1. Sergio Messina . Real Sex Il porno alternativo è il nuovo rock’n’roll
2. Giorgia Caterini . Japan Horror Il cinema dell’orrore giapponese
3. Valentina Testa . Kawaii Art! Fiori colori palloncini (e manga) nel Neo Pop giapponese
4. Valentina Testa . Gothic Lolita
Nella stessa collana:
La nuova moda delle ragazze giapponesi conquista il mondo
5. Fabio Bartoli . Vado, Tokyo e torno Diario di viaggio nel cuore del Giappone (e anche un po’ più in là)
6. Fabrizio Mazzotta – Davide G.G. Caci . I Puffi
Storia e successo degli strani ometti blu
7. Maurizio Landini . Girls with Guns
Cinema d’azione e fanciulle armate fino ai denti
Elettra Dafne Infante – Fabio Bartoli
Vita da Cartoni
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Una microguida al cinema d’animazione
Indice
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Introduzione 1. Scuole di animazione a confronto Animazione americana Gli esordi: dai comics a Gertie il dinosauro Walt Disney e l’animazione totale Le produzioni per la tv e l’animazione limitata La nuova animazione seriale: sotto il segno del merchandising Affari di famiglia
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Animazione europea
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Animazione giapponese
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La culla dell’animazione L’animazione come arte: investimenti pubblici e il circuito dei festival L’Europa dell’Est: un caso a sé stante Francia e Belgio: il ruolo della bande dessinée Gran Bretagna: letteratura, musica e animazione Nel segno di Tezuka Soggetto, regia, montaggio: come sopperire all’animazione limitata L’animazione come linguaggio e il vasto corpus dei generi La nuova animazione seriale e il cinema dei grandi maestri
2. Lo sviluppo dell’animazione in Italia dal secondo dopoguerra all’arrivo degli anime Le produzioni italiane del secondo dopoguerra (1946-’49) Società dei consumi e nascita della tv: l’era di Carosello (1957-’77) Carosello: l’animazione entra nelle case degli italiani Sulla scia di Carosello
La scuola italiana tra serialità e autorialità
Le produzioni seriali dei fratelli (e figli e nipoti) Pagot
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47 47
La
Bruno Bozzetto e le sorti del Signor Rossi Il cinema autoriale di Gianini e Luzzati tv
dei ragazzi Rai dopo Carosello (1977-’82)
Da Gulp! a Supergulp!: i fumetti in tv Arriva Goldrake!
3. L’animazione in Italia da Bim Bum Bam ai giorni nostri La tv dei ragazzi della neotelevisione Bim Bum Bam (1982-2002), nuova casa degli anime
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Basta
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La ristrutturazione dell’offerta televisiva di serie animate
tv!
Si torna al cinema! I nuovi grandi film d’animazione (1989-2011)
Disney e Pixar: il segreto di una rinascita DreamWorks in computer grafica L’Italia dell’animazione al cinema La Rai (e le Winx) senza frontiere Mediaset tra anime e sit-com L’Anime Night di Mtv
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4. Adattamento e voci dell’animazione Traduzione e adattamento Il «doppiaggio» Il doppiaggio dell’animazione in Italia
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5. Il sonoro nell’animazione Walt Disney: da Topolino ai giorni nostri Da Steamboat Willie alle Silly Symphonies Le colonne sonore dei film: il caso Fantasia e il Disney style
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L’animazione seriale americana: dall’età classica alle ultime tendenze
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L’animazione seriale giapponese: anison,
Il Leitmotiv: centralità e funzioni Le sigle nell’animazione seriale classica: corte ma buone Dalla nuova animazione seriale all’ibridazione con i giapponesi Anison: peculiarità di un genere unico Il fascino discreto delle bgM Anime e J-pop: un circolo virtuoso
bgm
e idols virtuali
79 79 81 83 86 88 90 92 94 96 98 100 103 105 107 111
6. Gli autori intervistati in Vita da Cartoni Bruno Bozzetto Mario Cantini Massimo Corizza Maurizio De Angelis Paolo Di Girolamo Gian Franco Fasano Gian Claudio Galatoli Francesca Guadagno Perla Liberatori Fabrizio Mazzotta Douglas Meakin Franco Migliacci Marco Pagot Pietro Ubaldi Riferimenti bibliografici
Introduzione Gentilissimo Signor Pagot, mi chiamo Elettra Dafne Infante, lavoro come sceneggiatrice e aiuto regista per il cinema e la televisione; Le scrivo perché sto facendo un documentario sui cartoni animati. È un progetto in cui credo molto. Anche perché, se così non fosse, non potrei farlo… Non ho un canale alle spalle, lo sto realizzando per una produzione indipendente. La voglia è quella di far conoscere questo bellissimo mondo in tutti i suoi aspetti […] Noi abbiamo avuto dei grandi disegnatori e creativi di cui non si parla mai. […] Ci sono delle storie bellissime, delle metafore straordinarie. Ci sono dei creativi dietro, spesso vengono sottovalutate anche le sigle, eppure c’erano grandi nomi dietro queste sigle […]. Negli anime giapponesi c’è molta attenzione verso le loro radici, la loro cultura, una cosa che noi invece stiamo perdendo. Secondo me parlare di cartoni animati vuol dire parlare di cultura. Io ho 37 anni e oggi lavoro tantissimo per quella televisione di Stato che con tanto orgoglio guardavo da piccola […]. Mi piacerebbe fare qualcosa di divertente ma profondo e importante allo stesso tempo come si faceva una volta, per una tv che oggi, non sempre, ammiro come allora… Mi sento molto fortunata per aver vissuto certe cose e ho voglia di trasmetterle agli altri. […] ci sono delle frasi che mi hanno tenuto compagnia da piccola e che io non dimenticherò mai e che mi porto dentro da allora, che mi hanno trasmesso dolcezza, tanta allegria e tanto entusiasmo. Per me la determinazione di un draghetto che da grande farà il pompiere sfidando qualsiasi legge della fisica e della natura è qualcosa di un valore inestimabile, che io ho amato moltissimo. Erano anni che volevo rivederlo, faceva parte dei miei ricordi […]. […] spero che tantissimi ragazzi possano provare emozioni ed essere rapiti dai vostri cartoni come io lo sono stata da quelli dei capostipiti di questa discendenza, e spero che un giorno scrivano ai vostri nipoti per ringraziarvi di aver voluto condividere con noi il vostro mondo incantato, e perché magari… staranno facendo un documentario anche loro! Mille di questi cento anni! Elettra Dafne Questa è una parte dell’e-mail che ho inviato a Marco Pagot all’inizio di quest’avventura. Quando ho intrapreso questo viaggio avevo tanto entusiasmo e tanta voglia di realizzarlo, ma il percorso è stato arduo. Ci ho impiegato molto tempo, un po’ per trovare tutti i contatti e spiegare quale fosse il mio intento e un po’ perché il documentario è nato come produzione indipendente. Per quanto fossi informata e avessi un archivio personale notevole, è stato comunque un lungo lavoro di ricerca per ricostruire le tappe fondamentali dell’animazione. Sono nata agli inizi degli anni Settanta, nel ’71 per l’esattezza, e ho avuto modo di vivere pienamente due decenni importanti per la musica, per la cultura, per l’umanità. Due decenni in cui il mondo ha visto il susseguirsi di invenzioni,
contraddizioni, emancipazione. Due decenni in cui era ancora forte l’eco degli anni Cinquanta con il rock’n’roll, i grandi attori, i musical ed Elvis Presley, e degli anni Sessanta, con il boom economico, la moda e la nascita dei Beatles. La beat generation e la voglia di cambiare il mondo, il nichilismo dei punk e lo slogan «no future» degli anni Settanta. La nascita della disco, il boom dell’elettronica, il glam, la new wave e la no wave, l’ambient music di Brian Eno e il New Romantic di Adam and the Ant e dei Duran Duran e la nascita del videoclip, negli anni Ottanta, a cavallo di un’era in cui la televisione diventava a colori e cresceva. Gli sceneggiati di Rai Uno ed Enzo Tortora; l’invenzione del Walkman e le cassette che riavvolgevamo disperati con una matita quando si allentava il nastro. Il valore delle cose e il concetto di attesa… attesa per un nuovo programma, attesa per l’uscita di un 33 giri, con la paura che si rompesse e di non poter più sentire i nostri brani preferiti; attesa per rivedere le serie che amavamo, che puntualmente sarebbero state replicate all’inizio della stagione invernale successiva… YouTube? Neanche a parlarne! A malapena c’erano i primi videoregistratori, anzi il Super 8, ed era pure un lusso per pochi. Attesa per un film che sapevamo essere uscito al cinema ma al quale non ci avevano portati e che non vedevamo l’ora passasse in tv. Attesa per rivivere delle emozioni che avevamo vissuto e il cui ricordo ci riempiva il cuore. Per quell’unico giorno alla settimana in cui usciva il nuovo numero della rivista Candy Candy e impazienti ci affacciavamo dal giornalaio già il pomeriggio precedente – chissà che per sbrigarsi con i giri non lo consegnassero prima – per poi divorarlo tutto d’un fiato. Attesa per la lettera che avevamo scritto alla nostra migliore amica per scambiarsi i ricordi dell’estate. Telefonino, sms, Skype? No, Poste! E un’intera notte svegli per assistere in diretta al Live Aid, l’evento che cambiò il ruolo della musica pop nella società, o quella notte che rimasi in piedi per seguire in diretta la Notte degli Oscar e poi scappare a scuola, con la certezza nel cuore su cosa avrei voluto fare da grande. Le figurine, i disegni animati, i telefilm, le sigle… E in mezzo, la mia vita, una vita che ho vissuto sempre in modo intenso e al culmine della passione. Questo documentario nasce dal forte, immenso desiderio di ringraziare tutti quei grandi protagonisti senza i quali oggi non sarei quella che sono: vi ringrazio per aver condiviso con me i vostri sogni e aver dato forma ai miei. Nino e Toni Pagot e le loro creature Calimero e Grisù, serie animate come Candy Candy e Atlas Ufo Robot, sigle come Isotta e Johnny il bassotto… Personaggi che ho amato moltissimo. Persone che oggi ho incontrato e che mi hanno dato ancora molto. Ai telefilm e ad altri generi televisivi ho personalmente dedicato spazio ed energie in altre sedi. Vita da Cartoni nasce, in particolare, con l’intento di raccontare il mondo dell’animazione in tutti i suoi aspetti, di mostrare il grande lavoro che c’è dietro ogni disegno animato, e la mia gratitudine non va solo alle persone intervistate, ovvero Marco Pagot, Bruno Bozzetto, Franco Migliacci, Maurizio De Angelis e tutti gli altri, ma anche a coloro che notte dopo notte, esperimento dopo esperimento, hanno inventato tutto questo, regalandoci un mondo. Il documentario che trovate accluso a questo libro è un excursus sull’evoluzione tecnica, storica e artistica di questa forma espressiva attraverso interviste a disegnatori, animatori, produttori, compo10
