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Federico Klausner direttore responsabile Federica Giuliani direttore editoriale Devis Bellucci redattore Silvana Benedetti redattore Francesca Spanò redattore Paolo Renato Sacchi photo editor Isabella Conticello grafica Willy Nicolazzo grafico Paola Congia fotografa Antonio e Giuliana Corradetti fotografi Vittorio Giannella fotografo Fabiola Giuliani fotografa Monica Mietitore fotografa Graziano Perotti fotografo Emanuela Ricci fotografa Giovanni Tagini fotografo Bruno Zanzottera fotografo Progetto grafico Emanuela Ricci e Daniela Rosato Indirizzo: redazione@travelglobe.it Foto di copertina: PARIGI | GIOVANNI TAGINI Tutti i testi e foto di questa pubblicazione sono di proprietà di TravelGlobe.it® Riproduzione riservata TravelGlobe è una testata giornalistica Reg. Trib. Milano 284 del 9/9/2014 2
EDITORIALE
LA TERRA TREMA, IL CIELO PURE Dalla fine dell’estate sul centro Italia si è scatenato l’inferno. Decine di migliaia di scosse di varia magnitudo, a ondate successive, hanno messo in ginocchio molti centri, demolendo progressivamente ciò che aveva risparmiato la scossa precedente. Su tutto è caduta la spessa coltre di una nevicata epocale, che ha reso ancora più drammatici i soccorsi e la sopravvivenza di uomini senza casa e di animali abbandonati. Noi di TravelGlobe non possiamo parlare di altro dimenticandoci di quanto è accaduto, né ripetere cose già conosciute e men che meno infilarci in polemiche sulla puntualità ed efficacia dei soccorsi. Scegliamo perciò di riassumere i modi in cui si può dare una mano:
SWIFT: CRPPIT2P086. Causale: “Terremoto Centro Italia”), creato il numero telefonico 06 5510 dedicato al servizio donazioni e l’indirizzo email aiuti@cri.it. POSTE ITALIANE, in collaborazione con la Croce Rossa Italiana, ha istituito un conto corrente per le donazioni a favore degli abitanti dei centri danneggiati (Beneficiario: Poste Italiane con Croce Rossa Italiana - terremoto in Centro Italia - codice IBAN IT38R0760103000000000900050. BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX). Si può donare anche con Carta di Credito.
SMS SOLIDALI La Protezione Civile ha istituito una raccolta fondi con un sms al numero 45500. Testo: protezione civile pro terremotati. Costo 2 €. Oppure con una chiamata da rete fissa allo stesso numero, per donare l’importo desiderato mediante addebito su carta di Credito.
TRAVELGLOBE
DONARE DIRETTAMENTE alle regioni colpite: Regione Lazio, Regione Marche, Regione Umbria. TERREMOTOCENTROITALIA.INFO è un sito che fa da collettore di iniziative e di informazioni utili. Vi si trovano segnalazione di bufale ai danni dei terremotati e di chi vuole aiutare, offerte di alloggi e news sempre aggiornate. Si può anche offrire ospitalità alle persone colpite dal sisma e dalle nevicate eccezionali.
AIRBNB Chi è in grado di offrire ospitalità gratuitamente può farlo attraverso il sito di Airbnb, che lo tutelerà con la garanzia host, ma non addebiterà nulla per il proprio servizio.
Da ultimo un altro buon modo di dare una mano è quello di ACQUISTARE I PRODOTTI LOCALI, per aiutare le imprese che promuovono le loro molte eccellenze a ripartire, consultando questi siti: Terremotocentroitalia, Perugia Today (pensati per Natale ma validi tuttora); slow food, valnerinaonline.it e postribu.net.
CROCE ROSSA ITALIANA ha attivato una raccolta fondi (Beneficiario: Associazione della Croce Rossa Italiana. IBAN: IT40F0623003204000030631681. BIC/ 3
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S O M M A R I O EDITORIALE di Federica Giuliani MONGOLIA Nel gelido regno delle aquile
Foto e testi di Bruno Zanzottera TOGO BENIN Un inciampo del tempo
Foto e testi di Monica Mietitore PARIGI Art de vivre
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NEWS
PANTELLERIA Una scia di profumi nel vento e nel mare
Foto e testi di Giovanni Tagini India Gujarat, tesoro nascosto
Foto e testi di Bruno Zanzottera
Foto e testi di Giovanni Tagini
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LEGENDA
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TRAVELGLOBE
RELAX
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| NEL GELIDO REGNO DELLE AQUILE
Nell’inverno mongolo, quando le temperature scendono tra i -20° e i -30°e gli animali sviluppano una pelliccia molto fitta, gli ultimi cacciatori a cavallo escono per catturarli con le loro aquile.
Mongolia
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Doppia pagina di apertura. Abil Jinistan cacciatore kazako con la sua aquila reale di 5 anni, durante una battuta di caccia sui monti Altai nella Mongolia nord-occidentale. Una leggenda racconta che il popolo dei Kazaki fu creato assieme alle aquile. “Egli hae ancora il signore grande abondanza d’aguglie (aquile) colle quali si pigliano volpi e lievre e dani e cavrioli e lupi, ma quelle che sono ammaestrate a lupi sono molte grandi e di grande podere, ch’egli non è si grande lupo che iscampi dinanzi a quelle aguglie, che non sia preso” scriveva Marco Polo nel Milione raccontando delle grandi battute di caccia con le aquile che si svolgevano nel Catai durante i mesi invernali. Doppia pagina precedente: Il cacciatore kazako Abil Jinistan e i suoi figli cavalcano durante una battuta di caccia con l’aquila.
Diffusa un tempo in tutta l’Asia, la pratica della caccia con l’aquila sopravvive oggi solo in alcune zone dell’Asia Centrale, dove è relegata a poco più di un’attrazione turistica. Solo una popolazione ne continua orgogliosamente la tradizione, mantenendola a rango di sport d’elite e, in alcuni casi, di vera e propria professione da cui ricavare il sostentamento per la famiglia: i Kazaki dei monti Altai nella Mongolia nord-occidentale. Uno di questi è Munsuzbai Yasim cacciatore di Tsengel (foto sopra e a destra) che posa con la sua aquila e delle pellicce di volpe. 12
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Per catturare le aquile che utilizzeranno per la caccia, alcuni cacciatori preferiscono rapirle dai nidi riconoscendo le femmine, perché sono quelle che generalmente stanno sui bordi, mentre i maschi preferiscono rimanere al centro. Altri realizzano trappole con delle reti appese a diversi bastoni dentro le quali si dibattono uno o più corvi. Quando l’aquila attirata dai corvi si butta su di loro, il cacciatore le fa cadere addosso la rete imprigionandola. I cacciatori più esperti propendono per questo secondo metodo di cattura perché, anche se sarà più difficile da addestrare, un’aquila catturata in questo modo sarà molto più efficace nella caccia grazie agli insegnamenti ricevuti precedentemente dalla madre.
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Dopo la cattura l’aquila viene addestrata facendola stare in equilibrio con il tomaga (cappuccio) sulla testa, sopra una corda con le zampe legate per almeno 24 ore in modo da farla cadere ogni volta che cerchi di prendere il volo e sia costretta a rimettersi in equilibrio. Successivamente viene allenata a catturare una carcassa di lepre trascinata sul terreno. Quando l’aquila si lancia sulla preda in modo corretto, viene ricompensata con pezzetti di carne. Questa parte di lavoro può durare parecchie settimane, anche perché quando l’aquila si accorge che la preda non è che un animale morto o una semplice pelle, tergiversa parecchio prima di lanciarsi in volo. Dopo alcuni mesi l’animale sarà pronto per le prime uscite di caccia.
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Un giorno sono uscito a caccia con Abil Jinistan. Di tanto in tanto l’anziano cacciatore, avvolto nel pesante pastrano di velluto nero, il cappello di raso rosso foderato con pelo di volpi catturate dalla sua aquila, i baffi sottili e gli occhi verdi ridotti a 2 fessure dal riverbero della luce sulla neve, libera l’aquila, che volteggia maestosa nel cielo in cerca di una preda.
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Dopo svariati tentativi, una lepre spaventata dal rumore degli zoccoli dei cavalli si lancia in una fuga precipitosa. L’aquila rimane un attimo sospesa, poi si butta in una planata fulminea fino a pochi metri dal suolo, quando frena di colpo allargando ali e coda. Gli artigli tesi in avanti afferrano la preda sollevandola da terra. A questo punto l’aquila rizza le piume del collo in atteggiamento aggressivo, per dissuadere eventuali tentativi di sottrarle la preda.
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Una volta catturata la preda dall’aquila, inizia il compito piÚ difficile per il cacciatore: sottrarla ai suoi artigli prima che questa ne rovini la preziosa pelliccia. Abil si precipita sull’aquila con grossi pezzi di carne per convincerla a scambiarli con la volpe.
