Chiedi al maestro. Confronti d'autore sull'animazione

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CHIEDI AL

CONFRONTI D’AUTORE SULL’ ANIMAZIONE

CO NFR SU L L

D on B LUTH · G uido M ANULI · G ary G OLDMAN · E nzo D’A LÒ · M ichel O CELOT · M aurizio F ORESTIERI · S ylvain C HOMET · M ichel F UZELLIER · B ill P LYMPTON B runo B OZZETTO · M ichaël D UDOKDE W IT · P eter L ORD

Don Bluth

Sono entrato in contatto con l’animazione come tutti quelli della mia generazione, attraverso il cinema e precisamente tramite i classici Disney*** che riproponevano ciclicamente nelle sale e che piacevano tanto anche a mio padre, che mi portava a vederli. Mi piacevano, ne copiavo i personaggi, provando a farlo in modo tremolante e maldestro, ma devo essere sincero: la cosa che mi ha fatto desiderare nella mia vita per la prima volta di fare l’animazione non è stato il cinema.

Nel 1983 i videogame erano una manciata di pixel colorati con suoni digitali, quando in sala giochi fece capolino Dragon’s Lair, che consisteva in un’animazione interattiva di circa venti minuti, con una resa cinematografica incredibile e difficile da giocare perché basato su una serie di mosse da imparare a memoria e replicare al momento giusto. Se facevi la mossa giusta al momento giusto il filmato continuava, altrimenti partivano delle animazioni specifiche dove il protagonista finiva miseramente in pezzi e dovevi ripartire daccapo. Spesso attorno a me le persone non riuscivano a capirne il funzionamento, mentre io ne comprendevo perfettamente la dinamica e lo amavo. Era un prodotto sorprendente, che per la prima volta mi fece pensare “anche io voglio fare una cosa del genere!”.

Le avventure vissute dal protagonista Dirk per salvare la principessa Daphne divennero il mio gioco preferito anche fuori dal cabinato e dalla sala giochi.

Quello dei suoi personaggi divenne lo stile che più provavo a copiare, fallendo miseramente. Ogni mio quaderno di scuola aveva gli angoli dei fogli imbrattati dalle loro facce e dai loro dettagli; l’interesse per il suo lavoro è stato il mio motore e la mia ispirazione da allora e poi crescendo, quando ho capito il pensiero all’origine del loro studio, ho iniziato a sviluppare anche una mia filosofia di approccio all’animazione.

Senza il suo lavoro nel cinema di animazione compiuto negli anni Ottanta probabilmente oggi farei tutt’altro, chi lo sa…

Don Bluth è un disegnatore, animatore, musicista e regista che inizia a disegnare fin da bambino copiando i cartoni animati della Disney, finché non riesce a entrarci. Inizia a lavorare al film La bella addormentata nel bosco (1959) imparando da alcuni dei leggendari animatori che hanno creato le tecniche e i processi che ancora oggi vengono utilizzati nell’animazione in tutto il mondo.

Lavora a film come Robin Hood (1973), Le avventure di Winnie the Pooh (1977), Le avventure di Bianca e Bernie (1977) e dirige l’animazione di Elliott, il drago invisibile (1977). Alla fine degli anni Settanta, dopo aver diretto il cortometraggio natalizio L’asinello (1978), lascia la Disney insieme ad altri animatori per creare il proprio studio di animazione, Don Bluth Production, realizzando il cortometraggio Banjo il gattino ribelle (1979) e l’animazione per un film live, Xanadu (1980).

Il primo lungometraggio dello studio, Brisby e il segreto di Nimh (1982), lo porta all’attenzione del grande pubblico e, dopo la realizzazione dei videogiochi Dragon’s Lair (1983) e Space Ace (1983), viene notato da Steven Spielberg, che decide con la sua Amblin Entertainment*** di produrre i suoi due successivi lungometraggi, Fievel sbarca in America (1986) e Alla ricerca della valle incantata (1988).

Successivamente, spostandosi tra l’America e l’Irlanda, Bluth dirige molti altri film, tra cui Charlie – Anche i cani vanno in paradiso (1989), Eddy e la banda del sole luminoso (1991) e Pollicina (1994), fino ad avviare un rapporto con la Fox, che produce il popolare Anastasia (1997) e l’ambizioso Titan A.E. (2000).

Da qualche anno preferisce lavorare in teatro facendo musical e si dedica all’insegnamento dell’animazione nei corsi annuali della sua Don Bluth University.

