e questo è esattamente il motivo per cui l’aspetto esteriore delle mie facciate potrebbe sembrare un po’ bizzarro agli occhi delle creature abitudinarie. Il signor Perret sostiene che io creo intenzionalmente una bizzarria. Esattamente – “intenzionalmente”. Ma questo non è per il fine stesso del bizzarro, ma al fine di consentire il massimo apporto di luce e aria nelle mie case. Questo cosiddetto capriccio non è altro che il mio desiderio di rispettare le esigenze più elementari degli abitanti . » 3

Circa sei mesi dopo quando Perret aveva costruito la sua galleria d’arte “Palais de Bois” in cui impiega la finestra a nastro, Le corbusier non riesce a fare a meno di ironizzare inserendo nel suo Almanacco uno schizzo che raffigurava Perret seduto su una poltrona davanti alla finestra del “Palais de Bois” e lo stesso Le Corbusier che incontrandolo si congratula con lui e afferma “davvero graziosa, la tua finestra a nastro”. Passato altro tempo Perret tornò ad affermare che non solo la finestra a nastro era inadeguata ma che non rispondeva

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig.15

August Perret siede nel suo “Palais de Bois” , Le Corbusier 1924

fig.16

Schizzi sul differente apporto di luce, Le Corbusier 1923

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LA FINESTRA

nemmeno alle (presunte) logiche formali-organiche che erano insite nella finestra verticale. « In realtà, la finestra a nastro non è nemmeno una finestra. Categoricamente: una finestra, è l’uomo stesso! » 4

E quando Le Corbusier affermò che l’occhio umano può solo catturare una visione orizzontale, ribadì seccamente: « Detesto i panorami » 5

Il siparietto dai tratti quasi ironici lascia comprendere che i due punti di vista erano figli di due visioni e epoche differenti. Perret si opponeva alla finestra a nastro (come si è visto dimostrando anche incoerenza ) perché secondo lui non facilitava una corretta illuminazione oltre che non permetteva una visione completa dello spazio esterno – giardino, strada, cielo- come invece permetteva la finestra verticale. Le corbusier d’altro canto, affermava che la finestra a nastro era la soluzione migliore per garantire la giusta distribuzione della luce; inoltre sviluppandosi per l’intera parete in senso orizzontale tendeva a scomparire ai lati del cono visivo, di conseguenza la finestra perdeva le sue caratteristiche di cornice, divenendo un lamina sottile che sembrava estendersi all’infinito.

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig.17

Vista attraverso la finestra a nastro, Le Corbusier 1923

NOTE Le Corbusier,Oeuvre Complète 1910-1929, Zurigo, Les éditions Girsberger, 1993, pag. 128 1

FDeplazes, A., Constructing Architecture: Materials, Processes, Structures: A Handbook, Berlino, Birkhäuser, 2005, pag. 172 2

3

Ibid. pag. 176

4

Ibid. pag. 177

5

Ibid. pag. 177

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1. TRASPARENZA APPARENTE

OPALESCENZA Se apparente è anche ciò “che pare ma non è”, la trasparenza qui entra in uno stadio di vaghezza voluta e controllata. La “purovisibilità” lascia il posto alla sfocatura che si imprime garantendo un certo grado di privacy e riservatezza, così i materiali impiegati permettono sì una certa permeabilità visiva, ma attenuata. Le figure si fanno opache e sfuggenti, in una perdita di fuoco che ripudia la nitidezza dello sguardo. Come si è visto già nelle opere di Taut così come nelle visioni scheerbartiane il tema del traslucido era presente, accompagnando e per certi versi anticipando il concetto di trasparenza assoluta. Un progetto di fondamentale importanza sull’impiego di questa manifestazione della trasparenza è la Maison de Verre realizzata a Parigi nel 1931 dagli architetti Pierre Chareau e Bernard Bijvoet. Progettata per i coniugi Annie e Jean Dalsace l’edificio doveva combinare le funzioni di una clinica medica e di una abitazione privata; il lotto su cui era costruita presentava delle dimensioni ristrette e la pianta riccamente elaborata doveva rispondere a separare le due funzioni. La precedente abitazione fu demolita nella sua totalità lasciando intatto l’ultimo piano che apparteneva ad un’altra proprietà; la struttura in muratura portante fu sostituita con una puntiforme, in acciaio, che permise di ribassare i piani preesistenti aggiungendo un terzo livello ottenendo allo stesso tempo lo sviluppo di una pianta libera. Il problema luminoso risultava di fondamentale importanza in quanto delle semplici finestre risultavano insufficienti a fig.18

Maison de Verre, Pierre Chareau, Parigi 1932

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OPALESCENZA

illuminare i piani ora portati a 2,3 metri di altezza; il lotto inoltre si apriva su due soli lati: dalla parte dell’ingresso e del giardino retrostante. Proprio su questi due fronti gli architetti istallarono una soluzione completamente vetrata, fatta di blocchi in vetrocemento traslucido, che avrebbero coniugato allo stesso tempo, il massimo apporto di luce possibile e l’esigenza di uno schermo, di un senso di riservatezza e privacy. « Il vetrocemento avrebbe dovuto fungere da velo, che filtrava all’interno la luce grigio-argento di Parigi, ma che teneva anche a distanza il mondo » 1

La risposta a queste logiche funzionali fece della Maison de Verre un esercizio compiutamente riuscito di una moderna “macchina per abitare”2. L’impiego del vetrocemento, nelle ore notturne riversava una luce spalmata e rarefatta rendendo l’edificio quasi fluttuante e immateriale, aprendosi, ma allo stesso tempo chiudendosi al mondo esterno. L’eco del fascino della Maison de Verre ha ammaliato anche gli architetti della contemporaneità. Ad esempio Renzo Piano nel progetto per la Maison Hermès a Tokio (1998) ha espressamente dichiarato si essersi ispirato a questo capolavoro del moderno. « A Parigi, in Rue Saint-Guillaume, c’è un piccolo edificio a cui ci siamo in qualche modo rifatti: è la Maison de Verre di Pierre Chareau. Prima di iniziare il progetto lo visitai, per la decima volta, con Rena Dumas e mia moglie Milly. La sua forza d’ispirazione è incredibile: un piccolo capolavoro di riservatezza e di luce. » 3

Il progetto realizzato dall’architetto italiano a Tokio nasceva dall’esigenza della casa di moda francese Hermès di realizzare il suo nuovo quartier generale giapponese. Il lotto stretto e lungo (45x11 metri) si posizionava su una

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig. 19

fig.20

Maison de Verre, Prospetti

Maison de Verre, spaccato assonometrico

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OPALESCENZA

delle più trafficate strade di Tokio, più precisamente nel quartiere Ginza, dove il poco spazio a disposizione per costruire rendeva necessario che l’edificio si sarebbe sviluppato soprattutto in altezza. « La Maison Hermès nasceva per ospitare tutto ciò che siamo abituati a collegare con la moda (vetrina e boutique, uffici e workshop, sfilate ed esibizioni multimediali), ma senza nascondere nulla, anzi trasformando ogni prodotto e ogni gesto in una attrazione per la smaliziata città di Tokyo. Fin dai primi incontri con il cliente fu chiara una cosa: questa torre non poteva essere opaca, chiusa e segreta come il contenitore di una azienda qualunque. Doveva mostrarsi ai passanti luminosa, aperta e sensuale. Una vetrina che contiene altre vetrine, e artigiani al lavoro. » 4

Per ottenere tutto ciò per il rivestimento in facciata fu adottata una “piastrella” vetrata, che ricopriva l’intera superficie con un modulo ripetuto pari a 45 centimetri. L’increspatura data dalla pressa nel realizzare le “piastrelle” -ottenute a partire da un’unica goccia di vetro fuso- le rendevano una diversa dall’altra. Il gioco che si veniva così a creare era quello di una sorta di lanterna che in un alternarsi di cangianze e traslucidità emanava luce rarefatta, lasciando scorgere ma non vedere l’interno dell’edificio. « Avvolgendo la Maison Hermès in un kimono di vetro, l’abbiamo resa protagonista della vita notturna di Ginza. Con il buio, la torre riflette, centuplicandoli, i colori della città. E attraverso le piastrelle si crea un gioco di luci e apparenze, come attraverso l’acqua in movimento, che fa intravedere ma non cogliere le forme e i colori all’interno. » 5

