Indice
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Prefazione, di Giannalberto Bendazzi Introduzione Parte I – Il cinema d’animazione in Italia 1911-1949
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I
Le origini I.1 I.2 I.3 I.4
II III IV V VI VII VIII IX X XI
La cinematografia-attrazione di fine Ottocento e primi del Novecento Fregoli e il cinema-attrazione in Italia L’espansione della cinematografia in Italia Dai trickfilm all’animazione
I «non» pionieri I film astratti La produzione dei Cine GUF La propaganda animata La pubblicità cinematografica I pupazzi animati Italiani all’estero Dal fumetto all’animazione e viceversa Tentativi per un’industria Nascita della professione XI.1 Lo spartiacque che non ci fu
Parte II – Gli animatori italiani 1911-1949 Preambolo 1. Arnaldo Ginna e Bruno Corra 2. Carlo Amedeo Frascari Zambonelli 3. Alberto Mastroianni 4. Guido Presepi
81 83 89 93 99 103 107 111 113 117 141 149 153 163 167 169 173 177 183 185 187 189 193 197 205
5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29.
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Conclusioni Riferimenti bibliografici
Jean Buttin (Giovanni Bottini) Francesco e Fernando Cerchio Corrado D’Errico Romolo e Carlo Bacchini (Bachini) Carlo e Vittorio Cossio Osvaldo Piccardo Paul Bianchi Antonio Attanasi Ugo Saitta Luigi Liberio Pensuti Ugo Amadoro Luigi Giobbe Antonio Rubino Roberto Sgrilli Gino Parenti Piero Crisolini Malatesta Gian Berto Vanni Luigi Veronesi Umberto Spanò Romano Scarpa Giulio Chierchini Giuseppe Šebesta Gibba Nino e Toni Pagot Anton Gino Domeneghini
Introduzione
Aprendo la maggior parte dei libri di storia del cinema si trovano citati come primi film d’animazione italiani i due lungometraggi, I fratelli Dinamite e La rosa di Bagdad, entrambi proiettati per la prima volta nel 1949; nei casi migliori è menzionata la sequenza a pupazzi animati di La guerra e il sogno di Momi (Giovanni Pastrone, 1917), realizzata in Italia dall’aragonese Segundo de Chomón. Questo ovviamente non vuol dire che prima non ci fosse stato nessun tentativo in Italia di realizzare film animati, ma che i film d’animazione italiani nei primi cinquant’anni del Novecento, quando pure vennero portati a termine, furono spesso frutto della libera iniziativa di un singolo o di piccoli gruppi di animatori senza continuità nÊ stabilità . Questo libro è il frutto di una ricerca su questi quarant’anni d’animazione dimenticata. L’anno ad quem è proprio il 1949 dei due lungometraggi sopra citati. Lo strumento fondamentale d’indagine è stato costituito da articoli del periodo, saggi di specialisti, testimonianze dirette e tesi di laurea inedite, poichÊ non esistono pubblicazioni monografiche dedicate al periodo considerato, fatta eccezione per L’Italia di cartone di Piero Zanotto e Fiorello Zangrando (Padova, Liviana Editrice, 1973).1 Quest’arretratezza negli studi sul cinema d’animazione italiano ha contribuito alla dispersione di informazioni e ha ritardato il ritrovamento dei materiali filmici, rendendone ora il recupero molto piÚ complesso, come conferma la mia poco fruttuosa ricerca in diverse cineteche e archivi, presso i quali (messe da parte le difficoltà burocratiche di accesso ai materiali) al momento sembra non siano custoditi molti film d’animazione del periodo o, quando lo sono, talora risultano inaccessibili perchÊ bisognosi di restauro. Numerosi articoli comparsi sulle riviste di cinema, soprattutto su Cinema – Quindicinale di divulgazione cinematografica, hanno fornito una documentazione indispensabile per ricostruire la storia di molti autori e con1 Il libro di Piero Zanotto e Fiorello Zangrando ripercorre la storia del cinema d’animazione italiano dalle sue RULJLQL ÀQR DJOL DQQL 6HWWDQWD H SUHVHQWD XQD ÀOPRJUDÀD FRPSOHWD GHL ÀOP G¡DQLPD]LRQH GHO SHULRGR GLYLVD SHU WHFQLFKH G¡DQLPD]LRQH H IRUPDWL GL SURGX]LRQH FRUWRPHWUDJJL OXQJRPHWUDJJL SXEEOLFLWj HFF ,QÀQH VRQR ULSRUWDWL L GDWL ELRJUDÀFL GHJOL DXWRUL FLWDWL
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INTRODUZIONE