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I Kazaki utilizzano solo esemplari femmine di aquila reale per la caccia, perché sono di almeno 1/3 più grandi dei maschi. Il loro peso può raggiungere i 6 kg, l’apertura alare superare i 2 m e sono ritenute più aggressive. Alle aquile vengono dati dei nomi secondo la loro età, che i cacciatori riconoscono osservandone zampe ed artigli. Un’aquila di 3 anni è tastluk (colei che ha perso le piume), a 4 anni è Anna (la madre), mentre un esemplare adulto di 5 anni nel pieno delle sue forze si chiamerà khana (l’età del sangue).
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Un gruppo di Kazaki di un villaggio sperduto nei monti Altai assiste ad un incontro di lotta tradizionale durante il Khurmadain (festa del sacrificio musulmana). I kazaki sono l’unica popolazione musulmana della Mongolia, dove la religione maggiormente praticata è il Buddi20
smo, ritornato in auge dopo il lungo periodo comunista, che distrusse la maggior parte dei monasteri, giustiziando un gran numero di monaci. 21
Nei mesi invernali le temperature sui monti Altai scendono tranquillamente oltre i 30° sotto zero. I fiumi sono completamente congelati e si attraversano a cavallo. I bambini ne approfittano per giocare sopra lo strato di ghiaccio scivolando su slitte rudimentali costruite da loro stessi.
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L’acqua sotto forma liquida è presente solo sotto un grosso spessore di ghiaccio che gli abitanti dei villaggi kazaki sono costretti a bucare per potervi accedere. Una volta portata nelle case si ricongela immediatamente e per cucinare arriva nelle pentole direttamente sotto forma di blocchi di ghiaccio da scongelare.
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Oggi la caccia con l’aquila, pur contando nella sola regione di Bayan-Ölgii più di 150 cacciatori, sta lentamente declinando. Solo pochi giovani sono disposti a passare così tanto tempo per catturare, addestrare e uscire a caccia con le aquile. Molti Kazaki, dopo la creazione dello stato del Kazakistan nel 1991, stanno abbandonando la dura vita nomade in questa parte di Mongolia, attratti dalla modernità e dal più alto tenore di vita del nuovo stato.
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Anche i figli di Abil Jinistan sono emigrati e lui stesso, dopo la morte della moglie e la vecchiaia incipiente, sente il bisogno di riunirsi alla famiglia. A malincuore venderà il gregge di pecore, i cavalli e libererà la sua aquila compagna di molte avventure. Ben presto ci sarà un cacciatore di meno sulla catena dei monti Altai. Ma per ora possiamo continuare a vederlo cavalcare orgoglioso tenendo sul braccio l’aquila che spiega le ali al vento. Gli antichi guerrieri di Gengis Khan, che hanno conquistato il mondo, non dovevano certo essere molto diversi, quantomeno nell’aspetto.
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In inverno ogni goccia d’acqua, dalla bava dei cavalli, al sudore sui baffi dei cavalieri, alle lacrime attorno ai grandi occhi bruni dei cammelli battriani, si trasforma immediatamente in cristalli di ghiaccio. La Mongolia è uno dei pochi luoghi al mondo dove si trovano ancora esemplari di cammelli battriani allo stato selvaggio. Il nome scientifico, Camelus Bactrianus, fu dato loro dal botanico e naturalista svedese Carl von Linné, che lo riteneva originario della Battriana, una regione fra l’Afghanistan e l’Uzbekistan.
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Doppia pag. precedente: una bufera di neve si prospetta all’orizzonte nella valle di Tsengel. Chi ancora oggi pratica seriamente la caccia con l’aquila lo fa esclusivamente in inverno, quando gli animali da pelliccia hanno il manto più folto, per meglio difendersi del freddo intenso. In questo modo le pellicce hanno un maggior valore. Durante i mesi estivi i cacciatori si prestano solo a dimostrazioni con le proprie aquile, per la gioia dei gruppi di turisti che si spingono fino in queste regione remota. Una famiglia kazaka si sta spostando a bordo di un vecchio camion dell’era sovietica durante una bufera di neve sulla pista verso Tsengel.
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A causa delle temperature rigidissime dei mesi invernali, a volte gli allevatori kazaki sono costretti a tenere in casa gli agnelli piĂš deboli, che morirebbero sicuramente se lasciati nei recinti. In questa casa nel villaggio di Tsengel due agnellini avevano un mini recinto nel soggiorno, proprio sotto al televisore e si dimostravano interessati alle interminabili telenovele proposte dalla televisione kazaka.
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La foto di gruppo della numerosa famiglia di Batew (secondo a destra), un anziano signore con una lunga ed esile barba simile a minuscoli fili d’argento, che da oltre 45 anni si diletta a cacciare in compagnia delle aquile.
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Una ragazza kazaka versa le immancabili tazze di tè, rigorosamente salato e con del burro sciolto all’interno, simbolo di ospitalità . Questo rito avviene in tutta la Mongolia in ogni gher (tradizionale tenda circolare mongola utilizzata anche dai Kazaki) o casa in cui vi capiti di entrare. Non è raro che vi venga offerto anche del cibo.
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Nella casa di Batew si festeggia il Khurmadain la ‘festa del sacrificio’, che si celebra 70 giorni dopo la fine del Ramadan. A differenza dei Mongoli, che hanno ritrovato la fede buddista dopo la lunga parentesi comunista, i Kazaki sono musulmani, anche se la religione non sembra ricoprire un ruolo di primaria importanza e molti di loro non disdegnano la vodka, diventata la bevanda nazionale dopo l’arrivo dei russi.
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In tutte le case ci si raduna a bere il tè attorno a tappeti ricoperti di dolci. Si sacrificano montoni e si ringrazia Allah. Nel pomeriggio si svolgono gare a cavallo e incontri di lotta.
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Doppia pagina precedente: dalla primavera all’autunno i Kazaki conducono vita nomade in gher simili a quelle dei Mongoli, ma nei mesi invernali si rifugiano in case di legno e fango per sfuggire al freddo. Un Ovoo, un altare rurale fatto di pietre e rami a cui sono appesi nastri svolazzanti turchesi spesso ornati con teschi di animali. Si tratta di simboli di fede che raccontano di un sincretismo tra la religione buddista e lo sciamanesimo, ancora ampiamente praticato, soprattutto nelle regioni piÚ remote del Paese.
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INFO UTILI Foto e testi di Bruno Zanzottera Quando Generalmente i mesi consigliati per un viaggio in Mongolia vanno da giugno a settembre, quando le temperature sono sufficientemente miti per poter dormire nelle tende. L’itinerario descritto, per la sua particolarità, è stato realizzato tra febbraio e marzo per poter assistere alle cacce con l’aquila, che si svolgono solo nei mesi invernal,i quando le prede indossano le loro pellicce più folte. In inverno è anche più facile contattare i nomadi Tsaatan che si spostano più vicino ai centri abitati ed è anche l’unico periodo per vivere l’incredibile esperienza di viaggiare in auto sulla superficie ghiacciata del lago Khövsgöl. Tutto questo se non temete troppo le temperature tra -20° e - 30°. Da alcuni anni, tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, nella provincia di Bayan-Olgii si svolge un festival che raduna i cacciatori con le proprie aquile impegnati in prove di abilità, che però nulla hanno a che vedere con la reale caccia con l’aquila.
Cosa portare Se decidete di affrontare questo viaggio in inverno portatevi capi adeguati alle temperature che oscillano tra -10° e -30°, anche se è un freddo molto secco. Assolutamente necessari una giacca a vento di piumino, un capo in pile, maglioni e pantaloni pesanti, una calzamaglia adeguata, berretto, calzettoni e guanti di lana o di pile, scarponcini da trekking abbastanza alti e impermeabili per camminare nella neve. Occhiali da sole, burro cacao e creme solari per il viso a causa del forte riverbero della neve. Se viaggiate in estate potrete essere più leggeri, ma ricordatevi che le condizioni climatiche possono variare velocemente con improvvisi abbassamenti di temperatura anche di diversi gradi. Come arrivare Aeroflot rimane la compagnia più veloce ed economica (da 600-700€). In alternativa Turkish Airlines o Air China. Se ci si affida a un T.O si spendono tra i 3.000 e i 4.500 €. In alternativa, organizzandosi per proprio conto online si può spendere molto meno. Un tour operator locale cui ci si può rivolgere è Great Chinggis Empire che ha una guida, Nyamaa, parlante italiano.
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| Una scia di profumi nel vento e nel mare
Un terreno ostile per il suolo duro, le scarse piogge e i venti implacabili, grazie al lavoro caparbio degli isolani nei secoli restituisce prodotti di eccezione dallo straordinario profumo.
