zero3 dicembre 2012 • marzo 2013 PerIoDICo DI CoNTAMINAzIoNe LoCALe
concept & impaginazione: Print Studio Grafico snc via Martiri di Belfiore, 19 . 46026 Quistello (MN)
tel. 0376 618 382 . www.printstudiografico.it contenuti: TuttoQui&dintorni associazione di volontariato
Channel
ShIT hAPPeNS di Valeria Dalcore
per passione
Merda!
Che volete farci, una camminata distratta, un po’ di incontinenza, un cucciolo di cane che ancora non conosce le regole domestiche, un piccione che plana. E tac. Shit happens. Che detto in inglese ha il suo perchè, dà un tocco di colore al sottile umorismo anglosassone, e incornicia una teoria filosofica un po’ ottimista e un po’ pessimista insieme. Come dire, “può capitare di tutto, rilassati” ma anche “allo schifo non c’è mai fine”. “Merda!” imprecò Pier Paolo Pasolini dopo averne pestata una. Poi incontri gli inguaribili diplomatici che non hanno dubbi, “porta fortuna”, almeno finchè non sono loro ad affondarci dentro. E da lì, mentre cerchi un angolo d’erba o un marciapiede smussato per pulirti la scarpa puzzolente, speri che tutta ‘sta fortuna arrivi sul serio, vista la fatica causata dall’imprevedibilità. Ma voi che leggete, non fate i puritani, i puliti, gli scandalizzati, gli schifati, i sorpresi. La cacca, in tutte le sue variabili varianti variopinte espressioni, è qualcosa che ci accomuna tutti, ma davvero tutti. Iniziamo la nostra esistenza con gli effetti inesorabili del latte materno sul nostro corpo in crescita, proseguiamo con la magica scoperta della produzione propria, da gestire cercando un bagno o un cespuglio, a seconda dell’emergenza. Poi iniziamo a chiamarlo “momento sacro”, adorando il wc di casa come fosse un altarino, circondando il momento di leggeri passatempi, dalla rivista di gossip al catalogo Ikea, ma anche applicazioni sul cellulare sufficientemente frivole per non distoglierci dalla seduta. Per chi non lo sapesse, poi, la “merda” gode di citazioni auliche altissime, dall’Inno del Corpo Sciolto di Roberto Benigni, alla “Merde d’artiste” di Pietro Manzoni, passando per l’Inferno di Dante Alighieri “E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco/vidi un col capo sì di merda lordo/che non parëa s’era laico o cherco”. Vi sembrerà strano, eppure in questo numero di Tutto Qui & Dintorni –senza aspirare a raggiungere la grandezza delle firme qui sopra citate, per carità– noi usiamo questa espressione umana insieme un po’ grezza e un po’ nobile per fare pulizia. Pulizia da scaramanzie, da inutili finzioni, abbattendo un muro d’imbarazzo storico e culturale, proprio adesso che di fortuna e di semplicità abbiamo tutti bisogno. Ecco. Quando finirete di leggere questo numero di Tutto Qui & Dintorni, speriamo che vi sentiate più puliti che mai: liberatevi dagli schemi, chiudete in un cassetto le paure (tanto potete tirarle fuori più avanti), comprate i regali di Natale e mangiate le lenticchie a capodanno, che se i Maya non fossero così famosi nessuno avrebbe fatto tanta pubblicità ad una teoria che fa acqua da tutte le parti. Insomma, tirate lo sciacquone, perchè tanto, che lo vogliate o no, shit happens. Buona lettura!
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I Maya?! ph. Cristiano Martelli | www.cristianomartelli.com | www.fotostudio5.it | facebook: fotostudio5 Grazie! :)
Tra cacche e... batteri.
di Francesco Dugoni | Ag. AGIRE
Prendi un digestore, cioè un vascone ermeticamente chiuso, mettici la cacca… pardon del refluo zootecnico e voilà il gioco è fatto. Di cosa stiamo parlando? Di un impianto a biogas naturalmente (notate l’avverbio). Tra le varie forme di produzione di energia rinnovabile oggi conosciute ed affermate certamente quella legata alla produzione di biogas è, sotto il profilo tecnologico, tra le più significative. Ma di cosa si tratta esattamente? Un impianto a biogas potrebbe essere definito una sorta di “allevamento di batteri”, cioè un sistema nel quale si sviluppano specifiche popolazioni batteriche (detti metanigeni) in grado di demolire materiale organico facilmente decomponibile (come appunto reflui zootecnici, sfalci, frazione organica della raccolta differenziata, trinciati di mais o di sorgo, residui dell’agrindustria, mercatali….). Detto processo avviene in condizioni anaerobiche; parolona per dire semplicemente in assenza d’aria, e a temperatura controllata (mediamente 35-40°C). In queste condizioni i succitati batteri ci sguazzano alla grande e come risultato si sviluppa un composto gassoso denominato appunto “biogas” la cui componente principale è il metano (50-60% della miscela). Quel medesimo metano che in buona parte importiamo, per esempio, dalla Russia o dall’Algeria per i nostri fabbisogni energetici. Insomma, un metano made in Italy. Detto biogas, dopo un processo di eliminazione di alcune componenti indesiderate (in particolare vapore acqueo e acido solfidrico), viene quindi avviato ad alimentare un cogeneratore (leggi motore endotermico collegato ad un generatore di corrente) per produrre energia elettrica (che viene immessa nella rete nazionale) e calore. Una quota di quest’ultimo viene utilizzata per mantenere il digestore in condizioni di temperatura ottimale (i batteri non possono prendere freddo!), mentre la rimanente parte potrebbe essere destinata alla fornitura di energia termica per piccole reti di teleriscaldamento, serre, sistemi di essicazione foraggi, ecc…
Gli impianti a biogas, grazie ai progressi tecnologici raggiunti, sono in grado di funzionare circa 8.000 ore all’anno: un valore altissimo se si pensa che in un anno si contano 8.760 ore. Tra gli altri benefici legati alla produzione di biogas v’è la deodorizzazione della cacca, pardon della biomassa utilizzata, cosicché il digestato (cioè quel che rimane dopo che i batteri se la sono spassata) presenta un’emissione di odori particolarmente ridotta, in virtù della demolizione di quelle molecole che per l’appunto causano le diffusioni maleodoranti. Ciò risulta particolarmente utile laddove insistono allevamenti zootecnici in prossimità di abitazioni o centri abitati. La realizzazione di un impianto a biogas, presso queste aziende, potrebbe infatti ridurre drasticamente quei fenomeni di impatto olfattivo, specie durante le fasi di spandimento dei reflui. In questi ultimi tempi gli impianti a biogas hanno incontrato svariate forme di contestazione locale. Le motivazioni sono tra le più diverse ed in questa sede non è certo possibile affrontarle e discuterle. Ciò che si può evidenziare è che, da un lato, la prossima normativa a sostegno delle fonti rinnovabili, che entrerà in vigore dal primo gennaio 2013, anche a parziale recepimento delle contestazioni espresse, premierà gli impianti di piccola taglia (fino a 300 kW) alimentati con materiali di scarto (tra cui la cacc…), anziché con materie prime (es., mais), e riconoscerà una premialità aggiuntiva in caso di uso efficiente dell’energia termica prodotta. Dall’altro lato, a fronte di certi allarmismi, è opportuno prendere atto che la pluridecennale tecnologia del biogas ha raggiunto in altri Paesi europei (nella sola Germania si contano oltre 7.000 impianti) risultati ragguardevoli senza aver provocato alcun danno di tipo ambientale, quanto piuttosto occupazione, produzione di energia svincolata dalle fonti tradizionali, riduzione delle emissioni di gas climalteranti e grande soddisfazione da parte dei batteri… naturalmente.
Vegetariani VS CARNIVORI 1 | 0 02 di Filippo Gavioli
destinati al consumo del miliardo di persone sovralimentate del pianeta. Questo quadro già critico è aggravato dalla crescita economica dei paesi emergenti. Ma se tutti i cinesi, i brasiliani e gli indiani si mettessero a mangiare carne come noi, in poco tempo avremmo sulla terra più animali da allevamento che uomini e infrangeremmo ogni tipo di equilibrio dell’ecosistema terrestre. Non solo: gli Stati Uniti, paese maggior consumatore di carne al mondo, provoca ogni anno la distruzione di una parte della foresta amazzonica grande come l’Austria per far posto ai pascoli. Inoltre c’è il problema dell’acqua: la produzione di carne è responsabile della crisi idrica. L’intera catena produttiva necessaria a ottenere un chilo di carne richiede 15.000 litri d’acqua, mentre produrre un chilo di pane ne richiede meno di 1.000 litri. Il miglioramento a lungo termine della diffusione di una dieta vegetariana riguarderebbe anche gli equilibri ecologici: riduzione dell’inquinamento dovuto allo smaltimento delle carcasse e all’uso di agrofarmaci e fertilizzanti nonchè meno gas serra immessi nell’atmosfera. La produzione di carne è responsabile del 18% delle emissioni globali di anidride carbonica e ciacun capo del miliardo e 400 milioni di bovini allevati nei cinque continenti produce 500 litri di metano. Ormai non ci sono dubbi: rinunciare a consumare carne sarebbe una forma di rispetto per noi stessi e per il nostro pianeta. Oltre che, naturalmente, per gli animali, che nell’armonia dell’ambiente sono parte integrante! fonte: “Verso la scelta vegetariana“ Umberto Veronesi . Mario Pappagallo
©printstudiografico
Negli ultimi decenni si è parlato spesso di sviluppo sostenibile, ovvero di un modo per coniugare la crescita mondiale con il mantenimento dell’equilibrio degli ecosistemi. In questo settore l’umanità non sembra però essersi resa conto degli allarmanti danni ambientali provocati da una squilibrata produzione di beni alimentari. Questo da parte specialmente dei paesi sviluppati e in via di sviluppo, noti per la produzione intensiva di carne. Secondo le ultime ricerche effettuate di alcuni studiosi delle Nazioni Unite la dieta verde è la via giusta per mantenere l’armonia del pianeta. Già attorno agli anni ‘20 il Nobel Albert Einstein, abbandonata la carne, dichiarò che niente avrebbe aumentato le possibilità di sopravvivenza della vita sulla Terra quanto l’evoluzione verso l’alimentazione vegetariana. Il professor Umberto Veronesi, oncologo di grandissima fama, espone nel suo libro “Verso la scelta vegetariana“ le ragioni legate all’etica, alla sostenibiltà e alla salute per cui dovremmo diventare vegetariani. In particolare la diffusione di una dieta verde a livello mondiale aiuterebbe concretamente a risolvere il problema della fame e della malnutrizione. Al consumo di carne si può attribuire la responsabilità dell’ingiustizia alimentare e il fatto che metà del mondo si ammala e muore per troppo cibo (malattie legate alla sovralimentazione come obesità, malattie cardiovascolari, tumori) e l’altra metà per sua scarsità. A livello mondiale siamo ormai nell’assurda situazione per cui buona parte delle risorse agricole va ad alimentare animali
di Pietro Buzzi
è buio: il nero parte dagli angoli e si riveste di giallo opaco un po’ sbiadito in modo radiale man mano che sposto lo sguardo verso il centro della stanza; non ci sono finestre. L’atmosfera è rilassante: c’è della calma nell’aria, credo sia mattina presto o qualcosa del genere. C’è un letto in mezzo alla stanza, che tra l’altro è l’unica cosa che ricordo, e con tutta probabilità l’unica cosa presente nella stanza. Il buio era davvero il confine del conosciuto: neri e solenni sono i limiti oltre ai quali gli occhi non si spingono. Ecco perché rimango cosi, coricato su questo letto, a metà fra l’oscurità ed il “se non ti vedo vuol dire che non esisti”. E li, in piedi, davanti al letto, Giulia se ne stava. Sorridente ma senza sorriso: era più una cosa che le si leggeva nello sguardo. Questo è quello che di te adoro, Giulia: sei innocente, ma hai così tanti mostri dentro; e cerchi di trovarli, di tirarli fuori, di combatterli, ma rimani lì -incantata, persa, lo sguardo fisso nel vuoto- perché quando cerchi quei mostri, dentro di te, trovi anche un mondo infinito: fantasia ed immaginazione sopra a tutti i ricordi, giusto? E cosi preferisci rimanere li, a fluttuare dentro qualcosa che va oltre la realtà. Credo di essere innamorato di te, Giulia. Voglio entrare anch’io in quel mondo, voglio che tu mi ci porti.