fermare o smentire l’esistenza di alcuni film. L’accesso alle fonti primarie è indispensabile per indagare il cinema delle origini, estendendo la definizione per l’animazione italiana a comprendere tutto questo periodo di instabilità produttiva. Il cinema d’animazione, in Italia, fino al 1949 non riuscì a stabilizzarsi in forma industriale e per questo la mia indagine si è concentrata sulla ricerca di dati sui singoli autori che si cimentarono nella realizzazione di film animati, magari anche in modo fallimentare. I dati reperiti sono stati da me sistematizzati per la ricostruzione della vita e dell’attività degli animatori italiani che realizzarono film prima del 1949; quando reperibili, le opere sono state analizzate. Nel riportare la filmografia per ogni autore mi sono limitata al periodo preso in considerazione e ai film d’animazione, per evitare di riportare solo in maniera approssimativa e affrettata opere che esulano dal presente studio. Per l’analisi dei film è risultato molto importante il lavoro di catalogazione e messa on-line dei filmati svolto in questi anni dall’Istituto Nazionale Luce, che ha consentito l’accesso a un numero notevole di opere, in particolare dell’autore principale di questo periodo, Luigi Liberio Pensuti. Il risultato di cui potete leggere in questo libro è costituito di circa trenta autori e più di 150 film, fra i quali ho preso in considerazione anche le opere incompiute; molti altri dati riportati, riguardanti autori e film, hanno trovato conferma, ma non ancora sufficienti informazioni per permetterne un’analisi dettagliata: per questo in alcuni casi sono solo citati nella Parte I e non approfonditi nella Parte II. L’animazione italiana della prima metà del Novecento è stata a lungo dimenticata, probabilmente perché instabile e indipendente, ma la sua rilettura oggi fa comprendere che questa trascuratezza non è giustificata, in quanto non mancarono autori importanti ed esperienze significative, che meritano di essere approfondite e preservate. Spero che la pubblicazione di questo volume di ricerca possa dar luogo a nuovi accertamenti, indicazioni e correzioni per arricchire le informazioni sul periodo e poter scrivere una storia completa sulle origini del cinema d’animazione italiano.
I. Le origini
I.1 La cinematografia-attrazione di fine Ottocento e primi del Novecento Parlare delle origini del cinema d’animazione non può prescindere dalla trattazione delle vicende del cinema dal vero. La nascita del cinema si deve definire, più che con Émile Reynaud nel 1892 o con i fratelli Lumière nel 1895, in base all’affermazione di un’istituzione cinema, legata alla genesi della cinematografia-narrazione e di un linguaggio cinematografico. Fino a quando, nel corso degli anni Dieci del Novecento, non si affermò un nuovo linguaggio e il nuovo medium non trovò la sua specificità e riconoscimento, la storia dell’animazione e quella del cinema cosiddetto dal vero (cioè con attori in carne e ossa) non sono distinguibili l’una dall’altra. Queste considerazioni sono oggi possibili grazie al convegno di Brighton del 1978, quando gli studi sul cinema delle origini subirono un notevole cambiamento. Infatti durante quel convegno per la prima volta esperti del settore poterono visionare una notevole quantità di pellicole realizzate tra il 1900 e il 1906, capendo che molto di quanto era stato teorizzato fino ad allora, sul periodo iniziale della storia del cinema, doveva essere in parte riformulato. Questo nuovo approccio influenzò anche gli studi sul cinema d’animazione,1 la cui nascita viene convenzionalmente indicata con il 1908, quando per la prima volta un film fu realizzato interamente con il disegno animato (seppur con due brevi interventi della mano del disegnatore ripresa dal vero). Il percorso verso il 1908 fu però costellato di numerosi film che sfruttavano l’arresto della manovella e l’animazione di oggetti per suscitare lo stupore del pubblico: questi erano chiamati «film a trucchi» e ancora non venivano identificati e fruiti come un diverso tipo di cinema, ma semplicemente come una nuova e unica forma di spettacolo il cui scopo era stupire e attrarre lo spettatore.
