Transfusioni catalogo Elogio della fragilità

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Transfusioni Elogio della fragilitĂ Elena Bellantoni, Davide Dormino, Oscar Turco


con il patrocinio:

Associazione Culturale No­Profit ­ Anno 43°

Archivio Menna/Binga – sede romana della “Fondazione Filiberto Menna” via dei Monti di Pietralata 16, 00157 Roma Lavatoio Contumaciale Associazione Culturale diretta da Tomaso Binga/Bianca Menna Piazza Perin del Vaga 4, 00196 Roma http://www.lavatoiocontumaciale.it | lavatoiocontumaciale@fastwebnet.it transfusioni2016@gmail.com | tel 06 36301333

Si ringrazia:

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Transfusioni Elogio della fragilità Elena Bellantoni, Davide Dormino, Oscar Turco a cura di Anna D’Elia e Roberto Gramiccia

Archivio Menna/Binga sede romana della “Fondazione Filiberto Menna” 30 marzo – 27 aprile 2017

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Questo catalogo è stato realizzato per Transfusioni Elogio della fragilità Elena Bellantoni, Davide Dormino, Oscar Turco

Transfusioni è un progetto ideato e curato da Anna D’Elia con il contributo di Bianca Menna, Silvia Stucky e Paola Romoli Venturi

Si ringraziano Alberto Dambruoso, Marco De Rosa, Lucio Duca.

Si ringraziano per le foto: Ottavio Celestino (pagine: 22, 23), Davide Dormino (pagine: 16, 17, 19), Paola Romoli Venturi (pagine: 24, 25, 26, 27, 28, 29, 36, 37), Silvia Stucky (pagine: 3, 5, 6, 10, 21, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 37). Immagini Elena Bellantoni (pagine: 12, 13, 14, 15, 37) courtesy of the artist.

Graphic design: Silvia Stucky

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Indice Roberto Gramiccia, Perché questa mostra

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Anna D’Elia, Fragili di tutto il mondo unitevi

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Elena Bellantoni

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Davide Dormino

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Oscar Turco

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Backstage

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Opening

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Elogio della fragilità presentazione del libro con Roberto Gramiccia, Alberto Dambruoso e Anna D’Elia

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Biografie

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Perché questa mostra Roberto Gramiccia Le ragioni che mi hanno spinto a pensare e a proporre ai dei magnifici compagni/e di strada que­ sta avventura espositiva, orgogliosa e autoprodotta, sono, in fondo, due soltanto. Vorrei spie­ garvele, se siete curiosi di saperle. La prima è quella che racconta del mio “agitarmi”, da decenni ormai, fra medicina praticata, arte, politica e cultura sensu latu. Certo, si tratta in parte anche dell’espressione di una mia personale “fragilità”: quella di non trovare pace in un posto solo. Di non saper stare buono buono a recitare una parte sola in commedia. Una specie di “disciplina dell’indisciplina” che mi porta, da sempre, ad uscire fuori dai miei abiti per vestirne altri. Potremmo parlare di slancio vitale, per fare i fa­ natici scomodando Bergson. Oppure, più banalmente e verosimilmente, di una sindrome iperci­ netica su base ansiosa. Scegliete voi la chiave di lettura. Oppure no, lasciate perdere, perché tanto questo non è che un epifenomeno. Conta cioè, ma non è alla base dell’eterodossia che prediligo. La ragione vera di questa mia naturale multidisciplinarietà è il mio risentimento – di più – la mia ostilità verso l’imporsi della pratica universale di dividere il fare e il sapere in un spezzatino non più ricomponibile, che sembra un requisito irrinunciabile della modernità. Una cosa che ha pro­ dotto danni devastanti in arte, in politica, nella medicina e nella cultura in genere. Una cosa che ha trovato nel dominio dispotico del postmoderno al servizio del pensiero neoliberale la sua spina dorsale “teorica”. Una cosa che ha fatto sì che gli steccati fra l’una e l’altra attività umana diventassero dei muri invalicabili. La parte (la specializzazione) ha prevaricato il tutto. E l’ ”intero” di Hegel è andato a farsi fottere. Definitivamente. Ecco la ragione vera del mio agitarmi fra discipline, solo apparentemente, di­ verse. Lo scopo è quello di dimostrare che la realtà è unica e unitaria. Dimenticarsi di questo è come precipitare nella notte (che produce mostri). Da questo impianto, fieramente anticarte­ siano, traggono alimento molte delle mie idee e delle mie proposte. Compresa questa ultima, che prova a conciliare tre cose almeno: l’arte, la letteratura e la politica. Pensare a una mostra che trae spunto da un libro è, infatti, già una novità. Farlo attivando prati­ che di condivisione democratica e di coinvolgimento delle istituzioni (Municipio, Regione) in un dialogo virtuoso con l’attività benemerita della Fondazione intitolata a un intellettuale, al quale tutti dobbiamo essere riconoscenti, come Filiberto Menna, significa evidentemente avere il co­ raggio di provare a ricomporre un mosaico che non può che essere unitario. Mettere insieme le tessere. 7


