Francesco Fasiolo
Italia da fumetto Il graphic journalism e la narrativa disegnata che raccontano la realtĂ italiana di ieri e di oggi
Lapilli. Segni 28
Indice
XI 3 3
Prefazione di Renato Pallavicini
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Introduzione Il fumetto e l’Italia: nuovi modi di rappresentazione della Storia e della cronaca Alcune rapide definizioni di orientamento Raccontare l’Italia attraverso il giornalismo a fumetti Raccontare l’Italia attraverso i romanzi a fumetti Raccontare l’Italia attraverso il fumetto seriale Capire il fumetto, capire l’Italia
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Ringraziamenti
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I. Note sul giornalismo a fumetti I.1 Un’opera per cominciare: Palestina
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I.1.1 Reporter a fumetti
I.2 Prima del giornalismo a fumetti: il graphic novel o romanzo a fumetti I.3 Il modo di raccontare: dal new journalism al romanzo reportage contemporaneo I.3.1 Gli antenati del giornalismo a fumetti I.3.2 La rivoluzione del new journalism
I.4 Il giornalismo a fumetti internazionale: alcune tendenze I.4.1 I.4.2 I.4.3 I.4.4
Inseguire la realtà: il metodo di Étienne Davodeau Giornalismo e diario di viaggio: l’opera di Guy Delisle Il dossier: The 9/11 Report Intrecci/1: fotogiornalismo a fumetti
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I.4.5 Intrecci/2: il patchwork di Ted Rall I.4.6 Biografie e autobiografie: quando sono giornalismo a fumetti (e quando no) I.4.6.1 Diari da una città bombardata: l’esperienza di Aleksandar Zograf I.4.6.2 Quando l’autobiografia diventa giornalismo: Valzer con Bashir I.4.6.3 Due «pilastri» del romanzo a fumetti: Maus e Persepolis
I.4.7 Satira e politica nei fumetti
I.5 Il futuro: un ruolo all’interno della dieta multimediale I.6 Per una definizione di «graphic journalism / giornalismo a fumetti» II. Il giornalismo a fumetti italiano II.1 Politica e realtà nel fumetto d’autore italiano II.1.1 Le radici del giornalismo a fumetti italiano: autorialità e attenzione per la realtà
II.2 Raccontare l’Italia: giornalismo con carta e matita II.3 Il dossier: Genova G8 II.3.1 Teatro civile e giornalismo a fumetti internazionale
II.4 L’intervista a fumetti II.4.1 È primavera II.4.2 Le interviste a fumetti di Topolino
II.5 L’inchiesta: Don Peppe Diana II.5.1 Le facce della camorra II.5.2 L’antimafia per tutti
II.6 Inchiesta e narrativa: «forzare i limiti dei generi». Zona del silenzio II.6.1 Il linguaggio II.6.2 Testo e autonomia del fumetto
II.7 Le pagine di giornalismo a fumetti su Internazionale II.7.1 Le cartoline
II.8 Da Ustica a Ilaria Alpi: tutta l’Italia a fumetti II.8.1
Igort e i Quaderni ucraini
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II.9 Giornalismo o saggio storico? Il fumetto non di fantasia a sfondo storico II.9.1
Storie di guerra
II.10 Conclusioni: le caratteristiche del giornalismo a fumetti italiano II.10.1 Fumetto, teatro civile, docufilm II.10.2 Il giornalismo a fumetti italiano
III. L’italia raccontata dai romanzi a fumetti III.1 Fumetto «d’autore» e fumetto «seriale»: una difficile distinzione III.2 Raccontare l’Italia attraverso il fumetto III.3 Visioni d’autore III.3.1 Da Pazienza a oggi III.3.2 I ragazzi di Gipi III.3.2.1 III.3.2.2 III.3.2.3
Gipi in blu: Esterno notte Passato e presente La provincia in guerra
III.3.3 Romanzi d’Italia
III.4 Storie a fumetti a sfondo storico III.4.1 Il periodo più raccontato: fascismo e Seconda guerra mondiale III.4.1.1
Omosessuali e confino
III.4.2 Tra l’Ottocento e oggi
III.5 Biografie III.5.1 Biografie classiche del fumetto italiano III.5.2 Biografie italiane a fumetti oggi
III.6 Romanzi a fumetti «di genere» III.6.1 La Napoli noir di Igort III.6.1.1 III.6.1.2 III.6.1.3
La costruzione del contesto: una città malinconica e reale La storia, tra azione e introspezione I riferimenti: più Eduardo che Tarantino
III.6.2 L’Italia degli autori noir, dalla letteratura al fumetto III.6.3 Fantaitalia
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IV. L’Italia raccontata nel fumetto seriale / 1 Dal Corriere dei Piccoli alla fine della Seconda guerra mondiale IV.1 L’apprendimento attraverso la distrazione IV.2 La peculiarità italiana IV.3 Italia e italiani nei fumetti del nostro paese fino al dopoguerra
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IV.3.1 IV.3.2
V.
