TravelGlobe Settembre 2017

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Federico Klausner direttore responsabile Federica Giuliani direttore editoriale Devis Bellucci redattore Silvana Benedetti redattore Francesca Spanò redattore Paolo Renato Sacchi photo editor Isabella Conticello grafica Willy Nicolazzo grafico Paola Congia fotografa Antonio e Giuliana Corradetti fotografi Vittorio Giannella fotografo Fabiola Giuliani fotografa Monica Mietitore fotografa Graziano Perotti fotografo Emanuela Ricci fotografa Giovanni Tagini fotografo Bruno Zanzottera fotografo Progetto grafico Emanuela Ricci e Daniela Rosato Indirizzo: redazione@travelglobe.it Foto di copertina: RES APULIAE| EMANUELA RICCI Tutti i testi e foto di questa pubblicazione sono di proprietà di TravelGlobe.it® Riproduzione riservata TravelGlobe è una testata giornalistica Reg. Trib. Milano 284 del 9/9/2014 Questo testo è realizzato con il font: Carattere ad alta leggibilità per tutti. Anche per i dislessici. www.easyreading.it 2


E DITOR IAL E B E NTORNATI!

cole biologiche e 22.000 agriturismi. Ad essi d’estate si sono aggiunte le innumerevoli sagre estive. Certo ci favorisce la situazione internazionale, che fa percepire l’Italia come molto più sicura di altri Paesi, e alimenta la frazione di PIL con cui il turismo e il suo indotto contribuiscono al PIL totale italiano (11%). Un’altra buona notizia arriva dai musei frequentati nei primi sei mesi dell’anno da 23 milioni di visitatori, 2 in più dello scorso anno, con una crescita degli incassi di oltre il 17%. Tutto bene allora? No: quest’anno siamo stati favoriti da fattori esterni, ma rispetto ai nostri principali concorrenti difettiamo di infrastrutture e servizi, che potrebbero migliorare ancor di più la nostra performance. Pensiamo alle ferrovie a binario unico, alle tratte tuttora non elettrificate, alle carenze idriche al sud, dovute in gran parte a un sistema di distribuzione vetusto, che perde la metà (e oltre) del liquido trasportato. Ai problemi dello smaltimento dei rifiuti e dell’inquinamento dell’aria nelle città. Quando riusciremo a sistemare tutto ciò riusciremo finalmente a raggiungere la posizione che ci compete nel panorama turistico internazionale.

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Immaginiamo che siate appena tornati e speriamo che abbiate trascorso delle ottime vacanze. Vi sarete accorti che quest’anno le località di vacanza erano più affollate del solito: il 2017 è stato un anno record per il nostro turismo, con 369 milioni di presenze internazionali nei primi 4 mesi certificate dall’ISTAT e un insperato +13,7%, il migliore da 10 anni. Il riscaldamento climatico e questioni geopolitiche hanno spinto gli stranieri verso le coste del Mediterraneo: a beneficiarne, oltre all’Italia, la Spagna e la Grecia. Quello che ha attirato di più del nostro Paese è stata una offerta turistica che va dai beni culturali, ai paesaggi, alla qualità del cibo. Secondo Coldiretti l’Italia è l’unico Paese al mondo che può contare su un patrimonio di antiche produzioni agroalimentari tramandate da generazioni in un territorio unico per storia, arte e paesaggio. Ed è stato proprio il buon cibo un formidabile richiamo: in esso i turisti hanno investito ben un terzo dell’importo della vacanza (26 mld su 75 di spesa complessiva), più che per l’alloggio, sedotti da 292 specialità DOP /Igp registrate UE, 60.000 aziende agri3


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TO TICKET H NIS 250 FIN MS MUSEU Customer number

Museum Week Card

Date of first use

Full name

List of museums and attractions – Museums.fi

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Ateneum, Museo d'Arte

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Kiasma, Museo di Arte Contemporanea

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HAM, Museo d'Arte di Helsinki

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Museo d'Arte Amos Anderson e nuovo Museo d'Arte Amos Rex

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Sinebrychoff, Museo d'Arte

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EMMA - Museo di Arte Moderna di Espo

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Artsi Museo d'Arte di Vantaa, museo di street art e performance

Per ulteriori informazioni sul Pass settimanale dei Musei finlandesi e sulle vacanze culturali in Finlandia: visitfinland.com/it/nordicislandsculture

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S O M M A R I O

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EDITORIALE di Federico Klausner ISRAELE

Gerusalemme e Tel Aviv. Sacro e profano Foto e testi di Graziano Perotti RES APULIAE

06 77 135

Tempo sospeso Foto di Emanuela Ricci Testi di Florisa Sciannamea OLANDA

Il fantastico mondo di Lize Foto e testi di Bruno Zanzottera

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NEWS CANADA

Toronto, mosaico di culture Foto e testi di Giovanni Tagini ZIMBABWE

Belli e impossibili Foto e testi di Bruno Zanzottera


SPECIALE LIBRI

PER CUCINARE

PER VIAGGIARE

La cucina peruviana – e il suo piatto simbolo, il ceviche – è la grande moda gastronomica del momento. Il concetto alla base è molto semplice: si sceglie il pesce o i frutti di mare più freschi, li si “cuoce” per pochi minuti in una marinata a base di agrumi (chiamata “latte di tigre” o leche de tigre) e poi lo si serve immediatamente. Tra le pagine di Ceviche, pubblicato per la prima volta in Italia da EDT e già tradotto in dieci lingue, si possono trovare tutti i consigli di Martin Morales, celebre chef peruviano di base a Londra. Uno su tutti, il Don Ceviche, definito dal «Sunday Times» uno dei cinque piatti migliori di Gran Bretagna. Cento ricette, tra cui molti “must” della cucina peruviana: si parte, ovviamente dal ceviche per poi passare allo “street food”, amatissimo in Perù, con le ricette degli anticuchos e delle bolas per piccoli snack in salsa andina; alle papas, ai quinotti e così via. Ceviche Cucina peruviana | di Martin Morales | EDT, 2017 Collana Varia Food 256 pagine | € 35

Con le nuove guide Maxi, Marco Polo (EDT) amplia il formato e trova la dimensione ottimale per raccontare due Paesi molto amati dai viaggiatori:Irlanda e Croazia. Semplicità e immediatezza d’uso restano inalterate, ma aumenta lo spazio dedicato alle mete turistiche più importanti. Le prime pagine offrono un rapido ma efficace profilo della destinazione: considerano temi di attualità e di interesse per chi viaggia, ma anche le informazioni essenziali per entrare subito in sintonia con lo spirito del luogo. Suddivise per area geografica come in tutte le guide Marco Polo, le informazioni sono corredate da numerosi approfondimenti, da un ampio uso di immagini e da rappresentazioni in 3D. Un pratico atlante stradale e una cartina estraibile fanno di queste guide lo strumento perfetto per viaggiare facile.

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Salvatore Esposito è consapevole di trovarsi al cospetto di Bob Dylan - un brand, un totem, autentica materia da romanzo -, un caposaldo da trattare con le pinze e le dovute maniere. Il suo libro biografico è perciò un insieme di dichiarazioni di prima e seconda mano, analisi di dischi e canzoni, aneddoti e dati che restituisce uno dei più stratificati itinerari artistici della storia rock. Una parabola poetico-musicale segnata da numeri, a loro volta, da leggenda: quaranta album pubblicati, tantissimo materiale d’archivio, una mole così di concerti alle spalle. Direttore editoriale del periodico online Blogfoolk, con un nutrito numero di saggi musicali alle spalle, Salvatore Esposito offre il profilo artistico, e lo fa in taglio acuto, trasversale, con onestà. Un volume elegante e accurato, che annovera anche una postfazione di Alberto Fortis. Bob Dylan | a cura di Salvatore Esposito | Hoepli Editore | € 17,90

PE R S O GNAR E

Adela Robson è una studentessa che sogna di calcare il palcoscenico, in un’India in cui l’impero è prossimo alla morte. Quando scappa dalla scuola con Sam Jackman, sa che sta andando incontro a una nuova vita. Anni dopo, a Simla, la sede estiva del governo del Raj, Adela può abbandonarsi a ogni tipo di divertimento che la società degli anni Trenta è in grado di offrirle. Ma proprio allora conosce un principe, affascinante ma viziato, e quell’incontro scatena una serie di eventi dalle conseguenze devastanti. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Adela è in Inghilterra, in un Paese in cui ha vissuto da bambina, ma di cui non ha ricordi. La sua vita ormai sembra senza speranza, non ha nemmeno un amore a cui aggrapparsi. E ha un terribile segreto da nascondere. Solo il coraggio e la volontà di resistere la terranno a galla fino a quando potrà tornare a quella che, almeno nel suo cuore, è la sua vera patria. La storia di una donna che vive sulla sua pelle l’evolversi del Paese, dal tramonto dell’impero alla seconda guerra mondiale. La ragazza nel giardino del tè | di Janet MacLeod Trotter | Newton Compton Editori | € 10,00

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PE R CANTA R E


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| GERUSALEMME E TEL AVIV. SACRO E PROFANO

A Gerusalemme, cittĂ sacra alle tre grandi religioni monoteiste e straordinario melting pot di passato e presente, i fa da contraltare Tel Aviv capitale moderna del divertimento e della movida.

