Euroedizioni S.r.l. - Anno VI - n. 1 Gen/Feb/Mar 2012 - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 1, CN/BO
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Nel frattempo abbiamo fatto la cosa più importante che un Sindacato deve fare in un momento cruciale come questo: prima ancora di commentare quello che vuole fare il Governo con le pensioni dei poliziotti dobbiamo spiegare con la massima chiarezza quello che vogliamo fare noi. Noi diciamo subito che il sistema, così com’è adesso, non va bene e che vogliamo cambiarlo. Non ci andava bene, quindi, la “Proposta tecnica” delle Amministrazioni, che tentava di lasciare le cose così come stanno nonostante proprio quello stesso elaborato ammetta esplicitamente l’esistenza di una «complessa problematica relativa al superamento di alcuni disallineamenti in materia, soprattutto tra le Forze armate e le Forze di polizia ad ordinamento militare da un lato e le Forze di polizia ad ordinamento civile dall’altro». Sono proprio i comandi a dire che, se la struttura delle pensioni del Comparto resta così com’è, non solo vengono penalizzati i poliziotti, ma anche che, sono proprio loro a scriverlo, cambiare le cose «potrebbe portare alla revisione in senso più favorevole di taluni istituti per il personale interessato»: infatti tra qualche anno il problema non sarà più QUANDO vai in pensione, ma QUANTO ti danno. Bisogna essere molto chiari su questo punto: un poliziotto che va in quiescenza oggi percepisce una pensione netta pari all’ultimo stipendio ma, già nei prossimi anni, se le cose non cam-
prima ancora di commentare quello che vuole fare il Governo con le pensioni dei poliziotti dobbiamo spiegare con la massima chiarezza quello che vogliamo fare noi 8
biano, la pensione comincerà ad abbassarsi fino ad arrivare si e no al sessanta per cento dell’ultimo stipendio o anche meno: in pratica chi, alla fine della carriera, percepisce uno stipendio di 1.600 euro riceverà una pensione di circa 900 euro. Una differenza enorme che neanche l’attuazione della previdenza complementare potrebbe colmare.
Di questo problema, che riguarda i colleghi entrati in servizio già a partire dagli anni ’80, la “Proposta tecnica” non si occupa affatto ma, anzi, tenta di impedire modifiche strutturali al nostro sistema pensionistico, lasciando lì sia le ingiustizie che eufemisticamente definisce “disallineamenti”, sia quelle che, nei prossimi anni, porteranno gli importi delle pensioni dei
poliziotti a rasentare quelli delle pensioni sociali. Abbiamo anche ritenuto opportuno partecipare ad incontri collettivi delle rappresentanze con leader politici e possiamo garantire che lo spettacolo cui i politici hanno assistito non è stato certamente dei migliori: rivendicazioni di segno diverso, se non addirittura opposto, non solo tra apparte-
nenti a diverse amministrazioni, ma anche a diverse sigle nell’ambito della stessa amministrazione, con incompatibilità tra sigle manifestate pubblicamente e platealmente con l’abbando-
no della sala. Se ci presenteremo al Governo in queste condizioni, senza avere un progetto di massima che accomuni le rivendicazioni non solo nel Comparto
Abbiamo anche ritenuto opportuno partecipare ad incontri collettivi delle rappresentanze con leader politici e possiamo garantire che lo spettacolo cui i politici hanno assistito non è stato certamente dei migliori sicurezza, difesa e soccorso pubblico, ma anche nell’ambito delle organizzazioni sindacali del personale della Polizia di Stato, la possibilità di difendere gli interessi dei poliziotti sarà ridotta a zero. Ma c’è di più, e di peggio. Oggi più che mai emerge l’assoluta eterogeneità delle componenti di un Comparto che vede convivere al suo interno competenze e percorsi professionali talmente diversi da avere esigenze - e quindi rivendicazioni che possono essere addirittura contrapposte. Se, con tutte le sigle sindacali che rappresentano i poliziotti, non saremo capaci di convergere e far fronte comune su un progetto strategico, da confrontare con la linea che i comandi militari stanno elaborando, per poi giungere ad una sintesi idonea a salvaguardare gli interessi dei poliziotti, il rischio concreto è che questi soccombano ancora a favore delle stellette e non solo, forse ANCHE di altre componenti. Riteniamo quindi ingiusto e sbagliato lasciare inalterato il sistema delle pensioni del Comparto perché ciò danneggerebbe gravemente i poliziotti e, quindi, la nostra proposta è di effettuare un intervento che non sia solo un ritocco, ma incida sulla sua struttura per sanare i disallineamenti e salvaguardare tutti noi, non solo alcune posizioni e qualifiche. Ancora più ingiusta e sbagliata è la bozza di modifica fattaci pervenire dal Governo, talmente ingiusta e sbagliata da indurci a scrivere direttamente al Presidente della Repubblica. 9
li abbiamo chiesto di raccontarci un po’ di quella sua esperienza con i nostri colleghi di allora, aggiungendo il suo punto di vista sulla Legge di riforma approvata dal Parlamento nel 1981 e sulla sua attuazione. “Era il 1974, quando ci riunivano in una saletta della Uil, in piena clan16
destinità. Anche se il paragone può apparire dissacrante, ci sentivamo come i carbonari del Risorgimento. Altre riunioni vennero tenute nelle
nostre abitazioni private, attuando strategie di depistaggio da chi ci teneva sotto controllo, verificandosi il paradosso di poliziotti inseguiti
La riforma, che trovava nei suoi dieci punti gli aspetti più qualificanti del programma, uno fra tutti la smilitarizzazione, purtroppo, a distanza di anni non ha dato i frutti desiderati
Resta ancora oggi grave e attualissimo il tema della sicurezza e della legalità, alimentato da una confusione di idee che ostacola la soluzione del problema da altri tutori dell’ordine. Ricordo che il nucleo principale apparteneva alla polizia scientifica. La riforma, che trovava nei suoi dieci punti gli aspetti più qualificanti del programma, uno fra tutti la smilitarizzazione, purtroppo, a distanza di anni non ha dato i frutti desiderati. Proprio la smilitarizzazione doveva integrare la polizia con il cittadino, quindi creare, svolgere, applicare, monitorare una politica di prevenzione mirata alla sicurezza e al servizio della persona del cittadino. Pertanto, la centralità sarebbe dovuta essere nel rispetto del servizio nel servizio. I poliziotti avrebbero voluto un rapporto organizzativo con Cgil – Cisl – Uil per valorizzare la rappresentanza di sé stessi, invece è accaduto esattamente il contrario: si è avuto il proliferare di tante sigle sindacali che, pur nei loro lodevoli intenti, spesso non rappresentano gli interessi dei poliziotti, ma interessi di parte, se non addirittura carrieristici.
I famosi dieci punti della riforma servirono comunque a far conoscere all’opinione pubblica l’esistenza e l’importanza di noi pionieri e dei nostri interventi, come il reinserimento dei membri della squadra volante, “colpevoli” di aver gettato davanti al Ministero dell’interno una corona funebre. La Federazione, andando controcorrente ed esponendosi senza limiti, li difese con successo, creando un precedente che all’epoca sapeva di miracolo. Ricordo che la prima riunione clandestina a livello nazionale avvenne ad Ariccia, mentre la prima riunione pubblica all’hotel Hilton a Roma. Con nostalgica simpatia mi è impossibile dimenticare una notte quando, al termine di una delle riunioni settimanali che venivano organizzate in una saletta della Uil di via Cavour, all’uscita cogliemmo in flagrante dei ladri che stavano rubando le gomme delle nostre auto. In quanto all’aspetto strategico, già allora pensavamo ad una polizia
europea e al coordinamento dei vari corpi ed invece, ancora oggi, siamo l’unico Paese ad avere ben cinque forze di polizia che si sovrappongono fra loro creando confusione tra le rispettive competenze. Come dicevo la Uil, al contrario, ha sempre auspicato e si batte tuttora per una polizia snella, di qualità, altamente specializzata, che non incorra nel pericolo di un marasma di competenze. Resta ancora oggi grave e attualissimo il tema della sicurezza e della legalità, alimentato da una confusione di idee che ostacola la soluzione del problema. Credo tuttavia che il tempo non sia passato invano e riscontro che, nonostante il permanere di anacronistici vincoli normativi formali, nella sostanza i poliziotti abbiano sviluppato una piena e radicata consapevolezza democratica e sociale, inserendosi perfettamente e da protagonisti nel mondo del lavoro. Sono fiero di aver potuto dare il mio modesto apporto all’importante contributo che la Uil ha dato al processo di democratizzazione della polizia, concorrendo a conseguire con giuste ma purtroppo ancora insufficienti gratificazioni per i lavoratori della pubblica sicurezza ed il superamento della logica della contrapposizione con la diffusione dei nostri valori riformisti e solidaristici.” 17
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Dal 1952 l’Ital, Istituto di tutela ed assistenza dei lavoratori, è il patronato della Uil, riconosciuto con decreto ministeriale del 18 giugno 1952: un’esperienza più che cinquantennale al servizio di tutti i cittadini. In un contesto sociale in evoluzione ha scelto di non limitare le sue potenzialità alla semplice tutela e assistenza del lavoratore e del cittadino: da tempo la sua attività contempla anche i ruoli di segretariato sociale e consulente della famiglia per dare risposte alle nuove esigenze che emergono in tutti i cicli e momenti della vita. Tutte le esigenze e i problemi relativi ad ogni categoria sociale vi possono trovare una risposta e un aiuto concreto: maternità, vecchiaia, disabilità, rapporti con la burocrazia, esclusione sociale, inclusione dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie. Ancora prima dell’approvazione della legge di riforma degli istituti di patronato si è posizionato all’avanguardia, offrendo a chi si rivolge alle sue sedi informazione, assistenza tecnica e soluzioni concrete in materia di: - sicurezza sociale, - previdenza, risparmio previdenziale e fisco, - lavoro e mercato del lavoro, - salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, - diritto di famiglia e delle successioni. Il ruolo di pubblica utilità svolto dai
patronati in questi anni è innegabile, tant’è vero che la Corte Costituzionale non ha ritenuto ammissibile il referendum che ne chiedeva l’abrogazione, riconoscendone viceversa l’alta funzione sociale nello svolgimento di attività di interesse generale individuata dalla Costituzione, all’articolo 38 e riaffermandola nella sentenza n. 42 del febbraio 2000. Nato per difendere i diritti dei lavoratori e delle loro famiglie e per realizzare un sistema di sicurezza sociale basato sugli ideali di libertà e sul riformismo economico, con il trascorrere degli anni e con l’evolversi del Paese e della sua legislazione, l’Istituto ha costantemente la propria offerta di servizi ed arricchito i suoi campi di intervento, accompagnando i cambiamenti della società italiana. Nel tempo sono emerse problematiche nuove, come l’invecchiamento della popolazione; le nuove povertà ed emarginazioni; le difficoltà quotidiane incontrate dalle famiglie nell’affrontare norme previdenziali e assistenziali che si sono fatte via via sempre più complesse ed ostiche; il notevole incremento dei flussi migratori con tutte le problematiche che porta con sé; il cambiamento del mondo del lavoro con l’introduzione dei lavori atipici; gli squilibri territoriali che crescono: l’Ital, che ha natura di persona giuridi-
ca di diritto privato e svolge un servizio di pubblica utilità attraverso la tutela gratuita dei cittadini come componente attiva del sistema servizi Uil, ha elaborato soluzioni adeguate per affrontarle, radicato com’è nel territorio nazionale come all’estero e potendo contare su circa 900 sedi in cui lavorano circa 2000 operatori, collaboratori e delegati sindacali di riferimento. Le risorse umane sono altamente qualificate e possono vantare una solida professionalità, acquisita e mantenuta tramite progetti di aggiornamento e di formazione continua. Nelle sedi estere operatori e collaboratori svolgono anche attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari. Come previsto dalla recente approvazione del regolamento attuativo della legge di riforma dei patronati, è impegnato quotidianamente nella costituzione di sportelli informativi unici ai quali il cittadino può rivolgersi in Italia e nel mondo per risolvere i propri problemi. In questa prospettiva il Patronato nel futuro sarà sempre più un soggetto necessario e indispensabile per il cittadino: attualmente sono milioni i cittadini che frequentano i nostri uffici e visitano il sito ital.uil.it. 19
Il Caf Uil S.p.A. è il Centro di assistenza fiscale costituito dall’Unione italiana del lavoro (autorizzazione del Ministero delle finanze n° 00021) che opera dal 1993 nel settore dell’assistenza fiscale rivolta a tutti i dipendenti pubblici, privati e pensionati per adempiere agli obblighi della dichiarazione dei redditi nel modo migliore attraverso un’assistenza di qualità, professionalità e cordialità. E’ uno dei Caf leader del nostro Paese ed ha elaborato milioni di modelli 730 con la massima professionalità e riservatezza, inviandoli per via telematica
all’Amministrazione finanziaria: tutti i dipendenti, pubblici e privati, i pensionati, i lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto possono beneficiare dell’assistenza fiscale. A tutela dei contribuenti su ogni modello 730 elaborato viene rilasciato il visto di conformità, mediante il quale viene garantito che i dati esposti in dichiarazione e relativi alle ritenute subite, alle deduzioni dal reddito, alle detrazioni d’imposta ed ai crediti d’imposta, corrispondano alla documentazione esibita e non superino i limiti
previsti dalla normativa vigente. Presta assistenza per: i modelli 730, Unico ed Imu; le dichiarazioni di successione; i modelli Isee ed Isee università; la compilazione dei modelli Red con Inps, ex Inpdap ed altri enti previdenziali; l’invio telematico dei contratti di locazione; la compilazione delle domande di regolarizzazione di colf e badanti, nonché per tutte le richieste di carattere fiscale ed inoltre, insieme agli altri servizi Uil, assiste la famiglia nel campo della tutela dei diritti sociali e civili. Affidarsi al Caf Uil vuol dire ottenere immediatamente, in busta paga o sulla pensione, il rimborso dei crediti di imposta per i quali oggi con il modello Unico è necessario attendere anni; è anche possibile versare il saldo dovuto attraverso trattenuta sulla busta paga o sulla pensione, evitando i versamenti in banca o all’ufficio postalea. Il Caf Uil S.p.A. ha ottenuto, nel luglio del 2003, la certificazione di qualità UNI EN ISO 9001/2000, rilasciata dalla “Det Norske Veritas Italia S.r.l.”, leader mondiale nel settore della certificazione di sistemi di gestione della qualità: il sito internet è cauil.it. L’Adoc è l’associazione nazionale per la difesa e l’orientamento dei consumatori; degli utenti; dei risparmiatori; degli ammalati e dei contribuenti. Costituita nel 1988 conta oggi circa 65.000 iscritti ed è presente in tutti i capoluoghi di provincia con volontari esperti nei diritti dei consumatori in grado di dare informazioni ai cittadini ed abilitati alle procedure di conciliazione ed arbitrato, pronti ad assistere direttamente gli iscritti in qualunque tipo di controversia. In ogni sede è inoltre possibile usufruire di consulenza legale specialistica garantita da avvocati convenzionati. E’ tra i fondatori di Consumers’ Forum; fa parte del Consiglio nazionale consumatori ed utenti (Cncu) e del Comitato tv e minori, partecipando attivamente
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a: Sms consumatori, programma di monitoraggio dei prezzi alimentari promosso dal Ministero dell’agricoltura e dell’alimentazione; Patti chiari, iniziativa dell’Abi intesa a promuovere una
maggiore trasparenza nel mondo bancario; Fondazione Ania-consumatori; Commissione consultiva presso Aspi per la sicurezza stradale; al Forum per il servizio civile, nell’ambito del ha la tito-
larità della vice presidenza nazionale. Con la rivista mensile Adocchiatutto e con il sito web adoc.org, Adoc garantisce un’informazione costante ed attenta.