Il retaggio degli «eroi fascisti» Vignette di regime
Interludio. La nazione incompiuta e l’influenza dell’industria culturale statunitense V.1 Il dopoguerra riparte dal western V.2 «Italiani» nel mondo: Tex, Diabolik, Dylan Dog V.2.1
Tex, l’americano V.2.1.1 V.2.1.2
V.2.2
Diabolik da Clerville V.2.2.1 V.2.2.2
V.2.3
La Guerra Civile americana Echi dall’Europa L’ambientazione: Clerville L’Italia in Diabolik: solo un riflesso
Dylan Dog: 7, Craven Road V.2.3.1 V.2.3.2 V.2.3.3
Il luogo: Londra Dylan e Groucho La cultura anglosassone
VI. L’Italia raccontata nel fumetto seriale / 2 Disney, Bonelli, i personaggi delle riviste e i nuovi eroi italiani VI.1 Quando l’Italia si è affacciata nelle storie del fumetto seriale italiano VI.1.1 I mondi degli eroi Bonelli VI.1.2 La «via italiana» alla Disney
VI.2 Tra fumetto d’autore e fumetto seriale Gli anni Settanta e Ottanta nei personaggi delle riviste VI.2.1 Il commissario Spada e Sam Pezzo: polizieschi italiani
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VI.2.2 Donne italiane: Valentina, Valentina Melaverde, Lea Martelli
VI.3
Tra l’Italia e i mondi passati, futuri e paralleli VI.3.1 I«Mysteri italiani» VI.3.2 ESP: da Roma verso l’inconscio VI.3.3 Tarvos, il «furlan»
VI.4
L’Italia oggi: le nuove serie, tra il poliziesco e l’horror VI.4.1 Cornelio, uno scrittore a fumetti VI.4.2 Valter Buio, psicanalista degli spettri VI.4.3 Unità speciale, il mondo dei carabinieri
VII. L’Italia raccontata nel fumetto seriale / 3 La rivoluzione di Volto Nascosto VII.1 I personaggi VII.1.1 Un personaggio secondario, espressione dell’epoca
VII.2 La cornice: suggestioni grafiche VII.3 La Storia attraverso la «distrazione» VII.3.1 I primi numeri: definire il contesto, tra Roma e l’Etiopia VII.3.2 Nel cuore della guerra VII.3.3 La «grande Storia» e le singole storie VII.3.4 Nel cuore della politica VII.3.5 Verso l’epilogo
VII.4 «Perché non è facile parlare di Italia» Intervista a Gianfranco Manfredi
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Conclusioni
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Riferimenti bibliografici
Prefazione di Renato Pallavicini1
Graphic è una parolina magica. È bastato pronunciarla – e scriverla – perché il fumetto entrasse in libreria. È bastato accostarla a un’altra parolina, novel, perché gli editori scoprissero che il fumetto poteva entrare nei loro cataloghi.2 Manca soltanto – ma vedrete, succederà presto – che un graphic novel concorra e, magari, vinca uno Strega, un Viareggio, un Campiello. Attenzione, però: un graphic novel, non un fumetto, perché se graphic è una parolina magica, fumetto è una parola, ancora oggi, dannata. Si porta dietro il pregiudizio del «guardare le figure»,3 attività colpevole di sottrarre tempo alla lettura. Tutti d’accordo (eccezioni a parte) su questo, almeno fino a qualche anno fa: insegnanti, genitori, adulti in genere. Il fumetto, insomma, è «roba da bambini» anche se, paradossalmente, si vorrebbe negare ai bambini. Che, fortunatamente, infischiandosene di divieti, scomuniche e punizioni, i fumetti li hanno sempre letti e li leggono. 1 Renato Pallavicini (Savona 1948) vive e lavora a Roma, dove si è laureato in Architettura e ha intrapreso la professione giornalistica. Da oltre trent’anni lavora per il quotidiano l’Unità, in cui ha ricoperto vari incarichi, scrivendo prevalentemente di temi culturali. Da sempre appassionato lettore e collezionista di fumetti, ogni settimana cura su questo quotidiano la rubrica «Il calzino di Bart», dedicata al fumetto, all’illustrazione e al cinema d’animazione. Suoi saggi e scritti sono stati pubblicati in libri e riviste. Ha fatto parte di giurie di premi assegnati da importanti manifestazioni e festival come Lucca Comics, Romics, I Castelli Animati. Per la sua attività giornalistica e di critica del fumetto ha ricevuto due riconoscimenti di ExpoCartoon e dell’ANAFI. 2 Mi riferisco ovviamente all’ingresso nelle librerie di varia di pubblicazioni a fumetti e agli editori generalisti. Resta il fatto che anche gli imperanti graphic novel siano confinati negli scaffali dedicati esclusivamente al fumetto. E che nessun titolo, anche il più prestigioso, abbia l’onore di comparire accanto alle novità di narrativa. 3 Guardare le figure è il titolo di un celebre saggio di Antonio Faeti, edito da Einaudi (1972) e ora riedito da Donzelli. Il libro è un approfondito studio della cultura italiana attraverso l’illustrazione per l’infanzia.