POETA IN ERBA
L’angolo di guido
Senza preavviso, Giulia si china piano piano, si stende di fianco a me e scivola per metà sopra il mio corpo, il viso a una decina di centimetri dal mio. Come faccio a restare calmo in questo momento? Dove la trovo questa sicurezza che d’un tratto mi fa apparire cosi: il campo di convergenza dei tuoi occhi, del tuo profumo, dei pensieri che si astraggono e ti escono dalla testa come fumo denso e colorato, che poi si scaglia aggressivo sulle pareti e le dipinge? Ho voglia di abbracciarla, ma non so se è la cosa giusta da fare, e non so come reagirebbe lei, e forse sto pensando troppo. Giulia ha uno sguardo che mi uccide, che mi prende e mi fa dimenticare di colpo le facce di tutte le altre persone che ho incontrato nella vita. È come se lei fosse cosi.... troppo per coesistere con altri pensieri, con l’idea di altra gente. Diventano tutti di pezza -gli occhi grigio profondo- e poi cadono e si accasciano contro le pareti del mondo. Si, quando c’è Giulia, il mondo è popolato da pupazzetti neri e cuciti male che sembrano gettati alla rinfusa sui marciapiedi, sulle panchine, nelle vetrine. Ed il tempo stesso diventa color piombo, ma non per noi: siamo i soli sul livello ad essere mascherati dal filtro grigiastro.
Ora Giulia è praticamente sopra di me. Le nostre facce stanno per sfiorarsi: mi proietto con il pensiero una decina di secondi più avanti, e lo sento, sento la sua pelle morbida contro la mia, in un tempo tirato per i lati, instabile, insicuro. Ritorno indietro e mi pietrifico quando nei suoi occhi vedo le mie labbra. Mi da un bacio a stampo di colore rosa intenso, e poi posa la sua testa sulla mia spalla. Io le avvolgo la schiena con un braccio e la accarezzo. Quando è bello vivere? Quando è bello svegliarsi dopo un’intera esistenza fatta di sedativi, vissuta costantemente dietro ad un filtro freddo e pesante. E non penso a quello che è appena successo, perché è di gran lunga meglio continuare a vivere quello che sta succedendo. Quello che rende cosi belli i sogni, è che sono reali fin tanto che ci sei dentro. Ecco perché immagino di rimanere solo in quella stanza con Giulia, congelato in una sorta di limbo, dove i ricordi non sono più reali delle illusioni. Riapro gli occhi ed eccomi, disteso su quel letto, solo con la bella Giulia. Soli, io e lei. Siamo uno di fianco all’altro in questo momento, ed insieme ci voltiamo e ci guardiamo negli occhi. Ed ecco che ritorna quella sensazione, è come se partisse della vernice colorata dalla mia testa, ma è vernice strana, non soggetta a gravità: rimane fluttuante nell’aria come fa l’olio quando lo si versa di colpo in un bicchiere d’acqua. Schizzi verde acido, poi rossi, ed infine blu, che volano lentamente intorno a noi ed illuminano la stanza. E lei mi guarda, e sembra riesca a vedere quello che vedo io. Per quanto mi piaccia trovare un senso logico alle cose, lo giuro: per me, qui, ora, non esiste altro. Niente passato, niente futuro, la morale sta a zero, ed i pensieri tutti sfumano nel buio divoratore d’esistenze. Giulia mi prende la felpa in corrispondenza delle spalle e mi tira a sé, e lo stesso faccio io. Le poso poi le mani sulle guancie calde, e ci baciamo nuovamente. È un bacio intenso questa volta, passionale. Nel frattempo sorridevamo, questo è quello che adoro ricordare: sorridevamo baciandoci. Sembra che all’improvviso questa stanza sia diventata pesantissima, cosi da piegare lo spazio-tempo, proprio come la palla da bowling dei libri di fisica piega il tappeto elastico. Il dove e il quando si scambiano di posto, ecco perché il tempo ci gira attorno, ci sfiora e continua a torcersi in modo indefinito e imprevedibile. Non esiste un prima come non esiste un dopo; solo quest’eterno istante sbiancato sui bordi.
Fragore d’arme e tempesta tosto se ne andranno disgrazie ed ostilità scompariranno con la peste Terremoti ed uragani, mai in quest’anno? tutti i giorni una disavventura o falsità ed i popoli di magi impareranno
Che questo mondo è una beltà proprio così, anche se non ci crederanno ed il mondo non finirà.
la psicologa sessuologa di TuttoQui
d.ssa ì Patrizia Degola
PATTY chiari con l'amore
ph. Pietro Buzzi
REDEMPTION
Se poi ti lascia
non è la fine... I lutti in amore sono molto frequenti. Intendo lutti d’amore comuni dopo una rottura o una fine. L’innamorato lasciato pensa di morire dentro… gli viene a mancare l’altra parte di se. è una morte simbolica perché vengono a mancare abitudini e certezze: sapere cosa fare nel week-end, a Natale, in vacanza eccetera. Perdere un sogno che ha fatto parte della storia della vita è veramente difficile se l’investimento affettivo e progettuale è stato grande. Se ci pensiamo con la perdita d’amore, intesa come l’altra metà del se, dovremo ricostruirci un grosso pezzo mancante. Io preferisco in amore essere una persona intera che incontra un’altra persona intera e tutti e due INSIEME provano a unirsi e a costruire l’amore. Ognuno è se stesso e non un pezzo mancante. L’uno aggiunge all’altro, ognuno è arricchito e non impoverito. Così non è la fine del mondo quando si scopre che l’amore è finito. Ognuno resta se stesso e non un pezzo mancante dell’altro.
“Non importa quanto dura la tempesta, il sole splende sempre di nuovo tra le nuvole” Kahlid Gilblan
Bar Tavola calda Tabacchi Andiamo da Sara
di Guido Peroncini
Il mondo non finirà!
di Sara Schiavi via U.Ruberti, 6 46026 Quistello (MN) tel 0376 625632 mobile 347 0802433
tempo
libero RESIDENT EVIL
Più di 15 anni fa, per playstation one uscì un gioco chiamato RESIDENT EVIL. Con il titolo CAPCOM diede vita ad un nuovo genere il SURVIVAL HORROR: una tipologia di gioco in cui si è portati all’esplorazione di tetri scenari, alla risoluzione di svariati enigmi ma, soprattutto, ad un infinità di salti sulla sedia provocati da zombie, mostri o altre creature di turno. Dopo circa una decina di anni su playstation 2 esce Resident Evil 4 che stravolge le caratteristiche della saga, dando al titolo un’impronta prevalentemente action creando le basi per il quinto ed il sesto capitolo. In questo ultimo capitolo della serie la storia si compone di tre campagne, ciascuna delle quali ha come protagonista una copia (si puo giocare in cooperativa on-line oppure a schermo condiviso) di agenti speciali tra i quali troviamo vecchie conoscenze come Leon S. Kennedy, Chris Redfield, Sherry Birkin e Ada Wong, e nuovi personaggi, tra i quali Jake Muller il
in teatro di Miriam Cobellini “Merda!”. Quante volte capita di dirlo nell’arco di una giornata! Di solito ci si riferisce a qualcosa di sgradevole, che eviteremmo molto volentieri. Secondo il dizionario il termine in sé significa innanzitutto “sterco, escremento” e già questo fa storcere il naso a molti. In senso figurato indica “qualcosa che disgusta, una persona spregevole, una situazione ripugnante”. Così sentenzia il Garzanti.
Edo Simonini
Tacco 12, c’è. Fluente chioma finta ma come fosse vera, c’è. Reggiseno imbottito, c’è. Solo che non mi ero preparata anche i fazzoletti per asciugare le lacrime che nascono da certe risate. Perchè sedute allo stesso tavolo siamo io (quella che firma), una tale Milly Lociucci, Lorella Celo Bella e Donna Etta. In due parole, le Salamandra Sisters, nate in seno, è proprio il caso di dirlo, all’ArciGay La Salamandra a Mantova, per animare serate e divertire, divertire parecchio. Lo fanno già con un’intervista, figuratevi dimenandosi con boa di struzzo, caschetti alla Carrà e movenze ammiccanti. Manca il testosterone dell’altro componente Ferd Da Stir, ma pazienza. Procediamo. - Chi sono le Salamandra Sisters? - Che domanda! Siamo la fine del mondo! - Ecco appunto... - A proposito di questo... ci credete a questi Maya? - Ma no. Le Salamandra hanno un altro credo, sono politeiste: credono nel dio Gucci, nella dea Dolce e in quella Gabbana. Prima di esibirci chiediamo aiuto al dio Tacco e alla dea Rimmel. Ma anche Hao Mai va bene. Se non ci fosse Hao Mai... - Fantasiose, esuberanti, pazze. - Ovvio, ma anche creative e abbondanti. - Sicure di voi, anche: ma non avete paura di nulla? Niente gesti scaramantici? - Beh, uno ce l’abbiamo: non diciamo mai “merda” prima dell’esibizione. - Ah... allora siete sul numero sbagliato di TuttoQui! E perchè? - Perchè ci ha portato sfiga: nella prima performance Milly ha detto due volte merda e nello spettacolo abbiamo rotto un tacco, perso una parrucca e rotto il ventaglio.