L’Uniat è un’organizzazione attiva a favore delle persone che si trovano a confrontarsi con le problematiche della casa, dell’ambiente e del territorio: nasce dalla combinazione dell’esperienza storica della Uniat Uil nella tutela e promozione dei diritti degli inquilini con l’intuizione della nuova Uniat per la promozione di una sostenibilità integrata tra iniziativa abitativa ed ambientale. A tutela dei propri iscritti e di tutta la cittadinanza è chiamata a far fronte ad una serie di attività che, a secondo dei livelli di rappresentanza, possono essere così sintetizzate: analisi della condizione abitativa a livello nazionale ed in ogni realtà locale, individuazione dei fabbisogni
tipi di contratto a valere sul territorio nazionale, la ripartizione degli oneri accessori. Sulla base di questi criteri contrattazione, a livello di territorio, con i sindaci e le associazioni locali della proprietà, per la stipula degli accordi territoriali di individuazione delle zone e delle fasce di oscillazione dei canoni; contrattazione con le grandi proprietà per la stipula di accordi nazionali quadro per l’applicazione del canale concordato sulla scorta dei quali le strutture territoriali contrattano e stipulano accordi integrativi che fissano i livelli dei canoni per ciascun complesso immobiliare ed individuano tutele particolari per i soggetti più deboli; rapporto e confronto costante con le
nelle procedure di dismissione dei grandi patrimoni pubblici e privati e interlocuzione con le proprietà per la tutela dei diritti e delle esigenze di chi non è nelle condizione di acquistare; consulenza, assistenza, patrocinio legale e tutela degli iscritti e cittadini in genere su tutti i problemi connessi al rapporto di locazione (stipula contratto e/o verifica della conformità dei suoi contenuti alle norme di legge, individuazione e/o verifica del livello dei canoni, registrazione dei contratti di locazione sia in cartaceo che, attraverso i Caf Uil, per via telematica, conciliazione, ove possibile, delle controversie, assistenza legale in sede di contenzioso sia esso individuale che collettivo, verifica della corretta riparti-
dei cittadini ed elaborazione di proposte di merito da sottoporre alle Istituzioni nazionali, regionali, comunali ed ai soggetti che a vario titolo operano nel settore, per una diversa politica abitativa che consenta a tutti di poter disporre del bene casa a condizioni compatibili con le proprie capacità di reddito; contrattazione triennale, con il Governo e le associazioni nazionali della proprietà edilizia, per la individuazione dei criteri generali destinati alla definizione dei canoni concordati, i
Regioni,gli enti locali, gli ex Iacp comunque denominati, sulle politiche abitative, norme che regolano l’edilizia residenziale pubblica, l’applicazione delle aliquote IMU per gli immobili in affitto a canone concordato, bandi assegnazione alloggi Erp, graduatorie per l’attribuzione del contributo di sostegno all’affitto a tutela dei cittadini con particolare riguardo alle famiglie meno abbienti, anziani, portatori di handicap, immigrati, lavoratori in mobilità; consulenza, assistenza, patrocinio degli inquilini per acquisto alloggi Erp,
zione delle spese condominiali, richieste di contributo di sostegno all’ affitto, procedure di sfratto, cambio alloggio ecc.). Visitando il sito uniat.it troverete l’elenco di tutte le sedi regionali e territoriali, completo della indicazione del rispettivo dirigente responsabile e dei riferimenti per contattarlo, oltreché una copiosa informazione, documentazione normativa, accordi nazionali sottoscritti, tabelle e quanto altro di interesse per il comparto che l’Uniat rappresenta.
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a legge istitutiva, in particolare, ha affidato all’Agenzia importanti compiti riconducibili a due fasi del processo di gestione, ossia la fase giudiziaria e quella amministrativa. Nella fase giudiziaria, cha va dal provvedimento di sequestro fino alla confisca definitiva, l’Agenzia è chiamata a svolgere le seguenti funzioni: ausilio all’autorità giudiziaria: l’Agenzia, sin dall’inizio del processo, è chiamata a supportare l’Autorità Giudiziaria per la risoluzione delle criticità riscontrate dal giudice e dall’amministratore giudiziario nel corso del procedimento. Nello svolgimento di tale competenza all’Agenzia è stato attribuito un ruolo “non già di mero esecutore di disposizioni dell’autorità giudiziaria, bensì quale organo di consulenza e consiglio”; amministrazione dei beni nel corso del procedimento giudiziario: l’Agenzia, dalla conclusione dell’udienza preliminare (se si tratta di processo penale) oppure dal provvedimento di confisca di primo grado (se si tratta di processo di prevenzione), è chiamata a svolgere il ruolo di amministratore dei
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beni assumendo su di sé i compiti che, nella fase iniziale del procedimento di sequestro, sono di competenza dell’amministratore giudiziario nominato dal giudice. Nella fase amministrativa, che inizia con il provvedimento di confisca definitivo, l’Agenzia svolge l’importante attività di destinazione dei beni confiscati in via definitiva, anche tenuto conto della programmazione effettuata nella precedente fase giudiziaria. Al riguardo, la legge impone all’Agenzia di destinare il bene entro novanta giorni dalla confisca definitiva, termine prorogabile di ulteriori novanta giorni nel caso di operazioni complesse. Va segnalato che, in entrambe le fasi sopra descritte, all’Agenzia è affidato anche il compito di monitorare e di acquisire i dati relativi ai sequestri e alla confische, programmando la destinazione dei beni in vista della confisca definitiva nonché il monitoraggio in ordine all’uso dei beni stessi dopo la destinazione. Si evidenzia altresì che, prima della pubblicazione dei regolamenti previsti dall’art. 4, comma 1, del decreto legge citato ed approvati nella seduta del Consiglio dei Ministri del 25 novembre 2011, pubblicati nella G.U. n. 50 del 29 febbraio
Giuseppe Caruso è in Polizia dalla fine del 1974, quando viene inviato presso la Questura di Bergamo, dove permane fino al 1992, dirigendo prima Squadra mobile, poi la Digos ed infine l’Ufficio di gabinetto: in questa sede è uno dei principali protagonisti delle indagini che hanno portato alla sbarra, in uno dei primi maxiprocessi, 133 appartenenti a movimenti eversivi, tra cui il “gruppo di fuoco” dell’organizzazione terroristica “ Prima Linea”. Nei primi di giugno del 1992 è alla Questura di Reggio Calabria, dove per due anni dirige il Commissariato di Palmi, fino al gennaio del 1994, conducendo importanti indagini nei confronti di appartenenti alla ‘ndrangheta che portano alla cattura di pericolosi latitanti e al sequestro di ingenti quantitativi di armi e droga. Presso la Questura di Milano dirige dapprima il Terzo distretto, poi la Digos ed assume infine l’incarico di Vice Questore Vicario; la sua permanenza nel capoluogo lombardi protrae per poco meno di sette anni, durante i quali ottiene lusinghieri successi nella lotta contro il terrorismo interno ed internazionale, sgominando bande di integralisti islamici appartenenti alla jihad algerina per i quali ottiene un formale riconoscimento dell’United States Secret Service. Nei primi di luglio del 2000 diviene Questore di Crotone dai primi di luglio ed affronta il continuo sbarco di migliaia di curdi clandestini organizzando una Squadra che procede puntualmente all’arresto di tutti gli scafisti responsabili della tratta di esseri umani
e della banda, composta da cittadini di nazionalità turca, che gestiva l’intero traffico; nello stesso periodo vengono tratti in arresto tutti i componenti di due contrapposte organizzazioni fazioni della ‘ndrangheta, responsabili di numerosi omicidi, episodi di lupara bianca ed estorsioni, tanto che nel dicembre del 2002 il Sole 24 Ore, nell’annuale classifica sulla qualità della vita nelle 103 province italiane, fa balzare Crotone dalla penultima alla dodicesima posizione per la voce “condizioni sull’ordine e la sicurezza pubblica”. Tra giugno 2002 e luglio 2003, da
Questore di Vicenza, dà una battuta d’arresto all’impressionante serie di rapine in ville isolate di tutto il Nord Italia con l’identificazione e l’arresto di numerosi componenti della banda di cittadini di nazionalità slava che ne era responsabile per poi divenire Questore di Padova, dove viene sgominata un’organizzazione di sanguinari malavitosi, ex appartenenti alla famigerata “banda Maniero”, specializzata in assalti a furgoni blindati spesso culminati in maniera cruenta. Dal 12 Gennaio del 2005 è Questore di Palermo, dove si dedica ad un’efficace azione di contrasto alla mafia promuovendo indagini per aggredirne i patrimoni, oltre che annientare l’intera componente militare della “Cosa nostra” palermitana con l’arresto di tutti i capi mandamento, dei reggenti e dei capi famiglia; grandissima importanza e valore mediatico hanno avuto la cattura di Bernardo Provenzano e di Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Dal 25 agosto è Questore di Roma ed anche qui indirizza efficacemente l’azione di contrasto alla criminalità con l’aggressione ai mafiosi, sequestrando beni per centinaia di milioni di euro; il 23 luglio 2010 diviene Prefetto di Palermo; il 18 febbraio 2011 viene nominato Commissario delegato per l’emergenza umanitaria nel territorio nazionale ed, il 16 giugno 2011, viene nominato dal Consiglio dei Ministri Direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
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2012 – Serie generale; entreranno in vigore il 15 marzo 2012., le competenze attribuite all’Agenzia sono state limitate alla c.d. fase amministrativa ossia alla gestione e destinazione dei beni confiscati in via definitiva. Si tratta di quelle attività già di competenza dell’Agenzia del demanio e, a partire dalla legge 94/2009, degli Uffici Territoriali del Governo per quanto concerne la sola destinazione dei beni. Al riguardo occorre evidenziare che, anche per tale ambito di competenze, il decreto istitutivo dell’Agenzia aveva immaginato una fase transitoria durante la quale ruolo e compiti dell’Agenzia del demanio e dei Prefetti dovevano continuare ad essere regolati dalle disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legge medesimo. Tuttavia, a seguito di parere dell’Avvocatura Generale dello Stato reso in data 13 aprile 2010, si è determinata una successione immediata dell’Agenzia nella universalità dei rapporti e delle competenze prima facenti capo a varie autorità (Agenzia del demanio, Prefetti, Commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali), annullando di fatto la fase transitoria prevista dalla legge istitutiva e coinvolgendo immediatamente, sin dalla sua istituzione, l’Agenzia nella gestione operativa dei beni definitivamente confiscati. Con il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante
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“codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia”, entrato in vigore il 13 ottobre 2011, il Governo ha effettuato una completa ricognizione delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa, nonché la loro armonizzazione ed il loro coordinamento con la disciplina istitutiva dell’Agenzia, al fine di elaborare un testo che possa costituire per tutti gli operatori del settore un completo punto di riferimento, superando le difficoltà connesse alla frammentazione della normativa antimafia ed agevolando, in tal modo, l’azione di contrasto alle organizzazioni di tipo mafioso. In merito alla struttura ed alle funzioni proprie dell’Agenzia, il codice antimafia non ha apportato novità sostanziali ma ha effettuato, piuttosto, una mera ricognizione della disciplina previgente, che ha affidato una missione ben precisa all’Agenzia, la quale: deve occuparsi esclusivamente dell’amministrazione e della destinazione dei beni sottratti alla criminalità organizzata, attraverso procedure snelle, che deve porre in essere sulla base dell’autonomia organizzativa e contabile riconosciutale dalla legge, sotto la vigilanza del Ministro dell’interno; deve assicurare l’unitarietà degli interventi e programmare, già durante la fase dell’amministrazione giudiziaria, la destinazione finale dei beni sequestrati, con immediatezza rispet-
to al provvedimento definitivo di confisca. Ciò anche al fine di valorizzare al massimo tutti gli sforzi ed i sacrifici fatti sul campo da una pluralità di soggetti istituzionali (forze dell’ordine, magistrati e molti altri); deve restituire allo Stato ed al territorio delle comunità offese dalla violenza della criminalità organizzata, in tempi accettabili e nelle migliori condizioni possibili, i patrimoni illecitamente accumulati dalle consorterie criminali, contribuendo significativamente, con tale azione, alla lotta alla criminalità organizzata.