ISRAELE

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In apertura una vista dei tanti insediamenti israeliani attorno alla capitale Gerusalemme. Sia gli israeliani che i palestinesi considerano Gerusalemme la loro capitale. È ormai un dato di fatto che Gerusalemme si trovi sotto il totale controllo del governo israeliano anche se, per dovere di cronaca, da parte dell’ONU e dei principali paesi occidentali non è stata mai riconosciuta l’annessione di Gerusalemme est a Israele. Mentre lo sono state le conquiste del 1948. Di conseguenza considerano Gerusalemme est appartenente al nuovo stato della Palestina, ma occupata da Israele. Pagina precedente: vista dall’alto del Muro del Pianto. In questa pagina la porta di Damasco, una delle entrate della Città Vecchia. Le mura attuali, risalenti al regno di Solimano il Magnifico (1540 ca.) definiscono un territorio posto a nord della Città di David, distrutta durante la prima guerra giudaica dalle truppe romane, comandate da Tito Flavio Vespasiano. La porta di Damasco (Sha’ar Dameseq) è la più bella e meglio conservata dell’antica città.

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Un venditore di pane vicino alla Porta d’Erode (Sha’ar Hordos), una delle porte della Città Vecchia, chiamata anche “Porta dei Fiori” (Sha’ar HaPerachim) o “Porta delle Pecore” (Bab-a-Sahairad) situata nella parte orientale delle mura.

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Uno scorcio della spianata delle moschee

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Due studentesse si fotografano con sullo sfondo la Città Vecchia che consta di quattro quartieri: cristiano, ebraico, musulmano, armeno. A seguito delle due grandi guerre giudaiche, nel 70 e nel 135 d.C, i Romani distrussero la città e dopo la seconda conquista ne cambiarono addirittura il nome, trasformandola nella città pagana di Aelia Capitolina, e vietando in essa la residenza agli ebrei. Dopo Costantino, finite le persecuzioni contro i cristiani, la città divenne cristiana e vi venne eretta la prima Basilica del Santo Sepolcro. Rimase cristiana fino al 638, con un intervallo dovuto alla breve conquista e distruzione di Cosroe II di Persia nel 614, quando fu conquistata dagli arabi che eressero sulla spianata del tempio il Tempio della Roccia nel 691 e la Moschea al-Aqsa nel 718.

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Nella pagina precedente due musulmani appena usciti dalla Cupola della Roccia, spesso impropriamente chiamata Moschea della Roccia, con la moschea al-Aqsa costituisce l’Al haram Al Sharif, considerato dal sunnismo il terzo sito piÚ sacro del mondo islamico. Qui sotto: al Muro del Pianto si respira tutta la devozione del mondo ebraico, i fedeli pregano, toccano, baciano il muro infilando negli anfratti bigliettini con preghiere e suppliche, mentre i rabbini leggono le Sacre Scritture.

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Uno scorcio del lungo colonnato alla Spianata delle Moschee con la presenza di pellegrini di fede non musulmana in visita. Spesso queste visite, in questo caso fatte durante il periodo del Ramadan, vengono considerate dai musulmani delle provocazioni e la polizia israeliana accompagna fuori i pellegrini per evitare tensioni.

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ll Muro del Pianto. Per gli ebrei è un luogo unico ed assoluto, l’unico luogo veramente sacro. Un bell’esempio di muro che invece di dividere e indebolire un popolo lo unisce. Qui da più di 1900 anni gli Ebrei vengono in pellegrinaggio, pregano, piangono, scuotono la testa, le Sacre Scritture ripetute all’infinito. Qui il popolo ebreo piange anche un duplice lutto storico: la distruzione del Sacro Tempio e la diaspora. È un luogo carico di pathos, imperdibile quando si visita Gerusalemme.

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Muro del pianto. Famiglie con i loro bimbi al muro del pianto durante una cerimonia. La vita del popolo ebreo è da sempre segnata da passaggi, il più significativo è quello della circoncisione. Disse Dio ad Abramo: “Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazione”.

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Doppia pagina precedente: turisti locali al Museo d’Israele che conserva i Rotoli del Mar Morto. sono un insieme di manoscritti rinvenuti nei pressi del Mar Morto. Sono composti da circa 900 documenti, tra cui i Manoscritti di Qumran, che ne costituiscono una delle parti più importanti, e i testi della Bibbia ebraica. Scoperti tra il 1947 e il 1956 in undici grotte dentro e intorno al wadi Qumran, vicino alle rovine dell’antico insediamento di Khirbet Qumran, sulla riva nord-occidentale del Mar Morto, sono conservati nel Museo d’Israele e nel Museo Rockefeller a Gerusalemme. In questa pagina: The Khatib in Habad Road, nel souk della Città Vecchia, è uno dei negozietti che fanno impazzire milioni di turisti, in cerca di regali e ricordi.

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Una infinitĂ di piccole pietre e piccoli monili provenienti da collane rotte e altri oggetti servono per realizzare nuovi braccialetti e collane personalizzati e unici.

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Basilica del Santo Sepolcro. La Basilica è stata costruita sul luogo che la tradizione indica come quello della crocifissione, unzione, sepoltura e resurrezione di Gesù. Attualmente è all’interno delle mura della città vecchia al termine della Via Dolorosa. Qui si incontrano pellegrini provenienti da tutto il mondo, appartenenti alle chiese ortodosse, cristiano cattoliche, armena, giacobita, etiopica. Alla Chiesa ortodossa di Gerusalemme spetta il titolo di Chiesa madre delle Chiese cristiane di Gerusalemme. Mani diverse, visi diversi, storie diverse, disperazioni diverse, ringraziamenti diversi, popoli diversi, guerre diverse, terre diverse, pietre diverse, ma erano tutti li, portavano preghiere e oggetti dei loro cari, alcuni tremavano, altri piangevano su quella pietra sudante. Io non pensavo, non potevo pensare, non c’era nulla da scrivere su quella pietra. C’era gran parte della storia del mondo in quel sudore, non potevo non ascoltare, non potevo giudicare, c’era troppo rispetto per quella pietra, cercavo di non capire, non c’era nulla da capire, c’era troppo dolore, c’era troppo amore chinato su quella pietra, c’era il mondo. Chissà perché sudava quella pietra che un prete ogni tanto asciugava con un panno.

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Basilica del Santo Sepolcro. La gente è tantissima, una lunga fila, ore per entrare. Nessuno si lamenta, quel che colpisce è il silenzio, a volte interrotto da un colpo di tosse, dal rumore dei passi dei pellegrini. C’è una luce che entra in basilica ed è una luce intensa, va a colpire un gruppo di pellegrini e parte del Santo Sepolcro. All’entrata si è come illuminati. Il silenzio rimane e il rispetto di chi non crede anche. C’era una coppia di non credenti davanti a me. Li avevo sentiti parlare all’esterno della basilica e ho chiesto loro: “Perché siete qui?” “Siamo venuti a visitare Gerusalemme. Non crediamo ma non potevamo non venire. C’è un’atmosfera incredibile e sentiamo tanta energia, forse siamo noi, tutti noi, credenti e non credenti, che l’abbiamo portata. È un’emozione anche per noi essere qui”. Lascio la fila, il tempo e la mia guida sono tiranni. Esco dalla basilica e penso a quanto quelle semplici pietre possono dare anche ai non credenti. Per loro forse è solo suggestione, ma per i credenti spesso è il sogno di una vita.

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In questa pagina e nella successiva: la Spianata delle Moschee. È un luogo sacro per i musulmani perché, secondo la tradizione islamica, (Isrāʾ e Miʿrāj) è proprio da dove sorge il tempio della roccia che Maometto ascese in cielo nel suo viaggio. Lo è anche per gli ebrei: gli archeologi concordano che sotto la spianata delle moschee, sorgesse l’antico Tempio Ebraico. Secondo la Bibbia, all’interno del Tempio si trovava il Santa Sanctorum, la dimora di Dio in terra che nessun uomo poteva calpestare. Del Tempio distrutto dai Romani nel 70 d.C. rimane solo il Muro del Pianto, che però non è una parte dell’edificio, ma solo un muro di contenimento costruito da Erode.