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Molti di loro, poi, hanno continuato a leggerli anche da adulti e tanti si sono messi addirittura a farli: da autori e da editori. Sergio Bonelli, l’editore di Tex, Zagor, Mister No, Martin Mystère, Dylan Dog, rivendicava, con un pizzico di finta modestia e con parecchio orgoglio, il mestiere di «fumettaro». Anche Hugo Pratt, il creatore di Corto Maltese, era orgoglioso di fare fumetti ma un bel giorno, stufo di sentirsi ripetere i soliti luoghi comuni sul fumetto, considerato una forma «minore» e «bassa», sbottò: «Bene, signori miei, io allora faccio della letteratura disegnata!». Fu, in Italia, il primo tentativo di emancipare la «cosa» attraverso la sua «parola», di nobilitare una forma espressiva attraverso la sua definizione. Un’operazione, si sarebbe detto e abusato più tardi, «politicamente corretta», un trucco, una piccola magia, che trasforma le cose cambiandone il nome, rendendolo meno aderente alla dura realtà delle cose, a quello che le cose (o le persone o le situazioni) sono, sublimandolo in un giro di parole sempre più «leggere», quasi gassose e che un po’ confondono ma mettono la coscienza a posto. Insomma, facendo le debite proporzioni: come si è passati da infelice a invalido, da handicappato a diversamente abile, così si è passati da fumetto a letteratura disegnata, a graphic novel (con l’aggravante della nostra provinciale e un po’ succube esterofilia, soprattutto per le parole inglesi). Ovviamente la questione non è soltanto nominalistica ma riguarda anche le nuove declinazioni narrative che il fumetto ha generato in questi ultimi anni, i formati editoriali e le etichette del marketing inventate per veicolarne la diffusione: tutte questioni sottoposte a un’attenta disamina nel libro di Francesco Fasiolo e alla quale rimando i lettori. Graphic novel, al di là dell’etichetta alla moda, comunque un merito ce l’ha. È una definizione che mette insieme i due costituenti fondamentali del fumetto: graphic, ovvero la parte grafica, il segno, il disegno; e novel, ovvero il romanzo, il racconto, la parola. Perché il fumetto, normalmente, è questo: disegni e parole (benché esistano anche non pochi fumetti senza parole: Arzach di Moebius, tanto per fare un esempio celebre). Ma il fumetto è, soprattutto, una delle possibili forme di scrittura e di narrazione. Se si parte da qui, è allora evidente e legittimo che il fumetto possa raccontare di tutto e che per farlo scelga i generi letterari e/o le forme e le strategie comunicative più adeguati: il romanzo, il raccon-
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to, oppure l’indagine e l’inchiesta giornalistiche, passando dall’invenzione, dalla fiction, al racconto della realtà. E così graphic novel diventa graphic journalism, reportage graphique (in francese) o, finalmente parlando in italiano, romanzo a fumetti e giornalismo a fumetti.4 Del resto il fumetto, la realtà, in qualche modo e con molte sfumature, l’ha sempre raccontata. A cominciare da Yellow Kid di Richard Felton Outcault, convenzionalmente considerato il primo fumetto moderno,5 che descriveva in tavole di grande formato la vita di Hogan’s Alley, un degradato vicolo newyorkese della città dei poveri e degli immigrati. A un pubblico popolare, poco acculturato se non analfabeta, si rivolgeva questo fumetto, usando gerghi e dialetti e affidandosi alla larga diffusione dei quotidiani. Il fumetto allo stato nascente, dunque, già mostrava il suo interesse per il racconto della realtà, magari sotto forma di satira, magari con venature slapstick e contaminazioni a venire, di lì a qualche anno, con le «comiche finali» del cinema muto o con il grande Charlie Chaplin. Basta guardarsi qualche tavola di Hogan’s Alley per ritrovare gli scorci urbani fatti di vicoli malfamati e case popolari, affollati di ragazzini, mendicanti, cani e gatti, gli stessi che fecero da quinte di scena ai monelli chapliniani e alle scorribande di Charlot. E proprio attraverso monelli e ragazzini terribili il fumetto tra Ottocento e Novecento è stato capace di ritrarre interni, situazioni e realtà sociali diverse, borghesi e proletarie: da Buster Brown, creato sempre da Outcault nel 1902, ai Katzenjammer Kids, i nostri Bibì e Bibò, di Rudolph Dirks, che fecero la loro prima apparizione nel 1897 e che erano ispirati a un «fumetto», questo sì delle origini, Max und Moritz, creato nel 1865 dal tedesco Wilhelm Busch. Non rifarò la storia del fumetto in queste poche righe per dimostrare quanto esso, anche molto prima del graphic novel e del graphic journa4 Anche su questa piccola babele terminologica, su differenze e distinzioni, si sofferma puntualmente, in più parti, questo libro. 5 Yellow Kid, il bambino dal camicione giallo (sul quale, agli inizi, erano scritte le parole che il personaggio pronunciava, mentre i balloon, ovvero le classiche nuvolette, sarebbero arrivate quasi un anno dopo), apparso in maniera occasionale e in bianco e nero tra il 1894 e il 1895, fece il suo debutto ufficiale il 5 maggio del 1895 sul supplemento domenicale a colori del New York World. Da questa data si faceva partire, di solito, l’inizio della storia del fumetto.Ma di recente diversi studiosi ed esperti tendono ad anticiparla agli inizi dell’Ottocento e a figure come quella dell’illustratore e scrittore svizzero Rodolphe Töppfer.
