Uil Polizia Pubblica Sicurezza n. 1/2013

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Euroedizioni S.r.l. - Anno VII - n. 1 Gen/Feb/Mar 2013 - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 1, CN/BO


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ome abbiamo immediatamente denunciato, leggendo quel testo non appena fu approvato, quella norma è stata solo l’ennesimo annuncio di qualcosa che la politica dice di voler fare e che poi in realtà non fa: un modo di fare ormai tristemente noto agli italiani cui infatti fa puntuale riscontro l’ennesimo precipitare della fiducia dei cittadini nelle Istituzioni in generale e in Governo e Parlamento in particolare, come sottolinea l’Eurispes nel 25° Rapporto Italia, mentre sullo stesso terreno noi lavoratori della sicurezza registriamo ancora un ulteriore miglioramento. Paghiamo sempre più tasse e pesano sulle nostre famiglie gli effetti della crisi, dei tagli alla sanità ed all’istruzione ma, ciononostante, siamo sempre presenti dove è richiesta la nostra presenza: spessissimo andiamo a prenderci insulti, lanci di uova, sassi e bombe carta per proteggere coloro i quali avrebbero il compito di risolvere quei problemi non con formule astratte, ma cercando il consenso di quella società civile che invece li percepisce sempre più assenti perché lontani dai problemi concreti della gente o, peggio, impegnati a farsi gli affari propri. Quindi la crisi economica che attanaglia il Paese non ci ha colpito solo nel nostro essere lavoratori, ma anche e proprio nel nostro lavoro, è proprio qui il punto! Non solo la politica è di fatto assente su problemi epocali che sono di sua stretta competenza e rispetto ai quali non abbiamo alcun potere, essendone noi stessi vittime, ma ci obbliga anche ad avere un ruolo di supplenza per tentare di gestire tensioni sociali che, abilmente cavalcate dai soliti e noti cattivi maestri, hanno portato a scontri pianificati e militarmente organizzati. E l’assenza della politica si sente anche sul terreno della Giustizia, della cui riforma si parla ormai da troppo: il processo civile sprofonda in una marea di

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liti, spessissimo generate proprio dalla consapevolezza della durata biblica delle cause che induce i più furbi a non rispettare le regole o le obbligazioni assunte nella previsione che ciò risulterà il più delle volte vantaggioso perché la controparte si stancherà di aspettare la sentenza e cederà. In altre parole cittadini ed imprenditori non fanno affidamento sulla capacità della giustizia di essere realmente efficace e ciò si riscontra anche in ambito penale, dove pure molte questioni che

in realtà sarebbero civilistiche vengono portate da chi si ritiene vittima allo scopo di tentare di far paura a chi ritiene colpevole; inoltre per Legge arrivano in tribunale molte cose che dovrebbero essere affrontate in sede amministrativa: come ci ribadisce anche quest’anno la Cassazione sono ancora moltissimi i processi che non giungono a sentenza per prescrizione. È indispensabile che la politica si riappropri al più presto del suo ruolo e non solo per affrontare i pur gravissimi ed


impellenti problemi economici rifuggendo da una logica meramente contabile: è infatti la stessa Corte dei conti a ritenere che debba porsi fine alle manovre recessive, aggiungendo però che anche la corruzione sistemica nuoce gravemente non solo all’immagine, alla credibilità ed alla legittimazione stessa delle Istituzioni, ma anche all’economia nazionale. Il nuovo Parlamento ed il nuovo Governo, sotto lo sguardo vigile del nuovo Presidente della Repubblica, dovranno

affrontare urgentemente i problemi di Sicurezza e Giustizia, che hanno bisogno di urgenti e radicali interventi strutturali per rispondere alle sfide che per mancanza di risposte in altri campi arrivano in questi, che sono tra loro paralleli e convergenti al tempo stesso.

soffocare l’essenza stessa della convivenza civile; il sistema penale non deve minacciare grandi pene teoriche, ma essere in grado di processare e condannare i colpevoli a pene che possano - e debbano - essere effettivamente scontate.

I tribunali civili devono essere in grado di rispondere in maniera adeguata alla domanda di giustizia del Paese, altrimenti l’illegalità non solo non arretrerà, ma riuscirà a conquistare sempre nuovi spazi, rischiando di giungere a

Solo così potremo dedicare il nostro lavoro di poliziotti ai compiti che ci sono propri, guadagnando in efficienza ed in efficacia e, soprattutto, solo con una controparte dotata della necessaria sensibilità e consapevolezza politica potremo ripartire nell’azione sindacale, riannodando i fili di un dialogo che da troppo tempo langue per riportare i temi della sicurezza alla giusta evidenza nell’agenda politica, il che riporterebbe il baricentro presso il Ministero dell’interno. E quest’ultimo dovrà tornare a proporsi e porsi come autorevole rappresentante delle Istituzioni tutte nei confronti del Sindacato, per far ripartire un dibattito che vada oltre le questioni interne all’Amministrazione e sia invece capace di rielaborare i moduli organizzativi dell’intero sistema sicurezza, che oggi rischia di affondare sotto il peso dagli sprechi connessi a duplicazioni e sovrapposizioni: non ci stancheremo mai di dire che, se non saremo capaci di prendere l’iniziativa e di farlo da soli, qualcun altro lo farà al nostro posto passando sulle nostre teste, come stava per accadere prendendo come mero pretesto la soppressione delle Province. Ancora in convergente parallelo dovrà infine ripartire un confronto pacato ma serrato, che rifugga da ogni velleitaria demagogia, sugli assetti contrattuali ed ordinamentali del Comparto sicurezza e difesa, anche in relazione alle tematiche previdenziali fondamentali e complementari, affinché il riconoscimento della nostra specificità, uscendo finalmente dal mondo delle chiacchiere per fare il suo ingresso nella vita reale, possa arrecare i giusti benefici non solo a noi lavoratori, ma anche ai cittadini ed alle Istituzioni.

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Considerazioni sullo stato della giustizia penale Fatta eccezione per le corti di appello, si registra un aumento dei tempi medi di definizione dei procedimenti penali: da 233 a 265 giorni per i giudici di pace; da 329 a 357 giorni per i tribunali ordinari. La situazione delle corti di appello appare stabile, facendo registrare la durata di 899 giorni (900 giorni nel periodo precedente). Si tratta ovviamente di dati medi globali, suscettibili di variazione in ragione dei singoli uffici giudiziari e di eventi contingenti, quali la celebrazione di processi con elevato numero di imputati o di particolare complessità. In ogni caso va confermato che il nodo critico è rappresentato dalle corti di appello, che continuano a far registrare un tempo di definizione assolutamente incompatibile con i parametri indicati dalla Corte EDU. Si ripropone l’urgenza, già evidenziata nell’anno precedente, di procedere ad opportuni interventi correttivi che investano sia il piano organizzativo sia quello normativo. Al riguardo si rimanda alle considerazioni svolte nel successivo paragrafo 3.8, in cui si sviluppano alcune riflessioni sulle possibili riforme da apportare alla disciplina delle impugnazioni. Le cause di inefficienza. Permangono sostanzialmente immutate le cause dei ritardi che vulnerano gravemente sia le esigenze di legalità sia la ragionevole durata del processo, addebitate essenzialmente alla insufficienza delle dotazioni di risorse umane e dei mezzi disponibili. Sul piano organizzativo, unanime è la doglianza riguardante la scopertura degli organici dei magistrati, cui hanno decisivamente concorso anche quest’anno i numerosi pensionamenti determinati dalle modificazioni normative sul trattamento di quiescenza, ma soprattutto del personale amministrativo, il cui numero da anni è soggetto oramai a riduzione costante.

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Si fa rilevare come il blocco del cosiddetto turnover, l’elevato numero di personale amministrativo che opta per il part-time e l’età media via via più elevata sono elementi tutti che aggravano, anche in prospettiva, la già precaria situazione. È avvertita in particolare la carenza di personale tecnico per l’assistenza


informatica, che sovente dà luogo a notevoli ritardi e disguidi nel lavoro quotidiano. Il presidente della corte d’appello di Cagliari evidenzia l’impegno per la ricerca di soluzioni alternative di sostegno, ricorrendo a stagisti, specializzandi, cassaintegrati ecc., che hanno però l’evidente limite di non potere sostituire il personale degli uffi-

ci giudiziari nei compiti istituzionali, in quanto la responsabilità dell’assistente giudiziario, del cancelliere, dell’ufficiale giudiziario non può essere, per la brevità dell’incarico, assegnata a figure esterne di supporto e non può neppure essere garantito un addestramento professionale adeguato. Altri, come il presidente della corte di

appello di Caltanissetta, sottolineano l’insufficienza e l’inidoneità del ricorso alla mobilità interna del personale da altre amministrazioni, se non per interventi idonei a “tamponare” momentaneamente contingenti difficoltà di funzionamento delle strutture interessate. Analoghe considerazioni provengono dai presidenti delle corti di appello di