Anche l’architetto Peter Zumthor sì è misurato con il tema dell’opacità e della traslucenza nel realizzare la Kunsthaus Bregenz (1997) un museo di arte contemporanea nella città austriaca di Bregenz, sulle rive del lago di Costanza. L’edificio si presenta in una configurazione cubica interamente ricoperta da una facciata di lastre di vetro smerigliato

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig.21

Maison Hermès , Renzo Piano, Tokio 2001

fig.23

fig.22

Dettaglio facciata

Kunsthaus Bregenz, Peter Zumthor, Bregenz 1997

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OPALESCENZA

autoportante, completamente autonoma rispetto alla struttura interna realizzata in calcestruzzo armato. Dall’esterno il museo prende le sembianze di una sorta di grande faro luminoso che restituisce una visione opalina e cangiante del suo interno. « Dall’esterno, l’edificio sembra una lampada. Assorbe la luce mutevole del cielo, la foschia del lago, riflette la luce e il colore e da un accenno della sua vita interna a secondo dell’angolo di visione, della luce del giorno e delle condizioni climatiche. » 6

L’effetto fluttuante e movimentato in facciata è creato proprio grazie alle capacità traslucide del vetro e da una particolare posatura delle lastre (tutte delle stesse dimensioni) che non sono ne tagliate, ne perforate ma sostenute da grandi morsetti in acciaio che le distanziano sfalsandole nella profondità; l’effetto che si viene a creare è quello di una sorta di superfice squamosa e vibrante. « Sembrano piume leggermente arruffate o come una struttura squamosa di grandi pannelli di vetro. » 7

Anche nella Kunsthaus Bregenz -come nei due casi precedenti- il tema della luce diventa centrale nella lettura dell’edificio. Ciò si evince nella sua facciata così come negli spazi interni, che articolano il percorso dell’utente in uno sviluppo ascensionale tra le varie sale espositive poste ai vari livelli. La luce e i suoi giochi fatti di increspature e oscillazioni sembrano quindi essere l’elemento simbiotico dell’opalescenza. E infondo, forse è proprio questa l’essenza dell’opacità, un’esperienza di luce rarefatta che diviene palpabile.

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1. TRASPARENZA APPARENTE

fig.24

Piante: piano terra e primo piano

fig.25

Dettaglio facciata

NOTE Curtis, W. J. R.,L’architettura moderna dal 1900, Milano, Phaidon, 2012, pag.268 1

2

Concetto meccanicista espresso da Le corbusier in Vero una Architettura 1923

Piano, R., Giornale di bordo. Autobiografia per progetti (1966-2016), Firenze, Passigli, 2016, pag. 320 3

4

Ibid. pag. 318

5

Ibid. pag. 320

Zumthor, P., Buildings and Projects 1985-2013, Zurigo, Scheidegger and Spiess,2014 pag.214 6

7

Ibid.

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TRASPARENZA FENOMENICA


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2. TRASPARENZA FENOMENICA

T

ra il 1955 e 1956 lo storico e teorico dell’architettura Colin Rowe e l’artista Robert Slutzky redigono un testo che partendo da presupposti pittorici cubisti tenta di analizzare due diverse manifestazioni della trasparenza, Transparency Literal and Phenomenal. Il concetto di trasparenza fenomenica si presenta in uno stadio fortemente concettualizzato, in cui non il vetro ma i piani del manufatto architettonico, divengono i principali protagonisti. Il carattere fenomenico su cui sembrano insistere i due autori è quello del conoscibile nell’esperienza e attraverso i sensi, che invoca una lettura profonda del manufatto; radicale nel senso di archè. Da tale analisi deriva un’interpretazione del piano che potrebbe essere definita gestaltica1, riducendo così gli elementi a oggetti primari, di figura e sfondo, che nel turbinio del loro alternarsi restituiscono una lettura prospettica centrale che tende ad appiattire la profondità dello spazio, in un continuo rimando di sensazioni e negazioni spaziali.

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2. TRASPARENZA FENOMENICA

I PRESUPPOSTI Il testo comincia elencando le qualità e le definizioni di cui il termine trasparenza è stato investito, partendo dall’assunto base della definizione data da Gyorgy Kepes in Language of vision (1944), in cui secondo gli autori è nascosta l’idea seminale di questo tipo di trasparenza ambigua. « Se vediamo due o più figure che si sovrappongono parzialmente, e ciascuna pretende come sua la parte sovrapposta in comune, siamo di fronte a una contraddizione di direzioni spaziali. Per risolverla dobbiamo presupporre l’esistenza di una nuova qualità ottica. Le figure sono dotate di trasparenza, sono cioè in grado di interpenetrarsi senza una reciproca distruzione ottica. La trasparenza tuttavia implica qualcosa di più di una caratteristica ottica, cioè un più ampio ordine spaziale. Trasparenza significa percezione simultanea di diverse situazioni spaziali. Lo spazio non solo regredisce, ma fluttua in una attività continua. La posizione delle figure trasparenti ha un significato equivoco perché vediamo ogni figura ora come la più vicina, ora come la più lontana » 2

Le parole di Kepes per Rowe e Slutzky risuonano come una chiave essenziale. Il tipo di trasparenza qui espressa, non ha niente a che vedere con le caratteristiche del vetro o di altri materiali comunamente considerati trasparenti; non c’è quel fenomeno della “reciproca distruzione ottica” che permette di osservare attraverso, con chiarezza, ma si assiste a una percezione ambigua e simultanea delle “diverse situazioni spaziali”. Entrambi i tipi della trasparenza a detta dei due autori possono essere riscontrate nelle opere cubiste con un’opportuna distinzione. fig.26

Il Clarinettista, Picasso 1912

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I PRESUPPOSTI « È possibile che la nostra percezione della trasparenza letterale abbia una duplice origine: ciò che si può designare un’estetica della macchina e la pittura cubista; ed è probabile che la nostra percezione della trasparenza fenomenica derivi esclusivamente della pittura cubista. » 3

Da tale assunto inizia una comparazione tra diverse opere di matrice cubista, mettendo in evidenza i caratteri che connotano l’uno o l’altro tipo di trasparenza. Il primo esempio prende in esame il Clarinettista di Pablo Picasso (1911) e il Portoghese di Georges Braque (1911); le due figure a un primo sguardo superficiale sembrano replicare dei gesti analoghi, entrambi infatti iscrivono la figura principale in uno schema piramidale, utilizzando tecniche compositive tipiche del cubismo analitico. Osservandole più attentamente però si afferma una differenza sostanziale; il modo con cui la figura sembra dialogare con lo sfondo diverge nettamente da un’opera all’altra. « Il contorno di Picasso è affermativo è indipendente dallo sfondo, così da permettere all’osservatore di distinguere una figura sicuramente trasparente, posta ritta in uno spazio dotato di relativa profondità; e, soltanto successivamente, di ridefinire questa sensazione, per tener conto della ridotta profondità dello spazio. Con Braque, invece, la lettura del quadro segue un ordine inverso. Un elaborato intersecarsi di reticolati verticali e orizzontali, generato da linee aperte e piani sovrapposti, configura uno spazio poco profondo, e solo gradualmente l’osservatore diviene capace di cogliere in questo spazio una profondità che consente alla figura di assumere consistenza. » 4

La differenza di profondità e la netta o attenuata separazione tra figura e sfondo sembrano segnare il discrimine quindi tra i due tipi di trasparenza: letterale nel caso di Picasso; fenomenica in quello di Braque. Un altro concetto a cui i due autori sembrano dare particolare rilevanza nel differenziare queste due classi è la trasparenza del vetro contrapposta a quella del reticolo.