The sala Ventisette
Eppure proprio questo sostantivo può diventare un augurio. Succede anche questo… in teatro! Per molti artisti del palcoscenico, infatti, questa parola può essere di conforto, anzi, direi che sprigiona energia e carica. Chi scrive l’ha provato sulla propria pelle... ed è proprio così! Mancano pochi minuti e poi via, in scena, davanti ad un pubblico di semisconosciuti (parenti ed amici benevoli non mancano mai). Per quanto l’attore si sia preparato, l’ansia è una compagna fedele che non lo abbandona mai, specialmente in questi momenti. L’impressione è di non sapere assolutamente nulla, la mente è un ammasso confuso. Poi il timore è che il pubblico in sala resti deluso da quello che vede e sente, niente pomodori o uova alla fine ma magari il terrificante silenzio, poltrone che vengono abbandonate . In questi casi serve un esorcismo. Oltre al divieto assoluto di indossare indumenti o accessori che abbiano anche un sia pur vago accenno di viola, a teatro c’è un rituale: pronunciare la parola merda, proprio come augurio. Momento topico soprattutto se tutti gli attori della compagnia lo compiono insieme in modo sincronico. Quella parola, quando esce dalla bocca poco prima dello spettacolo in quel grido che risuona in ogni cellula del corpo, porta con sé tutte ansie, le diffonde nell’ambiente esterno, sdrammatizzando la situazione e, a parere di chi scrive, ricordando a chi andrà sul palco che il teatro è innanzitutto un divertimento.
…you’re gonna rise, rise up singing, You’re gonna spread your wings, Child, and take, take to the sky… …ti alzerai, ti alzerai cantando, stenderai le tue ali, piccola, e toccherai, toccherai il cielo… Summertime
Fummo presi attorno ai ventisette. Cominciò con Robert Jones, si dice che sia stato lui a fare il patto. Con chi lo fece non importa, non ci ho mai tenuto alle apparenze. Passò del tempo prima di trovarne altri disposti a rimpinguare le fila.
MEDIA partner
Sport
figlio del famoso Albert Wesker, impegnati a salvare il mondo dall’apocalisse generata dalla Neo Umbrella. Si può giocare sia in singolo sia in cooperativa per due giocatori a schermo condiviso o, in cooperativa on line fino ad un massimo di 4 giocatori quando le campagne si incrociano, e ciò si verifica nei momenti più concitati di alcuni capitoli come lo scontro con i boss. Se guardiamo il comparto tecnico del gioco un elogio va fatto alla grafica ed alle musiche, nonché ad un ottimo doppiaggio in italiano (per la prima volta nella storia della serie!). I controlli sono stati incrementati con nuovi movimenti, come, per esempio, sparare in movimento, fermarsi per mirare con piu precisione, lanciarsi in scivolate o schivare i colpi avversari. Novità del gioco sono le abilità, 40 in totale (al massimo se ne possono equipaggiare tre) con relativi punti esperienza, da raccogliere durante le varie campagne, che servono per sbloccare ogni abilità e potenziarla. La longevità è buona ma non varia molto rispetto alle versioni precedenti: emblemi da raccogliere, la modalità mercenari, una campagnia extra giocabile a storia completata ed una nuova modalità, quantomeno scarna, denominata “caccia all’uomo” nella quale impersonare un nemico e ostacolare gli agenti speciali. Anche se RESIDENT EVIL 6 ha tutti i requisiti per essere un ottimo action game secondo me resta comunque un titolo di... merda! La trama non esiste, se non per contagio di massa, manipolo di eroi contro una multinazionale e poi…. basta, perche la trama finisce proprio qui. Le campagne sono identiche tra di loro, l’ IA dei nemici e dei propri compagni di squadra è inesistente; giocando da solo durante lo scontro con il boss finale, il mio compagno pur avendo a disposizione lanciagranate, mitra, fucili di precisione e chi più ne ha più ne metta, ha ben pensato di aiutarmi con una misera pistola… Ogni campagna cerca di omaggiare i punti di forza della saga: Leon è più presente sui primi due capitoli della saga, a Chris spettano i momenti più ardui e action, mentre Jake dovrà vedersela con un nemico inarrestabile com’era il vecchio Nemesis di RESIDENT EVIL3. Detto questo però, ahimè, NON è un ritorno al survival horror classico. piuttosto è la sua fine. BASTA chiamarlo resident evil, quel titolo si è spento ormai dopo RESIDENT EVIL code veronica…
- E dei giudizi, avete paura? - Per nulla: siamo la dimostrazione che chiunque può interpretare un personaggio ed essere insieme se stesso. Siamo libere, e liberiamo dagli stereotipi. E non vale solo per una drag queen. Abbiamo molti punti deboli, ma sappiamo essere orgogliose di tutto ciò che facciamo. - Punti deboli? Ad esempio? - L’ansia e la tachicardia, Donna Etta ne soffre parecchio. Ah, e poi facciamo un appello ai lettori, si può? - Certo! - Ecco abbiamo un problema: ci servono scarpe col tacco numero 42 e 43... introvabili anche all’Hao Mai. L’alternativa sarebbe farle fare su misura da Dolce&Gabbana...
- Parliamo di musica: quale scegliete per ballare? - è perfetto Fred Buscaglione, ma sappiamo essere anche molto moderne. Tanto decide Milly, che sente una musica e già immagina le mosse. E’ una dittatrice, insomma. Salamandra Sisters, oltre le gambe insomma c’è di più... - Beh ma ovvio! E aggiungerei rosso di sera... - L’importante è che sia glitterato!
Valeria Dalcore “Un ringraziamento di vero cuore a Diego, Valeria e Antonio per la simpatia autentica e contagiosa. Siete speciali!”
Hei cat, CHE SUCCEDERA'
IL 21 DICEMBRE? SEI CURIOSO? EH? SEI CURIOSO?
amandra Sisters e dintorni
di Anna Giraldo
Lewis Brian Hopkins Jones si fece avanti, aveva fondato una band, tali Stones. Era il 3 luglio del 1969. Poi vennero James Marshall Hendrix, detto Jimi e James Douglas Morrison, nell’arco di otto mesi subito dopo l’ultimo Festival dell’Isola di Wight. Probabile che Jim e Jimi si fossero accordati proprio laggiù. E quando seppi che non ero stata invitata, beh.. Janis Lyn Joplin, presente! Glielo rinfaccio ancora. Tutti pronti, tutti giovani, tutti all’apice della carriera. Servivano persone di successo, questo è certo. Arrivarono in tanti dopo di noi, finì per non importare nemmeno la J nel nome. Belvin, Köllen, Baquiat, Cobain, Winehouse… E si cominciarono a fare eccezioni anche sull’età: così vennero la Spungen e Vicious, Presley, Lennon, Slovak, Wright, Jackson… Un esercito senza uniforme, vestito di lustrini, giubbotti in pelle, capelli tinti e trucco di scena. Un esercito di voci, di suoni, di grida. Di poesia. Per quale motivo siamo stati riuniti? Chi lo sa, non sono tipo da farmi domande, io. Facciamo solo quello che sappiamo fare, giorno dopo giorno. Al primo pazzo cui fu promessa l’immortalità non fu spiegato che in cambio avrebbe dovuto dare la vita. Ma in fondo non importa. In fondo, per ognuno di noi, l’unica cosa che conti è che qualcuno, ascoltandoci, trovi un motivo in più per vivere.
CURIOSITY
KILLED THE CAT I Curiosity Killed the Cat sono stati un gruppo musicale pop inglese il cui esordio risale al lontano 1984. Il gruppo era formato da Ben Volpeliere-Pierrot alla voce, Julian Godfrey Brookhouse alla chitarra, Nick Thorp al basso, e Migi Drummond alla batteria, e proponeva uno stile che variava tra acid jazz, soul, funky e pop. È rimasto attivo fino al 1993, pubblicando tre album di studio, di cui uno postumo nel 1994. Nel maggio 1987 pubblicano un primo album, Keep Your Distance, che raggiunge il primo posto della classifica inglese. L’album viene lanciato dal singolo Misfit, nel cui video compare l’artista pop Andy Warhol, evento che porrà il gruppo all’attenzione del pubblico e della critica. Warhol in seguito collaborerà occasionalmente col gruppo, portandolo a suonare anche nei locali di New York e comparendo in altri video ed esibizioni dal vivo. Nel 1989 esce il secondo album per la Polygram Records, Get Ahead, lanciato dal singolo Name and Number, il cui ritornello «Hey, how you doin’?», diverrà molto popolare due anni dopo grazie al gruppo rap De La Soul con la loro versione Ring Ring Ring (Ha Ha Hey). L’album non riesce a replicare il successo del precedente, e la Polygram cessa il contratto col gruppo. Tre anni dopo, col nome abbreviato in “Curiosity”, tornano con una cover di Johnny Bristol, Hang On In There Baby, seguita un anno dopo da altre cover quali I Need Your Lovin’ and Gimme the Sunshine, che però non riescono a ottenere successo. Per tale motivo, nel 1994, il gruppo ormai sciolto pubblicherà il terzo e ultimo album, Back to Front, solamente in Giappone.
