Transfusioni #0 Ketty La Rocca / Tomaso Binga, Paola Romoli Venturi, Silvia Stucky
Con il patrocinio:
Con la collaborazione della Federazione Unitaria Italiana Scrittori
Archivio Menna/Binga – sede romana della Fondazione Filiberto Menna via dei Monti di Pietralata 16, 00157 Roma Lavatoio Contumaciale Associazione Culturale diretta da Tomaso Binga/Bianca Menna Piazza Perin del Vaga 4, 00196 Roma
transfusioni2016@gmail.com
Si ringrazia:
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Transfusioni #0 Ketty La Rocca / Tomaso Binga, Paola Romoli Venturi, Silvia Stucky a cura di Anna D’Elia
Archivio Menna/Binga sede romana della Fondazione Filiberto Menna 4 – 29 aprile 2016
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Questo catalogo è stato realizzato per Transfusioni #0 Transfusioni è un progetto ideato e curato da Anna D’Elia con il contributo di Bianca Menna, Silvia Stucky e Paola Romoli Venturi
Si ringraziano Marco Adinolfi, Jacopo Benci, Monica Valenziano. Si ringraziano per la partecipazione al dibattito su Ketty La Rocca del 12 maggio 2016: Francesca Gallo e Raffaella Perna curatrici del volume Ketty La Rocca Nuovi studi (Postemedia books) e Silvia Bordini. Si ringraziano per le foto: Marco Adinolfi (pagine: 23, 29, 38, 39, 40, 45), Jacopo Benci (pagina: 36), Silvia Bordini (pagina: 45), Andrea Calì (pagine: 37, 41, 42, 43), Paolo Landriscina (pagine: 3, 6, 22, 44), Srdja Mirkovic (pagina: 45), Claudio Palmieri (pagine: 10, 11, 24, 25, 31, 40, 43), Giorgio Sacher (pagine: 28, 29, 31) e Silvia Stucky.
Graphic design: Silvia Stucky
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Indice
Anna D’Elia Dialogo con Ketty La Rocca
| 70
Ketty La Rocca
| 14
Tomaso Binga Lettere liberatorie
| 20
Paola Romoli Venturi WE
| 26
Silvia Stucky Je est une autre
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Biografie
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Transfusioni #0 Ketty La Rocca / Tomaso Binga, Paola Romoli Venturi, Silvia Stucky Anna D’Elia
Il progetto Transfusioni vuole essere un momento di riflessione su quelle pratiche artistiche che si fondano sulla multidisciplinarietà e che organizzano il discorso estetico su incroci e contamina zioni tra parola, suono, pittura, fotografia, oggetto, spazio, gesto, azione. Transfusioni vuole inoltre sperimentare sconfinamenti tra luoghi dell’arte, protagonisti, comprimari e comparse, mettendo in relazione due spazi dell’arte contemporanea a Roma: il Lavatoio Contumaciale e l’Archivio Menna/Binga le cui opere, scelte di volta in volta, risuoneranno di nuove parole nel confronto con gli artisti invitati a dialogarvi. In ognuno dei cinque eventi in cui è articolato il progetto, le opere degli artisti Ketty La Rocca, Maria Lai, Verita Monselles e Luca Patella, scelte dall’archivio, e l’architettura da camera di Co stantino Dardi, sono state messe a confronto con artisti che ne condividono poetiche, metodo logie, forme espressive, attitudini mentali. È un gioco di specchi e di rimandi che si è attuato in ciascun evento, durante il quale l’opera ha stimolato domande, riflessioni, indotto gesti, evocato emozioni. L’evento espositivo e performativo con cui il 4 aprile 2016 il progetto ha preso il via rendeva omag gio a Ketty La Rocca, il cui lavoro rappresenta già dall’inizio degli anni Settanta un punto apicale per la radicalità e complessità dell’approccio critico nei confronti della parola. A dialogare con lei, Tomaso Binga, Paola Romoli Venturi e Silvia Stucky. Di Ketty La Rocca (La Spezia 1938Firenze 1976) erano esposte quattro opere che ricoprono l’intero arco delle tematiche da lei affrontate: Filiberto Menna (1973), Foto da “L’Approdo” (1967), Trittico con gatto (1974), e Craniologia (1972). L’artista, che esordì negli anni Sessanta con poesie visive e minimaliste, è oggetto dagli anni Novanta di una grande attenzione critica, che esalta il suo ruolo pionieristico nell’adozione del corpo, della fotografia e del gesto in performance radicali che hanno anticipato alcune delle pratiche adottate in seguito dalle Neoavanguardie. Il suo esordio è legato al lavoro dei poeti visivi Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, che nel 1963 fondarono a Firenze il Gruppo 70 portando avanti una serrata opera di decostruzione e desemantizzazione della parola. Fin dai primi anni Settanta, la ricerca di Tomaso Binga è motivata da alcune urgenze molto sentite anche da Ketty La Rocca; entrambe infatti hanno posto al centro delle loro denunce, la distorta 7