Vita da Cartoni
sitori e doppiatori. Da parte sua, il volumetto che avete fra le mani è un accompagnamento al documentario, al quale fa da complemento. È stato scritto a quattro mani dal giornalista Fabio Bartoli e da me. Fabio si è occupato di sistematizzare in modo sintetico e scorrevole una piccola e agile cronistoria critica dell’animazione, funzionale a far da sponda ai contenuti del documentario; io ho ampliato e arricchito per iscritto le interviste agli autori coinvolti nel dvd Vita da Cartoni. Vita da Cartoni è un piccolo e intenso viaggio audiovisivo lungo la storia del disegno animato, dalle origini a oggi. Dai disegni animati nostrani ai classici americani, agli anime giapponesi: le differenze tra questi mondi, in fondo in fondo, forse, non sono poi così grandi o incomprensibili. Il percorso del documentario inizia con una lanterna magica e un prassinoscopio; con Paolo Di Girolamo, Marco Pagot e Bruno Bozzetto, e con l’ausilio di alcuni altri contributi, vengono ripercorse le origini del disegno animato, nonché le principali differenze che hanno caratterizzato l’animazione nei vari continenti e i diversi modi di affrontare temi, inquadrature e disegni; nella parte centrale del documentario viene dedicato dello spazio alle tecniche di ieri e di oggi, dalla «verticale», macchina da presa con cui si realizzavano le prime animazioni, al lavoro con i computer e il passaggio dagli acetati ai software. E poi le sigle, i 45 giri, attraverso le parole di Franco Migliacci, paroliere di Nel blu dipinto di blu ma anche di Heidi, Carletto e Lupin; Maurizio De Angelis, storico componente degli Oliver Onions che, insieme al fratello Guido, è stato ed è il protagonista di tantissime sigle, come Sandokan, Galaxy, Marco Polo; e Franco Fasano, autore di molte sigle degli anni Novanta e anche di qualche illustre remake. Con loro, in Vita da Cartoni si parla dei film Disney, del binomio musica e immagini e dell’importanza che il suono riveste nella rappresentazione di una storia. Fra le altre persone intervistate vi sono Mario Cantini, dirigente della Rca per tutto il periodo d’oro delle sigle e non solo, e Douglas Meakin, autore e voce di Candy Candy, Forza Sugar e molti altri brani, che spiegano invece come si lavorava alle sigle e in quanto tempo. Vita da Cartoni contiene inoltre le interviste a due grandi animatori del nostro paese, i già menzionati Bruno Bozzetto e Marco Pagot, con i loro ricordi e la loro esperienza; dello spazio è poi dedicato alla cosidetta «invasione» giapponese, al doppiaggio e alle voci che ci hanno accompagnati nei nostri lunghi pomeriggi invernali, tra un libro di matematica e uno di storia. Fabrizio Mazzotta, Francesca Guadagno, Pietro Ubaldi, Massimo Corizza e Perla Liberatori. Le origini e l’oggi. E in tutto questo, cent’anni di animazione, per rendere omaggio a delle serie e dei film che oggi guardiamo con affetto e che «qualche anno fa» seguivamo con avidità; serie che hanno accompagnato ogni nostro gesto e ogni nostro giorno, che sono parte importante della nostra crescita perché non ci hanno fatto soltanto sognare, piangere o ridere ma ci hanno formati, anche se troppo spesso si tende a dimenticare quello che ci emozionava da bambini. Il tutto attraverso un documentario autoprodotto e della durata di un’ora circa in cui ho tenuto conto di un ordine cronologico sì, ma che ho cercato di rendere fluido e il meno didascalico possibile. Non può comprendere tutto, va da sé, per ovvi motivi di tempo ma anche di possibilità. È un lavoro indipendente e l’impresa spesso si è rivelata ardua; mi Introduzione
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sono documentata, l’ho scritto, ho cercato gli artisti, l’ho prodotto e, con l’ausilio di un paio di colleghi e amici, sono andata in giro a realizzare le interviste a Salerno, Roma, Milano; tentando ogni volta di riuscire a combinare i nostri turni di lavoro o permessi con la loro disponibilità. Lavorando di notte e tutte le volte che potevo. Ma ci credevo. E non ho mollato. Anche quando tra una ripresa e un’altra passavano tre mesi; anche quando, in molti, non mi hanno dato un appuntamento quando cercavo un produttore o un distributore. Ma avevo l’approvazione delle persone alle quali avevo chiesto di farne parte. E questo è stato fondamentale. Le emozioni sono importanti. Spero che Vita da Cartoni sia soprattutto questo. Io, e molti di voi che state leggendo queste righe, siamo i bambini e gli adolescenti degli anni Ottanta, quelli della «Goldrake-generation». Ma secondo me c’è molto di più. C’è la fortuna di aver vissuto in un periodo in cui c’era voglia di sperimentare e di creatività. «Chi ha rubato la marmellata…? Chi ha scaldato la cassata con il phon…?». Le Mele Verdi, Mitzi Amoroso, Capitan Harlock, il Galaxy Express 999 che sfreccia nella notte su delle rotaie invisibili attraversando l’universo, Supergulp!, Il fantastico Mondo di Paul, Bia, Lamù, i cartoon di Hanna & Barbera, Tom & Jerry, Scooby-Doo e la Misteri & Affini, Walt Disney… C’è il racconto di un’epoca. I ricordi legati alla voce di Willy Moser e alle immagini della rana Kermit e del Muppet Show. E rivedere tutte queste opere è stata un’emozione straordinaria, mi ha restituito quelle sensazioni e quegli odori come se li avessero custoditi per me da allora, in un percorso di vita che libro dopo libro, disco dopo disco, diario dopo diario, tutti riordinati perfettamente nella mia libreria, raccontano la nostra storia. Elettra Dafne Infante Roma, febbraio 2012
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Vita da Cartoni
animazione, come arte e come insieme di tecniche, nasce inizialmente in Europa, e si parlerà di questa origine a breve. L’elemento primario da sottolineare in questo avvio di Capitolo è che dal punto di vista industriale a fare la storia dell’animazione sono state principalmente tre scuole: quella americana, quella europea appunto, e quella giapponese. Certo, non vanno dimenticati altri soggetti. Va menzionata la Cina, che, dopo aver sviluppato un proprio modo di fare animazione e dopo essere stata costretta a confrontarsi con i grandi stravolgimenti politici e sociali della storia recente, sembra destinata ad affermarsi ulteriormente in questo campo in virtù della sua ascesa economica; la Corea del Sud, che dopo essere stata per decenni il paradiso dell’outsourcing oggi produce i propri lungometraggi, capaci di riscuotere ampi consensi, come My Beautiful Girl, Mari, e personaggi di successo come Pucca; senza dimenticare Israele, soggetto emergente, che annovera un maestro dell’animazione in plastilina come Roni Oren e che attraverso l’acclamatissimo lungometraggio Valzer con Bashir ha portato all’attenzione della platea internazionale un nuovo modo di fare animazione. Ciò nonostante, vanno analizzate nello specifico le scuole menzionate in apertura, le uniche che vantino una tradizione consolidata, una produzione – più o meno – continuativa e un’affermazione duratura a livello mondiale. La tecnica di animazione più nota è quella dei disegni animati (familiarmente definiti in Italia anche «cartoni animati» o affettuosamente solo «cartoni») e i mezzi di comunicazione che più di ogni altro hanno contribuito e contribuiscono alla sua diffusione sono il cinema e la televisione. Ma, come vedremo, diverse sono le tecniche e diversi sono i canali di trasmissione.
Animazione americana Gli esordi: dai comics a Gertie il dinosauro I cartoon, il cui nome completo in origine è animated cartoons, ‘disegni animati’, sono figli dei comics, i fumetti. Nati nella loro accezione compiutamente moderna con Hogan’s Halley di Richard Felton Outcault (1895), questi ultimi originariamente sono presenti sulle pagine dei quotidiani per regalare un momento di svago e umorismo ai lettori altrimenti impegnati da argomenti più o meno seri. In principio Hogan’s Halley è strutturato intorno a un unico grande riquadro ma poi contempla sia l’uso dei balloon, le nuvolette di testo, sia la suddivisione in vignette. A sviluppare ulteriormente questa ripartizione, implementando quindi il potenziale narrativo dei comics, è Winsor McCay, che con il suo Little Nemo in Slumberland del 1905 conferisce alle strips, ‘strisce’, una maggiore dinamicità. La struttura di Little Nemo si avvicina già a quel-
1. Scuole di animazione a confronto
L’
la di un film d’animazione e non è quindi un caso se McCay sia uno dei pionieri in questo campo negli Usa: nel 1914 egli realizza infatti il cortometraggio Gertie il dinosauro (che poi in realtà sarebbe… una dinosaura), in cui appare in groppa allo stesso rettile animato ricorrendo alla tecnica mista: elementi reali mescolati a elementi di finzione, per l’appunto animati; ne è un recente esempio il film Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988). McCay era solito proiettare questo e altri suoi cortometraggi nei vaudeville, spettacoli teatrali imperniati su balli e canzoni antesignani di varietà e cabaret, mostrandoli al pubblico e interagendo con esso. Walt Disney e l’animazione totale
_Locandina di Gertie il dinosauro.
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Nel 1917 arriva il primo personaggio seriale dell’animazione americana, Felix the Cat, di Otto Messmer e Pat Sullivan (Topolino è solo del 1928); nel 1918 Max Fleischer inizia a realizzare le serie animate Out of the Inkwell; nel 1925 Willis O’Brien cura gli effetti speciali del film Il mondo perduto, animando a «passo uno» dei dinosauri, ripetendosi otto anni più tardi con la pietra miliare King Kong; la tecnica impiegata, detta anche frameby-frame, consiste nel riprendere fotograficamente, nell’ordine di ventiquattro diverse fotografie/fotogrammi per ogni secondo di ripresa/proiezione (un ritmo denominato appunto «passo uno») oggetti come modellini, pupazzi ecc. ai Vita da Cartoni
_Fotogramma tratto dal film Dumbo (1941), uno dei classici Disney, realizzato in full animation. © Walt Disney Pictures.