Pantelleria
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In apertura: Pantelleria è conosciuta in tutto il mondo per i suoi capperi, gli unici riconosciuti come “di qualità superiore” dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Dal 1993 sono distribuiti con l’Indicazione Geografica Protetta. Nella foto un appezzamento dedicato alla coltivazione. Nella pagina precedente: alcune Lance Pantesche ormeggiate nel porto di Pantelleria. Queste tipiche e coloratissime imbarcazioni sono patrimonio UNESCO e vengono costruite esclusivamente dal Maestro d’ascia Francesco Valenza. Sopra: i vigneti e la cantina dell’azienda Donnafugata. A destra: La valle di Bukkuram è tra le zone più fertili dell’isola, qui si coltivano viti, ulivi, capperi pomodorini e fichi d’india.
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A sinistra: la pianta del cappero è un piccolo arbusto con foglioline ovali alterne e picciolate; le foglie piÚ giovani vengono sbollentate e unite ad altre verdure per conferirne sapore e carattere. I capperi sono il bocciolo floreale e si raccolgono nei mesi estivi, da giugno a settembre. Sopra: alcuni grappoli di uva Zibibbo di Pantelleria sono pronti per essere trasformati in passito o usati per esaltare i dolci della pasticceria siciliana, oppure venduti come uva passa.
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Prima di trasformarli in vino Passito di Pantelleria, un anziano contadino divide gli acini essiccati dal graspo. Un lavoro estremamente meticoloso che non può essere fatto in nessun altro modo, solo l’occhio e il tatto umano sono in grado di selezionare e dividere gli acini perfetti da quelli non conformi. Sopra: l’interno dello stenditoio, una sorta di serra ben areata dove i grappoli di Zibibbo passano mediamente da 2 a 4 settimane. In questa fase molto delicata i grappoli vengono girati periodicamente per ottenere acini appassiti in modo omogeneo; il prodotto è pronto quando la concentrazione zuccherina arriva al 60% e il peso si riduce del 75%.
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Sopra: i capperi appena raccolti sono messi in una grossa macchina vibrante a rulli forati, che seleziona e divide i frutti in base alla dimensione. I più piccoli sono i più pregiati e costosi, la concentrazione di sapore e aroma è superiore ai frutti più grossi e sono preferiti dagli estimatori. I capperi cadono divisi per dimensione in grossi contenitori e vengono subito mischiati al sale marino per preservarne inalterati sapore e colore. Si possono conservare anche sott’olio o sott’aceto, ma il sale è il metodo più comune e apprezzato.
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Sotto: una manciata di capperi selezionati e salati pronti per essere confezionati e spediti in tutto il mondo. Il cappero di Pantelleria IGP deve il suo sapore intenso a una sostanza proteica presente nel terreno lavico dell’isola. Oltre che conferire un gusto deciso a molte ricette, questo frutto ha proprietà digestive e diuretiche, aiuta a ridurre i rischi di allergie e contiene sali minerali e vitamine A, C e D.
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Sotto: grazie ai terreni fertili di origine vulcanica, nell’isola l’agricoltura ha un ruolo predominante sin dalla preistoria. L’unico limite è dovuto al vento, che su quest’isola soffia forte e costante e costringe a coltivare prodotti dalla pianta bassa, in alcuni casi protetti da muri di pieta a secco. I pomodorini di Pantelleria sono un prodotto molto amato dai panteschi e sono presenti in ogni casa. In estate si raccolgono ancora gialli e appesi in un angolo ben arieggiato e senza il sole diretto. Questa tecnica consente di conservarli durante i mesi invernali mantenendo intatto il sapore.
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Conservare i prodotti per l’inverno è usanza molto diffusa sull’isola. Risale ai secoli scorsi, quando la difficoltà di reperire alimenti freschi durante i mesi invernali ha sviluppato la tecnica di conservazione. Oggi sono molte le aziende che propongono conserve tipiche, tramandate da ricettari antichi. Tra le più famose ci sono i patè di capperi, di melanzane, di olive nere e di pomodorini secchi. Tra gli antipasti la caponata rustica, le cipolline in agrodolce, i pomodorini secchi sott’olio. Per condire la pasta si trovano pesti alla Carrettiera, alla Siciliana e di pistacchi.
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Nella pagina precedente: la cima della Montagna Grande (836m slm e Riserva Naturale Orientata) è la vetta più alta dell’isola; numerosi sentieri si inoltrano nella macchia mediterranea e conducono al punto panoramico più suggestivo di Pantelleria. Da qui la vista a 360° è spettacolare: si possono ammirare l’intera costa con i suoi paesini, la piana di Khamma e Tracino e, nelle giornate terse, si riesce a scorgere la costa sud della Sicilia.
In queste pagine: il pescato del giorno e un vecchio pescatore. Il mare di Sicilia, proprio nella fossa di Pantelleria, è considerato uno dei più pescosi del mediterraneo grazie a una profondità non eccessiva e a fondali regolari.
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Sotto: tra le specie ittiche che si pescano nella fossa di Pantelleria ci sono le mazzancolle dal tipico colore a macchie tigrate arancio/grigio, che gli isolani cucinano saltate in padella e sfumate con un bicchiere di passito, perfette per condire una pasta o semplicemente gustate da sole.
Sopra: uno dei piatti tipici della cultura culinaria pantesca è l’insalata di polpo alla siciliana. Dopo una aver fatto bollire il polpo per circa 40 minuti, si affetta in pezzi regolari e si condisce con abbondante olio extra vergine d’oliva, alcuni pomodorini tagliati a dadini e una manciata di capperi precedentemente lasciati in acqua qualche ora per dissalarli. Si unisce un trito di prezzemolo, un pizzico di sale e il piatto è pronto per essere mangiato.
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A sinistra: un pescatore mostra orgoglioso una grossa cernia appena pescata; con tutta probabilità sarà cucinata al forno o sulla brace. In alto a destra: ci sono alcuni pesci perfetti per preparare una zuppa. La ricetta classica di Pantelleria prevede uno scorfano, due triglie e alcune seppioline; i pesci vengono messi a cuocere per circa 45 minuti insieme a due bicchieri d’acqua, pomodorini pelati, uva passa, capperi olive e uno spicchio d’aglio. In basso a destra: la regina di tutti i contorni, la caponata pantesca. Si prepara un fondo con olio, cipolla bianca, pomodoro, capperi, olive e sedano; il tutto si soffriggere a fuoco basso per una decina di minuti, successivamente si aggiungono le melanzane tagliate a dadi precedentemente fritte, un cucchiaio d’aceto, un cucchiaino di zucchero e un pizzico di sale. Cuocere a fuoco lento per almeno 30 minuti.
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In queste pagine da sinistra verso destra: trancio di pesce spada cotto alla griglia e adagiato su un letto di verdurine di stagione, aromatizzate al Passito di Pantelleria; un secondo leggero e molto saporito. Crostone di pane abbrustolito con polpo (precedentemente sbollentato) saltato in padella con
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patate lesse capperi e olive; da servire come antipasto. Saltare in padella pezzi di rana pescatrice con un trito di capperi e mezzo bicchiere di vino zibibbo, alcuni pomodorini pachino divisi in due e uno spicchio d’aglio, appena il vino sfuma condite gli spaghetti; primo piatto semplice e delizioso.
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Nella pagina precedente: una vista dall’alto della piana Ghirlanda, una delle zone dove si coltivano le viti di Zibibbo “ad alberello” dal 2014 Patrimonio dell’Umanità UNESCO. In queste pagine: nella contrada Khamma si trova una delle aziende vinicole più importanti dell’isola: la cantina Donnafugata. Nella foto a sinistra una donna prepara il pasto per gli operai della cantina. A destra viene prelevato un bicchiere di Passito di Pantelleria Ben Ryé per verificare il giusto grado d’affinamento. Questo straordinario vino dolce, dal colore ambrato, ha un bouquet intenso dal sentore di agrumi canditi, albicocca miele e fico. Prima di essere commercializzato passa sette mesi in vasca e dodici in bottiglia.
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Nelle foto in alto a sinistra e a destra: l’hotel Mursia si trova nel versante nordovest dell’isola, direttamente sul mare. L’hotel dispone di due grosse piscine con acqua di mare, due bar, solarium e il ristorante “Le Lampare” che propone una cucina con specialità locali. Nella foto in basso a sinistra: nella riserva di Punta Spadillo, splendida area vulcanica dalla caratteristica vegetazione mediterranea, svetta il guardiano del mare, il faro di Punta Spadillo. Edificato alla fine dell’ottocento, da molti anni è in stato di abbandono, ma a breve sarà riqualificato secondo il modello di “lighthouse accommodation”.
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A sinistra: il lago Specchio di Venere è un bacino naturale che occupa una caldera vulcanica. È alimentato da acqua piovana e sorgenti termali che portano la temperatura a 40°C. La presenza di alghe termofile è fondamentale per la formazione del fango verdastro dalla ricca concentrazione di zolfo, massaggiato sul corpo è un toccasana per la pelle.
Sopra: Pantelleria non ha spiagge di sabbia, essendo un’isola di origine vulcanica. Dalla terraferma numerosi sentieri conducono al mare, ma il vero modo per godersi appieno l’isola è raggiungere le numerose calette in barca. L’escursione classica dell’isola prevede di salpare dal porto di Pantelleria verso le 9,30 per raggiungere i posti più suggestivi dal mare cristallino, dove si sosta per lunghi bagni e si pranza a bordo. Il rientro è verso le 18.