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Museo dell’Olocausto. Uno dei vagoni che durante la guerra portava sino a 100 ebrei, stipati come bestie, ai campi di concentramento tedeschi. Un viaggio senza ritorno per la maggior parte di essi e una delle vicende più crudeli della storia dell’umanità.

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Museo dell’olocausto. La fiamma perenne che ricorda la deportazione degli ebrei e l’olocausto, per mai dimenticare.

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Pellegrini cristiani portano la croce in prossimitĂ della stazione numero 5.

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Foz Museum (Friend of Zion). In una foto Papa Francesco durante la sua visita a Gerusalemme nel 2014, in visita al museo, accompagnato dal presidente israeliano Shimon Perez.

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Preti della chiesa etiope in attesa di nuovi pellegrini da accompagnare in visita nei luoghi sacri.

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La Gerusalemme sotterranea riserva emozioni: si scende nel profondo, si esplora l’antichità. I tunnel seguono il lato occidentale del Monte del Tempio, dove si trovava il Sancta Sanctorum, che ospitava l’Arca dell’Alleanza. Lungo di essi si incontrano fedeli ebrei, che qui possono recitare i Salmi. Famosa è la Pietra Occidentale, larga quasi 14 metri e pesante più di 570 tonnellate: sembra impossibile ma fu spostata e lavorata ai tempi di Erode.

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Gerusalemme moderna è fatta di strade ben tenute, parchi, giardini e vie dello shopping.

Qui sopra Mamilla street,la via dello shopping piÚ importante della città con boutique di lusso che espongono in vetrina firme internazionali dell’alta moda.

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Nella doppia pagina precedente uno scorcio di Gerusalemme dall’alto con la città nuova e quella antica, racchiusa dalle mura. Sotto: la giornata a Gerusalemme trascorre tra luoghi sacri, visite al souk dove si può trovare ogni tipo di mercanzia, tra cui un’infinità di spezie vero trionfo per vista e olfatto.

A destra: ragazzi che si divertono nella intensa movida notturna, trascorsa per lo più all’aperto. Alcuni mercati rionali chiudono di sera e i loro banchetti, colmi di frutta e verdura durante il giorno, diventano un posto accogliente per gustare cocktail preparati nei bar che viceversa la sera aprono. Un bel esempio di continuità: mercato di giorno e movida di sera nello stesso souk.

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Lo chef Moshe Basson con il figlio Ronny, anche lui chef e vincitore a San Vito lo Capo in Sicilia del premio per il Cous Cous più buono al mondo, posano davanti al loro ristorante “ Eucalyptus “. Moshe Basson è famoso anche per essere uno degli chef della pace.

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Moshe Basson mentre prepara uno dei suoi famosi piatti di origine Irachena, il suo motto è: “come la manna dal cielo cucino le antiche ricette della Bibbia.” E vi assicuro è una esperienza indimenticabile.

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A Gerusalemme nelle serate del mese di giugno si tengono spettacoli di suoni e luci imperdibili: alcuni raccontano la storia di Israele, altri sono di mero di intrattenimento. Le immagini appaiono come un miraggio sulle antiche mura della CittĂ Vecchia.

A destra una delle vie della Gerusalemme moderna illuminata con luci artistiche.

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La hall del Mamilla Hotel. L’elegante struttura, progettata dall’architetto Piero Lissoni, dista 10 minuti di cammino dalla porta di Jaffa. Il Mamilla Hotel - The Leading Hotels of the World - vanta una terrazza panoramica all’ultimo piano con vista imperdibile sulla Città Vecchia.

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La cupola esterna del Museo di Israele che contiene preziosi reperti; ma l’attrazione principale sono i famosi rotoli del Mar Morto.

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Nella doppia pagina precedente: la teleferica che porta i turisti sulla rocca di Masada con sullo sfondo il Mar Morto. Sopra: l’hotel Herods e spa offre una incantevole vista del Mar Morto, con spiaggia privata, in prossimità del monte di Sodoma.

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Bagnanti nelle acque curative del Mar Morto, ideali per le malattie della pelle e in particolare per la psoriasi. La altissima salinità di quello che più propriamente è un lago, nella depressione più profonda della Terra (-415 m. s.l.m.), è dovuta alla eccessiva evaporazione rispetto alla portata degli immissari, che rischia di comprometterne l’esistenza stessa. Vi si può nuotare con l’accortezza di tenere la testa ben fuori dall’acqua per evitare il doloroso e irritante contatto con occhi e mucose. È una esperienza unica anche per chi non sa nuotare: si galleggia in superficie come un tappo di sughero.

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Masada era un’antica fortezza su una rocca 400 m. sopra il livello del mar Morto. La fortezza fu espugnata dai Romani nella prima guerra di Giudea e subì una fine tragica: tutti gli occupanti ebrei si suicidarono per non finire nelle mani dei romani. Ancora oggi non è difficile trovare soldati israeliani durante il giuramento che pronunciano la frase: “Mai più un’altra Masada”.

A destra in alto: nel I sec a.C. la fortezza era il palazzo di Erode il grande, della sontuosa dimora rimangono splendide tracce; da non perdere la spettacolare ed enorme cisterna per l’approvvigionamento dell’acqua. In basso. Un maestro calligrafo a Masada: molti sono i turisti che si fanno scrivere in ebraico il loro nome a ricordo della visita alla rocca.

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Tayelet, Il bel lungomare di Tel Aviv su cui sono allineati moderni e imponenti palazzi dalle diverse architetture. Di fronte, pulitissime spiagge gratuite attrezzate con wi-fi, palestre, piscine, bar e ristoranti, tutte raggiungibili con una comodissima pista ciclabile, che offrono spettacolari tramonti.


In queste pagine alcuni attimi del “Gay pride 2017”. Tel Aviv detiene insieme a San Francisco la palma del gay pride più importante del mondo e con maggiore affluenza, alla manifestazione partecipano giovani e non, provenienti da ogni dove. Tollerante e accogliente Tel Aviv, e in generale tutto Israele, offre agli omosessuali attività senza alcun tipo di discriminazione.

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Nella doppia pagina precedente lo skyline di Tel Aviv. A sinistra uno scorcio del quartiere di Sarona, dove antico e moderno si fondono. È il villaggio dello shopping e dell’intrattenimento, area un tempo di proprietà dei cavalieri templari tedeschi che vi insediarono il loro villaggio. Oggi è un il quartiere più caratteristico di Tel Aviv.

Sopra, poliziotti israeliani al gay pride conversano con un partecipante prima della grande sfilata.

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Un impressionante colpo d’occhio della grande sfilata del Gay Pride 2017 che invade il lungomare di Tel Aviv.

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Questa manifestazione che si tiene ogni anno all’inizio di giugno, percorre le vie della città per concludersi nella Gordon beach, una delle piÚ belle, dove si trasforma in un carnevale che dura tutto il pomeriggio e la notte. Si calcola che vi abbiano partecipato 200,000 persone, 30.000 delle quali turisti.

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Nel quartiere di Old Jaffa vivono numerosi artisti e si trovano molti atelier d’arte, nella foto lo studio Michal Meron, un’artista nata ad Haifa e internazionalmente riconosciuta, il cui lavoro è incentrato su temi ebraici, frutto delle sue credenze, artisticamente reinterpretati.

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Il Museum of Art di Tel Aviv opera dell’architetto Preston Scott Cohen. Fondato nel 1932, ospita una collezione di opere dei più grandi artisti del XX secolo tra cui Soutine, Klimt, Kandinskij, Miró e Picasso. Nel 1950 il museo si è arricchito della collezione Peggy Guggenheim, 36 opere di artisti astratti e surrealisti come Jackson Pollock, William Baziotes, Richard Pousette-Dart, Yves Tanguy, Roberto Matta e André Masson. Nel 1989 Roy Lichtenstein ha donato al museo un pannello murale esposto nell’atrio d’ingresso, mentre, nel 2011, un nuovo spazio espositivo di circa 19.000 metri quadrati, accoglie una sezione dedicata alle fotografie. Oltre alla collezione permanente, il museo ospita anche diverse mostre temporanee e nel giardino sono ospitate diverse sculture.

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In alto il teatro di Tel Aviv “The Cameri”. Costruito nel 1944 produce fino a 10 spettacoli all’anno, che attraggono un pubblico di 34.000 abbonati e 900.000 spettatori. Qui sopra una sala del Museum of Art di Tel Aviv. A destra la grande istallazione dell’artista Ibrahim Mahama realizzata utilizzano migliaia di vecchi sacchi di tela che raccontano la fatica dell’uomo e le rotte delle mercanzie in un mondo globalizzato.


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Tel Aviv viene anche chiamata “La città che non dorme mai” e la sua movida è famosa nel mondo. La parola d’ordine dei giovani sembra essere “divertimento ad oltranza”. I luoghi da non perdere sono il dedalo di vie tra Rothschied Boulevard e il quartiere di


Harakevet. Ma ogni quartiere ha i suoi locali e da non perdere sono quelli disseminati nelle viuzze dell’antica Jaffa.