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di BENAGLIA FABRIZIO
Piazza Teofilo Folengo 23 • 46027 San Benedetto Po tel 0376 615414
letteraL Mente di Margherita Faroni
IL POEMA DELLA FORZA Contro la violenza sulle donne I Patrizio Guandalini Leggiamo insieme un brano tratto dal primo canto dell’Iliade, opera che Simone Weil, circa un secolo fa, con geniale intuizione definì “il poema della forza”, accanto all’Odissea, poema della ragione e dell’Aufklärung:
Gli rispose Agamennone, signore di popoli: “Vattene se lo desideri, non sarò io a pregarti di rimanere; altri ho con me che mi faranno onore, e soprattutto Zues, saggio e prudente. Fra i re di stirpe divina tu, Achille, mi sei il più odioso: ami la rissa, lo scontro, la guerra; sei molto forte è vero, ma è dono divino. Torna in patria con le tue navi e con i tuoi uomini, regna sui tuoi Mirmidoni, di te non m’importa, la tua ira non mi turba. Anzi ti dirò questo: poiché Febo Apollo mi toglie Criseide, la rimanderò indietro sulla mia nave, con i miei uomini. Ma verrò io stesso alla tua tenda e mi prenderò la bella Briseide, il tuo dono, perché tu sappia che sono più forte di te e anche gli altri abbiano paura di tenermi testa e di parlarmi alla pari”. è una pagina famosissima, che mette in scena la lite astiosa e furibonda per il possesso delle schiave sessuali tra il re Agamennone, comandante supremo degli Achei che stringono d’assedio Troia, e Achille, il più feroce dei suoi principi, l’eroe inesorabile e invincibile. La scuola junghiana di psicoanalisi ci ha insegnato a leggere questi testi come altrettanti SCENARI ARCHETIPICI. è noto infatti che le antiche teogonie, i miti, i poemi omerici e le tragedie greche non esprimono le passioni, le esperienze o la visione del mondo dei loro rispettivi autori, ma danno voce all’anima di un intero popolo, di un intero mondo; di più, intonano un canto perenne, collettivo e universale, che, attraverso i millenni, esprime i contenuti profondi, le immagini originarie e immutabili (spesso latenti o rimosse) su cui si fonda e di cui si alimenta la nostra civiltà. In queste figure, in queste scene primarie la carica libidica del maschio e il carisma virile del guerriero si manifestano plasticamente nel gesto della conquista violenta e dello stupro; lo splendore e la gloria dell’eroe fanno tutt’uno con l’invasione, con la penetrazione violenta, col possesso e la riduzione in schiavitù delle donne del nemico. Achille e i suoi Mirmidoni, le formiche guerriere tramutate in uomini per volere di Zeus, costituiscono una milizia unanime e invincibile, una schiera di conquistatori, rapitori di vergini e stupratori. E lo scenario non muta, anzi si ripete sempre uguale nelle guerre di ogni tempo. Vorrei ora seguire con voi una suggestione potente: proviamo per un momento a immaginare il capovolgimento di questo scenario, proiettando insieme sullo schermo della nostra mente la prevalenza del popolo delle Amazzoni su quello dei Mirmidoni. “A-mastos”, senza mammella, è l’etimologia dubbia ma probabile di “amazzone”. La mutilazione della mammella destra mediante l’applicazione di un disco di rame incandescente doveva irrobustire il braccio che tendeva
l’arco ed esaltare le abilità guerresche; significava in realtà la negazione rituale della identità di genere, l’occultamento del femminile. Oggi voi, donne guerriere del quotidiano, vi state faticosamente appropriando di stili di comportamento, ruoli, competenze e funzioni un tempo riservate ai maschi; state conquistando la vostra indipendenza, che talora diventa orgoglio e in certi ambiti primato, e ciò acutizza il risentimento, il disagio e le reazioni ostili del maschio. Ma la competizione tra i generi non fa che perpetuare e assolutizzare il paradigma agonistico della forza e del dominio nei rapporti sociali. Viceversa noi maschi non possiamo o non vogliamo accedere alle modalità “femminili” di interazione con l’altro: empatia, ascolto, cura, protezione e promozione della vita; capacità di sentire e rispettare la presenza dell’altro, di leggerne i vissuti, di comprenderne il dolore; inclinazione a soccorrere l’altro nel momento della sua esposizione al male, quando la solitudine e la fatica di vivere diventano insostenibili. Questo sì, produrrebbe un vero cambiamento nella vita di ognuno di noi, una vera conversione dal paradigma antagonistico a quello solidaristico. Ma l’attitudine alla cura e alla promozione della vita, a ben guardare, non sono propriamente riconducibili al “femminile” (o lo sono soltanto in parte), appartengono piuttosto ad un’altra sorgente viva e perenne della nostra cultura e della nostra civiltà: risalgono infatti alla rivoluzione epocale che il cristianesimo introdusse nella storia, una rivoluzione perfezionata e corroborata in età moderna dal mito laico e illuministico della pari dignità e dell’ uguaglianza naturale dei diritti umani, di ogni essere umano, piccolo o grande, forte o debole, uomo o donna che sia.
Se fosse il tema di un mio studente probabilmente non raggiungerebbe la sufficienza. “Fuori traccia, fuori tema” sarebbe il commento scritto in rosso di un’austera insegnante. Loro forse non si rendono conto di scrivere sulle righe del foglio protocollo qualcosa di assai lontano da quanto gli si sta chiedendo. Io invece ne sono ben conscia e consapevole: sono pronta a ricevere la mia insufficienza. Di fronte alla richiesta di provare ad essere una redazione vivace, colorata e urlante ho sentito un profondo dispiacere, un sentimento di tristezza misto a sconforto, (una sconfitta?). Possibile che non si capisca? Possibile che si ricerchi sempre l’eccesso e il frastuono? No, o almeno non per me. Non mi voglio arrendere alla facile critica, al veloce lamento e alla fin troppo comoda espressione “così fan tutti”. è un po’ come la nostra educazione alimentare. Oggigiorno, ahimè siamo ormai disabituati a percepire i reali gusti delle pietanze, le vere sfumature di un frutto o gli odori di una verdura. Tutto è sommerso dal sapore, da quel pesante telo che copre e nasconde e ci fa blaterare con bicchieri e bicchieri di acqua in mano dicendo confusamente: “…mmmmm, buono: saporito!”. Saporito. Ma cosa significa? Salato? Dolce? Amaro? Asprigno? Agrodolce? Fruttato? Speziato? E chi lo sa. Anche i nostri palati sono quasi addormentati sull’unica e monotona corda del saporito, incapaci di percepire variazioni e ormai inadatti a riconoscere tratti autentici, ma al contrario subito pronti a urlare contro l’insipido, contro ciò che non si conosce. E così in questo numero, dal quale qualcuno attende finalmente l’eccesso e il fuori misura, sono completamente lontana e sorda all’appello di chi cerca suoni forti, parole sordide e gusti violenti. Scelgo di allontanarmi da chi predilige la polemica, il puntiglio, l’acidità, la prepotenza e la volgarità. Non dico, non parlo, non ho un’opinione su qualcosa tanto per averne una; non faccio prendere aria alla mia cavità orale mostrando con grinta le mie tonsille. In questo numero scelgo la bellezza, la riservatezza e la pacatezza: il lusso del non facile compromesso, il lusso che allontana e preserva dalle fin troppo facili regole di un mercato che non permette un pensiero autonomo e solitario. Scelgo il silenzio. Quel silenzio che potrebbe farsi noia e banalità, cedevolezza e codardia, quando in realtà è semplicemente vita quotidiana, piccoli gesti, parole sussurrate e buon gusto. In questo numero scelgo il cosiddetto lato insipido della vita, anche e felicemente andando fuori tema.
Fuori tema
NUOVO NEGOZIO IN VIA SANGUINETTO a quistello DI FIANCO ALL’OFFICINA TAVERNARI
via C.Battisti, 21 • Quistello
Lo svuotamento dell’essere e lo svuotamento della parola
TUTTI GIÙ PER TERRA di Grego Ricorso Io mi ricordo. Ricordo benissimo dov’ero e cosa stavo facendo la mattina di un caldo, caldissimo sabato di agosto del millenovecentottanta. Sabato 2 agosto. E chissà quanti se lo ricordano, dov’erano. Succede così quando capita qualcosa di imponderabile e grande e memorabile, di sottile ed amaro, di lugubre e impossibile. Si associa, si collega, si imprime. Ero davanti ad un piccolo televisore di plastica arancione, che mandava immagini brutte, in bianco e nero, nella casa di campagna di un mio confratello di liceo, sulle colline moreniche, a torso nudo a sudare la calura bestia. Sua madre stava sapientemente stemperando, sul tavolone di legno brunito, una sfoglia immensa di dodici uova dodici, per le tagliatelle del pranzo del sabato e della domenica. La fatica le colava dalle braccia. Davano in quel mentre le previsioni del tempo, di un tempo che non cambiava mai, cazzo, un caldo molle che ti inchiodava alla sedia, come quando mangi quel boccone in più che, intuisci immediatamente, non digerirai e starai col fiato corto, a bestemmiare l’indigestione e a sperare di vomitare l’anima, per star subito meglio. Previsioni del tempo inutili, tanto, checcazzo vuoi che cambi in questa pianura sbiancata dal sole? Poi la comunicazione s’interrompe per un’edizione straordinaria del telegiornale. Eravamo abbastanza abituati alle edizioni straordinarie, avevamo trascorso più di un decennio di edizioni straordinarie. Gli scontri di piazza, i terroristi, le fiat 127 piene di tritolo, i treni che scantonano, gli aerei che cadono come stelle di mezz’agosto. Questa volta era saltata una bombola del gas alla stazione di Bologna, un botto da ridere. Fumo, casino e morti, tanti morti. Cazzo, ma è venuta giù un’ala della stazione, alla faccia della bombola del gas. E poi cosa stavano facendo nell’ala della stazione di Bologna? Riscaldando la pasta del giorno prima?! Stamattina è partito Marco con la famiglia, andavano a Cervia in treno. Porca troia, non è che son passati di lì? Prova a chiamare. Una bombola. Quando non sapevano cosa dire, era stata una bombola del gas. Piazza Fontana, uguale. Una bombola, che sfiga! Ma è così, bisogna chiuderle bene le bombole sennò...basta una scintilla. Uno si accende un’emmeesse e bum, tutti giù per terra. Pensa se fosse stato un attentato. Ma va a cagare, un attentato, chi si sogna di fare una cosa del genere in una stazione? Chicazzo gliene frega dei turisti? È sfiga, una maledetta sfiga. Attentato... adesso, fin che si spara è un conto ma far saltare una stazione, il due di agosto, dai! Non rompere i coglioni come al solito, te e i tuoi attentati. Ho detto pensa se fosse stato. Ma dai, ma è una cosa impossibile, vabbè che siamo un popolo di merda ma così di merda?! Dai, è una bombola, quelle bombole che stan lì, lì sotto, che servono a..., sai, quelle bombole, quelle che si mettono prima, è così, uno non le controlla e...