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In alto a sinistra: i limoni di Pantelleria sono molto preziosi, si coltivano all’interno di piccoli giardini cintati da muri di pietra per proteggerli dal forte vento. In basso a sinistra: una delle numerosissime piante grasse che crescono sull’isola. Nella foto a destra: una pianta di fichi d’india.
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Un comodo sentiero che porta a una piccola baia nei pressi della contrada Mursia.
INFO UTILI Foto e testi di Giovanni Tagini Dove mangiare Ristorante I Giardini di Rodo, via Bonomo Alto. Tel. 3273588078 Ristorante La Conchiglia, contrada Khamma, 19. Tel. 0923915333 Ristorante Il Principe e il Pirata, centro Punta Karace. Tel.0923691108 Ristorante Altamarea, via Scauri Porto, 5. Tel. 0923918115 Ristorante Marai, lago di Venere, 42. Tel. 339215930. Ristorante l’officina, Piana di Ghirlanda. Tel. 3333913695
Dove dormire Mursia & Cossyra, località Mursia. Tel. 0923 1760087. La Kuddia, tel. 0923911694. Zubebi, contrada Zubebi. Tel. 0923913653. Acropoli, via Madonna Margana, 83. San Francesco. tel. 0923912718. Sikelia, via Monastero.Tel. 0923408120 Link utili Sito del comune di Pantelleria Notizie sull’isola
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| Un inciampo del tempo
Per Garcia Marquez il tempo non scorre sempre uguale. Alle volte inciampa regalando briciole di eternità . Come in questo viaggio in un’Africa sconosciuta, tra culture, religioni, cerimonie e riti immutati nei secoli.
TOGO benin
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In apertura: Pays Tamberma, Togo. Sul terrazzo assolato di una tata (abitazione tradizionale), i chicchi del sorgo vengono stesi ad asciugare. La donna china li separa e li spazza dalla polvere con l’aiuto di una piccola scopa realizzata con i ramoscelli secchi della stessa pianta. Foto sopra: Pays Tamberma, Togo. Nella zona settentrionale del Togo, uno degli stati piÚ piccoli di tutto il continente africano, in una regione chiamata Koutammakou, vivono i Tamber-
ma. Popolo di contadini e muratori, coltivano principalmente il fonio (il piĂš piccolo tra i cerali), il miglio, il sorgo e poi ancora la manioca il mais e i fagioli. Nella foto una semplice abitazione di fango e paglia in un piccolo villaggio di contadini: la costruzione conica funge da granaio e quella rettangolare da abitazione.
Pays Tamberma, Togo. Riempire battere setacciare rovesciare…. La trebbiatura è una delle fasi finali del ciclo di coltivazione e consiste nel separare i chicchi dei cereali dalla pula. Un’operazione semplice ma faticosa, fatta con la sola forza delle braccia e di semplici strumenti e il lavoro di numerose persone. Secondo la direzione del vento, le minuscole pagliuzze che si liberano nell’aria potrebbero posarsi sulle spalle e sulle braccia e risultare particolarmente urticanti a contatto con la pelle. Le donne avevano provato a spiegarmelo a gesti e nella loro lingua, io l’ho capito solo dopo…. E una volta tornata alla macchina ho trascorso mezz’ora di prurito e brucione infernale.
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Foto sotto: Pays Tamberma, Togo. della stessa etnia dei Betammariba del vicino Benin, i Tamberma del Togo, si distinguono per la loro abilità nel costruire abitazioni fortificate a più piani, le Tata. Una serie di scale collegano il piano terra, destinato agli animali domestici, al terrazzo sul piano superiore, dove si svolge la vita famigliare. Qui si cucina, si dorme e si conserva il raccolto. Le torrette adibite a granaio sono sormontate da tettucci mobili. Per salire si usa una scala intagliata in un unico tronco di legno. L’operazione richiede una certa dose di equilibrio, ma una volta all’apice è interessante osservare come, all’interno delle torrette, gli spazi siano suddivisi per separare i diversi generi di cereali. Per la loro bellezza e unicità, i villaggi fortificati della regione chiamata Koutammakou sono dal 2004 Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.
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A sinistra: Pays Tamberma, Togo. Chiamato “albero della vita” o “albero magico”, questo maestoso baobab sembra voler abbracciare con la sua ombra il piccolo villaggio sottostante.
Sopra: ombra e protezione. All’interno delle tate, le case tradizionali, la vista di abitua gradualmente. Fuori, ogni cosa è bruciata dal sole. Dentro, un po’ di riparo e il crepitio del focolare. La vista si abitua lentamente e il fumo brucia nelle narici. In passato, il piccolo e unico ingresso aveva anche scopo di difesa e di prevenzione da attacchi esterni: animali, tribù nemiche, cacciatori di schiavi.
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Doppia pagina precedente: Abomey, Benin meridionale. Al ritmo frenetico dei tamburi gli Egungun entrano nell’arena ed iniziano a danzare. I lunghi mantelli, le gonne e i drappi si sollevano volteggiando e gonfiandosi in una nuvola di polvere rossa. Lo spettacolo ha inizio. Sopra: nella religione tradizionale Yoruba, come in altre culture africane, il culto dei morti è una pratica molto radicata e seguita. Agli antenati, considerati i protettori dei loro discendenti, vengono offerte preghiere e sacrifici e i loro spiriti vengono rievocati periodicamente per garantire ordine e protezione. Le maschere Egungun, letteralmente “osso” o “scheletro”, ne sono la rappresentazione in terra. Durante la cerimonia, l’iniziato posseduto dal defunto, lo riporta simbolicamente in vita assumendone l’identità, dando alla maschera e allo spirito potere e forma.
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Sotto: Abomey, Benin meridionale. Uno spaventoso Egungun brandisce minaccioso la spada. La credenza popolare vuole che il tocco anche accidentale di un Egungun possa causare la morte immediata. Chi lo ha subito dimostra che non è certamente mortale, ma assicura che è molto doloroso e lascia un bel livido sulla pelle.
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Abomey, Benin meridionale. Il costume Egungun è molto pesante ed elaborato. Strati multipli di stoffe preziose, drappi e lembi colorati vengono aggiunti periodicamente per rinnovarlo e impreziosirlo, insieme ad amuleti, perline e ricami. La stratificazione ha anche lo scopo specifico di coprire integralmente il viso e il corpo dell’iniziato, la cui identità deve rimanere sconosciuta e segreta.
Sotto: Zangbeto - Gran Popo, Benin meridionale. Grandi maschere di paglia colorata si aggirano di notte, e talvolta di giorno, per vigilare sulla comunità. Custodi della legge, terrorizzano nemici, ladri, malintenzionati e allontanano le presenze maligne. Gli Zangbeto sono i vudù (spiriti, divinità) guardiani della notte che hanno abitato la terra prima dell’uomo. Secondo la leggenda Yoruba, non ci sono esseri umani sotto al costume. Se sia vero non si può dire. D’altra parte, il confine segreto tra realtà e magia non può essere svelato.
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Sopra: Zangbeto - Gran Popo, Benin meridionale L’uscita delle maschere Zangbeto è una gran festa per il villaggio, che li accompagna con suono ritmico e ipnotico dei tamburi.
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Sotto: Pays Taneka. Benin. Un anziano siede sulla soglia della sua capanna, intento a fumare la sua lunga pipa. Si tratta di un “boro-te”, un guaritore capo spirituale. Per tradizione non può indossare altro che un perizoma e un copricapo. Non può lasciare il villaggio e se lo fa è solo per andare in visita ad un villaggio più vecchio. Conosce i rimedi delle erbe, può curare l’infertilità, è consultato in caso di guerra e può anche portare la pioggia.
Sopra: Pays Taneka. Benin. Sulle colline del Benin nord occidentale, ai confini col Togo, vivono i Tangba o Taneka, “i popoli delle pietre”. Arrivati da lontano per sfuggire ai cacciatori di schiavi, vi si stabilirono trovando riparo tra le rocce e nelle grotte. In posizione arroccata ed isolata poterono difendersi, crescere e mantenere integra una identità culturale che è sopravvissuta fino ad oggi. Un lungo e polveroso sentiero in salita porta al villaggio di Taneka Beri. Numerose abitazioni sono disabitate, alcuni tetti sono caduti. Ci sono pietre ovunque. L’impressione è quella di attraversare paesi fantasma. E in effetti lo è in parte. Durante la stagione del raccolto le famiglie giovani abbandonano i villaggi delle montagne e si traferiscono in pianura lasciando agli anziani la custodia delle case e delle tradizioni. Doppia pagina successiva: Pays Ottamari. Benin. All’inizio del giorno, nel bellissimo villaggio montano di Koussoukoingou, non lontano dal confinante Togo, l’aria è fresca. Alcuni tizzoni ardono ancora dalla sera prima e donano un po’ calore ad un giovane infreddolito. 95
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A sinistra: Pays Ottamari. Benin. Come i vicini Tamberma del Togo, anche i Betammaribè o Ottamari del Benin sono abili costruttori di case, tata. Le tata sono costruzioni circolari, a più piani e con torrette fortificate che si affacciano sul terrazzo e fungono da granai e camere per la famiglia. Al piano terra si trovano gli animali gli anziani e gli infermi. Davanti all’entrata vengono disposti i feticci protettori e su questi si compiono periodicamente i sacrifici propiziatori. Sui muri esterni invece vengono appesi i trofei di caccia: teschi di scimmia, teste di serpente, carcasse di uccelli, ecc. In estrema sintesi si potrebbe dire che la parte alta della casa è quella riservata ai vivi, mentre quella bassa è riservata ai defunti e al loro culto.