Il famoso dipinto “Gli amanti� di Marc Chagall (1929) conservato al Museum of Art di Tel Aviv.

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INFO UTILI Foto e testi di Graziano Perotti DOCUMENTI Per entrare in Israele il viaggiatore italiano deve essere in possesso del passaporto valido per 6 mesi dalla data di entrata. Il visto generalmente, ai viaggiatori occidentali, viene rilasciato un visto turistico gratuito all’arrivo, valido 90 gg. Il timbro israeliano sul passaporto potrebbe causare problemi se avete intenzione di recarvi in un Paese arabo. Le autorità ovviano a questo problema rilasciando, al momento dei controlli alla frontiera (in aeroporto), una tessera di riconoscimento di viaggio in sostituzione del timbro. CO S A M A N G I A R E In Israele troverete cibo per tutti i gusti: dalla trattoria italiana nel cuore della Città Vecchia ai tradizionali piatti kosher della cucina

ebraica preparati seguendo rigide. Per uno spuntino fermatevi nei bar a gustare pita con felafel (polpette di ceci e verdure fritte nell’olio) o un piatto di tahina (salsa di semi di sesamo condita con olio e accompagnata da olive e sottaceti). Non perdetevi il ristorante Eucaliptus del famoso chef per la pace Moshe Basson. M O N E TA La moneta ufficiale è il Nuovo Shekel Israeliano. Si possono cambiare senza problemi gli euro presso qualsiasi banca, i principali uffici postali o presso diversi alberghi, ma è consigliabile avere anche una scorta di euro o dollari in banconote di piccolo taglio perché spesso una transazione in euro o dollari può essere più vantaggiosa di una in shekalim. Le carte di credito son ben accette in hotel, ristoranti e vie dello shopping.

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| TORONTO, MOSAICO DI CULTURE

Un centralino che risponde alle richieste di soccorso in 150 lingue diverse già da solo riassume le caratteristiche di una città davvero multietnica, che fa della diversità la sua irresistibile attrattiva.

CANADA

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Nella pagina d’apertura: le particolari geometrie architettoniche della facciata d’ingresso del ROM (Royal Ontario Museum), il più grande museo del Canada. Nelle sue 40 gallerie sono custoditi oltre sei milioni di oggetti di scienze naturali provenienti da ogni angolo del mondo. Nella pagina precedente: Il Toronto Entertainment District, il quartiere più dinamico e divertente della città, visto dalla piattaforma della Canadian National Tower che, con I suoi 553 metri, è tra le più alte e belle del mondo. La zona vanta i migliori hotel e numerosi locali di ristorazione: dal semplice pub al bistrò di lusso con cucina internazionale.

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In queste pagine: direttamente sulla piattaforma panoramica della Canadian National Tower, si trova il “360 the restaurant” tra i più alti ristoranti girevoli del mondo, il pranzo o la cena durano esattamente 70 minuti, il tempo necessario per completare l’intero giro di 360° e godersi la spettacolare vista sulla città e sul grande lago. La cucina proposta spazia dal pesce, con predilezione per il classico salmone canadese e i crostacei della costa, alla carne. Lo stile elegante e raffinato ha richiami francesi e il tutto è accompagnato dagli ottimi vini canadesi.

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Sopra: in Nathan Phillips Square, la grande piazza del municipio progettata dagli architetti Viljo Revell e Richard Strong, si trova una grande fontana/piscina che, durante il festival invernale delle luci, si trasforma in una gigantesca pista di pattinaggio su ghiaccio. Con una superfice di quasi 5 ettari, è la piazza cittadina piÚ grande del Canada e luogo di eventi pubblici, concerti, mostre, mercati e festival.

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Sotto: uno degli edifici iconici e storici di Toronto, il Gooderham Building, la versione canadese, in mattoni scuri, del famoso Flat Iron di New York con la sua particolare forma triangolare. Fu costruito nel 1890 dalla famiglia Gooderham, come sede commerciale della loro distilleria, seguendo il layout dell’incrocio tra Wellington e Front Street, nel cuore commerciale della città .

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Sopra: sulle sponde del lago Ontario proprio di fronte alla cittĂ , si trovano piccoli isolotti dedicati allo svago e al tempo libero. Sono molto amati e frequentati da chi si reca per un picnic, per fare jogging, o semplicemente per passare momenti di relax circondati da una natura lussureggiante. Ci si arriva in barca, navigando tra i canali che collegano il porto con le numerose isole. La breve crociera regala scorci unici sullo sky line della cittĂ .

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Sotto: Queen St, una traversa di Spadina avenue, è una delle vie più trendy e cool di Toronto: giovane, vibrante e anticonvenzionale. Questo quartiere, spesso paragonato a Soho di New York o di Londra, è un luogo di ritrovo per molti artisti e musicisti, con i suoi negozi d’antiquariato, le sue gallerie d’arte, I grandi murales e i locali notturni di tendenza. Senza dubbio il luogo più “vivo” di tutta la città,

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Nella pagina precedente: l’ingresso della Galleria d’arte dell’Ontario (AGO). Con una collezione di oltre ottantamila opere d’arte, che spaziano dal primo secolo a oggi, espone capolavori d’epoca rinascimentale e barocca. La Galleria d’Arte di Ontario con I suoi quarantacinquemila metri quadrati è il secondo museo d’arte più visitato di Toronto. Meritano una visita le aree dedicate alla vasta collezione di fotografie e illustrazioni medioevali.

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In queste pagine: l’ingresso e l’interno del St.Lawrence, il mercato cittadino coperto più famoso e frequentato della città. Nel 2012 viene nominato, dal National Geographic, come miglior mercato alimentare del mondo. Al suo interno si possono trovare oltre 120 bancarelle di frutta e verdure, un’area dedicata all’antiquariato e numerosi ristoranti e bar dove assaggiare il panino icona del mercato, il Peameal bacon preparato con bacon canadese lasciato riposare in salamoia e successivamente impanato in croccante farina di mais.

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Sotto: un colorato murales ricopre l’intera vetrina di un ristorante cinese specializzato nella preparazione di piatti della tradizione Hunan a base di salmone canadese. Si trova nel vivace quartiere di Chinatown Bia, che si sviluppa sulla centralissima Spadina Avenue. Si tratta del quartiere cinese più grande del Nord America, ricco d’insegne luminose, case colorate e negozi con prodotti asiatici. I ristoranti dell’area servono una varietà di cucine veramente autentiche provenienti da tutte le parti della Cina.

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Sopra: non esiste una vera e propria cucina tradizionale e tipica canadese, le specialità proposte nei principali ristoranti cittadini sono per lo più importate dall’Europa, in particolare dalla Francia, Irlanda e Italia. Il Canada produce un’ottima carne ma la sua ricchezza arriva dalle acque fredde del nord, ricche di crostacei e pesce, non a caso è uno dei maggiori produttori ed esportatori al mondo di salmone.

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Nella pagina precedente: uno scorcio della Canadian National Tower, l’attrazione principale della città. Se non si soffre di vertigini è possibile passeggiare sul pavimento di vetro a 342 m da terra, da dove ammirare la città in tutto il suo splendore. In queste pagine: uno dei centri commerciali più rinomati dell’intero Canada. Con un milione di visitatori a settimana e 350 negozi di grandi marche, l’Eaton Center è la meta preferita di chi ama fare acquisti di classe. L’architetto responsabile del progetto, Eberhard Zeidler ha realizzato la galleria centrale sormontata da una volta di vetro in omaggio alla galleria Vittorio Emanuele II di Milano.

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Sopra: un dettaglio dei grattacieli dell’Entertainment District. Toronto è una delle città multietniche più popolate dell’intero pianeta e le comunità italiane e cinesi sono le più numerose. Ma passeggiando per le strade cittadine ci si accorge subito della quantità e varietà di razze che vi abitano. Non c’è da stupirsi se il centralino del numero di emergenza 911 è in grado di rispondere in oltre 150 lingue.

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Sotto: un dettaglio della struttura della Roy Thomson Hall, la sala da concerto di Toronto. Con un design circolare ricoperto in vetro inclinato e curvilineo, è fra le strutture architettoniche più belle della città. La sala interna può ospitare fino a 2600 persone e viene utilizzata dal Toronto International Film Festival. Nella pagina a seguire: nel periodo estivo l’HTO, il parco cittadino a ridosso del lago, viene attrezzato con ombrelloni. Una sorta di spiaggia aperta a tutti coloro che desiderano rilassarsi.