Un attentato, ma dai! Il fumo si dirada e spuntano i morti, lividi come il mattino. E sono davvero tanti, ottantacinque. Parte della famiglia Mader preferisce l’Italia per venire in vacanza. Vuoi mettere l’Adriatico, il sole, le spiagge, i bagni, le piadine? Otto, quattordici e trentanove anni. Bum, tutti giù per terra. Io mi ricordo. Ma chissà se ci ricorderemo di dov’eravamo e cosa stavamo facendo il ventuno dicembre del duemilaedodici. Cioè, chissà se avremo la possibilità di viverlo quel giorno o se saremo saltati per aria come hanno predetto i Maya. A proposito, a me i precolombiani mi son sempre stati un po’ qui. Non riesci a fare qualcosa che loro l’avevano già vaticinata. E mai - che so - la nascita di una nuova cultura, l’avvento di un nuovo messia, un nuovo clima, la pace nel mondo, la bontà tra i popoli, no, solo sfighe inumane. Ma non c’è niente da fare, loro il senso di catastrofe ce l’hanno dentro. Ce l’hanno quando ti guardano, apparentemente senza capire, come fanno i labrador o quando, vestiti da torte di compleanno, ti spettinano agli angoli di strada, con il repertorio che va da Tozzi a Michael Jackson, rigorosamente suonato a tutto fiato con riverbero liturgico, col flauto di pan e una chitarra che ci potresti tagliare il salame ungherese sottile sottile da tanto è impiccata sui toni acuti. Ce l’hanno quando in silenzio si vestono di fatiche inenarrabili, facendo mestieri inaccettabili, accovacciati nei loro respiri duri, a quattromila metri sopra il mare. Quando, nascosti e confusi tra la polvere dei furgoni, stretti come denti in bocca, ridiscendono gli altopiani senza parlare, verso la speranza di un giorno diverso. Quando, inchiodati come le statue dell’isola di Pasqua, ti guardano severi con l’aria di chi pensa ed è convinto che “te non hai mai capito niente di questa vita”. E come sarà? Un asteroide fuori rotta, una crepa secca sotto le suole, un nucleo che s’affloscia come l’otto nero in buca? Bum, tutti giù per terra. Oddio, un po’ di repulisti non è che darebbe fastidio ma dovrebbe essere mirato e chirurgico e mietere senza pietà solo quelli che intendo io. Questa sì sarebbe una bella profezia, di quelle piene e lascive che lasciano un buon sapore di sazietà sotto il palato. E invece stop, fine corsa, capolinea. Per tutti. ‘Sti cazzo di Maya. Ad un certo punto, avevano raggiunto un così alto livello di divinazione che avevano profetizzato anche la loro, di fine, senza nemmeno confessarselo. Così, dalla sera alla mattina, nessuno sa bene come e perchè, puf, si sono estinti. Qualche effervescente pensatore sostiene che sia stato lo spostamento dell’asse terrestre, qualche altro una siccità o i colpi precisi di qualche conquistador. Secondo me, più banalmente, con tutto questo non farsi i cazzi loro, hanno rotto i coglioni. E li hanno estinti.
di Davide Longfils Dissento, nel senso che sento differentemente. L’essere si oppone, stride, si difende e obietta. Obietto al tema di questo numero, poi affiancato dall’irrinunciabile tormentone nazional popolare della fine del mondo, del “mille non più mille” che si ripropone in un’esperienza neo medievale di paure, esorcismi, scaramanzie e superstizioni, purificazioni e preghiere. Dissento, dicevo, dallo svuotamento della parola che troppo spesso coincide con lo svuotamento dell’essere... con tutte le delicatezze di cui ha bisogno questo mondo, con tutte le pieghe e le irregolarità che l’universo offre da esplorare...vivo come fosse un’occasione persa dedicarsi alla finta provocazione che, inevitabilmente offre il fianco al volgare... Dissento ma la fortuna vuole che, fra i maestri della parola, fra i ricercatori delle pieghe del cuore e dell’universo ci sia chi mi è venuto a soccorrere: All’aperto di Umberto Bellintani L’uomo che sta accucciato nella vecchia latrina, guarda il muro avanti a sé e vede i piccoli grani di sabbia, sotto la mano di colore. E dice l’uomo a se stesso che è ben vivo poiché sa di guardar da uomo vivo quelle cose. Così esce all’aperto, cosciente di sé e felice entro una luce che poteva essere ben grigia un momento fa, quand’egli ancora entrato non era in quella vecchia latrina. Ben vivo egli si sente, e nulla gli è più signore: nessun uomo, nessuna cosa, nemmeno Dio. Perciò cammina ed è padrone di tutto ciò che vede e sente attorno a sé e lontano: sia la distesa di campi, sia il bosco del barone proprietario di pianure e di montagne; sia la tana del topo, sia il gorgo impetuoso del fiume che agguanta e annega un temerario o sfortunato nuotatore; e sia la nube del cielo e il sole e lo spazio e tutto il passato e futuro giro del tempo.
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Giulia Casoni I TAVOLESTRETTE
shit, SCHEIßE, rahat, insomma...
di Andrea Mambrini
“È la terra, c’è qualcosa che non va, non riesco più a riabituarmici” I. Asimov Non sperateci. Sorvolando il fatto che non è mai capitato a nessuno di vedere una persona dondolarsi per davvero su un alloro, non pensate ugualmente di poterlo fare aspettando beati. La fine non arriverà, ma questo è scontato, e non perchè quei burloni dei Maya abbiano sbagliato i conti come chi calcola le nostre pensioni. “Tu ci credi che a ognuno che muore gli servono due monete per pagare il traghettatore?” “No” - lo rassicurò deciso -
“Crepare è l’unica cosa che non ci paghi niente a nessuno” S. de Mari La fine è un premio e le due monete sugli occhi le potremo spendere come vincita nel mondo che verrà, ma che non si pensi che la fine arrivi ora; di punto in bianco. C’è una cosa, potremmo chiamarla brulichio, ma sarebbe un riassunto essenziale; ci sono tante vite che stanno scorrendo e nodi tra queste che si formano. Una marea di debiti e peccati aspettano assoluzione così come tanti sogni e speranze attendono scalpitanti. È una parabola che non solo non è arrivata alla fine della discesa, ma sta ancora crescendo prima di toccare il suo culmine. La vita insegna che la possibilità che una speranza venga stroncata è direttamente proporzionale alla dimensione di quest’ultima; ironico invece è che tanto più un problema ingigatisca la sua portata tanto meno ci sia da fare per rimediare. La fine sarebbe troppo semplice. Tutto finisce e nessuno pulisce. La fine come mondo nuovo verrà se ci sarà l’occasione, quando i frutti saranno maturi, se fossi il Creatore mi offenderei sentendo i miei figlioli dir tali sciocchezze, dopo tutta la fatica spesa per mostrar loro la luce. È un po’ come quando si vuole la bicicletta e poi si è costretti a pedalare, in poche parole non possiamo lasciare questo gran casino e andarcene. Abbiamo combinato proprio un bel casino durante gli anni e ora prima di goderci il riposo eterno ci sarà da rimettere in ordine e pulire i cocci, mi sento di scommettere sull’umanità per una sua redenzione; come un Maya punto millenni, però ne vedo ancora diversi prima d’esser pronti per il mondo nuovo. Anno più anno meno, come chi prende impegni a Kyoto, protocolliamo di controllare la nostra situazione al 10.000, vedremo se avremo rispettato i patti e la Terra tornerà a girare diritta. Allora andremo a spendere le due monete in qualcosa di delizioso per l’eternità a venire.
21/11/2011 | 21/12/2012
al termine di un lungo travaglio ci ha lasciati
il Cinico gli associati e i collaboratori di TuttoQUi&dintorni ne danno il triste annuncio
di Federico Aprile Qualora fossimo posizionati nel modo più sentito, lasciarsi andare a questi momenti di solitudine, ricchi d’intuizioni che nascono come frutti di ragionamenti aulici e spinte divine, è rigenerante. Trascorro di media sessanta ore all’anno con questa intima solitudine e ben quasi tremila ore in una vita; è gran parte del mio tempo, se mai ne esiste uno.
ESCREMENT
per l’eternità
Sto dedicando a un momento delicato, uno spazio della mia vita. è singolare quando si rinuncia a un pò della propria vita, per scrivere riguardo alla nostra, di vita. A volte si trascurano eventi presenti, quindi già immediatamente passati, perchè appaiono innocui; a volte “mascherati” da quotidianità e talvolta in vesti di puri bisogni fisiologici. Ho bisogno di funzionare bene, per stare bene: “ Mens sana in corpore sano”. Nei momenti in cui funziono bene, posso sentire una positività, questa è nient’altro che il compiacimento di essere riuscito a creare qualcosa: e che cosa! Ma si, pensiamo... ogni santo giorno -almeno per i più fortunati-, è un evento creativo; concentriamo tutte le nostre forze per dar vita ad una forma. Cosa più straordinaria è che la creazione, quindi l’oggetto finito, spesso e volentieri corrisponde al progetto che in precedenza ci ha spinto a correre per arrivare in tempo, là, in quel luogo magico, il nostro laboratorio-atelier. Si capisce quanto è importante la creazione; non so, vogliamo passare ore, magari giorni a pensare, riflettere, trattenendo così una spontanea volontà di esprimerci? In tal caso il nostro pensiero elabora, associa immagini inconsce con odori presenti, getta molta carne al fuoco e tutto brucerà.
“Quindi, me lo godo.”
Agl’occhi balza innocua retta, semplice corpo in vita
essenza di fiori recisi, prigionieri [unico carnefice infierisci calma e vellutata. Il tuo nome dà odio [e dimora non riceve
ma i nostri brividi [forti ed infervorati vivono a lungo. Le care contrazioni, i cigolii dell’attesa, e sguardi. Occhi così irrequieti.
Tal frangente mi ha in nota, a lui son caro. In tal luogo di grida, di gemiti
periodi densi mutano nei mesi. Seduto
[pensiero rifletto storie d’altri tempi lontane? Direi frequenti.
ph. Luca Gallini
due monete
ADREM
Da capo a piede, da noi a noi stessi rilassiamo arti tesi.
Il corpo più curioso godrà, di una sana dolce prospettiva.