Biancaneve e le Silly Symphonies – L’enorme sforzo produttivo di Biancaneve (si veda quanto scritto alla pagina seguente) è ripagato da un successo senza precedenti e il film diventa il canone sulla base del quale viene misurata la qualità dell’animazione in tutto il mondo. Siamo inoltre negli anni Trenta, epoca d’oro dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, e il pubblico statunitense cerca ragioni di evasione nel periodo che va dalla crisi di Wall Street del 1929 all’entrata nella Seconda guerra mondiale nel 1941; pubblico che nessuno sa catturare come Disney, che si rivolge a una platea quanto più possibile vasta ed eterogenea, senza limiti d’età. Insomma, a «tutta la famiglia» e al bambino celato in ogni adulto. Il suo grande merito consiste nell’aver reso l’animazione un grande prodotto di massa, anche grazie al suo spirito imprenditoriale tipicamente americano, che lo ha portato a cooptare sempre staff di validissimi professionisti. L’animazione, grazie al suo genio visionario, entra quindi nella sua dimensione più prettamente industriale. E in effetti già nei primi anni Trenta erano nate le Silly Symphonies, una serie di cortometraggi di alta qualità ma prodotti a un ritmo sostenuto, che venivano distribuite, così come avveniva per tante altre serie di cortometraggi realizzate da altri studi concorrenti alla Disney, nei cinema di tutti gli Usa. Scuole di animazione a confronto
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quali gli animatori conferiscono movimento, si pensi a Nightmare Before Christmas di Tim Burton. Tutti eventi senza dubbio importanti; ma l’evento della storia del cinema d’animazione, non solo americana, si celebra il 21 dicembre del 1937, prima proiezione del lungometraggio Biancaneve e i sette nani di Walt Disney e David Hand. Per realizzare quest’opera Disney si imbarca in quella che viene definita la sua «pazzia»: la spesa è ingentissima, oltre un milione e mezzo di dollari, e l’impresa, in cui sono coinvolte centinaia di professionisti, titanica. Il film è realizzato in full animation, ‘animazione totale’, con l’impiego stavolta non di ventiquattro ma «solo» di dodici disegni diversi per ogni secondo di proiezione («passo due»): questo conferisce comunque estrema fluidità ai movimenti, che sono resi ancor più realistici dall’impiego del rotoscopio inventato da Max Fleischer, il quale permette di ricalcare le sequenze animate sulla base di riprese effettuate ad attori in carne e ossa. Le produzioni per la tv e l’animazione limitata Le opere di quest’epoca, che può essere definita l’età «classica» dell’animazione seriale cinetelevisiva statunitense, successiva a una prima fase pionieristica (solo cinematografica), confermano la filiazione dai comics: gli episodi sono brevi e autoconclusivi, storielle a sé stanti non inserite in un orizzonte di senso e di carattere prettamente umoristico. I fumetti forniscono inoltre diversi soggetti all’animazione televisiva anche attraverso uno dei filoni più classici dell’industria culturale a stelle e strisce, quello supereroistico. Negli anni Quaranta è la volta di Superman (Fleischer Studios), mentre
Dall’animazione totale a quella limitata, dal cinema alla televisione – Negli anni Cinquanta le risorse non sono copiose come quelle di un tempo e non ci sono più grandi film a garantire introiti milionari: si accettano allora sempre più commissioni e perciò il tempo e i costi di produzione devono tendere al basso. Fortunatamente il piccolo schermo non esige la qualità invocata dal grande e l’animazione può essere più scarna: in una parola, limitata. Dai dodici disegni al secondo si scende a otto («passo tre»). Il disegno è bidimensionale, la cinepresa è pressoché fissa e vi è quasi assoluta assenza di prospettiva. I corpi sono totalmente rigidi e il movimento è conferito solo alle estensioni. Diverse sequenze vengono inoltre riutilizzate, grazie all’uso dei cels (o rodovetri), fogli trasparenti sui quali animare i personaggi mantenendo inalterati i fondali. La qualità non è ottimale, certo, ma almeno le produzioni vanno in porto. Questa soluzione rende lo studio Hanna & Barbera incredibilmente prolifico: nasce un grandissimo numero di serie e personaggi, che vanno da Gli Antenati a Braccobaldo, da Scooby-Doo all’Orso Yoghi.
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negli anni Sessanta è il turno di Batman (Filmation, che realizza anche una nuova serie su Superman) e dell’Uomo Ragno (Marvel Enterprises e altri). Questi personaggi, apparsi nel corso degli anni in diverse serie loro dedicate, sono oggetto di rivisitazioni più mature soprattutto negli anni Novanta, dopo che per lungo tempo il loro potenziale mitopoietico era stato limitato a causa dei pregiudizi di un’opinione pubblica che li voleva eternamente relegati nel ruolo di intrattenitori «per bambini». La nuova animazione seriale: sotto il segno del merchandising Nel 1983 la Federal Communication Commission abroga le leggi che dal 1969 proibivano l’abbinamento di un programma per bambini a linee di giocattoli, operazione ritenuta non conforme allo spirito educativo della tv americana e degradante per i bambini, ridotti al rango di semplici consumatori. Ne approfitta subito la Mattel, che può godere così di un traino per la sua serie di action figures Masters of the Universe, che ispirano i personaggi di He-man e i dominatori dell’universo, prodotta nello _Pupazzi della serie Masters of the Universe. © Mattel.
stesso anno dalla Filmation. L’animazione è limitata e la qualità non è certo eccelsa, anche se l’uso in alcune sequenze al rotoscopio, prezioso per una serie incentrata su eroi nerboruti, la rende più fluida. Il canovaccio non si discosta troppo dai fumetti e dalle serie dei supereroi: il protagonista, tra l’altro, ha la doppia identità di Adam, buono a nulla, e di He-Man, quasi onnipotente; anche gli episodi sono intercambiabili e autoconclusivi, con tanto di morale della favola alla fine, per rispettare la tradizionale impronta moralistica propugnata dall’autorità competente; le vicende però si inseriscono comunque in un quadro di eventi che ruotano intorno a uno scopo ben preciso, ovvero la difesa dell’universo dalle mire del malvagio Skeletor. Da rilevare che ai pupazzi dei Masters vengono negli Stati Uniti abbinati dei minicomics, segno di una ben pianificata strategia di marketing multimediale. Anche la Hasbro sfrutta il terreno fertile e coproduce con la Sunbow e la Marvel serie incentrate sui propri giocattoli, come Vola Mio Mini Pony, Jem e le Holograms e le saghe dei G.I. Joe e dei Transformers. Interessante è l’operazione compiuta intorno a Jem, star fashion-glamour del mondo della musica, esemplare di punta di una collezione di bambole ognuna venduta con in allegato una musicassetta contenente tre brani, puntualmente riprodotti all’interno della serie animata. Ancora altre serie negli anni Ottanta vengono abbinate a una linea di merchandising: Gli Orsetti del cuore, M.A.S.K., Tartarughe Ninja alla riscossa (quest’ultima tratta da un fumetto)… Sono quasi tutte animate dal colosso dell’animazione giapponese Tôei Animation, a testimonianza dell’ottimo rapporto di collaborazione tra i due paesi leader nel settore, stabile e duraturo: basti pensare che i giocattoli legati a Ben 10, serie americana del 2007 realizzata proprio da Cartoon Network Studios, una delle più recenti a essere trasmesse con grande successo sulle reti nazionali italiane, sono prodotti dall’azienda nipponica Bandai. Affari di famiglia Dopo gli anni Ottanta, dedicati al pubblico più giovane, si ritorna alla famiglia, sia come oggetto della rappresentazione sia come suo destinatario. Dagli anni Novanta fino ai giorni nostri il cinema d’animazione riprende decisamente quota, sia in casa Disney sia grazie all’ascesa di altre major, sulla cui entità e sul cui operato si tornerà in seguito. Il target torna a essere «tutta la famiglia», il più ampio e redditizio possibile, ma ormai il pubblico è smaliziato e quindi non si accontenta del semplice incanto recato dal grande schermo (nel frattempo si sono sviluppati prima il mercato dell’home-video e poi è giunto internet). Le storie si fanno più attinenti alla realtà e diversi stereotipi dell’era classica vengono simpaticamente – e affettuosamente – smontati: si pensi a Gli Incredibili – Una “normale” famiglia di supereroi, i quali appunto vengono messi fuorilegge da un programma federale rivelandosi però recalcitranti alla quiete domestica, un plot simile a quello del fumetto Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons del 1986, grande opera di decostruzione della figura del supereroe, benché di registro, atmosfere ed esiti decisamente diversi. 18
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_Personaggi della serie South Park. © Braniff Productions e Comedy Partners.