Nonostante abbia avuto una carriera incredibile e abbia ispirato moltissimi artisti, non ha mai avuto grande voglia di cambiare il suo metodo di lavoro, in un mercato che vuole cose completamente diverse. Piuttosto ha preferito fare altro, restando solido sulle sue idee, ma senza smettere mai di sperimentare. Quanto carattere ci vuole per fare una cosa del genere?

In alcuni video ti ho visto fare delle animazioni su carta, un paio di rough12 dove spieghi come disegnare e animare Dirk, il personaggio del gioco Dragon’s Lair. L’animazione tradizionale si basa solitamente su diverse fasi del disegno, per cui prima si fa una bozza12

e poi il disegno pulito13, ma tu sembri realizzare da subito dei clean up13 ben fatti.

È solo questione di esperienza o c’è un procedimento particolare che usi per lavorare in questo modo, con linee decise e senza quasi mai cancellare?

Ci sono diversi modi per approcciarsi al disegno per l’animazione, tutti giusti. Dipende anche dall’attitudine individuale, perché non bisogna mai dimenticare che, nell’animazione, quello che conta di più è che il disegno sia dinamico e che racconti un’emozione.

Per me funziona molto bene lasciare alcuni tratti sul foglio, che tengo se corrispondono a ciò che ho immaginato; in caso contrario, cancello e torno nella mia testa per rievocare ciò che voglio realizzare. Sembra un lavoro complicato, ma non lo è: anzi, alla fine è molto gratificante, perché ti permette di trovare gestualità, espressioni e atteggiamenti che non puoi semplicemente disegnare. In altre parole, il disegno è la rappresentazione di un’emozione e, se davvero non sai quale emozione stai disegnando, allora è probabile che il tuo disegno non riuscirà a trasmetterla; se qualcuno, guardando uno dei tuoi disegni, inizia a sorridere, allora capisci di aver comunicato qualcosa. Anche se è un aspetto importante da tenere a mente, sono molti gli artisti che saltano quel passaggio riflessivo e iniziano a disegnare direttamente, ma in quel caso ciò che produrranno non sarà che un insieme di segni o, peggio, uno scarabocchio. Alcuni cominciano persino a inserire dettagli prima di avere effettivamente la sensazione generale della composizione, mentre invece si tratta di rifiniture da tenere alla fine.

La maggior parte delle volte mi ritrovo a dire che, per l’animazione, forse è più importante che il disegno sia carico di recitazione piuttosto che essere corretto nel senso accademico del termine: ciò perché un disegno nell’animazione dura pochissimo, quindi deve avere un’immediatezza diversa ed essere funzionale anche quando è solo di passaggio. Sei d’accordo?

I disegni possono essere vivi o possono essere morti, quindi sei tu che, come artista o disegnatore, devi decidere cosa stai facendo. Mi ci è voluto molto tempo per impararlo. Ho fatto a lungo dei disegni che erano morti, ma poi ho iniziato a comprendere la dif-

ferenza durante il tempo che ho passato ai Disney Studios, guardando lavorare grandi artisti e animatori: i loro disegni, infatti, prendevano vita ben prima di essere animati, in quanto ogni singola immagine era in grado di trasmettere l’emozione che stavano cercando.

Ovviamente, non ottieni questo risultato con gli intercalari, ma con gli estremi2 ci puoi riuscire: questo è l’approccio che ho sempre usato, che mi piace e che mi è stato molto utile.

Tu sei un regista, un animatore, un disegnatore, ma soprattutto un narratore.

Qual è il tuo approccio quando vuoi raccontare una storia? Parti con il pensare a delle immagini oppure ai concetti che vuoi esprimere, alle emozioni o altro ancora?

Tutti gli approcci sono validi, anche se purtroppo, a volte, vengono narrate storie che non sono interessanti o che, più semplicemente, descrivono solo un susseguirsi di eventi. L’archetipo del Viaggio dell’Eroe può essere un buon punto di partenza per ogni racconto: l’eroe lascia il villaggio, va per il mondo, incontra un cattivo, si evolve, ha successo e torna al villaggio con nuove informazioni che aiutano tutti. Questa è la formula. Per esempio, in questo periodo sto leggendo un libro che si chiama Capitani coraggiosi di Rudyard Kipling, che utilizza esattamente questa struttura: racconta di un ragazzino che inizia il suo viaggio da moccioso viziato e, dopo essere caduto da una grande nave, viene raccolto da un peschereccio dove impara il valore dell’impegno e del lavoro; quando finalmente si ricongiunge con suo padre è diventato una persona diversa, non è più un monello e in questo consiste il suo arco narrativo, il suo viaggio interiore.