rappresentazione dell’immagine femminile e l’uso del corpo come oggetto mercificato. Sono note le ironiche destrutturazioni del linguaggio iconico e verbale praticate da La Rocca negli anni Sessanta e proseguite, dieci anni dopo, da Tomaso Binga con il suo Alfabetiere Murale (1976), le cui lettere composte dal suo stesso corpo sottolineano l’uso simbolico deviato della corporeità femminile. Alla critica nei confronti della nonneutralità della lingua condotta dalle frange più radicali delle avanguardie artistiche si sommò, in quegli anni, la denuncia del femminismo. La rifles sione sulla comunicazione, ritenuta responsabile di trasmettere contenuti distorti e subordinati alle logiche del profitto e del potere, nonché della misoginia imperante, fu uno dei nodi cruciali della ricerca di Ketty La Rocca. L’artista spostò il meccanismo della manipolazione linguistica dal piano della propaganda a quello della poesia, creando aforismi e rebus ad alta condensa zione concettuale per stimolare uno sguardo più critico e lucido contro l’uso distorto delle pa role. In seguito adoperò nonsense e paradossi per accentuare l’inaffidabilità comunicativa del linguaggio verbale. Sullo scollamento tra la parola e ciò che essa dice lavora fin dai primi anni Settanta anche Tomaso Binga, che espone in mostra Le Lettere Liberatorie (1973), opera composta da buste sul cui dorso vengono scritte frasi illeggibili. Il lavoro è centrato sulla scrittura che, non più parola, consente la ‘liberazione’ di altre possibilità espressive e comunicative del segno. Che cosa è in grado di evocare una scrittura priva di significato? All’inizio, chi guarda può pensare ad un errore: non solo la scrittura è illeggibile, ma è riportata all’esterno della busta al posto dell’indirizzo del de stinatario. L’apparente perdita di senso della parola e il cambio di luogo del testo, dopo il primo istante di sconcerto, stimolano domande, dubbi e soprattutto sollecitano l’immaginazione dello spettatore, che a quelle parole restituisce il senso che vuole. A proposito di questo suo lavoro, l’artista dichiarava in un’intervista del 1981: “La mia è una scrittura subliminale, nel senso che essa agisce (vorrei che agisse) dentro di noi senza essere distratti dal significato corrente delle parole e senza essere frastornati dal suono delle parole stesse: allora si può anche definire una scrittura silenziosa. Nei miei lavori le parole crescono e si moltiplicano come esseri viventi, scon finano dai luoghi deputati, proliferano come cellule, invadono gli spazi che ci circondano. La scelta di supporti sempre diversi risponde a questa necessità proliferante della scrittura. La serie delle Lettere Liberatorie e poi delle Carte da Parati nascono appunto da questa esigenza di dis seminazione della scrittura”. Sui limiti del linguaggio, sia iconico che verbale, Ketty La Rocca lavorò fino alla sua prematura scomparsa, spostando sempre più l’attenzione dal piano della rappresentazione a quello del l’azione e dell’oralità. Emblematica in questo senso la performance sonora Appendice per una 8
supplica. Nell’ambito della X Quadriennale di Roma, cui partecipò su invito di Filiberto Menna, il 27 maggio 1973 Ketty La Rocca registrò al Palazzo delle Esposizioni una verbigerazione, parola che in psichiatria indica il disturbo del linguaggio che non consente di fare un discorso logico. La sconnessione è l’elemento del testo Dal momento in cui... (1970), letto dall’artista in tandem con Giordano Falzoni, che segnò il momento di massima sfiducia nelle potenzialità comunicative del linguaggio, di cui veniva denunciato il totale asservimento alle logiche del potere. Il testo della performance è stato pubblicato nel recente volume Ketty La Rocca. Nuovi studi, a cura di Francesca Gallo e Raffaella Perna (Postmedia Books, 2015). La più celebre azione di Ketty La Rocca s’intitola Le Mie parole e tu?, e fu eseguita in diversi contesti nel 1975. L’artista dava inizio alla performance leggendo il testo Dal momento in cui..., mentre molte voci intorno a lei ne ri petevano brani