1 Cfr. Fabia Abati, I sogni e i segni, Milano, CUEM, 2008.
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LE ORIGINI
Con Fantasmagorie di Émile Cohl e l’evoluzione del linguaggio cinematografico ebbe inizio il progressivo distacco tra i due tipi di cinematografia, e il cinema d’animazione diventò un’arte del tutto autonoma. In Italia tra i pionieri della settima arte troviamo il ricercatore Filoteo Alberini, impiegato all’Istituto geografico militare di Firenze, che, solo pochi mesi dopo quello francese, brevetta un apparecchio cinematografico per la ripresa, lo sviluppo e la proiezione. Purtroppo per Alberini, egli non ebbe la disponibilità e i capitali per portare avanti la sua ricerca e il 13 marzo 1896 il Cinématographe Lumière debuttò in Italia e furono fatte, nel giro di pochi mesi, proiezioni in moltissime città.2 Il cinematografo all’inizio suscitò un grande interesse e soprattutto curiosità, ma dopo questa prima fase non fece un ingresso trionfale nel mondo dello spettacolo. Pertanto le proiezioni per molti anni si diffusero soprattutto nelle fiere e nei luna-park, come un’attrazione del tutto simile alle lanterne magiche o ad altri spettacoli ottici, che per molto tempo avevano attirato l’attenzione del pubblico popolare. Per questo, più che definire questo periodo cinema delle origini o pre-cinema, la definizione che meglio calza per queste proiezioni, o meglio vedute animate, è quella di cinematografia-attrazione.3 La funzione di questi film infatti era suscitare lo stupore del pubblico per la loro nuova tecnologia o per la loro sbalorditiva riproduzione della realtà. Il cinema nei primi anni si diffonde come uno spettacolo popolare per lo più ambulante. Gli impresari propongono programmi basati sull’eccezionalità della visione, nei quali si presentano brevi documentari su notizie di interesse locale, riprese dirette di grandi personaggi e di località sparse in tutto il mondo. Queste vedute non possono ancora essere considerate cinema, perché sono solo nuove attrazioni al fianco di altre, e non ci consentono di parlare della nascita di un nuovo medium o di un nuovo linguaggio. La cinematografia accoglieva le pratiche di visione allora in voga, modellandosi su modi di fruizione e linguaggio di altre forme di spettacolo, allungandone la vita ed ereditandone l’attrazione. Alla meraviglia di uno spettacolo il cinema aggiungeva quella per l’effetto di realtà o all’inverso per l’utilizzo di trucchi,4 considerati l’espressione più pura della cinematografia-attrazione. Figura fondamentale per l’affermazione e la diffusione del cinema a trucchi fu il parigino Georges Méliès 2 Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, Roma, Editori Riuniti, 2001, p. 6. 3 Cfr. André Gaudreault, Cinema delle origini o della «cinematografia-attrazione», Milano, Il Castoro, 2004. 4 Cfr. F. Abati, op. cit.