Perché l’opera nasce dal pensiero che ritorna pensiero. Perché dalla prassi unitaria nasce la teoria che ritorna prassi, una prassi che vorremmo definire senza pudori rivoluzionaria, nei limiti evi­ dentemente, nelle nostre intenzioni almeno, se non negli effetti. La cosa entusiasmante, per non farla troppo lunga, è che su questo terreno ci siamo trovati tutti d’accordo, e più ancora delle parole i fatti prodotti dai nostri tre artisti non solo mostrano ma di­mostrano la bontà del nostro assunto generale. La seconda ragione di questa mostra è quella che prende origine dalla convinzione della centralità del concetto di fragilità che, sin dal titolo, informa il senso del mio libro. Un’opera breve ma, mi piace credere, intensa, che parte da una confessione: quella della mia di fragilità, prima di parlare di quella degli altri. Una confessione che si intreccia con una convinzione: la fragilità non è una passeggiata. Può essere un problema. Un grande problema. A volte irrisolvibile. Ma è sempre e comunque il fondamento di ogni impresa. Gli stessi desideri del resto discendono da una mancanza, quando non sono futili e indotti, dalla fragilità che ci deriva dal non avere “ancora fatto” o ottenuto quello a cui aspiriamo. La storia stessa, come l’arte, deriva dall’angoscia di essere gettati nella vita. Dallo sgomento di questa “gettatezza” (tanto affine al thauma aristotelico) deriva tutto. Ed è questa una verità generale affine a quella, particolare, che tutti ci vede allineati dalla circostanza di essere afflitti ma anche e soprattutto “armati” da una fragilità che può diventare una forza indomabile. Che cosa è stata infatti se non la consapevolezza di una fragilità inconsolabile e insopportabile ad armare i progetti di emancipazione degli uomini vulnerabili, a partire da Spartacus? La forza di Spartacus non era nei suoi muscoli e nella sua abilità di gladiatore ma nella sua capacità di dare voce, gambe e armi alla sofferenza, divenuta ribelle, degli schiavi a cui seppe dare una prospettiva di riscatto. Ecco che allora appare chiaro che la fragilità non è solo un vincolo ma anche una stra­ ordinaria risorsa. Da non celare allo sguardo, come ci hanno insegnato, ma da esibire sfacciata­ mente, usandola come un corpo contundente e non come un alibi per la rassegnazione. Vi assicuro che la forza che ne deriva è irresistibile e temibile (se ne volete la dimostrazione, leg­ gete il libro), soprattutto per coloro i quali – i potenti delle tecnoligarchie finanziarie oggi vincenti – traggono vantaggio dalla debolezza di un popolo che oggi appare passivo. Un popolo di vittime che diventano carnefici, nella misura in cui si fanno fautori e portavoce del pensiero dominante. Può bastare sulla seconda ragione. Questo breve testo, del resto, come questa mostra, non vo­ gliono convincere nessuno. Vogliono semmai sollevare una questione, aprire una discussione. Insieme e attraverso, in questo caso soprattutto, le opere dei nostri tre magnifici “fragili com­ battenti”: Elena Bellantoni, Davide Dormino e Oscar Turco.