Personalmente, prendo sempre quel modello di riferimento e lo sovrappongo a qualsiasi idea, per poi chiedermi: “Ok, cosa si potrebbe imparare da questo viaggio?”.

Quasi tutti i film che abbiamo realizzato si basano sulla ricerca delle proprie famiglie da parte dei protagonisti, come i piccoli dinosauri di Alla ricerca della valle incantata, che sono stati separati dai propri cari e hanno dovuto intraprendere un viaggio per ritrovarli mentre il loro mondo andava in frantumi. Ognuno di loro ambisce a quell’obiettivo, ma qual è il piano di redenzione? Cosa faranno e cosa li renderà felici? Farli ricongiungere con i propri cari è la parte più facile. Trovo che alcune storie non dicano nulla, come una barzelletta senza battuta finale. Anche a noi, a volte, è successo di raccontare storie

senza un finale forte, proprio perché non è sempre facile trovarlo: in questi casi, nel finale intuisci che c’è qualcosa, ma rimane indefinito e difficile da mettere a fuoco.

Penso che la storia (e quindi la sceneggiatura43) sia davvero molto importante, per cui devi avere una motivazione seria per volerla raccontare. C’è un detto inglese secondo il quale a volte è meglio stare zitti ed essere considerati stupidi, che aprire bocca e togliere ogni dubbio, ma non penso che ci sia qualcuno che voglia andare a fare un film da condividere con il mondo intero per poi non dire niente e fare la figura dello stolto.

E invece quando arriva il momento della visualizzazione, come ti ci approcci? E qual è la relazione che istituisci tra narrazione e visualizzazione?

Come ho detto, trovo che la sceneggiatura sia la parte più importante e, mentre la scrivo, comincio già ad avere in testa un’idea di come sono i personaggi, anche in relazione a come si comportano e alle loro azioni; a quel punto inizio a fare uno schizzo del loro design, con la consapevolezza che è una prima bozza e che cambieranno strada facendo, insieme alla storia. Ho amato disegnare e raccontare fin da bambino, ma è stato al college, dove mi sono laureato in Inglese e ho studiato Letteratura – sia mondiale che americana –, che ho scoperto probabilmente la cosa più preziosa, ossia il Viaggio dell’Eroe. Parallelamente, avendo un’attitudine al disegno, miglioravo ogni giorno di più anche in quell’ambito: quando mi rendevo conto che ciò che stavo facendo non era abbastanza buono, sapevo di dover solo provare e riprovare ancora. Dopotutto è una questione di pratica.

Quando incontrai Gary Goldman in un festival italiano, gli mostrai alcuni trailer del nostro lavoro e la prima cosa che mi chiese fu come ci fossimo relazionati ai filmati di riferimento per l’animazione. Mi raccontò che, per i vostri film, si faceva il noleggio di teatri di posa con telecamere e attori, quindi anche solo per i riferimenti i costi erano notevoli. La tecnologia di oggi ci permette, invece, di usare uno smartphone per girare video e spesso, nei film moderni, sono gli stessi animatori a interpretare i riferimenti per i personaggi che devono far vivere: ciò permette un risparmio

non indifferente, che può aiutare soprattutto le produzioni a basso budget.

Nonostante si possano migliorare i processi di lavorazione per ottimizzare i costi, però, i soldi restano un elemento essenziale e, per farcela con bassi budget, serve comunque una forte volontà ma anche saper ridurre le proprie necessità.

Sai, per il nostro primo film, Banjo il gattino ribelle, abbiamo impiegato davvero molto tempo, proprio perché non avevamo i soldi; però, anche senza soldi, se hai in testa la visione precisa di ciò che vuoi realizzare e delle sensazioni che vuoi trasmettere agli spettatori, ciò ti fa andare avanti, anche oltre le tue possibilità e le scadenze. Devo dire che non mi scoraggia lavorare con i piccoli budget, perché se riesci a fare anche solo un disegno e a mostrarlo a qualcuno che, quando lo guarda, sorride, allora sai di aver raggiunto il tuo obiettivo, che hai raccontato un’emozione in modo corretto. Tuttavia questo lavoro è un business e, se hai intenzione di fare un prodotto audiovisivo da condividere con il mondo, devi saperlo prima che c’è molto lavoro da fare. Bisogna tenere conto di un sacco di cose, forse troppe.

Oltre al budget, nella tua esperienza cosa può determinare gli aspetti di una produzione?