Le novità introdotte dal codice antimafia Il codice antimafia rappresenta un primo tentativo di riportare ad unità una pletora di norme, disperse in numerosi testi e più volte emendate nel corso degli anni, attraverso l’introduzione di una disciplina innovativa volta a fornire efficacia all’attività di amministrazione finalizzata alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati ed elevare il livello di tutela dei terzi coinvolti nel procedimento. È necessario ricordare, seppur brevemente, alcuni significativi interventi apportati dal codice, mediante i quali si è dato luogo alla positivizzazione di: alcuni dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, al fine di colmare vuoti normativi e di rendere il sistema più coerente; consuetudini maturate nel tempo attraverso l’attività svolta dai soggetti coinvolti nella gestione di beni sequestrati e confiscati. In particolare, ci si riferisce agli istituti di seguito brevemente descritti. a) l’introduzione di nuovi termini per la confisca (art. 24/2). Il termine intercorrente tra il sequestro e la confisca è stato ampliato, passando da un anno ad un anno e mezzo. Esso decorre dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario e può essere prorogato per periodi di sei mesi e per non più di due volte, nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti; b) le norme in materia di impugnazione del provvedimento di confisca (art. 27/6). Il codice antimafia introduce un nuovo termine di decadenza entro il quale la Corte d’Appello deve pronunciarsi, cioè 1 anno e 6 mesi dal deposito del ricorso, pena la caducazione del provvedimento di confisca; c) la previsione di un nuovo mezzo di impugnazione ovvero la revocazione della confisca definitiva (art. 28). Con tale strumento l’interessato potrà chiedere al giudice di riconsiderare l’esistenza e la validità dei presupposti per l’applicazione del provvedimento ablatorio, in presenza dei requisiti indicati dal codice; d) l’introduzione del principio di indipendenza tra azione di prevenzione ed azione penale (art. 29) nonché del principio di prevalenza delle misure di prevenzione sulle misure penali (art. 30), in caso di concorrenza delle stesse sul medesimo bene; e) la previsione di nuove misure di prevenzione patrimoniali, diverse dalla confisca: l’amministrazione giudiziaria dei beni personali (art. 33), esclusi quelli destinati all’attività professionale o produttiva, applicabile ad alcuni dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali, in aggiunta o in sostituzione di
queste ultime, se ritenuta sufficiente ai fini della tutela della collettività; l’amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento di attività economiche (art. 34), che agevolano l’attività delle persone sottoposte a misura di prevenzione o a procedimento penale per alcuni delitti come, ad esempio, quello previsto dall’art. 416-bis del codice penale (associazione mafiosa). Tale misura di prevenzione sostituisce quella disciplinata dalla legge n. 575/65, che prevedeva la sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni utilizzabili per lo svolgimento delle predette attività economiche; f) l’introduzione di nuove norme relative agli amministratori giudiziari che: qualificano espressamente l’amministratore giudiziario come pubblico ufficiale (art. 35/5); individuano analiticamente il contenuto della relazione particolareggiata (art. 36) sullo stato e sulla consistenza dei beni sequestrati, che l’amministratore deve presentare al giudice delegato; disciplinano una serie di compiti (art. 37) che, seppur di fatto assolti dagli amministratori giudiziari in vigenza della legge n. 575/65, non erano da questa espressamente previsti (l’obbligo di tenuta del registro delle operazioni di gestione, di presa in consegna delle scritture contabili e dei libri sociali delle aziende sequestrate, etc); introducono la facoltà dell’amministratore giudiziario di avvalersi dell’assistenza legale dell’Avvocatura dello Stato (art. 39); prevedono la possibilità di impugnare, dinanzi al giudice delegato, gli atti compiuti dall’amministratore giudiziario (art. 40/4) in caso di violazione delle norme contenute nel codice stesso; disciplinano l’attività di gestione delle aziende sequestrate (art. 41), codificando principi già attuati, nella prassi, in vigenza delle legge n. 575/65 (ad esempio le norme che specificano i poteri dell’amministratore giudiziario in caso di sequestro di partecipazioni societarie di maggioranza); g) l’introduzione della disciplina in materia di tutela dei terzi (artt. 52 e ss) titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni sequestrati e dei terzi creditori, garantiti o meno da diritti reali di garanzia sul bene. Il codice, al riguardo, regolamenta nel dettaglio le operazioni finalizzate all’accertamento di tali diritti ed alla progettazione e pianificazione dei pagamenti, secondo un modello che ricalca quello previsto nella procedura fallimentare, riconoscendo una posizione di rilievo all’amministratore giudiziario che, sotto la direzione del giudice delegato, può attivare il procedimento di ammissione dei crediti e la formazione dello stato passivo già durante la fase del sequestro;
il codice antimafia rappresenta un primo tentativo di riportare ad unità una pletora di norme, disperse 25
Le proposte di modifica al codice antimafia
h) l’introduzione di norme che disciplinano la sorte delle azioni esecutive da chiunque intraprese nei confronti dei beni sottoposti a sequestro, colmando in tal modo una grave lacuna della normativa previgente. In base alla nuova disciplina, a seguito del sequestro non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive ed i beni già oggetto di esecuzione sono presi in consegna dall’amministratore giudiziario; i) l’introduzione della disciplina relativa agli effetti della confisca definitiva, in base alla quale quest’ultima determina: l’acquisizione dei beni al patrimonio dello Stato e l’estinzione dei diritti reali e personali di godimento e dei diritti reali di garanzia gravanti sugli stessi, fatta salva, tuttavia, la tutela dei terzi titolari dei medesimi diritti; lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto i diritti personali di godimento; l’estinzione delle procedure esecutive aventi ad oggetto i beni confiscati; j) l’introduzione di norme che disciplinano i rapporti tra il procedimento di prevenzione e le procedure concorsuali, prevedendo la prevalenza del primo sul fallimento, introducendo la possibilità per i creditori di rivalersi sul valore dei beni confiscati e confermando il principio giurisprudenziale della priorità dell’interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto a quello privatistico della par condicio creditorum. 26
Fin dalla sua entrata in vigore, il codice antimafia ha evidenziato numerose criticità nella concreta applicazione. Di conseguenza, da più parti, è stata evidenziata la necessità di modificare la nuova normativa appena introdotta avvalendosi dello strumento dei decreti correttivi: da ultime si vedano le “Prime proposte correttive al codice antimafia” dell’Osservatorio nazionale su confisca, amministrazione e destinazione dei beni e delle aziende dell’Università degli Studi di Palermo, 2012. e le audizioni del Direttore dell’Agenzia nazionale del 18 e 25 gennaio 2012 innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. L’Agenzia, al riguardo, ha presentato, anche alla citata Commissione antimafia, proprie proposte emendative al codice antimafia afferenti sia alla disciplina sostanziale-processuale, sia alle norme propriamente dedicate alla struttura e al funzionamento dell’Agenzia stessa. Con riferimento alle norme di carattere sostanziale-processuale, oltre alle modifiche proposte dagli operatori del diritto e recepite dall’Agenzia, si segnala: a) l’art. 48: nel testo della norma in esame sono stati proposti due distinti interventi normativi finalizzati rispettivamente ad estendere la platea dei soggetti assegnatari di beni mobili registrati in favore degli enti territoriali e delle associazioni di volontariato nonché a vendere beni immobili anche ai privati fatte salve le garanzie procedurali previste dalla stessa norma. b) l’art. 51: riformulazione della norma in materia di regime fiscale anche prevedendo una espressa esenzione, per i beni immobili confiscati in via definitiva, da ogni imposta, tassa e tributo di carattere nazionale e locale; c) l’art. 52 e ss: totale riscrittura della disciplina per la tutela dei terzi volta a contemperare gli interessi dei terzi con quelli statali, in particolare evitando di subordinare l’acquisizione dei beni allo Stato, all’integrale soddisfazione dei diritti dei terzi; d) l’art. 110: estensione delle competenze dell’Agenzia a tutte le fattispecie di reato previste dall’art. 12 sexies del DL 306/92. Oggi, infatti, l’Agenzia ha competenza, oltre che nelle misure di prevenzione, nei procedimenti di confisca penale ma limitatamente alle fattispecie di cui all’art. 51, comma 3 bis c.p.p.. Delle norme propriamente dedicate alla struttura e al funzionamento dell’Agenzia si tratterà ampiamente più avanti.
Ultimissime Secondo un’interpretazione letterale dell’art. 117, commi 1 e 5 del codice antimafia, prospettata dalla Direzione nazionale antimafia e condivisa dall’Agenzia, si segnala che l’Anbsc entrerà nel pieno delle competenze, attribuitele dall’art. 110 del codice antimafia (ausilio, amministrazione e destinazione), solo con riferimento alle misure penali o di prevenzione adottate dalla data di entrata in vigore dei regolamenti di cui all’art. 113 del predetto codice. Invero, alla luce della suindicata interpretazione letterale:
a) le norme della legge 575/65 si applicano ai procedimenti di prevenzione o penali pendenti alla data di entrata in vigore del codice antimafia ossia il 13 ottobre 2011; b) le norme del codice antimafia, ad eccezione di quelle relative alle competenze infra-processuali dell’Agenzia (ausilio all’Autorità giudiziaria e amministrazione dalla confisca di prevenzione di primo grado o dall’udienza preliminare nei procedimenti penali), si applicano alle proposte di prevenzione o alle notizie di reato depositate dopo il 13 ottobre 2011; c) dal momento di entrata in vigore dei regolamenti si applicano le disposizioni relative alle competenze infra-processuali dell’Agenzia. Per tutti i procedimenti già pendenti trova applicazione, invece, la disciplina previgente che attribuisce all’Agenzia la sola competenza nella gestione dei beni confiscati in via definitiva.
L’organizzazione dell’Agenzia nazionale Quanto all’organizzazione interna dell’Agenzia, la legge individua tre distinti organi - il Direttore, il Consiglio direttivo e il Collegio dei revisori - e ne disciplina le rispettive attribuzioni. In particolare: il Direttore dell’Agenzia è scelto tra i prefetti ed è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei
Ministri. La legge gli attribuisce importanti funzioni, che vanno dalla rappresentanza legale dell’Agenzia all’attuazione degli indirizzi e delle linee guida fissate dal Consiglio direttivo in materia di amministrazione, assegnazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati. Ancora, le attribuzioni del Direttore spaziano dal potere di convocazione del Consiglio direttivo alla presidenza dello stesso; dalla presentazione al Consiglio direttivo del bilancio preventivo e del conto consuntivo dell’Agenzia al potere – dovere di riferire periodicamente ai Ministri dell’interno e della giustizia e di presentare una relazione semestrale sull’attività svolta dall’Agenzia; il Consiglio direttivo, presieduto dal Direttore, è l’organo deliberativo dell’Agenzia ed è composto da un rappresentante del Ministero dell’interno, da due magistrati - di cui uno designato dal Ministro della giustizia e l’altro dal Procuratore Nazionale Antimafia - nonché dal Direttore dell’Agenzia del demanio o da un suo delegato. Alle riunioni del Consiglio direttivo, poi, possono essere chiamati a partecipare i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche e quelli degli enti e delle associazioni che, di volta in volta, siano interessati alle questioni oggetto delle sedute del Consiglio, nonché l’autorità giudiziaria; il Collegio dei revisori è invece l’organo di controllo contabile dell’Agenzia ed è costituito da tre componenti effettivi e da due supplenti, scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili e nominati con decreto del Ministro dell’interno, 27
fatta eccezione per un componente effettivo ed uno supplente, che vengono, invece, designati dal Ministro dell’economia e delle finanze. Tra le funzioni che la legge attribuisce al Collegio vi è il riscontro degli atti di gestione, la verifica del bilancio di previsione e del conto consuntivo e le verifiche di cassa con frequenza almeno trimestrale. Con riferimento alle risorse umane disponibili, il decreto istitutivo dell’Agenzia ha previsto che, nella fase di prima applicazione, la dotazione organica dell’Agenzia è determinata, con provvedimento del Direttore, in trenta unità ripartite tra le varie qualifiche, ivi comprese quelle dirigenziali. Nel regolamento di organizzazione approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri del 25 novembre 2011 e pubblicato nella G.U. n. 50 del 29 febbraio 2012 – Serie generale, la dotazione organica dell’Agenzia viene fissata in via definitiva in trenta unità, di cui un dirigente di livello generale e quattro dirigenti di seconda fascia. È stato già segnalato nella prima relazione dell’Agenzia che con decreto legge del 12 novembre 2010 n.187, sono state previste, tra l’altro, nuove misure per il potenziamento dell’attività dell’ANBSC consentendo alla stessa: di stipulare contratti a termine di durata non superiore al 31.12.2012, garantendo a tal fine un flusso di entrata di 2 milioni di euro per l’anno 2011 e di 4 milioni per l’anno 2012; di destinare beni immobili confiscati per l’autofinanziamento dell’Agenzia, previa autorizzazione del Ministro dell’interno.
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Tuttavia, solo con il decreto interministeriale datato 19 ottobre 2011, l’Agenzia è stata autorizzata a impiegare, sino al 31.12.2012, settanta unità di personale comprensive delle trentacinque unità di personale già previste per l’anno 2011. Sempre con riferimento alla struttura organizzativa dell’Agenzia, particolare rilevanza assume, a seguito della circolare del Ministro dell’interno prot. 11001/119/6(10) del 13.07.2011, l’istituzione del Nuclei di supporto presso le singole Prefetture. L’idea perseguita con la previsione di tali nuclei “è quella di una sede istituzionale che, attraverso l’apporto dei vari organismi pubblici o rappresentativi della società civile, serva ad accelerare i procedimenti di destinazione dei beni ai sensi della legge n. 575/1965, rimuovendo gli ostacoli che, in quella sede locale, possono rendere i medesimi poco appetibili per le amministrazioni interessate al loro utilizzo” L’Agenzia, in aderenza al vigente dettato legislativo e a quanto evidenziato dall’Autorità di vigilanza, ha adottato e diramato due circolari dettando ai predetti Nuclei di supporto le prime linee guida rispettivamente in materia di gestione dei beni confiscati in via definitiva e in tema di beni sequestrati. In particolare nella prima circolare, è stata posta l’attenzione sulle attività di monitoraggio dei beni confiscati già destinati nonché sull’istruttoria inerente ai beni confiscati in gestione con particolare riferimento al contenzioso, ai gravami ipotecari, ai rapporti con gli enti territoriali, nonché alle attività finalizzate alla destinazione dei beni immobili quali sopral-
già peraltro presentate dal Direttore dell’Agenzia davanti alla Commissione Antimafia nel corso delle audizioni del 18 e 25 gennaio 2012. In relazione alla dotazione organica è di palmare evidenza l’assoluta inadeguatezza delle risorse attribuite all’Agenzia a fronte dei molteplici compiti, complessi e delicati, che il legislatore ha voluto attribuirle. Ciò, peraltro, è stato efficacemente rilevato dalla Corte dei conti nella propria relazione in materia, a parere della quale l’Agenzia con “tale esiguità di risorse umane difficilmente potrà far fronte all’emergenza nazionale che sempre più vede i protagonisti della criminalità organizzata espandere i propri confini”. Tale dotazione organica, sicuramente insufficiente, dovrà occuparsi delle attività di competenza dell’Agenzia ai sensi dell’art. 110 del codice antimafia, oltre alle attività di staff (selezione, gestione, formazione, trattamento giuridico ed economico del personale, contenzioso, ispezioni, acquisti e logistica, sistemi informativi, etc.). Ferma restando l’evidente inadeguatezza della dotazione organica, è necessario segnalare che l’Agenzia ha riscontrato rilevanti criticità non solo per individuare le trenta risorse costituenti la c.d. dotazione organica stabile, ma anche per vedersi assegnate le altre settanta unità di personale che dovrebbero garantire il menzionato potenziamento che, si ripete, è limitato alla data del 31 dicembre 2012 e che peraltro è stato possibile iniziare a reperire soltanto dal 19 ottobre 2011, ossia dalla
luoghi, sgomberi, consegne. Nella circolare relativa ai beni sequestrati, invece, sono state impartite le prime istruzioni finalizzate all’analisi dei beni sequestrati, alla programmazione della destinazione e al supporto all’autorità giudiziaria.
Le criticità riscontrate Sotto il profilo normativo ed operativo di seguito si illustrano i singoli punti relativi alle criticità riscontrate in questi primi due anni di attività dell’Agenzia, insieme alle proposte, anche di natura normativa, finalizzate alla loro risoluzione, 29
data del decreto interministeriale di autorizzazione. In particolare, sono state riscontrate rilevanti criticità sia in fase di reclutamento che in fase di mantenimento del personale. Con riferimento alle difficoltà di reclutamento, si evidenzia che a causa dell’assenza di qualsiasi forma di incentivo economico ed in considerazione della contrattazione collettiva attualmente applicata, priva di forme retributive adeguate ai profili richiesti (avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, agronomi, esperti in management pubblico), l’Agenzia oggi non è in grado di reclutare dalle altre pubbliche amministrazioni il personale qualificato in possesso di competenze necessarie per svolgere le attività di legge. Con particolare riferimento al personale da utilizzare per il c.d. potenziamento si evidenzia che, a fronte di trentaquattro richieste che l’Agenzia ha inviato alle altre amministrazioni (ministeri, forze dell’ordine, agenzie fiscali, enti territoriali, Agenzia del demanio), soltanto sette sono state positivamente riscontrate. Peraltro, proprio per la richiamata assenza di qualsiasi forma di incentivo economico, la disponibilità a transitare presso l’Agenzia è stata apparentemente fornita, nella maggior parte dei casi, da dipendenti della pubblica amministrazione spinti da motivazioni di carattere principalmente logistico/familiare (ritorno nei luoghi di origine o comunque motivazioni personali/familiari). Tali risorse, tuttavia, sono prive di qualsiasi esperienza in materia e quindi non immediatamente utilizzabili dall’Agenzia per le attività di propria competenza, se non a seguito di un adeguato periodo di formazione che però, in 30
concreto, non è possibile compiere sia perché il limitatissimo personale dotato di professionalità adeguata è utilizzato per l’incessante attività corrente, sia perché, come già rilevato, le materie trattate richiedono un elevato grado di professionalizzazione difficilmente rinvenibile nell’ambito della pubblica amministrazione. Peraltro, nei limitati casi in cui è stata individuata qualche professionalità adeguata al profilo richiesto, l’amministrazione di provenienza, data la professionalità della risorsa, ha negato la propria disponibilità. Le considerazioni appena esposte valgono tanto per il personale da inserire nella dotazione organica stabile (trenta unità), quanto per il personale (settanta unità) da utilizzare nell’ambito del potenziamento fino al 31.12.2012. Oltre alle menzionate difficoltà di reperimento di personale, si assiste anche alla difficoltà di mantenimento del personale attualmente in servizio. Al riguardo, è stato evidenziato che nell’attuale fase transitoria l’Agenzia si avvale di circa trenta unità di personale collocate in posizione di comando, distacco o fuori ruolo. In considerazione delle criticità sopra indicate (assenza di incentivi economici, contrattazione collettiva inadeguata) e considerata, altresì, la disomogeneità del personale attualmente utilizzato (Ministero dell’interno, Ministero della giustizia, Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri,
Guardia di Finanza, Agenzia del demanio), vi è il concreto rischio che, in concomitanza dell’entrata in vigore dei regolamenti, il personale attualmente in forza, ricevendo nell’amministrazione di appartenenza un trattamento retributivo superiore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva applicata all’Agenzia, non opterà per entrare nei ruoli dell’Agenzia. Pertanto, l’Agenzia subirà delle inevitabili ripercussioni negative sulla propria attuale operatività, che già sconta le criticità appena descritte. Al riguardo, non è neanche ipotizzabile arginare tale carenza di personale prevedendo appositi concorsi pubblici, considerato che in via preliminare si dovrebbe avviare la procedura di mobilità imposta dal Testo Unico sul pubblico impiego e che, in ogni caso, le necessità dell’Agenzia risultano assolutamente incompatibili con le tempistiche di un pubblico concorso e con le risorse disponibili che, evidentemente, non sono utilizzabili per la gestione delle procedure concorsuali. È stato già evidenziato come il legislatore, al fine di potenziare l’Agenzia, abbia previsto: la possibilità di destinare al c.d. autofinanziamento i beni confiscati; un budget, oltre il finanziamento ordinario annuale di 4,2 milioni di euro, di 2 milioni di euro per il 2011 e 4 milioni di euro per il 2012 per il personale che, ai fini del potenziamento, è attualmente in forza presso l’Agenzia in posizione in comando, distacco o fuori ruolo e per la stipula di contratti a termine. 31
Tale previsione, seppur dettata con l’intento di rafforzare l’Agenzia, non appare idonea a garantire la realizzazione degli obiettivi posti al nuovo ente e ciò per le seguenti ragioni. Con riferimento alla categoria dei beni da destinare all’autofinanziamento, peraltro limitata ai beni immobili e non anche ai beni aziendali, le procedure per addivenire all’affitto sono lunghe e complesse (stima del bene, adeguamento tecnico-normativo del bene alla normativa vigente, etc.). Peraltro l’Agenzia, anche in considerazione dell’esigua dotazione organica, non è assolutamente attrezzata per gestire tali contratti di locazione. Appare poi inadeguata la norma che prevede assunzioni a termine, con scadenza 31.12.2012, considerato che si dovrebbe assumere e formare del personale, con la consapevolezza di non poterlo stabilmente utilizzare nel prossimo futuro.