FREGOLI E IL CINEMA-ATTRAZIONE IN ITALIA
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(1861-1938). Per lo spettatore dell’epoca i film di Méliès erano una novità assoluta, ma così grande successo gli venne soprattutto perché egli seppe sfruttare il nuovo apparecchio in seno a un paradigma culturale già affermato, quale lo spettacolo teatrale.
I.2 Fregoli e il cinema-attrazione in Italia Esattamente allo stesso modo, in Italia il famoso traLe voyage dans la lune (1902) di Georges Méliès. sformista Leopoldo Fregoli5 utilizzò il mezzo cinematografico, segnando inoltre l’importante affermazione del cinema come spettacolo non solo popolare ma anche adatto al pubblico borghese delle sale teatrali cittadine. Durante una sua esibizione al Teatro Célestin di Lione, Fregoli scoprì che tra gli spettatori c’era Louis Lumière e, appassionato di fotografia e di meccanica, non resistette alla tentazione di conoscerlo e di visitare le sue officine di quella città. Per una settimana Fregoli rimase ad addestrarsi per imparare i segreti della riproduzione, dello sviluppo, della stampa e della proiezione. Alla sua partenza il trasformista ottenne il permesso di proiettare alla fine dei suoi spettacoli i brevi film dei Lumière, e, visto il successo ottenuto, pensò di realizzare lui stesso alcuni film.6 Egli era il protagonista assoluto di queste pellicole e battezzò questa parte del suo spettacolo «FregoliSequenza del film Fregoli dietro le quinte (1898). graph»; solo per citare alcuni titoli, Fregoli al caffè, Fregoli al ristorante, Il sogno di Fregoli e il più noto, poiché svelava i trucchi del mestiere dell’artista, Fregoli dietro le quinte. I film furono realizzati per lo più tra il 1898 e il 1899, ma furono diffusi anche negli anni successivi.
5 Nato il 2 luglio 1867 a Roma, il trasformista ottenne con i suoi spettacoli successi in tutto il mondo. Si ritirò nel 1925, all’apice del suo successo, a Viareggio, dove morì il 26 novembre del 1936. 6 Cfr. Mario Corsi, «Fregoli pioniere del muto e precursore del sonoro», Cinema – Quindicinale di divulgazione cinematografica, vol. I, n. 11, 1936, pp. 416-7.
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LE ORIGINI
Leopoldo Fregoli.
Il film che maggiormente ci interessa è Fregoli dopo morto (1899), in cui si vede uno scheletro danzare e scomporsi in più parti. Per molto tempo si è pensato che si potesse trattare del primo film italiano fotografato fase dopo fase, cioè del primo film d’animazione. Fortunatamente però molte delle pellicole di Fregoli sono ancora oggi conservate ed è stato facile smentire queste supposizioni. Infatti nel film si vedono chiaramente i fili che sorreggono lo scheletro, dunque il film non fu realizzato con la tecnica dell’arresto della manovella, bensì con una marionetta.7 Resta l’importanza dell’approccio di Fregoli, assimilabile a quello di Méliès in quanto portatore di una ventata di novità grazie al dinamismo, al ritmo e all’uso di trucchi cinematografici finalizzati a stupire il pubblico.