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Napoli e Brescia, che denunciano la bassa qualificazione professionale delle persone chiamate all’avvicendamento in via precaria, ciò consente l’impiego in mansioni di basso profilo laddove, invece, l’auspicata accelerazione dei processi di innovazione tecnologica in campo giudiziario, richiederebbe figure professionali sempre più specializzate o quanto meno abili nell’utilizzo degli strumenti informatici e telematici. Il presidente della corte di appello di Roma sottolinea come l’insufficienza del personale amministrativo stia determinando l’intasamento di interi settori delle cancellerie con ritardi definiti “drammatici” nelle spedizioni delle notificazioni, nella apposizione del passaggio in giudicato della sentenza e finanche nella redazione delle schede per il casellario giudiziale. L’informatizzazione degli uffici giudiziari è indubbiamente la strada da percorrere, vincendo le resistenze di quanti ancora (come segnalato ad esempio dal distretto di Caltanissetta) palesano scarsa propensione ad adottare e ad utilizzare mezzi informatici. Alcune corti di appello (come quella di Brescia) mostrano lodevolmente di curare attentamente tale aspetto, realizzando progetti finalizzati alla digitalizzazione di tutti gli atti dei procedimenti penali; la quasi totalità degli uffici del distretto hanno aderito al progetto nazionale di digitalizzazione della giustizia e a quello delle buone prassi. Per la magistratura onoraria, le considerazioni si concentrano essenzialmente sulla figura del giudice di pace, per il quale i presidenti delle corti di appello mostrano generale apprezzamento per l’impegno profuso nella definizione dei procedimenti penali. In alcuni casi (come la corte di appello di Torino), vengono segnalati aumenti dell’arretrato degli uffici del giudice di pace, nonostante le diminuzioni della sopravvenienza, sottolineando come tali uffici stiano risentendo di contingenti difficoltà per ripetuti casi di cessazione dall’incarico per limiti di età e

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Competenza civile

Indice di ricorso per Cassazione classificato per Distretto di Corte di appello (Ricorsi provenienti dalle Giurisdizioni ordinarie – rapporto per 100.000 abitanti)

Mappa delle intensità - Anno 2012

Fonte: Corte di Cassazione - Ufficio di statistica

la mancanza di tempestiva e contestuale sostituzione. Anche il presidente della corte di appello di Messina evidenzia l’anomalia di un sistema che assicura continuità con proroghe annuali, sottolineando la necessità di periodici ed efficaci controlli di professionalità. Dalle corti di appello di Reggio Calabria e di Caltanissetta vengono segnalate le difficoltà a comporre i collegi penali e la necessità di frequenti ricorsi ad applicazioni extradistrettuali per le numerosissime incompatibilità determinate in maniera particolare dai diversi riti prescelti in un procedimento con numerosi imputati. Si registra infine un generale allarme per le modalità di accesso al patrocinio a spese dello Stato, da più parti ritenuto concausa dell’ingolfamento del sistema giudiziario, ma soprattutto fat-

tore di abnorme aumento dei costi della giustizia, considerato l’elevato valore complessivo raggiunto dalle liquidazioni e tenuto conto che sovente finiscono col beneficiare dell’ammissione al patrocinio persone che non ne hanno diritto. In particolare vari presidenti di corti di appello (tra cui Roma, Catanzaro, Cagliari, Lecce), ribadiscono la necessità di urgenti interventi legislativi al fine di porre riparo alla facilità con cui è possibile ottenere il beneficio sulla base di mere autocertificazioni, di dubbia veridicità. A riprova di una sostanziale assenza di controlli, si sottolinea come siano infrequenti le richieste di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La criminalità organizzata. Il tema della criminalità organizzata evoca la necessità di una più adeguata


analisi in grado non solo di recepire i differenti dati provenienti dalle diverse aree geografiche del Paese, ma anche di elaborare un efficace quadro di supporto alle strategie di contrasto al fenomeno di coordinamento tra gli organi investigativi, compiti estranei alle competenze e al ruolo di un organo giudicante. Limitando i riferimenti alla descrizione del fenomeno, per come risulta dalle indicazioni distrettuali, il dato di sintesi che emerge è rappresentato anzitutto da una sempre più radicata presenza della criminalità organizzata straniera (balcanica, russa, cinese, nigeriana, rumena, bulgara, ecc), che talvolta si affianca alla criminalità italiana nella gestione di fenomeni tristemente noti, quali il traffico di sostanze stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’immigrazione clandestina. La criminalità ha interessi specifici anche in settori più circoscritti quali, ad esempio, il mercato della contraffazione o nel settore del riciclaggio che, in alcuni casi, può rappresentare la chiave per spiegare diffuse attività di investimento immobiliare specialmente in località rinomate del nostro Paese. La perdurante crisi economica ha, inol-

tre, reso vulnerabile una serie di piccole e medie aziende che, colpite da carenza di liquidità e riduzione di commesse, risultano esposte, da un lato, alle pretese degli usurai e, dall’altro, ai circuiti del riciclaggio di danaro sporco, fenomeni illeciti egemonizzati dalla criminalità organizzata. Sempre rilevante è l’attività delle associazioni di stampo mafioso. Nonostante incoraggianti segnali della società civile e del mondo imprenditoriale, permangono allarmanti fenomeni di infiltrazione e di condizionamento delle amministrazioni locali (in Calabria, Sicilia e Campania). La presenza di associazioni legate a tali consorterie, non più localizzate in aree meridionali, si avverte anche in molte altre località del territorio nazionale, quali la Lombardia, la Liguria, il Piemonte o l’Emilia Romagna. Ne è riprova lo scioglimento in Liguria di due consigli comunali, disposto tra il 2011 ed il 2012 per infiltrazioni mafiose. Particolarmente aggressiva è stata l’attività della n’drangheta specialmente in Lombardia, ove in alcune province si sono registrati anche fatti di sangue ascrivibili al contrasto degli interessi perseguiti da esponenti di tale organiz-

zazione criminale, che ha dato segni di preoccupante presenza anche in Piemonte. Camorra e Sacra corona unita sembrano avere mantenuto, invece, un raggio operativo locale. La “presenza silenziosa” di tali organizzazioni in altri contesti territoriali non deve tranquillizzare: come si è avuto modo di costatare nel caso dell’Emilia Romagna, può non esservi un interesse diretto al controllo del territorio da parte di tali organizzazioni criminali, essendo sufficiente per i loro fini operativi assicurare uno stabile collegamento con esponenti delle istituzioni, del mondo imprenditoriale e finanziario. Nel Lazio, con talune significative recenti eccezioni, sembra emergere la tendenza delle organizzazioni mafiose a non operare con metodologie violente o di sopraffazione tra di loro, ma cercando di mantenere una situazione di tranquillità in modo da poter agevolmente realizzare una progressiva infiltrazione nel tessuto economico e imprenditoriale allo scopo di riciclare, e soprattutto reimpiegare con profitto, i capitali di provenienza criminosa. Le altre tipologie dei reati. Passando ad altre tipologie di reati, a parte quelli relativi al traffico di stupefacenti, spesso connesso all’attività delle grandi organizzazioni mafiose, si rileva che da parte degli organi di informazione, anche di recente, è stata sottolineata la correlazione tra la crisi economica che attanaglia il Paese e l’andamento di alcuni fenomeni criminosi. Anche taluni presidenti delle Corti di appello indicano nella crisi la spiegazione per l’aumento di alcune tipologie di reati, come quelli di bancarotta (distretti di Milano e di Brescia) o quelli contro il patrimonio (distretto di Napoli) il cui aumento rispetto all’anno precedente viene spiegato proprio con il difficile momento del Paese. Emerge inoltre un pressoché costante aumento dei reati informatici. Il dato è tanto più allarmante in quanto si riferi-

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sce ai reati di frode, danneggiamenti e falsità in documenti informatici, accesso abusivo a sistemi informatici anche con riferimento all’illecito utilizzo di carte di credito, bancomat, ecc., intercettazione di comunicazioni telematiche e violazioni della corrispondenza informatica. Non sono compresi in questa analisi, quindi, i reati connessi

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alla violazione della legge 22 aprile 1941, n. 633 e successive modificazioni (cd. pirateria informatica), pur trattandosi di fenomeno anch’esso purtroppo notoriamente diffuso, né quei reati legati all’uso illecito di internet quali diffamazioni on-line, pornografia minorile, istigazioni al razzismo, ecc. Le aggressioni all’integrità ed alla riserva-

tezza dei dati – che costituiscono oggetto, come noto, di specifica tutela anche ad opera del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 concernente il trattamento dei dati personali e delle comunicazioni informatiche – nonché le frodi on-line rappresentano uno dei problemi più sentiti non solo a livello nazionale, ma anche europeo.