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lism, sia stato in grado di scrollarsi di dosso una malintesa «bambinità»,6 fatta di sogni, fantasie e avventure, e sia invece stato capace di cimentarsi con un’adulta percezione e rappresentazione della realtà. Ma certamente, come si è accennato, queste nuove declinazioni narrative hanno introdotto notevoli novità e fatto compiere un deciso salto al fumetto. Italia da fumetto di Francesco Fasiolo segue, in particolare, il percorso della nascita, crescita e maturazione del giornalismo a fumetti. Lo fa con la passione del lettore e con la competenza del giornalista. Parte, ovviamente, dalle radici: rintracciate in una serie di reportage a fumetti che hanno fondato il genere, a cominciare dal celebre Palestina di Joe Sacco. Ma butta un occhio all’antenato di un certo modo di raccontare e scrivere la realtà, quale il new journalism di Tom Wolfe e Truman Capote, che diedero vita a una felice «commistione di letteratura e giornalismo, un’iniezione di narrativa nelle strutture scarne del giornalismo tradizionale. Il risultato – scrive Fasiolo – fu la nascita di nuove forme narrative, come il romanzo-reportage: vicende e personaggi reali raccontati con rigore giornalistico ma attraverso stili e stratagemmi letterari».7 Dal giornalismo al fumetto e viceversa: ora la commistione acquista un «segno» in più, quello tracciato da matite, pennelli e pennarelli. Piega il ritmo della scrittura al tempo dell’«arte sequenziale»8 del fumetto. Usa gli strumenti del giornalismo (documentazione, sopralluogo sul posto, interviste, inchieste), si fa aiutare dalle fotografie e dai video. Come fa notare l’autore del libro, il giornalismo a fumetti, non costretto da vincoli particolari (embedded) si prende le «sue» libertà, si prende il «suo» tempo, il tempo più lento del disegnare/ritrarre la realtà. Il nucleo del libro di Fasiolo è costituito dall’Italia raccontata a fumetti, e se il giornalismo a fumetti «made in Italy» è il campo d’indagine obbligato, l’autore non trascura né i territori confinanti dei graphic novel italiani né quelli del fumetto seriale che, anche quando apparente6 A questo punto è necessario precisare che il fumetto «per bambini» è altrettanto degno di attenzione e considerazione. Semmai, paradossalmente, è un settore della letteratura per l’infanzia poco indagato e poco frequentato da critici, specialisti e autori. 7 Cit. da p. 31 del libro. 8 Il termine sequential art, ‘arte sequenziale’ appunto, fu inventato da Will Eisner (1917-2005), uno dei maestri assoluti del fumetto, nonché promotore dell’etichetta graphic novel modernamente intesa con la sua opera A Contract with God, and Other Tenement Stories (New York, Baronet Books, 1978).
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mente distante per ambientazioni e personaggi – da Tex a Diabolik a Dylan Dog – ha certamente raccontato un pezzo della nostra storia. Si dimostrano così, con un’analisi ampia di titoli e autori e con un’approfondita lettura dei testi, le capacità narrative e di documentazione del fumetto e la sua maturità espressiva. Il titolo scelto per il libro è allora esso stesso indicativo del mutamento di atteggiamento nei confronti del fumetto. Quel «da fumetto» che un tempo era un attributo usato per sminuire e screditare – quante critiche di romanzi, film, testi teatrali abbiamo letto (e purtroppo ancora leggiamo) nelle quali si definiscono trama, linguaggi, personaggi, situazioni con l’infamante epiteto «da fumetto»?! – in questo caso diventa elemento di merito e significa che il fumetto, nelle sue complesse e ricche articolazioni, è in grado davvero di raccontare la realtà italiana di ieri e di oggi. E, in qualche caso, di farlo meglio di altre forme narrative. Francesco Fasiolo, sposando in parte una mia definizione – e gliene sono molto grato – di «fumetto civile»,9 in qualche misura apparentato al «teatro civile» di autori come Marco Paolini e Ascanio Celestini, afferma che questi prodotti sono «figli di uno stesso clima culturale, di una rinnovata voglia di narrare le vicende italiane, portarle in piazza, scavare a fondo usando, appunto, la forma del racconto. Che sia orale, come nel caso del teatro, o che sia disegnato e scritto, come nel caso del fumetto».10 A conclusione, aggiungo e azzardo un’ipotesi. Il graphic journalism o giornalismo a fumetti, con le sue ricognizioni nei luoghi e nella realtà viva dei fatti, con gli incontri diretti con i protagonisti, con le testimonianze raccolte, con le interviste registrate, con le cose e le facce viste, fotografate o schizzate a matita; insomma, con tutto questo e altro «portato in piazza» e comunicato in disegni e parole, vignette e tavole, si dimostra una forma di narrazione «teatrale» per certi versi affine all’antico lavoro del cantastorie. Perfino parente della cultura orale dalla quale sono nate tutte le forme di narrazione successive.