I.3 L’espansione della cinematografia in Italia L’idea del Fregoligraph venne ereditata nelle città europee e d’oltreoceano dai cafés chantants (meglio noti come «caffè concerto», specialmente parigini) e dalle music halls (in Inghilterra e negli Stati Uniti), che introdussero il cinematografo come numero d’attrazione all’interno di un programma articolato ed eterogeneo, favorendone la diffusione tra il pubblico borghese. La coabitazione di varie forme di spettacolo nelle grandi città portò influssi dell’una sull’altra, nuove idee, modelli narrativi e recitativi che avrebbero costituito l’ossatura del primo cinema italiano. Alla fine del secolo XIX sorsero nelle principali città le prime sale adibite alle proiezioni (anche se non solo a quelle). I luoghi stabili di fruizione e l’affermarsi dei primi operatori che lavoravano con continuità comportarono un incremento della produzione italiana. Queste condizioni sfociarono nei primi 7 Una prima formulazione (ormai obsoleta per l’avvento del digitale, ma perfettamente valida per il periodo qui analizzato) definisce come animazione ogni prodotto cinematografico che non sia semplice ripresa della vita reale a 24 fotogrammi al secondo, cioè ogni film realizzato con la ripresa fotogramma per fotogramma. Questo metodo è nata conseguentemente all’introduzione del meccanismo dell’«arresto della manovella», che consente di fermare la ripresa per modificare l’oggetto o il disegno o qualsiasi altro elemento si voglia animare e poi riprendere la ripresa. Nello specifico, un film che preveda l’utilizzo di marionette mosse da fili non viene ripreso con la tecnica del fotogramma singolo, al contrario di un film d’animazione, che utilizza oggetti o disegni che devono essere mossi o modificati ad ogni fotogramma.
L’ESPANSIONE DELLA CINEMATOGRAFIA IN ITALIA
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dieci anni del Novecento nello sviluppo del sistema produttivo cinematografico italiano, con la nascita di alcune delle principali case del periodo muto, quali la Cines, l’Ambrosio e la Itala Film. Se dal punto di vista organizzativo stava nascendo l’industria cinematografica, dal punto di vista linguistico e narrativo la situazione si evolveva più lentamente, senza fratture nette tra il metodo di rappresentazione primitivo e quello istituzionale:8 in questi anni di evoluzione il principio dominante dell’attrazione non escludeva la narrazione e, allo stesso modo ma all’inverso, quando l’aspetto narrativo si affermò, l’aspetto di attrazione continuò ad esistere (e del resto continua anche oggi, con il grande uso degli effetti speciali). Certo è che, con l’evoluzione del pubblico e lo stabilizzarsi della produzione, il trucco fine a sé stesso non poteva più essere accettato ed era necessario fosse inserito nel contesto narrativo. Ancora in questo periodo l’animazione vive un rapporto di complementarità con il cinema dal vero: la distinzione non è ancora nata e la ripresa con la tecnica del «passo uno» (di cui si parla in seguito) è considerata un trucco cinematografico; sarà l’evoluzione di questi trucchi in linguaggio a segnare la definitiva nascita del cinema d’animazione e la sua affermazione indipendente. Tra il 1909 e l’entrata in guerra nel 1915 l’Italia vive una fase cinematografica segnata dall’affermazione del genere storico e drammatico e dall’allungamento dei film. Nel biennio 1912-14 la produzione media italiana raggiunge una durata standard superiore a quella delle altre cinematografie, ma questo primato non riguarda anche il piano sintattico, poiché l’espansione temporale non avviene secondo regole combinatorie, quanto piuttosto per semplice accumulazione e giustapposizione di quadri che raccontano in maniera elementare e ordinata un’informazione. Quindi ancora singoli quadri autoconclusivi e non una forma narrativa complessa che si sviluppi in diverse sequenze strettamente collegate.9 Grande importanza in questo periodo assumono anche i film comici, che solitamente erano proiettati alla fine del programma per alleggerirne i toni dopo film drammatici o storici; ma la produzione comica in Italia ebbe vita molto breve, esaurendosi con lo scoppio della Prima guerra mondiale e la successi8 Così Noël Burch designa la cinematografia dei primi tempi e il cinema istituzionale, mettendo in luce l’opposizione di due canoni linguistici. Cfr. Noël Burch, La lucarne de l’infini. Naissance du langage cinématographique, Paris, Editions Nathan/Her, 1990 (trad. it. Il lucernario dell’infinito, Milano, Il Castoro, 2001). 9 Per esempio Gli ultimi giorni di Pompei (di Eleuterio Rodolfi, Società Anonima Ambrosio, Italia 1913) e Quo Vadis (di Enrico Guazzoni, Cines, Italia 1913).