Dopo quella prima esperienza indipendente, per Brisby e il segreto di Nimh abbiamo avuto a disposizione un budget decisamente più grosso, che non so bene neanche da dove arrivasse: per noi è stato una specie di miracolo, di quelli che non sai nemmeno dire come e quando siano accaduti. Il film non ha incassato molto al botteghino, ma all’improvviso, come un altro miracolo, si è fatto vivo un giovane produttore di videogiochi sperimentali di nome Rick Dyer**** che ci ha detto: “Hei, facciamo un videogioco?”. E quindi ci siamo attrezzati e abbiamo realizzato Dragon’s Lair. Il gioco ha avuto molto successo e lo ha visto anche Steven Spielberg, così ci siamo trovati d’un tratto a lavorare a un nuovo film, Fievel sbarca in America. È successo tutto così, come se ci fosse stato qualcuno a orchestrarlo per noi: penso che questo sia stato un aspetto determinante nelle nostre produzioni e l’ho apprezzato molto.

L’attività che svolgiamo è una vera e propria scelta di vita: è difficile relazionarsi a tutti quegli aspetti della nostra esistenza che non riguardano il lavoro ma ne vengono influenzati, come la famiglia o esperienze di accrescimento personale. Qual è il tuo modo per farlo, una volta che il tuo mestiere è diventato così centrale?

Di fronte a qualunque difficoltà, se hai qualcosa che vale la pena salvare troverai il modo di farcela. Quello che mi sembra davvero difficile è bilanciare l’arte con la famiglia perché, se sei sposato e hai figli, hai anche le vacanze e tutte quelle occasioni in cui devi essere presente, sicché devi capire come distribuire il tempo in modo da non lasciare che nessuno ne soffra.

Sono stato fortunato in questo senso, perché mentre tutti gli altri intorno a me si sposavano, avevano figli ed erano sempre impegnati con qualcosa da fare per la famiglia, io sono rimasto a servire l’arte. Quando invecchi capisci che, anche se è vero che puoi sentirti un po’ solo, non hai costretto nessun altro a sacrificarsi per te e per le tue scelte. Se mi fossi sposato non so se avrei dedicato molto del mio tempo alla famiglia… oppure, al contrario, non avrei potuto realizzare niente di tutto quel che ho fatto fino a oggi.

A volte questo lavoro è molto più di un matrimonio, perché è totalizzante: è molto duro e richiede uno studio e una disciplina molto severi ed è talmente alienante che puoi dimenticare anche di mangiare, bere o addirittura di respirare…

Esatto! Assorbe tutto il tuo tempo, ti ritrovi a saltare i pasti e a perdere il sonno senza neanche accorgertene e ti fa dimenticare di tutto il resto mentre attorno a te succede ogni genere di cose. Ma alla fine credo che, con un po’ di buon senso ed equilibrio, bisogna comunque vivere la propria vita, senza però sprecare i doni e i talenti che potresti aver ricevuto da Dio.

Dal mio punto di vista, tutti noi siamo come un canale, attraverso il quale passano le capacità che ci sono state date: ci sono giorni in cui quel canale è chiuso e non riesci a esprimerti molto bene, mentre altre volte senti quella che chiamo “blue note” (come quella del jazz), che quando suona ti fa disegnare davvero bene. Ma da dove viene esattamente?

A volte penso di essere uno strumento, una specie di telefono attraverso il quale passano dei messaggi dall’alto e, vedendola in questo modo, mi sembra che la blue note suoni più spesso. Un tempo mi battevo il petto dicendo: “Guarda cosa sono in grado di fare!”. Adesso non lo faccio più, perché di fatto il merito non è mio.

Anche mentre lavori e senti arrivare idee e ispirazioni, a volte scopri che, nello stesso momento, tutti intorno a te stanno ricevendo le stesse sensazioni, lo stesso messaggio. Quindi, penso che ci sia qualcosa di più grande di ognuno di noi che ci guida e che tutto ciò che è buono viene da quella fonte; anche tutte le cose che fai bene, che sembrano frutto delle tue capacità, in realtà sono tali perché qualcuno ti sta guidando.

Se pensi in questo modo, ciò ti aiuterà a essere più ricettivo nei confronti delle idee, che arriveranno più rapidamente; se diventi egoista o la tua arroganza si fa troppo grande, quel che succede è che in qualche modo s’interrompe il flusso.

Ovviamente, ogni artista ha un punto di vista diverso sull’argomento, ma è questo che ho scoperto su di me.

Nel corso della tua carriera, hai fatto un sacco di cose e hai acquisito molti strumenti per sviluppare la tua professionalità. Ma ti sei mai chiesto cosa saresti diventato se non avessi lavorato come animatore o disegnatore?