La riforma dei reati in tema di corruzione. Il quadro della giustizia penale di quest’ultimo anno ripropone i più rilevanti aspetti di negatività tracciati nelle precedenti relazioni, dovendosi però registrare come importante segno di novità l’iniziativa legislativa, in tema di riforma dei reati contro la pubblica

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amministrazione, sfociata nella legge 6 novembre 2012, n. 190 che, tra le varie disposizioni, eleva sensibilmente la pena massima per i reati di corruzione propria (art. 319 cod. pen.) e di corruzione in atti giudiziari (art. 319-quater cod. pen.) portando così per il primo reato il termine di prescrizione massimo a dieci anni e per il secondo a dodi-

on l’inaugurazione dell’anno giudiziario anche quest’anno abbiamo assistito alla presentazione di un bilancio, oserei dire preoccupante, circa lo stato in cui versa il nostro sistema giudiziario. A differenza però degli scorsi anni, l’occasione è stata ghiotta per trattare, in maniera più o meno approfondita, il riordino delle strutture territoriali con la previsione della chiusura o l’accorpamento con altri di Tribunali distaccati minori. Non vogliamo certo esprimere giudizi sull’ipotesi di un tale riassetto organizzativo, ma non si può però negare come la discussione in corso abbia assunto purtroppo un’impronta esclusivamente di tipo politico che, pertanto, tende ad escludere dal dibattito il parere di altri addetti ai lavori, come le Forze di polizia che, alla fine dei conti, danno un contributo fondamentale al funzionamento proprio di quell’Istituzione. Un sistema giudiziario quindi particolarmente attento alle opinioni dei vari parlamentari e sempre meno disposto a prendere in considerazione le esigenze lamentate dagli operatori sul campo. Mi riferisco, in particolar modo, ad un paio di questioni che hanno inciso in maniera determinante nel rapporto esistente tra la Procura della Repubblica di Torino e le Forze di polizia. Solo in quest’ultimo anno abbiamo notato l’avvio di alcuni procedimenti penali a carico di talune persone legate ai movimenti antagonisti, responsabili di episodi di violenza nelle manifestazioni “NO TAV”. Non è mia intenzione commentare tali fatti, ma la domanda legittima che credo debba essere posta a chi di dovere è quella di spiegare come mai tali provvedimenti siano stati presi solo ora e solo per gli scontri che si sono generati nei cantieri per l’alta velocità. Simili episodi di guerriglia si susseguono da anni in ogni occasione di protesta in ambito urbano e molto spesso in questi cortei cittadini protagonisti degli scontri sono soggetti facinorosi ben noti alle Forze dell’ordine. Come non ricordare poi le chiassosissime manifestazioni di disturbo non autorizzate, che sempre più spesso sfociano in un tentativo di assalto al Centro di identificazione ed espulsione di Torino. Qualcuno ci dovrebbe spiegare come mai non si provveda nei medesimi termini, allorquando questi stessi soggetti si rendono responsabili dell’occupazione abusiva di stabili pubblici e privati, dove spesso non esitano a provvedere all’allacciamento non autorizzato del gas e dell’energia elettrica. Auspichiamo seriamente che l’attenzione prestata per assicurare l’incolumità degli operai che lavorano nella Val di Susa possa essere garantita in egual misura ai colleghi che giornalmente si trovano a fronteggiare questi contestatori violenti, che non cercano altro che lo scontro gratuito con le Forze di polizia.

ci anni e sei mesi. Non è questa la sede per una analitica valutazione degli effetti di un simile importante e complesso intervento normativo, che si segnala non solo per la introduzione delle nuove figure di traffico di influenze illecite (art. 346-bis cod. pen.), di corruzione tra privati (art. 2635 cod. civ.) e per lo scorporo

Una seconda questione che ritengo debba essere motivo di riflessione riguarda la recente disposizione emanata dalla Procura della Repubblica di Torino, con la quale si ribadisce l’ordine di custodire tutti i soggetti tratti in arresto, da trattenere a disposizione dell’Autorità giudiziaria, in locali idonei predisposti dalle Forze dell’ordine. È chiaro come questo provvedimento, richiamando il dispositivo giuridico dettato dal Codice di procedura penale, sia stato in realtà generato dalla necessità di risolvere, anche se in minima parte, il problema del sovraffollamento degli istituti di pena. Ancora una volta, però, una soluzione di comodo finisce col gravare esclusivamente sulle Forze di polizia, le quali hanno dovuto provvedere a tale incombenza senza poter contare sul necessario potenziamento di risorse umane, operando in una struttura non idonea, reperita nei locali di un Commissariato cittadino, e senza essere in possesso della necessaria e specifica professionalità di cui sono invece dotati i colleghi della Polizia penitenziaria. Inoltre, capita di frequente che i posti a disposizione siano assolutamente insufficienti ad ospitare le persone tratte in arresto e ad oggi, nonostante le pressanti richieste, la Procura della Repubblica di Torino non ha ritenuto opportuno ufficializzare la procedura da seguire nel caso in cui i locali predisposti risultassero pieni e quindi impossibilitati ad ospitare nuovi fermati. Cosa dire poi dello spreco di personale che si determina con l’accompagnamento degli arrestati presso le aule del Tribunale dove i colleghi devono attendere inoperosi fino al termine del processo? Non credo che la gestione di un detenuto possa rientrare tra i compiti propriamente istituzionali della Polizia di Stato che non seguono corsi di istruzione ad hoc: se si fosse voluto affrontare seriamente il sovraffollamento degli istituti di pena con riferimento i soggetti sottoposti a questo particolare tipo di restrizione della libertà personale, sarebbe stato più opportuno individuare gli spazi idonei all’interno del Palazzo di Giustizia di Torino, prevedendone la custodia con il personale della Polizia penitenziaria, che è preparata per tale incombenza e senza distogliere i poliziotti dai loro compiti istituzionali primari. Forse i tempi son maturi affinché almeno le udienze per direttissima si possano svolgere anche nei weekend! Troppo spesso dedichiamo il nostro tempo a dibattere su come attuare progetti a lungo termine e di difficile concretizzazione, quando invece basterebbe incominciare a dedicarsi alla realizzazione di quelli più semplici, ma per questo non meno importanti.

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un troppo lungo periodo di inerzia e di indifferenza legislativa, che ha finito per alimentare il fenomeno corruttivo. Di ciò va dato merito al Governo e, particolarmente, alla determinazione, alla tenacia e alla capacità di Paola Severino. Eccessiva durata dei procedimenti. Necessità di incidere su più fattori. La eccessiva durata dei procedimenti costituisce, come è ampiamente noto, un punto dolente che, anche nel settore penale, non mostra segni di inversione di tendenza e continua a caratterizzare sfavorevolmente l’immagine del nostro Paese nel consesso europeo. L’incidenza dei ritardi della giustizia sull’economia del Paese, da più parti concordemente sottolineata, è questione che riguarda prevalentemente il settore della giustizia civile, ma sarebbe sbagliato sottovalutare l’influsso negativo determinato dalla incertezza sui tempi dell’accertamento dei reati, in specie di quelli che attengono all’attività della pubblica amministrazione e della gestione imprenditoriale. Lo scorso anno si era osservato che la capacità del sistema giudiziario penale di fare fronte in tempi accettabili al carico dei procedimenti doveva confrontarsi con vari fattori, tra cui venivano in particolare evidenziati i seguenti: numero delle notizie di reato; razionale organizzazione territoriale e funzionale degli uffici, onde evitare sprechi di risorse; tempi di prescrizione dei reati, di per sé incentivanti tattiche dilatorie; quantità delle procedure incidentali, con particolare riguardo a quelle relative all’applicazione di misure cautelari; adempimenti formali imposti dalla legge in assenza di esigenze di garanzie; eccessiva rigidità del modulo procedimentale; sistema delle impugnazioni. Per ognuno di questi aspetti si erano posti in rilievo gli aspetti di criticità e indicate possibili soluzioni, che, senza attenuare il livello delle garanzie realmente identificative di un “giusto pro-

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cesso” nel quadro delineato dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, consentirebbero di perseguire efficacemente l’obiettivo della sua “ragionevole durata”, valore anch’esso affermato, senza alcuna contrapposizione al primo, in quelle Carte fondamentali. Occorre riconoscere che l’azione del Governo, su impulso in particolare del Ministro della giustizia, ha concretamente mostrato un’accentuata sensibilità verso incisive riforme del settore penale, che se solo in piccola parte è stato possibile portare a compimento, a causa soprattutto del tempo ristretto definito dallo scorcio della legislatura, lasciano comunque sperare che in quella alle porte l’intento riformatore sia ulteriormente perseguito dal nuovo Governo, con simili impegno e chiarezza di idee riformatrici. Necessità di ridurre le fattispecie di reato. Lo sfoltimento delle fattispecie di reato, che secondo una indicazione di fonte non ufficiale raggiungono l’incredibile numero di 35 mila, che anno dopo anno si accresce, rappresenta un obiettivo non eludibile, e va apprezzata l’iniziativa assunta dal Ministro della giustizia di istituire, in accordo con il disegno di legge-delega presentato alla

Camera il 29 febbraio 2012 (A.C. 5019ter), una commissione di studio per la previsione di nuove norme in tema di depenalizzazione, i cui lavori non sono stati interrotti e il cui esito potrà essere affidato tempestivamente all’esame del prossimo Parlamento. Il lavoro di questa commissione potrebbe e dovrebbe utilmente estendersi anche all’individuazione di linee-guida per il legislatore ai fini della valutazione circa la introduzione nel futuro di nuove figure di reato. Occorre però ribadire la sollecitazione affinché, accanto ad un’opera di depenalizzazione, che per il vero il citato d.d.l. non delinea come particolarmente incisiva, e ad un parallelo intervento di decriminalizzazione che superi la visione “panpenalistica” rispetto a ogni comportamento deviante dei consociati, si estenda grandemente il novero delle fattispecie perseguibili a querela della parte lesa, soprattutto nei reati che ledono interessi patrimoniali di privati, fatta ovviamente eccezione di quelli caratterizzati dall’uso di violenza o dalla lesione di soggetti deboli. Basti ricordare, soltanto per segnalare l’ordine di grandezza, che dei circa 50 mila ricorsi che pervengono annualmente in Cassazione, il 23 per cento circa riguarda reati contro il patrimonio, in gran parte perseguiti d’ufficio.