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2. TRASPARENZA FENOMENICA

fig.27

Il Clarinettista, Picasso 1912

fig. 28

Il Portoghese, Georges Braque, 1911

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I PRESUPPOSTI

Prendendo in esame ancora una volta una coppia di opere pittoriche tardo-cubiste rispettivamente, Tre volti di Fernard Léger (1926) e La Sarraz di László Moholy-Nagy, mettono in evidenza proprio questa distinzione. In la Sarraz si possono osservare delle forme rigide e fluide che si sovrappongono, mostrando questa stratificazione vetrosa, tipica della trasparenza letterale; l’apparente caoticità compositiva lascia emergere in un’unica lettura tutta la profondità dello spazio. In Tre Volti invece si assiste a un’operazione per certi versi dicotomica; le diverse figure ora geometriche, ora organiche sono disposte in una struttura che ne denuncia il reticolo, rinunciando a ogni richiamo di volume; l’occhio osservando l’opera non si concentra su un’unica lettura ma si muove individuando le possibili configurazioni. « A differenza di Moholy, Léger allinea oggetti pittorici l’uno accanto all’altro ad angolo retto e ai margini del piano del dipinto; egli assegna agli oggetti un colorito piatto e opaco, offrendo così la possibilità di leggere le figure in relazione allo sfondo, grazie a una disposizione compressa di superfici dall’elevato grado di contrasto; e mentre Moholy sembra aver spalancato una finestra su una versione privata dello spazio esterno, Léger, lavorando in una struttura quasi bidimensionale, consegue il massimo di chiarezza formale, «negativa» e «positiva». » 5

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2. TRASPARENZA FENOMENICA

fig. 29

fig. 30

Tre volti, Fernard Lège, 1926

La Sarraz, Laszlò Moholy-Nagy 1930

NOTE Dal tedesco Gestaltpsychologie, “psicologia della forma” o “rappresentazione”, è una corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e dell’esperienza. 1

Rowe, C.,La matematica della villa ideale e altri scritti, a cura di Paolo Berdini, Bologna, Zanichelli Editore, 1993, pag.148 2

3

Ibid. pag. 149

4

Ibid. pag. 152

5

Ibid. pag. 156

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2. TRASPARENZA FENOMENICA

LA TERZA DIMENSIONE Dalla serie di confronti di natura pittorica necessari a definire il concetto di trasparenza fenomenica Rowe e Slutszky, spostano la loro attenzione all’ambito architettonico. La premessa alla base di tale passaggio è quella di sottolineare la differenza tra pittura e architettura, infatti se la prima può soltanto implicare la profondità, la seconda non può in alcun modo farne a meno. « In architettura, la trasparenza letterale si vede accordata la realtà della terza dimensione invece della sua contraffazione e può quindi diventare un evento effettivamente fisico; tuttavia, la trasparenza fenomenica sarà più difficile da conseguire; ed è, in verità, così difficile da discutere che, in generale, i critici si son trovati d’accordo nell’associare la trasparenza in architettura esclusivamente a una trasparenza di materiali. » 1

La prima precisazione cioè, l’estrema difficolta di trasporre la trasparenza fenomenica in architettura, sembra un tentativo da parte dei due autori -in parte a ragione- atto a giustificare la probabile sorpresa del lettore davanti al fatto che come si vedrà, sia stata raggiunta solo da Le Corbusier. Difatti il testo che verrà pubblicato ben sette anni dopo la sua stesura (1963) grazie all’Universita di Yale tra le pagine di “Prospecta”, viene accusato di avere una visione troppo “lecorbu-centrica”, per esempio dalla rivista britannica The Architectural review che rifiuterà di pubblicarlo proprio per queste motivazioni. La seconda questione, che riguarda l’incapacità dei critici di apprezzare questa sfumatura della trasparenza, si dimostra il pretesto alla base della critica nei confronti dello storico Sigfried Giedion e del suo libro Space, time and Architecture. fig.31

Villa Stein-de-Monzie, Le Corbusier, Garches 1928

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LA TERZA DIMENSIONE

Più precisamente la critica è mossa a un passaggio in cui Giedion paragona l’opera pittorica l’Arlèsienne (1911-12) di Picasso all’edificio del Bauhaus di Walter Gropius. Giedion si sofferma sulle analogie trasparenti tra le due opere, indicando nelle “ampie superfici trasparenti” e in quei “rapporti di piani sospesi” della scuola tedesca un analogia più che evidente con l’opera di Picasso e con il cubismo analitico in generale. A tali affermazioni i due autori dichiarano che le sue conclusioni sono sì vere ma insufficienti, difatti in entrambi i casi è presente quella componente della trasparenza che sembra lasciar vedere, propria della fisicità del materiale e che come si è visto si è definita trasparenza letterale; tuttavia nell’opera di Picasso è osservabile un reticolo complesso che si struttura con la sua definizione dei bordi, introducendo una lettura fatta di alternative e non di cristalline certezze come invece sembra accadere nel Bauhaus. « l’Arlèsienne possiede quel significato equivoco e fluttuante che Kepes considera caratteristico della trasparenza; mentre la parete di vetro del Bauhaus, una superficie priva di ambiguità che avvolge uno spazio privo di ambiguità, sembra essere straordinariamente estraneo a tale caratteristica; di conseguenza, per trovare testimonianza di ciò che abbiamo designato trasparenza fenomenica, è altrove che dobbiamo indirizzarci » 2

L’altrove a cui fanno riferimento Rowe e Slutszky è Villa Stein-de-Monzie (1926) a Garches di Le Corbusier. L’ edificio come fanno notare, impiega pareti sottili a sbalzo e un piano terra rientrante come il Bauhaus, anche l’utilizzo dell’elemento vetrato a prima vista non sembra essere differente, infatti in entrambi corre fino ad avvolgere l’angolo. Già su questo primo punto però, la differenza appare del tutto notevole in quanto Le Corbusier sembra utilizzare il vetro per la sua essenza di planarità mentre Gropius per le sue caratteristiche trasparenti.

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2. TRASPARENZA FENOMENICA

fig.32

fig.33

Arlèsienne, Pablo Picasso 1912

Scuola del Bauhaus, Walter Gropius, Dessau 1925

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LA TERZA DIMENSIONE « Ma il vetro a stento sembra aver incantato Le Corbusier; e; quantunque sia possibile guardare attraverso le sue finestre, non è lì che va ricercata la trasparenza del suo edificio.» 3

La trasparenza che infatti evoca Le Corbusier è quella dei concetti primario che generano l’edificio; i piani orizzontali dei solai, così come quelli verticali delle facciate sembrano essere quasi sospesi e indipendenti l’uno dall’altro, la stratificazione spaziale sembra lasciare intravedere la somiglianza con il quadro di Lèger Tre volti, che con un approccio del tutto bidimensionale aveva abolito la profondità dello spazio. Il risultato raggiunto nella Villa Stein-de-Monzie è in un certo senso del tutto analogo, Le Corbusier attraverso piani frammentati e incompleti, disposti in un spazio poco profondo, sembra rinunciare a qualsiasi pretesa di tridimensionalità, imponendo una lettura frontale dell’edificio in cui si avvertono soltanto le “più sottili deviazioni della prospettiva centrale”. L’organizzazione spaziale interna si apre in dichiarata polemica con la facciata, poiché assume un andamento perpendicolare rispetto ad essa dichiarando quella dialettica spaziale enunciata da Kepes tra realtà e sottointeso. « Le cinque stratificazioni spaziali che dividono verticalmente l’edificio, e le quattro che lo tagliano orizzontalmente, tutte, alternativamente, richiederanno attenzione; e questa concezione dello spazio come successione di reticoli si risolverà, poi, in un continuo fluttuare di interpretazioni » 4

In un secondo esempio gli autori prendono in esame il Progetto del Palazzo della Società delle Nazioni (1927) a Ginevra, progetto di Le Corbusier che non fu mai realizzato. Riprendendo la comparazione con l’edificio del Bauhaus, si può notare che entrambi sono caratterizzati da blocchi a sezione ristretta ma già a partire dalla loro distribuzione sembrano emergere le prime differenze. L’impianto di Gropius infatti si articola secondo una compo-

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2. TRASPARENZA FENOMENICA

fig.34

Villa Stein-de-Monzie, Le Corbusier, Garches 1928

fig.35

Prospetto sul giardino posteriore

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LA TERZA DIMENSIONE

-sizione vorticosa ad elica; quello di Le Corbusier invece si organizza mediante un “sistema di striature più rigido di quanto non sia evidente a Garches”. Nei corpi principali del segretariato posti sulla destra, si assiste a una accentuata estensione laterale, ribadita anche dall’edificio dell’Assemblea generale, che funge da schermo al volume trapezoidale dell’auditorium posto subito dietro. In quest’ultimo, le pareti laterali vetrate, entrano in contrasto con la visione privilegiata del podio presidenziale, che posto al centro della sala introduce una sorta di tensione trasversale. « In questo modo, una contraria asserzione di profondità spaziale diventa un’affermazione altamente positiva e sembra suggerita principalmente da una figura romboidale, il cui asse principale passa attraverso l’edificio dell’Assemblea Generale e il cui profilo è costituito dalla proiezione speculare del volume dell’auditorium lungo le vie d’accesso alla cour d’honneur » 5