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Nelle pagine precedenti: alcuni dei locali/pub più frequentati della città. Nella doppia pagina la porta d’ingresso del Cameron House Art bar al centro di un grosso murale a forma di bocca aperta. A sinistra: il Milestones 10 Dundas Street restaurant si trova al decimo piano del Cineplex nella centralissima Yonge Dundas Square. Nelle serate estive si cena nell’ampia terrazza all’aperto con una spettacolare vista sui grattacieli vicini.

Sopra: In linea con l’andamento dei ristoranti più modaioli di Toronto, dove l’esperienza culinaria diventa più divertente, al Morimoto Ink Restaurant sushi bar le sale sono caratterizzate da lunghi tavoli e pannelli fotografici raffiguranti galli bianchi.

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Sotto: il quartiere di Yonge, il più commerciale e vivace della città, è attraversato dalla Yonge Street, la via più importante di Toronto, citata nel Guinnes dei primati come la più lunga del mondo: ben 1800 km. Su una piccola parte di questa strada, che divide in due Toronto, si affacciano ben 600 tra negozi, hotel e ristoranti e l’Eaton Center, il centro commerciale più rinomato dell’intero Canada. Se di giorno Yonge attira gli amanti dello shopping, di sera sono i teatri (tra i più storici il Canon Theatre e l’Elgin&Winter Garden Theatre) e i ristoranti alla moda a soddisfare I più esigenti.

A destra: l’interno dell’ART Bar in Queen St. e sotto la cafeteria ZaZa dove preparano l’espresso più buono della città.

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La vetrina di una pasticceria nel CÂŹhurch Wellesley village, un delizioso e colorato distretto con case in stile vittoriano, dove risiede la piĂš grande comunitĂ gay del Canada, famoso per i numerosi negozi di moda e ristoranti dalla atmosfera cordiale, disponibile e divertente.

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INFO UTILI Foto e testi di Giovanni Tagini D OV E M A N G I A R E 360 Restaurant 301 Front St West, tel. (416) 868-6937. Lady Marmelade 98 Queen St. E, tel. (416) 647 351 7645. Canoe 66 Wellington St. W, TD Bank Tower, 54th Floor, tel. (416) 364 0054. Scaramouche Restaurant One Benvenuto Place, tel. (416) 961 8011

D OV E D O R M I R E The Darke Hotel 1150 Queen St W, tel. (416) 531 5042. Madison Manor Boutique Hotel 20 Madison Avenue, tel. (416) 922 5579. Le Germain Hotel Toronto Mercer 30 Mercer Street, tel. (416) 345 9500. Grand Hotel Toronto 225 Jarvis Street, tel. (416) 863 9000 INFO CittĂ di Toronto Tourism Toronto Air Canada

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| TEMPO SOS PESO

Oggetti che compaiono dalle stanze polverose e mute di una masseria pugliese raccontano storie tra realtĂ e finzione. Illuminate da un fascino senza tempo e da un sogno svelato.

RES APULIAE

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Apertura: Sono precipitata in un sogno che sembra sfogliarsi delicatamente come l’intonaco dei ricordi della mia antica anima fatta casa. Afferro un’immagine: un orologio. Sembra di carta. Levita su una parete che si sta smaterializzando. Le lenti della memoria tingono tutto di uno struggente velo di tenerezza inzuppato di colori stemperati.


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Da una grande radio materna e rassicurante poggiata su una valigia, arriva il suono di una vecchia canzone. Quella che cantava mia madre sognando di partire e andare lontano. La valigia è di pelle e sembra graffiata dalla vita e dai desideri mai realizzati. Li contiene tutti, sono sgualciti e arruffati come indumenti a lungo ripiegati e dimenticati.

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Una cassapanca fluttua su una parete vestita di Oriente. Ăˆ uno scrigno in cui sono impastati ricordi, desideri, speranze e dolori‌

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‌ e la cui chiave è confusa con altre e mai aprirĂ la serratura lasciando volare via le rondini aguzze della tristezza a trafiggere il cielo e i gabbiani a giocare con le onde del mare.

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E Pinocchio lo sa, ma dice ancora bugie per tenere stretta a sĂŠ la leggerezza della vita.

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Mi lascio incantare da questo sogno e non voglio svegliarmi. Piccoli bambini di porcellana mi sussurrano di un tempo tenero e innocente. Sono incantatori di un’infanzia perduta.


E di ore trascorse nelle cucine delle streghe a preparare filtri magici e incantesimi con piccanti peperoncini e mandorle amare.

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E a succhiare la vita ai colori con pennelli ubriachi di acquaragia per rubare frammenti di felicitĂ da conservare per sempre.

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Il sogno si colora di accese pennellate con l’immagine di un galletto che non sa di essere finto, non ne è consapevole e canta la sua assurda felicità alla vita. Lo spartito grigio e instabile che gli fa da fondale è però la sua realtà.

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Beffardo e cinico un gatto egizio reso immortale dalla fredda e nera pietra del suo corpo, assiste alla follia di quel canto. Lui sa che finirĂ .

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Galleggio nel mio sogno in assenza di gravitĂ e cerco ricordi, immagini che mi riportino ad un passato e ad altre mie vite. Ecco una foto. Una donna. Ăˆ cosĂŹ decisa nei contorni del suo molle atteggiamento, nonostante le rughe che il tempo ha lasciato sulla carta ingiallita. Non sono io quella donna. No. Non mi appartiene quella vita.

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Un piccolo piede sotto la pesante veste drappeggiata. Unico elemento antropomorfo che appare in questo chiassoso silenzio di fiori di stoffa e di carta protetti da una teca di vetro. Diaframma fragile fra il divino e il terreno. Una Madonna. Nemmeno io sono quella.

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Ed ecco che la vita lo ha tradito, si è presa gioco di lui e lo ha trasformato in un’immagine senza spessore. Un’icona popolare, un’astrazione alla portata di tutti. Il galletto colorato non canta più.

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Ma il mio sogno si veste di dolcezza. Mi sorprende all’improvviso. Un corpicino di candida porcellana, uno schizzo di vita agghindato con corone di piccoli fiori incantatori. Vola in un fermo immagine su un cielo di carta e di macchie che sembrano nuvole. Io voglio che siano nuvole. Lo sguardo serio e gli occhi che fissano un punto lontano: l’infinito. Guardo anch’io verso quel punto.

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Ricucio la mia anima tagliuzzata e ferita da troppe cose. Il mio sogno serve a questo, a coprire di miele i miei dolori e rimettere insieme come grani di un rosario tanti frammenti, ricordi, odori. Non vorrei svegliarmi per poter continuare a ricomporre la mia vita passata.

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Un crocefisso di vetro comprato a Venezia penzola da uno dei bracci della testiera del mio letto. Tocca il muro e fa rumore. Mi sveglio.

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È ora. È un nuovo giorno. Lo stoppino della candela è pulito. Non è ancora tempo di consumare la cera. La mia esistenza è là fuori. Oltre i vetri. Oltre la finestra. Sto arrivando Vita. Sto arrivando Amore.

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INFO UTILI Foto di Emanuela Ricci e testi di Florisa Sciannamea

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| BELLI E IMPOSSIBILI

Dopo anni di lotta anti bracconaggio e di distribuzione di acqua in periodi di siccità , ben 44.000 elefanti si aggirano per lo Zimbabwe creando danni all’agricoltura e a se stessi. Che fare?

ZIMBABWE

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In apertura: “Abbiamo salvato gli elefanti del Parco Nazionale di Hwange, ma ora abbiamo un problema: sono troppi”. Sono le parole di Mark Butcher, un ex ranger dello Zimbabwe, oggi in prima fila nella salvaguardia della fauna selvatica. Doppia pagina precedente: Mark Butcher mostra su una mappa il percorso per una perlustrazione in una zona remota del Parco Nazionale di Hwange. Un elefante gioca con il fango della pozza di Nehimba nel Parco Nazionale di Hwange, il più esteso di tutto lo Zimbabwe. Gli elefanti usano ricoprirsi di fango per proteggersi il corpo dal sole e dai parassiti. Nel Parco non esistono fiumi e durante la stagione secca le pozze d’acqua riempite dalle piogge si prosciugano inesorabilmente. In passato gli elefanti assetati migravano verso il bacino dello Zambesi in cerca d’acqua, ma ora, con l’aumento della popolazione, i corridoi migratori sono stati occupati da villaggi e coltivazioni.

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Per poter mantenere i pachidermi all’interno del parco per tutto l’anno, l’ente responsabile dei parchi nazionali (Zimbabwe Parks & Wildlife Authority), alcuni decenni fa, ha scavato una serie di pozzi in modo da pompare acqua negli stagni inariditi. Oggi, a causa della cronica mancanza di fondi da parte degli enti statali, sono dei privati come Mark Butcher a portare avanti questo programma. Il progetto ha avuto un enorme successo e la presenza di elefanti a Hwange si è quadruplicata in pochi decenni, raggiungendo l’imponente numero di 44.000 unità. Decisamente troppi per la vegetazione del parco, che ne risulta in gran parte devastata. Questo fatto rischia di portare a una scarsità di cibo anche per gli elefanti stessi che, risolto il problema della sete, si troveranno di fronte a quello alimentare.