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LE ORIGINI
va concorrenza dei comici d’oltreoceano. Ciò non consentì un’evoluzione e rinnovamento del genere, al contrario della produzione di argomento storico e drammatico, che in breve tempo raggiunse livelli qualitativi molto alti, diventando il punto di forza del cinema italiano. Al polo opposto dei grandi drammi storici, senza alcuna ambizione culturale, le comiche finali godono comunque un periodo di breve ma intenso successo dal 1909 al 1915. Ogni casa di produCretinetti che bello! (1909) di André Deed. zione aveva assunto un comico, che lavorava a tempo pieno realizzando decine di film all’anno. In particolare le comiche di André Deed10 ottennero successo in tutto il mondo e il suo personaggio di Cretinetti portò molta fama alla Itala Film. Il comico francese era dotato di una grande duttilità e la sua comicità scaturiva di volta in volta dalla situazione, dall’azione, dalla mimica e, non ultimo, dall’utilizzo di trucchi. Nelle sue migliori comiche ciò sfociava nel surreale, in cui possiamo anche assistere allo smembramento di un corpo destinato ad autoricomporsi. Così nel film Cretinetti che bello! del 1909 il protagonista riceve un invito e per l’occasione si veste elegantemente; quando esce di casa qualsiasi donna resta folgorata e inizia a inseguirlo, fino a raggiungerlo e farlo letteralmente a pezzi. La scena, realizzata ovviamente con un trucco cinematografico, è un chiaro esempio della permanenza della cinematografia-attrazione all’interno di un contesto narrativo. L’animazione di oggetti o l’utilizzo della tecnica di ripresa del «passo uno», che fu sicuramente utilizzata in Italia anche in film precedenti a questo, non basta per definire la nascita del cinema d’animazione perché questo linguaggio non si era ancora affermato come mezzo di espressione autonomo, non aveva ancora trovato la propria specificità e resta in questo contesto una pura espressione della cinematografia-attrazione.
10 Vero nome André de Chapais, nato il 24 febbraio 1884 all’Aia. Proveniva dal varietà ed era un acrobata. Esordì in alcuni film di Méliès e nel 1905 fu assunto alla Pathé. Restò in Italia dal 1908 al 1912. Morì il 15 aprile 1938 a Parigi. In Francia il personaggio Cretinetti era denominato Boireau.
DAI TRICKFILM ALL’ANIMAZIONE
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I.4 Dai trickfilm all’animazione L’animazione, la cui formulazione di una definizione esaustiva ancora oggi suscita non poche difficoltà, anche nei primi anni del cinema non può essere semplicemente descritta come la ripresa con la tecnica del «passo uno», perché questo si limiterebbe a dare una definizione di tipo ristretto, mentre il cinema come lo conosciamo oggi, sia quello d’animazione sia quello con attori in carne e ossa, nasce con la stabilità, la specificità e la legittimità del proprio linguaggio. Questa difficoltà di definizione, unita alla smania storica di definire chi per primo ha fatto o ha inventato qualcosa, ha portato in alcuni casi al tramandare di informazioni sbagliate o inesatte. La prima definizione ufficiale di cinema d’animazione viene fornita nel 1962 dalla nascente ASIFA (Association internationale du film d’animation), che nel suo statuto dichiara «il cinema d’animazione crea gli avvenimenti per mezzo di stumenti diversi dalla registrazione automatica. Nel film d’animazione gli avvenimenti hanno luogo per la prima volta sullo schermo». La seconda formulazione del 1980 era in negativo e intendeva come animazione tutto ciò che non fosse ripresa della vita reale a 24 fotogrammi al secondo: come scritto in una Nota precedente, per quanto riguarda il periodo che qui analizziamo essa risulta adeguata, ma con l’avvento del digitale e la complessità tecnica di alcune opere dimostra la sua inadeguatezza e «antichità». La definizione fornita in anni più recenti da Giannalberto Bendazzi, ricalcando il filosofo Dino Formaggio, è «Animazione è tutto ciò che gli uomini, in diversi periodi storici, hanno chiamato animazione», che si adegua all’esigenza di identificare il film d’animazione come una realtà complessa e mutevole in base al periodo e alle tecniche.11 La storia del cinema d’animazione è infatti strettamente legata alla sua evoluzione tecnica e ogni film può essere realizzato con tecniche d’animazione diverse, tra le quali: silhouette nere e policromatiche, disegno e incisione su pellicola, disegno su sabbia, pittura su vari materiali, animazione di pupazzi e oggetti (forme in plastilina, pupazzi in plastilina, pupazzi e oggetti in vari materiali), la pixillation, lo schermo di spilli e le più recenti, computer grafica bidimensionale (prima e dopo la tecnologia vettoriale Flash), computer grafica 3D.