Ma di nuovo questa sensazione di profondità cosi come visto a Garches viene negata, le file di alberi, i sentieri così come i volumi del segretariato instaurano un continuo conflitto trasversale che tende a frastagliare fino ad appiattire ogni senso di tridimensionalità, quella che si viene ad attuare citando lo stesso Rowe è “una sorta di disputa monumentale, una controversia tra uno spazio reale dotato di profondità e uno ideale che ne è privo”. A questo punto i due autori immaginano un osservatore, che cammina e si muove nello spazio di questo grande complesso; il suo percorso risulta essere continuamente guidato e ostacolato da molteplici direzioni privilegiate che allo stesso tempo interferiscono le une con le altre, così da prima la sua attenzione sarà catturata dagli alberi poi dal palazzo dell’Assemblea generale, e ancora una volta arrivato nel punto boschivo avvertirà quel forte legame che lo lega a una continuazione ideale del Segretariato.

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2. TRASPARENZA FENOMENICA

fig.36

Palazzo della SocietĂ delle Nazioni, Le Corbusier, Ginevra 1927

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LA TERZA DIMENSIONE

Il punto essenziale infatti rispetto all’edificio del Bauhaus è proprio la presa di posizione che sembra operare Le Corbusier, individuando delle posizioni del tutto specifiche e definendo in maniera perentoria, con l’opacità dei setti, lo spazio tra essi contenuti. «I piani Di Le Corbusier sono come coltelli per affettare e misurare lo spazio. Se si potessero attribuire allo spazio le proprietà dell’acqua, il suo edificio sarebbe come una diga grazie alla quale lo spazio è contenuto, arginato, traforato, incanalato e, da ultimo, disciolto verso i giardini irregolari che corrono lungo il lago. Mentre per contrasto, il Bauhaus, isolato in un mare di profili amorfi, è come uno scoglio gentilmente lambito da una placida marea. » 6

Il testo si chiude sulle conclusioni di Rowe e slutsky , in cui affermano che gli esempi presentati servono al fine di comprendere “il milieu spaziale nel quale la trasparenza fenomenica diventa possibile”. Inoltre dichiarano che la trasparenza fenomenica non sia una caratteristica essenziale dell’architettura moderna, ma semmai una (difficile) metodologia a cui si può ricorrere e che è utile in ogni caso a discernere e evitare confusioni, al fine: « di chiarire alcuni livelli di significato dei quali il termine “trasparenza” è stato investito. » 7

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2. TRASPARENZA FENOMENICA

fig.37

Bauhaus, Palazzo della SocietĂ delle Nazioni

NOTE Rowe, C.,La matematica della villa ideale e altri scritti, a cura di Paolo Berdini, Bologna, Zanichelli Editore, 1993, pag.157 1

2

Ibid. pag. 158

3

Ibid. pag. 159

4

Ibid. pag. 161-162

5

Ibid. pag. 164

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Ibid. pag. 167-68

7

Ibid. pag. 147

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TRASPARENZA METAMORFICA


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3. TRASPARENZA METAMORFICA

I

n questo caso la trasparenza sembra manifestarsi in uno stadio di “impermanenza”1. Le interferenze di luce naturale o artificiale, il trattamento dei vetri, le condizioni climatiche così come la risposta dell’organismo interno fanno sì l’edificio cambi il proprio aspetto, istaurando o rifiutando una dialettica tra interno e esterno che si fa fluttuante e incostante. Il concetto di metamorfosi così come ci insegna la tradizione letteraria, da Ovidio fino Kafka, oltre ad invocare una trasformazione formale o corporea, tende a operare allo stesso tempo un mutamento psichico nel soggetto che la subisce. Le sensazioni invocate sono diverse e variegate, e l’utente che si trova ad osservare il carattere di mutevolezza dell’edificio ne rimane segnato. In esso oscillano sensazioni che vanno dallo stupore alla meraviglia, ad altre, che inquiete muovono l’osservatore, nel mondo di un’architettura che invoca il perturbante.

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3. TRASPARENZA METAMORFICA

TRÈS GRANDE BIBLIOTHÈQUE Negli anni ottanta in Francia il via una serie di grandi progetti commissionati dall’allora presidente Francois Mitterand denominati Grandes Operations d’Architecture et d’Urbanisme. Il programma prevedeva in concomitanza con il bicentenario della rivoluzione francese di dotare la capitale di strutture moderne, che riaffermassero il ruolo di Parigi come una delle capitali dell’arte e della cultura nella seconda metà del XX secolo. Come si è già potuto osservare, nell’introduzione di questo testo, uno dei risultati di questo processo fu la Piramide del Louvre (1988) realizzata dall’architetto Ieoh Ming Pei. I diversi progetti che si susseguirono furono tutti caratterizzati da linee spiccatamente moderniste e decise, facendo un copioso uso del vetro e della trasparenza. « Sebbene non esistette mai uno stile ufficiale alla “Mitterand”, molti progetti erano caratterizzati da geometrie secche, piani trasparenti, dettagli meccanicisti in vetro e acciaio lucidato e da forme derivanti, sul lungo periodo, dal primo Movimento Moderno e dal costruttivismo sovietico. » 2

In questo clima, nel 1989 il governo francese indice il concorso Très Grande Bibliothèque per la realizzazione della nuova biblioteca nazionale di Francia, a Parigi, la richiesta era quella di creare un unico grande spazio da 250.000 mq che contenesse: libri di ogni genere, magazine, cataloghi, ricerche scientifiche e database digitali; oltre agli spazi per la consultazione, il ristoro e gli uffici, integrando inoltre i più recenti sistemi informatici che il mercato di fine anni ottanta metteva a disposizione. fig.38

Concorso per la Biblioteca Nazionale di Francia, OMA, Parigi 1989

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TRÈS GRANDE BIBLIOTHÈQUE

L’edificio ad aggiudicarsi il concorso risultò essere quello dell’architetto Dominique Perrault, caratterizzato da dei volumi completamente vetrati in un corpo concluso, che si apriva in un chiostro centrale dominato agli angoli da quattro torri, che si imponevano concettualmente, con un gioco forse retorico, come pilastri della conoscenza. Un altro progetto, però, presentato al medesimo concorso fu quello dell’architetto olandese Rem Koolhaas e del suo studio OMA, in cui una trasparenza fatta di mutevolezze e di bagliori sembra affermare quel carattere di metamorfosi a cui si faceva accenno. « L’ambizione di questo progetto è di liberare l’architettura dalle responsabilità che non può più sostenere e di esplorare questa nuova libertà in modo aggressivo. Suggerisce che, liberata dai suoi precedenti obblighi, l’ultima funzione dell’architettura sarà la creazione di spazi simbolici che ospitino il desiderio persistente di collettività. » 3

Il tono sprezzante dai contorni visionari con cui l’architetto olandese introduce questo progetto, tra le pagine del suo libro/manifesto S,M,L,Xl, lascia evincere la metodologia con cui sembra concepire l’edificio. Il presupposto non è quello di progettare una biblioteca, ma di ridefinirne il concetto, anche a discapito della consapevolezza che l’edificio non venga realizzato. L’enfasi sulla componente tecnologica è forse uno dei caratteri essenziali alla base del processo compositivo; i libri, le riviste e ogni altro elemento del sapere sembrano essersi elementarizzati in dati, che si immagazzinano nel “disco solido” che il cubo della biblioteca sembra rappresentare. « La grande biblioteca è interpretata come un solido blocco di informazioni, un archivio di tutte le forme di memoria-libri, laserdisc, microfilm, computer, database. In questo blocco, i principali spazi pubblici sono definiti come assenze dell’edificio, vuoti scolpiti nell’informazione solida. Galleggianti nella memoria, sono molteplici embrioni, ciascuno con la sua placenta tecnologica. » 4