COLLOQUI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO di Serena Martignoni
Premessa: ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale. Viviamo in un paese in cui essere disoccupati è ormai più comune che essere mancini. In questo polverone di nomi, curricula e facce, riuscire ad essere ricordati è veramente un’impresa. Essere assunti è invece un miracolo che però si verifica a cadenze regolari tipo Madonnina piangente, rendendo ancora più difficile tenere i piedi ben saldi a terra (mannaggia i sogni!). è in questo miasma di rassegnazione e ingenuità che prosperano i soggetti più biechi. Questa nuova razza di datori di lavoro ha ben presto compreso come sfruttare a pieno ogni vantaggio derivante dalla disoccupazione, primo tra tutti la concorrenza spietata. Si perché questi alieni sono anche allo stesso tempo abilissimi maghi (della truffa) e riescono a tramutare punti di forza e capacità dei candidati in debolezze e quindi svantaggi. Una parola su tutte rende l’idea: neolaureato. Oltre ad essere choosy (chissà come mai si pensa che un insulto in inglese possa perdere il suo significato), viziatelli e bamboccioni, noi poveri giovani abbiamo infatti commesso l’incommensurabile errore di voler accrescere la nostra cultura e di voler ottenere un titolo di studio che oggi può servire al massimo come tovaglietta per la prima colazione (e se hai laurea triennale e specialistica puoi perfino creare un bellissimo set in tinta e rivenderlo su Ebay!). Quasi fosse una lettera scarlatta incollata al petto, la “N” fa si che automaticamente tu venga inserito in una categoria lavorativa, quella appunto dei neolaureati. Il problema di questa categoria è ciò a cui ti dà (o meglio non) diritto: di solito stage a 6 mesi con 200 euro di contributo spese e calcio nel didietro a parte. Questo periodo di “formazione” o detto con altre parole “volontariato” molto raramente si traduce in un’assunzione. Niente però vieta di prolungare l’inebriante esperienza
Che apporto può dare un umile linguista all’analisi scientifico-sociale della merda? Alla coprolalia non sono avvezzo, né alla coprofagia (anche se dicono che qualche personaggio importante lo faccia… mantiene giovani, dicono… sicuramente non dà un buon alito). Ultimamente ho pensato spesso “che gente di merda” quando l’ennesimo coinquilino mi ha fatto impazzire e costretto a andarmene dalla mia cameretta adorata. Merda, eh, ogni tanto la mia dolcissima nipotina di due anni mi delizia della compagnia del suo intestino vivace, e come diceva una mia maestra di vita “la cacca per i bambini è un regalo al mondo, è dimostrazione del loro donarsi”, e allora io sorrido perché non posso non ridere quando lei con candore e gioia mi indica il pannolino e scandisce “cacca!”. Ti capisco gnometta mia, sapessi con quanta gioia lo dico anche io quando mi riesce! Sei ancora troppo piccola per capire il significato di “stitichezza”…Perché invece noi allora consideriamo la cacca una cosa brutta? L’etimologia risalente a smard- si è realizzata in varie parole simili in parole slave, che significano “puzza”, o nel greco smerdaleos che addirittura significa “orrore”. E quante declinazioni simili, quante occasioni negative in cui la cacca salta fuori, o dalla voce o dalle azioni di qualcuno. E se pure Gesù “mangiava, beveva ma non defecava”, dev’esserci davvero qualcosa di buio e orribile nei nostri scarti organici. Eppure se ci penso ci sono due eventi nella mia vita che sono strettamente legati alla merda e mi danno ancora gioia a ripensarci. E quanti di noi conoscono la caghetta pre-esame? Alzate la mano… fastidiosa ma alla fine non ci ridiamo sempre su? Specie quando l’esame era una “cagata”? Ribaltiamo un paio di luoghi comuni: e se “va a cagare” fosse un buon augurio? Un’occasione di rinnovo (anche spirituale)? Se la merda rosa (la cacca di Arale!!) fosse simpatica? E perché “pestare una merda” è nella realtà di buon augurio e invece in metafora dovrebbe significare “fare un grosso errore”…magari da quel grosso errore potrebbe nascere una nuova opportunità. Infine, un grande stronzo (o una grande stronza) [da “stronzolo”: pezzo di sterco sodo e rotondo] non diventa spesso l’occasione di guardarsi dentro, di riscoprirci, di ripartire con più rispetto per noi stessi e più coscienza dei limiti segnati intorno al nostro amor proprio? In fondo “il corpo è lieto, lo sguardo è puro, NOI siamo quelli che han cacato di sicuro!”. E tutti quelli che son stati su un palco sanno quanto è fondamentale e portafortuna il grido “MERDA MERDA MERDA”. Allora andate tutti a cagare!
Francesco De Biagi
masochistica, magari per altri 6 mesi per la felicità del datore di lavoro che, sfregandosi le mani come Mr. Burns, progetta già di riportare in auge lo schiavismo perché comunque “ne trovo altri 100 come te”. A tal proposito dobbiamo assolutamente citare l’arma segreta dell’alieno datore di lavoro, che egli ama spesso estrarre con più velocità di quanto farebbe un guerriero Jedi con la sua spada laser. L’arma prende il nome di “esperienza” e la sua forza si misura in “anni”. Ecco che quindi per un simpatico gioco del destino tutti gli anni passati a studiare vomitando libri diventano anni di esperienza che noi non abbiamo! Per non parlare di tutto il tempo perso prima! Rimpiango davvero gli anni trascorsi tra Barbie e peluches…. Dovevo immaginarlo che avrebbero portato solo a colloqui ravvicinati del terzo tipo.
Si ?
viaggiare
una parola per liberarci! di Chiara Salmin
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Parlare di merda è piuttosto strano e difficile nonostante ce ne sia in abbondanza: non mi spiego proprio come mai. Forse perchè non si trova mai il momento della giornata giusto? No perchè se stai mangiando non va bene, se sei rilassato tanta merda stressa, a lavorare non se ne parla.. quando se ne parla??? Forse perchè parlarne significa ammettere che ce n’è e ce n’è dappertutto. Da viaggiatrice quale sono dico che davvero ce n’è ovunque, ognuno ha la sua, c’è chi ne è più o meno sommerso, chi ne scorge maggiormente la presenza fisica e chi sa che c’è ma non la vede..in ogni caso tutti ne sentono l’odore, questa è una certezza! L’importante non è non avere merda ma essere consapevoli di averla per ripartire da lì. Parlo di Italia come stato ma anche di persone. Le persone spesso non riescono ad andare avanti. Fanno un errore ma non migliorano perchè non ammettono di averla pestata la merda. E si continuano a riempire di merda sotto forma di scuse e giustificazioni che li sommergono sempre di più fino a farle cadere in un mare di merda paludosa da cui non ne usciranno se non devastati mentalmente e fisicamente. Questa è la vera merda! E finchè la gente nel suo piccolo non va avanti lasciandosi la merda alle spalle ma ci si sommerge sempre di più non ci si può lamentare che in Italia siamo nella merda (scrivere merda in continuazione è liberatorio!). A proposito di italiani e merda mi è capitato di fare una riflessione viaggiando e ascoltando lingue diverse. è una cazzata ma può essere spunto di riflessione: alcuni stranieri mi hanno fatto riflettere come noi in Italia prediligiamo il nome in gergo del pene piuttosto che dire merda quando dobbiamo imprecare. Dai se ci pensate cazzo è proprio la nostra preferita. Invece in molti paesi la merda è la più gettonata delle imprecazioni. I più conosciuti sono gli inglesi con la loro SHIT e le varie versioni oltreoceano di Americani, Canadesi, Australiani e tutti i paesi anglofoni vari. La merda per i tedeschi è SCHEISSE (sciaisè!), che pronunciano sempre con freddezza e quel loro tono crucco e perentorio. Poi c’è la francese MERDE che però detta da loro suona comunque fine. E gli hispanohablantes, gli ispanici, che dicono MIERDA con molta spinta passionale e convinzione. Effettivamente ha più senso. che senso ha imprecare invocando il pene? Avrà più senso mandare a quel paese qualcosa o qualcuno scaramanticamente invocando la merda per cui ti trovi in quella situazione. si vede proprio che qui da noi di questa merda non se ne vuol parlare!
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di PAMELA TALASSI • San Benedetto Po • via Ferri 94 tel 0376 612381 • fax 0376 446973
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Se fosse l’ultima Se quella del 20 dicembre fosse la nostra ultima cena, cosa mai vorremmo mangiare? Con che cosa vorremmo saziarci? Cosa potrebbe deliziarci e consolarci per quanto sta per succederci? L’uomo che c’è in noi, probabilmente, vorrebbe affondare i denti nei sette classici centimetri di costata fiorentina al sangue, rigorosamente afferrata con le mani e annaffiata con il Chianti del contadino servito in ampi calici da insozzare di unto, perché, naturalmente, nessun tovagliolo presenzierebbe al nostro desco. La donna che c’è in noi sorseggerebbe una minestra di passatelli in brodo di cappone con legatura all’uovo e fegatini, da abbinare ad una bollicina di Chardonnay nel suo inimitabile abbraccio di frutti bianchi appena maturi. La nostra vena bucolica vorrebbe sfamarsi con una suprema zuppa di cipolle campagnole dove affogare i crostini di pane di Altamura arrosticciati sul fuoco vivo del camino e accompagnata dal Sangiovese che ha fatto grande la vigna di Romagna. I nostri pensieri di città, invece, troverebbero giusta soddisfazione in una crema inglese all’arancia da sbrodolare su una soffice fetta di torta lievitata scarabocchiata di cioccolato fondente dove troverebbe legittima sistemazione un Recioto di Soave morbido e dorato. Il nostro desiderio di rampare, poi, andrebbe a nozze gustando una pastosa mattonella di paté de foie gras appena tiepido appoggiato su una glassatura di petali di rosa Tea e da abbinare ad un vino Sauternes a temperatura di cantina. Il bambino nascosto dentro di noi si scioglierebbe davanti ad un piatto fumante di lasagne alla Bolognese, appena strinate sugli angoli, dove per la prima volta ha conosciuto la semplice bontà della besciamella e l’impagabile libertà di lasciare la tavola prima del dessert perché tanto nel primo c’è dentro anche il secondo, con tutto quel ragout. La voglia di rompere la routine della nostra vita, invece, sceglierebbe di sconvolgere semplicemente i classici schemi di assunzione dei pasti, sbafando una croccante fetta di pizza a colazione, un biscotto pucciato nel caffè un po’ più là, frutta secca ancora dopo, e ancora dopo una banana col miele e poi una tisana che profuma di bosco e poi giusto quel pezzetto di pizza rimasto dal mattino, e gelato a cucchiaiate direttamente dal barattolone da dimenticare sul cuscino e da scolare l’indomani, al risveglio, perché tanto se non ammazza rinforza e anche oggi farò come mi pare. … Fermati. Raddrizza la schiena. Posiziona i piedi uno parallelo all’altro. Avvicina la punta del mento alla base della gola. Ascolta il tuo stomaco, che senz’altro, a questo punto della lettura, si fa sentire con chiari ed inequivocabili messaggi. Ricordati di questa primitiva atavica sensazione di debolezza e fa che la magia dell’ultimo giorno ci regali la felicità di ascoltarci un po’ di più ogni giorno della nostra vita.