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Fragili di tutto il mondo unitevi Anna D’Elia Cos’è la fragilità? È un’occasione che si presenta durante la vita per trasformare una debolezza in una forza. La Fragilità come risorsa, dunque. È da questo assunto che parte Roberto Gramiccia nel suo libro “Elogio della Fragilità” (Mimesis 2016) che dà il titolo alla mostra sul cui tema sono stati invitati a dialogare: Elena Bellantoni, Davide Dormino e Oscar Turco. Sono andata a trovarli nei loro atelier per porre a ciascuno la medesima domanda: cos’è per te la fragilità? Comincio dell’incontro con Oscar Turco, autore del ciclo di otto dipinti dal titolo Dell’equilibrio in­ teriore, uno dei quali compare sulla copertina del libro. Il contenuto della sequenza riassume il pensiero dell’artista fondato sul credo taoista della complementarietà degli opposti, per cui la vera forza è nel prendere coscienza della propria fragilità. Se all’apparenza un’esile pianta (come quella disegnata) non potrebbe mai reggere il masso che vi è poggiato sulla cima, nella realtà è possibile a condizione che si raggiunga un equilibrio sia pure temporaneo. La pianta può essere letta come metafora dell’uomo sulle cui spalle grava un peso molto più grande di lui, che mai al­ cuno potrebbe sostenere se non per un breve istante. E se l’esistenza non fosse altro che quell’at­ timo? Stiamo dunque tessendo l’elogio dell’eroica fragilità dell’essere umano in bilico tra il tutto e il nulla. È questa sconcertante verità che trapela dal volto ascetico e dallo sguardo ceruleo di Oscar Turco che, quarant’anni fa, lasciò l’Argentina per trasferirsi in Italia. Oscar mi ha mostrato molte opere accomunate dallo stesso invisibile filo: guardare il mondo con occhi diversi, quelli che il pensiero taoista ha aperto in lui e che gli consentono, ad esempio, di capire il valore di un pettirosso: “Il pettirosso pesa solo 20 grammi – mi dice sorridendo – eppure quante cose fa? Canta, semina, fa il nido, procrea”. Se altre opere di Oscar Turco, quali ad esempio i bicchieri colmi di cera, evidenziano l’importanza del vuoto, la cancellazione di un numero o di una lettera da una serie evidenzia altre possibilità seriali nascoste nell’ordine alfabetico e numerico per ribadire sem­ pre il medesimo concetto che “l’essenziale è invisibile agli occhi” come aveva detto il Piccolo Prin­ cipe che di saggezza ne aveva. La riflessione che sollecita Unconcrete l’opera di Davide Dormino è legata all’azione del tempo in combutta con gli agenti atmosferici che hanno trasformato un bunker in un mucchio di ferraglie. “Metto a nudo – ribadisce l’artista – non solo le strutture portanti dell’edificio ma le nostre stesse arterie, poiché l’opera pone sotto gli occhi la fragilità di quello che siamo”. Il bunker e il corpo umano vengono associati nelle rispettive nudità, quando scomparso l’involucro che li avvolge le 9