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3. TRASPARENZA METAMORFICA

fig.39

Biblioteca Nazionale della Francia, Dominique Perrault, Parigi 1995

fig.40

Diario di progetto , Rem Koolhaas

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TRÈS GRANDE BIBLIOTHÈQUE

L’edificio si conforma come un gigantesco cubo vetrato dalle fattezze traslucide, in cui la planarità interna dei solai è interrotta da volumi, fluidi e sinuosi, che si fanno largo nei piani rompendo e ripiegando i solai su stessi, che si contorcono fino a diventare ora parete ora soffitto. « Immagina una stanza dove il pavimento diventa muro che diventa soffitto che diventa muro, e torna a essere di nuovo pavimento… La stanza compie un’acrobazia » 5

I volumi interni, questa sorta di elementi amorfi dalle sensazioni amniotiche, non si impongono nel volume ma sembrano essere il risultato di un processo di scavo, di scorticamento; che si fanno da prima introversi e poi violentemente sembrano sbattere contro la parete di vetro. Il cubo sembra quindi rifiutare ogni accenno di trasparenza letterale divenendo pieno, concreto e tangibile. Il vetro si fa opaco, poi trasparente e ancora riflettente, lasciando intravedere o al massimo scrutare le sue dinamiche interne; la luce lo lambisce ne fuoriesce e ne viene respinta. Si assiste così a una numerosa quantità di contraddizioni spaziali, all’interno così come all’esterno. Sembra quasi che Rem Koolhaas sia riuscito a raggiungere attraverso il vetro ciò che le Corbusier aveva raggiunto con la “trasparenza dei piani”. Tali sensazioni spaziali si caratterizzano in uno stato angoscioso quasi perturbante nei confronti del soggetto che le subisce, rimanendo quasi annichilito e spiazzato di fronte a una tale mutevolezza di risposte e sensazioni; in un processo di respingimento e annessione costante, in cui le continue metamorfosi del corpo architettonico sembrano come respiri di un organismo che vive.

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3. TRASPARENZA METAMORFICA

fig.41

Concorso per la Biblioteca Nazionale di Francia, OMA, Parigi 1989

fig.42

Sezione;

fig.43

“sovraimpressione dei vuoti”

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TRÈS GRANDE BIBLIOTHÈQUE « L’angoscia del soggetto di fronte allo spazio “molle” delle superfici di koolhaas è dunque la manifestazione d’un perturbante basato sulla riformulazione delle condizioni di interno ed esterno, dove la proiezione spettrale dell’”interno” funzionalista sull’esterno non rispecchia l’aspetto esteriore del soggetto, bensì il proprio interno biologico, ormai trasparente. Lo spazio paranoico si trasforma dunque in spazio panico, dove tutti i limiti si confondono in una sostanza densa, quasi palpabile, sostituitasi quasi impercettibilmente all’architettura tradizionale. » 6

La metamorfosi sembra così configurarsi, a partire da uno stadio di una confusa densità, in cui l’involucro si lascia intravedere ma non può essere compreso, in una sorta di stato di indeterminazione che richiama il principio fisico dei quanti.

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3. TRASPARENZA METAMORFICA

fig.44

Modello di concorso illuminato

fig.45

Volumi interni dell’edificio

NOTE 1

Concetto sacro al buddhismo che indica il cambiamento e il divenire

Curtis, W. J. R.,L’architettura moderna dal 1900, Milano, Phaidon, 2012, pag.672 2

3

Koolhaas, R. e Mau, B., S, M, L, Xl, New York, Monacelli Press, 2002. 604

4

Ibid. pag. 616

5

Ibid. pag. 634

Vidler, A.,Il perturbante dell’architettura: saggi sul disagio nell’età contemporanea, Torino, Einaudi, 2006, pag.247 6

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TRASPARENZA COMUNITARIA


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4. TRASPARENZA COMUNITARIA

L

e ripercussioni che la trasparenza ha sugli individui sono forse uno dei temi base dell’architettura trasparente. Questo capitolo cercherà di connotarne alcuni aspetti, senza avere l’ambizione di esaurire un discorso così complesso che potrebbe rappresentare una ricerca a se stante. Come si visto nel primo capitolo la trasparenza letterale è stata affrontata nel suo processo e sviluppo storico o nelle sue ambizioni ascetiche, qui invece sarà privilegiato il punto di vista del suo rapporto con la comunità e le implicazioni legate al concetto di visibile. La vetrina, la serra e la teca sono le sue manifestazioni che a partire dal XIX sec hanno rimodulato i rapporti all’interno della società occidentale; la trasparenza tende a mostrare e ostentare oggetti o persone che si oggettivizzano a loro volta, rendendoli visibili, scrutabili e desiderabili. Il carattere dell’ostentazione risulta quindi essere indissolubilmente legato alla trasparenza, certamente nelle sue componenti fisiche quanto in quelle morali. Allo stesso tempo però sembra emergere anche il suo limite più drammatico e cioè la possibilità di poter vedere ma non di toccare o attraversare.

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4. TRASPARENZA COMUNITARIA

LA VETRINA, LA SERRA E LA TECA Alla fine del settecento piccole lastre vetrate fecero la loro apparizione nei muri esterni delle botteghe, che da luoghi chiusi e introversi in cui la merce non veniva mostrata se non nell’atto della vendita, si iniziarono ad aprire verso la strada, mostrando la merce prodotta dal negozio anche a persone che erano semplicemente di passaggio o che comunque non arrivavano lì con l’intenzione di voler acquistare qualcosa. Il perfezionamento del processo produttivo del vetro a partire dal 1850 permise di realizzare lastre di grandi dimensioni, le pareti dei negozi così si trasformavano estendendo la loro zona di influenza all’esterno. A questo punto gli oggetti mostrati nella vetrina assumevano composizioni sempre più accattivanti, in grado di mettere in mostra agli occhi dell’osservatore la qualità della merce offerta all’interno. Contemporaneamente la tecnologia della luce progrediva, passando dai primi sistemi a gas a quelli dati dell’energia elettrica, le istallazioni luminose con composizioni sempre più teatrali potenziavano la carica attrattiva della merce, accentuandone i chiaroscuri e aumentando la trasparenza delle vetrate. Tali innovazioni e sofisticazioni tecniche trovarono probabilmente il loro punto di arrivo nei passage, delle gallerie da passeggio che erano occupate nella quasi totalità da negozi completamente vetrati, che esibivano la merce in maniera sfavillante e spettacolare, dettando le tendenze nelle principali città europee. fig.46

Crystal Palace, Joseph Paxton, Londra 1851

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LA VETRINA, LA SERRA E LA TECA

I passage si imponevano così come veri e propri antenati dei moderni centri commerciali, in cui i membri dell’alta borghesia passeggiavano e si incontravano in un fondale di oggetti scintillanti e fantasmagorici. L’acquisto della merce così non corrispondeva più a un bisogno ma diventava fenomeno sociale, in cui le persone si sarebbero dovute presentare al meglio, al fine di stabilire il proprio ruolo all’interno della società, in un continuo gioco tra desiderio dell’oggetto e oggettificazione. « la superfice continua di vetro trasparente della lastra esercitò sulla merce un effetto simile a quello del vetro sulla cornice dei quadri » 1

Nel 1851 per l’esposizione universale di Londra il concetto della vetrina sembra ampliarsi in tre dimensioni, il costruttore Joseph Paxton realizza una struttura completamente vetrata che partendo dal presupposto della serra viene ingrandita fino allo stadio di una nobile architettura di rappresentanza; l’esile struttura in acciaio che fungeva da sostegno sembrava quasi scomparire, davanti alla magnificenza di porzioni completamente vetrate che racchiudevano l’involucro dell’edificio. « [...] non v’è gioco d’ombre che consenta ai nostri nervi ottici di stabilire le distanze... tutta la materia si fonde nell’atmosfera… » 2

Il successo del Crystal Palace fu sensazionale. L’innovativa struttura realizzata da Paxton ebbe eco in tutto l’occidente, divenendo un modello per le altre città e per il futuro a venire. Le soluzioni che avevano portato alla nascita della vetrina qui sembrano amplificarsi, l’edificio diventa una sorta di grande scrigno vetrato. La serra si prefigurava come mezzo ma ne diventava fine, le persone giunte da tutto il mondo ammiravano la grandiosità della struttura, prima ancora che le merci esposte. Gli oggetti così come le stesse persone diventavano protago-