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Nella pagina precedente: la baracca del responsabile del pompaggio dell’acqua della pozza di Basha, nel Parco Nazionale di Hwange, che venne distrutta dagli elefanti assetati perché la pozza era in secca da molto tempo. Al suo interno il responsabile stesso aveva scritto una lamentela per le difficili condizioni in cui si trovava ad operare. In questa pagina: Mark Butcher é anche un fautore del coinvolgimento delle comunità locali nei benefici portati dal turismo, grazie all’esistenza dei parchi nazionali: “In questo modo gli abitanti vedono gli elefanti e gli altri animali selvaggi come una risorsa e non come un nemico che distrugge i campi e uccide le loro vacche”. Per questo il gruppo di lodges che dirige aiuta a finanziare le scuole dei villaggi che si trovano nelle vicinanze del parco.

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Un minuscolo negozio della comunità di Ngamu. La comunità riunisce diversi villaggi che si trovano ai confini con il Parco Nazionale di Hwange. Oggi gli abitanti, a differenza del passato, vedono negli elefanti e nell’arrivo dei turisti una possibile risorsa per la propria economia. Diverse persone della comunità lavorano nei lodges oppure sono diventati guide e rangers.


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Nella doppia pagina precedente: bambini della scuola elementare della comunità di Ngamu, durante la ricreazione. La comunità è adiacente al Parco Nazionale di Hwange e la scuola è in parte finanziata dai lodges presenti nel parco. Sotto: uno dei membri della Scorpion Antipoaching Patrol, una ONG con funzioni anti/bracconaggio presente nel Parco Nazionale di Hwange, mostra come i bracconieri piazzano dei cavi in acciaio per catturare kudu e altre specie di antilopi.

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Petreus e Brendan Judge sono due giovani guide del Parco Nazionale di Hwange che lavorano per il gruppo Imvelo Safari Lodge, fortemente impegnato nel pompaggio dell’acqua nelle pozze inaridite. Qui stanno esaminando le condizioni del motore di pompaggio della pozza di Basha, in una delle zone piÚ remote del parco. A causa di questo guasto la pozza rimase in secca per molto tempo, causando l’ira degli elefanti assetati che distrussero la baracca del sorvegliante.

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Scontro tra due maschi di elefante nel Parco Nazionale di Hwange. L’elefante africano è il più grande animale terrestre esistente. Il suo scheletro è formato da 21 paia di costole e 26 vertebre caudali. Mediamente, i maschi misurano 5,5-6 metri di lunghezza per 3,2-3,7 metri di altezza al garrese e il loro peso può raggiungere le 6 tonnellate. Le zanne hanno una lunghezza che varia dagli 80 cm fino ai 3 metri. Gli elefanti erano già presenti nel pleistocene, quando abitavano tutti i continenti a eccezione di Australia e Antartide. Oggi purtroppo la loro presenza è limitata a poche aree isolate del pianeta. La principale di queste è l’Africa subsahariana.

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Un elefante del Parco Nazionale di Hwange con una zampa ferita da un cavo d’acciaio posizionato dai bracconieri. In genere questo tipo di bracconaggio viene fatto per catturare antilopi e gazzelle per procurarsi della carne, ma incidentalmente anche gli elefanti possono inciamparvi e ferirsi. Quest’anno ci sono stati casi di elefanti uccisi con il cianuro, anche se il numero di elefanti del parco di Hwange che muoiono per la siccità è ancora superiore a quelli uccisi dai bracconieri.

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Un baobab solitario completamente ricoperto dalla fuliggine di una miniera di carbone a cielo aperto che si trova ai confini del Parco Nazionale di Hwange. L’attività mineraria sta espandendosi velocemente in Zimbabwe. Grandi società cinesi stanno entrando nel business estrattivo e oggi le miniere lambiscono i confini dei parchi nazionali, mettendone in pericolo l’esistenza stessa.

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Petreus, una delle guide del Parco Nazionale di Hwange, osserva la savana da sopra le radici di un albero morto alla pozza di Basha, in una delle zone piĂš remote del parco.

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Doppia pagina precedente: una delle vetture utilizzate dal lodge Imvelo Safari per accompagnare i turisti in visita al parco, nei pressi di uno dei pozzi scavati pompare l’acqua all’interno delle pozze. Finora il progetto di pompaggio dell’acqua nelle pozze prosciugate ha avuto un grande successo e il numero di elefanti presenti a Hwange ha raggiunto l’impressionante cifra di 44.000 unità. I ranger dicono che il numero sostenibile dalla superficie del parco non superi i 25.000. Sebbene siano decisamente troppi per la vegetazione del parco, che ne risulta in gran parte devastata, con il conseguente rischio per gli elefanti stessi di trovarsi a corto di cibo una volta risolto il problema dell’acqua, al momento non esistono soluzioni alternative.

A destra, sopra: le giovani guide Brendan Judge e Petreus liberano la pista da un albero di mopane caduto, in una zona remota del Parco Nazionale di Hwange, non lontano dal confine con il Botswana. Gli alberi di mopane rappresentano buona parte della vegetazione del parco di Hwange e di tutta la zona di savana alberata, che si estende attorno al fiume Zambesi. Si presenta in forma arbustiva o arborea a seconda delle condizioni locali ed è particolarmente appetito dagli elefanti, che si cibano di foglie e rami, in molti casi distruggendoli quasi completamente. Sotto: alcuni addetti al pompaggio dell’acqua nelle pozze del Parco Nazionale di Hwange all’interno della baracca in lamiera dove vivono.


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Doppia pagina precedente e qui sotto: “Nonostante il grande numero di elefanti presenti a Hwange, l’aumento del bracconaggio in Zimbabwe sta diventando una cosa estremamente seria. L’Unione Europea, nonostante i suoi proclami, permette l’importazione di avorio. L’East Africa ha perso il 50% dei suoi elefanti e di questo passo non vorremmo trovarci di fronte alla stessa carneficina” sono le accorate parole di Mark Butcher, seriamente preoccupato per il futuro degli elefanti dello Zimbabwe.

A destra, sopra: Mark Butcher (sulla destra) e Willie Botha. Willie era il proprietario di una delle numerose fattorie di proprietà dei bianchi, che vennero confiscate dal governo di Mugabe. Da allora si occupa di mantenere in efficienza i pozzi ed i motori per pompare l’acqua per gli animali del Parco Nazionale di Hwange. Sotto: Johnson Ncupe capo della comunità di Ngamu che si trova adiacente al Parco Nazionale di Hwange. La maggior parte dei membri della comunità sono allevatori e uno dei loro problemi è costituito dai leoni, che di tanto in tanto escono dal parco e aggrediscono il bestiame. Per questo motivo il lavoro di Mark Butcher, e di molti altri come lui, che consiste nel far partecipare le comunità locali ai benefici dell’esistenza dei parchi nazionali, in modo che gli abitanti non diventino bracconieri, ricopre un’importanza fondamentale.


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Doppia pagina precedente: un branco di impala e 2 antilopi d’acqua si recano verso una pozza, passando tra i resti di alberi di mopane devastati dagli elefanti nel Parco Nazionale di Hwange. L’alto numero di elefanti presenti nel parco rende difficile l’accesso all’acqua a quasi tutti gli altri animali, che per bere devono approfittare dei momenti di assenza dei pachidermi. A sinistra in alto: un leone mimetizzato tra la vegetazione del Parco Nazionale di Hwange. Sotto: le manguste costruiscono le proprie tane con il fango tra gli alberi di mopane devastati dagli elefanti.

Elefanti si abbeverano al tramonto ad una pozza nel Parco Nazionale di Hwange. Il nome scientifico dell’elefante africano è Loxodonta africana, che in greco significa dente obliquo. Il riferimento è alle due zanne, che nei maschi possono raggiungere dimensioni record di 3 metri per un peso di oltre 100 chilogrammi. Sono costituite da dentina, materiale cartilaginoso e sali di calcio. Crescono continuamente e sono utilizzate dall’elefante per lacerare le cortecce degli alberi, per scavare o come elementi di offesa/difesa.

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Alba alla pozza di Bomani nel Parco Nazionale di Hwange, dove si trova la più alta concentrazione di elefanti di tutto lo Zimbabwe e una tra le più alte dell’Africa. La parte preponderante del pasto quotidiano di un elefante è costituita da vegetazione erbacea come le graminacee, ma si nutre abbondantemente anche di fogliame, frutti, corteccia. Grazie alla sua lunga e robusta proboscide è in grado di raggiungere anche i rami più alti. Se non riesce a raggiungerli, spesso ricorre ad una soluzione drastica abbattendo l’albero per nutrirsi delle sue fronde. Per questo motivo, oltre alla quantità di cibo necessario a sfamarli, gli elefanti esercitano un forte impatto sull’ambiente, arrivando anche a disboscare grosse aree di vegetazione, se il loro numero diventa eccessivo in un territorio relativamente piccolo come il parco di Hwange.