C’è una parte di me che è insegnante. Mi piace molto insegnare, perché mi piace vedere le persone migliorarsi e, imparando, stupirsi dei propri progressi. È bello vedere quanto questo li renda felici.

Nella mia testa ho un’idea molto chiara di come farlo: so come conoscere quelli a cui sto insegnando, scoprire quali sono le cose che sanno già e quindi affidare loro le mie conoscenze.

Attualmente insegno Animazione all’università, ma avrei potuto anche insegnare Letteratura, perché l’amo e l’ho studiata. L’unica cosa di cui mi lamento è che vorrei che il mio corso durasse tutto l’anno, dato che sei settimane per la materia sono davvero poche! Pensa che attualmente ho una classe di ventuno persone e, per valutare ognuna di loro, ci vuole più di un’ora e mezza. Alcuni di loro non sono giovani, ma mi sorprendono con la bellezza dei loro disegni.

È molto interessante quest’aspetto dell’insegnamento. Anche a me piace insegnare e, come dici tu, a volte è davvero soddisfacente vedere i tuoi studenti creare qualcosa.

Da qualche tempo mi sono accorto che quando loro creano qualcosa che sia migliore di quanto possa fare io il piacere è ancora maggiore. È una grandissima soddisfazione permettere a qualcuno di diventare bravo, anche più di te.

Infatti è così. La cosa più importante che posso insegnare davvero il più delle volte non la dico, perché è fatta di relazioni, di atteggiamento; è più una questione spirituale, che si mette in pratica con l’esperienza in un quadro generale più grande, quasi universale, per tendere a una realtà completamente diversa, in cui le persone non cerchino solo di guadagnarsi da vivere ed essere competitive.

Se ci pensi, la nostra società è davvero strana. Ti faccio un esempio: in America mi hanno insegnato a essere competitivo, a prevalere sempre sull’altro, no? Devo assicurarmi di essere sempre meglio di chi mi sta vicino, che io sia il vincitore e l’altro il perdente, per ottenere un profitto. Nella vita spirituale, però, viene insegnato il contrario, cioè di proteggere quelli che ti stanno vicino e che tutti sono tuoi fratelli. Queste idee sono chiaramente in conflitto e allora come si fa?

La soluzione a cui sono arrivato è che devi provare molto, molto duramente a godere dei risultati degli altri. Devi trovare gioia nel vederli progredire e nel farlo riuscirai a tenere a freno tutti quei retaggi culturali: posso divertirmi a guardare gli altri migliorare e diventare bravi nel disegno, anche più di me, senza invidiarli affatto ed essere solo felice per loro. Così facendo posso soddisfare entrambi i mondi, sia quello spirituale che quello materiale.

Sappiamo che tutti, prima o dopo, attraverseremo questa vita. Poi cosa succede? Finisce così? Io non credo. Ma se quella non è la fine, allora dopo cosa c’è? Queste sono questioni molto importanti, almeno per me. Quindi, se tutto ciò che insegno già mira a far sì che entrambi i mondi si uniscano, insegnando a tempo pieno mi sarei dedicato molto a questo aspetto.

La tua riflessione è davvero interessante. Ho sempre pensato che l’animazione non fosse rivalità ma cooperazione, perché hai bisogno di una squadra per realizzare dei film. Quanto è importante la collaborazione nel tuo modo di lavorare?

Avere una squadra è estremamente importante perché, come hai detto, nessuno può davvero fare questo lavoro da solo, poiché la quantità di disegni necessari per un film di animazione è enorme. Nonostante ciò, una cosa che succede spesso all’interno di una squadra è che tutti iniziano a competere tra loro piuttosto che collaborare e la concorrenza può essere molto, molto dannosa, in quanto egoista. So che spesso le persone hanno buone intenzioni ma se iniziano a competere e a fare o dire cose per cui ci si fa male a vicenda poi il film stesso ne soffre. Credo sia responsabilità del regista mantenere un clima sereno, apprezzare il lavoro della squadra e lodare le persone ad alta voce per il loro contributo, impedendo così che lo spirito di competizione possa arrivare a disgregare il gruppo. Spesso mi viene posta la domanda: “Quale film che hai realizzato ti piace di più?”. Rispondo sempre Brisby e il segreto di Nimh, perché è stato fatto con un gruppo di persone che erano davvero una squadra, che si piacevano a vicenda e che spingevano tutti per la stessa cosa, nonostante sia stata dura perché il budget era di sei milioni e trecentomila dollari, poco per quei tempi. In qualsiasi modo tu possa lavorare per il successo di altre persone, ciò ti darà felicità, come ne fosse un sottoprodotto. Dopo aver creato un progetto, con il passare degli anni tornerai a vedere il film e non riuscirai più a guardarlo oggettivamente, perché ti verranno in mente tutti i retroscena e le persone che hanno lavorato a ogni sequenza.