Necessità di modificare la disciplina della prescrizione. La necessità di una revisione della disciplina della prescrizione si basa essenzialmente sulla costatazione del grande numero di procedimenti penali che si risolvono ogni anno con declaratoria di estinzione del reato per questa causa. Non è superfluo ricordare che la chiusura del procedimento penale per prescrizione rappresenta: un enorme spreco di risorse materiali e umane dell’apparato della giustizia; una vanificazione delle aspettative della società, con conseguente offuscamento della credibilità dell’azione di tutti gli organi

dello Stato coinvolti nella repressione dei reati e nell’accertamento di essi; un indebolimento della funzione di prevenzione generale delle comminatorie associate agli illeciti penali; un mancato appagamento delle pretese delle vittime del reato; molto spesso, anche, un rilevante intralcio e ritardo (se non una obliterazione) nel soddisfacimento degli interessi risarcitori dei danneggiati dal reato. Inoltre, un sistema nel quale è concreta la prospettiva che il procedimento penale “non si concluda in tempo” per evitare la prescrizione dei reati, è di per sé fattore, da un lato, di incentivo alla proposizione di impugnazioni

avventurose, che hanno cioè come unico scopo quello di procrastinare il momento dell’accertamento finale; dall’altro, di disincentivo al ricorso ai riti alternativi, con conseguente intasamento dell’apparato giudiziario e dilatazione dei tempi della giustizia, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo. L’alto tasso di prescrivibilità di alcune gravi fattispecie criminose, tra cui quelle in tema di corruzione, favorito spesso dalla emersione ritardata della relativa notitia, ha suscitato, come già sottolineato nella relazione dello scorso anno, preoccupati richiami da parte di organismi internazionali. Abbiamo avuto già modo di avanzare la proposta di una modifica normativa che colleghi termini di prescrizione Indice di ricorso per Cassazione classificato per Corte di appello e grave voce di reato autonomi ad ogni passaggio di (Ricorsi provenienti dalle Giurisdizioni ordinarie – rapporto per 100.000 abitanti) fase o grado, senza limiti temAnno 2012 porali massimi globali, così da rendere tendenzialmente ininfluenti tattiche dilatorie della definizione del procedimento e da scoraggiare impugnazioni prive di fondamento; ma ogni altra soluzione che si muova nella stessa finalità ben può essere positivamente salutata, tenendo conto in particolar modo della esigenza di introdurre rimedi alla inazione (non importa se conseguente a fattori non fronteggiabili) dei giudici investiti della impugnazione, una volta affrancati dalla prospettiva di una prossima prescrizione del reato. Nello stesso tempo, dovrebbe essere rivista la disciplina della decorrenza del termine di prescrizione, proprio per ovviare allo squilibrio che intercorre tra reati che si consumano palesemente o vedono come persone offese soggetti privati e reati in cui le modalità del fatto o l’incidenza di questo su interessi esclusivamente pubblici ritarda di gran lunga l’ac-

Competenza penale

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della condotta meramente induttiva del pubblico ufficiale (nuovo art. 319quater cod. pen., in cui è prevista anche la punibilità del privato) da quella costrittiva (mantenuta confinata nell’art. 317 cod. pen.), ma anche per una serie di misure di carattere preventivoamministrativo rivolte al contrasto dei fenomeni di illegalità nell’ambito della

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pubblica amministrazione, il cui effettivo impatto dovrà essere vagliato attraverso la prassi applicativa e l’elaborazione giurisprudenziale. È doveroso, tuttavia, dare atto al Governo di avere concretamente dimostrato consapevolezza dell’esigenza di porre finalmente mano a una incisiva azione di contrasto nei con-

uando si affronta il problema sicurezza delle grandi metropoli è sempre difficile esprimere un giudizio chiaro e netto sul livello effettivo dei fenomeni criminosi che vada al di là delle fredde statistiche redatte annualmente dalle Forze dell’ordine e dalla Magistratura. Le ultime statistiche disponibili collocano Milano tra le prime città per reati consumati rispetto al numero di abitanti (7360 ogni centomila abitanti), ma questo non basta a valutare il reale livello di sicurezza della città, perché se è vero che i numeri sono uno strumento essenziale nell’analisi dell’entità dei reati commessi, o almeno quelli denunciati, è altresì importante comprendere in che modo gli apparati di sicurezza e le istituzioni cittadine sviluppano iniziative efficaci per ridurre al minimo i fenomeni criminali. L’errore principale che si fa quando si parla di sicurezza delle aree urbane è guardare a questa questione come se si trattasse solo di un problema di Polizia da affrontare magari attra-

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fronti della corruzione, che rappresenta una storica piaga del nostro Paese, al pari della criminalità mafiosa, e caratterizza in senso negativo l’immagine dell’Italia nel consesso internazionale e incide pesantemente sulla fiducia dei cittadini verso la pubblica amministrazione e, di riflesso, sull’economia nazionale.

verso la militarizzazione del territorio: nella percezione collettiva e, purtroppo, nella puntuale strumentalizzazione politica si tende spesso a scaricare sulle Forze dell’ordine tutto quello che non va sul piano istituzionale. La sicurezza è problema complesso che va gestito in modo coordinato tra responsabili delle Forze di Polizia, amministratori locali, forze sociali, associazioni di volontariato e cittadini tutti: solo un modello integrato che interagisce in modo permanente può sviluppare sinergie virtuose in grado di rendere più sicura la città. Per quanto riguarda il Comune di Milano occorre riconoscere che negli ultimi anni sono state sviluppate iniziative per riqualificare aree periferiche degradate a seguito dello smantellamento di zone industriali, come la Bicocca, che hanno determinato la riduzione delle attività criminali su quei territori; altro contributo importante ai fini delle indagini di Polizia è dato dall’imponente sistema di videosorveglianza attivo in città, grazie al quale spesso è possibile giungere all’identi-


Negli ultimi venti anni, il fenomeno corruttivo, in ambito politico, amministrativo ed economico, secondo le valutazioni di attendibili analisti ed osservatori italiani e stranieri, è andato crescendo in gravità e diffusione. A tale allarmante espansione non aveva corrisposto fino ad ora alcuna significativa reazione politica e legisla-

tiva, al punto che si è omesso, per undici anni, finanche di procedere alla ratifica della Convenzione penale sulla corruzione fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999, ratifica avvenuta soltanto con la legge 28 giugno 2012, n. 110. Il ministro Severino, subito dopo il suo insediamento, pose al centro del suo impegno la corruzione, con una intervi-

ficazione di persone che commettono dei reati. L’analisi da effettuare sul fronte Forze dell’ordine presenta luci ed ombre che difficilmente, nel breve periodo, svilupperanno prospettive di miglioramento. Le poche luci sono quelle dell’alta professionalità e dell’elevata efficienza che storicamente i poliziotti della Questura milanese hanno sempre dimostrato. Le ombre sono le solite: il decremento di molte centinaia di poliziotti sull’organico della Questura registrato negli ultimi anni ed i tagli economici su mezzi e materiale in dotazione rischiano di far collassare l’intera attività di Polizia sul nostro territorio; i Commissariati a stento riescono a mettere in strada una volante h24 e gli uffici denunce non hanno ufficiali di Polizia Giudiziaria sufficienti a fornire un servizio continuativo alla cittadinanza. Con questi presupposti e senza una politica che sia in grado di sviluppare nuovi modelli organizzativi idonei a razionalizzare efficacemente le risorse sul territorio è facile comprendere che sarà sempre più difficile mettere in campo un sistema sicurezza in grado di contrastare efficacemente sistemi criminali sempre più complessi ed organizzati. Anche le mafie, che sempre più penetrano nel tessuto economico milanese con molteplici traffici illeciti, devono essere combattute con mezzi investigativi efficaci e con un sistema giudiziario più efficiente. Recentemente, il Presidente della Corte di Appello di Milano, nella relazione di apertura dell’anno giudiziario, ha denunciato l’alto numero di processi nei quali, a causa dell’irragionevole durata dei processi, non si arriva a sentenza per prescrizione dei reati. Ma questa preoccupazione è condivisa con il resto del Paese ove si impongono urgenti e radicali riforme non solo del sistema giudiziario, ma anche di quello carcerario, ove la situazione del sovraffollamento ha raggiunto livelli di preoccupante allarme; pertanto dall’analisi dei fenomeni criminosi emerge una Milano in linea con le grandi metropoli europee e mondiali ed, a tal proposito, risulta incomprensibile l’allarme sulla sicurezza cittadina recentemente lanciato dal locale consolato americano. Un segnale di pericolo ancora più indecifrabile se paragonato alle realtà americane ove, rispetto ai 31 omicidi del 2012 di Milano, se ne contano 506 a Chicago, oppure rispetto alle 218 rapine al mese del capoluogo lombardo se ne registrano 1.675 nella città di New York. Puntualizzato ciò, non vogliamo assolutamente sviluppare polemiche col Console americano, la cui attività è da noi pro-