in modo incalzante, in un crescendo di confusione. Solo il pronome you si di stingueva con chiarezza, sottolineato dal gesto di puntare l’indice sull’artista in modo sempre più minaccioso. A questa azione si ispira Tomaso Binga nella performance A Tu per Tu colla You scritta apposita mente per l’evento Transfusioni in cui, giocando con i pronomi “Io” e “Tu”, l’artista ripercorre il pericoloso cammino intrapreso da Ketty La Rocca nella ricerca sulle parole che dicono l’io e l’altro, parole che talvolta rivelano l’alter ego che emerge nelle diatribe interiori con la sua carica distrut tiva. La voce di Tomaso Binga carica della sua energia corporea ha fatto esplodere l’Io e il Tu, tra sformandoli in armi di un duello che, per Ketty La Rocca, è durato la vita intera. Il rapporto con l’altro, il ‘tu’ (che nell’inglese you sta anche per ‘voi’), è centrale nel lavoro delle altre due artiste invitate a dialogare con Ketty La Rocca. Nell’installazione performativa di Paola Romoli Venturi, il You di Ketty La Rocca, diventa ‘noi’, we, prima persona plurale, e allude (sullo sfondo delle nostre vite) alla presenza ormai costante nelle cronache di profughi, clandestini, migranti. A loro sono dedicati la performance, il video e i collages esposti. L’artista si posiziona nello spazio: è un gesto simbolico per sottrarsi alle astrazioni del lin guaggio e sottolineare il luogo preciso in cui sta, da cui guarda, definendo il suo punto di vista e la sua collocazione nella storia e nel mondo. Trasformando il you in we, Paola Romoli Venturi sottolinea che non si può separare la storia di un migrante da quella di un residente, che siamo tutti nella stessa barca, ovvero nella stessa foto, come recita nel secondo momento della sua installazione che prosegue visivamente in un foto montaggiocollage di immagini prelevate dalle cronache giornalistiche, che mostrano migranti alle frontiere e residenti europei. 9
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Questo momento si riallaccia stilisticamente alla prima fase del lavoro di Ketty La Rocca, quando protagoniste delle sue opere erano le immagini dei rotocalchi e della pubblicità ritagliate e rias semblate con messaggi icastici e talvolta sarcastici. Segue il video in cui sono solo i gesti a comunicare, segnando l’acme dell’azione che si trasforma in una supplica e nella richiesta di attenzione, da parte di tutti noi (we), ai migranti che premono sulle frontiere di nazioni ostili, pronte ad accoglierli col fucile puntato. Questo terzo momento rie voca emotivamente il video di Ketty La Rocca In Principio Erat in cui, sempre più critica e diffidente nei confronti della parola, l’artista affida il suo messaggio ai gesti eleggendo le mani a tramite del suo sentire. Nel quarto e ultimo atto della sua performance Paola Romoli Venturi conduce il pubblico nello ‘spazio we’ con la consapevolezza che la supplica non basta, occorre la lotta sostenuta da un’uto pia: l’artista chiama tutti a dire “noi abbiamo un sogno”. Il ‘filtro trasparente we’ (realizzato in tar latana) disegna gli spazi con il ‘we we we’ e ‘we have a dream’ e rende tridimensionale la foto dentro cui siamo tutti noi (migranti ed europei). Le componenti del lavoro di Ketty La Rocca con cui entra in relazione Silvia Stucky sono altret tanto intense e riguardano la ricerca sulla memoria a partire dalle fotografie di famiglia, cui La Rocca si era molto interessata fin dal suo lavoro intitolato Riduzioni (197273), che fu anche un modo per riflettere sull’immagine che scolorisce nel tempo perdendo la sua vividezza, proprio come accade ai ricordi. Quasi a voler sollecitare e maggiormente evidenziare tale progressivo scolorimento, La Rocca annullava il contenuto visivo dell’immagine sostituendolo con un con torno di parole scritte a mano. Al procedimento meccanico della stampa fotografica opponeva la soggettività della sua grafia che riportava l’attenzione sul gesto, la manualità, l’individualità. Dal suo fare traspariva il desiderio di intrecciare relazioni con lo spettatore e le figure presenti nelle immagini. Nel caso dell’opera fotografica Filiberto Menna (1973) si trattava di altre opere e persone amate: Diane Arbus e la sua foto delle gemelle Cathleen e Colleen Wade, Michelangelo Pistoletto e i suoi Specchi, e lo