L’incanto viene comunque rinnovato dalle ampie possibilità conferite dalla computer grafica, alla quale, pur continuando a realizzare film a disegni animati, si vota anche la Disney in seguito alla partnership con i Pixar Animation Studios. Sul versante dell’animazione seriale, la famiglia viene portata alla ribalta attraverso il genere che sempre l’ha vista protagonista, la sit-com. Si ride come si è sempre fatto, ma stavolta lo si fa a denti stretti, poiché lo sguardo gettato sulla società, di cui la famiglia è appunto cellula primaria, non fa troppe concessioni ai buoni sentimenti di una volta. La componente di spettacolarizzazione è moderata e quindi l’animazione è spesso scarna, essenziale, proprio perché deve essere un semplice mezzo per veicolare la componente umoristica. I Simpson, la serie più importante sotto questo punto di vista, migliora progressivamente per ciò che concerne l’aspetto estetico, vero; ma si parla pur sempre di dettagli. South Park è addirittura realizzata al computer simulando la cut-out animation, frame-by-frame bidimensionale applicata a oggetti piatti di materiale povero come carta ecc. Anche sulle sit-com si tornerà in seguito; per adesso ci basti osservare come l’animazione statunitense a cavallo fra i due secoli mescoli con grandi risultati la fantasmagoria del computer alla modestia senza tempo della carta. Scuole di animazione a confronto
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Animazione europea La culla dell’animazione L’Europa è, senza scomodare vetusti antenati, la culla dell’animazione nella sua accezione moderna. Dalla Francia, patria del cinematografo, vengono: Charles-Émile Reynaud, antesignano del cinema d’animazione; Émile Cohl, autore del primo cortometraggio a disegni animati, Fantasmagorie (1908); Georges Méliès, inventore degli effetti speciali cinematografici (si pensi a Viaggio nella Luna, del 1902). Dall’Italia viene Quirino Cristiani, poi emigrato in Argentina, autore del primo lungometraggio animato muto (El Apóstol, 1917) e sonoro (Peludópolis, 1931). L’Inghilterra ha dato i natali a James Stuart Blackton, poi affermatosi negli Stati Uniti, predecessore di McCay, Disney e tutti gli altri, padre della stop-motion e della frame-by-frame, autore dei cortometraggi Humorous Phases of Funny Faces (1906) e The Haunted Hotel (1907). La Germania ha invece offerto al mondo la prima donna a realizzare un film d’animazione, Lotte Reiniger, con il suo Le avventure del principe Achmed (1926). L’animazione come arte: investimenti pubblici e il circuito dei festival Ciò nonostante, l’animazione europea non ha la stessa notorietà di quelle statunitense e giapponese. Questo è dovuto principalmente al fatto che nel vecchio continente essa è stata per lo più sempre considerata arte e non prodotto di consumo, impostazione nella quale va rintracciata la causa – fatte le dovute eccezioni – della mancanza di un permanente e integrato sistema industriale dedicato al settore. Nessuna grande fabbrica multimediale dell’intrattenimento, insomma. Basti pensare che, mentre negli Usa Disney la lancia nella sua orbita commerciale, l’animazione in Europa suscita principalmente l’attenzione delle avanguardie artistiche, desiderose di impiegarla per conferire ulteriore dinamicità alle proprie acrobazie espressive. Ed ecco che, tra l’esordio di Topolino e la prima di Biancaneve e i sette nani, uno degli eventi cardine della storia dell’animazione europea è la proiezione parigina del 1933 di Una notte sul Monte Calvo, cortometraggio ispirato all’eponima sinfonia di Mussorgskij, realizzato da Alexandre Alexeieff con il suo schermo di spilli e la collaborazione della moglie Claire Parker. Non è certo un caso se i due si ripeteranno in Canada, uno dei paesi in cui l’animazione gode di maggiori finanziamenti pubblici in virtù della sua dignità artistica grazie al National Film Board of Canada (ente che sostiene la produzione di audiovisivi tout court), avvalsosi per decenni del fondamentale contributo dello scozzese Norman McLaren, autore del pluripremiato Neighbours (1952), realizzato in pixilation (tecnica che concerne l’impiego di veri attori in sede di stop-motion e usata, per fare un esempio recente e riconoscibile, anche per i cortometraggi della Aardman Animations Angry Kid). McLaren si distingue anche per essere una delle figure storiche dell’asifa (International Animated Film Association), fondata nel 1960, anno inaugurale del Festival di Annecy, sponsorizzato proprio da 20
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questa istituzione come quelli di Hiroshima, Ottawa, Zagabria… Il circuito dei festival costituisce una piattaforma alternativa per favorire la circolazione e la conoscenza del cinema d’animazione, rivelandosi per giunta un prezioso punto d’incontro per artisti, addetti ai lavori di ogni genere, critici e appassionati; un veicolo ancora più vasto oggi è costituito da internet. L’Europa dell’Est: un caso a sé stante Di certo va considerata a parte l’animazione dell’Europa dell’Est, che in virtù di un diverso sistema politico-economico adottato per diversi decenni (dall’Ottobre Rosso del 1917 fino al crollo del Muro di Berlino, passando per la Guerra fredda) costituisce un caso particolare. Un elemento ulteriormente peculiare è costituito dalla Russia, che già in epoca zarista vanta un pioniere come Ladislav Starevich, che inizialmente produce cortometraggi con insetti imbalsamati a fini didattici (studiò infatti da biologo) per poi utilizzarli in opere di registro narrativo. Fondamentale il suo mediometraggio Noch pered Rozhdestvom (1913), internazionalmente conosciuto come The Night before Christmas, in cui è inclusa una scena che combina cinema dal vero e animazione frame-byframe, ancor prima dei lavori di O’Brien. Fondamentale è anche il contributo di Aleksandr Ptushko, chiamato il Walt Disney sovietico più per l’importanza della sua opera che per affinità artistiche (buona parte della sua produzione si basa su pupazzi e non disegni animati), e di Ivan Ivanov-Vano, il «patriarca dell’animazione sovietica», la cui lunghissima carriera è stata dedicata in gran parte alla realizzazione di lungometraggi a disegni animati in linea con la dottrina del realismo socialista. Diversi di essi sono stati prodotti dal celebre studio Soyuzmultfilm, che annovera anche la longeva serie Nu, pogodi! (1969-2006), venti cortometraggi capaci di attraversare, a intervalli irregolari, la fase storica che va da Brèz˘nev a Putin; e che i tempi cambino lo si capisce anche dai titoli: un episodio del 1976 si intitola «Al cantiere», uno del 1995 «Supermarket». Incentrata sugli inseguimenti tra un lupo e una lepre, figure ispirate agli animali antropomorfi Disney pur presentando un canovaccio simile a quello dei cartoon della Warner Bros, essa si distingue per un uso del sonoro pregevole e multiforme. Menzione la merita anche la ex Cecoslovacchia, sia per l’animazione di pupazzi animati, le cui radici affondano nella tradizione marionettistica del paese e nella quale si distingue Jir˘í Trnka, sia per il famosissimo personaggio a disegni animati La Talpa, creato da Zdene˘k Miler. Conosciuta nell’Europa orientale e continentale, in Cina, in India e anche in Giappone, la simpatica talpa dalle enormi mani è protagonista dal 1957 al 2002 di quarantaquattro cortometraggi e di sei mediometraggi. Importante pure il ruolo di Karel Zeman, innovatore e padrone di diverse tecniche di animazione sempre orchestrate con maestria. Anche la ex Iugoslavia si guadagna un posto d’onore, adottando anche nell’animazione la politica del non-allineamento, producendo con la Zagreb Film diverse serie animate di consumo ispirate non al Scuole di animazione a confronto
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_Krtek, la ‘talpa’ creata da Zdeneˇ k Miler. È citata nel brano Tatranky, del gruppo emiliano Offlaga Disco Pax. © Zdeneˇ k Miler.
canone Disney ma alla tradizione popolare. Uno dei suoi principali esponenti, Dus˘an Vukotic´, è stato nel 1961 il primo cineasta non americano a vincere un Oscar nel campo dell’animazione, con il suo cortometraggio Ersatz. Francia e Belgio: il ruolo della bande dessinée Lo stretto rapporto tra fumetto e animazione si instaura anche in Francia e Belgio, storicamente nazioni leader in Europa dell’editoria a fumetti, che in questi paesi assumono il nome di bandes dessinées, ‘strisce disegnate’ (abbr. bd). Negli ultimi anni, soprattutto in Francia, ci si orienta sempre di più verso i graphic novels, romanzi a fumetti autoconclusivi, ma la storia di quella che in quest’area dell’Europaè considerata una vera e propria arte conta anche delle produzioni seriali famose in tutto il mondo, di solito pubblicate in spaziosi albi annuali o semestrali, e non settimanali o mensili. A spiccare sono Le avventure di Tintin, del belga Hergé (pseudonimo di Georges Rémi) e Astérix, dei francesi René Goscinny e Albert Uderzo. Lo studio di Bruxelles Belvision, fondato dall’editore Raymond Leblanc, produce nel corso dei suoi vent’anni di attività (1956-’76) una serie tratta dall’opera di Hergé e diversi lungometraggi d’animazione ispirati a famosissime bd come I Puffi, Lucky Luke (sempre di Goscinny, su disegni di Morris), lo stesso Astérix e ancora Tintin, implementando la fama internazionale di questi lavori. In questo caso non è richiesto uno standard tecnico elevatissimo, poiché il fumetto franco-belga è incentrato sulla parola e non sull’azione, caratteristica che di certo va tenuta in considerazione riguardo l’adattamento cinematografico dei suoi esemplari. Ciò nonostante, dopo l’animazione adottata per il primo lungometraggio di Astérix originariamente concepito per la televisione, lo studio migliora il livello qualitativo della sua produzione. Goscinny e Uderzo vogliono comunque avere il pieno controllo delle opere audiovisive tratte dal loro best-seller e così, insieme all’editore Georges Dargaud, fondano nel 1974 lo studio Idéfix, a cui 22
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dà nome il cagnolino presente nella saga di Astérix e che nel logo animato fa il verso al leone della Metro-Goldwyn-Mayer. Lo studio produce solo due lungometraggi, Le dodici fatiche di Astérix e Lucky Luke – La ballata dei Dalton, chiudendo appena quattro anni dopo la sua apertura a causa della prematura morte di Goscinny. Al di là della drammatica contingenza, si trattava un progetto in ogni caso troppo ambizioso per il limitato mercato europeo: gli studios Disney, che sopravvivono egregiamente da decenni alla morte del loro fondatore, hanno sempre disposto di grandi staff dislocati su varie produzioni, mentre tutte le risorse dello studio Idéfix furono impiegate per il confezionamento dei due lungometraggi. Non è un caso, dunque, se a realizzare la prima serie animata di Lucky Luke e la serie fiume di I Puffi sia stata l’efficientissima Hanna & Barbera Productions. Sul versante del cinema d’autore un posto d’onore spetta sicuramente a Paul Grimault, soprattutto per il film Le Roi et l’oiseau (‘il Re e l’uccello’) del 1980, tratto dalla fiaba di Hans Christian Handersen La pastorella e lo spazzacamino e scritto insieme al poeta Jacques Prévert. Il lungometraggio, dalla genesi travagliata, oltre che per la sua fattura tecnica si distingue per il suo orizzonte valoriale, delimitato dalle figure del re, metafora dell’arroganza del potere e delle ingiustizie, e dell’uccello, metafora della libertà e dell’amore per gli umili e oppressi. _Fotogramma tratto dalla serie Le avventure di Tintin. © Belvision.
Cartoon europei ed educazione per bambini – Un importante contributo all’animazione seriale francofona è dato da Albert Barillé e dalla sua Procidis, produttrice delle serie inglobate nel pluridecennale progetto Il était une fois… (‘C’era una volta…’), trasmesse anche in Italia (C’era una volta… l’uomo – Conosciamoci un po’, Siamo fatti così – Esplorando il corpo umano, Ai confini dell’universo, Grandi uomini per grandi idee ecc.). Alla sua realizzazione, in virtù del suo intento pedagogico, hanno partecipato le tv di stato di diversi paesi; alla serie più famosa, Siamo fatti così, ha dato il suo contributo anche il Ministero francese della Cultura e delle Telecomunicazioni. Un’ulteriore testimonianza del rango dell’animazione in Europa, in questo caso magari non elevata ad arte ma quantomeno ritenuta prezioso veicolo di cultura, seppur forse impartita in modo un po’ didascalico; in ogni caso, di certo non considerata solo un prodotto di consumo.