11 Questa definizione e la sua introduzione teorica, insieme alle altre definizioni citate, si trovano in Giannalberto Bendazzi, Lezioni sul cinema d’animazione, Milano, CUEM, 2004, pp. 3-12.
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LE ORIGINI
Per quanto riguarda il presente studio, il panorama è più semplice, poiché in Italia fino al 1949 la tecnica che domina è il tradizionale disegno animato, con rari esempi di animazione di pupazzi o oggetti. Tra i casi, invece, di errata definizione di un film come animato si pensi in particolare al film Pinocchio di Gant (1911), pseudonimo di Giulio Antamoro. Oltre a essere la prima trasposizione del romanzo di Collodi e tra i primi lungometraggi in Italia, per alcune fonti conteneva sequenze animate, secondo alcuni di silhouette, secondo altri di pupazzi. Fortunatamente in questo caso la notizia può essere verificata, perché una copia del film è ancora esistente ed è stata recentemente restaurata. Alla visione della pellicola si riscontra la presenza di trucchi cinematografici (spesso per l’apparizione e la sparizione di personaggi), ma non risulta siano presenti scene animate secondo la definizione operativa sopra fornita. Solamente alcune sequenze sono risolte grazie alla tecnica «fotogramma per fotogramma» (frame-by-frame), per esempio quella del modellino della balena. Comprensibile è l’errore riguardante i pupazzi animati, poiché nella sequenza in cui Pinocchio assiste allo spettacolo di burattini di Mangiafoco sono presenti attori travestiti da pupazzi e burattini, e non è da escludere che in una versione del film (nei primi anni del cinema non era insolito che i film venissero tagliati, modificati o addirittura che venissero rigirate alcune scene se, per esempio, la pellicola si danneggiava) questa sequenza fosse girata con l’utilizzo di marionette, che però non devono essere assimilate ai pupazzi animati. Infatti questo genere di film, che pure troverà in Italia una certa diffusione, in particolare negli anni Trenta e Quaranta, non può essere considerato animazione perché si tratta semplicemente della ripresa in tempo reale di uno spettacolo di marionette, e non di una ripresa fotogramma per fotogramma. L’animazione di oggetti e di pupazzi era strettamente legata ai trickfilms (‘film a/di trucchi’), rientrava nel catalogo dei trucchi di ogni buon tecnico e si poneva come l’elaborazione più sofisticata del trucco con fermo.12 L’arresto di manovella, come già detto, era stato usato da Méliès, portatore di una mentalità ottocentesca e della messa in scena teatrale, ma subì un’evoluzione grazie allo spagnolo Segundo de Chomón, che invece apparteneva totalmente al nuovo secolo e alla nuova arte cinematografica. Il desiderio di manipolazione del tempo, degli spazi e l’incremento degli avvenimenti plausibili nell’immagine giunge alla maturità con l’animazione di oggetti: capostipite può essere con12 Si consideri, di passaggio, che in tedesco proprio il termine Zeichentrickfilm (lett. ‘Film di trucchi disegnato’) indica nel complesso, nel linguaggio comune, il cinema d’animazione.