sta, intitolata “Subito una legge contro la corruzione”. In un Paese ricco di annunci e carente di realizzazioni, dobbiamo costatare che la legge promessa è stata approvata ed è entrata in vigore. Quali che siano le valutazioni sulle nuove fattispecie penali, nessuno può negare che questa riforma interrompe finalmente

fondamente rispettata: ci limitiamo a considerare che un diplomatico di un Paese glorioso ed autorevole come gli Stati Uniti dovrebbe forse valutare con maggiore attenzione l’opportunità di diramare “istruzioni” che rischiano di provocare ingiustificati allarmi non solo nei suoi concittadini in Italia, ma anche nell’opinione pubblica. Milano naturalmente non si ritiene soddisfatta e sa può fare tanto per migliorare la situazione preparandosi ad affrontare grandi sfide, le quali la più importante sarà l’Expo ‘2015, un traguardo che costituisce una grande opportunità per lo sviluppo economico, sociale e culturale, ma che porta con sé anche grandi rischi sul fronte illegalità e criminalità. Gli appalti sulle grandi opere in costruzione possono costituire infatti un terreno molto fertile per le organizzazioni di stampo mafioso: il rischio di infiltrazioni è molto elevato e, pertanto, occorrerà potenziare gli apparati investigativi per contrastare tali fenomeni criminosi. I tagli lineari che si continuano a fare sul Comparto sicurezza senza una politica di riorganizzazione virtuosa dei presidi sul territorio hanno creato una situazione paradossale: in alcune zone troviamo due Commissariati a distanza di cinquecento metri, come accade tra Sesto San Giovanni e Villa San Giovanni, mentre Milano è suddivisa in nove Circoscrizioni ove sono presenti diciassette Commissariati, nell’ambito dei quali ci sono in media 30 poliziotti. E’ forse giunto il tempo di proiettare la sicurezza privilegiando i presidi mobili rispetto a quelli fissi (in sintesi meno caserme, più pattuglie) non solo sia per quanto riguarda la Polizia di Stato, ma anche per l’Arma dei Carabinieri, ove si è arrivati ad avere Stazioni con sole cinque persone in organico. Se si vorrà avere un modello più efficiente e professionale occorrerà abbandonare la politica della facile demagogia, nella quale si cerca di far passare il messaggio ai cittadini che la Stazione o il Commissariato vicino casa aumenta la sicurezza anche se la diminuzione dell’organico complessivo comporta la riduzione delle pattuglie sul territorio e, quindi nella realtà, si determina invece una minore capacità d’intervento sulle emergenze criminose. L’auspicio è quello di poter dare ai cittadini un sistema sicurezza che sia veramente integrato, senza sprechi di risorse ed inutili duplicazioni, ove la tutela dei cittadini sia il vero ed unico interesse di chi è chiamato a ricoprire alte cariche istituzionali e dove ci sia una classe politica che non pensi solo alle prossime elezioni ma anche al futuro ed alle prossime generazioni.

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quisizione della notizia di reato e quindi il concreto inizio dell’accertamento giudiziale. Il dichiarato intento del Governo di procedere a una profonda revisione della disciplina della prescrizione non ha potuto trovare sbocco in iniziative legislative; ma è motivo di speranza il fatto che l’apposita commissione istituita con decreto del Ministro della giustizia, anch’essa sollecitata a concludere in tempi brevi i suoi lavori con un ben definito progetto di riforma, possa offrire un prodotto che costituisca la base per una pronta iniziativa normativa nella prossima legislatura. Necessità di modificare il processo in contumacia. Nell’ambito dei fattori che costituiscono un impaccio alla celere definizione dei procedimenti va annoverata senza dubbio l’attuale disciplina del processo contumaciale, estesa ai casi di irreperibilità dell’imputato, con frequenti

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superfetazioni procedurali anche dopo la definizione del procedimento, stante l’attivabilità della procedura di restituzione in termini, ex art. 175 cod. proc. pen., anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, che richiede giustamente conoscenze effettive, e conseguenti facoltà di iniziative difensive, circa l’esistenza di un procedimento a carico. Si è già avuto occasione di osservare che, se non si vuole rendere coercibile, come previsto in alcuni Paesi, la presenza dell’imputato in dibattimento, il giudizio in absentia dovrebbe riguardare solo i casi in cui l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, in tal modo rendendo equiparabile la sua condizione a quella dell’imputato presente, ed eliminandosi così i gravosi adempimenti successivi alla decisione concernenti la notifica dell’estratto contumaciale; essendo in caso contrario, e cioè di irreperibilità dell’imputato, da sospendere il proce-

dimento (e i termini di prescrizione del reato) fino al momento in cui si abbia notizia della sua reperibilità. Occorre sottolineare che i ritardi degli adempimenti post-sentenza derivano in gran parte proprio dalla esigenza di notificare l’estratto contumaciale agli imputati contumaci. Un intervento nel senso auspicato era contenuto nel d.d.l. A.S. 3596, di cui la chiusura della legislatura non ha consentito il vaglio parlamentare. Non può che esprimersi la speranza che esso sia ripresentato nella prossima e celermente esaminato. Necessità di ridurre i frequenti mutamenti dell’organo giudicante. Altra causa di frequente ritardo nella definizione dei procedimenti deriva dai mutamenti dell’organo giudicante: appare conforme al buon senso e alle esigenze dell’amministrazione della giustizia, che devono prevalere su interessi individuali, che nei casi di trasferi-


mento del magistrato ad altro ufficio sia prevista una prorogatio delle sue funzioni nell’ambito del processo già incardinato, quanto meno nei processi in avanzata trattazione dibattimentale. Inoltre, con riferimento alla ipotesi di giudice collegiale, dovrebbe essere generalizzata la disciplina dell’art. 190bis cod. proc. pen., prevedendosi la rinnovazione delle acquisizioni probatorie dibattimentali solo se il nuovo esame riguardi fatti o circostanze diverse da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se ricorrano specifiche esigenze: proposte di evidente ragionevolezza, già avanzate nella precedente relazione, che aveva posto in evidenza la compatibilità di esse con la giurisprudenza della Corte EDU. Necessità di ulteriori procedure deflative Come è ampiamente noto, la riforma in senso accusatorio del codice di procedura penale del 1988, con la conseguente maggiore laboriosità della trattazione dibattimentale, implicava come correttivo imprescindibile un ampio ricorso a procedure accelerate di definizione del giudizio, in un contesto, quale quello italiano, caratterizzato dalla pesante incidenza dei reati contro la criminalità organizzata e dei

relativi procedimenti (cd. “maxi-processi”). Se è vero che questo obiettivo è stato perseguito dal legislatore con l’estensione dei casi di patteggiamento (cd. “patteggiamento allargato”), sono da registrare, da un lato, passi indietro, dall’altro, una scarsa attenzione a ulteriori procedure deflative del giudizio dibattimentale, la cui introduzione reputo essenziale per la tenuta del sistema processuale penale. Quanto al primo aspetto, occorre ribadire forte contrarietà, che trova riscontro in quella manifestata da molti autorevoli commentatori, alla soppressione, avvenuta nel 2008, sulla base di impulsi emotivi, dell’istituto del cd. “patteggiamento in appello”, già disciplinato dall’art. 599, comma 4, cod. proc. pen., che aveva prodotto ottimi risultati in termini di abbreviazione dei tempi dei procedimenti di appello, anche in tema di criminalità organizzata. Un suo ripristino, eventualmente accompagnato da limiti di tipo normativo e dall’adozione di protocolli operativi da osservare nell’ambito degli uffici del pubblico ministero, darebbe un forte impulso alla celere definizione dei procedimenti di appello, e, conseguente, di cassazione. Con riferimento al secondo aspetto, vanno valutate positivamente l’iniziati-

va governativa, compresa nel già citato d.d.l. A.S. 3596, di introdurre anche nel procedimento ordinario la messa alla prova (probation), e quella, di impulso parlamentare (A.C. 2094), della definizione del procedimento con declaratoria di irrilevanza (o di particolare tenuità del fatto), istituti già sperimentati, con ottimi risultati, nel processo minorile. Anche in relazione a tali proposte innovative l’auspicio è che esse vengano prontamente riavviate e tempestivamente definite alla ripresa parlamentare. Occorre però ribadire la necessità di ulteriori interventi deflativi, quali l’ampliamento dei casi di definizione del procedimento mediante oblazione, da estendere anche ai delitti per i quali sia prevista la pena pecuniaria in alternativa a quella detentiva, ove siano eliminate dall’autore del fatto le conseguenze dannose o pericolose del reato, nonché di speciali cause di non punibilità in presenza di sopravvenuta ottemperanza a prescrizioni imposte dall’autorità amministrativa, con ciò introducendosi, in entrambe le situazioni, un aspetto premiale collegato a un ravvedimento operoso dell’autore del reato. Necessità di modificare la disciplina del giudizio di appello. Con riferimento al sistema delle impugnazioni, è necessario sottolineare che un giudizio di appello che potenzialmente investe l’intero thema decidendum, ma che si articola su moduli decisionali per lo più esclusivamente cartolari basati su una rivisitazione della condivisibilità delle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, non solo si pone in contraddizione con il modello accusatorio che regge il nostro ordinamento processuale, ma non si giustifica neppure su un piano strettamente epistemologico, non essendo dato comprendere per quale ragione la decisione di merito di secondo grado possa ritenersi in via di principio più idonea al raggiungimento della verità processuale di quella di primo grado.