In tempi più recenti si sono distinti Michel Ocelot e Sylvain Chomet, il cui cinema si caratterizza nel primo caso per la centralità conferita al potere suadente delle storie, raccolte da tutto il mondo e narrate con le tecniche più disparate (da Kirikù e la strega Karabà a Azur e Asmar), nel secondo per la centralità conferita alla forza evocativa dell’immagine e del sonoro (i suoi lungometraggi Appuntamento a Belleville e L’illusionista sono narrati quasi interamente in pantomima), recuperando la magia del cinema dei primordi. Gran Bretagna: letteratura, musica e animazione Nonostante non abbia una radicata tradizione fumettistica come la Francia e il Belgio, il maggior produttore di animazione in Europa è il Regno Unito, e principalmente l’Inghilterra. Il primo lungometraggio d’animazione inglese a conseguire fama internazionale è La fattoria degli animali (1954) dei coniugi John Halas e Jay Batchleor, adattamento a disegni animati del celebre libro di George Orwell. Si distingue anche la produzione dell’americano attivo in Gran Bretagna Martin Rosen, con i film Watership Down (1978), in seguito anche serie animata, e The Plague Dogs (1982), anch’essi tratti da opere letterarie. Non solo la letteratura ma anche la musica è fonte d’ispirazione: il canadese George Dunning, già autore della serie animata The Beatles (1965-’69), dirige nel 1968 il celebre lungometraggio a disegni animati Yellow Submarine, che si caratterizza non solo per la colonna sonora, naturalmente costituita da brani dei fab four, ma anche per lo stile pop e le atmosfere psichedeliche, vero e proprio manifesto estetico di un’epoca. Di tutt’altro tenore il film a tecnica mista The Wall (1982), diretto da Alan Parker e ispirato all’album eponimo dei Pink Floyd, quasi interamente composto da Roger Waters. Le sequenze 24
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_Foto tratta dall’ultimo tour mondiale di Roger Waters. Sullo sfondo, la celebre sequenza dei martelli che marciano a passo d’oca, presente anche nel film The Wall. © Roger Waters, Gerlad Scarfe e Metro-Goldwin-Mayer.
animate sono dovute al genio visionario e al fervore etico dell’illustratore Gerald Scarfe; alcune di esse, di forte impatto e motivo, sono rimaste impresse nella memoria e nella coscienza degli spettatori di tutto il mondo. Negli ultimi anni a fare scintille è stata soprattutto la Aardman Animations, conosciuta principalmente per i suoi film Galline in fuga (2000, in frame-by-frame) e il vincitore del premio Oscar Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro (2005, in claymation, frame-by-frame con pupazzi in plastilina), entrambi coprodotti con la DreamWorks Animation. Nell’ambito dell’animazione seriale, una menzione spetta alla casa di produzione Cosgrove Hall Films, attiva dal 1976 al 1993, della quale in Italia è nota soprattutto la serie Conte Dacula. In questi ultimi anni ha inoltre fatto molto parlare di sé Popetown, irriverente serie ambientata a Città del Vaticano, in diversi paesi finita nell’occhio del ciclone ancora prima della sua – in alcuni casi ancora mai avvenuta – messa in onda.
Animazione giapponese Nel segno di Tezuka Se c’è un paese nel quale la tv è stata il traino fondamentale per l’animazione, questo è il Giappone. Sì, certo, anche nel Sol Levante non mancano i precedenti, con esperimenti – tentati e riusciti – a Scuole di animazione a confronto
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partire dagli anni Dieci del secolo scorso e una corposa produzione per le sale, ma è fuori discussione che siano stati gli anime (contrazione dell’inglese animation), i disegni animati prodotti per il tubo catodico, a decretare il successo mondiale dell’animazione nipponica. Tutto si svolge fin da principio sotto l’egida di Osamu Tezuka, detto il «dio dei manga», i fumetti giapponesi, il cui influsso sull’industria culturale del proprio paese è paragonabile a quello esercitato da Disney negli Stati Uniti. D’altronde Tezuka si è sempre dichiarato influenzato da quest’ultimo e specialmente dai suoi film: la visione di Bambi lo colpì moltissimo, tanto che egli decise così di utilizzare e valorizzare lo stilema grafico degli occhi grandi; spesso additato come testimonianza del senso di inferiorità dei giapponesi nei confronti degli occidentali, tale espediente ha in realtà il pregio di enfatizzare le emozioni dei soggetti disegnati. Il cinema d’animazione ha il suo influsso anche sul modo di scandire la narrazione di Tezuka, che nel 1947 pubblica insieme a Shichima Sakai La nuova isola del tesoro, primo manga nell’accezione moderna, in cui sono evidenti gli influssi della regia e del montaggio cinematografici. A Tezuka spetta appunto il merito di aver rivoluzionato il fumetto giapponese, con lo sviluppo – insieme ad altri artisti, annoverati nel cosiddetto Manga Club del Kansai – della sua componente più matura, il gekiga, incentrato su storie più adulte e connotato da una maggiore caratterizzazione psicologica dei personaggi (tra i suoi esponenti, Sanpei Shirato). Un’innovazione che avrebbe dato i suoi frutti anche nel campo dei disegni animati. Soggetto, regia, montaggio: come sopperire all’animazione limitata Tezuka realizza nel 1963, con la sua Mushi Production, anche una delle primissime serie animate giapponesi, Astroboy, adattamento di un suo manga del 1952. Gli episodi sono addirittura centonovantatré, distribuiti in quattro anni durante i quali la serie riscuote un gradimento enorme da parte di tutti i giapponesi, i quali, ancora segnati dalle dolorosissime vicende della guerra, si affacciano via via a una nuova epoca delle quale il giovanissimo Tobio/Astro (un robottino costruito a imitazione di un bambino di sette anni, tragicamente morto nell’antefatto della trama), protagonista dell’anime, rappresenta l’immagine perfetta. Il numero di episodi da realizzare è quindi enorme, e anche in questo caso si ricorre a un’animazione limitata (si veda il box alla pagina seguente) che si afferma per lungo tempo quale tratto distintivo degli anime: i movimenti sono «a scatti» e i fondali e le sequenze vengono spesso riutilizzati, permettendo quindi alla Mushi di completare l’opera con un limitato budget a disposizione. L’animazione come linguaggio e il vasto corpus dei generi Altro aspetto importante da considerare circa l’animazione giapponese è la reputazione di cui questa gode in patria, dove nnon ha mai attecchito la tendenza a ritenerla un prodotto «per bambini». 26
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Potenza degli anime – Se i cartoon sono figli dei comics, gli anime sono figli dei manga. E qui risiede infatti la peculiarità dei secondi: gli anime tradizionali sopperiscono al loro standard qualitativo non eccelso con storie forti, in grado di appassionare lo spettatore e tenerlo incollato allo schermo. Gli episodi non sono quasi mai autoconclusivi ma sempre inscritti in un orizzonte di senso, a cui sono votate le storie che si sviluppano mediante concatenazioni causali. Proprio come nei manga dal dopoguerra ai giorni nostri. Una specificità che non a caso riceve il suo imprinting da Tezuka uno dei più grandi creatori di storie dell’epoca moderna. Dal punto di vista propriamente tecnico, un ruolo fondamentale è assunto da una regia e da un montaggio delle sequenze di stampo cinematografico, che conferiscono all’animazione una vitalità e una varietà di registri stupefacenti. La cinepresa infatti non è quasi mai fissa come nelle sit-com americane ma è quasi sempre in movimento, seguendo ed enfatizzando l’azione; anche il montaggio ha il suo ruolo in sede diegetica: si pensi alle dilatazioni temporali che creano suspense in occasione dei momenti clou. Se quindi gli anime classici sono così appassionanti non lo si deve a chissà quali diavolerie tecniche, come qualcuno in Italia fu tentato di credere, ma al sapiente lavoro di grandi maestri quali Osamu Dezaki, Isao Takahata, Hayao Miyazaki e molti altri.
Non è quindi classificata come genere, bensì come linguaggio. E con il linguaggio può essere veicolato qualsiasi contenuto, concepito per uno specifico tipo di pubblico e quindi modellato di conseguenza. I palinsesti delle emittenti giapponesi sono accuratamente suddivisi per fasce di età, ognuna delle quali ha una sua fetta di programmazione. Il concetto di genere diviene quindi importante ma in un’altra accezione, ossia quella di comunicare al potenziale pubblico di che natura siano le storie raccontate e a quale gamma di spettatori si rivolgano. Si potrebbe essere tentati di utilizzare due megageneri come lo shônen e lo shôjo, mutuati dai manga, il cui significato letterario è, rispettivamente, ‘ragazzo’ e ‘ragazza’; ma le due categorie tassonomiche sarebbero troppo dilatate per assolvere correttamente questa funzione. Usando una classificazione già proposta in altre sedi, si può quindi ricorrere a nove macrogeneri (sempre considerando la natura ibrida di alcune opere): classico, feuilleton, umorismo, bambini, magia, sport, avventura, fantascienza, robot (si veda il box sui generi a p. 28). La nuova animazione seriale e il cinema dei grandi maestri L’animazione seriale giapponese tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Ottanta conosce un vero e proprio boom. Tutti i generi vengono sfruttati e implementati, processo che porta Scuole di animazione a confronto
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I più importanti generi degli anime – A quello classico vanno ascritte serie spesso basate su storie tradizionali o romanzi per ragazzi, spesso di provenienza occidentale; basti pensare che la casa di produzione Nippon Animation, alla quale si deve la famosa Heidi, ha realizzato diverse serie di anime raggruppate dal titolo World Masterpiece Theater e basate proprio sulla trasposizione di classici occidentali per ragazzi come Anna dai capelli rossi, Peline Story, Flo la piccola Robinson, Pollyanna… Appartengono invece al genere feuilleton serie ambientate in determinati contesti storici e in cui è presente una componente «strappalacrime» come Lady Oscar, che verrà in seguito affrontata nello specifico. L’umorismo più che un genere è una componente, un’attitudine, e per questo vanno incluse nella sua orbita serie che potrebbero essere collocate anche in altri ambiti, come Gigi la trottola ed Excel Saga. Ai bambini sono dirette le tante serie dedicate al famosissimo Doraemon, la cui fama in Giappone è paragonabile a quella di Topolino negli Stati Uniti; gli episodi di questa serie fiume sono infatti sempre piccoli apologhi con finalità educative, come in linea di massima tale genere comporta. Nel filone della magia, rivolto quasi esclusivamente a un pubblico femminile, vanno classificate le «maghette» classiche (Sally la maga, Bia, la sfida della magia, Stilly e lo specchio magico ecc.), Ransie la strega, le maghette idol (categoria sulla quale si tornerà) come L’incantevole Creamy e Magica Magica Emi e la saga di Sailor Moon. Lo sport riveste una grande importanza nell’educazione dei giovani giapponesi e quindi sono tante le serie che lo rappresentano: Holly e Benji, due fuoriclasse, Rocky Joe, Mimì e la nazionale di pallavolo, Jenny la tennista, Mila e Shiro, due cuori nella pallavolo, Slam Dunk… Per l’avventura valgono le stesse considerazioni fatte per l’umorismo: al genere possono essere comunque ascritte la prima serie di Dragon Ball, Le avventure di Lupin III, Nadia – Il mistero della pietra azzurra… Per quanto riguarda la fantascienza, è sufficiente citare i lavori del suo autore più rappresentativo, Leiji Matsumoto: Capitan Harlock, Galaxy Express 999, Starzinger… Il genere robotico è il marchio di fabbrica dell’animazione giapponese in tutto il mondo e, come si vedrà in seguito, è quello che più di ogni altro ha contribuito a renderla popolare anche in Italia. I suoi due autori principali sono Gô Nagai, massimo rappresentante della cosiddetta scuola ortodossa (Mazinga Z, Il Grande Mazinga, Atlas Ufo Robot, Jeeg robot, uomo d’acciaio) e Yoshiyuki Tomino, capostipite della cosiddetta scuola realistica (Zambot 3, Daitarn 3 e soprattutto la saga del fondamentale Gundam). Vanno di sicuro menzionate anche Neon Genesis Evangelion, pietra miliare degli anime tout court, e opere più recenti come Sfondamento dei cieli Gurren Lagann. Questo è stato sicuramente il genere più legato a dinamiche di merchandising, in virtù dell’enorme potenziale commerciale dei giocattoli legati a ogni serie (si è già fatto riferimento al colosso Bandai).