stesso Menna. Il contorno esaltava le figure e le legava come in un abbraccio: you diventava io e te, voi e noi. Ed è su tale gioco di specchi che lavora Silvia Stucky scegliendo tra le fotografie del suo album di famiglia un’immagine della madre bambina che racchiude il ricordo prezioso di una gemella che non sopravvisse al parto. Usando la fotografia come strumento di reinvenzione della realtà, l’artista dà vita alla gemella mai nata. La sua opera, un dittico, si compone di un’immagine fotografica, rielaborazione della foto di sua madre bambina, la cui figura è isolata e duplicata specularmente; e di un’altra immagine realizzata seguendo con la penna i contorni della fotografia – come faceva 12
Ketty La Rocca – scrivendo il nome di sua madre (Maria) per una figura, e il nome della gemella morta (Maddalena) per l’altra. È un gesto simbolico forte che apre alla tematica dell’identità, cen trale nella ricerca di Silvia Stucky e di Ketty La Rocca, come nel lavoro di un’intera generazione di bodyartisti e performer a partire dagli anni Settanta. L’opera di Silvia Stucky, Je est une autre (“Io è un’altra”), citando la nota frase di Rimbaud (Je est un autre, “io è un altro”), la restituisce al genere femminile, procedendo poi a evocare l’altra as sente attraverso la duplicazione, della figura (nella fotografia) e della pratica (nella scritturadise gno ripresa da Ketty La Rocca). I temi dell’altra da sé, e dell’immagine speculare come simile e allo stesso tempo differente, ritornano nella performance dal medesimo titolo, in cui l’artista si mette in scena insieme a Monica Valenziano. È da sottolineare, a questo punto, come le tre autrici in dialogo con Ketty la Rocca annullino la distanza tra lo spazio della vita e quello della rappresentazione, un’eliminazione cui a lungo l’ar tista aveva mirato facendo cadere una dopo l’altra tutte le barriere tra arte e vita, fino alle Cra niologie (1973) in cui il suo corpo si scompone, ricomponendosi altro nella sovrimpressione tra le radiografie del suo cranio e le immagini delle sue mani. Era così che La Rocca parlava della sua malattia e della sua morte, ricongiungendola strettamente alla vita e al suo fare arte, ma soprat tutto a noi, che avremmo posato gli occhi sul suo corpo smembrato e lo avremmo attraversato senza più confini. Il dittico di Silvia Stucky offre un’ulteriore prova che una fotografia non appartiene né a chi l’ha fatta né a chi essa rappresenta, ma a tutti coloro che la guardano. È dunque su un altro nodo cru ciale che ci consente di focalizzare l’attenzione: quello degli sguardi. Quel you tante volte scritto e ripetuto da Ketty La Rocca può essere letto come un appello all’altro, allo spettatore, come un monito rivolto a noi tutti che continuiamo a interrogarci sui misteri racchiusi nelle sue opere, un monito a non tradire il suo pensiero, ma a spingerlo oltre, verso gli spazi di libertà che solo possono dare valore all’arte e restituire un senso alla vita.
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| Ketty La Rocca
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Ketty La Rocca Filiberto Menna, 1973 intervento a china su fotograďŹ a 12 x 17,7 cm ďŹ rmato in basso a destra 15
Ketty La Rocca Trittico con gatto, 1974 16
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Ketty La Rocca Foto da “L’Approdo”, 1967 18
Ketty La Rocca Craniologia, 1972 19
| Tomaso Binga
Tomaso Binga Lettere liberatorie, 1973 pennarello su buste 20
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Tomaso Binga a Tu per Tu colla You, 2016 performance 22
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Tomaso Binga A Tu per Tu colla You, 2016 performance 24
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| Paola Romoli Venturi
‘…’ NOI siamo tutti nella stessa barca Guarda cosa succede uomini, donne e bambini annegano; uomini, donne e bambini sono accolti da barricate. I popoli migrano. “ bisogna consentire loro di essere degni attori del loro stesso destino.”*
Alle frontiere ci sono soldati con il fucile puntato Non posso credere a quello che vedo!! “ negazione totale della fraternità umana ”*
Come faremo a riconciliarci con chi fugge da una guerra e trova ad accoglierli guerra. “La guerra è la negazione di tutti i diritti ”*
NOI abbiamo un sogno.