Le proposte di modifica alla struttura organizzativa Per rispondere efficacemente alle difficoltà riscontrate in materia di dotazione organica, di risorse umane disponibili e di budget dell’Agenzia, sono state proposte alcune modifiche normative, anche emendative al codice antimafia, volte a modificare la natura giuridica dell’Agenzia tramite la sua trasformazione in Ente Pubblico Economico ossia in ente dotato di maggiore autonomia contabile, organizzativa e finanziaria in grado di agire con strumenti privatistici, ad esempio nella regolazione dei rapporti di lavoro, abbandonando i rigidi schemi pubblicistici. In alternativa alla suindicata modifica, è stata anche evidenziata la necessità di ampliare l’esigua dotazione organica stabile
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almeno parametrandola al numero complessivo di cento unità. Inoltre, al fine di eliminare le riscontrate difficoltà nel reclutamento e nel mantenimento del personale, è stata proposta la sostituzione della contrattazione collettiva oggi applicata, con quella più favorevole prevista per altre pubbliche amministrazioni (enti pubblici non economici), quali le agenzie fiscali. È stata rappresentata, infine, l’opportunità di eliminare la disciplina del c.d. autofinanziamento, di fatto inattuabile, prevedendo come alternativa un budget fisso complessivo di 10,2 milioni di euro annui, parametrato su una dotazione organica di almeno cento unità, considerato peraltro che l’Agenzia, posta in condizione di funzionare efficacemente, è potenziale produttrice di entrate molto elevate sia per le casse dello Stato, attraverso il versamento al Fondo Unico Giustizia, sia per gli enti territoriali attraverso la restituzione ai territori di beni sottratti alla criminalità organizzata.
L’articolazione territoriale dell’Agenzia nazionale Attualmente l’Agenzia è presente sul territorio nazionale in quattro diverse regioni, con la sede principale di Reggio Calabria e le sedi secondarie di Roma, Palermo e Milano, quest’ultima inaugurata il 19 dicembre 2011. E’, inoltre, prossima l’apertura della sede secondaria di Napoli, presso la storica sede giudiziaria di Castel Capuano. L’Agenzia, inoltre, a livello provinciale, si avvale dei Nuclei di supporto presso le singole Prefetture. In considerazione delle oggettive difficoltà di collegamento, ferroviario e aereo, legate alla localizzazione della sede di Reggio Calabria, l’Agenzia ha proposto di modificare l’individuazione della sede principale indicando:
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in via principale la città di Roma, ove si trovano le altre istituzioni dello Stato e hanno sede i membri del Consiglio direttivo dell’Agenzia; in via subordinata la città di Palermo, considerato che attualmente più del 43,6% dei beni definitivamente confiscati si trova localizzato in Sicilia e poco meno di 1/3 nella sola provincia di Palermo.
La rete Con l’istituzione dell’Agenzia il legislatore ha voluto creare una vera e propria “cabina di regia” diretta a orientare l’azione di tutti i soggetti istituzionali e della società civile coinvolti nell’aggressione ai patrimoni criminali e nella gestione dei beni sequestrati e confiscati. Ciò è concretamente realizzabile attraverso la costruzione di un’efficiente “rete” di rapporti in grado di assicurare l’unitarietà dei comportamenti e delle attività poste in essere e, conseguentemente, una maggiore celerità ed efficacia degli interventi diretti a sottrarre risorse alla criminalità organizzata, per reinserirle nel circuito sano dell’economia nazionale. Tale “rete” deve essere costituita e sostenuta vigorosamente da tutti i soggetti che, a vario titolo, contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi posti dal legislatore all’Agenzia: la magistratura di prevenzione e penale, le forze dell’ordine, le Prefetture, le istituzioni statali, territoriali e locali, gli amministratori giudiziari, le associazioni di categoria, gli ordini professionali, le università, il mondo dell’associazionismo e della cooperazione sociale (c.d. terzo settore). 34
criminalità organizzata di cui più di 200 nella sola Lombardia. E’ spesso molto difficile garantire la continuità industriale ed economica di queste imprese che rischiano di fallire e chiudere, causando perdita di manodopera, tensioni sociali e, in ultima analisi, un clima non idoneo al contrasto socio-economico della criminalità organizzata. La convenzione siglata pone particolare attenzione alla creazione di competenze strategiche e manageriali necessarie per la valutazione e la gestione delle imprese sequestrate e confiscate da mettere a disposizione dell’Agenzia, senza alcun onere economico a carico dell’amministrazione pubblica. Le attività di valutazione e gestione saranno indirizzate, in via sperimentale, non solo alle aziende operanti in Lombardia (sottoposte a sequestro ovvero a confisca non definitiva), ma anche ad alcune realtà in confisca definitiva particolarmente significative individuate dall’Agenzia nel resto del territorio nazionale. L’accordo, peraltro, punta a creare un modello che potrà essere esteso su tutto il territorio nazionale. L’attività si svilupperà in due momenti: a) analisi del fenomeno da parte dei partners scientifici (Luiss e Bocconi); b) formazione diretta di manager selezionati comprendente una brevissima fase teorica ed una più lunga fase pratica di formazione su attività concrete. Le domande di partecipazione all’iniziativa sono state 222.
Unioncamere e “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”
L’Agenzia, in particolare, oltre ad avviare un proficuo e costante rapporto di collaborazione e scambio informativo con le forze dell’ordine e con l’autorità giudiziaria, ha coinvolto nel processo gestionale dei beni definitivamente confiscati, anche tramite formali protocolli di intesa, i soggetti istituzionali che, a vario titolo, possono supportare e agevolare la tempestiva destinazione dei beni. In data 23 dicembre 2011 l’Agenzia, Assolombarda, ALDAI – Associazione Lombarda Dirigenti Aziende Industriali e Fondirigenti, hanno siglato un protocollo di intesa finalizzato alla formazione specialistica di sessanta manager per la valutazione e la gestione delle aziende sequestrate e confiscate. Circa 1500 imprese, infatti, sono state confiscate finora alla
Nel corso del 2011 è stata avviata una proficua collaborazione con Unioncamere e l’associazione Libera finalizzata alla sottoscrizione di un importante protocollo di intesa avente ad oggetto, tra l’altro, il supporto altamente qualificato di Unioncamere e delle Camere di commercio nella gestione delle aziende confiscate. Nell’ambito di tale protocollo, inoltre, è stata dedicata un’apposita trattazione al c.d. “progetto Aziende” nell’ambito del quale l’Agenzia, in collaborazione con Unioncamere e tramite il supporto dell’associazione Libera, ha individuato sei aziende attive ubicate in diverse regioni (Lombardia, Toscana, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), i cui dipendenti, dopo aver ricevuto un adeguata formazione manageriale dallo staff di Unioncamere, saranno supportati nella costituzione di una cooperativa alla quale verrà poi affidata a titolo gratuito l’azienda confiscata per la prosecuzione dell’attività di impresa. Tale progetto, oltre ad assicurare la riqualificazione dell’a-
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zienda e, di conseguenza, a garantire la tutela dei livelli occupazionali ivi presenti, consente di inviare un forte messaggio sociale sul territorio: “anche con lo Stato l’ex impresa mafiosa prosegue l’attività garantendo lavoro e sviluppo”.
L’amministrazione e la destinazione dei beni Nonostante le criticità riscontrate in questi primi due anni di attività, l’Agenzia è riuscita a destinare, dal 1 gennaio al 31 dicembre 2011, molti beni confiscati di particolare valore sociale e simbolico. Tra i più significativi si ricordano i seguenti casi: Comune di Rescaldina (MI): si tratta di un fabbricato cielo terra con ampia pertinenza, destinato al comune per finalità sociali ed in particolare per essere utilizzato, per il tramite della Onlus Ospedale dei Bambini Milano, come residenza temporanea di genitori con figli affetti da patologie oncologiche di lunga degenza presso l’ospedale Buzzi di Milano, rispetto al quale la residenza risulta in posizione strategica; Comune di Borgo Forte (MN): si tratta di un fabbricato cielo terra con ampia pertinenza, utilizzato da una cooperativa sociale per l’assistenza agli anziani non autosufficienti e disabili; Comune di Varese (VA): appartamento destinato al comune
il quale, d’intesa con la locale Questura, lo ha utilizzato come alloggio protetto per minori oggetto di abuso; Comune di Castellammare di Stabia (NA): l’Agenzia ha assegnato al comune la villa liberty del clan De Rosa per adibirla a biblioteca comunale. Il bene, in ottimo stato di manutenzione, ha un forte valore simbolico in quanto si tratta della villa bunker del clan situata al centro storico del comune; Comune di Quindici (AV): l’Agenzia, tramite la collaborazione del comune, ha destinato la villa bunker confiscata al clan Graziano all’associazione Libera. Nel bene è previsto l’avvio di un’azienda tessile, favorendo così l’occupazione in quel difficile contesto locale; Comune di Naro (AG): si tratta di terreni destinati a finalità sociali che, tramite la collaborazione tra l’associazione Libera ed il comune di Naro, sono stati assegnati a titolo gratuito ad una costituenda cooperativa agricola, nel rispetto della loro vocazione agricola, nell’ambito del progetto denominato “Libera Terra Agrigento”; Comune di Polizzi Generosa (PA): si tratta del feudo di Verbumcaudo avente un’estensione pari a 150 ettari, confiscato a Michele Greco, sito nel comune di Polizzi Generosa che l’Agenzia ha destinato alla regione Sicilia per essere poi assegnato al Consorzio Sviluppo e Legalità per la valorizzazione dei terreni ad uso agricolo e sociale; Comune di Rombiolo (VV): l’Agenzia, nell’ambito del costante supporto all’Autorità di vigilanza, ha assegnato un capannone industriale di vasta dimensione al Ministero dell’interno per finalità istituzionali ed in particolare per adibirlo a centro di accoglimento di immigrati, fornendo così il proprio contributo all’emergenza immigrazione che nel 2011 ha creato non poche difficoltà nell’Italia meridionale.
I gravami ipotecari: il superamento delle criticità Come si avrà modo di specificare nella parte della presente relazione dedicata al rapporto statistico, attualmente l’Agenzia gestisce 3.364 beni immobili confiscati in via definitiva di cui 2590 (pari al 77% del totale) risultano interessati da criticità.Nell’ambito delle criticità rientrano: gravami ipotecari, procedure giudiziarie in corso, confische proquota, concomitante sequestro penale, occupazione sine 36
attualmente l’Agenzia gestisce 3.364 beni immobili confiscati in via definitiva di cui 2590 (pari al 77% del totale) risultano interessati da criticità titulo, beni inagibili. Per 1.556 di questi beni (pari al 46,25% del totale) è stata accertata, in particolare, l’esistenza di gravami ipotecari. Tale criticità, che non consente un’utile e tempestiva destinazione del bene, importa una complessa e lunga attività istruttoria finalizzata a rendere il bene libero da pesi ed oneri, attività riassumibile nelle seguenti fasi: a) accertamenti sul singolo gravame ipotecario: l’Agenzia, per il tramite dei Nuclei di supporto presso le Prefetture, verifica l’opponibilità all’Erario del credito ipotecario (iscrizione ipotecaria, ammontare della debitoria comprensiva di sorte e interessi, interlocutoria con i creditori ipotecari); b) accertamento della buona fede: l’Agenzia, per il tramite delle Procure della Repubblica, avvia l’incidente di esecuzione finalizzato a verificare l’accertamento della buona fede e l’affidamento incolpevole in capo al creditore ipotecario; c) definizione del gravame ipotecario: l’Agenzia, nel caso di accertata mala fede in capo al creditore ipotecario, provvede alla destinazione del bene in favore dei soggetti che la legge prevede come possibili destinatari. Nell’ipotesi in cui, invece, viene accertata la buona fede del creditore ipotecario, l’Agenzia verifica la possibilità di addivenire ad una transazione nei limiti delle risorse disponibili per tale finalità a legislazione vigente.
Il progetto R.E.G.I.O. Il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, “Codice dell’Amministrazione Digitale”, ha posto il principio giuridico secondo il quale le pubbliche amministrazioni assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale. Muovendosi lungo questa linea, la legge istitutiva dell’Agenzia ha stabilito che lo scambio di dati e notizie con il Ministero della giustizia debba avvenire in via telematica. Successivamente, l’art. 113, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nel recepire le disposizioni dettate dalla legge istitutiva, stabilisce che, tramite apposito regolamento, sia disciplinata la gestione dei flussi informativi dell’Agenzia. Il regolamento recante la disciplina sui flussi informativi, approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri del 25 novembre 2011, pubblicato nella G.U. n. 50 del 29 febbraio 2012 – Serie generale; entreranno in vigore il 15 marzo 2012, stabilisce che l’Agenzia gestisce i flussi informativi ed effettua le comunicazioni telematiche attraverso il proprio sistema informativo connesso, in modalità bidirezionale, con il Ministero della giustizia e con le banche dati e i sistemi infor-
mativi delle Prefetture, degli enti territoriali, di Equitalia e di Equitalia Giustizia, delle agenzie fiscali e degli amministratori dei beni confiscati. Il sistema informativo, inoltre, potrà cooperare con i sistemi informativi di altre amministrazioni pubbliche sulla base di appositi protocolli ed anche con enti e soggetti privati individuati con provvedimento del Direttore dell’Agenzia. Una delle prime iniziative della neocostituita Agenzia, pertanto, è stata quella di predisporre un progetto che costituisca la base fondamentale del sistema informativo. Grazie all’utilizzazione dei fondi disponibili nell’obiettivo operativo 2.7 del Programma Operativo Nazionale (PON) Sicurezza per lo Sviluppo – Obiettivo Convergenza 2007 – 2013 (programma cofinanziato al 50% dallo Stato italiano e al 50 % dall’Unione Europea), l’Agenzia sta procedendo alla realizzazione del sistema informatico denominato “REGIO”, che è l’acronimo di REalizzazione di un sistema per la Gestione Informatizzata ed Operativa delle procedure di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Si tratta di un sistema informatico che: sarà coordinato con quelli degli enti e delle amministrazioni coinvolte a vario titolo nell’amministrazione e destinazione dei beni confiscati (Ministero della giustizia, Ministero dell’interno, Agenzia del demanio, Equitalia Giustizia, amministratori giudiziari), allo scopo di garantire un continuo scambio di dati e di informazioni che permetterà l’ottimizzazione dei singoli processi operativi di rispettiva competenza; consentirà all’Agenzia di monitorare costantemente gli eventi legati ad ogni bene, ricostruendone la storia dal provvedimento di sequestro fino alla sua destinazione definitiva ed oltre, comprendendo, quindi, anche le verifiche sulle modalità di utilizzazione da parte dei soggetti destinatari e/o assegnatari; assicurerà un più stretto rapporto collaborativo tra l’Agenzia e gli amministratori dei beni, garantendo a questi ultimi la possibilità di accedere al sistema gestionale informatico dell’Agenzia mediante apposite password nonché di inserire i dati relativi ai beni ed ogni altra informazione descrittiva, trasformando così il database da strumento “statico” a strumento “dinamico”. Più precisamente il progetto “REGIO” è stato concepito per rispondere all’esigenza di sostenere le due principali funzioni affidate dalla legge all’Agenzia: a) supporto all’autorità giudiziaria nelle fasi di custodia e amministrazione dei beni sequestrati; b) amministrazione e destinazione dei beni confiscati. Il progetto, quindi, contribuisce alla realizzazione di un sistema informativo unico e integrato a sostegno della missione istituzionale dell’Agenzia, che costituirà, a regime, uno strumento più ampio e versatile rispetto all’applicazione dell’Agenzia del demanio attualmente utilizzata dall’Agenzia. Per quanto riguarda la nuova banca dati dell’Agenzia, vi confluiranno: i dati e i documenti provenienti dal Ministero della giustizia: inizialmente dal solo Sistema Informativo Telematico Misure di Prevenzione (“SIT-MP”), odierna evoluzione del vecchio “SIPPI” e, in una fase successiva, compatibilmente con l’evoluzione dei sistemi del Ministero della giustizia, anche i dati e i documenti relativi ai sequestri e alle confische penali; i dati contenuti nella banca dati dell’Agenzia del demanio 37
ottenere: interrogazioni sul procedimento giudiziario; l’evidenziazione di tutti gli eventi che riguardano il bene, d’interesse per l’Agenzia; la predisposizione di tutti i provvedimenti necessari allo svolgimento dei procedimenti amministrativi di competenza dell’Agenzia; la gestione contabile e amministrativa del bene in relazione agli adempimenti connessi con il Fondo Unico Giustizia; la tracciatura dell’intero iter di gestione, destinazione e monitoraggio del bene; l’elaborazione di tutte le statistiche relative ai beni ed all’operatività dell’Agenzia; la produzione dei prospetti informativi.