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Nel caso di una sentenza di condanna di primo grado, la riforma in senso assolutorio è logicamente sostenibile solo in base al principio in dubio pro reo, e al canone decisorio recentemente introdotto nell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., secondo cui la condanna può essere pronunciata solo se l’imputato risulta colpevole “al di là di ogni

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ragionevole dubbio”. Invece, dopo una sentenza assolutoria in primo grado, non vi sono plausibili ragioni di carattere logico o di sistema per giustificare un esito di reformatio in pejus. La prospettiva che invece merita di essere perseguita, da tempo tracciata da autorevoli studiosi del processo penale, è, in questa seconda ipo-

tesi, quella di un giudizio di appello con funzione prevalentemente rescindente, idoneo a rimettere il processo, in presenza di violazioni di legge o di vizi di motivazione, davanti al giudice di primo grado. Una simile soluzione presenterebbe vantaggi in termini di tempi di definizione del procedimento, considerata la


prevedibile percentuale di casi in cui, ribaditosi dopo il rinvio, il giudicato assolutorio in primo grado, la decisione non sia ulteriormente impugnata e, soprattutto, costituirebbe un consistente filtro a ricorsi per cassazione contro decisioni di appello che ritengano fondati i motivi dedotti dal pubblico ministero avverso la sentenza assolu-

toria di primo grado. Essa, inoltre, eliminerebbe radicalmente il pericolo di contrasto con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, come è noto, ritiene non conforme alla previsione dell’art. 6 CEDU il ribaltamento in sede di appello di un giudicato assolutorio non basato su un nuovo

I

l 26 gennaio scorso si è svolta a Palermo la consueta cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, con la relazione del Presidente della Corte d’appello del capoluogo siciliano, Vincenzo Oliveri, che ha illustrato lo stato dell’amministrazione della giustizia nel distretto (quinto di 26 distretti italiani, comprendente i Tribunali di Agrigento, Sciacca, Marsala, Trapani, Palermo e Termini Imerese. Tra gli ospiti, ci piace sottolinearlo, un nutrito gruppo di studenti delle scuole superiori palermitane che hanno seguito con attenzione tutta la cerimonia e ai quali il Presidente si è rivolto auspicando che la loro vita si ispiri ai valori di accoglienza, condivisione, restituzione, sobrietà e solidarietà, giustizia e pace, autopromozione e cooperazione, cultura del bene comune, della legalità, della socialità, della partecipazione, dell’etica. “Solo questi valori – ha sottolineato Oliveri – possono dare un senso alla vita. Sono questi i valori che sono alla base della legalità e della giustizia.” Il Presidente della Corte di appello ha poi rivolto un accorato ringraziamento al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano per avere difeso con fermezza da accuse ingenerose l’indipendenza dei giudici. Oliveri ha iniziato evidenziando come questa cerimonia di anno in anno si rivela sempre più l’occasione per esporre lentezze, difficoltà, disfunzioni e carenze troppo note e un elenco di iniziative virtuose e spesso utili, che non riescono però a intaccare il quadro che rimane sostanzialmente negativo. L’amara constatazione rende evidente, per l’alto magistrato, che gli interventi costruttivi e i propositi generosi non riescono a sortire effetti risolutivi, se non sono inseriti in un piano normativo, organizzativo e operativo che sappia coniugare le istanze della legalità con quelle dell’efficienza. Solo attraverso questo connubio – ha proseguito- si può sperare in un sistema giustizia più moderno e più snello, in grado di assicurare al cittadino procedure giudiziarie di ”ragionevole durata”, evitando le gravi conseguenze che le attuali inefficienze comportano per la competitività del Paese. Il Presidente Oliveri ha sottolineato l’atteggiamento antiretorico e pragmatico del nuovo Ministro della giustizia, che si

esame delle fonti dichiarative di accusa. La giustizia civile Non può esservi dubbio che un sistema di giustizia sarà sempre più efficiente quanto più diffusa e crescente sarà la consapevolezza che il “fattore tempo” è una condizione imprescindibile del

è posto obiettivi concreti e raggiungibili quali: portare a compimento la riforma del processo civile, ridurre il flusso del contenzioso, alleggerire la pressione del sovraffollamento delle carceri, potenziare la formazione e l’aggiornamento dei magistrati, attuare la revisione della geografia giudiziaria ancorandola a parametri oggettivi per sottrarsi all’assalto di campanili e campanilismi. Oliveri ha affermato con soddisfazione che la strada che si è intrapresa è quella più giusta, quella delle riforme utili, con meno enfasi e con più efficacia, tornando a parlare di giustizia come servizio da rendere ai cittadini e in termini molto concreti. Il magistrato ha sottolineato l’importanza di ”trasformare la giustizia da ostacolo per la crescita a volano per un’economia competitiva che, purtroppo, stenta a crescere anche per altri problemi che affliggono il nostro Paese e che creano concreti pericoli per l’intero sistema”. Secondo Oliveri l’eccessiva durata dei processi è altresì riconducibile alla carenza di organico in diversi uffici, ma soprattutto al continuo aumento delle cause sia civili che penali e, dunque, all’aumento del bisogno di giustizia dei cittadini. Un’importante analisi è stata prodotta dal presidente Oliveri sulle intercettazioni, argomento oggetto di costante dibattito anche a livello politico. Nell’ultimo anno le procure del distretto giudiziario di Palermo hanno effettuato 4.395 intercettazioni telefoniche e 739 ambientali, mentre la Dda ha disposto 3.114 intercettazioni telefoniche e 954 ambientali per una spesa complessiva di oltre 36 milioni di euro, circa otto in più dell’anno scorso. Aumento riconducibile non soltanto dal maggior numero dei bersagli colpiti, ma anche dall’aumento vertiginoso dei prezzi di noleggio delle apparecchiature. Ma ciononostante per Oliveri «le intercettazioni restano uno strumento investigativo indispensabile per garantire la legalità contro il crimine». Sull’uso improprio di questo importantissimo strumento d’indagine egli auspica in una legge che vieti la divulgazione dei contenuti delle conversazioni intercettate, tutelando i terzi e i fatti non rilevanti sotto il profilo penale, salvando il diritto a informare e ad essere informati.

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“rendere giustizia”, in particolare in un sistema economico integrato nel quale le scelte imprenditoriali includono nell’analisi degli investimenti anche (e non in uno spazio residuale) l’efficacia e la rapidità della risposta giudiziale. Di qui la necessità di concentrare l’attenzione, com’è già stato sottolineato nella presente Relazione, ogni sforzo

possibile – con l’impegno secondo le specifiche competenze di tutti i protagonisti del sistema giustizia (legislatore, governo, magistrati e personale amministrativo, avvocati) – nella direzione di una riduzione quanto maggiore possibile della durata dei procedimenti. E in questa prospettiva si è mosso chiaramente il legislatore con il

Attenta e puntuale ci è apparsa l’analisi sulle caratteristiche della criminalità (soprattutto mafiosa) e la sua evoluzione, frutto delle dettagliate informazioni ricavate dall’attività di polizia sul territorio siciliano. La criminalità nel distretto non registra linee di tendenza diverse da quelle degli anni passati, rispetto al periodo precedente sono, invero, in ulteriore crescita i reati contro la pubblica amministrazione (+ 19%) e, più in particolare, i delitti di concussione (+ 44%); aumentano i reati di omicidio volontario sia consumato (+ 1%) che tentato (+ 44%), i furti in abitazione (+ 7%), le estorsioni (+ 3%), le truffe (+ 71%), le frodi comunitarie (+ 77%), i reati di droga (+ 1%), le lottizzazioni abusive (+ 20%). L’analisi dei dati statistici rivela che nelle tre province del distretto le organizzazioni mafiose continuano a tutt’oggi a detenere il monopolio delle attività criminali, soprattutto di quelle finalizzate al controllo del territorio ed all’acquisizione di capitali illeciti mediante imposizione del c.d. “pizzo” alle attività commerciali e alle imprese impegnate in lavori pubblici e privati. I dati conoscitivi emergenti dalle indagini svolte dimostrano che, nonostante i durissimi colpi subiti, Cosa Nostra conserva sostanzialmente immutata la sua struttura organizzativa profondamente radicata nel territorio e non si avvertono segni di cedimento nella perdurante propensione dei suoi aderenti a perpetuare l’illecito sfruttamento del tessuto economico mediante “pizzo” e “messe a posto”, anche se deve dirsi che l’intensa pressione investigativa e la stessa crisi economica, che rende le vittime meno propense a cedere, sembra avere grandemente ridimensionato tale fonte di guadagno. Un elemento di relativa novità meritevole di attenzione è, infatti, il sempre più crescente interesse dei gruppi mafiosi, specie di Palermo, per lo spaccio ed il traffico di stupefacenti. Tale attività, in verità, non è del tutto nuova, giacché il traffico degli stupefacenti ha costituito e costituisce un business fondante per Cosa Nostra. Per qualche tempo, però, era parso che la mafia avesse rinunciato a gestire in prima persona il mercato dello spaccio degli stupefacenti, lasciando