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4. TRASPARENZA COMUNITARIA

fig.47

fi.48

Milano 1800

Galleria De Cristoforis, Andrea Pizzala, Milano 1862

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LA VETRINA, LA SERRA E LA TECA

-nisti, forse inconsapevoli, di uno spettacolo che si compieva, per affermare il predominio culturale dell’impero britannico sul mondo. « Il carattere fondamentale tautologico dello spettacolo deriva dal semplice fatto che i suoi mezzi sono al tempo stesso il suo scopo. Esso è il sole che non tramonta mai sull’impero della passività moderna. Esso copre l’intera superficie del mondo e si bagna di propria gloria » 3

Anche il concetto di teca sembra ricoprire una grande sensatezza nel rapporto tra gli individui e la trasparenza. La teca, infatti, si pone fin dall’antichità come mezzo per esporre e mettere in mostra oggetti di particolare importanza laico/religiosa o corpi trapassati di personaggi illustri. Si assiste così a una sorta di “ipervetrina” in cui lo scopo del mostrare si eleva a culto. Il corpo sembra perdere la sua dimensione di umanità facendone un feticcio da osservare e/o idolatrare, sospeso in uno stato di atemporalità che lo rende perfetto e inviolato, o che comunque lo condanna a una sensazione di eterno presente. La teca nel suo desiderio di esposizione conduce a un duplice scopo, quello di spettacolarizzare certamente ma allo stesso tempo di dimostrare, difatti essa agisce come una sorta di catalizzatore che esalta ma non muta le condizioni di partenza. La teca infatti può esprimere sensazioni di perfezione, di santità o di bellezza come nel caso emblematico della fiaba di Biancaneve dei fratelli Grimm e della sua successiva trasposizione disneyana, in cui la ragazza dalla virginale bellezza giace stesa nella sua teca di cristallo. « Biancaneve sembrava dormire, non aveva perduto i suoi colori, ed era tanto bella che i suoi nanetti non vollero seppellirla nella terra umida. La vegliarono per sette giorni, poi un nano ebbe un’idea. -Costruiamo una bara di cristallo, per la nostra Biancaneve, così potremo vederla per sempre! » 4

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4. TRASPARENZA COMUNITARIA

fig.49

Crystal Palace, Joseph Paxton, Londra 1851

fig.50

fig.51

Vista interna

Biancaneve, Walt Disney, 1937

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LA VETRINA, LA SERRA E LA TECA D’altra parte però il processo di smaterializzazione che mette in atto la teca può avere dei riscontri tutt’altro che positivi, a tal riguardo è emblematico ricordare il processo di Adolf Eichmann a Gerusalemme. IL gerarca nazista imputato di crimini contro l’umanità si ritrova nell’aula del tribunale racchiuso da un involucro di vetro che dovrebbe servire a proteggerlo. Le parole riportate dalla filosofa e giornalista Hannah Arendt che seguì l’intero processo, sembrano lasciare intendere questa sorta di distopia della teca e cioè l’annullamento, la totale spersonalizzazione; un uomo che era stato una figura centrale del Reich ora non rappresentava più che il fantasma di se stesso, smaterializzato tra le spesse pareti della gabbia di cristallo. « Una voce due volte impersonale, perché il corpo che l’aveva emessa era presente ma sembrava esso stesso spersonalizzato dalle spesse pareti della gabbia di vetro in cui era rinchiuso […] » 5

La vetrina, la serra e la teca sembrano essere prima ancora che oggetti classi di senso che regolano i rapporti tra la trasparenza e gli individui. Tre manifestazioni che si elevano a topos sociali; i meccanismi alla base del comportamento della comunità che interagisce e interferisce con il vetro, questo elemento ambiguo, dal comportamento multiforme, che chiude ma rivela, spettacolarizza e innesca in noi il desiderio di possedere ciò che è al dì là. L’architettura della trasparenza sembra quindi mostrare questa dimensione spettacolare in cui l’eterno desiderio di smaterializzazione e purovisibilità si arresta nel limite stesso rappresentato dal vetro. Poiché non è qui ma dall’altra parte, oltre la trasparenza si trova l’oggetto, una barriera che solo la vista può attraversare

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4. TRASPARENZA COMUNITARIA

fig.52

Processo ad Adolf Eichmann, Gerusalemme, 1961

NOTE Schivelbusch in, Codeluppi, V., La vetrinizzazione sociale, Torino, Bollati Boringhieri, 2018, pag. 14 1

Sigfried Giedion in, Curtis, W. J. R.,L’architettura moderna dal 1900, Milano, Phaidon, 2012, pag.672 2

Debord, G.,La società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2013, pag. 56 3

Fratelli Grimm in, Donati, R. , Critica della trasparenza, Torino, Rosenberg & Sellier, 2016, pag. 141 4

5 Arendt, H.,La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli, 2013, pag. 121

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TRASPARENZA DISCIPLINARE


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5. TRASPARENZA DISCIPLINARE

I

l concetto di trasparenza entra qui in uno stadio di immaterialità, che non è più direttamente riconducibile al vetro o altre forme di trasparenza letterale. È caratterizzato da un forte rigore geometrico che organizza, gestisce, ed educa i corpi che si muovono nello spazio. Il meccanismo disciplinare regola ciò che è o che tende ad essere disordinato; l’ordine può essere ristabilito mediante varie modalità che si articolano a seconda dell’intenzione o del fine che si vuole raggiungere. L’assialità, la centralità e l’osservazione costante imprimono l’innescarsi di un presunto comportamento virtuoso. Il mettere in mostra e rendere trasparente la deviazione comportano un perenne stato di terrore, che ammonisce ed auto-ammonisce il corpo, gettandolo in uno stato di reciproco sospetto. Educare e veicolare il soggetto è l’intento moralizzante di questo tipo di trasparenza che attraverso meccanismi di potere organizza e soprattutto sorveglia.

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5. TRASPARENZA DISCIPLINARE

LO SPAZIO E LA PRIGIONE Nel corso della storia la volontà di imprimere un segno nello spazio è sempre stata dettata dalla volontà di controllo, così fin dai primi segni graffiti nelle grotte, in cui gli uomini della preistoria incidevano nella pietra forme e figure di animale.

« Questi cacciatori primitivi, in altre parole, pensavano che, una volta fissata l’immagine della preda – cosa che forse ottenevano servendosi delle lance e delle scuri di pietra -, l’animale stesso sarebbe dovuto soccombere al loro potere. » 1

Anche l’erezione delle prime strutture da connotati fortemente simbolici rappresentavano questo desiderio di imporre un disegno o comunque modificare condizioni spaziali predefinite. Ad esempio il Menhir, elemento colossale monolitico di origine anch’esso preistorica che con il suo slancio verticale si ergeva spezzando l’orizzontalità del dello spazio. Come per gli animali raffigurati nelle grotte, il monolite assumeva una forte presa di posizione e di potere, la pietra sollevata diventava Menhir. E in questo gesto forse ancor prima che dalla mitica “capanna primitiva” teorizzata dal Marc-Antoine Laugier2 nasceva l’architettura. Se il gesto e l’imposizione dell’uomo nel paesaggio hanno permesso, la nascita dell’architettura così come della stessa civiltà, un meccanismo di controllo più sottile e coercitivo si sarebbe imposto, non più sullo spazio - ora governato -ma attraverso di esso, sul corpo e la sua educazione. fig.53

Progetto di penitenziario, N. Harou-Romain 1840

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LO SPAZIO E LA PRIGIONE

Caso emblematico in tal senso è rappresentato da quel fenomeno culturale, letterario e architettonico che prende il nome di Utopia. Questi non-luoghi si prefiguravano con un’organizzazione spaziale rigorosa e simmetrica, il disegno connotato da cerchi o da figure dalla forte enfasi poligonale imponeva un ordine programmatico, trasparente che si prefigurava non soltanto come un’azione topografica ma come auspicio per la società che l’avrebbe abitata. Attraverso un forte controllo assiale e con un carattere di ripetitività si imponeva nello spazio (o non spazio), un ordine e una misura che si riduceva in un’appagante sensazione di controllo e determinatezza, nel disegno così come nell’ipotetica comunità. « Chi conosce una sola città le conosce tutte, tanto sono interamente simili, per quel che consente la natura del luogo. » 3