La “globalizzazione” del fenomeno criminale
(per il pregresso). Per quanto riguarda le modalità di comunicazione e scambio di dati con le banche dati esistenti presso altre istituzioni e la creazione di programmi (software) appositamente ideati per rispondere alle esigenze operative dell’Agenzia, il sistema si incentra sulla vita del bene (mobile, immobile, azienda), alla quale sono riferiti tutti i dati ed i documenti di interesse, sia in funzione dello stato di avanzamento del procedimento amministrativo, di competenza dell’Agenzia, sia del corrispondente procedimento di prevenzione e/o penale di competenza degli uffici giudiziari. A questo riguardo appare necessaria la funzione di verifica/integrazione dei dati per la completa gestione della vita del bene, svolta sia dall’amministratore giudiziario sia, in prospettiva, dai Nuclei di supporto delle Prefetture. Il sistema consentirà la gestione di un doppio regime, distinguendo i beni ante o post la data del 13 ottobre 2011 (entrata in vigore del codice antimafia). All’attuale stato di avanzamento dei lavori, REGIO si articola concettualmente nei seguenti sottosistemi gestionali: 1. supporto all’autorità giudiziaria; 2. programmazione della destinazione dei beni; 3. gestione dei beni; 4. destinazione dei beni. In definitiva, attraverso il sistema REGIO sarà possibile 38
La dimensione globale del fenomeno mafioso rende indispensabile una cooperazione comunitaria ed internazionale che si prefigga, tra l’altro, di individuare nuovi modelli di intervento in materia di aggressione e recupero dei patrimoni frutto di attività illecite. L’Unione Europea, finora, ha contribuito a tale cooperazione mediante l’Obiettivo Operativo 2.5 del PON Sicurezza, “Migliorare la gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata”, un progetto finalizzato al superamento delle criticità legate alla concreta realizzazione degli obiettivi di recupero e di riutilizzo collettivo dei beni confiscati sanciti dalla legge n. 109/96, all’interno delle aree territoriali maggiormente afflitte dalla presenza di organizzazioni di tipo mafioso (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia). Infatti la carenza delle risorse in possesso delle istituzioni coinvolte nel procedimento di destinazione ed assegnazione dei beni confiscati rende spesso quest’ultimo piuttosto difficoltoso e fa sì che i beni, anche se in buone condizioni al momento del sequestro, arrivino all’assegnazione in stato di abbandono e di degrado. Ciò determina una condizione di stallo dove, da un lato, l’ente locale non dispone di risorse economiche sufficienti per il recupero del bene e, dall’altro, la platea di soggetti sociali, potenziali destinatari del bene, non può materialmente utilizzarlo perché non in grado di far fronte ad un investimento così ingente. In questo contesto si inserisce l’Obiettivo Operativo 2.5 del PON Sicurezza che si propone, mediante la devoluzione di risorse preziose per il finanziamento di progetti di riutilizzazione sociale dei beni confiscati, di dare attuazione al principio generale della restituzione alla collettività del patrimonio sottratto alla criminalità organizzata, rendendo lo stesso pienamente fruibile ed utilizzabile, in sintonia con i principi, gli scopi e le “ambizioni” della normativa antimafia. Per la gestione 2007/2013 la dotazione finanziaria PON dell’Obiettivo Operativo 2.5 è di oltre 92 milioni di euro, dei quali più di 13 milioni di euro destinati alla realizzazione di progetti di recupero in Calabria, oltre 27 milioni di euro in Campania, oltre 22 milioni di euro in Puglia ed oltre 29 milioni di euro in Sicilia. In particolare, grazie ai fondi disponibili su quest’Obiettivo, possono essere realizzati progetti che prevedano la ristrutturazione di immobili confiscati o la riconversione di beni
la dimensione globale del fenomeno mafioso rende indispensabile una cooperazione comunitaria ed internazionale che si prefigga, tra l’altro, di individuare nuovi modelli di intervento in materia di aggressione e recupero dei patrimoni frutto di attività illecite
confiscati, al fine del loro reinserimento nel circuito produttivo, anche attraverso il coinvolgimento di associazioni di promozione sociale e di cooperative sociali per la realizzazione di iniziative in favore di categorie deboli (minori, donne vittime di tratta o di sfruttamento, detenuti ed ex detenuti, comunità di recupero di ex tossicodipendenti, soggetti discriminati etc.). Sul fronte delle nuove progettualità, nel corso del 2011 l’attività dell’Obiettivo Operativo 2.5 è proseguita portando all’approvazione, complessivamente, di 31 progetti, così distribuiti: n. 18 in Sicilia; n. 7 in Campania; n. 4 in Puglia; n. 2 in Calabria. Pur essendo innegabile l’importanza del ruolo svolto dai finanziamenti europei nella realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla normativa antimafia, altrettanto evidenti sono i limiti connaturati alla dimensione prettamente nazionale di tale disciplina, i cui effetti rischiano di essere pregiudicati dalla progressiva espansione delle organizzazioni criminali verso aree geografiche transnazionali, particolarmente esposte all’infiltrazione dei capitali di cui dispone il crimine organizzato, perché molto spesso caratterizzate da deboli apparati normativi incapaci di fornire adeguate garanzie di regolamentazione e trasparenza nei settori economici e finanziari. La riflessione su tali problematiche conduce alla necessità di costruire una “rete” internazionale di rapporti, che coinvolga le istituzioni di diversi Paesi nella repressione del fenome-
no criminale organizzato e che operi su diversi piani. Sin dalla sua costituzione l’Agenzia si è resa operativa sul piano internazionale e comunitario, sviluppando una serie di contatti con paesi esteri, tesi allo scambio di riflessioni e di proposte d’intervento nonché al rafforzamento dei meccanismi di sottrazione dei patrimoni mafiosi e a favorire la diffusione di strumenti e prassi per la loro riutilizzazione ai fini istituzionali o sociali. A titolo esemplificativo, in aggiunta a quanto già evidenziato nella relazione del primo anno di attività dell’Agenzia, si segnalano: i rapporti sviluppati con le autorità argentine in collaborazione con la rete internazionale di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, per avviare forme di cooperazione per l’utilizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata e la redazione di norme in materia; la partecipazione, in qualità di partner, al progetto “SAPUCCA”, acronimo di Sharing Alternatives Practices for the Utilization of Confiscated Criminal Assets (Condivisione delle pratiche alternative di utilizzo dei beni mafiosi confiscati). Tale progetto, promosso dall’amministrazione provinciale di Caserta e finanziato dalla Direzione Generale per gli affari interni presso la Commissione europea, rende possibile una collaborazione istituzionale di carattere transnazionale, finalizzata a favorire la condivisione di pratiche e strategie operative nell’ambito della gestione e del riutiliz-
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l’incontro con una delegazione guidata dal presidente della Corte d’Appello di Belgrado e costituita da magistrati e funzionari dell’omologa Agenzia serba per la gestione dei beni sequestrati e confiscati, finalizzato alla condivisione di informazioni relative alla struttura, all’organizzazione ed al funzionamento delle due Agenzie, nonché relative all’amministrazione e destinazione dei beni confiscati; l’incontro tra l’Agenzia e la delegazione francese costituita da magistrati e funzionari della neonata AGRASC (Agence de gestion et de recouvrement des avoirs saisis et confisqués), l’omologa Agenzia per la gestione dei beni sequestrati e confiscati, durante il quale c’è stato un serrato confronto sul funzionamento delle due Agenzie, delle quali sono state descritte la struttura, l’organiz-
zo dei beni confiscati alle mafie. Il progetto ha coinvolto molteplici parti sociali, includendo anche le associazioni Libera e Tecla, il “Comitato Don Peppe Diana”, le amministrazioni provinciali di Catania e di Pistoia, oltre agli enti bulgari CEPACA - una commissione pubblica che si occupa di beni confiscati alla criminalità organizzata - e CSD Bulgaria, acronimo di Center for the Study of Democracy (Centro di ricerca sulla democrazia); 40
il cammino verso il reciproco riconoscimento tra gli Stati membri dell’Unione Europea dei provvedimenti di sequestro e confisca di prevenzione prosegue
zazione e le principali normative, nonché i dati e le statistiche del lavoro fino ad oggi svolto. Il proficuo incontro è terminato con uno scambio d’idee e proposte finalizzate a una futura collaborazione delle due strutture nella lotta alla criminalità organizzata. La costruzione di una “rete” internazionale di rapporti, finalizzata ad una efficace repressione del fenomeno criminale, non può indubbiamente prescindere dall’elaborazione di una normativa europea, che consenta il riconoscimento dei provvedimenti di sequestro e confisca tra Stati membri. In proposito, è interessante ricordare che tra gli obiettivi indicati nel Consiglio dei Ministri straordinario tenutosi il 28/11/2010 a Reggio Calabria, nel quale sono state elencate diverse misure di lotta alla criminalità organizzata di tipo mafioso, figura anche quello della promozione, da parte del Governo italiano, di una iniziativa per il riconoscimento reciproco, in ambito UE, dei provvedimenti di sequestro e confisca di beni appartenenti a soggetti presunti aderenti ad organizzazioni mafiose, adottati in assenza di condanne penali. Al riguardo, occorre evidenziare che le disposizioni internazionali ad oggi vigenti (cfr. decisioni quadro 2003/577/GAI del 22/7/2003, 2005/212/GAI del 24/2/2005 e 2006/783/GAI del 6/10/2006) non ammettono il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di sequestro e confisca adottati nella fase dell’attività di prevenzione, ma consentono il riconoscimento e l’esecuzione di provvedimenti ablatori su beni esistenti all’estero, solo se adottati nell’ambito di procedimenti penali. Tale “lacuna” dipende dalle numerose differenze che caratterizzano la normativa dei Paesi membri in ordine al sequestro ed alla confisca dei beni riconducibili alla criminalità
organizzata: si può dire che le misure di prevenzione rappresentino un caso quasi isolato nel panorama giuridico internazionale, perché tendono a colpire il patrimonio di un soggetto “pericoloso” indipendentemente dall’accertamento della sua responsabilità penale, e ciò rende purtroppo problematico il riconoscimento all’estero dei provvedimenti reali di prevenzione, in assenza di un apposito trattato bilaterale. Nonostante le problematiche descritte, il cammino verso il reciproco riconoscimento tra gli Stati membri dell’Unione Europea dei provvedimenti di sequestro e confisca di prevenzione prosegue. Recentemente, infatti, è stato costituito un gruppo tecnico presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale, cui partecipa anche l’Agenzia, che ha provveduto ad elaborare una bozza di direttiva in materia di reciproco riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti di sequestro e confisca di beni e proventi illeciti appartenenti a soggetti coinvolti in attività criminali, emessi da autorità giudiziarie o da autorità amministrative competenti, anche in assenza di procedimenti penali. In particolare, l’art. 11 della bozza di direttiva individua, quale obiettivo da perseguire, quello di “[…] facilitare la cooperazione tra gli Stati membri in materia di reciproco riconoscimento ed esecuzione delle decisioni o dei provvedimenti di sequestro o di confisca dei beni, mobili ed immobili, del denaro e di altri proventi, in modo che uno stato membro riconosca ed esegua nel proprio territorio dette decisioni o provvedimenti adottati in ambito non penale dalle autorità competenti di un altro Stato membro”.