Trovo incredibile quanto sia importante potersi confrontare con altre persone, soprattutto se si fa parte di una stessa squadra, sia in termini di suggerimento sia di riscontro: per esempio, quando riporti a qualcuno un’idea che hai in testa, solo allora riesci a definire tu stesso se quell’idea funziona o meno.

A volte però nelle scuole insegnano che una sola persona si occupa di ogni singolo campo, come la storia, la regia, l’animazione, gli sfondi ecc. Cosa ne pensi in proposito?

Penso che i suggerimenti siano molto importanti, indipendentemente da chi te li stia dando, in quanto rappresentano la mentalità di tante persone diverse e per questo devono essere sempre considerati. In tutta onestà, non credo di essere stato molto bravo in questo senso perché, quando qualcuno proponeva uno spunto, pensavo tra me e me “no, non è una buona idea”; però ascoltavo comunque ogni suggerimento, nonostante abbia avuto la reputazione di fare le cose

di testa mia. Raccontare una storia come regista è un po’ come essere il capitano di una nave: devi essere tu a guidare, ma devi anche ascoltare gli altri con gentilezza, senza mai rifiutare le loro parole con risposte sgarbate. Questo perché anche gli altri credono davvero nelle proprie idee, e a volte sono anche molto buone, per cui è addirittura vantaggioso cercare di tirarle fuori. Per fare un esempio, in Anastasia, per l’antagonista Rasputin qualcuno mi disse: “E se fosse marcio in senso letterale? Al punto che gli cadono gli occhi e cose del genere?”. L’ho trovata un’ottima idea e, difatti, è così che lo abbiamo reso nel film: furioso, pieno di vendetta, ma anche marcescente e quindi cadaverico. Lo abbiamo reso un diverso tipo di cattivo. A proposito di quel personaggio, per Anastasia la 20th Century Fox ci aveva affiancato molte persone per aiutarci con lo storyboard49, cosa per me molto insolita dato che in generale me ne occupavo da solo. C’era un ragazzo che stava lavorando sulla canzone Nella notte e nel buio e montando il suo panel51 con la musica mi ero reso conto che non avrebbe mai funzionato così come era, ma l’ho fatto vedere comunque ai capi della Fox, che rimasero perplessi. Non apprezzarono molto, così sono tornato da quell’artista e ho preteso che ne parlassimo per aggiustarlo. In qualunque momento avrei potuto fare io i disegni che avrebbero fatto funzionare quella canzone, ma ho preferito seguire questo percorso affinché quel ragazzo, che era molto bravo come disegnatore ma non come coreografo, facesse quel che voleva anche a costo di fallire, affinché potesse imparare dai propri errori e realizzare il suo panel nel modo giusto.

Credo che te ne sarà per sempre grato, è un modo per superare sé stessi!

Mi parli di coreografia: infatti i tuoi film sono spesso influenzati dal genere musical, probabilmente un’eredità dell’esperienza nello studio Disney o forse essendo un musicista e compositore hai sempre cercato di mettere insieme i due linguaggi. Qual è in realtà la tua relazione con la musica?

Molte delle cose che ho imparato nel corso degli anni le ho apprese guardando film e musical. Amo guardare le coreografie: per esempio Un americano a Parigi con Gene Kelly lo trovo incredibile, ci sono movimenti meravigliosi! Tutto viene memorizzato nel cervello e alla fine, quando fai lo storyboard, i movimenti che hai visto ti aiutano molto.

Comunque la musica è un’altra forma d’arte che mi è sempre piaciuta molto e mi attirava l’idea di occuparmene nella vita, eppure qualcosa mi ha fermato. Per molti anni ho preso lezioni di pianoforte e lo so suonare piuttosto bene, ma ovviamente ciò non basta per essere un compositore di professione: ci sono un sacco di ottimi musicisti in giro ed è un lavoro altamente duro e competitivo, il che non fa per me. Comunque, per il mio divertimento posso ancora scrivere musica e suonare il pianoforte. Porto la mia musica in chiesa, ma niente di più.

In questo momento dedico principalmente il mio tempo al teatro e alla regia di attori e amo farlo in particolare per i musical. È molto divertente!

Penso che tra musica e disegno ci sia un parallelo, in quanto la musica è un linguaggio che si scrive su un pentagramma e si “pronuncia” attraverso degli strumenti musicali. Per l’animazione possiamo dire qualcosa di simile, solo che si scrive sui fogli macchina e la “pronuncia” è quello che si vede graficamente nei film.