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_Riproduzione a grandezza naturale del Gundam. Š Sunrise.
_Fotogramma tratto dal film Princess Mononoke di Hayao Miyazaki. Š Studio Ghibli.
a una progressiva ibridazione, preludio a una fase di stallo nella quale, grazie alla diffusione dei videoregistratori, si consolida comunque il mercato dell’home-video attraverso gli oav (original anime video). L’animazione seriale viene rilanciata nel 1995 dal citato Neon Genesis Evangelion, realizzato da Hideaki Anno per lo studio Gainax; anche nel caso del Giappone, quindi, si può parlare di un’epoca classica dell’animazione seriale e di una sua nuova era, tuttora in corso, che in Italia trova nel canale mtv il suo principale vettore di diffusione (anche in questo caso, si entrerà in seguito un po’ più nello specifico). La centralità della storia rimane ma viene drasticamente ridotto il numero degli episodi (solitamente ventisei, a volte anche tredici a fronte dei centonovantatré di Astroboy!), verso i quali possono confluire risorse già di per sé più copiose. Nonostante sia ancora forte il legame con i manga, si forma una generazione di autori più indipendenti, che si dedicano principalmente agli anime, oggetto di un rinnovamento contenutistico e stilistico. Le storie si fanno ancora più complesse, i personaggi ulteriormente sfaccettati, la spettacolarizzazione viene accentuata e il character design vira decisamente verso il cool. Dalla fine degli anni Ottanta ai giorni nostri si assiste inoltre all’esplosione del cinema d’animazione giapponese a livello mondiale. Nel 1988 Katsuhiro Ôtomo dirige il lungometraggio tratto dal suo manga fiume Akira, che viene accolto in Occidente con grande entusiasmo. Successivamente è il turno di altri registi come Mamoru Oshii, col suo Ghost in the Shell (1995), e il compianto Satoshi Kon, con Tokyo Godfathers (2003) e Paprika – Sognando un sogno (2006). Cinema d’animazione giapponese oggi significa, da un punto di vista occidentale, soprattutto Studio Ghibli. Fondato nel 1985 da Hayao Miyazaki, il «dio dell’anime», e Isao Takahata, annovera capolavori come il realistico e toccante Una tomba per le lucciole (1988), Il mio vicino Totoro (1988), l’epico Princess Mononoke (1997), che ha conquistato il mercato americano, e La città incantata (2001), che con la vittoria dell’Orso d’Oro e dell’Oscar come miglior film d’animazione ha definitivamente consacrato Miyazaki a livello mondiale. Le produzioni dello Studio Ghibli si caratterizzano per un’elevatissima qualità tecnica, ottenuta ricorrendo quasi esclusivamente ai disegni animati, in controtendenza rispetto alla filmografia statunitense. I soggetti sono molto spesso tratti dalla mitologia e dalla cultura popolare nipponica, pur non disdegnando fonti di ispirazione occidentali, peculiarità che conferisce ai suoi lavori una cifra estetica e valoriale inconfondibile. Dal 2001 a Tokyo lo studio ha inoltre aperto un suo museo, vero e proprio tempio dell’animazione che conta ogni anno un numero elevatissimo di visitatori.
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uella che segue è una breve cronistoria il cui obiettivo è ripercorrere le produzioni e le trasmissioni più importanti che hanno segnato il modo di concepire l’animazione da parte degli italiani, con un occhio particolare gettato sulle abitudini di consumo culturale e sui fenomeni di costume conseguenti. Data l’estrema importanza rivestita in merito dalla televisione, si è così deciso di usare come spartiacque le due epoche che hanno segnato la storia di questo mezzo di comunicazione di massa in Italia: ci si avvale quindi della distinzione proposta da Umberto Eco tra paleotelevisione, era del monopolio statale, e neotelevisione, sistema concorrenziale di orientamento commerciale. Che la storia dunque abbia inizio.
Per ripercorrere questo cammino è giusto muovere i primi passi dall’opera di uno dei pionieri italiani, Gibba (pseudonimo di Francesco Guido). È già del 1946 il suo cortometraggio in bianco e nero L’ultimo sciuscià, chiaramente ispirato a Sciuscià di Vittorio De Sica, film emblema del neorealismo di cui è più che tangibile l’influsso nelle tematiche e nelle atmosfere. Il corto narra la vita di un orfano nell’Italia dell’epoca, il quale si arrabatta per sopravvivere in una realtà ostile potendo contare solo sull’amore del proprio cane. I due incappano in disavventure che danno vita ad alcune situazioni umoristiche tipiche dei cartoon, che però non sviano l’opera dal suo compassionevole spirito di fondo, caratterizzato dall’empatia verso i più deboli (la sequenza finale della morte del protagonista ricorda per certi aspetti quella di Marcellino pane e vino). Se quello di Gibba è un prodotto tipicamente nostrano, di certo il primo lungometraggio d’animazione italiano, nonché il primo in technicolor, La Rosa di Bagdad (1949) risente dell’influenza del cinema di Walt Disney. Già nel 1938 era arrivato da noi Biancaneve e i sette nani, del quale La Rosa costituisce una sorta di «risposta» italiana: la lavorazione del film, fortemente voluto da Anton Gino Domeneghini, disposto per questo a trasformare la sua agenzia di pubblicità in studio cinematografico, era infatti iniziata nel 1939. Il processo subisce un brusco rallentamento a causa del conflitto mondiale, giungendo a conclusione dieci anni più tardi. Un periodo durante il quale anche l’afflusso dei classici Disney si interrompe, per riprendere copiosamente dopo la fine della guerra nel quadro di una sorta di Piano Marshall dell’animazione: nel 1946 arriva Fantasia, nel 1947 Pinocchio, nel 1948 Dumbo e così via… Imperniato sulla storia d’amore tra la Principessa Zeila e il musico Amin contrastato dal perfido Burk, il film, considerando anche le condizioni in cui fu realizzato, rappresenta davvero un gioiello nel suo genere, tanto da meritarsi la vittoria alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione ragazzi e un successo internazionale impreziosito dal contributo di una giovanissima Julie Andrews, interprete delle canzoni cantate da Zeila per l’edizione anglofona del 1952.
2. Lo sviluppo dell’animazione in Italia dal secondo dopoguerra all’arrivo degli anime
Le produzioni italiane del secondo dopoguerra (1946-’49)
A condividere con il film di Domeneghini la palma di primo lungometraggio d’animazione italiano è I fratelli Dinamite della Pagot Film, presentato lo stesso anno a Venezia e ugualmente costretto a confrontarsi con l’irrompere del conflitto mondiale, che ne segna la travagliata produzione. Quello dei fratelli Pagot è un film a episodi aventi come filo conduttore la storia dei tre piccoli protagonisti, i quali devono essere reintrodotti nella civiltà dopo un naufragio su un’isola deserta. Meno moralista e più irriverente nello spirito nonostante il finale, che culmina nell’ascesa in paradiso, I fratelli Dinamite è un lungometraggio che, con la sua felicemente anarchica discontinuità influenzata dalle contingenze produttive, anziché emulo dei lungometraggi Disney si rivela essere anticipatore delle produzioni seriali dei Pagot, alle quali ci si riferirà fra poco.
Società dei consumi e nascita della tv: l’era di Carosello (1957-’77) Carosello: l’animazione entra nelle case degli italiani
_Copertina della vhs di La Rosa di Bagdad pubblicata dal settimanale Tv Sorrisi e Canzoni nella collana «I grandi classici dell’animazione». © Ima S.p.A.