* le frasi della SUPPLICA virgolettate sono tratte dal discorso di Papa Francesco all’assemblea generale delle Nazioni Unite (New York, 25 settembre 2015) 26
Paola Romoli Venturi ‘…’ 2016 Video formato 16/9, durata 4’4’’ riprese Marco Adinolfi 27
Paola Romoli Venturi WE, 2016 performance 28
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Paola Romoli Venturi WE, 2016 installazione, spazio WE adesivo su pavimento, ďŹ ltro WE pennarello su tarlatana azione performance 30
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| Silvia Stucky
Silvia Stucky Je est une autre, 2016 installazione, panca di legno, fotograďŹ a digitale, disegno a penna, 35,5 x 28 cm 32
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Silvia Stucky Je est une autre, 2016 performance con Monica Valenziano 36
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backstage
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opening
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Biografie
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Anna D’Elia vive a Roma. Si è laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Bari nel 1972 e ha conseguito il Master in Tecniche Creative, presso la medesima Università nel 2001. Già docente di “Storia dell’Arte Moderna” presso l’Università degli Studi della Basilicata dal 1983 al 1987 e docente di Peda gogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Bari dal 1977 al 2013. Ha scritto i seguenti volumi: L’Universo Futurista, una Mappa da Quadro alla Cravatta, De dalo, Bari, 1989; Le Città Visibili, Congedo, Galatina, 1990; Fo tografia come Terapia, Meltemi, Roma, 1999; Diario del Corpo, Unicopli, Milano, 2002; Nello Specchio dell’Arte, Meltemi, Roma, 2004; Per non voltare pagina, Meltemi, Roma, 2007; Pino Pascali, Electa, 2010. Ha curato numerosi cataloghi e testi antologici, tra i quali: Pino Pascali, Laterza, Bari, 1983; Artronica, Videosculture e in stallazioni multimediali, Mazzotta, Milano, 1987; Archia, l’ar chitetto ai limiti dell’arte, Dedalo, Bari, 1987; La Pietra e i Luoghi, Essegi, Ravenna, 1990; Pensare la Città, Manni, Lecce, 1994; A Scuola di Città, Progedit, Bari, 2000; Sguardo e raffigu razione, grafie del sé, Adriatica Editrice, Bari, 2002. È presente con scritti nei seguenti volumi: Fotografia Italiana nell’800, Electa, Milano, 1979; Nuova Im magine, Mazzotta, Milano, 1980; Critica ad Arte, Politi, Milano, 1984; La Ville, Art e Architecture in Europe, 18701993, Editions du Centre Pompidou, Paris, 1994; Gli Anni del Futurismo in Pu glia 19091944, Adda, Bari, 1994; Immaginario mediale e Ste reotipi di Genere, Progedit, Bari 2000; Passaggi, letterature Comparate al femminile, Quattroventi, Urbino, 2001; Il cinema racconta, Sossella, Roma, 2001; Il cinema altrove, Sossella Roma, 2002; Pino Pascali, la reinvención del mito mediterraneo, Museo nazionale Reina Sofia, Madrid, 2002.
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Tomaso Binga nata a Salerno nel 1931, vive e lavora a Roma. È stata docente presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone. In arte ha assunto un nome maschile per contestare con ironia e spiazzamento i privilegi del mondo maschile. Si occupa di scrittura verbovisiva ed è tra le figure di punta della poesia fo neticosonoraperformativa italiana. Con le sue performance “femminismo poetico anni’70” ha par tecipato a tutte le battaglie per i diritti dei più deboli, delle donne e degli artisti, anche attraverso il costante lavoro dell’As sociazione culturale “Lavatoio Contumaciale”, che dirige in Roma dal 1974 e della “Fondazione Filiberto Menna”, come Vice Presidente, in Salerno dal 1992. Tra i suoi progetti visuali e sonori segnaliamo: Scrittura ase mantica (1972); Scrittura vivente (1976); Carta da Parato (1976); Ti scrivo solo di Domenica (1977); Dattilocodice (1978); Biographic (1983); Riflessioni a puntate (1991); Manoscritti ri trovati (1995); Ideazione/Esecuzione, progetto multimediale in progress (1997); Bolle catodiche (1998); Picta/Scripta (1999); Dittici Interscambiabili (2001); Dis/Appunti quotidiani (2006); Scritture marine (2009); Scritture petrose sonore (2010); Scrit ture in rotazione (2014); Messaggi fioriti (2015); Omaggio ai Font (2015). Ha realizzato numerose pièces su nastro, alcune delle quali do cumentate nelle audio riviste “Baobab” e “Momo”. Numerosi i Premi ricevuti e le Tesi sul suo lavoro presso Università e Ac cademie di Belle Arti. FB Tomaso Binga