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INFO UTILI Foto e testi di Bruno Zanzottera LA RIPRODUZIONE D E G L I E L E FA N T I La maturità sessuale di un elefante varia con le condizioni ambientali e solitamente viene raggiunta da entrambi i sessi fra gli 8 e i 13 anni. Nelle femmine l’estro si verifica mediamente ogni 2 mesi per circa due giorni. Quando una femmina è in calore si allontana dal branco seguita da alcuni maschi che ne sentono gli stimoli olfattivi. I maschi inizialmente si tollerano, ma quando la femmina si avvicina al culmine dell’estro, ingaggiano lotte sempre più violente, spingendosi reciprocamente e assestandosi pericolosi colpi

di zanna. Se i maschi fanno parte dello stesso gruppo e riconoscono le rispettive forze, le lotte finiscono presto e senza conseguenze, ma sono persistenti e talvolta fatali se i maschi contendenti appartengono ad un diverso branco. Gli elefanti non sono monogami: in genere, il maschio vive con la femmina per un periodo piuttosto lungo, anche anni, per poi cambiare compagna. La gestazione dell’elefante africano dura dai 20 ai 22 mesi ed è la più lunga di tutti i mammiferi. Al termine la femmina partorisce un solo piccolo aiutata dalle altre femmine. Un’elefantessa partorisce mediamente ogni 4 anni e nel corso della sua vita, dà alla luce dai 5 ai 12 piccoli.

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CO M E A R R I VA R E In aereo: Il modo più facile ed economico per raggiungere Victoria Falls è volare su Johannesburg e quindi prendere un volo diretto su Victoria Falls. British Airways collega l’Italia con Johannesburg e Victoria Falls via Londra, partenze giornaliere. Tariffe su Victoria Falls a partire da 750 €. British Airways è l’unica compagnia che spedisce il bagaglio direttamente a Victoria Falls senza doverlo ritirare a Johannesburg, che costringe a effettuare le formalità di polizia del Sud Africa, perché dovrete uscire dalla zona transiti per ritirare le valige. PE RIODO MIGLIOR E Per poter osservare la fauna al meglio i mesi migliori sono da maggio a ottobre, quando il culmine della stagione secca la obbliga a concentrarsi intorno ai punti d’acqua e la vegetazione più scarsa la rende più facilmente visibile. La stagione delle piogge è da novembre a marzo: a gennaio e febbraio le piogge possono essere molto consistenti, mentre ottobre è il mese più caldo. In inverno, la temperatura media piu’ bassa è in maggio, che a Victoria Falls e Hwange va da 9,1 a 25.2 °C

DOCUMENTI E F O R M A L I TÀ Passaporto con almeno 6 mesi di validità dalla data di rientro del viaggio. Il visto d’ingresso viene rilasciato, in frontiera, all’arrivo nel Paese. Il costo per un’entrata singola è di USD 30, per un’entrata doppia di USD 45 e per un’entrata multipla di 55 USD. Tassa da pagare in uscita (departure tax) 20 USD N O R M E S A N I TA R I E Per il viaggio in Zimbabwe non sono richieste vaccinazioni particolari arrivando dall’Europa. La profilassi antimalarica è sempre consigliabile quando si viaggia in Africa tropicale. Per il resto lo Zimbabwe presenta meno problemi igienici di molti altri stati africani. È comunque consigliabile fare sempre attenzione all’acqua da bere, evitare se possibile di fare bagni in fiumi o laghi, che potrebbero essere affetti da bilarzia oltre che frequentati da coccodrilli. Portarsi un kit di farmacia da viaggio con medicinali attivi contro i germi della diarrea del viaggiatore, sali e soluzioni reidratanti, antipiretici contro la febbre, antisettici per le piccole ferite, analgesici.

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VA L U TA La valuta utilizzata da qualche anno a questa parte è il dollaro americano USD. Si consiglia di avere a disposizione liquidità poiché molte strutture non accettano carte di credito. LINGUA La lingua ufficiale dello Zimbabwe è l’inglese. Le principali lingue locali sono lo shona parlato dalla maggioranza della popolazione e lo ‘ndebele parlato principalmente nella regione di Bulawayo. FUSO ORARIO Lo Zimbabwe ha una differenza oraria di +1 ora rispetto a quella in vigore in Italia. Questa differenza si annulla quando in Italia è in vigore l’ora legale. CO S A P O RTA R E Indumenti leggeri e comodi in tutte le situazioni. Le serate sull’altopiano sono fresche e un maglione è senz’altro utile. Una giacca a vento leggera è necessaria anche durante la stagione secca, se volete visitare Victoria Falls, perché sarete immersi in una nuvola d’acqua. Se volete fare dei safari fotografici a piedi vi consigliamo scarponcini leggeri da trekking e indumenti dai colori tenui. Occhiali da sole,

cappello, collirio, burro cacao, creme per la pelle. Una torcia può essere utile se andrete in campi tendati nei parchi nazionali, anche se in genere questi lodge ne sono provvisti. F OTO G R A F I A Per i fotosafari sarà necessario almeno un teleobiettivo da 300 mm per poter avvicinare gli animali. Nel container camuffati del Parco Nazionale di Hwange si possono ottenere foto spettacolari di elefanti, fotografati dal basso con un grandangolare. D OV E D O R M I R E E MANGIAR E Bomani Tented lodge, nella piana di Ngamo (a 4 ore e mezza da Victoria Falls) nel sudest del parco di Hwange, dove si effettueranno safari in 4x4 e a piedi e si visitano i villaggi delle comunità limitrofe al parco. Jozibanini Camp, il campo più piccolo e isolato, per attività di avventura come safari a piedi e in mountain bike, a 6 ore dal Bomani Tented Lodge. Nehimba lodge, in una concessione privata nella parte settentrionale del parco di Hwange. Per prenotare tutti questi lodge contattare: Imvelo Safari Lodges, 68 Townsend Road, Suburbs, Bulawayo, Zimbabwe.

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| IL FANTASTICO MONDO DI LIZE

Doveva essere solo una ragazza Down, supportata dalla società a vita. E invece Lize, lavora, studia, vive con il fidanzato, anche lui Down ed è una grande sportiva. Una vera star in Olanda. Questa la sua storia

OLANDA

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Apertura: Lize e Ruben fanno la spesa al supermercato di Odijk, un piccolo villaggio nei pressi di Utrecht, dove Lize lavorava fino a poco tempo fa. Lize è una giovane olandese di 27 anni affetta da sindrome di Down. Nella sua vita ha seguito scuole secondarie e medie comuni. Per 6 anni ha vissuto da sola a Odijk, un piccolo villaggio nei pressi di Utrecht dove ha lavorato nel locale supermarket. Al lavoro vi si recava tutti i giorni in bicicletta.

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All’età di 17 anni si è trasferita in un centro per conferenze dove lavoravano tutti ragazzi con varie disabilità. Qui aveva una sua stanza e i genitori l’andavano a trovare esclusivamente nei fine settimana. “Il periodo passato in questo luogo fu molto importante per la crescita e l’indipendenza di Lize” racconta Maria, sua madre. “Per la prima volta la famiglia non era più il suo unico punto di riferimento e lei dovette sperimentare uno stile di vita completamente diverso”.

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Lize mentre si sta facendo fare la vaccinazione per il viaggio in Corea del Sud, dove ha rappresentato l’Olanda ai Giochi Olimpici invernali speciali. Nelle sue molteplici attività di testimonial ha anche avuto l’opportunità di incontrare Michelle Obama, cosa che la rende particolarmente orgogliosa.

Per mantenersi in forma Lize frequenta una palestra settimanalmente assieme al padre Jan. Dopo la palestra padre e figlia cenano insieme, prima che Lize accenda il televisore per assistere alla sua soap opera preferita, di cui non perde una puntata.

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Lize alla scuola che ha frequentato lo scorso anno per specializzarsi nella ristorazione e gestione di supermarket. Durante il reportage ho intervistato i familiari di Lize. Bart suo fratello maggiore ricorda il giorno in cui lei nacque: “Ricordo mio padre che mi telefonò dall’ospedale piangendo per dirmi: “Tua sorella Lize è nata con la sindrome di Down”. Io avevo otto anni e non riuscivo a capire quale fosse il problema, me ne resi conto solo alcuni anni più tardi, quando capii che lei aveva maggiori difficoltà nell’apprendimento e necessitava di molte attenzioni”.