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Seppur fondamentali nell’alveo della presente cronistoria, queste pregevoli opere non hanno lasciato un segno nel costume italiano proprio poiché prive del sostegno della televisione, il mezzo che più di ogni altro lo ha influenzato. In Italia la tv arriva nel 1954, venendo sottoposta Vita da Cartoni
Carosello: personaggi e tormentoni – Nei suoi vent’anni di vita Carosello diventa un teatro catodico in cui sfilano personaggi (e tormentoni) spesso destinati a conseguire più notorietà del prodotto reclamizzato. Un esempio in merito è certamente Calimero, il pulcino nero che si porta dietro metà guscio a mo’ di cappello, creato da Ignazio Colnaghi, Nino e Toni Pagot. Nato per pubblicizzare il detersivo Ava della Mira Lanza (alla fine si scopre che Calimero in realtà è solo sporco, essendo caduto in una pozzanghera, e basta una lavata da parte della bella olandesina per restituirgli il candore), il pulcino è entrato a pieno titolo nell’immaginario collettivo italiano, tanto che viene definito un «calimero» un individuo emarginato e sfortunato (il pulcino cerca la madre e viene sempre rifiutato _Calimero e uno dei suoi tormentoni. © prima di riconquistare il suo colore bianco). Rever, Pagot e ulteriori aventi diritto. Ma Calimero è solo la punta di un iceberg: basti pensare ai personaggi di Paul Campani, come il flemmatico Omino coi Baffi, testimonial della Bialetti le cui labbra si trasformano nelle lettere pronunciate, oppure il messicano Miguel (son mi) – el Merendero per l’industria dolciaria Talmone; molto famosa la canzone scritta per quest’ultimo da Romano Bertola, voce anche dell’avvoltoio militare Jo Condor per la Ferrero, sempre pronto a rimarcare «E che, c’ho scritto Jo Condor?». Si pensi poi a Mister Linea di Osvaldo Cavandoli per la Lagostina, personaggio che, come quelli di Cohl e Blackton, scaturisce in tempo reale dal tratto del disegnatore col quale negozia le sue avventure (quest’ultima, trovata di Cavandoli); oppure ai pupazzi animati in frameby-frame di Armando Testa quali l’ippopotamo Pippo, testimonial della Pampers, e Carmencita e il Caballero misterioso, «uomo molto in vista, forte e bruno e col baffo che conquista», eroi del caffè Paulista della Lavazza. E la lista sarebbe ancora lunga… Lo sviluppo dell’animazione in Italia dal secondo dopoguerra all’arrivo degli anime
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al monopolio di stato che, fin dagli albori, ne determina la vocazione pedagogica, in contrasto con l’orientamento commerciale statunitense. Ciò nonostante i dirigenti e i funzionari della Rai devono fare i conti con la sempre più penetrante società dei consumi, non potendosi permettere il lusso di disdegnare gli introiti garantiti dalla pubblicità. Questa viene stigmatizzata quasi alla stregua di uno strumento demoniaco dall’allora dominante cultura nazional-popolare democristiana, all’origine della legge che ne permetteva la trasmissione soltanto dopo un intervallo di novanta secondi successivo all’interruzione dello spettacolo in onda. Nessuno avrebbe potuto immaginare che questa limitazione, a partire dal 3 febbraio 1957, potesse essere all’origine della trasmissione che avrebbe portato ogni sera l’animazione nelle case degli italiani: Carosello. Quel minuto e mezzo è infatti perfetto per essere coperto con piccole storielle e sketch spesso realizzati facendo ricorso all’animazione, che trova così un vero e proprio laboratorio privilegiato. Non c’è tecnica allora impiegabile che non venga usata: dai disegni animati all’animazione con i pupazzi e le forme di plastilina, ambito in cui si distingue la giapponese naturalizzata italiana Fusako Yusaki. Nascono quindi innumerevoli personaggi che entrano a pieno titolo nell’immaginario di grandi e piccini, con i primi che metteranno i secondi «a letto dopo Carosello» fino al 1° gennaio 1977, giorno conclusivo di trasmissione del contenitore. Sulla scia di Carosello Al di là delle sue virtù intrinseche, Carosello ha il merito di far sviluppare in Italia numerosi studi di animazione, per i quali la trasmissione del Primo Canale garantisce commissioni a profusione. Si pensi per esempio, tra gli altri, alla Cartoons Cinematografica Italiana di Giuliano Cenci, che nel 1971 realizza il lungometraggio Un burattino chiamato Pinocchio, più realistico nei disegni e dalla trama maggiormente fedele al libro di Collodi rispetto al classico Disney, oppure alla Gamma Film dei fratelli Gavioli, che dieci anni prima produce il mediometraggio La lunga calza verde in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, con sceneggiatura di Cesare Zavattini, disegni di Paolo Piffarerio e animazione di Giulio Cingoli, ripetendosi nel 1968 con il lungometraggio Putiferio va alla guerra. Il 1961 inoltre è un anno importante per la storia della televisione in Italia: nasce infatti il Secondo Canale, poi Rai Due, grazie al quale l’animazione trova un ulteriore vettore di diffusione. Vengono trasmesse nel corso dei decenni successivi diverse serie americane che hanno trovato e troveranno spazio anche sul Primo Canale grazie alla tv dei ragazzi come Gli Antenati, Tom & Jerry, Braccio di Ferro (Fleischer Studios) e gli eroi delle serie «Looney Tunes» e «Merrie Melodies» della Warner Bros come Titti e Silvestro, Wile Coyote e Beep Beep, Bugs Bunny, Daffy Duck (questi ultimi due creati dal vulcanico Tex Avery)… La nascita di numerosi studi d’animazione e la dotazione di diverse case di produzione cinematografica di un settore apposito non porta in Italia alla nascita di una consolidata industria del settore 36
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come negli Stati Uniti e in Giappone ma favorisce l’affermazione di diverse personalità nel campo. L’animazione italiana si sviluppa così a cavallo tra serialità e autorialità, tendenze che vengono qui illustrate mediante una breve analisi della produzione dei fratelli Pagot (serialità), di Bruno Bozzetto (tra serialità e autorialità) e della coppia Luzzati-Gianini (autorialità).
La scuola italiana tra serialità e autorialità Le produzioni seriali dei fratelli (e figli e nipoti) Pagot Fondata nel 1946 dai fratelli Nino e Toni Pagot, la Pagot Film inizia la sua attività all’inizio del dopoguerra, realizzando, prima del citato I fratelli Dinamite, anche il mediometraggio Lalla, piccola Lalla (1946). L’attività dello studio si intensifica grazie all’impulso del settore pubblicitario, per il quale nascono originariamente personaggi quali Grisù il draghetto e Calimero; la Pagot Film diventa addirittura licenziataria dei personaggi Hanna & Barbera, che può dunque riprodurre e riutilizzare come avviene con Gli Antenati, che così compaiono in Carosello. Nel 1972 muore Nino Pagot e la casa di produzione assume il nome di Rever, col quale intensifica la sua presenza nell’ambito dell’animazione seriale. I suoi personaggi godono di un’indiscussa vitalità che travalica i confini angusti dello spot ed ecco quindi che tra il 1974 e il 1975 viene realizzata una serie dedicata a Calimero, coprodotta insieme alla Tôei Animation, ben felice di partecipare all’operazione data la fama del pulcino piccolo e nero nel paese del Sol Levante. Fama che evidentemente resiste nei decenni, visto che tra il 1992 e il 1993 viene coprodotta tra più partner ancora una serie che lo vede protagonista, naturalmente più in linea coi tempi dal punto di vista grafico, narrativo e contenutistico. Dopo (e durante) Calimero tocca a Grisù, erede del Draghetto già utilizzato in Carosello, intorno al quale viene cucita una serie animata in cinquantadue episodi nel 1975. Le vicende di un «draghetto progressista» che lotta contro la sua natura volendone addirittura ribaltare i presupposti per seguire il suo sogno di diventare pompiere, poiché «non di fuoco ma di fiori ha bisogno il mondo», assume valenze pedagogiche e connotati politici e sociali, strizzando visibilmente l’occhio ai movimenti di contestazione giovanili attivi in quegli anni. I contrasti con il padre Fumé, in realtà sempre più comprensivo di quanto non voglia far credere (anche lui è stato giovane!), riproducono lo scontro tra i padri custodi della tradizione e i figli agenti del progresso. Nel 1980 viene realizzato anche Le avventure di Ty e Uan, incentrato sulle vicende del piccolo fauno Ty e della sirenetta Uan, che compaiono anche nel programma per ragazzi 3, 2, 1… contatto!, in cui trovano posto anche Le incredibili indagini dell’ispettore Nasy, sempre della Rever. Il talento è un dono della famiglia Pagot, tanto che i figli di Nino, Marco e Gi(na) iniziano prima a collaborare con il padre e con lo zio, divenendo poi nel corso dei decenni pilastri della casa di produLo sviluppo dell’animazione in Italia dal secondo dopoguerra all’arrivo degli anime
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_GrisĂš il Draghetto. Ăˆ testimonial di diversi corpi dei vigili del fuoco in tutta Europa. Š Rever, Pagot e ulteriori aventi diritto.
zione. Soprattutto Marco, senza nulla togliere alla sorella, assume un ruolo di primo piano, arrivando a lavorare a contatto col grande Miyazaki per la coproduzione italo-giapponese Il fiuto di Sherlock Holmes del 1984. Inizialmente diffidente nei confronti di Marco perché ritenuto il classico figlio di papà, Miyazaki avrà modo di apprezzarne le doti arrivando addirittura a omaggiarlo, chiamando col suo nome il protagonista del proprio lungometraggio-capolavoro Porco Rosso. Nonostante la morte di Toni nel 2001, la Rever rimane attiva nel campo dell’animazione dove giostra ancora oggi, con un curriculum di tutto rispetto che non ha nulla da invidiare ai grandi studi giapponesi e americani. Un caso isolato per troppi anni, prima che nuovi studi in tempi più recenti – come verrà mostrato in seguito – riescano a impossessarsi pienamente dei meccanismi della serialità assumendo un’ottica genuinamente industriale. Bruno Bozzetto e le sorti del Signor Rossi Gigante dell’animazione italiana e maestro indiscusso a livello mondiale, abilissimo nel padroneggiare ogni linguaggio e ogni formato, Bruno Bozzetto deve inizialmente la sua fama al personaggio del Signor Rossi, protagonista di sette cortometraggi che vanno dal 1960 (Un Oscar per il Signor Rossi) al 1974 (Il Signor Rossi a Venezia). Non è un caso che le avventure di questo personaggio abbiano sostanzialmente luogo durante l’era di Carosello: il Signor Rossi rappresenta – come il suo nome suggerisce – l’italiano medio, che nella dilagante società dei consumi si sforza per essere in linea coi tempi cercando di impossessarsi di tutti gli status symbol che essi richiedono, rivelandosi alla fine sempre e comunque inadeguato. L’ironia di Bozzetto colpisce senza mai essere sferzante, invocando più un sorriso interlocutorio e una serena presa di coscienza piuttosto che un amaro atto d’accusa rivolto contro sé stessi. La tecnica impiegata è del tutto funzionale alla narrazione e alla trasmissione dei contenuti, tratto distintivo di tutte le opere del geniale cineasta. Al Signor Rossi vengono poi dedicati anche tre lungometraggi (I sogni del Signor Rossi del 1976, Il Signor Rossi cerca la felicità del 1977 e Le vacanze del signor Rossi del 1978), che contribuiscono all’aumento della sua fama in tutta Europa, ai quali però principalmente lavorano l’inseparabile animatore Guido Manuli e Maurizio Nichetti, dal momento che Bozzetto nel frattempo si dedica ad altri progetti, sempre più insofferente nei confronti dei meccanismi della serialità; si vedrà tra breve con quali esiti artistici. Durante l’«epopea» del signor Rossi, Bozzetto realizza tre grandi lungometraggi che dialogano costantemente con l’industria culturale americana. Nel 1965 dà vita a West and Soda, primo film d’animazione italiano dai tempi di La Rosa di Bagdad e I fratelli Dinamite (collaborando col soggettista e sceneggiatore di quest’ultimo, Attilio Giovannini), parodia del genere western incentrata sulla rivalità tra Johnny, sardonico pistolero complessato che non riesce più a sparare, e il Cattivissimo, il quale concupisce il ranch della bella Clementina, difesa dal primo. Il western, genere codificato e strutturato intorno a personaggi forti, si presta benissimo a essere sbeffeggiato dalla distaccata e surreale ironia di Lo sviluppo dell’animazione in Italia dal secondo dopoguerra all’arrivo degli anime