parti interne si mostrano allo scoperto, vulnerabili. Ma non è un messaggio di debolezza che lo scultore ci dà, al contrario. È nel crogiòlo posto al centro che si raggruma tutta la forza simbolica dei ferri divenuti segni di un alfabeto sconosciuto che alludono a nuove possibili metamorfosi. Districando la matassa di ferri arrugginiti Davide scopre nel groviglio nuove forme e allineandole in serie dà vita simbolicamente ad una lingua, ponendo le basi di una nuova civiltà. Il tempo che trasforma il bunker, ma che ne assicura la rinascita attraverso i suoi scarti obbedisce alle stesse leggi che regolano l’avvicendarsi della vita e della morte, il poterlo riconoscere è una conquista che mette al riparo dall’ansiosa ricerca di eterna giovi­ nezza sbandierata come meta ambita del nostro misero presente. Il punto al centro dello spazio disegnato dai ferri è il luogo dal quale pensare e ripensarsi, rivedere il mondo e se stessi da una nuova angolazione. È, infatti, la necessità di cambiare punto di vista, il fulcro attorno al quale ruotano molti degli interventi di Dormino, a cominciare dalla sua opera più nota, la scultura nomade Anything to say monumento al coraggio di tre eroi del nostro tempo quali Edward Snowden, Julian Assange e Chelsea Manning condannati e imprigionati per es­ sersi battuti in nome della libertà d’informazione rendendo pubblici sistemi di sorveglianza e controllo politico delle più grandi potenze mondiali. “L’arte è un gioco serio” incalza Elena Bellantoni che propone l’opera­video Hala Yella ­ Addio/Adios, in cui le tematiche della fragilità si incrociano con il rischio estinzione che ri­ guarda non solo le minoranze etniche, ma tutte le specie. Il filmato è parte del progetto che documenta il suo incontro con Cristina Calderon, l’ultima rappresentante dell’antichissima stirpe Yaghan, popolazione dei nativi della Patagonia. Nel 1973 Il dittatore cileno Pinochet insediatosi al comando del Paese portò a termine la eliminazione di tutte le etnie originarie già sterminate secoli prima dalle invasioni colonialistiche spagnole e britanniche; c’è dunque questo all’origine del progetto concretizzatosi dapprima nel viaggio di una donna europea incontro a un’altra donna. Un filo sotterraneo lega infatti Cristina ed Elena, un filo che parla di cancellazioni identitarie e soppressioni fisiche. “L’incontro – ribadisce l’artista – avrebbe potuto non avvenire mai, non sapevo se sarei riuscita a trovare la Calderon che vive nella Isla Navarino, attualmente base militare avamposto verso l’Antartide.” Ma l’incontro c’è stato e il video che ne reca testimonianza privilegia come format il dialogo tra le due protagoniste che le immagini mostrano affiancate e sullo stesso piano mentre l’abuela parla e l’italiana ascolta e impara. “Questo colloquio – aggiunge l’artista – non vuole definire “l’altro” ma sem­ plicemente lasciarlo essere, attraverso i racconti, le storie e i sorrisi silenziosi”, anche per questo la voce in taluni passaggi è solo suono, volutamente non tradotta. La Calderon ultima 10


depositaria della lingua Yaghan nel 2006 è stata dichiarata dall’Unesco patri­ monio dell’Umanità, ma nulla è stato fatto per salvaguardare la lingua e la cul­ tura millenaria che scompariranno con lei. La consapevolezza che l’incontro con lei è stato forse l’ultimo, ispira all’artista il titolo dell’opera Addio/adios. Il progetto oltre al video e ad un’azione performativa sul Diente Navarino (mon­ tagna sacra degli Yaghan) in cui viene riattualizzato un loro antico rituale, com­ prende un abbecedario il cui intento è di “entrare nel vocabolario della Calderon cercando di condividerlo e tramandarlo”. Alcune di queste tavole sono esposte e vi legge l’immagine affiancata alla traduzione in spagnolo e italiano, a dimostrazione di quanto delicato sia l’atto del tradurre e quanto grande sia la responsabilità nell’incontro con l’altro. Il viaggio per la Bellantoni è infatti “metodo di ricerca e di lavoro – e come lei stessa lo definisce – è un’av­ ventura utopica attraverso terre sconosciute, verso ciò che non è semplice­ mente solo distante ma probabilmente impossibile da raggiungere”. L’allarme nei confronti di una società che si sta autodistruggendo è il filo con­ duttore del libro e dei lavori esposti che stimolano ad una ribaltamento dei modelli politici dominanti in Occidente, modelli che stanno precipitando la popolazione verso l’estinzione di qualsiasi ruolo attivo facendola passare attra­ verso la povertà, l’annullamento delle identità e la frantumazione sociale. Sotto accusa è il Darwinismo sociale cui sono, tra l’altro, ispirate le pratiche neoliberiste, miranti all’indebolimento di vaste frange sociali e alla loro suc­ cessiva eliminazione. Il ribaltare il punto di vista e poter scorgere nella fragilità una condizione in cui riconoscersi accomunati su una medesima lotta è il mes­ saggio sotteso al libro, i tre artisti lo condividono e lo amplificano. Questa mostra – è necessario sottolinearlo – nasce grazie alla rete non profit tra artisti, curatori, storici dell’arte, un’associazione culturale come il Lavatoio Contumaciale da decenni schierata a fianco dell’arte libera e una Fondazione quale quella dedicata a Filberto Menna in una sede storica come l’Archivio Menna/Binga.

