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Based on “Breve trattato sulla decrescita serena� by Serge Latouche (Bollati Boringhieri), 2008.
Veniamo da una societĂ
della crescita, fagocitate da un'economia
la cui sola finalità è la crescita fine a
se stessa.
Il sistema basato sulla
dismisura ci porta in un vicolo ceco e
schizofrenico, dove regna la frenesia
delle attivitĂ umane.
Ma la crescita
infinita è incompatibile con un
mondo finito.
E i nostri consumi non possono superare
le capacitĂ di rigenerazione della biosfera.
Produzioni e consumi devono essere
ridotti (e non meramente
sostituiti).
La logica della crescita sistematica a 360 gradi deve essere rimessa in
discussione, insieme al nostro
stile di vita.
Bisogna sopraprodurre
per sovracquistare. Quando il mercato è
saturo e la produzione continua,
Bisogna organizzare una
campagna pubblicitaria
perchè ogni famiglia
compri due “auto� (cellulari, scarpe, viaggi,...):
una soltanto non basta.
Ma arriva il
momento in cui bisogna anche
pagare.
La decrescita ĂŠ una parola-bomba contro l'ipocrisia e il
delirio del produtivismo.
L'abbandono dell'obiettivo della crescita illimitata,
il cui motore è essenzialmente la
ricerca del profitto, non è ben accetto da noi.
E tuttavia accettarlo è
indispensabile.
Non soltanto la società è
ridotta a mero strumento e mezzo della meccanica produttiva,
ma l'uomo stesso tende a
diventare lo scarto di un sistema che punta
a renderlo inutile.
Ma la decrescita non è la
crescita negativa. Come non c'è niente di peggio
di una società del lavoro
senza lavoro, non c'è niente di peggio di una società della crescita in cui la crescita si rende latitante.
La decrescita è concepibile soltanto in una società della
decrescita, ovverosia nel quadro di un
sistema basato su una
logica diversa.
Si dovrebbe parlare di
a-crescita, come si parla di a-teismo,
pi첫 che di de-crescita.
Si tratta proprio di abbandonare una fede,
quella dell'economia, del progresso e dello sviluppo,
di rigettare il culto
irrazionale della crescita fine a se stessa.
La decrescita è una bandiera dietro la quale si raggruppano
quelli che hanno fatto una
critica radicale
dello sviluppo e vogliono delineare il contorno di un
progetto alternativo per una politica del doposviluppo.
Si vivrĂ meglio lavorando di meno e
consumando
di meno.
Per neutralizzare il suo potenziale
sovversivo, si tenta spesso di far rientrare la decrescita nel girone dello
sviluppo sostenibile.
Lo sviluppo è una parola
tossica, quale che sia l'aggetivo che gli viene applicato.
Lo sviluppo sostenibile ha ormai trovato il suo strumento privilegiato:
i meccanismi di sviluppo puliti, cioè tecnologie a basso impiego
di energia o di carbone, all'insegna dell'ecoefficienza.
Ma si rimane sempre
nel mondo della
diplomazia verbale e della
logica suicida dello sviluppo.
Lo sviluppo è un concetto
etnocentrico
e etnocida, che si è imposto attraverso
la seduzione,
combinata con la
violenza della colonizzazione e
dell'imperialismo, e costituisce un vero e proprio
“stupro dell'immaginario�.
Verso la fine degli anni 70, il “sustainable development”
ha trionfato sull'espressione più neutra
“ecosviluppo”, adottata nel 1972.
Lo “sviluppo sostenibile� serve soltanto ad evitare
il vero cambiamento
delle abitudini, modificando solo marginalmente la nostra rotta.
Quindi parlare di un “altro” sviluppo, come pure
di un' “altra” crescita,
sta a indicare o una
grande ingenuità o una grande ipocrisia.
Ăˆ arrivato il tempo di
decolonizzare in definitivo il nostro
immaginario.
Il progetto di una società autonoma ed economa, riassunto nel motto della decrescita, non è di ieri:
l'idea di decrescita è stata formulata già dalla fine degli anni 60.
Il falimento dello sviluppo
mette in dicussione la societĂ dei consumi e le sue
basi immaginarie:
il progresso, la scienza e la tecnica.
Non soltanto la societĂ della crescita
non è desiderabile, ma non è neppure
sostenibile!
L'uomo deve sostituire la
scienza economica
tradizionale con una bioeconomia,
ovvero di pensare
l'economia
all'interno della
biosfera.
Chi crede che sia possibile
una crescita infinita in un mondo finito,
o è un pazzo o un economista.
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