9 L’espressione «fumetto civile» l’ho usata recensendo su l’Unità alcuni titoli dell’Editrice Becco Giallo, la prima in Italia a promuovere, pubblicare e dedicare una nutrita collana di fumetti che trattano la realtà, la cronaca e la storia italiane con taglio giornalistico e d’inchiesta. 10 Cit. da p. 119 del libro.
Introduzione
Il fumetto e l’Italia: nuovi modi di rappresentazione della Storia e della cronaca L’Italia nel fumetto: quanto è rappresentata la realtà sociale, politica, culturale del paese nelle nostre vignette? E in quali diversi modi? È il momento giusto per porsi questa domanda, perché alcuni fenomeni nuovi hanno caratterizzato l’ultimo periodo della produzione italiana di fumetti. Aumentano i giornalisti che scelgono questo linguaggio per i loro reportage e, allo stesso tempo, aumentano i personaggi e le ambientazioni italiane nei romanzi a fumetti che troviamo in libreria, ma anche negli albi che compriamo in edicola. Questo libro si occupa di tipi di fumetto molto diversi tra loro: da quello autoriale dei cosiddetti graphic novels a quello seriale; da quello che racconta eventi realmente accaduti – sotto forma di cronaca o di storia contemporanea – a quello che si occupa interamente di fatti inventati, ma con una pronunciata enfasi sul contesto «reale» degli eventi narrati. Ad accomunarli, la grande novità di questi anni nel mondo del fumetto italiano: una forte voglia di raccontare la realtà.
Alcune rapide definizioni di orientamento Raccontare l’Italia attraverso il giornalismo a fumetti Nell’ambito di quest’attenzione verso la realtà del nostro paese, emerge innanzitutto una ricca produzione di graphic journalism. La definizione, su cui tornerò, è di introduzione statunitense. Letteralmente si dovreb-
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INTRODUZIONE
be tradurre come ‘giornalismo grafico’. Un concetto assai vago, che nasce da un fraintendimento iniziale: la volontà di utilizzare l’aggettivo «graphic» per aggirare il termine «comics», alla ricerca di una maggiore legittimazione culturale. In realtà oggi, per tutti, il concetto di «graphic journalism» è sinonimo di «comics journalism», e quindi: giornalismo a fumetti. Sono stati prodotti negli Alessandro Di Virgilio e Manuel De Carli ricostruiscono la vicenda dell’incendio del 6 dicembre 2007 che ha ucciso set- ultimi anni lavori molto te operai nella fabbrica ThyssenKrupp di Torino attraverso interessanti che raccontatestimonianze, interviste e dati sugli incidenti sul lavoro. no fatti di storia e cronaca. Alessandro Di Virgilio – Manuel De Carli, ThyssenKrupp. Morti speciali S.p.a., Padova, BeccoGiallo, 2009 (pagina 27, A volte sono veri e propri vignette 2-3). © BeccoGiallo. reportage a fumetti e altre sono narrazioni più personali, con forti venature biografiche e autobiografiche; affrontano temi come la strage di Bologna o i crimini della mafia, il G8 di Genova o i morti della fabbrica ThyssenKrupp di Torino. Si tratta di forme «ibride» che uniscono le professionalità del giornalismo a quelle di disegnatori attenti alla realtà che li circonda. Il risultato è una forma di comunicazione «mista», un giornalismo molto narrativo, che si inserisce nel filone discendente dal new journalism americano ma che può essere anche accostato, con le dovute differenze, al teatro civile italiano. Se in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti il giornalismo a fumetti è una realtà almeno da un paio di decenni, è solo da pochi anni che il fumetto italiano si occupa di fatti di cronaca. È dunque caduto un ultimo tabù; proprio così Luca Raffaelli presentava sul quotidiano la Repubblica nel 2005 le prime pubblicazioni della casa editrice BeccoGiallo, di cui parlerò in seguito:
ALCUNE RAPIDE DEFINIZIONI DI ORIENTAMENTO
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Era forse l’ultimo tabù del fumetto: è rotto anche quello. Ora la letteratura disegnata può fare cronaca, indagare, ricostruire fatti e fattacci realmente avvenuti. Nei suoi cento anni e passa, oltre ad inventare le sue tante realtà parallele, il fumetto aveva raccontato anche la storia, qualche volta anche l’attualità, soprattutto sotto forma di satira. Di recente perfino l’autobiografia era entrata nelle sue corde. Ma la cronaca non l’aveva mai affrontata (casi molto particolari a parte) forse perché si era pensato che i disegni, nonostante il tradizionale e collaudato uso degli identikit, non potessero essere fedeli ai fatti, come invece la parola scritta o il filmato.1