Sopra: Pays Ottamari. Benin. La danza delle donne si svolge prima del tramonto. Dopo i lavori nei campi, dopo aver accudito alla casa, alla famiglia e agli animali domestici, le donne, avvolte nei loro vestiti sgargianti, si ritrovano insieme per cantare e danzare al ritmo di grandi tamburi di zucca. La loro allegria sfrenata è molto contagiosa.
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Sopra: Pays Ottamari. Benin. “Feci notare al piccolo principe che i baobab non sono arbusti, ma alberi alti come chiese, e che anche se avesse portato un intero branco di elefanti, il branco non sarebbe riuscito ad avere la meglio su un solo baobab”. (Antoine de Saint-Exupéry) Ritenuto sacro e venerato per le sue virtù medicinali il Baobab può vivere fino a 500 anni e raggiungere l’altezza impressionante di 25 metri. Per sopravvivere alla siccità perde le foglie prima di tutti gli altri alberi ed è capace di trattenere nella corteccia l’acqua piovana che riceve.
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Sotto: Pays Ottamari. Benin. Il sorgo è, tra le colture alimentari, una della più resistenti alle siccità e al calore ed è il quinto cereale in ordine di importanza, dopo il granoturco, nella coltura alimentare africana. La possibilità di conservare il raccolto e proteggerlo dall’attacco degli animali è una condizione fondamentale per la sopravvivenza e la prosperità del villaggio e della comunità. Nella foto scorte di mais e di sorgo sul tetto di una tata.
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Ouidah, Benin. Il dieci gennaio di ogni anno, la città di Ouidah, viene animata dal Festival del Vudù, che celebra il volto dell’Africa più animista, dove mito, superstizione e realtà s’intrecciano in un’esperienza intensa e spettacolare tra celebrazioni, riti, sacrifici e danze. Nelle foto in alto a sinistra e a destra: alcuni momenti di una danza rituale dove gli adepti in stato di trance roteano su se stessi trattenendo con i denti il corpo di un capretto.
A sinistra in basso: al mercato dei feticci si vende e si compra ogni sorta di oggetto. Ossa, artigli, denti e pelli di ogni genere di animale, statuette, maschere, pietre, erbe piante e sostanze misteriose.
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Doppia pagina precedente: Vudù festival, Ouidah, Benin. Nella grande arena riservata al festival, l’atmosfera è elettrica e, nonostante il caldo opprimente, i molteplici gruppi di ballo, arrivati da ogni angolo del Benin e non solo, si esibiscono in danze frenetiche. Foto sopra: fin dalle prime ore del giorno, gruppi di adepti sfilano lentamente fino alla Porta del Non Ritorno ripercorrendo i quattro chilometri della Rue Des Esclaves. Nel luogo clou della festa, la grande arena al di là della Porta, festeggeranno fino a notte fonda, alla presenza delle più alte cariche dello stato e sotto la guida della massima carica religiosa, Le Chef Spirituel Supreme Voudoun Hwendo Daagbo Hounoun.
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Foto sotto: VudĂš festival, Ouidah, Benin. Le comunitĂ vudĂš provenienti da tutti gli angoli del Benin e non solo, sono guidate dai sacerdoti. Sfoggiano completi dai colori sgargianti, cappelli e copricapi elaborati, ombrelli baldacchino e sfarzosi abiti cerimoniali. Nella foto uno Zangbeto dalla maschera particolarmente elaborata irrompe in un momento della sfilata. Pagine successive: in alto a sinistra: danze e musica al passaggio dei sacerdoti e dei loro adepti. In basso a sinistra: il sacrificio di un gallo prima di un rituale propiziatorio. A destra: un feticcio antropomorfo di religione vudĂš.
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Doppia pagina precedente: un gruppo di adepti preceduti dal Gran Sacerdote. Ouidah, Benin. Davanti all’oceano, sulla spiaggia di Ouidah si erge oggi La Porta del Non Ritorno, il monumento voluto dall’Unesco per ricordare gli schiavi deportati durante il periodo coloniale. La Porta rappresenta l’ultima tappa della Route des esclaves, la strada di 4 km che gli schiavi percorrevano prima di arrivare al mare, dove venivano imbarcati per il grande viaggio senza ritorno. Iniziava a Place Chach, dove si svolgeva l’asta e la marchiatura. Proseguiva poi verso un albero (oggi Albero dell’Oblio) intorno al quale venivano fatti girare 9 volte bendati per dimenticare il passato e poi 3 volte intorno a un altro albero (l’Albero del Ricordo) perché le anime potessero tornare dopo la morte. Infine, la spiaggia. Nella foto sotto: Porta del Non Ritorno, un uomo e una donna in catene scolpiti sulle pareti della Porta.
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INFO UTILI Foto e testi di Monica Mietitore INFO UTILI BENIN DOCUMENTI Necessario passaporto con visto d’ingresso da richiedere al consolato del Benin. Informarsi preventivamente sulla validità residua del passaporto necessaria. Occorre denunciare ogni tipo di valuta di cui si è in possesso. QUANDO ANDARE A sud del Benin il clima è tropicale mentre a nord, con la vicinanza al Sahel, si fa più secco e caldo. Il periodo migliore per visitare il paese è da dicembre a marzo. In agosto la stagione delle piogge renderà a tratti il vostro viaggio meno semplice, ma non è comunque una delle nazioni africane più colpite dalle piogge. FUSO ORARIO Stesso orario rispetto all’Italia, -1 ora quando in Italia vige l’ora legale AMBASCIATE E CONSOLATI Per il Benin è competente l’Ambasciata d’Italia di Abuja (Nigeria). Tel.: +234 9 4602970/1/2; per sole emergenze +234 8035235848.
INFO UTILI TOGO DOCUMENTI Passaporto: necessario, con validità residua di almeno sei mesi (da verificare sempre in anticipo) e visto d’ingresso da richiedere al Consolato Onorario del Togo a Roma o alla frontiera. Il costo è di 10.000 Franchi C.F.A. circa, con validità di sette giorni, rinnovabile per tutto il periodo di permanenza all’ufficio immigrazione togolese. Formalità valutarie: si consiglia di dichiarare in dogana la valuta posseduta. FUSO ORARIO -1h rispetto all’Italia; -2h quando in Italia vige l’ora legale. AMBASCIATE E CONSOLATI L’ambasciata d’Italia competente è quella di Accra (Ghana) > Tel. 00233 302 775621/2. Cellulare di emergenza: 00233 (0) 244-317079. email: ambasciata.accra@esteri.it ALTRE INFO UTILI Prima di ogni partenza è sempre utile consultare il sito Viaggiare Sicuri della Farnesina. LETTURA CONSIGLIATA “Il Viceré di Ouidah” di Bruce Chatwin.
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| GUJARAT, TESORO NASCOSTO
Ai margini delle tradizionali mete turistiche, la patria di Gandhi, il Gujarat, vanta una tradizione di straordinarie e celebri stoffe ricamate dalle popolazioni tribali secondo la tecnica del Mirror Work.
INDIA
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In apertura: la moschea di Jumma Masjid a Ahmedabad, risalente al XV secolo. Doppia pag. precedente: il palazzo di Laxmi Vilas fatto costruire dal Maharaja Sayajirao Gaekwad III nel 1890 a Vodadora, in uno stile architettonico che si richiama alle costruzioni indo-saracene. Qui sopra: il tempio induista dedicato al Dio del Sole Surya, venne fatto costruire nel 1026 dal re Bhimdev appartenente alla dinastia Solanki, lungo le rive del fiume Pushpavati. Oggi l’edificio non viene più utilizzato per il culto ed è stato trasformato in museo sotto la supervisione dell’Archeological Survey of India.
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Il bacino idrico a scalini è uno dei gioielli architettonici del tempio induista dedicato al Dio del Sole Surya a Modhara. Il serbatoio è composto da quattro terrazze che portano verso il fondo, con piccole piramidi per ogni terrazza. I gradini creano interessanti motivi geometrici con la presenza di ulteriori piccoli templi dedicati a Vishnu, Ganesh, Shiva e Natraja. Un tempio è dedicato a Shitlamata, la divinità della varicella, che viene rappresentata a dorso d’asino con una scopa in mano. Sembra che in origine vi fossero 108 templi minori. Oggi molti si trovano in rovina, ma questo fatto rafforza l’impressionante vista d’insieme.