Che legame vedi tra questi due ambiti?

La penso allo stesso modo: animazione e musica sono così correlate da essere cugine. La musica è espressione di emozioni così come l’animazione e, oltre ad aiutarsi l’un l’altra (la musica infatti ti dice come animare e l’animazione arricchisce la musica), presentano similitudini in davvero molti aspetti: in termini musicali hai il legato, in animazione abbiamo i fotogrammi fissi5; nella musica abbiamo quello che viene chiamato motivo, con piccoli temi che si ripetono, e nell’animazione c’è l’allungamento e i cicli di animazione7; ritroviamo l’accelerazione e il rallentamento e abbiamo la stessa cosa nell’animazione…

Ma in realtà, contrasto, veloce, lento e tutti questi elementi sono presenti in tutte le arti: scrittura, danza, pittura… E le arti sono qui per aiutare a ispirare le persone. Altrimenti, potrebbero semplicemente sedersi e guardare la tv!

Penso che una parte di ciò riguardi la propria crescita personale. Comunque, l’animazione è già melodia, difatti la definisco spesso “grafica musicale”; anche con un disegno fermo, però, è possibile sentire della musica. Milt Kahl* era molto bravo in questo: sapeva dare un ritmo specifico ai suoi disegni, veloce o lento, chiassoso o lieve, arricchendo una parte dei suoi personaggi, specialmente il volto,

con tante linee. I suoi segni riuscivano a dare l’impressione di creare oggetti duri o morbidi, dando vita a un dinamismo nelle pose anche quando non erano in movimento.

Quando mi sono reso conto di questa caratteristica e che i miei disegni non restituivano le stesse sensazioni, mi sono messo a guardare con attenzione quel che faceva. Se avessi provato a farti spiegare i suoi metodi, non sarebbe riuscito a comunicarti razionalmente un processo, ma osservandolo invece riuscivi a capire come faceva: notavo che disegnava prima il contorno esterno dei personaggi e poi riempiva di segni l’interno. Anche se non ho riprodotto esattamente il suo metodo, adesso sono molto consapevole della silhouette6: per esempio, con un personaggio di profilo non faccio mai sovrapporre le mani, in modo che siano perfettamente leggibili. Ovviamente, questo ha anche a che fare con il modo in cui posizioni la telecamera, ma sono piccoli trucchi del mestiere che acquisisci con l’esperienza.

Quando hai iniziato a produrre film in animazione tradizionale, su carta e rodovetri, tu e il tuo team avete fatto tutto a mano, appunto in modo tradizionale. Vi siete poi confrontati con l’animazione digitale nella vostra linea di produzione, prima con Anastasia per quanto riguarda il compositing digitale59 e poi con Titan A.E., negli anni Duemila, in cui avete fatto per la prima volta un uso consistente della CGI32. Cosa pensi ora di queste tecniche, considerato che l’industria dell’animazione adopera praticamente solo CGI?

Dal mio punto di vista, è come parlare di pittura a olio e acquerello: sono due modi diversi di dipingere e ciascuno è valido. Il problema credo stia più nel fatto che si vogliono dare al computer sempre più compiti umani, fino a sottrarre al nostro agire anche le tre aree che sono ancora ad appannaggio del disegno, ossia character design44, set design46 e storyboard. A livello logico, trovo che più i computer diventano artisti e più gli artisti saranno “non artisti”: quindi penso che sia davvero un bene se non ci si liberi di quella cosa molto umana che è il disegno. Ecco perché vi sono molto fedele.

E poi, la sensazione della matita sulla carta è talmente bella… Mi preoccupa dove ci stia portando quest’epoca così tecnologica, perché sembra che ci stia togliendo parte della nostra umanità: vedo individui andare su internet e dire cose che non si dovrebbero dire; smettono di pensare, di leggere e di fare qualsiasi altra cosa che non sia stare sui social. Tutto ciò non va affatto bene, è dannoso per molte persone.

Anche nella musica il discorso non cambia molto: sto scoprendo, per esempio, che i ragazzini non prendono più lezioni di pianoforte. Come avremo persone che suonano il piano o il clarinetto? Chi formerà le orchestre?