Al giornalismo a fumetti sono dedicati i primi due Capitoli di questo libro. Sono ancora pochi, in Italia, i saggi e gli studi critici su questo fenomeno, che rimane per ora il classico tema di cui tutti parlano, anche con contributi interessanti, ma che pochi definiscono realmente nelle sue peculiarità e caratteristiche.2 Per questo motivo, prima di entrare nel vivo e affrontare le pubblicazioni italiane è necessaria un’introduzione che possa contestualizzare culturalmente il giornalismo a fumetti, con una panoramica sulla produzione internazionale e il tentativo di fissare alcune caratteristiche di base che possano definirlo. Di questo mi occu1 Luca Raffaelli, «Serial killer, criminali di carta. La cronaca scopre il fumetto», la Repubblica, 30 maggio 2005, p. 27. 2 Di giornalismo a fumetti si scrive su autorevoli riviste specializzate internazionali mentre in Italia, più che su saggi, il termine compare spesso su articoli di giornali e riviste, cartacei e su internet. Per quanto riguarda un approccio accademico al fenomeno cfr. Benjamin Woo, «Reconsidering Comics Journalism: Information and Experience in Joe Sacco’s Palestine», in Joyce Goggin – Dan Hassler-Forest, The Rise and Reason of Comics and Graphic Literature: Critical Essays on the Form, Jefferson, McFarland, 2010, pp. 166-77; Kristian Williams, «The case for comics journalism: Artist reporters leap tall conventions in a single bound», Columbia Journalism Review, marzo-aprile 2005, pp. 51-6; Amy Kiste Nyberg, «Theorizing Comics Journalism», International Journal of Comic Art, vol. 8, n. 2, autunno 2006, pp. 98-112; in italiano, cfr. innanzitutto Elettra Stamboulis – Gianluca Costantini (a cura di / edited by), Joe Sacco. Nuvole da oltre frontiera / Joe Sacco: Clouds from beyond the Borders, Ravenna, Comune di Ravenna – Associazione Culturale Mirada, 2002; fra i più recenti (altri autori ne hanno scritto fin dai primi anni Duemila, cfr. appunto i saggi nel succitato catalogo), il saggio di Paolo Interdonato – Matteo Stefanelli, «Giornalismo disegnato. Alle origini del fumetto di realtà, dal political cartooning al comics journalism», in Garry B. Trudeau, Doonesbury. L’integrale 1970-1972, Bologna, BlackVelvet, 2009, pp. 17-23; e, tra i tanti articoli che in tempi recenti hanno trattato o accennato al modo di fare giornalismo a fumetti, cfr. Sergio Rossi, «Giornalismo a fumetti, Un altro modo di raccontare la realtà in cui viviamo», La Stampa (versione web), 16 febbraio 2007, Lastampa.it/_web/ cmstp/tmplrubriche/base/grubrica.asp?ID_blog=47&ID_articolo=63&ID_sezione=70&sezione=; Benedetta Tobagi, «Scrivere disegnando», la Repubblica, 31 luglio 2010, pp. 29-31.
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INTRODUZIONE
po nel Capitolo I, per affrontare invece la situazione italiana nel II. Con una convinzione: la produzione recente di opere di giornalismo a fumetti è il fenomeno di punta e più evidente proprio di quella tendenza del fumetto italiano contemporaneo a cui facevo riferimento prima, l’attenzione per la cronaca e la realtà (politica, sociale, culturale), la voglia di raccontarla o di farne la cornice delle proprie storie. Una tendenza dimostrata anche dalla crescente attenzione che Festival di giornalismo come quello organizzato ogni anno dalla rivista Internazionale a Ferrara danno agli autori di giornalismo a fumetti, ma anche da manifestazioni esplicitamente dedicate al «fumetto di realtà», come il festival Komikazen che l’associazione culturale Mirada organizza annualmente, dal 2005, a Ravenna. Il concetto di «fumetto di realtà» va naturalmente oltre le pubblicazioni di tipo giornalistico. La realtà (in questo caso italiana) può essere raccontata anche attraverso opere finzionali. E di queste mi occuperò a partire dal Capitolo III. Raccontare l’Italia attraverso i romanzi a fumetti Napoli può diventare il teatro di un romanzo noir, mentre la campagna toscana può essere raccontata attraverso le storie degli adolescenti che la popolano. Un’immaginaria guerra civile italiana sa dirci molto sulla società contemporanea nel nostro paese, come la storia di un figlio che cerca suo padre, sbarcato insieme a tanti immigrati a Lampedusa. Sono molti i graphic novel pubblicati negli ultimi anni che affrontano storie di finzione con una precisa ambientazione italiana. «Graphic novel», ovvero ‘romanzo a fumetti’. Detta così sembra facile, ma la definizione è tutt’altro che scontata, e ci tornerò in maniera più approfondita, dal punto di vista sia del formato che dei contenuti. Di sicuro quello spostamento semantico del termine graphic di cui parlavo per la definizione del giornalismo a fumetti è avvenuto anche per il termine «graphic novel», che non è un romanzo grafico o illustrato ma, appunto, un romanzo a fumetti. E quindi storie di respiro, attitudine e spesso esito propriamente romanzeschi, in genere (ma non sempre) pubblicate fin dalla prima edizione in formato libro, e che per esprimersi e narrare usano il linguaggio del fumetto.