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La sua nascita, conferma suo padre, “Fu un vero shock per noi che non sapevamo nulla della sindrome di Down. Conoscevamo il termine mongoloide, che in passato veniva utilizzato per le persone affette da questa malattia, ma poco di piĂšâ€?. Il medico che li aveva seguiti disse loro che, al momento, nessuno poteva affermare con certezza quali fossero i limiti di una persona affetta da sindrome di Down.

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Lize al lavoro nel supermarket dove è stata impiegata fino allo scorso anno, quando ha iniziato a lavorare nella mensa dell’università di Utrecht. Al momento della sua nascita i medici si trovavano nella fase in cui la sperimentazione con questi ragazzi iniziava a porre l’accento sulle loro possibilità di inserirsi come elementi attivi nella società, piuttosto che sui loro limiti. “Cioè si stava iniziando a cambiare il punto di vista: non si doveva più parlare dei loro limiti, ma bisognava pensare alle loro possibilità” continua Jan. “Questo fu molto importante perché stravolgeva completamente l’ approccio verso questa condizione”.

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Passato lo shock, i genitori di Lize, hanno iniziato un gigantesco lavoro con la figlia. Lavoro che li ha visti coadiuvati in maniera importante dallo stato olandese. Lize ha potuto frequentare le stesse scuole elementari e medie di tutti gli altri ragazzi. Poi, quando il livello degli studi diventò troppo impegnativo per lei, frequentò per un paio d’anni una Green School, dove le insegnavano a rapportarsi con il mondo animale e vegetale, come preparazione all’inserimento lavorativo in una fattoria.

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Lize davanti al suo ipad, che usa con particolare abilità, con una foto di Ruben, suo attuale fidanzato. All’età di 17 anni si trasferì per altri 2 anni presso un centro conferenze frequentato interamente da ragazzi affetti da handicap di vario genere, fisici o mentali. Qui svolgevano tutti i lavori necessari al funzionamento del centro, occupandosi della biblioteca, del ristorante etc. etc. Questa fu anche la prima esperienza di Lize lontano dalla famiglia.

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Ruben e Lize nella casa dove lei ha vissuto fino allo scorso anno. Alle pareti del suo appartamento Lize ha appeso decine di fotografie delle sue attivitĂ sportive, oltre alle sue medaglie olimpiche, conseguite ai Giochi Olimpici Speciali di Roma e in Idaho negli Stati Uniti, dove ha corso e vinto in atletica e pattinaggio su ghiaccio. Nella sua camera la sera spesso sogna di gareggiare contro il suo idolo, il pattinatore olandese Sven Kramer, e forse un giorno di poterlo battere.

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Oggi Lize vive a Den Haag assieme a Ruben, il suo fidanzato anch’egli affetto da sindrome di Down, e lavora come cassiera alla mensa dell’università. Il suo stipendio è pagato al 50% dallo stato e al 50% dalla società che gestisce la mensa.

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Lize e Ruben in tram mentre tornano nel loro appartamento di Den Haag. Lize nel suo lavoro ha un contratto di 24 ore settimanali. Avrebbe potuto scegliere di essere completamente assistita dallo stato come fanno molti altri giovani con la stessa sindrome. Questo le avrebbe lasciato molto più tempo libero, ma lei ha preferito questa soluzione “Perché voglio assolutamente far parte della società e non sentirmi un peso da sostenere” afferma con una punta di orgoglio.

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Pagina precedente: Lize e Ruben in attesa del tram a Den Haag dove vivono attualmente. Ogni sera alle 20.00 in punto, dopo una cena frugale, Lize e Ruben si mettono davanti al televisore per guardare Goede Tyden, Slechte Tyden (bei tempi, brutti tempi), la loro soap opera preferita, che seguono ininterrottamente da 8 anni.

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Questa delle soap opera è un fatto curioso. Un giorno un regista olandese, che aveva già lavorato con vari ragazzi Down, notò che tutti quanti erano dei veri fanatici di soap opera. Da qui l’idea di realizzarne una con attori esclusivamente affetti da tale sindrome. Nacque così Downistie. 13 puntate di 10 minuti ciascuna programmate in prima serata su un canale nazionale, che suscitarono, in tutta l’Olanda, grandi emozioni e discussioni tra favorevoli e contrari.

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Alle pagine precedenti: Lize e Ruben alla stazione di Den Haag mentre prendono il treno per Utrecht per recarsi a trovare i genitori di Lize. Lize e Ruben in un momento di tenerezza nella casa dove lei ha vissuto fino allo scorso anno, prima di trasferirsi insieme in un appartamento a Den Haag. Foto sotto: questa sera cucinano insieme pollo al curry, il piatto preferito di Ruben. Lize invece apprezza di piĂš pizza e maccheroni. Al termine della cena guarderanno un film di Harry Potter.

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Un paio di anni fa Lize ha partecipato come attrice (con altri 4 ragazzi down) alla soap opera “Downistie� programmata alla tv olandese. Lize fu uno dei 5 attori principali e qui conobbe il suo attuale fidanzato Ruben, anch’egli tra i protagonisti.

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Quando sono insieme, Ruben e Lize passano il tempo in effusioni amorose e Ruben le canta “Love me tender” di Elvis Presley, oltre ad inviarle valentine sonore che una volta aperte recitano “I love you”.

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Ruben e Lize sembrano davvero una coppia perfetta, anche se all’orizzonte si profila un problema. Una volta sposati, Ruben vorrebbe assolutamente avere dei figli, ma si scontra con lo scetticismo di Lize: “I bambini affetti da sindrome di Down richiedono molte attenzioni e io non sono sicura di essere in grado di poterli seguire nel modo corretto� risponde a chi la interroga su questo argomento. Per questo motivo ha deciso di farsi sterilizzare.

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Lize e Ruben mentre fanno colazione nella casa dei genitori di Lize a Utrecht, dove si recano spesso per passare il week end.

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All’uscita del supermercato di Odijk, dove Lize ha lavorato per alcuni anni, l’incontro con un musicista di strada è l’occasione per lanciarsi in una danza improvvisata sul momento.

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Lize è una ragazza felice. È la prova di quanto siano importanti l’affetto, lo studio e lo stimolo continuo per questi giovani, perché si sentano parte integrante della società e non un peso da sostenere, come si pensava e in molti casi purtroppo si continua a pensare. Oggi Lize non partecipa più alle competizioni olimpiche, ma è spesso invitata come testimonial per rappresentare l’Olanda.


Oggi Lize non partecipa piĂš alle competizioni olimpiche, ma è spesso invitata come testimonial per rappresentare l’Olanda.

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In inverno, ogni domenica mattina Lize si reca alla pista di pattinaggio assieme a sua madre Maria dove incontra una serie di amiche, anch’esse affette da sindrome di Down che pattinano insieme a lei.

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Ruben e Lize si abbracciano alla stazione di Utrecht prima che lui torni alla casa dei genitori a Den Haag. Oggi entrambi vivono insieme in un appartamento di Den Haag e progettano di sposarsi il prossimo anno. 201


Decisamente Lize è una ragazza fuori dal comune e rappresenta una lezione per chi continua a considerare queste persone come un peso per la società .


INFO UTILI Foto e testi di Bruno Zanzottera S I N D R O M E DI D OW N Condizione caratterizzata dalla presenza nel patrimonio genetico individuale di tre copie del cromosoma 21 anziché due. Questo particolare assetto cromosomico comporta un ritardo di grado variabile dello sviluppo mentale e fisico della persona. Il nome “sindrome di Down” deriva dal nome del dott. Langdon Down, che nel 1866 identificò le principali caratteristiche di questa sindrome, anche se fino agli anni ‘60 venne comunemente utilizzato il termine “mongoloide” per definire chi ne era affetto. La convinzione che i nati con tale sindrome fossero incapaci di qualsiasi autonomia e per sempre dipendenti dalla famiglia era assolutamente radicata. Il 21 marzo si celebra il World Down Syndrome Day, la giornata mondiale sulla sindrome di Down.

Si tratta di un appuntamento internazionale sancito da una risoluzione dell’ONU con lo scopo di diffondere una maggior consapevolezza sulla sindrome di Down. Oggi, con lo screening prenatale, alcune nazioni hanno dichiarato che presto saranno Down free. “È immorale partorire un figlio Down” sono le scioccanti parole di Richard Dawkins eminente biologo britannico. Ma i ragazzi affetti da questa sindrome possono vivere una vita felice esattamente come tutti le altre persone. Lize, la protagonista di questo reportage, ne è una dimostrazione vivente. La nostra storia non vuole essere una scelta di campo antiabortista, ma dire semplicemente che la decisione di far nascere o meno un figlio non può dipendere solo dal fatto che questo sia affetto da sindrome di Down.

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