Paola Romoli Venturi nata a Roma, dove vive e lavora. La sua ricerca artistica è legata al valore della trasparenza come mezzo per comunicare. La trasparenza e la sospensione predi spongono il visitatore a ‘guardare attraverso’, a non distogliere lo sguardo ad osservare le cose per riflettere; questo il pensiero ispiratore delle sue installazioni esposte in Italia e all’estero. Nel suo lavoro tocca temi sociali, creando spazi disegnati da luci ombre e suoni, utilizzando diversi mezzi espressivi pittorico scultorei, video audio ed installazioni site specific performative. Tra i suoi progetti: Traspaquadri (2004/2006), mOlecOle e madre natura (2007), instant art_vedova di guerra_Alessandra (2008), La Sentenza_Das Urteil (2009/2010), CONDANNATO >LIBERO#1 e #2 (2010/2011), instat art_SI=NO (2011). Dal 2012 lavora al progetto in progress PTV_ PacificTrash Vortex di cui ha realizzato i laboratori/performance di sensibilizzazione riflessione collettiva SALVA LA TUA BALENA! (2013/2016), la mostra personale Molti, Molta, Molte (2015) e le istallazioni ISOLE_PaolaTrash Vortex (2015). Inoltre ha realizzato diverse ISOLE_endogene in particolare quella realizzata nel 2015 a To rano (Carrara) è stabilmente esposta presso il Museo Civico del Marmo di Carrara. Partecipa dal 2012 agli appuntamenti espo sitivi e performativi del MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove Metropoliz di Roma. Nel 2016 ha realizzato diverse installazioni site specific: AD PINEAM (2016), WE (2016) e La Sentenza_Das Urteil (2016), e diverse performance: MANTRAreading#0 e #1 (2015/2016), CONDANNATO >LIBERO#3 (2016) e WE ‘…’ (2016). Hanno scritto del suo lavoro: Miriam Castelnuovo, Anna D’Elia, Maria Egizia Fiaschetti, Anne Goebel, Giovanni Granzotto, Ilario Luperini, Simonetta Martelli, StefanMaria Mittendorf. www.paolaromoliventuri.com FB Paola Romoli Venturi
Silvia Stucky vive e lavora a Roma. La sua pratica comprende pittura, libri d’artista, installazione, giardini, video, fotografia, performance. Temi centrali del suo lavoro sono l’acqua e la semplicità del quotidiano, con una par ticolare attenzione alle questioni ambientali e sociali. Ha esposto in Italia, Argentina, Cile, Ecuador, Egitto, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Indonesia, India, Iran, Ma rocco, Olanda, Stati Uniti, Svizzera, Thailandia, Turchia. Sue opere sono in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. Mostre personali: 2016, Custodire lo splendore, Interno 14, Roma; 2015, L’acqua è senza io, Studio Arte Fuori Centro, Roma; 2013, La forma dell’acqua, installazione permanente nel Giardino dei Passionisti alla Scala Santa, Roma; 2012, Tre storie di pratica senza io, Jesi; 2012, Il campo del possibile, AOC F58, Roma; 2009, Il corpo pensato, Casa della Memoria e della Storia, Roma; 2008, Il sussurro del mondo, MLAC, Sapienza Università di Roma; 2007, Le jardin intérieur, TraleVolte, Roma; 2006, Writ in Water. Ode to mutability, The KeatsShelley House, Roma; 2004, Come l’acqua che scorre, Istituto di Fin landia, Roma; 2003, Osservare il sussurro del mondo, Porta degli Angeli, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, Fer rara. Hanno scritto sul suo lavoro: Vittoria Biasi, Silvia Bordini, Ros sella Caruso, Enrico Crispolti, Anna D’Elia, Manuela De Leonar dis, Gabriella De Marco, Bruno Di Marino, Dario Evola, Patrizia Ferri, Francesca Gallo, Marie Eve Gardère, Marco Maria Gaz zano, Antonio Giordano, Roberto Lambarelli, Simonetta Lux, Patrizia Mania, Enrico Mascelloni, Lucilla Meloni, Peter Neste ruk, Cristina Nisticò, Michiko Nojiri, Augusto Pieroni, Cesare Sarzini, Edith Schloss, Mary Angela Schroth, Domenico Scu dero, Enrica Torelli Landini, Laura Turco Liveri. https://silviastucky.wordpress.com FB Silvia Stucky
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Transfusioni #0 4 – 29 aprile 2016