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Ragazze musulmane sulle rive dell’Hamersaar Lake a Bhuj (in alto). La città fu costruita all’inizio del XVI secolo e divenne il capoluogo della regione di Kutch. Nel corso della sua storia ha subito varie distruzioni causate da terremoti, il più grave dei quali fu quello del 2001, che vide l’intera città praticamente rasa al suolo. Anche gli stupendi edifici storici come il celebre Aina Mahal (palazzo degli specchi) risultarono seriamente danneggiati. Sotto: donne e ragazze di etnia Rabari nel villaggio di Nirona nel Grande Rann di Kutch.
Un gruppo di ragazze indÚ in visita al Prag Mahal costruito nel XIX secolo in stile gotico italiano (in alto). Dopo i danneggiamenti del terremoto del 2001, il palazzo subÏ anche un grave furto di oggetti di antiquariato. Oggi è stato in parte restaurato e aperto ai visitatori, che dalla torre possono godere di una bella panoramica sulla città . Sotto: ragazze nomadi di etnia Dhanetah Jath in una tenda nel Grande Rann di Kutch.
Lavorazione di tessuti stampati Ajrak nel villaggio di Dhamadka. Oggi si parla spesso di ecologia e sostenibilità, ma in molte parti del mondo esistono produzioni antiche di secoli, da sempre in armonia con la natura. Una di queste è la lavorazione di tessuti Airak di cui si trovano tracce nella civiltà della valle dell’Indo e che risalgono al II millennio a.C. Le comunità Kathri, il cui nome significa ‘uno che riempie o cambia i colori, stampano tessuti con tinture naturali ottenute mischiando pietre colorate, indaco e legni con l’acqua del fiume Dhamadka, che dà il nome al loro villaggio.
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Il tessuto Airak autentico viene stampato su entrambi i lati utilizzando blocchi di legno i cui motivi sono intagliati a mano. A differenza di altre tecniche di stampa, dove il colore viene applicato direttamente sul tessuto, gli artigiani Kathri stampano prima il disegno sulla stoffa e successivamente aggiungono i colori con vari passaggi, fino ad ottenere il risultato finale con tonalità di blu e rosso intensi. Questo tipo di stampa richiede molto tempo e sono necessarie fino a due settimane per eseguire l’intero processo di lavorazione.
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Ragazze nomadi di etnia Dhanetah Jath (a sinistra) trasportano l’acqua verso la loro tenda nel Grande Rann di Kutch. Pastori semi nomadi, le donne della tribù sono famose per i bellissimi ricami che ornano i loro abiti. ‘I nostri ricami sono nelle nostre mani e nei nostri occhi. Questa è la nostra abilità’ raccontano le ragazze impegnate con ago e filo a ricamare i propri vestiti. Una donna di etnia Meghwal (a destra) ritratta con un vistoso gioiello che normalmente si indossa durante i matrimoni o in occasioni speciali. I Meghwal sono conosciuti anche con il nome di Harijans ricevuto dal Mahatma Gandhi. Originari del Rajasthan oggi vivono principalmente nella regione semi desertica di Kutch in Gujarat.
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Una donna nomade di etnia Dhanetah Jats, il cui nome significa pastori, in un accampamento nel Grande Rann di Kutch. Circa cinquecento anni fa, sotto la pressione territoriale di grandi feudatari, iniziarono a spostarsi dall’originaria regione del Beluchistan, nell’attuale Pakistan, verso oriente in cerca di nuovi pascoli. Il territorio semi desertico di Kutch nel Gujarat, fu la loro destinazione finale. Successivamente parte della popolazione si sedentarizzò dedicandosi all’agricoltura (Gracia Jats), ma il gruppo più numeroso rimase fedele alla pastorizia semi nomade. I Dhanetah Jats sono musulmani sunniti e si sposano quasi esclusivamente all’interno del proprio gruppo etnico.
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Il Rann di Kutch è una regione semi desertica caratterizzata in parte da una zona paludosa stagionale. Il termine Rann deriva dalla parola Hindi ran che significa ‘palude salata’. Questo territorio situato tra il Golfo di Kutch e la foce dell’Indo in Pakistan, ha un’estensione di 30.000 km2 che vengono in buona parte allagati durante il monsone, creando piccole isole di sabbia, che rappresentano un habitat ideale per grandi stormi di fenicotteri. Il Rann di Kutch è anche l’unico rifugio al mondo dove sopravvivono gli asini selvatici indiani.
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Una gran parte del Rann di Kutch è occupato da una gigantesca distesa di terreno piatto completamente ricoperto di sale, che viene in parte sfruttato dall’industria estrattiva. Al termine del monsone, nelle saline si inizia a pompare l’acqua dal sottosuolo per alcuni mesi.
Successivamente la si lascia evaporare fino a quando non si formano i cristalli di sale, che vengono raccolti a mano. Il sale raccolto necessita poi di un ulteriore lavorazione per diventare commestibile.
Rohit Kantilal Salvi, impegnato nella realizzazione di un patola (sari di seta) a telaio. La sua famiglia esegue questo tipo di lavorazione da molte generazioni. Il loro laboratorio è in buona parte occupato da un grande telaio a mano, costruito con legni di teak, palissandro e bambù. Parte dell’abilità nel realizzare un patola di alto livello risiede nella colorazione e nell’accostamento dei fili di seta, per ottenere il modello desiderato in fase di tessitura.
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Per la composizione dei colori la famiglia Salvi utilizza essenze naturali di vario genere. Si va dai fiori di calendula alla corteccia di melograno, dall’indaco alla cocciniglia e alle bucce di cipolla, solo per citarne alcune. Successivamente due tessitori sono impegnati al telaio per realizzare non più di 20/25 cm al giorno di tessuto. Il che comporta almeno un mese di tempo per terminare un intero sari della lunghezza standard di 6 yarde (5,5 m.). Il costo di un patola realizzato dai Salvi varia tra 100.000 e le 200.000 Rupie (1350/2.700 Euro). ‘Qualsiasi patola venduto a una cifra inferiore potete essere certi che si tratta di un’imitazione’ sostiene Rohit il decano della famiglia.
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Traffico serale per le strade di Ahmedabad, la più popolosa città dello stato federale del Gujarat con oltre 6.000.000 di abitanti, di cui fu capitale tra il 1960 ed il 1970. Il territorio su cui sorge la città fu abitato fin dall’XI secolo quando Karandev I, sovrano della dinastia Solanki condusse una guerra vittoriosa contro il re locale e vi fondò la sua città con il nome di Karnavati, succes-
sivamente cambiato in Ahmedabad. Durante la lotta per l’indipendenza dagli Inglesi Gandhi vi creò 2 ashram, il secondo dei quali, situato sulle rive del fiume Sabarmati che taglia in due la città, divenne il quartier generale delle attività indipendentiste.
L’acqua è un elemento essenziale per la produzione dei tessuti stampati con la tecnica Airak. La preparazione, la stampa e la tintura del tessuto necessitano fino a trenta fasi separate di lavorazione. Al termine di ognuna di queste il tessuto viene lavato, strizzato e sbattuto. L’acqua quindi influenza tutto il processo produttivo ed è responsabile della tonalità dei colori, decretando 134
il successo o il fallimento della lavorazione. Oggi questa tecnica cosÏ lunga ed elaborata risente della concorrenza della stampa industriale, che utilizza coloranti chimici per ottenere colori brillanti, a differenza dei tenui colori naturali. Ma i maestri stampatori di Dhamatka stanno lentamente cercando di imporre il proprio prodotto come una delle eccellenze artigianali dell’India. 135
La città di Ahmedabad è praticamente divisa in due dal corso del fiume Sabarmati. L’antico nucleo abitativo conosciuto come Old City vanta importanti edifici di tradizione islamica, con portali e finestre in legno intagliato. Il centro storico è anche il luogo dove sono concentrati i bazaar coperti e i principali luoghi di culto, tra cui spiccano la grande moschea Jumma Masjid, oltre a numerosi templi induisti e giainisti.
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La città vecchia di Ahmedabad fu seriamente danneggiata nel 2001, quando un violentissimo terremoto di 7,9° della scala Richter colpì l’intero stato federale del Gujarat causando 20.000 morti. L’epicentro del sisma fu nella regione del Kutch e il suo capoluogo Bhuj vide il 95% degli edifici distrutti, ma anche ad Ahmedabad si registrarono 750 vittimee svariati edifici colpiti.