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n otto anni si è passati dai circa 45 milioni di euro pagati nel 2003 ai circa 36,5 milioni di euro del 2010. Il picco nei pagamenti dello Stato a cittadini che erano stati vittime di ingiusta detenzione a causa di un errore giudiziario si è registrato nel 2004 (oltre 55 milioni di euro). Intorno al 10% è la quota di risarcimenti nei confronti di cittadini stranieri (Ministero dell’Economia e delle Finanze). L’irragionevole durata del processo: il ritardo nel ritardo. Ogni giorno, per effetto della “legge Pinto” (n. 89 del 2001), lo Stato indennizza i cittadini
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per l’eccessiva durata dei processi. Il provvedimento del 2001 fu introdotto per tentare di limitare il numero di ricorsi che i cittadini italiani indirizzavano alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ma, a dieci anni dalla sua prima applicazione, non ha determinato un miglioramento delle condizioni in cui versa la nostra giustizia, non essendo riuscito ad accelerare la durata dei procedimenti. Attraverso questo farraginoso meccanismo, inoltre, il cittadino subisce una doppia violazione: è stato leso il diritto ad avere un processo di durata ragionevole e, nonostante la giusta intenzione di risarcimento per il danno subìto, viene perpetrata una seconda violazione, che impedisce al ricorrente di disporre
dell’indennizzo in tempi ragionevoli. Si crea insomma una condizione paradossale: il ritardo nel ritardo. Dall’entrata in vigore della legge Pinto sono stati promossi, dinanzi alle Corti d’appello, quasi 40.000 procedimenti camerali per l’equa riparazione dei danni derivanti dall’irragionevole durata del processo, con costi enormi per le finanze dello Stato. Il Ministero della Giustizia ha pagato, fino al 2009, 150 milioni di euro di risarcimento per legge Pinto ed ha un debito ancora esistente, fino al 2008, di 86 milioni di euro. La spesa dello Stato dal 2003 al 2010, a titolo di risarcimento per il danno subìto a seguito dell’eccessiva durata dei processi, ammonta a circa 111 milioni di euro. Nel corso di questi
otto anni si è passati dai circa 5 milioni di euro pagati nel 2003 ai circa 16,5 milioni di euro del 2010. Il picco nei pagamenti dello Stato a cittadini che avevano subìto un processo troppo lungo si è registrata nel 2008 (circa 25 milioni di euro). Al 31 dicembre 2009 il debito dello Stato risultava pari a 267 milioni ed erano 11.343 i procedimenti pendenti per la legge-Pinto. La Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (Ctfp), istituita nella Finanziaria del 2007, per la valutazione della spesa pubblica (spending review), nella Revisione della spesa pubblica. Rapporto 2008 aveva sottolineato come «(…) a tali somme vadano aggiunte le ulteriori spese che non hanno trovato copertura nelle dotazioni di bilancio e che, non potendo essere pagate, vanno ad alimentare il debito sommerso. Tali importi risultano ad oggi di difficile quantificazione». Sempre la Ctfp segnalava un considerevole potenziale di crescita per questa voce di spesa, ricordando che «ipotizzando un risarcimento medio anche di 4.000 euro a testa ed un rimborso delle spese di difesa limitato a 1.000 euro, le sole cause introdotte in un anno potrebbero determinare una spesa di 500 milioni di euro». L’evidenza della crisi della giustizia italiana è data anche da un dato che
riguarda il fabbisogno economico per i risarcimenti delle Corti d’appello italiane e che è pari a 60.473.471,72 euro per l’anno 2009, mentre le risorse messe a disposizione dal bilancio dello Stato sono pari soltanto a 13.618.237,00 euro. Ormai i ricorsi presentati dalle vittime della “giustizia lumaca” hanno toccato il numero di 37.393 procedimenti arretrati, con riferimento al primo semestre del 2009 e con un aumento del 43,1%
rispetto al medesimo periodo del 2008 quando ne risultavano giacenti 26.132, e di 18.033 per quanto riguarda i procedimenti sopravvenuti. Tra il primo semestre 2008 e il primo semestre 2009 l’aumento dei ricorsi sopravvenuti ha punte elevatissime a Trieste (+521%), Cagliari (+217,4%) e Genova (+156%). Nello stesso periodo le Corti d’appello di Napoli (-11,2%), Venezia (-20%), Caltanissetta (-29%) e Brescia (-45,6%) hanno registrato un
calo dei ricorsi. A primeggiare nella classifica dei ricorsi sopravvenuti nel primo semestre 2009 è Roma con 5.556 domande ricevute, seguita da Napoli con 3.417 ricorsi ex legge Pinto. Il numero più basso di ricorsi si registra presso la Corte d’appello di Brescia con soltanto 49 casi. Da segnalare la Corte d’appello di Milano che nei primi sei mesi del 2009 registrava 167 ricorsi di indennizzo per la non ragionevole durata del processo (Ministero della Giustizia). Una diminuzione seppur modesta del considerevole numero di cause “a rischio risarcimento”, potrebbe portare al risparmio di diversi milioni di euro e ridurrebbe senz’altro l’esposizione debitoria potenziale. Numerose sono le proposte legislative in materia di
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riforma della legge Pinto, ma ad oggi nessun disegno di legge è riuscito ad essere approvato dal Parlamento. La Corte europea dei diritti umani. Recentemente la Corte di Strasburgo ha fornito i dati del numero di violazioni dal 1950 al 2010. L’Italia è seconda soltanto alla Turchia con 2.121 violazioni nelle condanne inflitte dalla Corte Europea nei suoi diversi ambiti di giurisdizione. In particolare, le condanne inflitte all’Italia in base all’art.6 sono 1.382, di cui 238 per il diritto ad un equo processo, 1.139 per la non ragionevole durata del processo e 5 per la mancata assistenza legale che ha reso inefficace il ricorso. La durata del processo costituisce il vero record italiano in tema di condanne ricevute dalla Corte di Strasburgo: dal 1959 al 2010 circa un quarto delle condanne per la durata del processo sono state inflitte all’Italia. Le nostre 1.139 condanne sono seguite da lontano dalla Turchia (699) e dalla Russia (530); il confronto con la Germania (83) e la Francia (279) rendono visibile la grave crisi del nostro sistema giustizia. Le violazioni accertate dalla Corte Europea dei Diritti Umani per violazione dell’articolo 6, dal 2004 al 2010 ammontano a 241. Di queste, 82 per
violazione del diritto ad un equo processo e 159 per violazione del diritto ad un equo processo sotto il profilo della ragionevole durata del procedimento. Nel 2007 si è registrato il picco delle condanne (57), con 51 violazioni per non ragionevole lunghezza del procedimento giudiziario. Il 2005 è stato l’anno con minori sentenze di condanna da parte della Corte di Strasburgo nei confronti dell’Italia. 1 punto di Pil perso per la lentezza del procedimento civile. L’exGovernatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha segnalato come la perdita annua di Pil, attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile, potrebbe valere un punto percentuale, ossia poco meno di 15,5 miliardi di euro nell’anno 2010. Sistemi a confronto: Francia, Spagna e Italia. I dati raccolti dalla Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (CEPEJ) permettono di tentare una comparazione tra i sistemi di Francia, Italia e Spagna (relativamente simili per popolazione, Pil e ordinamento giuridico). La spesa complessiva per garantire l’esecuzione di un procedimento giudiziario nel 2008 è stata pari a 3,3 miliardi di euro per la Francia, 4,18 miliardi di euro per l’Italia, 3,9 miliardi di euro per la Spagna. La voce più importante in tutti paesi considerati è quella relativa ai salari (lordi) che da soli arrivano
rispettivamente a oltre 1,8 miliardi per la Francia, quasi 2,4 miliardi per l’Italia e oltre 2,4 miliardi per la Spagna. Resta comunque il fatto che senza un sistema collaudato di contabilità analitica che consenta di imputare ragionevolmente i costi diretti ed i costi comuni, quantomeno ad ogni distretto giudiziario (o, meglio ancora, a livello di tribunale), e di effettuare questo esercizio in ogni paese considerato, le comparazioni di costo tra paesi non sembrano avere un elevato valore informativo. Tuttavia, si possono effettuare alcune comparazioni quantomeno interessanti. Nel 2008 il sistema giuridico francese e quello spagnolo hanno “concluso” circa 2,1 milioni di procedimenti ciascuno, quello italiano ben 4,4 milioni; inoltre, dai casi sopravvenuti, ossia i nuovi casi presi in carico dai sistemi giudiziari, emerge che il sistema italiano ha registrato circa 4,6 milioni di nuovi casi, contro i 2,2 milioni della Francia ed i 2,6 milioni della Spagna. È quindi evidente come, anche solo in termini di numerosità di casi, i sistemi giudiziari francese e spagnolo si trovino a dover affrontare annualmente carichi di nuovo lavoro ben inferiori al nostro, un’anomalia invero tutta italiana. Si consideri, ad esempio, che i giudici di pace hanno visto aumentare incredibilmente il numero di nuove (sopravvenute) “opposizioni a sanzioni amministrative” presentate ogni
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anno tra il 2006 ed il 2009: 756mila nuovi procedimenti nel 2006, 859mila nel 2007, 961mila nel 2008 ed infine 992mila nel 2009; si noti che questo non è il numero di opposizioni cumulato, ma è il numero di “nuove” procedure iscritte in ciascun anno indicato. Gli indici di rotazione di Francia ed Italia siano molto prossimi, rispettivamente 0,96 e 0,97: in altre parole sia il sistema giudiziario francese che quello italiano, nel 2008, hanno “concluso” un numero di procedimenti pregressi molto prossimo al numero di nuovi procedimenti iscritti nello stesso anno. Poiché, però, l’indice di rotazione non è pari ad 1, ciò implica che nel 2008 entrambi i sistemi hanno accumulato un numero di cause inevase che dovranno essere evase negli anni successivi. Questa, seppur contenuta, incapacità di recuperare il pregresso ha contributo alla formazione di un considerevole numero di procedimenti civili pendenti in Francia (1,5 milioni di procedimenti), che tuttavia è ben inferiore ai 4,8 milioni di procedimenti civili pendenti registrati in Italia al 31 dicembre 2008. In media 3 anni in Tribunale, 3 anni in Corte d’appello e ora quasi 2 anni dal Giudice di pace. I dati del Ministero della Giustizia mettono in evidenza come la durata media effettiva di un procedimento civile per le materie definibili con sentenza in Corte di appello è pari a 1.056 giorni (poco meno di 3 anni) nel 2006 e a 1.197 giorni nel 2008, con un incremento della durata media del 13,4% tra il 2006 ed il 2008. Valori pressoché identici si registrano per i procedimenti nei Tribunali ordinari, anche il dato ha subito negli anni considerati una contrazione dell’1,20%: 1.121 nel 2006 e 1.108 nel 2008.Presso il giudice di pace, la durata media effettiva dei procedimenti era pari a 463 giorni nel 2006 ed a 533 giorni nel 2008, con un incremento della durata media del 15,10%. I costi sul funzionamento del Sistema Paese La riforma della giustizia è sempre all’ordine del giorno, ma non si vede come le misure di volta in volta proposte possano realmente migliorare 48
l’efficienza dei Tribunali. Una delle principali difficoltà nell’affrontare il problema è costituito dalla misurazione dell’efficienza dei vari Tribunali. I fattori che si prendono a base per una simile valutazione: sono le spese e la durata dei procedimenti. Da alcuni studi anche di tipo comparato emerge con forza che se da un lato non è vero che chi spende di più ha anche una giustizia più rapida, è altrettanto vero che a parità di spesa si potrebbe ridurre del 30% la durata dei processi. L’efficienza della giustizia civile comunque ha un effetto prociclico sull’economia e la lentezza dei processi aggrava la crisi economica per le imprese italiane. Un aumento delle risorse pubbliche potrebbe non risolvere il problema. La spesa
pubblica in questo settore infatti non è bassa, tanto più se confrontata con quella degli altri paesi europei: il sistema giudiziario dispone di un numero di magistrati e di un impiego di risorse finanziarie non inferiore, e talvolta superiore, a paesi che pure mostrano una performance giudiziaria migliore. In Italia, nel decennio scorso, la spesa per la giustizia è risultata una delle voci in maggior crescita del bilancio dello Stato, negli anni Novanta è aumentata del 140% e i magistrati in servizio sono aumentati di circa il 15%. Dal 2004 al 2007 la spesa pubblica destinata alla voce “magistrati” è cresciuta di circa il 27%, mentre quella per i cancellieri è rimasta sostanzialmente costante (+1%). All’aumento di risorse destina-
te al settore non è però corrisposto un adeguato miglioramento dei risultati. Il numero dei procedimenti pendenti, civili e penali, non è affatto diminuito. Al contrario, il tasso di crescita è risultato in continua ascesa. Negli ultimi vent’anni lo stock di cause civili arretrate si è pressoché triplicato. Nello stesso periodo i procedimenti penali pendenti in primo grado sono più che raddoppiati. La produttività dei magistrati cresce al crescere delle dimensioni dei Tribunali in cui essi operano. Circa il 70% dei Tribunali resta troppo piccolo per essere davvero efficiente, e le stime evidenziano che i Tribunali sono meno produttivi e più inefficienti nell’esercizio della funzione civile di quanto non avvenga per le materie penali. Anche il confronto
internazionale conferma l’eccesso di sedi: secondo i dati del Consiglio d’Europa, in Italia gli abitanti serviti da una corte di prima istanza sono mediamente 55mila, una densità di uffici doppia rispetto alla Germania, al Regno Unito e alla Francia, dove peraltro il governo ha predisposto accorpamenti e chiusure delle sedi minori, per migliorare l’efficienza del settore. Il Rapporto redatto annualmente dalla Banca Mondiale prende in considerazione la media di nove indicatori caratteristici del ciclo di vita di una impresa: dalla facilità nell’aprire un’azienda, all’ottenimento del credito, fino alla rapidità delle procedure fallimentari. Tra i nove indicatori, e considerando la classifica che misura il recupero di un credito per via giudizia-
le (Enforcing Contracts), l’Italia si colloca alla 157a posizione, occupando il grado di gran lunga peggiore. Il motivo principale della lentezza della giustizia civile in Italia è l’altissimo numero di cause iscritte a ruolo ogni anno, in un trend sempre crescente: 4,3 milioni nel 2007, 4,6 milioni nel 2008 e 5 milioni nel 2009. Di queste cause, solo il 44% arriva a sentenza. Il resto intasa inutilmente il lavoro dei magistrati, in quanto transatto o abbandonato. Con questa enorme mole di lavoro, la produttività dei nostri magistrati è tra le più alte d’Europa. L’anomalia, tutta italiana, è generata dalla combinazione deleteria di due fattori, ossia la presenza sopra la media di un gran numero di “clienti” del sistema giustizia (sia litiganti che consulenti) ed il bassissimo costo che lo Stato richiede sia all’inizio che al termine del processo. Il costo del servizio giustizia (ossia il contributo unificato) in Italia è tra i meno cari: il 2,9% del valore del contenzioso (quasi la metà della Germania e dell’Olanda); ciò nonostante l’introduzione del contributo unificato nell’opposizione alle multe ha ridotto drasticamente le cause davanti ai Giudice di pace. L’introduzione della conciliazione ha creato ulteriori spazi per la risoluzione delle liti in modo che ogni conflitto non si trasformasse necessariamente in una causa. Il numero di mediazioni cresce giorno dopo giorno, il 70% degli incontri si chiude con un accordo e le iscrizioni a ruolo nei Tribunali stanno diminuendo in maniera significativa. Il 51,8% di tutte le cause di Rc auto in Italia davanti ai Giudici di pace si è concentrato nel 2010 in una sola regione: la Campania con 119.978 su un totale di 231.565. La percentuale sale al 79% se si comprendono anche Puglia, Sicilia e Calabria. Il rimanente 21% delle cause è distribuito equamente nelle altre sedici regioni. In Campania viene depositato il 1.400% in più di cause di Rc auto rispetto a una regione attigua e con un numero simile di abitanti come il Lazio. Fonte Eurispes 49
onostante un lievissimo incremento nella percentuale dei cittadini che dichiarano di aver maggiore fiducia nelle Istituzioni rispetto allo scorso anno (+1,9%), l’alto tasso di sfiducia non può che essere interpretato come una vera e propria presa di distanza nei confronti del sistema istituzionale in generale. L’aumento dei delusi, tra un anno e l’altro, passa dal 68,5% del 2011 al 71,6% del 2012 e, raffrontato con il 2010 (45,8%) segna un incremento superiore al 26%. Ad esprimere un senso di sfiducia più forte sono i giovani tra i 25 e i 34 anni (74,6%) e i 45-64enni (72,8%), seguiti dagli over65 (70,7%). La maggior quota di delusione si concentra nell’area di destra (69,4%) e di sinistra (66,7%), mentre il dato si abbassa tra chi si sente più vicino all’area di centro-sinistra (62,3%), di centrodestra (60,8%) e di centro (58,4%). Merita attenzione il dato dell’82,4% dei delusi tra coloro che dichiarano di non riconoscersi in nessuno degli schieramenti politici (e che rappresentano il 40% del campione totale). La fiducia nel Presidente della Repubblica tiene, ma con qualche scossone. Sulle principali Istituzioni repub50
blicane il giudizio dei cittadini vede un solo protagonista che raccoglie il 62,1% dei consensi: il Presidente della Repubblica. Si rileva, tuttavia, l’interruzione del trend positivo: un calo di fiducia del 6,1% tra lo scorso anno (68,2%) e quest’anno (62,1%) e, parallelamente, un aumento di quanti segnalano la propria sfiducia (ne aveva poca o nessuna complessivamente il 27,6% nel 2011, mentre nel 2012 il dato arriva al 35,5%). Il Parlamento occupa il gradino più basso nella classifica di considerazione degli italiani. Solo il 9,5% vi ripone molta o abbastanza fiducia. Confrontando i dati con quelli relativi agli anni precedenti, si passa dal 26,9% del 2010 al 15% del 2011, sino all’attuale 9,5%, che rappresenta in assoluto il punto più basso dal 2004 (36,5%) ad oggi. Magistratura: tra problemi strutturali del sistema-giustizia e tensioni interne. Il livello di fiducia nella Magistratura tocca quest’anno il 36,8%, ben 17 punti