Clara Zani www.lapavona.it | facebook: la pavona sul sofà
Se stai leggendo questo articolo le possibilità sono due: è il 21 dicembre, il mondo sta finendo ma te ne freghi e sei corso a prendere l’ultimo numero di TuttoQui&Dintorni; il mondo non è finito e adesso non sai come impegnare il tempo, quindi ti tieni occupato leggendo tutto ciò che ti capita a tiro. In entrambi i casi Cucinatollerante ti serve un menù a tema per sfidare un’ultima volta i simpatici Maya o per prendere bellamente per i fondelli le cassandre di turno! La cucina messicana deriva dall’incontro di quella Maya con quella dei conquistadores spagnoli: alla base ci sono mais, fagioli e spezie mentre dalla Spagna arrivano il riso, la carne e il vino. Contaminazioni dall’Africa e altre nazioni originarono le molte variazioni regionali. Gli ingredienti fondamentali sono: i fagioli, in molte varietà con usi e preparazioni differenti, il chili (peperoncino) con varianti dal dolce al piccantissimo e il mais. Tra le preparazioni della cucina messicana un vero “must” sono le salse, molte piccantissime e altre più “abbordabili” ma mai delicate, come la famosissima guacamole. Forse la bevanda più nota è la tequila, distillato ottenuto dal cuore dell’agave e disponibile in tre tipi riconosciuti: tequila blanco, tequila reposada e tequila añejo. La vera bevanda nazionale messicana però è la cioccolata in tazza! È aromatizzata con vaniglia o cannella e servita calda o fredda.
Kopi Luwak! Lino Alberini | www.misterlino.com
Ad ognuno la sua tazza. Ovvero, non tutta la cacca viene per nuocere. Kopi Luwak, per i tecnologici sono sufficienti un pc ed una connessione internet, per il resto ci pensa Wikipedia. Ma nessuno sa se è veramente unico questo caffè che viene raccolto da terra dopo essere stato ingerito, digerito ed espulso dallo Zibetto (un simpatico animaletto) nelle foreste indonesiane. Il suo prezzo è fuori mercato, 600 euro al Kg nei pochi gourmand che possono permetterselo, ma come tutte le cose rare, il prezzo lo fanno i migliori acquirenti. Generalmente una volta che si è deciso di spendere 10 euro
Nella tradizione messicana cucinare è un modo per stare insieme e non soltanto per preparare i cibi; la cena è fatta per divertirsi insieme, intingolare, ed quindi giusto lasciare scegliere agli “ospiti” gli abbinamenti di gusti e colori. Per la tua cena messicana da fine del mondo puoi cominciare con gli antipasti messicani (nachos con salse varie, nachos con pomodorini e formaggio), a seguire burritos, fajitas e quesadillas (sorte di piadine da farcire) burritos con macinato di manzo e salsa rossa piccante, fajitas con salsiccia e fagioli, fajitas con nuggets di pollo, lattuga e salsa rossa, fajitas di pollo con guacamole, fajitas di pollo in rosso, quesadillas in rosso, tacos con farciture varie. Il tutto accompagnato da fagioli refried e pannocchie alla griglia. Ovviamente è fondamentale farti un’adeguata scorta di birra gelata, soprattutto se di gusto corposo e forte, che si accompagna bene ai saporiti piatti messicani. Se volete saperne di più: http://cucinatollerante.altervista. org/menu/la-nostra-cena-messicana/
per una tazza si passa oltre al fatto che viene raccolto a mano e ripulito dagli escrementi secchi, viene spolpata la bacca e i chicchi riposti in piccoli sacchetti pronti per il mercato estero. Quando durante la visita di una piantagione in Guatemala ho conosciuto Patrizio Bruson, importatore per l’Italia di questa “chicca” (che può far rima con “cacca”), ho capito che stavamo andando alla ricerca dell’inesistente, ma che alla fine di che cosa dovevamo scandalizzarci? Da dove escono le uova? Tecnicamente la polpa protegge il chicco, il chicco viene tostato a 220°C e il caffè macinato deve subire il passaggio dell’acqua ad una temperatura di 93°C. Non è facilmente riconoscibile in tazza se uno non ha un magazzino sensoriale di riferimento e deve andare in estrema fiducia con chi lo sta proponendo (il tuo barista). Ma tutto questo a chi giova? Al palato non ha raggiunto i livelli del Jamaica Blue Mountain anche se il suo prezzo è più di 4 volte superiore; c’è chi ha pensato di non accontentarsi di raccoglierlo dopo essere stato espulso naturalmente, ma di farne un allevamento in batteria costringendo gli zibetti a mangiare le bacche e agevolarne l’espulsione (patè de fois gras docet). Dopo averlo acquistato crudo mi sono premunito di codificare una tracciabilità per fare in modo che il consumatore fosse sicuro di avere il vero “Kopi Luwak”. In tazza, a seguito della fermentazione grazie agli enzimi dello stomaco, spiccano l’acidità e il dolce-amaro del cacao. Io consiglio di berlo ad infuso o french press (lo stantuffo per la camomilla) accompagnato da biscotti secchi speziati… ma non diventatene dipendenti perché può nuocere al portafoglio!
Kakaw di Maya “Perché la vita è così: un arazzo immenso dove, nel momento più cupo e atroce, da qualche parte , una spanna sotto la terra, i semi che trasformeranno il mondo in un giardino stanno già cominciando a germogliare” Silvana De Mari Che sia un’idea di Madre Natura o del dio Atzeco Quetzalcoatl, una cosa è certa: il cacao ha origini antichissime e, come il narcotraffico, l’inflazione e il Salsa&Merengue, è latinoamericano. La pianta del cacao cresceva spontaneamente sulle rive dell’Orinoco, ma i nostri amici Maya, che lo chiamavano Kakaw, furono i primi a coltivarlo nella penisola dello Yucatán in Messico. Si perfezionarono sul Kakaw per 1500 anni, ne utilizzarono i semi come moneta e ne produssero una bevanda considerata sacra. Lo trovavano così buono e pieno di proprietà energetiche che lo davano da bere ai sacerdoti nelle cerimonie religiose, ai nobili e ai guerrieri e pure alle vittime dei sacrifici umani (tanto per dar loro un contentino
di Anna Giraldo
prima di fargli tirare le cuoia). Il Kakaw… Poi quando, nel 1519, Cortéz e i suoi conquistadores spagnoli sbarcarono in Messico, dissero “No! Non possiamo chiamare ‘sta roba marrone con un nome che inizia per “Caca”, non sta bene!!”, e pensarono di cambiare la radice in choco o qualcosa che suonava più o meno così. (Come se fossero state bene tutte le cosette carine che combinarono laggiù – n. acida d.r.). Del resto i conquistadores non avevano capito niente. Lo testimonia anche il fatto che, quando arrivarono, domandarono, ovviamente utilizzando il loro idioma (mica si potevano sforzare, i poverini) quale fosse il nome di quella terra che si apprestavano a sottomettere e depredare in nome della civiltà e ricevettero in risposta proprio dai Maya “Yectean!”, ovvero “Non ho capito”. E loro, dimostrando di aver capito tutto, chiamarono quella terra, per l’appunto, “Yucatán”. Anche i Maya non avevano capito bene cosa fossero venuti a fare quei signori, ma erano persone ammodo e avevano pure una profezia secondo la quale un nobile esercito con le armature d’argento sarebbe arrivato dal mare per portare loro doni e ricchezze. Accolsero così il buon Cortéz con tutti i crismi dovuti agli eroi e agli déi (si sa mai che il nobile esercito
Carissimi Zuccherini siamo alla fine! Vi ho tenuto compagnia per ben due numeri e in questo non vi posso più nascondere nulla..e va bene, è vero! Il mio gusto non è proprio d’Asti invecchiato, sono più agrodolce e aspro... ma in qualche modo dovevo conquistarvi! Vi ho raccontato come sono, che cosa mangio e perché faccio tanto bene, ma dove mi potete trovare? Ahrrrrg per tutti i bucanieri! Dovreste salpare i mari dell’Est, sconfiggere la nave pirata zombie e cercare fra i tesori di Edward Teach! Diciamo che se andate su internet, mi trovate subito! Tanti siti online sono disposti a vendermi o a vendere il mio prezioso the! Fra tutti, però, preferisco la vecchia maniera: il regalo. La tradizione vuole che sia il regalo per una persona a voi cara, e modestamente io valgo! Niente prezzi, solo regali, se fate una piccola ricerca troverete sicuramente qualcuno disposto a regalarvelo! Una volta entrati in mio possesso, mi dovrete costruire un bell’acquario in cui nuotare! Ci sono molte ricette: la mia preferita è quella di Karin, la mia amica, che prepara con tanto amore! Innanzitutto dovete usare un recipiente di vetro o di acciaio, anche una pentola di qualsiasi forma -non vado molto d’accordo con la plastica!- Per il brodino considerare 2 litri come riferimento e variare la quantità a seconda del recipiente utilizzato: vi ricordo che mi adatto a qualsiasi forma! Che fico che sono! In questi 2 litri sbriciolare circa 5 cucchiaini di the bancha verde (rivolgersi ad una buona erboristeria) e aggiungere circa 150 gr di zucchero, non raffinato mi raccomando! Quando mi presentate la nuova casetta ricordate di lavarmi accuratamente sotto l’acqua corrente tiepida, non voglio puzzare nella nuova casetta! Dopo 12 giorni ripetere il rituale e versare il the fermentato in una bottiglia “vergine” di vetro! Ogni giorno assumere un dito di the prima di ogni pasto senza esagerare, non sono il genio della lampada! Se rimane tanto the, si può usare per le piante o potete regalarlo a qualche amico! L’importante è sempre farlo con amore.