Le utopie architettoniche e in misura ancor più marcata quelle letterarie raramente trovarono una applicazione pura nella società, creando piuttosto modelli da realizzare per parti e in ogni caso a contatto con tessuti frutto della casualità o di un precedente disegno. Il rigore geometrico e questo forte senso di imposizione trovarono però in quei luoghi ai margini della società, in quella sorta di utopie determinate tutta la loro forza attuativa. « Credo tuttavia che ci siano – e questo in ogni società – delle utopie che hanno un luogo preciso e reale[…] luoghi che si oppongono a tutti gli altri e sono destinati a cancellarli, a scompensarli, a neutralizzarli o purificarli. […] Sì, sogno una scienza – dico proprio una scienza – che abbia come oggetto questi spazi diversi, questi altri luoghi, queste contestazioni mitiche e reali dello spazio in cui viviamo. Questa scienza non avrebbe il compito di studiare le utopie, perché bisogna riservare questo termine a ciò che non ha realmente luogo, ma le etero-topie, gli spazi assolutamente altri […] » 4

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5. TRASPARENZA DISCIPLINARE

fig.54

Utopia , Thomas Moore 1516

fig.55

Sforzinda, Filarete 1464

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LO SPAZIO E LA PRIGIONE

Questi spazi “assolutamente altri” di cui parla Michel Foucault, queste eterotopie appunto, sono quei luoghi che esistono e che si pongono negli interstizi della società destinate solitamente a quegli individui il cui comportamento eterodosso è deviante rispetto ai canoni comuni. Tali luoghi sono ad esempio gli istituti psichiatrici, i cimiteri, le case di riposo e in maniera spiccatamente evidente le prigioni. Proprio nella prigione vive l’eterotopia urbana per eccellenza, un non luogo chiuso per definizione in cui il condannato vive escluso dalla società, sottomesso, a quei caratteri di controllo e visibilità che contribuiscono meglio a definire quel fattore della trasparenza, che si è definito disciplinare. Per comprendere il concetto di prigione vanno da prima affrontate le cause che portarono a questa sorta di punizione generalizzata. Infatti la condanna a partire dalla metà del settecento - soprattutto grazie al pensiero illuminista - subisce una serie di trasformazioni radicali. La pena prima di queste importanti riforme era associata al tema del supplizio, che vedeva nella tortura e nella sua spettacolarizzazione un fattore di esempio nei confronti del popolo, non tanto in un ottica di giustizia quanto di riaffermazione del potere sovrano. La stagione riformista inizia a mettere in atto una serie di cambiamenti che fanno della condanna un tema sempre più privato, che non aveva più lo scopo di punire, quanto di rieducare il soggetto ai fini di reinserirlo nella società; limitando l’arbitrio del sovrano e rafforzando quello della magistratura. L’offesa del crimine a questo punto non è più da considerarsi come una “lesa maestà” ma come una violazione del contratto sociale che è garante e allo stesso tempo giudice. Tali trasformazioni giuridiche e sociali individuano nel ruolo

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5. TRASPARENZA DISCIPLINARE

fig.56

fig.57

Progetto d’ospedale, B. Poyet 1786

Prigione della Petite Roquette 1830

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LO SPAZIO E LA PRIGIONE

del carcere la soluzione per separare questi soggetti dalla società, in attesa che la prigione e la sua disciplina li avrebbero in un certo senso “curati”. Gli schemi base del controllo e i modelli formali dell’utopia si adattarono alla perfezione a questa sorta di anti-luoghi. L’esempio più lampante tra tutti può essere il modello di carcere ideato dal politico inglese Jeremy Bentham, il Panopticon (1791). La struttura era organizzata secondo un impianto perfettamente circolare, nel cui anello esterno si disponevano le varie celle che avevano due finestre, una verso l’esterno una verso l’interno. Al centro nel grande vuoto si ergeva una torre anch’essa dotata di ampie finestrature che si apriva verso la facciata interna dell’edificio e quindi verso le celle. Il ribaltamento tipologico della cella è già un primo carattere essenziale, infatti dei temi della segreta e cioè quelli di rinchiudere, privare della luce e nascondere veniva conservato soltanto il primo; non vi è più alcuna intenzione di nascondere nell’ombra ma piuttosto quello di illuminare, rendere trasparente e scrutabile il condannato, ai fini di separare la massa e impartire un carattere di individualità, ordine e separazione. Altro elemento essenziale è il ruolo della torre che aveva un duplice obbiettivo, in primo luogo, l’azione di ammonimento da parte della guardia carceraria che con un solo sguardo poteva scrutare ogni singolo individuo. In secondo luogo, quello di un auto ammonimento da parte del condannato, che viveva in uno stato di continua soggezione. Infatti, il prigioniero dalla cella non aveva la possibilità di verificare se era veramente osservato, gettandolo in una sensazione di sorveglianza continua.

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5. TRASPARENZA DISCIPLINARE

fig.58

fig.59

Panopticon, Jeremy Bentham 1791

Penitenziario di Stateville, USA 1858

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LO SPAZIO E LA PRIGIONE « Di qui, l’effetto principale del Panopticon: introdurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere, Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se è discontinua nella sua azione; che la perfezione del potere tenda a rendere inutile la continuità del suo esercizio; che questo apparato architettonico sia una macchina per creare e sostenere un rapporto di potere indipendente da colui che lo esercita; in breve, che i detenuti siano presi in una situazione di potere di cui sono essi stessi portatori. » 5

Il concetto di sorveglianza continua è probabilmente l’elemento chiave, il potere e la disciplina non sono visibili diventando una sorta di flusso naturale. La prigione benthamiana opera uno spostamento del concetto di potere che dall’azione punitiva passa a quella del sorvegliare. La disciplina non ha più come scopo ultimo quello della neutralizzazione ma semmai della prevenzione, concetto che per ammissione dello stesso Bentham potrebbe essere esteso in ogni ambito a partire da “una semplice idea architettonica”. « Il panoptismo è capace di “riformare la morale, preservare la salute, rinvigorire l’industria, diffondere l’istruzione, alleggerire le cariche pubbliche, stabilizzare l’economia come sulla roccia, sciogliere, invece di tagliare, il nodo gordiano delle leggi sui poveri; tutto questo con una semplice idea architettonica » 6

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5. TRASPARENZA DISCIPLINARE

fig.60

Progetto di penitenziario, N. Harou-Romain 1840

NOTE Gombrich, E. H., The Story of Art, ed. it. La storia dell’arte, Milano, Phaidon, 2008, pag. 40 1

2

Teorico dell’architettura e storico dell’architettura francese 1713-1769

T. Moore in, Rowe, C.,La matematica della villa ideale e altri scritti, a cura di Paolo Berdini, Bologna, Zanichelli Editore, 1993, pag.188 3

4

Foucault, M. ,Utopie Eterotopie, Napoli, Cronopio, 2016, pag. 11-12-13-14

Foucault, M., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 2014, pag. 219 5

J. Bentham in, Foucault, M., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 2014, pag 225 6

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5. TRASPARENZA DISCIPLINARE

VIDEOSORVEGLIANZA Il tema della sorveglianza continua introdotto da Jeremy Bentham, ebbe una notevole influenza culturale, non tanto sul piano architettonico, quanto sulle implicazioni che il panottismo poteva avere sulla società. Questa sensazione di controllo costante, per esempio, fu interpretata da George Orwell1 nel suo romanzo 1984, in cui immagina un regime distopico e autoritario, dove il Grande Fratello, entità astratta e allo stesso tempo leader del Partito, osserva e controlla la vita degli individui attraverso “teleschermi”, posti nelle loro stanze. « Il teleschermo riceveva e trasmetteva contemporaneamente. Se Winston avesse emesso un suono anche appena appena più forte di un bisbiglio, il teleschermo lo avrebbe captato; inoltre, finché fosse rimasto nel campo visivo controllato dalla placca metallica, avrebbe potuto essere sia visto che sentito. » 2