ALCUNE RAPIDE DEFINIZIONI DI ORIENTAMENTO
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Qui cominciano i primi problemi, perché questa etichetta editoriale è utilizzata, spesso per pure ragioni di marketing, per un’ampia varietà di prodotti. Sul versante dei contenuti uno dei tratti distintivi di molti graphic novel è la volontà di raccontare storie basate su fatti reali. Pensiamo ai due romanzi a fumetti più noti a livello in- Davide Toffolo racconta il pensiero e la figura di Pasoliternazionale: Maus di Art ni attraverso una serie di interviste immaginarie (ma con davvero pronunciate dal poeta) e un viaggio nei Spiegelman si concentra sui parole luoghi della sua vita. Davide Toffolo, Pasolini, Bologna, ricordi del padre dell’autore, Coconino Press, 2006 (p. 94, vignetta 1). © Davide Tofebreo polacco in campo di folo / Coconino Press. concentramento, e Persepolis di Marjane Satrapi racconta l’adolescenza dell’autrice nel contesto della rivoluzione khomeinista in Iran. Allo stesso tempo, come può verificare chiunque dia un’occhiata tra gli scaffali di una libreria ben fornita in fatto di fumetti, vengono definiti graphic novel anche lavori la cui storia e i cui personaggi non hanno alcun legame né con la realtà né con eventi realmente accaduti, e d’altro canto esistono anche lavori etichettati sì come graphic novel, ma che «novel», cioè romanzi, non sono: possono essere raccolte di racconti, a volte perfino serie di lunga durata (si pensi che molti manga-fiume commerciali come Naruto sono pubblicizzati, negli USA, come graphic novel). Inoltre, non è affatto detto (anzi!) che un graphic novel debba parlare di realtà: in quanto romanzo, un graphic novel contiene a pieno diritto, nella definizione stessa, la possibilità di raccontare storie assolutamente finzionali. Lo spostamento semantico del termine in direzione realistica e a volte giornalistica, in definitiva, è posteriore, dal momento che i primi romanzi a fumetti erano di pura fantasia. Per ora basti dire che su una cosa siamo tutti d’accordo: quella del graphic novel è una modalità di pubblicazione che si discosta dall’edi-
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INTRODUZIONE
zione di storie a fumetti dentro a riviste o antologie, e dal fumetto seriale in quasi tutte le sue forme (dagli albi tascabili alla Diabolik, ai libretti alla Bonelli, dagli album cartonati alla francese, agli albetti spillati sul genere di quelli di supereroi). La strategia di pubblicazione dei libri a fumetti è, in termini strettamente cartotecnici (copertina, carta, rilegatura, dimensioni), quella di dare maggiore solidità fisica, presentabilità negli scaffali delle librerie e autorevolezza nella presentazione complessiva, a storie che desiderano porsi come qualcosa di nettamente diverso dai fumetti seriali che compriamo in edicola. In questo senso i graphic novel sono considerati l’espressione contemporanea del cosiddetto «fumetto d’autore».3 Nel Capitolo III si darà dunque per completezza un’occhiata anche ai modi in cui i libri a fumetti che non hanno uno scopo giornalistico, ma di pura finzione – dunque, come detto sopra, romanzi o quantomeno racconti a fumetti a tutti gli effetti – rappresentano la realtà italiana. Raccontare l’Italia attraverso il fumetto seriale Se sul versante del settore librario il giornalismo a fumetti rappresenta una grande novità, un’altra sorpresa arriva dal fumetto seriale. Un tipo di fumetto che tradizionalmente racconta storie di fantasia, il quale, a differenza delle storie raccontate nei graphic novel, ha personaggi ricorrenti (eroi e supereroi), una cadenza precisa di pubblicazione, formati cartotecnici a volte più ridotti e foliazione di frequente inferiore. La situazione italiana è molto interessante perché i tre personaggi «popolari» più importanti del nostro fumetto seriale vivono le loro avventure in contesti non italiani. Tex è un ranger degli Stati Uniti della seconda metà dell’Ottocento, Diabolik vive nella cittadina immaginaria di Clerville e Dylan Dog fa base a Londra. Non c’è traccia del contesto italiano nelle loro storie. Per questo si deve considerare una grande novità la prima serie edita dalla Sergio Bonelli Editore con personaggi italiani: Volto
3 Anche se tutto ciò, di per sé, non li pone come qualcosa di intrinsecamente superiore in termini qualitativi, poiché esistono naturalmente molte storie singole di fumetti seriali migliori, per qualità e godibilità, di tanti libri a fumetti; e viceversa, s’intende.