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Qui sopra: l’Albero della Vita dipinto con la tecnica della Rogan Art. Questa antichissima tecnica di pittura su tessuto è originaria della Persia e venne portata in India, nella regione del Gujarat, circa 400 anni fa. Tradizionalmente veniva utilizzata per decorare gli abiti nuziali con motivi floreali. L’estrema difficoltà nella realizzazione di tali disegni ha portato alla quasi totale scomparsa di questa tecnica, che oggi vede
pochissimi artisti in grado di continuare la tradizione. Nel corso del tempo gli artisti hanno trasferito le proprie opere dagli abiti a semplici pezzi di tessuto, esposti come vere opere d’arte. Recentemente il primo ministro indiano Narendra Modi, originario del Gujarat ha donato a Obama un prezioso dipinto Rogan, in occasione di una cena alla Casa Bianca.
Un tempio induista nella città vecchia di Ahmedabad. L’induismo è in assoluto la più diffusa religione indiana praticata dall’80 % della popolazione, seguito dall’Islam con il 14%. Il resto se lo dividono cristiani, budddisti, giainisti e sikh. Il Gujarat è uno degli stati indiani dove la presenza musulmana è più consistente. Nel corso degli anni, tra musulmani e indù vi sono state forti tensioni che a più riprese sono sfociate in gravissimi atti di violenza, come l’incendio di un treno affollato di estremisti indù, nel febbraio 2002, che causò 59 morti e la successiva reazione, che portò alla morte di circa 1.000 cittadini musulmani e a oltre 100.000 profughi.
In alto: la moschea di Jumma Masjid a Ahmedabad, risalente al XV secolo. Si tratta di una delle più belle e imponenti moschee di tutta l’India. Venne fatta costruire dal Sultano Ahmed Shah nel 1423. L’edifico, realizzato in pietra arenaria gialla, rappresenta uno dei migliori esempi di architettura indo-saracena. In basso: sculture raffiguranti divinità e donne Yogini-Apsara, particolarmente attraenti, sulle pareti dell’antico pozzo a gradini Rani-Ki-Vav, nei pressi di Patan, antica capitale del Gujarat. La maggior parte delle sculture del pozzo sono dedicate a Vishnu e ai suoi due avatar Kalki e Rama.
Un thali vegetariano all’hotel House of MG ad Ahmedabad. Il thali è un piatto a più portate tipico della cucina indiana. Il suo nome significa semplicemente piatto rotondo usato per il cibo. Il thali del Gujarat, come tutta la cucina dello stato, è quasi esclusivamente vegetariano. Generalmente vengono serviti sei antipasti seguiti dal piatto principale a base di diversi tipi di pane e riso con varie verdure, una zuppa di lenticchie e uno yogurt. La filosofia del thali è quello di servire in un unico pasto diversi sapori contrastanti perfettamente bilanciati: dolce, salato, amaro, piccante, aspro. Per le bevande il Gujarat è uno dei tre stati indiani con divieto di consumazione di alcolici.
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INFO UTILI Foto e testi di Bruno Zanzottera
+ 3,30 quando in Italia è in vigore l’ora legale.
COME ARRIVARE KLM, offre collegamenti giornalieri dall’Italia a Mumbai, via Amsterdam, con tariffe a partire da 440 a/r. Air India offre collegamenti giornalieri dall’Italia a Mumbai, via Delhi, con tariffe a partire da 430 a/r. Per i collegamenti interni Jet Airways.
INDIRIZZI UTILI Ufficio Nazionale del Turismo Indiano, via Albricci 9, Milano, tel. 02.804952. Gujarat Tourism SITA.
DOCUMENTI Passaporto con validità residua di almeno 6 mesi, al momento dell’arrivo, e il visto d’ingresso da richiedere al consolato o ambasciata.. Il modulo di richiesta per il visto deve essere precedentemente compilato online sul sito. LINGUA La lingua ufficiale del Gujarat è il gujarati. Hindi e inglese sono molto diffusi. FUSO ORARIO + 4,30 ore rispetto all’Italia,
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ARTIGIANATO L’ajrakh, tecnica di stampa dei tessuti con timbri di legno e soluzioni coloranti naturali, è praticata soprattutto nei villaggi di Dhamadka e Ajrakhpur. Per acquisti Gamthiwala Cloth Centre di Ahmedabad, A Patan si lavorano i preziosissimi sari in seta con la tradizionale tecnica della patola, in cui il filato viene dipinto prima di essere tessuto. Patan Patola Heritage di Patan, tel. 0276.6232274. Nel villaggio di Nirona, lavorano gli ultimi artisti della tecnica rogan, che ricamano i tessuti con complessi motivi floreali, creati a partire dall’olio di ricino. Famiglia Khatri. Cell. 09879.425812.
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| Art de vivre
Una cittĂ dal grande cuore, che affonda le radici nella storia, ma allunga le braccia verso il futuro. Parigi non si ferma mai e vive ogni giorno con arte.
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Nella pagina d’apertura: “Per riflettere un mondo in continuo cambiamento, abbiamo progettato un edificio che evolve al trascorrere del giorno, insieme alla luce, offrendo un’impressione di intangibilità e continua trasformazione“, queste sono le parole usate da Frank Gehry per descrivere il suo capolavoro architettonico Fondation Louis Vuitton. Nella pagina precedente: la Canopée, l’imponente copertura del nuovo Forum des Halles, composta da diciottomila vetri, filtra la luce donando una tonalità giallo verde che ricorda appunto le chiome delle foreste.
A sinistra: i nuovi edifici che ospitano la biblioteca nazionale di Francia (BnF), il Ministero dell’Economia e il museo del cinema, sono considerati il miglior esempio di architettura di tendenza minimalista di Parigi. Uno spazio che piace molto ai parigini e che rivaluta l’intero quartiere di Bercy. Sopra: la passeggiata bordo Senna nei pressi del Musée du Louvre. I parigini amano molto passeggiare lungo il fiume e nelle giornate di sole questo diventa uno dei luoghi più frequentati della città. 149
La terrazza panoramica della Fondation Louis Vuitton è un sofisticato intreccio di travi d’acciaio concepite per supportare dodici enormi vele di vetro colorato. Lo scopo di que-
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sta fondazione è sostenere gli artisti contemporanei internazionali e nazionali, offrendo alle loro opere uno spazio che attiri il piÚ ampio pubblico possibile.
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A sinistra: la struttura della Fondation Louis Vuitton è circondata dai grandi alberi del Jardin d’Acclimation e si affaccia su uno specchio d’acqua che riflette e valorizza le sue forme plastiche e sinuose. Questa imponente opera è stata selezionata come progetto pilota di un nuovo standard per l’alta qualità ambientale e per molti simboleggia l’architettura del XXI secolo.
Sopra: l’imponente facciata del Museo Nazionale di Storia Naturale si affaccia sul Jardin des Plantes, il più grande orto botanico francese. Questo museo, costruito nel 1793 durante la rivoluzione francese, è tra i più antichi musei di scienza del mondo e ricopre una grandissima importanza nello sviluppo della storia naturale.
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Un particolare delle cupole dorate della nuovissima Cattedrale Ortodossa Russa. Si trova nel cuore parigino di fianco al Palais de l’Alma e affaccia sulla Senna; questo imponente edificio vuole rappresentare l’amicizia tra Francia e Russia. Al suo interno si trovano un auditorium, un centro parrocchiale, una scuola franco-russa, una libreria e vari spazi espositivi.
Sotto: lo spazio dedicato al pranzo nella sala da tè della Grande Moschea di Parigi; arredato in stile etnico è una vera istituzione per gli amanti della cucina tradizionale araba. I piatti forti sono il couscous con agnello o pollo e verdure e le tajine d’agnello o pollo preparate con prugne, mandorle e verdure.
A destra: i magnifici interni in stile barocco de Le Train Bleu, la leggendaria brasserie della Belle Èpoque, tra le più famose e splendide di tutta Parigi. Si trova all’interno della stazione ferroviaria Gare de Lyon, fu realizzata per l’Esposizione Universale del 1900 e dal 1972 è classificata come monumento storico. Tra i personaggi che l’hanno resa un mito ci sono Coco Chanel, Brigitte Bardot e Dalì. Luc Besson vi girò una scena del film Nikita.
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A sinistra in alto: il Parc Clichy-Batignolles-Martin Luther King è il risultato di un’ampia ristrutturazione di un’area ferroviaria dismessa e trasformata in un eco-quartiere moderno. I Progettisti Grether e Osty, nel progetto urbano, hanno lavorato seguendo quattro temi: presenza di ampi spazi verdi, qualità della vita, accessibilità e collegamenti, vicinanza e densità di servizi. Il risultato? Un quartiere bello, funzionale dall’anima green.
A sinistra in basso: le fontane Wallace sono presenti in molti angoli parigini, sono semplici fontanelle pubbliche, dove dissetarsi. Solitamente sono di colore verde, ma in questi ultimi anni sono state dipinte con colori differenti a seconda del quartiere dove si trovano. Sopra: l’ingresso de Les Etages, uno dei bar vintage del Marais, il quartiere più trendy di tutta Parigi dove si incontrano cultura, arte, moda e storia.