percentuali in meno rispetto alla precedente rilevazione (53,9%). Si tratta del dato più basso registrato dopo il 38,6% del 2006. Considerando la serie storica, il 2012 segna una rottura rispetto al trend nel complesso positivo, anche se altalenante, dal 2004 (52,4%) al 2011 (53,9%). Forze dell’ordine: le più amate. Tra le Istituzioni, quelle più apprezzate e sulle quali si ripone un’ampia fiducia vi sono le Forze dell’ordine. Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza che raggiungono sempre, in tutte le rilevazioni annuali, quote di consenso molto ampie.Sono le donne (72,9%) ad indicare complessivamente una maggiore fiducia rispetto agli uomini (70,6%) nella Polizia di Stato. Maggiore fiducia si concentra nella fascia d’età dei 3544 anni (77,4%), in quella tra i 45 e i 64 anni si registra il 75,9%, tra i 25 e i 34 anni si riscontra il
68,3%, gli over 65 raggiungono il 66,9%, mentre tra i 18 e i 24 anni il dato è pari al 64,3%.Per quanto riguarda l’area geografica si registra il più alto livello di fiducia nelle Isole 80,2%, segue il Sud con il 72,8%, il Centro con il 72,1% e il Nord-Ovest con il 70%. La percentuale di fiducia più bassa si registra nel Nord-Est, con il 66,1% di chi esprime molta o abbastanza fiducia. Colpisce soprattutto il dato espresso dall’area di sinistra (molta fiducia per il 16,7% e abbastanza fiducia per il 44,4%, per un complessivo 61,1%), valore inferiore rispetto all’area di centro-sinistra (80,6%) e di centro-destra (80,1%), mentre il centro si colloca al 79,2%, la destra al 73,5% e chi non si colloca politicamente ha fiducia nella polizia per il 64,7%. Fonte Eurispes
Il Parlamento occupa il gradino più basso nella classifica di considerazione degli italiani. Solo il 9,5% vi ripone molta o abbastanza fiducia 51
iamo assolutamente convinte che la capacità dell’essere umano di non discriminare nasce e si sviluppa prioritariamente all’interno della famiglia, il luogo primario dell’educazione, che poi deve necessariamente continuare nella scuola, che deve essere leva fondamentale di una cultura della parità e della condivisione, sia all’interno della famiglia che della società: insegnare fin dalla più tenera età che gli individui hanno parità di diritti e di doveri fra i sessi è una sfida che coinvolge tutti i settori 52
la capacità dell’essere umano di non discriminare nasce e si sviluppa prioritariamente all’interno della famiglia, il luogo primario dell’educazione
vede nell’emancipazione ed autonomia femminile un pericolo per la sua individualità: e qui, certamente, non conta né l’età né il ceto sociale; vediamo infatti che con l’aggravarsi della crisi economica sono sempre più evidenti le insicurezze maschili dovute alla paura di perdere il proprio posto di lavoro, di perdere uno status acquisito precedentemente, di subire perdite economiche tali da renderlo meno competitivo per la società. La politica dovrebbe svolgere un ruolo di indirizzo anche in termini di uguaglianza e parità, ma risponde alle richieste dei cittadini molto flebilmente; un solo esempio: al tavolo dove si studia la modifica della legge elettorale su sei componenti non c’è
della società civile. E non diciamo certo cose fuori dal mondo: nel suo documento programmatico di inizio anno, il Ministro del lavoro e pari opportunità Elsa Fornero ha infatti dichiarato di voler attivare un monitoraggio sull’andamento dell’attività del Piano contro la violenza di genere, da attuarsi attraverso il Comitato previsto dal piano, per acquisire una conoscenza completa delle azioni e degli interventi di contrasto alla violenza posti in essere sul territorio nazionale, favorendo l’individuazione di possibili sinergie tra i soggetti impegnati nell’erogazione di servizi a livello regionale e territoriale. Riteniamo opportuno che le responsabili alle pari opportunità, a tutti i livelli, vigilino affinché l’utilizzo delle risorse sia finalizzato all’erogazione di maggiori e migliori servizi alle vittime di violenza di genere ed ai loro figli e diventa quindi indispensabile, per le dirigenti pari opportunità della Uil, raccordarsi con gli enti locali per sviluppare sul territorio nazionale una rete proattiva che avvii una cultura di genere antidiscriminatoria, come abbiamo bene evidenziato nel nostro lancio della cam-
Riteniamo opportuno che le responsabili alle pari opportunità, a tutti i livelli, vigilino affinché l’utilizzo delle risorse sia finalizzato all’erogazione di maggiori e migliori servizi alle vittime di violenza di genere pagna per il Gender New Deal, sia durante i lavori della Assemblea Nazionale che in occasione dell’8 marzo. Lo sviluppo del Piano programmatico per le pari opportunità del Ministro deve necessariamente trovare risposta adeguata anche all’interno della Commissione di parità del Dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio. Volendo andare al fondo dei fenomeni di discriminazione e violenza possiamo dire, senza tema di essere smentite, che alla base di un sistema nemico di chi è più debole c’è una profonda ed atavica paura dell’altro da sé: un timore che porta ad escludere ciò che può provocare ipotetici danni individuali e che porta sovente all’annientamento – spesso fisico – del presunto nemico. Tutto ciò è frutto di una cultura sbagliata, più radicata nell’uomo, che
neppure una donna! Le dimissioni in bianco rappresentano uno tra gli esempi di violenza perpetrata dai più forti sui più deboli: una pratica che principalmente colpisce le donne e che, però, è subita anche da giovani neoassunti che non possono ammalarsi pena il licenziamento; le donne della Uil avvertono la gravità di questo scandalo, si sono impegnate e continueranno a lottare per la eliminazione di questa vergognosa pratica. Le finte dimissioni, infatti, sono fatte firmare per ricatto a chi – nella difficoltà della crisi - pur di lavorare accetta questa prassi, che riteniamo assolutamente violenta; se ancora oggi, per molte donne, “fare un figlio significa finire per strada”, bisogna ripartire e ricostruire laddove il tessuto sociale si è strappato: questo è un compito prioritario del sindacato e delle donne del sindacato in particolare. 53
Uilweb.tv è un progetto editoriale e giornalistico della Uil nato circa cinque anni fa da un’idea di Antonio Passaro e Antonio Messia, rispettivamente portavoce e assistente del Segretario generale, Luigi Angeletti. Dopo una prima fase progettuale e di pre-produzione, il 5 marzo del 2008, in occasione delle celebrazioni per il 58° anniversario della nascita del sindacato di Via Lucullo, Uilweb.tv ha iniziato la sua attività documentando l’evento e uploadando il numero zero di Uilweb.g, il web giornale della testata Uilweb.tv. Con i suoi contenuti, freschi, immediati e facilmente accessibili Uilweb.tv ha ottenuto fin da subito l’approvazione e il consenso di migliaia di utenti, per lo più iscritti e militanti della Confederazione: già nei primi mesi di attività, infatti, circa tremila utenti unici hanno frequentato assiduamente il sito web, un numero notevole per la dimensione progettuale e sperimentale che Uilweb.tv aveva nei suoi primi mesi di vita. Il sito web della Uil, apprezzato e frequentato con assiduità da milioni di utenti, si è arricchito così del dinamismo che solo l’immediatezza dell’immagine in movimento può offrire, svincolandosi dalla testualità e promuovendo una commistione di generi e formati che trae forza dal passaggio tra vecchio e nuovo, tipico dei contenuti figli della convergenza tecnologica. Uilweb.tv nasce, dunque, semplicemente. L’idea della sua creazione prende vita da piccole e grandi riflessioni sulla realtà che ci circonda, dalla percezione, sempre più forte, dell’esistenza di un intreccio particolare tra due mondi, alternativi e complementari: il mondo fuori e quello dentro lo schermo di un pc. È una metamorfosi impercettibile che ha tessuto con fibre invisibili un nuovo ordito tra realtà e virtualità. Lo spazio virtuale di un sito web è un luogo presente e fisico tanto quanto quello vissuto nella materialità del quotidiano, e di esso, per esistere, non può fare a meno. Creare un canale di comunicazione diretto, sia esso audiovisivo o multimediale o ancora “multimodale”, che raggiungesse in maniera più diretta e immediata gli iscritti della Uil,
L’idea della sua creazione prende vita da piccole e grandi riflessioni sulla realtà che ci circonda, dalla percezione, sempre più forte, dell’esistenza di un intreccio particolare tra due mondi, alternativi e complementari: il mondo fuori e quello dentro lo schermo di un pc e che, contemporaneamente si spingesse in maniera forte ma non invasiva nella vita dei lavoratori e di tutti i cittadini, era da tempo nelle intenzioni degli ideatori del progetto. Uilweb.tv è nata dopo un’attenta riflessione sui mezzi di comunicazione, sui linguaggi e sulle modalità di espressione 55
del mondo contemporaneo. Prima del lancio di quella che è stata la prima webtv sindacale in assoluto, si sono valutate differenti opportunità, studiato varie modalità e diverse tec-
comunicazione faccia a faccia e a sostenere i rapporti interpersonali, abbia scelto di essere presente nella vita del lavoratore anche quando si concludono i turni di fabbrica o si timbrano i badge a fine giornata. Abbattendo i confini spazio-temporali e adottando una strategia comunicativa innovativa, che nel tempo si è dimostrata valida, la Uilweb.tv si è avvicinata ai bisogni del lavoratore attraverso la formazione, l’informazione e l’interazione. Dai primi tremila contatti unici, infatti, si è passati a un’utenza molto più solida e
Uilweb.tv, infatti, ha da sempre un carattere sperimentale e eclettico. Strutturata per canali, affronta anche argomenti sociali e culturali, che spaziano dal cinema, al teatro, alla musica, ai viaggi, ai libri, ai servizi nologie, dal tradizionale canale radiofonico, alla tv di terza generazione (satellitare e digitale terrestre), per approdare alla scelta più consona alle esigenze dell’Organizzazione e all’evoluzione dei tempi: una webtv. Tra la necessità di esserci nel mondo della rete, che cambia freneticamente le sue regole e i suoi riferimenti e l’opportunità di parlare alle nuove generazioni con quello stesso linguaggio fluido e svelto che le contraddistingue, si è progettato il canale web della Uil in modo da raggiungere vari target eterogenei, a partire dagli iscritti, soprattutto i più giovani, notoriamente restii a sviluppare rapporti di comunicazione tradizionale. Risiede qui la scelta di non esaurire le potenzialità comunicative del mezzo nell’ambito, essenziale ma non esclusivo, dell’informazione e delle tematiche sindacali. Uilweb.tv, infatti, ha da sempre un carattere sperimentale e eclettico. Strutturata per canali, affronta anche argomenti sociali e culturali, che spaziano dal cinema, al teatro, alla musica, ai viaggi, ai libri, ai servizi, con l’obiettivo principale di comunicare la Uil nella sua vera essenza e per quello che realmente è: un’organizzazione sociale, che opera nella società e per la società, che è attenta ai suoi movimenti, ai suoi cambiamenti, alle sue sfide. Una scelta, questa, che equivale ad un impegno: essere un punto di riferimento al servizio dei lavoratori e dei cittadini. In ciò è la ragion d’essere della Uilweb.tv, un nuovo strumento per sostanziare ulteriormente il senso di appartenenza all’organizzazione e per realizzare un processo di fidelizzazione sindacale perduto, sempre più sui contenuti e sulle capacità di servizio. Come è noto a tutti i rappresentanti dei lavoratori che quotidianamente affrontano le problematiche, i processi e i cambiamenti del mercato del lavoro e hanno il compito di informare in maniera chiara, efficace e puntuale, parlare ai lavoratori è sempre stato impegnativo. Può sembrare banale o riduttivo, ma il dialogo e il confronto, coniugati a un’informazione precisa, sono le chiavi d’accesso per la conoscenza. Una ricchezza e un bagaglio culturale che arricchiscono indistintamente tutti gli individui. Non è un caso, dunque, che la Uil, continuando ad appoggiare la 56
che è andata ben al di là di ogni più rosea previsione: Uilweb.tv è diventata, nel tempo, un punto di riferimento per i delegati, che hanno ogni giorno occasione di confrontarsi con i fatti sopprimendo la distanza territoriale e temporale, e per i cittadini, che, ormai abitualmente e in continua crescita, seguono i contenuti della webtv. Il carattere sperimentale del progetto non è mai venuto meno, anzi, proprio di questo Uilweb.tv ha fatto la sua forza. Come houseorgan della Uil, Uilweb.tv, si propone come luogo di confronto e di informazione, focalizza la sua attenzione sui lavoratori e sul mondo che li circonda, fornendo quotidianamente notizie di carattere sindacale, economico e politico. Infatti con il Uilweb.g, la striscia
informativa quotidiana, prendono vita le notizie che, differentemente dal flusso informativo della televisione generalista, trattano temi di diretta rilevanza sindacale e vengono collocate in una sorta di libreria virtuale, accessibile e consultabile 24 ore su 24. Punto di forza della webtv, in tal senso, è una forte sinergia tra la velocità di informazione tipica del web e la riflessione giornalistica: ne sono testimonianza i prodotti audiovisivi, anche in diretta streaming, degli eventi più importanti e significativi, come ad esempio le manifestazioni di piazza, i Congressi e le Conferenze di Organizzazione, i commenti a caldo del Segretario Generale o di vertici sindacali della
l’intenzione di sviscerare un determinato argomento a partire dalla voce del lavoratore. Ma, così come la sfera del lavoratore non si chiude nel solo ambito lavorativo, la Uilweb.Tv dedica uno spazio virtuale anche alla più ampia sfera sociale e culturale. Il canale “Tribù” di Uilweb.tv risponde proprio all’esigenza di scavalcare il sindacale in senso stretto per entrare nella vita dei lavoratori e dei cittadini attraverso il sociale, il teatro, il cinema e l’arte vissuti dal basso. Uilweb.tv, infatti, ha scelto di dedicare ampi spazi del canale Tribù ad artisti emergenti - giovani registi, attori in erba, talenti delle arti contemporanee – non solo per dare rilevanza a forme di comunicazione ed espressione altrimenti difficilmente accessibili al mainstream, ma anche per dare valore al lavoro e alla creatività dei giovani artisti italiani e stranieri e per diffondere teorie e approcci alla vita socio-culturale dei nostri tempi. Ne sono esempi il patrocinio di Uilweb.tv all’evento organizzato dalla Uil Giovani di Salerno “E’…vento di Musica”, i servizi sulla piccola e media editoria, gli approfondimenti sul mondo cinematografico e documentaristico, così come i workshop e i convegni dello psicoterapeuta cileno, Claudio Naranjo. Oltre la cultura, il canale Tribù presta particolare attenzione alle tematiche più delicate della vita sociale dei cittadini: dalle devastanti esperienze delle carceri italiane, analizzate anche con la testimonianza di rappresentati della categoria Uil Penitenziari, alle riflessioni sulle violenze, all’interesse verso la disabilità. Importante, in tal senso, lo sforzo produttivo della Uilweb.tv per la diffusione del Festival del Teatro Patologico, con il regista Dario D’Ambrosi. Una collaborazione che dura ormai da più di un anno e che ha portato Uilweb.tv al cinquantenario della Fondazione dello storico teatro “La Mama ETC” di New York, fondato da Ellen Stuart. Fin dalla sua nascita, Uilweb.tv, pur mantenendo il suo carattere sperimentale, ha sempre perseguito l’obiettivo di restare accanto al lavoratore e al cittadino. Per questo motivo si pone molta attenzione alla vita pratica e concreta di ogni persona e, attraverso i canali dedicati ai servizi Uil – il patronato Ital e il Caf – si offre periodi-
Fin dalla sua nascita, Uilweb.tv, pur mantenendo il suo carattere sperimentale, ha sempre perseguito l’obiettivo di restare accanto al lavoratore e al cittadino
Uil, le versioni integrali di conferenze stampa e convegni di grande rilevanza sindacale; accanto a prodotti immediati e diretti, come quelli di cui sopra, Uilweb.tv offre contenuti più riflessivi e ragionati sull’attualità socio- sindacale. Un esempio in tal senso è la ri-mediazione in formato web dei classici “salottini” televisivi, che, senza sforare i limiti temporali insiti nel mezzo web e senza stravolgerne i linguaggi, forniscono agli utenti un approfondimento puntuale e concentrato sulle vicende di maggiore rilevanza da parte di testimoni privilegiati; seguono la stessa logica, i reportage direttamente dai luoghi di lavoro, realizzati con
camente un supporto audiovisivo e multimediale per informare, supportare e indirizzare il cittadino nell’espletamento della pratiche burocratiche essenziali per il mondo lavorativo e fiscale. Uilweb.Tv, dunque, cresce e si sviluppa al fianco del lavoratore, raccogliendo e dando spazio alla sua voce e alla sua realtà. 57
Quali sono le tematiche trattate durante il Master? Premetto che ho avuto la possibilità di partecipare in quanto responsabile del Settore relazioni e cooperazione internazionale della Direzione centrale per gli istituti istruzione del Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza; nel merito direi che abbiamo esaminato lo sviluppo delle politiche di sicurezza e giustizia in Europa con approfondimenti specifici sugli accordi e trattati europei nell’area di sicurezza e giustizia tra cui il Trattato di Roma, il Trevi, l’Accordo di Schengen, il Trattato di Maastricht, il Trattato di Amsterdam seguito dai Programmi di Tampere, Nizza e Stoccolma e dal più recente Trattato di Lisbona concernente l’area di libertà, sicurezza e giustizia. Le singole tematiche hanno riguardato la cooperazione internazionale di polizia nel contesto geopolitico globale (mondiale), regionale (continentale) e bi-multilaterale tra
Quali sono oggi gli strumenti per la cooperazione internazionale di polizia?