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| Elena Bellantoni

Elena Bellantoni Abecedario, 2013 inchiostro su lucido, 21 x 24 cm 12


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Elena Bellantoni Hala Yella ­ Addio/Adios, 2013 video FullHd (8 minuti loop) 14


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| Davide Dormino

Davide Dormino Unconcrete, 2017 dimensioni ambientali 16


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Questi 33 ferri arrugginiti sono i resti di un bunker risalente alla 2a Guerra Mondiale che ho trovato e preso con non poche difficoltà nel 2012 sulla spiaggia di Tarquinia nel litorale laziale. Il bunker è una fortificazione militare in cemento armato strutturata per difendere i suoi occupanti. Il bunker è un rifugio impenetrabile costituito da un’architettura massiccia. Il tempo e il mare hanno eroso il cemento lasciando scoperti i ferri che armavano la struttura. I tondini somigliano molto a dei rami poiché la ruggine ha creato una corteccia molto fragile. Una massima protezione e forza che qui rivela la sua fragilità. Ne esce fuori un bunker decostruito i cui ferri creano una sorta di scritta criptica. Al centro dell’istallazione ho collocato un piccolo crogiòlo di materiale refrattario che si utilizza per fondere i metalli, questo contiene tutta la ruggine che si è staccata dai tondini.

Davide Dormino

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| Oscar Turco

Oscar Turco Dell’equilibrio interiore, 2012 grafite e acrilico su carta, 70 x 50 cm 20


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backstage

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opening

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Elogio della fragilità presentazione del libro con Roberto Gramiccia Alberto Dambruoso e Anna D’Elia

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Biografie

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Elena Bellantoni (1975) vive e lavora tra Berlino e l’Italia. Dopo essersi laureata in Arte Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, studia a Parigi e Londra, dove nel 2007 ottiene un MA in Visual Art al WCA University of Arts London. Approfondisce il teatro­danza e le arti performative, la sua ricerca si incentra sui concetti di iden­ tità ed alterità attraverso dinamiche relazionali che utilizzano il linguaggio ed il corpo come strumenti di interazione. Nel 2007 costituisce Platform Translation Group, nel 2008 è cofondatrice di 91mQ art project space Berlin e nel 2015 crea Wunderbar Cul­ tral Project. Tra le mostre personali ricordiamo: 2016, Hale Yella addio/adios, Viamoroni SpazioArte, Bergamo; 2015, Parole Pas­ seggere, il MAXXI esce dal MAXXI alla Ostiense, Roma; Lucciole, Spazio Alviani, Pescara; 2014, Passo a Due, Careof DOCVA, Mi­ lano; Dunque siamo.., Fondazione Filiberto Menna al Museo Ar­ chelogico di Salerno. Tra le collettive: 2016, Beyond Borders. Transnational Italy, The British School at Rome; The Picutre Club, American Academy in Rome; Al­Tiba9 Algiers, Bardo National Museum, Algeria; 2015, Capolavori dalla Collezione Farnesina, Museo di Arte Contemporanea, Zagabria, Croazia. Tra le resi­ denze: 2016, Soma Residency, Mexico City, Messico; 2014 Ca­ reof Residency Program, DOCVA Milano. 2017, finalista Premio Arte Laguna; partecipa a The Institute of Things to Come, project Room workshop Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. 2014, Finalista Talent Prize, premio Repubblica.it. 2013, primo premio FestArte/Factory per il concorso I colori del Mondo, Macro la Pe­ landa. 2012, bando NGBK ­ Neu Gesllschaft für Bildende Kunst ­progetto In Other Words, realizzato presso Kunstraum Kreuz­ berg Bethanien e NGBK di Berlino. 2010, partecipa al progetto ITaliens ­ junge Kunst in der Botschaft, Ambasciata Italiana, Ber­ lino. 2009, vince il Movin’up G.A.I. di Torino per un progetto a Santiago del Cile. 2008, residenza con l’artista Francis Alys, 98weeks project space, Beirut. Nel 2014 entra nella Collezione Farnesina, presso il Ministero degli Affari Esteri, Roma. http://www.visualcontainer.org/wordpress/it/artisti/elena­bel­ lantoni/ FB Elena Bellantoni 38