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primo comma dell’art. 37 del D.L. n. 98 del 6 luglio 2011. Non si possono ancora apprezzare i risultati dei programmi annuali imposti dal citato art. 37. È possibile soltanto prendere in esame i dati statistici per verificare se emerga qualche tendenza generale, capace di rassicurare sul percorso intrapreso o eventualmente rac-


comandare “correzioni di rotta”. Nell’analizzare i dati statistici ci limiteremo a menzionare quelli essenziali, quelli cioè che possono essere considerati segnali di tendenze in corso di sviluppo, per il resto rinviando alla documentazione allegata al testo, che contiene le statistiche elaborate dalla Direzione generale delle Statistiche del

Ministero della giustizia e quelle dell’Ufficio di statistica della Corte di cassazione. D’altro canto, il fatto che nel sito web del Ministero della giustizia e in quello della Corte di cassazione siano pubblicate, con diversa periodicità (mensile, semestrale o annuale), tutte le statistiche rilevanti in materia di attività giudiziaria, esime dall’illu-

che ad esso si dedicassero soggetti non organici all’associazione, spesso appartenenti a gruppi etnici extracomunitari. In atto (ed è questo il fatto nuovo) le attività intercettative segnalano costantemente, in ogni indagine per fatti associativi, un correlativo filone di acquisto, commercializzazione e spaccio di stupefacenti. Il fenomeno può essere spiegato, da un lato, con l’inaridirsi della tradizionale illecita fonte di guadagno costituita dalle estorsioni, dall’altro, con la constatazione che in termini di costi/benefici nel rapporto tra guadagno e rischio ed entità della pena irrogata, il traffico di stupefacenti appare forse per le organizzazioni criminali più vantaggioso. La prassi della violenza omicida sembra per il momento in linea di massima accantonata, come prova il fatto che nel periodo considerato si è verificato a Palermo un solo omicidio ascrivibile a logiche di contrasto e predominio tipiche della criminalità organizzata. Nel territorio di Agrigento si è verificato un duplice omicidio, ma è da ritenersi che il secondo soggetto ucciso sia stato una vittima casuale. Non può, allo stato attuale, sostenersi che tale situazione, in sé ottimale ed altamente desiderabile, sia frutto di una deliberata scelta dell’organizzazione o sia conseguenza della intensa ed efficace azione repressiva. È proponibile, tuttavia, l’ipotesi che il secondo fattore abbia indotto il primo; che, cioè, la efficace azione di polizia abbia reso assai pericoloso e quindi non facilmente praticabile per la mafia l’esercizio della violenza. La situazione potrebbe, però, facilmente cambiare se Cosa Nostra, che attualmente è priva di un capo riconosciuto e di validi quadri dirigenti, riuscisse a ricompattarsi ritrovando l’uno e gli altri. Come è noto l’ultimo serio tentativo in tal senso è stato frustrato con l’operazione “Perseo” del dicembre 2008, ma il pericoloso latitante Matteo Messina Denaro, presente nel territorio, potrebbe fare da catalizzatore di analoghi futuri progetti. Dalle indagini in corso emergono, infatti, frequenti anomali contatti (connotati da particolari cautele per evitare possibili intercettazioni) fra esponenti mafiosi agrigentini e tra-

strare in questa sede dati già noti, per essere stati resi pubblici dai mezzi d’informazione, evitando così gravose e non utili ripetizioni. Sullo stato della giustizia civile, svolgeremo soltanto considerazioni di ordine generale, tenendo conto delle indicazioni provenienti dalle analisi e valutazioni svolte dai presidenti delle corti

panesi: ciò che fa pensare ad una perdurante ricerca di intese e nuovi equilibri. In questo senso, nel contrasto a Cosa nostra, emergono due priorità: da un canto, la sollecita cattura dell’ultimo grande latitante ancora presente nel territorio (Matteo Messina Denaro), dall’altro, la veicolazione in sede politica di precisi ed inequivocabili segnali che facciano crollare ogni impossibile speranza di attenuazione del sistema repressivo o, peggio, di generalizzata revisione di processi. A tali condizioni, perdurando l’attuale tensione morale collettiva e la efficace ed intensa azione repressiva, la definitiva sconfitta della mafia comincia ad apparire un risultato possibile anche se non a breve scadenza. Concludendo vogliamo evidenziare il monito verso i magistrati, per i quali è arrivato il momento di modificare atteggiamento nei processi: Oliveri ha difatti affermato che “La comunità nazionale e internazionale ci scruta stigmatizzando l’enfasi mediatica che viene data a certi provvedimenti, la sovraesposizione e i protagonismi di alcuni costantemente presenti in talk show televisivi dove disquisiscono di processi in corso’’. Secondo il Presidente della corte d’appello palermitana la legittimazione del giudice nella società moderna non è data dalla circostanza che si è vinto un concorso e s’indossa la toga, bensì va conquistata “sul campo”, nell’esercizio quotidiano del “servizio”, eseguito con serietà, professionalità e responsabilità. In tal modo, l’indipendenza esterna dei giudici non sarà vista come un privilegio o una prerogativa, bensì come la garanzia fondamentale dei cittadini, in uno Stato di diritto, per l’applicazione imparziale delle norme e per l’uguaglianza di essi dinanzi alla legge. Il giudice o la Corte ben potranno pretendere, a loro volta, il doveroso rispetto e l’attenzione che meritano la persona, l’organo e l’Istituzione che essi rappresentano, da parte delle altre Istituzioni dello Stato, degli avvocati, del personale, ma soprattutto dei cittadini e degli utenti, dai quali potrà, anzi, attendersi apprezzamento e simpatia.

25


d’appello nelle loro relazioni, alle quali si rinvia per l’illustrazione della situazione dei ventisei distretti territoriali. La pendenza e i tempi. I dati oggetto di analisi in questa sede sono prima di tutto una conferma delle difficoltà dalle quali ancora non riesce a districarsi il sistema giustizia, ma non mancano di segnalare un ulteriore miglioramento per quanto concerne la pendenza dei procedimenti. Nella precedente relazione, sulla scorta dei dati comunicati dal Ministero della giustizia (Direzione generale di Statistica), avevamo evidenziato un decremento del 2,4% della pendenza complessiva dei procedimenti. Quest’anno, sulla scorta dei dati forniti dalla medesima fonte, dobbiamo rilevare che questo decremento si è sostanzialmente rafforzato, situandosi al 4,5%, con un numero di procedimenti pendenti di merito che è passato dai 5.640.130 al 30 giugno 2011 ai 5.388.544 del 30 giugno 2012. È l’effetto della significativa diminuzione delle sopravvenienze, pari al 3,7%, essendo passati i procedimenti iscritti dai 4.445.016 del 30 giugno 2011 ai 4.283.310 del 30 giugno 2012 e della sostanziale tenuta del numero delle definizioni, passato dai 4.500.276 del 30 giugno 2011 ai 4.493.999 del 30 giugno 2012 (con una diminuzione dell’appena lo 0,1%). È evidente come il sistema sconti ancora il pesante carico del cd. “arretrato”, che finora si è dimostrato una montagna insensibile alla pur costante e generosa attività di erosione posta in essere nei diversi programmi di gestione dai dirigenti, nel difficile quadro di rilevante riduzione del personale, sia per quanto riguarda i magistrati, sia per quanto riguarda il personale amministrativo, che senza dubbio influisce negativamente (e in modo considerevole) sulle potenzialità delle strutture organizzative. Ma anche i profili positivi che emergono dai dati analizzati denunciano una difficoltà. La diminuzione delle sopravvenienze, che pur c’è e che non può

26

Competenza penale

Indice di ricorso per Cassazione classificato per Distretto di Corte di appello (Ricorsi provenienti dalle Giurisdizioni ordinarie – rapporto per 100.000 abitanti)

Mappa delle intensità - Anno 2012

Fonte: Corte di Cassazione - Ufficio di statistica

essere considerata di proporzioni assolutamente marginali, è tuttavia ancora troppo “ridotta” per assurgere a chiaro segnale di una consolidata inversione di tendenza. I numeri complessivi dei procedimenti iscritti sono ancora molto alti e testimoniano l’insufficienza allo stato degli strumenti adottati per un contenimento dell’accesso alla giustizia, perché questo non continui a rappresentare lo sbocco “obbligato” di ogni controversia che si sviluppi all’interno della società civile. La sostanziale tenuta del numero dei processi definiti, se pur è suscettibile di una lettura positiva del dato (soprattutto a fronte della notevole flessione delle definizioni registrata nell’anno precedente), testimonia, tuttavia, la non decisiva incisività degli sforzi adottati per la riduzione delle pendenze dal lato prospettico delle definizioni.