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_Il Signor Rossi
Bozzetto, che ribalta tutti i suoi canonici stereotipi originando siin un disegno tuazioni spassose e intelligenti. Del 1968 è vip – Mio fratello autografato dallo Superuomo, che come il film prestesso Bozzetto. © cedente si avvale dei contributi di Manuli, Giovannini e Giovanni Studio Bozzetto. Mulazzani. Il film prende in giro il mondo dei supereroi americani, raccontando le avventure di Minivip (doppiato da Oreste Lionello), antieroe che ha in realtà tutte le debolezze del mondo, essendo nato dall’unione tra un supereroe e la cassiera di un supermercato (il padre è stato tratto in inganno dalla scritta «Super»!), dovendosi per di più relazionare all’ingombrante fratello Supervip, il quale ha ereditato invece tutti i geni positivi dal genitore. Sarà però proprio Minivip a salvare l’umanità, minacciata da un piano segreto che mira ad asservirla coagulandola in una massa informe di docili consumatori. Chi avrebbe tanto da imparare da Minivip è il solito Signor Rossi, che finisce bruciato in una sequenza di Allegro non troppo (1976), capolavoro di Bozzetto e sua risposta al disneyano Fantasia. Così il cineasta milanese consuma la propria vendetta sul suo personaggio più famoso, di cui si sentiva in un certo senso schiavo, sprigionando la sua verve creativa in un lungometraggio a tecnica mista in cui, come nel suo illustre riferimento, le sequenze animate vengono realizzate in armonia con famose sinfonie. Tra gli episodi del film in questa sede si segnala il «Bolero» di Ravel, nel quale viene ripercorsa, come nel corrispettivo di Fantasia «La sagra della primavera» di Stravinskij, l’evoluzione della vita; nel «Bolero» però assistiamo al processo su un altro pianeta, dove la vita viene generata da una goccia di Coca-Cola caduta da una bottiglia gettata dal menefreghista essere umano, che si ripresenta alla fine dell’evoluzione per spazzare via tutti gli altri esseri viventi. Non solo fantasmagoria, quindi, 40
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ma anche spunti di riflessione sulla società contemporanea. Da segnalare la presenza tra gli attori protagonisti di Maurizio Nichetti, nel ruolo del disegnatore, che nel 1991 replicherà la tecnica appresa dal maestro nel film Volere volare, in cui interpreta un rumorista e doppiatore di cartoon che alla fine arriva a trasformarsi proprio in un disegno animato per l’emozione di un incontro amoroso. Il cinema autoriale di Gianini e Luzzati Il connubio tra arte e musica è senza dubbio la cifra costitutiva del cinema d’animazione di Emanuele (Lele) Luzzati e Giulio Gianini. Il loro lavoro risente visibilmente della professione (tra le altre) di scenografo di Luzzati, che con una tecnica povera come quella dei ritagli di carta realizza personaggi essenziali ed evocativi, che si muovono nel quadro dei suoi pregevolissimi sfondi grazie all’animazione di Gianini. Le loro opere più famose, La Gazza ladra (1964) e Pulcinella (1973), entrambe su musica di Rossini, si guadagnano la candidatura all’Oscar. Da segnalare anche l’adattamento del Flauto magico di Mozart (1978), realizzato sempre con la stessa tecnica, e la sequenza animata dei titoli di testa del
_Una delle illustrazioni di Pulcinella a opera di Luzzati. © Fondazione Luzzati.
film L’armata Brancaleone. A proposito di cinema dal vero, ha sempre esternato la sua ammirazione per il duo Federico Fellini, evidentemente affascinato dalla dimensione onirica e dal recupero dell’arte popolare che accomunano il suo lavoro a quello dei due maestri dell’animazione, capaci di restituire al pubblico una meraviglia senza tempo attraverso capolavori di arte grafica di rara bellezza. Accostabile al lavoro dei due è quello del regista Manfredo Manfredi (non a caso anche noto pittore), autore dei disegni per la sigla dell’immancabile Carosello e poi regista di numerosi film e cortometraggi tra i quali Dedalo, a sua volta meritevole della candidatura all’Oscar nel 1975.
La tv dei ragazzi Rai dopo Carosello (1977-’82) Da Gulp! a Supergulp!: i fumetti in tv Dopo questa ricognizione nel terreno dell’autorialità torniamo alla dimensione seriale, riferita in questo caso all’adattamento del medium fumetto al medium televisione. È per assolvere tale compito che nel 1972 il giornalista e autore televisivo Giancarlo Governi e il regista Guido De Maria, coadiuvati dal fumettista Bonvi (gli ultimi due già in tandem per Carosello), creano la trasmissione Gulp! Fumetti in tv. Proprio Bonvi, insieme allo stesso De Maria, inventa per l’occasione una versione comica del personaggio Nick Carter, che diviene talmente popolare da guadagnarsi lo scettro di presentatore del programma alla ripresa nel 1977: dopo essere andato in onda per una sola stagione, cinque anni dopo Gulp! diventa Supergulp!, che si protrae fino al 1981. Questa trasmissione è una vera e propria summa del fumetto occidentale dell’epoca: mentre la prima stagione è incentrata esclusivamente su fumetto e animazione italiani (annoverando tra le proprie fila, oltre ai citati Bozzetto e Bonvi, Jacovitti e Hugo Pratt col suo Corto Maltese), le successive accolgono sia opere europee come Astérix e Le avventure di Tintin sia americane (dai supereroi dc e Marvel animati da Hanna & Barbera ai Peanuts). Bonvi si mescola con Hergé, Jacovitti con Stan Lee, Silver con Schulz, Hugo Pratt con Goscinny e Uderzo e così via… Arriva Goldrake! Al fumetto e all’animazione occidentali si affiancano nel frattempo gli anime. I primi timidi approcci erano stati effettuati attraverso l’arrivo in Europa di lungometraggi giapponesi come La leggenda del serpente bianco, Il piccolo Panda e Il gatto con gli stivali, spesso maldestramente adattati fino a cancellarne ogni traccia di sapore nipponico. Anche in questo caso, come per l’animazione tout court, si rivela necessario il detonatore televisivo per far breccia nelle abitudini mediatiche – e nel costume – degli italiani. I primi anime trasmessi dalla tv di stato, come Barbapapà, Vicky il Vichingo e la 42
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Riferimenti bibliografici
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on la speranza di avervi introdotti per il meglio al meraviglioso mondo del cinema di animazione, giunge ora il momento di segnalare alcuni testi grazie ai quali integrare la lettura di questa breve guida, con la convinzione che ogni argomento in essa trattato meriti di essere adeguatamente approfondito in altra sede. Per una completa panoramica sull’animazione tout court, ci si procuri: Giannalberto Bendazzi, Cartoons. Il cinema d’animazione 1888-1988, Venezia, Marsilio, 1988 e Marco Pellitteri, Conoscere l’animazione. Forme, linguaggi e pedagogie del cinema animato per ragazzi, Roma, Valore Scuola, 2004. Per chi voglia usufruire di un testo divulgativo che mette costantemente a confronto il cinema di Walt Disney, l’animazione seriale americana non disneyana e l’animazione giapponese è consigliato Luca Raffaelli, Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoons da Disney ai giapponesi, Roma, Castelvecchi, 1994 (ed. riveduta e ampliata Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoons da Disney ai giapponesi e oltre, Roma, Minimum Fax, 2005). Chi è rimasto ulteriormente affascinato dalla figura di Walt Disney, di certo familiare ancor prima della lettura di questo testo, può approfondirne la conoscenza grazie a Michael Barrier, Vita di Walt Disney. Uomo, sognatore e genio, Latina, Tunué, 2009. Relativamente all’opera di altri grandi maestri, nella fattispecie italiani, citati in questa sede: Giannalberto Bendazzi – Raffaele De Berti, La fabbrica dell’animazione. Bruno Bozzetto nell’industria culturale italiana, Milano, Il Castoro, 2003 e Aa.Vv., Emanuele Luzzati. Fantasie, Genova, Nugae, 2010. Uno sguardo a 360° su anime e manga è quello che getta Marco Pellitteri col suo Il Drago e la Saetta. Modelli, strategie e identità dell’immaginario giapponese, Latina, Tunué, 2008. Dello stesso autore è consigliato: Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation, Roma, Castelvecchi, 1999 (ii ed. Roma, King|Saggi, 2002; iii ed. Roma, Coniglio, 2008), dedicato all’invasione degli anime nel nostro paese e alla conseguente portata generazionale del fenomeno. Per ciò che concerne ancora l’animazione nipponica, sono consigliati: Andrea Baricordi – Massimiliano De Giovanni – Andrea Pietroni – Barbara Rossi – Sabrina Tunesi, Anime. Guida al cinema d’animazione giapponese, Bologna, Granata Press, 1991; Eleonora Benecchi, Anime. Cartoni con l’anima, Ozzano dell’Emilia (bo), Alberto Perdisa Editore, 2005; Saburo Murakami, Anime in tv. Storia dei cartoni animati giapponesi prodotti per la televisione, Milano, Yamato Video, 1998; Francesco Prandoni, Anime al cinema. Storia del cinema d’animazione giapponese 1917-1995, Milano, Yamato Video, 1999. Per iniziare il discorso relativo all’avventura dell’animazione in Italia, relativamente a La Rosa di Bagdad e alla sua storia, si legga il saggio di Massimo Becattini «Le donne e La Rosa di Bagdad», in Matilde Tortora (a cura di), Le donne nel cinema d’animazione, Latina, Tunué, 2010. Un discorso che ruota intorno alla televisione sarà di certo più gestibile grazie alle più recenti edizioni dei volumi di Aldo Grasso Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 2004 e (a cura di) Enciclopedia della televisione, Milano, Garzanti, 2008. Relativamente ai due programmi storici della tv dei ragazzi della Rai: Marco Giusti, Il grande libro di Carosello, Milano, Sperling & Kupfer, 1995 e Guido De Maria – Giancarlo Governi – Vito Lo Russo, Supergulp! Ebbene sì, maledetto Carter!, Milano, Magazzini Salani, 2007, al quale è allegato anche un dvd. Infine, due piccoli libri relativi all’animazione americana degli ultimi due decenni: Gianluca Aicardi, Pixar, Inc. La Disney del Duemila, Latina, Tunué, 2006 e, della stessa casa editrice, Davide G.G. Caci, I Simpson, i Griffin & Co. Le sit-com animate dalla preistoria dei Flintstones ai giorni nostri, pubblicato nel 2008.
I edizione: febbraio 2012 Copyright © Tunué S.r.l. Tunué. Editori dell’immaginario Via dei Volsci 139 – 04100 Latina – Italy tel. 0773661760 | fax 07731875156 info@tunue.com | www.tunue.com ISBN 978-88-97165-33-0 Per le immagini interne, dove non espressamente indicato, il copyright è degli aventi diritto
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