Insomma, tutto questo mi preoccupa un po’ e, anche se non potrò vedere come andrà a finire, voglio dire a tutti di preservare in qualche modo la propria umanità. Continuate a funzionare come esseri umani, con pensieri e sentimenti, piuttosto che rinunciarvi in favore delle macchine: l’arte viene fuori proprio grazie a quei pensieri e quei sentimenti. Tutti dobbiamo lavorare, ma se ci limitiamo a pensare di far soldi con delle animazioni per pubblicizzare delle caramelle, stiamo creando semplicemente un’industria senza preoccuparci dell’arte. Si può avere sempre un pensiero artistico, quindi quello che dobbiamo fare è mantenere viva l’arte.

La tua passione per l’arte e la musica ti fa spaziare tra tante forme di espressione: cinema, musica, teatro e anche intrattenimento. Avete realizzato anche dei videogiochi che sono diventati un franchise e hanno avuto un successo enorme, di cui si parla ancora oggi dopo quarant’anni. Sono una mia grande passione! Ho una bella collezione di Dragon’s Lair e Space Ace…

Devo dire che tutto quel successo ci ha stupito! Non pensavamo che sarebbero diventati così popolari, soprattutto Dragon’s Lair, il primo esperimento in proposito, che è diventato un vero e proprio fenomeno. Space Ace non ha avuto lo stesso impatto perché è stato il secondo a uscire, ma penso sia davvero un buon prodotto.

I videogiochi che abbiamo creato sono definiti “lineari”, in quanto sono composti da una serie di scene predefinite in cui, per proseguire, devi riuscire a fare la cosa giusta – i giochi attuali sono invece molto più complicati: infatti avrei sempre voluto fare un altro videogioco, ma so che non sarebbe servito a niente, quindi ho lasciato stare.

La loro più grande particolarità era insita nel fatto che, a differenza di quanto avveniva nelle proposte di quel tempo come Donkey Kong e PacMan – parliamo del 1983, quando i personaggi e le scenografie erano composti da gruppi di pixel colorati – potevi osservare gli eventi e i protagonisti in veri e propri corti di animazione, una resa grafica incredibile per l’epoca. Probabilmente questo ha aperto nuove prospettive.

Poi, gli eroi delle nostre storie sono un po’ in ognuno di noi: sono dei ragazzi che hanno buone intenzioni ma si ritrovano a dover af-

frontare di tutto e alla fine in qualche modo vincono. È un po’ la storia della vita: continua a provare e prima o poi otterrai quello che vuoi.

Se al giorno d’oggi concepire prodotti crossmediali è la normalità, penso che nel 1983 Dragon’s Lair abbia costituito un esperimento incredibile: un videogioco in animazione è diventato una serie animata, poi un graphic novel e addirittura un videogioco 3D. Probabilmente siete stati voi i primi a farlo.

Sì, ma non avevamo idea che quel progetto si sarebbe ingrandito fino a quel punto. Quando l’abbiamo realizzato, non si trattava che di venti minuti di effettiva animazione fatta nel tentativo di restare a galla fino al lungometraggio successivo; invece, ecco che Dragon’s Lair è diventato il prodotto per cui siamo stati più notati! Anche se al tempo noi non ci abbiamo guadagnato moltissimo, è diventato un enorme affare e ha fatto un sacco di soldi, al punto che ancora oggi lo si trova sugli scaffali!

Davvero da non crederci.

COS’È L’ANIMAZIONE? TI RISPONDONO I GRANDI AUTORI!

Possiamo considerare i miti a cui ci siamo sempre ispirati nella vita come dei veri e propri maestri? È quello che si è chiesto Marino Guarnieri dopo una riflessione maturata a lungo.

Chiedi al maestro è il frutto di un dialogo con dodici dei più grandi esponenti del cinema d’animazione, attraverso cui scoprirete come i più importanti registi e animatori si sono approcciati nella loro lunga carriera al lavoro, alla creatività, al disegno e alla tecnologia.

Un viaggio inaspettato nell’ultimo secolo dell’animazione italiana e internazionale, che ci porta a riflettere, scoprire, meravigliarci e a realizzare che, in fondo, dietro a tutti i nostri maestri ci sono persone in carne e ossa, proprio come noi.

Chiedi al maestro ci immerge nel cuore del cinema d’animazione,

MARINO GUARNIERI: regista, animatore e autore nel campo dell’animazione. Ha contribuito al successo dei film L’artedellaFelicità(2013), GattaCenerentola(2017), YayaeLennie-TheWalkingLiberty(2021), diretto i corti Mezzanotte di Segni (2015), Loop (2020), Due Battiti (2023) e lo Special tv Le Figlie della Luna (2024). Divulgatore e docente di Cinema di Animazione, è parte del direttivo ASIFA Italia, l’associazione dei professionisti dell’Animazione Italiana.

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