DAI TRICKFILM ALL’ANIMAZIONE
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siderato il film El Hotel eléctrico di Chomón, che ottenne molto successo e avviò il processo che porterà alla nascita del cinema d’animazione. Assieme a questo film se ne potrebbero citare molti altri altrettanto importanti, come The Haunted Hotel dell’angloamericano James Stuart Blackton, per qualità e primato tecnico13 (anche perché non era infrequente in quel periodo, in totale assenza dell’idea di diritto d’autore, che i registi rifacessero i film di altri), ma in realtà ci riguarda maggiormente, per l’evoluSegundo de Chomón. zione dell’animazione italiana, Segundo de Chomón. Nato a Teruel, in Aragona, il 17 ottobre 1871, Chomón fu uno dei migliori operatori dell’epoca e un brillante ideatore di trucchi di ripresa. Esercitò a Barcellona, a Parigi e dal 1912 a Torino alla Itala Film, dove spesso lavorò al fianco di Giovanni Pastrone. La guerra e il sogno di Momi, proiettato per la prima volta a Roma il 15 aprile 1917, è il film che apre più di ogni altro le danze per il cinema d’animazione in Italia; e il fatto che non sia un italiano a realizzarlo è certamente significativo. Il film è a tecnica mista, prevalentemente dal vero; v’è una sequenza animata La guerra e il sogno di Momi (1916) di Giovanni Pastrone. © Archivio la cui durata, circa 13’, ci fa capire immediatamente Cineteca Italiana. la sua importanza, e l’aspetto narrativo in questo caso assume un ruolo centrale. Il film racconta di Momi che, a seguito di una lettera ricevuta dal padre al fronte, sogna i suoi soldatini Trick e Track, che si scontrano in una vera e propria guerra, con tanto di eserciti ed equipaggiamenti all’avanguardia. Il film si colloca in un filone particolare di film bellici di quel periodo, nei quali la guerra viene sempre rappresentata come un altrove lontano e spesso attraverso stereotipi superati. In questa sede ci interessa accostare La guerra e il sogno di Momi a un film di pochi anni precedente appartenente a questo stesso filone, il che ci permette di capire come dal punto di vista linguistico la differenza sia netta. Infatti anche in Il sogno patriottico di Cinessino, film del 1915 di Gennaro Righelli, abbiamo un bimbo che sogna una battaglia tra i suoi 13 Cfr. F. Abati, op. cit.
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LE ORIGINI
giocattoli in seguito alla partenza del padre bersagliere per il fronte; però in questo caso non sono pupazzi articolati come Trick e Track, bensì soldatini che si muovono grazie alla ripresa a fotogramma singolo. Inoltre il sogno di Cinessino dura pochi minuti, in cui ci mostra alcuni scontri che ricalcano la guerra reale, mentre Chomón ci trascina in un mondo fantastico, i cui protagonisti sono fatati e immortali e addirittura in grado di uscire dal sogno, muovendosi sul corpo del bimbo che li ha generati fino a svegliarlo. In entrambi i casi però, bisogna sottolinearlo, l’animazione deve essere introdotta e giustificata dalle immagini dal vero, quindi non gode ancora della piena indipendenza di creare mondi totalmente fantastici e scollegati dalla realtà. Resta l’importanza di aver imparato a controllare il tempo, lo spazio, gli eventi, ad attribuire un’anima agli elementi inermi, conferendo loro movimento e intenzionalità di azione. Il passo successivo è un’immagine la cui materia sia completamente plasmabile dal creatore, in ogni sua linea, forma e movimento, segnando la nascita del disegno animato.