Davide Dormino

Oscar Turco

(Udine il 19 giugno 1973) La sua ricerca si esprime attraverso la scultura e il disegno. Cerca nuove forme elaborando i sistemi arcaici della lavorazione dei materiali come la pietra, il bronzo e il ferro. Dialoga con la di­ mensione, operando ad ogni scala che sia in grado di rappre­ sentare l’idea e inserirla nel contenitore adatto. Flussi, vettori, ponti, opere piccole e grandi, materiali trasformati senza artifi­ cio ma adattati alla volontà di interpretare lo spirito d’artista senza tempo. Affida tutta la sua ricerca artistica alla monumentalità del pro­ cesso esecutivo, in ogni suo lavoro c’è una ricerca di senso attra­ verso il riferimento a tematiche imprescindibili per l’Uomo. Storia e Memoria sono da tempo oggetto consueto della sua opera impregnata di una fisicità esecutiva che la caratterizza im­ mediatamente. Ha realizzato opere d’Arte Pubblica in Italia e all’estero, nel 2011 Breath il monumento ad Haiti ad un anno dalla catastrofe del terremoto, per incarico delle Nazione Unite. Attualmente è impegnato con Anything to say?: una scultura itinerante dedicata al coraggio e alla libertà di espressione che ha iniziato il suo percorso da Berlino il 1° Maggio del 2015. Lavora a Roma ed insegna Scultura e Disegno alla R.U.F.A. Rome University of Fine Arts.

Nato a Buenos Aires dove compie gli studi di Tecnica della Co­ municazione e, in seguito frequenta l’Istituto di Belle Arti. Nel 1968 si trasferisce a Barcellona poi a Madrid, Milano e a Roma, dove risiede. Espone dal 1978. Ha realizzato mostre in diverse città italiane: Roma, Torino, Milano, Urbino, Ferrara, ecc. oltre che in Francia, Spagna, Argentina e Usa. Alcune sue opere si trovano presso collezioni private in Italia, Svizzera, Monaco, Usa, Argentina e Inghilterra. Mostre principali. 1981, Palazzo dei Diamanti, Ferrara; 1982, Galleria Rondinini, Roma; 1983, Ecritures dans la peinture, Nice; 1983, Antico convento di Santa Chiara, Urbino; 1984, Galleria Luisella d’Alessandro, Torino; 1985, Castello Aragonese di Baia, Napoli; 1985, Centro de Arte y Comunicaciòn, Buenos Aires Cayc; 1991, Presenze, Rocca Paolina, Perugia; 1994, Ba­ silica e Area Archeologica di San Clemente, Roma; 1996, Tem­ ple University Rome, Roma; 1997, La fotografia nell'arte, l’arte nella fotografia, Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Sa­ pienza Università di Roma; 1997, Arte a Roma, Ex Mattatoio, Roma; 1998, Premio Vasto; 1998, Lavori in corso, Galleria Co­ munale d’Arte Moderna, Roma; 2000, IX Biennale di Arte Sacra, Santuario di San Gabriele, Teramo; 2000, Istituto Ita­ liano di Cultura, Rabat, Marocco; 2000, Museo Saturò di Arte Sacra, Teramo; 2001, Il cielo copre La terra sostiene, Galleria Salon Privé, Roma; 2001, Visione intima, Biblioteca Nazionale Araba, Tripoli; 2001, Galleria Pino Casagrande, Roma; 2002, 53° Premio Michetti, Francavilla al Mare; 2003, Carte italiane, Unione Europea, Bruxelles; 2004, Thomas Ruff / Oscar Turco, Galleria Pino Casagrande / Goethe Institut, Roma; 2005, Gam­ beri, Galleria Carlina, Torino; 2005, Il silenzio nell’arte, Temple University, Roma; 2007, Segno e silenzio, Galleria Giulia, Roma; 2010, La pensée du dehors, Palazzo della corte, Noci (BA); 2011, Il cielo e la terra sono disumani, Palazzo Zenobio, Vene­ zia; 2012, Dell’equilibrio interiore, Galleria Pino Casagrande, Roma; 2012, Siamo tutti greci, Museo Benaki, Atene; 2015, Naturacultura, Studio7 Arte contemporanea, Rieti; 2016, Fra­ gili eroi. Storia di una collezione, Museo Bilotti, Roma.

https://davidedormino.com/ FB Davide Dormino

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Transfusioni Elogio della fragilità 30 marzo – 27 aprile 2017


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