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Nascosto, 14 albi pubblicati tra il 2007 e il 2008 e ambientati al tempo della colonizzazione dell’Etiopia. I protagonisti si chiamano Ugo Pastore, Vittorio De Cesari, Matilde Sereni e la vicenda si svolge tra la Roma umbertina e le città e vallate dell’Abissinia dove l’Esercito italiano si scontra con le truppe dell’Imperatore Menelik II. La Storia non è semplice cornice, è protagonista. Dal Capitolo IV al Capitolo VII di questo libro cercherò quindi di ripercorrere il rapporto tra gli eroi del fumetto seriale e le rappresentazioni del nostro paese, fino alle ultime produzioni. Come sempre, non mancherà una contestualizzazione storica e culturale, che partirà Sopra: Ugo Pastore, uno dei protagonisti di Volto Nadagli esempi di eroi italiani nei scosto, cammina per il Foro Romano. La serie è ambientata tra Roma e l’Eritrea di fine Ottocento. Volto primi anni del Novecento, per Nascosto, n. 2, novembre 2007, «Briganti» (p. 5, vipassare alla fascistizzazione dei gnetta 1). © Sergio Bonelli Editore. Sotto: l’esercito italiano sconfitto dopo la battaglia di personaggi del nostro fumetto e Adua (1896) radunato ad Axum, in Etiopia. Volto Naal successivo rifiuto di eroi ita- scosto, n. 11, agosto 2008, «Il prigioniero di Menelik» liani, soppiantati da quella fuga (p. 17, vignetta 1). © Sergio Bonelli Editore. verso l’esotico e i generi (western, noir, avventura, ecc…) che ha caratterizzato il fumetto popolare italiano nel dopoguerra. Nel lungo viaggio dal Corriere dei piccoli a Volto Nascosto, mi soffermerò in particolare sulle eccezioni: su quei personaggi e quelle serie (poche, rispetto alla produzione generale di albi) che hanno vissuto e vivono le loro avventure in Italia, dalle indagini milanesi del Commissario Spada fino alle avventure italiane di Martin Mystère,
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INTRODUZIONE
tra i misteri di Torino o Roma, ricche di nozioni sulla storia delle nostre città. Il tutto nella convinzione che la lettura di un albo a fumetti possa essere una forma di distrazione attiva e una fonte di divertimento e informazioni, e che la questione della mancata «italianità» di molti eroi abbia a che fare con tematiche che superano il contesto della storia del fumetto per andare a toccare il nostro rapporto con il concetto di nazione in generale, e la sua evoluzione nel corso degli anni.
Capire il fumetto, capire l’Italia Leggere queste pubblicazioni, agli esordi del XXI secolo, è innanzitutto un modo per capire quali sono i ruoli e le nuove potenzialità del fumetto italiano. Allo stesso tempo è un modo per riflettere sulle rappresentazioni che il paese Italia dà di sé stesso oggi, a centocinquant’anni dalla sua nascita. Infatti la rinnovata volontà da parte degli autori italiani di raccontare la nostra storia dev’essere argomento di studio per chi vuole analizzare i modi di rappresentare una cultura, una comunità, e i linguaggi e i media scelti per farlo in un determinato momento storico. L’approccio di questo libro sarà misto: la scelta delle opere di cui parlerò non è puramente legata all’estetica del fumetto, ma anche ad altri criteri. Nei Capitoli sul giornalismo a fumetti le pubblicazioni di cui parlo sono state selezionate anche in base al valore giornalistico e a questioni che esulano dallo specifico fumettistico, come i modi in cui gli autori riescono a reinterpretare dei classici generi giornalistici (l’intervista o l’inchiesta). E la lettura del fenomeno graphic journalism verrà collocata non solo nell’ambito della storia del fumetto ma anche della storia del giornalismo. Nei Capitoli sui fumetti di finzione, che siano in formato graphic novel o seriale, le opere saranno presentate in una cornice che fa riferimento non solo alla storia del fumetto, ma anche alla storia dell’industria culturale e dei rapporti tra questa e il concetto di «nazione». Infine, i fumetti saranno presentati e analizzati anche attraverso le parole di sceneggiatori, disegnatori, giornalisti, editori, in molti casi intervistati appositamente per questo libro.
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