CON I FIOCCHI Questa sera ci siamo fatti un programma che è la fine del mondo. Ce ne stiamo in casa, al calduccio e accendiamo il camino. È sempre una magia il fuoco scoppiettante che proietta riflessi dorati. Potremmo invitare qualche buon amico, magari si va a prendere la pizza. Mettiamo i piatti delle feste, qualche candela profumata, musica in sottofondo. Che meraviglia la nostra casa! Decidiamo di dedicare un pò di tempo a riordinare il nostro rifugio e scopriamo che è rilassante e corroborante; la nostra casa riflette la nostra personalità e con l’arrivo dei primi freddi, se ne apprezza il valore in modo speciale. Più tardi ci viene voglia di cucinare, indossiamo uno scenografico grembiule da cuoco e vogliamo preparare la tavola in modo originale e creativo. Allora sfogliamo riviste di cucina, navighiamo in rete per trovare consigli, idee suggestive per rendere unica un’occasione o semplicemente ampliare i nostri orizzonti. La cura che dedichiamo alla nostra abitazione ci appaga con quella piacevole sensazione di benessere semplice che ci fa sentire in pace. In alternativa ce ne andiamo a spasso tra le corsie del centro casalinghi dal toscano. Un vero paradiso per chi ama la casa, sia nel suo concetto più intimo, sia come luogo ideale per offrire ospitalità a chi abbiamo a cuore! Qui si respira l’idea di casa così come ciascuno la può desiderare, un’idea che va oltre le mode, oltre il design. Scopriamo una location ideale per trovare spunti e suggerimenti, per imparare qualche segreto da chef o da artisti, spesso coinvolti in dimostrazioni ed eventi proprio qui DAL TOSCANO. Troviamo quello che ci manca per creare e ricreare attorno a noi il nostro mondo incantato, quell’atmosfera magica che tutti desideriamo e che ci possiamo permettere perché fatta di dettagli. Allora questa sera ce ne torniamo a casa un pò più felici, perché ci sentiamo più ricchi. Abbiamo imparato un nuovo segreto giusto per quell’occasione o abbiamo trovato finalmente il regalo perfetto per un’amica estrosa o per il papà che ama il barbecue e non è mai attrezzato a dovere. Le possibilità al centro casalinghi dal toscano sono davvero infinite se utilizziamo come ingrediente di base il nostro buon gusto ed aggiungiamo un pizzico di novità, che qui non manca mai. Poi questa sera ce ne stiamo in casa al calduccio, forse il camino non c’è, però abbiamo iniziato un bel romanzo avvincente e sotto le luci ammiccanti dell’albero di Natale ci rilassiamo tuffandoci in avventure lontane, al sicuro nel nostro nido semplice, che abbiamo imparato a rendere speciale… e così, fuori, il mondo potrebbe anche finire!
Grazie mille per avermi seguito, siete degli zuccherini dolciosi! Per qualsiasi dubbio chiedete info alla mia amica Karin EasyKa Krispino, è quella con la faccia stupida! Kombuchino
fosse proprio il suo) e gli offrirono una bella tazza della loro bevanda preferita: semi di cacao tritati, peperoncino, pepe e acqua caldissima. Niente zucchero, né latte. E shakerata a dovere, così da produrre un bello spumone denso e disgustoso in superficie. Era roba per gli déi, si intende… A Cortéz, che non era un dio né un suo rappresentante, checché ne pensassero nei pressi di Roma all’epoca, quella roba che gli dettero da bere fece proprio schifo. C’è da pensare che avesse anche qualche sospeso rancoroso con Carlo V perché quando tornò in Europa, una delle prime stranezze esotiche che gli portò in dono fu, appunto, una manciata di semi di cacao e la ricetta dell’immonda bevanda. Carlo V, anche detto Il Pigliatutto, ne aveva viste di ogni sorta nel suo regno sul quale non calava mai il sole, quindi ebbe una pensata: “Diamola da bere al clero, si sa mai che si diano una calmata!”. Non si dettero una calmata, quelli. No, non se la dettero ancora per diversi secoli. Forse il dono di Carlo V non li aiutò… insomma era una bevanda dalle note proprietà afrodisiache e loro avevano fatto dei voti… Ebbero un bella idea, però, aggiunsero zucchero e vaniglia al cacao e lo fecero assaggiare in giro per l’Europa con le deliziose conseguenze che ancora oggi possiamo gustare… Così, quando mangiate un boero, una fetta di pane spalmata di Nutella e pure un Tegolino… ricordatelo sempre: state mangiando un po’ di Kakaw di Maya.
ph. Luca Gallini
Vi lovvo tanto.
Il 27 | 10 | 2012 il centro casalinghi dal toscano ha ospitato l’evento NUTRIMENTE organizzato da TuttoQUi&dintorni in collaborazione con Cucinatollerante, Tavolestrette, Anna Giraldo e Federico Aprile. Un ringraziamento particolare alla squisita ospitalità di Luca Carraresi e all’organizzazione coordinata da Giorgia Caramanti.
per organizzare eventi in collaborazione
redazione@tuttoqui.info
15 | 16 e 22 | 23 dicembre TuttoQUi&dintorni ai Salotti di Sartoria Artistica A Natale ritornano i SALOTTI DI SARTORIA ARTISTICA con il tradizionale mercatino dedicato all’autoproduzione e all’artigianato. TuttoQUI&dintorni sarà presente per documentare questo atteso evento. Sotto la Loggia del Grano, a Mantova saranno esposti capi di abbigliamento, borse e pezzi unici ideati da appassionate di cucito e riciclo. L’evento, nato nel 2010 ha l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sul tema della sostenibilità e del cucito. Continua la raccolta di materiale di recupero: l’appello di recarsi sotto la Loggia del Grano è rivolto a chi vuole donare alle espositrici spagnolette, cravatte, cordoni, stoffe e materiale di merceria.
info: www.riqu.tumbrl.com | facebook: Riqù L’Arte Sul Filo
ph. Marina Negri
III^ ed ultima puntata di Karin EasyKa Krispino
UN PROGRAMMA
ph. Marina Negri
Fatti un amico fungo
&
giachery
venerdì
23
solidariamente
EMERSIONE E POTENZIAMENTO ASSOCIAZIONISMO
GIOVANILE
novembre dalle 22.00
fotografia
GOITO
centro area feste Aquilone
divertimento
Trio Porco Beat Bros Be original
cultura musica
Regione Lombardia, in collaborazione con i Centri di Servizio della Lombardia, ha offerto l’opportunità di conoscersi e collaborare ad alcune associazioni giovanili del territorio mantovano per favorire l’emersione e il potenziamento dell’associazionismo giovanile. Le associazioni giovanili Art&Life di Porto Mantovano, GUC Gazoldo Under Costruction, I Saturnali di Goito, Istituto Formazione Risorse Umane Giachery di Mantova, La luna nel pozzo di Pozzolo, Sabbio Pro Events di Sabbioneta, Solidariamente di San Giacomo delle Segnate, TuttoQui & dintorni di Quistello, con il coordinamento del CSVM di Mantova, hanno dato vita ad un evento ricco di contaminazioni tra musica, fotografia, cultura e tanto divertimento. Uno scambio tra territori per stare insieme e chiacchierare in una serata che ha favorito l’approccio e la comunicazione tra le persone e ha dato l’opportunità ad ogni associazione per farsi conoscere e presentarsi agli altri. Il piacere di stare insieme, per conoscersi meglio e per condividere passioni e idee, per sviluppare progetti e sinergie per il futuro, ha animato il centro area feste Aquilone di Goito che ha ospitato l’evento. Tutti i ragazzi delle associazioni hanno dimostrato la loro voglia di fare, nonostante le difficoltà che il mondo dell’associazionismo giovanile incontra, ma “l’unione fa la forza” e il 23 novembre u.s. ne abbiamo avuto la prova! Grazie a tutti coloro che hanno partecipato e condiviso una serata speciale! Non perdiamoci di vista, grandi progetti ci aspettano!
stampa Mediaprint | S. Giovanni Lupatoto | VR
GUC
life
VM
Art
CS
e dintorni
sabbio pro events tutto qui
la luna nel pozzo
www.csvm.it
centro area feste Aquilone - Goito
I giovani ci sono, si organizzano e hanno voglia di fare per sè e per la propria comunità di appartenenza. Sono una vera e propria risorsa da coltivare, rispettare e potenziare. Noi lo sappiamo molto bene!
23|11 saturnali2012
giochi
23undici2012 | EMERSIONE E POTENZIAMENTO ASSOCIAZIONISMO GIOVANILE
ArtandLife Mantova | GUC gazoldo | Centro Area Feste Aquilone La Luna Nel Pozzo | Sabbio ProEvents | Tutto Qui e dintorni on web: www.solidariamente.it | coordinamento.giovanissimi@gmail.com (Giachery)
Concedetemi uno spazio per uno sfogo sentimental-malinconico. No? Pazienza, me lo prendo comunque, chi comanda QUi? Bella domanda. QUi comandano e dettano legge la passione e l’entusiasmo, sopra ogni cosa. Persino sopra il buonsenso. Quest’ultimo, assai antipatico alla sottoscritta, avrebbe voluto che ci fermassimo prima; questa meravigliosa e pure un po’ folle avventura (la sottoscritta adora la follia!) che si chiama TuttoQUi&dintorni, facendo i conti della serva, avrebbe dovuto smettere di esistere già al secondo numero. C’è la crisi, chiedere sponsorizzazioni in un momento come questo, per un progetto così poco pragmatico, senza aver pianificato strategie di mercato, è roba da matti. Confermo. Caliamo le braghe, non ci stiamo dentro. Ma la passione che “spesso conduce a soddisfare le proprie voglie senza indagare” ha prevalso sinora. Sono usciti lo zero, lo zero0, lo zero1, lo zero2 e ora lo zero3. Il prezioso carburante che ci ha sostenuto nella nostra lucida follia, nemmeno il petroliere più ricco lo possiede. Parlo ovviamente di tutti i nostri collaboratori appassionati che hanno regalato a noi della redazione un anno magico. Tutti gli eventi organizzati, da non professionisti quali siamo, si sono rivelati grandi successi, perché la passione e l’entusiasmo estremamente contagiosi hanno fatto da padrone. La passione appassiona è il motto di QUi da sempre. Forse non ci sarà lo zero4. O forse sì. Questo mio sfogo vuole essere anche un appello a tutti voi lettori. Noi siamo partite in tre e oggi siamo più di venti! E la porta è sempre aperta e in corsa si aggiunge sempre qualcuno. Scrive un nostro sostenitore e neo-collaboratore: “vi seguo fin dal numero zero e ho grande stima di voi: sono convinto che stiate dando voce, con coraggio, libertà e immaginazione, alla sensibilità e al bisogno di espressione di una generazione che altrimenti rischia l’evanescenza, l’irrilevanza o, peggio, l’invisibilità. Odio le gabbie generazionali e sento il bisogno di mettermi in dialogo con voi. Per me si tratta di un bisogno vitale. Spero che lo condividiate.” Ecco, un bisogno vitale che va alimentato, da tutti voi. Aiutateci a continuare la nostra meravigliosa folle avventura, io credo che ce la faremo. Grazie a chi ci ha creduto e sostenuto, anche economicamente, e grazie infinite a tutti i nostri ragazzi, al loro entusiasmo, alla loro passione, alla loro energia vitale che rende TuttoQUi&dintorni unico, perché noi insieme siamo unici! A presto, vi lovvo zuccherini!!! (cit. Karin :-))
22 dicembre 2012 | 6 gennaio 2013
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MOSTRA di illustrazioni a sostegno del manifesto del “movimento internazionale per il rispetto dei diritti dell’infanzia”
Fruttiere di Palazzo Te | viale Te, 13 | Mantova info: tel. 0376 49951 | info@dirittiacolori.it
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