Stati, i metodi di risoluzione delle problematiche connesse alle differenze dei sistemi giuridici di Common Law e Civil Law e delle differenze tra i modelli procedurali accusatori e inquisitori adottati nei diversi Paesi con cui vengono instaurati rapporti di cooperazione internazionale di polizia, la comparazione dei poteri investigativi e giudiziari della polizia e della magistratura nei diversi Stati membri, lo studio delle differenze giuridiche della magistratura inquirente e quella giudicante nei vari sistemi statuali le competenze e le prerogative delle Corti di Giustizia nazionali ed internazionali, le differenze organizzative e strutturali delle forze di polizia degli Stati membri, il Mandato d’Arresto europeo, ecc.
Anch’essi sono stati rigorosamente analizzati e sono, in particolare, le Decisioni, le Convenzioni, i Regolamenti e le Direttive dell’Unione Europea e gli strumenti da esse scaturiti come il Comitato di Sicurezza Interna (CO.S.I.) e la legge applicativa per i gruppi di lavoro comuni. Sono state poi trattati i compiti e le caratteristiche delle maggiori strutture di cooperazione di polizia e giustizia internazionali tra cui Europol, Eurojust, Frontex, Cepol, Interpol e le maggiori reti per lo scambio di informazioni come la Rete europea di scambio giudiziario, la Rete europea di prevenzione al crimine, il Forum europeo di prevenzione sul crimine organizzato.
Uno scenario vasto e numerose problematiche: quali sono le priorità? Le priorità stabilite dall’Unione Europea in merito alle politiche di sicurezza comuni sono state anch’esse approfondite e tra quelle attuali spiccano il traffico di esseri umani, il traffi-
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hanno il dovere di riversare gli apprendimenti acquisiti all’interno delle rispettive organizzazioni di provenienza, proponendo specifica attività di settore ai colleghi ed al personale dipendente.
Questioni che potrebbero apparire lontane dalla quotidianità lavorativa dell’operatore di polizia…
co di organi, il traffico di droga, il traffico di materiale nucleare e radioattivo, il traffico di autoveicoli rubati, la corruzione e le frodi comunitarie, i crimini e le discriminazioni di genere.
Come avviene lo scambio di informazioni tra gli Stati? Abbiamo affrontato i diversi aspetti relativi al Trattato di Schengen, al Trattato di Prüm negli aspetti caratteristici che determinano il riciclaggio di denaro, i crimini informatici, la gestione dell’ordine pubblico per i grandi eventi di carattere internazionale, nonché per gli aspetti specifici dei richiedenti asilo. Un approfondito esame ha riguardato inoltre le tematiche relative alle missioni internazionali congiunte di polizia dell’Unione Europea dell’O.N.U. dell’O.S.C.E, quelle delle Corti criminali internazionali e quelle relative all’identificazione delle vittime delle catastrofi naturali.
L’attività formativa si è avvalsa di contributi esterni? L’Accademia di Polizia Europea (CEPOL) ha organizzato l’attività formativa avvalendosi dell’apporto della Guardia Civil spagnola, della Polizia Federale tedesca ed della Polizia Nazionale francese in collaborazione con le Università di Madrid, Münster e Lione.
Qual era lo scopo dell’attività formativa? E’ quello di avvicinare e rendere maggiormente partecipi gli addetti ai lavori ad avere conoscenza sull’intero sistema europeo relativo alle politiche di sicurezza comuni, che si realizza attraverso la cooperazione internazionale di polizia che vede coinvolte le varie Agenzie europee ed internazionali e le forze di polizia degli Stati membri. Durante il Master, che ha avuto la durata di un intero anno accademico e si è svolto in tre distinte fasi in Spagna, Germania e Francia sono stati affrontati tutti gli aspetti relativi all’argomento a 360 gradi, con grande giovamento per tutti i partecipanti che a loro volta, in una fase successiva, 60
In tutti i settori ogni forma di criminalità, anche quella diffusa, a seguito dall’apertura delle frontiere, sta assumendo sempre di più connotati internazionali, sia per quanto riguarda le organizzazioni criminale, sia per quanto riguarda specifici aspetti relativi alla prevenzione generale, alla sicurezza urbana e anche all’ordine pubblico Al poliziotto della strada può sfuggire l’esistenza di un così complesso sistema di cooperazione internazionale di polizia, utile per monitorare le situazioni emergenti attraverso lo scambio di informazioni e da attivare in caso di necessità per facilitare e velocizzare gli interventi della polizia giudiziaria e della stessa autorità giudiziaria stessa, nei sempre più frequenti reati di portata transnazionale. Proprio per questo le agenzie europee di formazione di polizia Cepol e Frontex sono deputate dalla Commissione Europea alla diffusione di una cultura comune di polizia che tende, pur in presenza di marcate differenze tra i vari sistemi giuridici vigenti, anche all’armonizzazione delle procedu-
Le singole tematiche hanno riguardato la cooperazione internazionale di polizia nel contesto geopolitico globale (mondiale), regionale (continentale) e bi-multilaterale tra Stati re e dei metodi operativi utilizzati dalle Forze di Polizia degli Stati membri: attraverso una specifica e variegata attività formativa stanno portando avanti un programma di allargamento della base degli addetti ai lavori che siano a conoscenza delle attività e delle potenzialità delle strutture europee ed internazionali che facilitano gli scambi d’informazioni e la cooperazione internazionale di polizia e giudiziaria.
Com’è stata organizzata in concreto l’attività formativa? Come già accennato il Master è stato suddiviso in tre fasi cui hanno partecipato 28 appartenenti alle diverse forze di Polizia dei Paesi membri. Ognuna di queste fasi si suddivideva in tre periodi. Il primo periodo consisteva nello studio propedeutico della copiosa documentazione tematica inviata ai partecipanti attraverso la piattaforma formativa informatica di Cepol. La seconda fase prevedeva la partecipazione, per una settimana presso le strutture di polizia ospitanti, ad attività formativa di approfondimento con la presenza di docenti scelti da Cepol tra illustri rappresentanti delle istituzioni europee, professori universitari, validi colleghi impegnati nell’attività di cooperazione ed altre professionalità specifiche richieste in relazione all’attività didattica svolta. In fine tutta l’attività del singolo periodo si concludeva con la stesura una tesi che prendesse in esame uno specifico argomento trattato nel periodo residenziale che avesse attinenza al set-
tore d’impiego di ciascun partecipante. Pertanto ciascun partecipante al termine del Master ha sviluppato ben tre tesi che hanno comportato l’approfondimento di singoli spaccati dell’attività di servizio in merito alla cooperazione internazionale di polizia relativi al proprio settore d’impiego, individuando l’importanza strategica e la possibilità di utilizzo di questi strumenti che sono a disposizione di tutte le Forze di Polizia. Durante il Master la lingua di lavoro comune per tutta l’attività è stata quella inglese compresa la stesura delle tre tesi finali
In definitiva un Master impegnativo con tanta carne sul fuoco: quali ricadute avremo in Italia? Va precisato che quella da me frequentata è stata la prima edizione del Master e durante il ritiro del premio nella sede dell’Accademia Guardia Civil ad Arajuez, vicino Madrid , era già in corso la seconda edizione, pertanto ritengo che non si tratti di una iniziativa isolata ma che continuerà nel tempo. Per quanto riguarda la mia area d’impego sarà mia cura proporre specifica attività formativa attraverso conferenze e mirati protocolli didattici da sviluppare all’interno dei corsi di formazione di base, di specializzazione e di settore che si svolgeranno presso gli Istituti di istruzione della Polizia di Stato. Lo scopo è trasfondere queste acquisizioni di conoscenza in specifiche e variegate attività formative in relazione alle tipologie dei corsi da noi istituiti e realizzati che possono spaziare dalla semplice conferenza alla progettazione di tipici protocolli formativi di carattere generale, ovvero di carattere prettamente specialistico per il personale impiegato nel settore info-investigativo. 61
a realizzazione della Riforma di Polizia doveva essere uno dei punti di partenza per la costruzione di una moderna cultura della sicurezza e, quindi, sul come produrre ovvero
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assicurare ordine e sicurezza alla collettività . Dopo anni in clandestinità , gruppi di tutori dell’ordine che si erano costituiti in movimento, con l’appoggio di Cgil Cisl e Uil e di parlamentari della sinistra comunista e socialista ed anche grazie al concorso di settori della
Democrazia Cristiana, riuscirono a ottenere che il Parlamento approvasse la Legge 121 del 1981 e la smilitarizzazione del disciolto Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e la sindacalizzazione della Polizia di Stato: fu un importantissimo balzo in avanti anche se i diritti politici e sindacali, che le
altre categorie di lavoratori esercitavano pienamente da decenni, vennero riconosciuti in maniera parziale. Fu comunque un successo, visto il clima di diffidenza rispetto al cambiamento che veniva rivendicato non solo dai poliziotti, ma anche dalle forze politiche e confederali, interpreti dei sentimenti di larghi strati sociali, cui si contrapponevano le preoccupazioni di chi animò l’aspro dibattito svoltosi alla Camera dei Deputati, di cui furono protagonisti anche autorevolissimi esponenti di parte governa-
tiva, che si interrogavano su chi sarebbe stato in grado di gestire una Polizia smilitarizzata e come ci sarebbe riuscito.
A distanza di oltre 30 anni dalla promulgazione della Riforma si può pacificamente affermare che i timori si sono rivelati del tutto infondati ed
Il lavoro dovrebbe offrire ad ogni essere umano la possibilità di coltivare le proprie ambizioni e realizzare le aspettative legittime, il che dovrebbe tradursi in termini effettivi sulla base delle potenzialità individuali e dell’ambiente circostante
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anzi, in concreto, la smilitarizzazione e la sindacalizzazione non solo non hanno intaccato il rapporto di servizio ma, avendo favorito il dialogo ed libero confronto con gli altri lavoratori, hanno contribuito in molte circostanze a dar vita a proficue sinergie di cui si avvantaggia l’interesse pubblico ed il rapporto Polizia – Cittadini, utili anche a contrastare nuovi fenomeni criminali, caratteristici dell’era della c.d. globalizzazione, che senza questo nuovo rapporto potrebbero seriamente minacciare la pace e la tranquillità sociale. E’ quindi necessario fare altri passi avanti per eliminare i limiti alle libertà sindacali dei poliziotti e rivisitare alcuni aspetti dell’organizzazione interna delle Forze di polizia, ivi compresi gli aspetti ordinamentali, con particolare riferimento alle carriere, intese come funzioni piuttosto che come fregi e distintivi. Dopo l’intervento dell’allora Ministro dell’interno, Roberto Maroni, al 64
nostro primo congresso nazionale, dove aveva preannunciato l’istituzione di una commissione per la modifica della legge 121, il Capo della Polizia Antonio Manganelli, collegatosi in videoconferenza da oltreoceano, nel corso del suo lungo ed accorato intervento, nell’esprimere condivisione per la iniziativa politica dall’On. Maroni, si è soffermato su alcuni aspetti della legge di Riforma, affermando a tal proposito che precludere all’operatore di polizia l’esercizio delle proprie funzioni ordinamentali equivarrebbe a togliergli dignità. Un intervento, quello del Prefetto Manganelli, che ha destato molto entusiasmo, tanto che la platea si è alzata per applaudire calorosamente ed a lungo, perché ha toccato il sentimento comune dei delegati e degli ospiti, tra cui anche quadri di altre organizzazioni sindacali. Quanto evidenziato dal Capo della Polizia non deve però rimanere una mera constatazione di una realtà che
potrebbe – e dovrebbe – cambiare mutare in meglio, anche nell’interesse dell’Istituzione e della Collettività, ma deve essere uno stimolo che, in attesa di interventi normativi, deve far riflettere soprattutto la periferia perché molte volte l’ostacolo all’effettivo svolgimento delle funzioni non è determinato solo da un ormai evidente squilibrio nella distribuzione del personale tra i ruoli, ma spesso è riconducibile ad una organizzazione del lavoro e ad una ripartizione dei carichi di lavoro che risentono di egoismi e personalismi che nulla non hanno a che fare con il dispositivo normativo, né tantomeno dal vertice che, come si è visto, ad ogni singolo Operatore vorrebbe riconoscere il giusto diritto a realizzare le proprie legittime aspettative lavorative. Il lavoro dovrebbe offrire ad ogni essere umano la possibilità di coltivare le proprie ambizioni e realizzare le aspettative legittime, il che dovrebbe tradursi in termini effettivi sulla base
delle potenzialità individuali e dell’ambiente circostante. La consapevolezza che ciascuno di noi ha e deve avere di lavorare per migliorare l’azione quotidiana delle Forze di Polizia, facendola progredire per adeguarla sempre più ai principi democratici della Repubblica, come ribaditi dalla legge di Riforma, è implicita nell’analisi molto schietta che il Capo della Polizia ha condotto attraverso il suo intervento. Riscontrare e ammettere le criticità interne da parte del Direttore generale della pubblica sicurezza che, è lecito supporre, provengano da uomini in divisa «in parte insoddisfatti» dal non poter esercitare in pieno le funzioni che la legge attribuisce al “Tutore dell’ordine” non va considerata è un mero limite, ma invece la netta ed innegabile dimostrazione della cresci-
ta culturale degli appartenenti alla Polizia di Stato a distanza di un trentennio della legge di riforma. Prima della 121 sarebbe stato impensabile, vuoi per cultura, vuoi per mentalità, un confronto così aperto su materie di particolare delicatezza come quella delle funzioni, vale a dire ciò che ad un Tutore dell’ordine compete fare durante il servizio d’Istituto, tramite il quale l’Amministrazione realizza l’interesse pubblico. Destinatari degli auspicati correttivi normativi sono le Forze di polizia ad ordinamento civile e militare ed, in tale contesto, spicca la rivendicazione di armonizzare il sistema che disciplina i nostri status considerato che, in materia economica, pensionistica ecc., nonostante la limpida statuizione della Legge 121/1981, continuano a rimanere inalterate norme obsolete
che non servono ad altro se non a evidenziare appariscenti disparità di trattamento che non è più pensabile continuare a tollerare. In definitiva il congresso della Uil Polizia ha ufficializzato la nascita primo Sindacato di poliziotti che aderisce ad una confederazione storica, si è concluso sotto i migliori auspici come momento storico nel quale si è realizzata una perfetta convergenza tra il potere politico, rappresentato dal Ministro dell’interno, l’Amministrazione ed il Sindacato sull’esigenza di apportare alla legge di riforma correttivi tali da consentire alla Polizia di Stato, attraverso la piena valorizzazione della dignità dei Tutori dell’ordine, di offrire alla collettività un servizio pubblico migliore e adeguato al mutato contesto culturale e sociale.
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