Se le implicazioni morali e le immaginabili derive distopiche del modello benthamiano erano del tutto comprensibili, va però ricordato che il suo presupposto erano quanto meno condivisibile. Il controllo, la sorveglianza, infatti, presupponevano un senso di sicurezza e protezione nella prigione così come nella stessa società. Anche oggi, ad esempio, i caratteri di sorveglianza e sicurezza sono concetti che viaggiano più che mai sulla stessa frequenza d’onda: le implicazioni e le contestazioni di carattere morale sono ben note e, in fondo, anche se possono fare un po’ paura, risultano essere meccanismi appaganti, che placano il nostro desiderio di (presunta) sicurezza e controllo. Con l’avvento della tecnologia, il fattore di visione continua fig.61

Impianto di videosorveglianza

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VIDEOSORVEGLIANZA

si è finalmente realizzato, non tramite un edificio o un insieme di essi ma attraverso una fitta rete di telecamere e software. Nelle principali città del pianeta, infatti, sono presenti impianti di videosorveglianza a circuito chiuso istallati nei principali luoghi pubblici, che controllano i flussi delle persone e cercano di individuare in essi eventuali comportamenti sospetti. A tal proposito, la cosiddetta “smart vision”, attraverso schermi intelligenti, ha proprio lo scopo di decodificare gesti e movimenti ritenuti anomali, come fermarsi troppo a lungo , entrare i luoghi vietati, o in generale dei comportamenti non riconducibili alla “normalità” Tali dinamiche di controllo sono portate allo stremo, per esempio, negli aeroporti, in cui una fitta e dinamica rete di videosorveglianza e sensori gestisce il flusso di persone impartendo ordine e disciplina. Questo carattere è piuttosto evidente nel momento del checkin, in cui in maniera del tutto consapevole, ci poniamo in file ordinate, adagiamo le nostre valigie sul nastro trasportatore, svuotiamo le nostre tasche e ci avviamo verso quella sorta di portale metallico che al suono di un beep ci indicherà se siamo degni o meno di passare.

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5. TRASPARENZA DISCIPLINARE

fig.62

“Il grabde fratello ti sta guardando�

fig.63

Il sistema di sicurezza aeroportuale

NOTE 1

Scrittore, giornalista, saggista, attivista e critico letterario britannico 1903-1950

2

Orwell, G., 1984, Milano, Mondadori, 2016, pag. 12

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FONTI IMMAGINI fig. 1 www.fosterandpartners.com/projects/reichstag-new-german-parliament/#gallery

fig. 2 www.fosterandpartners.com/projects/willis-building/ fig. 3 www.archdaily.com/88705/ad-classics-le-grande-louvre-i-mpei/5037eb6828ba0d599b000475-ad-classics-le-grande-louvre-i-m-peiimage fig. 4 www.amazon.com/Transparency-C-Rowe/dp/3764356154 fig. 5 www.architecture.org/tours/detail/farnsworth-house-by-bus/ fig. 6 www.it.wikipedia.org/wiki/Glaspavillon#/media/File:Taut_ Glass_Pavilion_exterior_1914.jpg fig. 7 www.pinterest.it/pin/48906345925581250/?lp=true fig. 8 www. https://atlasofplaces.com/Bauhaus-Building-Walter-Gropius fig. 9 www. https://atlasofplaces.com/Bauhaus-Building-Walter-Gropius fig. 10 www.uk.phaidon.com/agenda/architecture/articles/2014/march/19/how-mies-invented-modern-architecture/ fig. 11 www.thecharnelhouse.org/2016/12/18/mies-van-der-rohe/ludwigmies-van-der-rohe-haus-tugendhat-1930_193/ fig. 12 www.archdaily.com/59412/ad-classics-seagram-building-miesvan-der-rohe/53834632c07a80946d00037c-seagram-building-miesvan-der-rohe-image fig. 13 www.architecture.org/tours/detail/farnsworth-house-by-bus/ fig. 14 www.analisidellopera.it/la-condizione-umana-di-rene-magritte/ fig. 15 Deplazes, A., Constructing Architecture: Materials, Processes, Structures: A Handbook pag. 78

fig. fig. fig. fig.

16 Ibid. pag. 80 17 Ibid. pag. 81 18 https://atlasofplaces.com/Maison-de-verre-Bijvoet-Chareau 19 Ibid.

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FONTI IMMAGINI fig. fig. fig. fig. fig. fig. fig.

20 Ibid. 21 www.fondazionerenzopiano.org/it/project/maison-hermes 22 Ibid. 23 Zumthor, P., Buildings and Projects 1985-2013, Zurigo 24 Ibid. 25 Ibid. 26 Rowe, C., Slutzky, R., Transparency: Literal and Phenomenal in,

The mathematics of rhe ideal villa and other essays pag. 152 fig. 27 Ibid. pag. 152 fig. 28 Ibid. pag. 152 fig. 29 Ibid. pag. 155 fig. 30 Ibid. pag. 155

fig. 31 http://www.fondationlecorbusier.fr/corbuweb/morpheus. aspx?sysId=13&IrisObjectId=5525&sysLanguage=en-en&itemPos=76&itemCount=78&sysParentId=64&sysParentName=home fig. 32 Rowe, C., Slutzky, R., Transparency: Literal and Phenomenal in, The mathematics of rhe ideal villa and other essays pag. 157

fig. 33 https://atlasofplaces.com/Bauhaus-Building-Walter-Gropius fig. 34 http://www.fondationlecorbusier.fr/corbuweb/morpheus. aspx?sysId=13&IrisObjectId=5525&sysLanguage=en-en&itemPos=76&itemCount=78&sysParentId=64&sysParentName=home fig. 35 Ibid. fig. 36 Ibid. fig. 37 Ibid. fig. 38 koolhaas, R. e Mau, B, S, M, L, Xl, fig. 39 www.archdaily.com.br/br/794189/classicos-da-arquitetura-biblioteca-nacional-da-franca-dominique-perrault-architecture/5536a40fe58ece9c29000111-ad-classics-national-library-of-france-dominique-perrault-2-photo fig. 40 koolhaas, R. e Mau, B, S, M, L, Xl, fig. 41 Ibid. fig. 42 Ibid. fig. 43 Ibid. fig. 44 Ibid.

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fig. 45 Ibid. fig. 46 www.archdaily.com/397949/ad-classic-the-crystal-palace-joseph-paxton/51d4964db3fc4b9e0f0001cf-ad-classic-the-crystal-palace-joseph-paxton-image fig. 47 www.pilloledistoria.it/2960/storia-contemporanea/1800-nascono-i-negozi-moderni fig. 48 www. skyminoshouse.blogspot.com/2009/04/milano-galleria-de-cristoforis.html fig. 49 www.archdaily.com/397949/ad-classic-the-crystal-palace-joseph-paxton/51d4964db3fc4b9e0f0001cf-ad-classic-the-crystal-palace-joseph-paxton-image fig. 50 www.archdaily.com/397949/ad-classic-the-crystal-palace-joseph-paxton/51d57c57b3fc4b5834000232-ad-classic-the-crystal-palace-joseph-paxton-image fig. 51 www. dettoldisney.wordpress.com/2014/01/02/snow-white-andthe-seven-dwarfs-vs-sneewittchen/ fig. 52 www.ilpost.it/2016/01/25/cosa-fu-il-processo-eichmann/ vor-50-jahren-begann-der-prozess-gegen-holocaust-taeter-eichmann/ fig. 53 Foucault, M., Surveiller et punir. Naissance de le prison, ed. it. Sorvegliare e punire. Nascita della prigione

fig. 54 www. en.wikipedia.org/wiki/Utopia_(book)#/media/File:Isola_di_Utopia_Moro.jpg fig. 55 www.it.wikipedia.org/wiki/Sforzinda#/media/File:Idealstadt.jpg fig. 56 Foucault, M., Surveiller et punir. Naissance de le prison, ed. it. Sorvegliare e punire. Nascita della prigione

fig. 57 Ibid. fig. 58 Ibid. fig. 59 Ibid. fig. 60 Ibid. fig. 61 www. americansecuritytoday.com/briefcam-enhances-situational-awareness-with-facial-recognition/ fig. 62 www. it.wikipedia.org/wiki/1984_(romanzo)#/media/File:1984Big-Brother.jpg fig. 63 Koolhaas, R., Door, in Elements of Architecture

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