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La piramide del Museo del Louvre fu ideata dall’architetto sino-americano Ieoh Ming Pei come ingresso principale del museo e per illuminare il Carrousel. Una parte di questa struttura, la 160
piramide rovesciata, per molti potrebbe celare significati esoterici, ma con molta probabilitĂ nessuno ne conosce il reale significato. 161
Sopra: una vetrina di un negozio di moda nel decimo arrondissement. Fino a qualche anno fa questo quartiere era uno dei più anonimi della città Oggi è considerato tra i più emozionanti grazie all’anima multietnica dei suoi abitanti, che lo trasformano costantemente. La vecchia zona operaia del Canale Saint-Martin, dalla fama decisamente sinistra, si è trasformata ed è la sede di importanti stilisti, artisti con locali e ristoranti di tendenza.
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Sotto: la fermata del metrò Arts et Métiers si trova nel III arrondissement sulla linea undici ed è una di quelle fermate che non passa inosservata. La decorazione della banchina richiama l’interno del grosso sottomarino Nautilus di “20.000 Leghe sotto i Mari”. Le pareti sono rivestite di rame con tanto d’ingranaggi e singolari oblò che custodiscono scenografie artistiche. L’opera è stata realizzata dall’artista François Schuiten nel 1994, in omaggio al Museo delle Arti e Mestieri.
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L’ingresso de La Maison des Frigos, un pittoresco e piccolo ristorante ubicato in un grosso edificio interamente ricoperto di graffiti, che per anni è servito alla conservazione degli alimenti deperibili. La cucina è gestita dalla cuoca giapponese Mariko e propone un’autentica e deliziosa cucina casalinga. 165
In queste pagine: gli interni di Les Frigos. A Parigi l’arte si trova ovunque, anche all’interno di un frigo, sì, proprio un gigantesco frigorifero. Nei primi del Novecento questo grande edificio serviva per lo stoccaggio del ghiaccio per tutta Parigi. Nel 1975 le centinaia di celle vuote furono affittate ad artisti, stilisti e artigiani, realizzando uno spazio di lavoro e di creazione unico.
Da fuori non si percepisce nulla, l’edificio sembra abbandonato e non lascia intravvedere la sua anima. Bisogna entrare e addentrarsi nei meandri di questo spazio insolito per rimanere meravigliati. Ogni centimetro quadro disponibile è ricoperto da magnifici graffiti e le singolari pesanti porte da ghiacciaia celano realtà uniche. Gallerie d’arte, studi di artisti, stilisti di moda, musicisti, architetti e artigiani sono il cuore pulsante di questo fantastico cubo magico.
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Un grande murale copre l’intera parete di un edificio moderno nel quartiere Bercy. Quest’angolo di città è tra i più nuovi, sorprendenti e vivaci di Parigi. Nel giro di pochi anni, da luogo abbandonato e insignificante, si è trasformato nella novità della città. 168
L’inconfondibile abbraccio tra Amore e Psiche è uno dei più grandi capolavori di scultura classica; realizzato da Antonio Canova nel 1793 è ricavato da un grosso blocco di marmo bianco. L’opera si trova nella Galérie Michel Ange, sala quattro al Museo del Louvre. 169
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Il colorato dettaglio di un corridoio di Les Frigos. A fine maggio tutti i laboratori aprono le porte ai visitatori, un’occasione unica per visitare questo luogo nei giorni di massimo accesso.
Sopra: Le Jardin des Tuileries è stato il primo giardino pubblico di Parigi e il piÚ visitato e frequentato. Si trova sulla Rive Droite della Senna, tra Place de la Concorde e il Museo del Louvre. In classico stile francese, è decorato con statue allegoriche realizzate da artisti internazionali come Giacometti e Rodin.
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Sotto: il giardino pubblico del nuovo quartiere Bercy. Nelle belle giornate di sole, è punto di ritrovo di giovani studenti dell’università vicina e di famiglie con bambini, che si radunano per passare qualche ora immersi nel verde. Tutt’intorno svettano i nuovi edifici moderni suddivisi tra abitazioni, uffici, negozi e locali di tendenza molto frequentati dalle nuove generazioni.
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Sopra: Parigi è famosa in tutto il mondo per i suoi ristoranti, café e bistrot. Alcuni di questi sono diventati una vera e propria istituzione, come il Café de Flore, autentica brasserie in stile art-decò da sempre frequentata da artisti e intellettuali come Picasso e Jacques Prévert. O Le Cafè Procope, il più antico della città, dove Voltaire, Rousseau e Victor Hugo passavano intere giornate.
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Sotto: la sala per la colazione dell’Hotel Max. Questo piccolo boutique hotel si trova nel cuore del XIV arrondissement vicino a Place d’Alésia. L’ambiente è elegante e contemporaneo. Oltre a un angolo lettura e a un piccolo giardino verticale, due delle diciannove suite hanno un delizioso balcone fiorito che si affaccia direttamente sui tetti della città.
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Sopra: Ladurée è probabilmente una delle più conosciute e famose pasticcerie parigine; è quella che ha inventato i famosissimi macaron, per intenderci. È presente con diversi punti vendita in tutta la città, ma la sede storica più famosa e bella è quella in Champs Elysées al numero civico 75. Lo stile è quello della Belle Époque con eleganti sale da tè dove fare colazione o passare momenti piacevoli gustando i loro dolci.
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Sotto: l’inconfondibile stile classico ed elegante dell’Hotel de Crillon, uno dei più vecchi di Parigi. Aperto nel marzo del 1909 fu il primo hotel di lusso della Ville Lumère e ha ospitato alcuni dei personaggi più illustri del secolo scorso. Statisti, regnanti e artisti come Roosevelt, Nixon, Clinton, Madonna, Meryl Streep e Jennifer Lopez, lo hanno trasformato in un vero mito parigino.
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Nella pagina precedente: un moderno edificio nel nuovo quartiere Bercy. Si trova di fronte alla Bibliothèque Nationale de France, la sua forma architettonica è squadrata e semplice, ma le decalcomanie sulle finestre non passano inosservate. A destra: l’insegna del taxi con le indicazioni dei prezzi per fascia oraria: luce A zona urbana diurna, luce B urbana notturna, luce C urbana festivi.
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A sinistra: un battello attende che la chiusa meccanizzata si attivi per superare il dislivello e procedere con la navigazione. Il canale Saint-Martin è lungo poco più di 4 km e si trova nei quartieri orientali di Parigi. Durante la crociera si scoprirà una zona della città insolita e dal fascino retrò con scorci suggestivi, che sono stati location di film famosi come “Il favoloso mondo di Amélie” e “L’Hotel du Nord”.
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Sotto: il ristorante Les Ombres si trova sul tetto del Musée Quai Branly, museo delle arti primitive. Ha una sala da pranzo interna con copertura in vetro e una grande terrazza panoramica, una delle più belle viste sulla Tour Eiffel e la Ville Lumière. Il menù proposto si ispira al carattere multietnico del museo con piatti dai sapori dei cinque continenti.
A destra sopra: l’elegante sala del ristorante Maison Blanche ricorda un grande loft di design inserito sul tetto del Théâtre des Champs-Èlysées. Propone una cucina contemporanea dai sapori mediterranei, utilizzando prodotti di altissima qualità. Sotto: fotografie in bianco e nero di vecchie collezioni arredano la scala della boutique dell’esclusiva casa di moda Lanvin.
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A sinistra: dal 1991 le rive della Senna sono patrimonio mondiale UNESCO. I lunghi viali a bordo fiume sono l’ideale per fare sport, passeggiate romantiche o semplicemente per riposarsi nella pausa pranzo e prendere il sole. Negli ultimi anni sono sorte aree naturali come L’île aux oiseaux o aree all’insegna del divertimento come Paris Plage, attrezzata con sabbia e lettini.
Sopra: il Parc Clichy si sviluppa attorno a tre temi: le stagioni, lo sport e l’acqua. Lo stagno al centro del parco ospita un complesso ecosistema che non ha solo una funzione estetica, ma una vera e propria utilità biologica: raccogliere l’acqua piovana, depurarla naturalmente e riutilizzarla per innaffiare l’intero parco.
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Nella pagina precedente: la più classica “cartolina” di Parigi, la Tour Eiffel fotografata al tramonto dal Pont de l’Alma. Sotto: la grande statua posta all’ingresso del monumento storico Petit Palais, costruito come padiglione espositivo per l’Esposizione Universale del 1900, oggi è la sede del museo delle Belle Arti.
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INFO UTILI Foto e testi di Giovanni Tagini Dove mangiare Restaurant Maison Blanche avenue Montaigne, 15, tel. 0147235599 Restaurant Les Ombres quai Branly, 27, tel. 01.47.53.68.00 Restaurant La Maison des Frigos rue des Frigos, 19, tel. 0144237620
Dove dormire Hotel Max rue D’Alesia, 34, tel. 0143276080 Hotel Fred avenue Villemain, 11, tel. 0145432418 Hotel Off port d’Austerlitz, 20, i tel. 01440662 Link Ente del turismo francese Visit Paris Règion Air France
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