Può ritenersi comunque incoraggiante il risultato ottenuto, ove si rifletta che su un possibile aumento delle definizioni ha influito, in modo non irrilevante, l’art. 26 (poi abrogato) della legge n. 183 del 12 novembre 2011 (legge di stabilità 2012), il cui primo comma disponeva: «Nei procedimenti civili pendenti davanti alla Corte di cassazione, aventi ad oggetto ricorsi avverso le pronunzie pubblicate prima della data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, e in quelli pendenti davanti alle corti di appello da oltre due anni prima della data di entrata in vigore della presente legge, la cancelleria avvisa le parti costituite dell’onere di presentare istanza di trattazione del procedimento, con l’avvertimento delle conseguenze di cui al comma 2 (ossia l’estinzione del procedimento)». (Continua a pag. 43)



28 - II


29 - III


INSERTO STACCABILE 3. L’importante novità della patente per ciclomotori: la categoria AM Fino ad oggi per guidare i ciclomotori nell’Unione europea non era obbligatoria la patente. Tuttavia, i dati sugli incidenti dimostrano che i giovani utenti della strada sono ad alto rischio e, come sappiamo, in alcuni Stati membri, come l’Italia, giovani di appena 14 anni sono autorizzati a guidare i ciclomotori. Per questo motivo è stata introdotta una nuova categoria armonizzata di patente di guida, la AM, che può essere ottenuta superando una prova teorica obbligatoria. Tutto ciò per tutelare maggiormente i giovanissimi titolari e renderli più consapevoli delle norme del codice della strada, oltre a chiarire la situazione per quanto concerne i conducenti che si recano con un ciclomotore in un altro Stato membro o che noleggiano un ciclomotore quando sono in vacanza. Gli Stati membri hanno inoltre la possibilità di imporre ai richiedenti di sostenere una prova di abilità e comportamento per questa categoria. In Italia la patente AM sostituisce il CIGC, certificato di idoneità per la guida di ciclomotori, rilasciato dalla Motorizzazione e che poteva essere conseguito anche in ambito scolastico, dopo aver sostenuto un percorso formativo teorico pratico. La patente AM in Italia è rilasciata a chi ha compiuto 14 anni ed abilita alla conduzione, sul solo territorio nazionale, di tutti i ciclomotori a 2, 3 oppure a 4 ruote (cioè anche i quadricicli leggeri e le minicar); dal compimento del 16° anno di età la validità è estesa al territorio dell’Unione Europea, ma solo dopo aver compiuto i 18 anni è possibile trasportare persone, animali o cose, anche se il veicolo è predisposto per tale trasporto. Secondo quanto dettato dalla normativa unionale, tutte le

30 - IV

categorie di patenti comprendono anche la patente AM, per cui i titolari di qualsiasi altra patente hanno il diritto di condurre tutti i tipi di ciclomotori senza aver sostenuto un esame specifico di abilitazione alla guida di questi veicoli. I titolari di patente di guida che hanno subito un provvedimento di sospensione della patente AM per superamento dei limiti di velocità (oltre 40 Km/h e meno di 60 Km/h rispetto al limite), perdono il diritto a guidare qualsiasi tipo di ciclomotore durante tutto il periodo di durata del provvedimento. Anche i titolari di patenti di altre categorie, nel caso di sospensione, diversamente da quanto avveniva in precedenza non potranno condurre i veicoli per cui oggi è richiesta la patente di categoria AM.

4. La nuova patente per le moto: le categorie A1A2-A Per la patente A1, conseguibile da conducenti appena sedicenni, la nuova normativa aggiunge ai precedenti limiti di 125 cc di cilindrata e di 11 kW di potenza il limite del rapporto potenza/peso, riportato sulla carta di circolazione, non superiore a 0,1 kW/kg, per impedire di condurre motocicli leggeri che, pur essendo relativamente poco potenti, in ragione del peso limitato sono però dotati di notevoli prestazioni sia in termini di accelerazione che velocità massima. Inoltre non è più consentito guidare tricicli con oltre 15 kw di potenza se non dopo il compimento dei 21 anni e in nessun caso i quadricicli a motore immatricolati come motoveicoli, compresi i quad (cat. l7e). Solo nell’ambito del territorio dello Stato chi possiede la patente B può guidare i motocicli previsti dalla categoria A1. La precedente categoria A, che era suddivisa in una parte con limitazioni e in una parte senza limitazioni, è ora scissa


PATENTE UNIONALE

Tab. 1

CiClomoTori e moToCiCli

Categoria

età

tipo veiColo

veCChia normativa

CICLOMOTORI A DUE RUOTE E TRE RUOTE (CAT. L1E-L2E)

CERTIFICATO DI IDONEITÀ PER LA GUIDA DEI CICLOMOTORI (C.I.G.C.)

QUADRICICLI LEGGERI (CAT. L6E)

CERTIFICATO DI IDONEITÀ PER LA GUIDA DEI CICLOMOTORI (C.I.G.C)

MOTOCICLI A 2 RUOTE SENzA CARROzzETTA (CAT.L3E) O CON CARROzzETTA (CAT.L4E)

FINO A 125CM³ FINO A 11kw

FINO A 125CM³ FINO A 11kw RAPPORTO POTENzA/MASSA NON SUPERIORE 0,1 kw/kG

TUTTI (NO LIMITI)

POTENzA FINO A 15kw

TRICICLI (CAT.L5E) QUADRICICLI (CAT.L7E)

TUTTI (NO LIMITI)

NON ABILITATI

MOTOCICLI A 2 RUOTE SENzA CARROzzETTA (CAT.L3E) O CON CARROzzETTA (CAT.L4E)

FINO A 25 kw RAPPORTO POTENzA/MASSA 0,16 kw/kG

FINO A 35 kw RAPPORTO POTENzA/MASSA 0,20 kw/kG NON DERIVATO DA VERSIONE ChE SVILUPPA OLTRE IL DOPPIO DELLA POTENzA MASSIMA

TRICICLI (CAT.L5E)

TUTTI (NO LIMITI)

POTENzA FINO A 15kw

QUADRICICLI (CAT.L7E)

TUTTI (NO LIMITI)

NON ABILITATI

MOTOCICLI A 2 RUOTE SENzA CARROzzETTA (CAT.L3E) O CON CARROzzETTA (CAT.L4E)

SENzA LIMITAzIONI

TUTTI (NO LIMITI)

TRICICLI (CAT.L5E)

TUTTI (NO LIMITI)

POTENzA SUP. 15kw SOLO A 21 ANNI

QUADRICICLI (CAT.L7E)

TUTTI (NO LIMITI)

NON ABILITATI

14 ANNI (SENzA PASSEGGERO)

am

a1

(COMPRENDE AM)

a2

(COMPRENDE A1 E AM)

a

(COMPRENDE A2,A1,AM)

16 ANNI (FUORI DALL’ITALIA E SENzA PASSEGGERO)

16 ANNI (SENzA PASSEGGERO)

18 ANNI

20 ANNI (A2 DA ALMENO 2 ANNI) 24 ANNI (ACCESSO DIRETTO)

attuale normativa VELOC. MAx NON SUP.45 kM/h CILINDR. ≤ A 50CC, SE A COMBUSTIONE INTERNA POTENzA NOMINALE CONTINUA MAx ≤4kw PER MOTORI ELETTRICI VELOC.MAx NON SUP. 45 kM/h CILIDR.≤ 50 CC, SE ACCENSIONE COMANDATA POTENzA MAx NETTA ≤4kw PER ALTRI MOTORI A COMBUSTIONE INTERNA POTENzA NOMIMALE CONTINUA MAx ≤4kw PER MOTORI ELETTRICI MASSA A VUOTO ≤350 kG, ESCLUSA MASSA BATTERIE PER VEICOLI ELETTRICI

31 - V


INSERTO STACCABILE in due categorie distinte “A2” e “A”. Per la categoria A2 viene inoltre introdotto un requisito tecnico aggiuntivo che impedisce la guida di modelli di motoveicoli “depotenziati” se la potenza del modello originario supera il doppio di quello depotenziato. L’età minima per conseguire la categoria A2 è fissata a 18 anni, mentre la categoria A, senza limiti di potenza, si può ottenere a 24 o a 20 anni di età, ma solo se si è in possesso della patente A2 da almeno 2 anni. Il rilascio della patente A, trascorsi i due anni dal conseguimento della A2, non è automatico, come avveniva in precedenza per la patente A senza limitazioni, ma subordinato all’esito di un nuovo esame su un veicolo di potenza adeguata.

5. La nuova patente per i quadricicli: la categoria B1 La nuova normativa ha istituito la patente unionale di categoria B1 che permette, a 16 anni, di guidare tutti i quadricicli a motore elettrico o termico, di potenza non superiore ai 15kw, ma per poter trasportare passeggeri, animali o cose occorre aver compiuto 18 anni. Questa patente è richiesta anche per la guida dei quad.

6. Le novità della patente di categoria B e BE La patente B si consegue a 18 anni, consente di condurre un veicolo (autovettura o quadriciclo, autocarro, autocaravan, veicoli speciali) di massa complessiva fino a 3500 kg, che sia adibito al trasporto fino ad un massimo di 9 persone, incluso il conducente, ed il traino di un rimorchio fino a 750 kg. Per quanto riguarda la combinazione veicolo-rimorchio nell’ambito della categoria B, i rimorchi di peso superiore a 750 kg possono essere accoppiati a un veicolo trainante se la combinazione non supera i 4250 kg e se sono rispettate le norme in materia di omologazione (che determinano la relazione tra veicolo e rimorchio). Tuttavia, per le combinazioni che rientrano nella categoria B e che superano il peso di 3500 kg, ma restano nell’ambito dei 4250 kg, viene fissato l’obbligo di sostenere un esame specifico, al termine del quale verrà rilasciata una patente B con codice unionale 96. La categoria BE, abilita a condurre veicoli che si possono guidare con la patente B e rimorchi con massa massima autorizzata non superiore di 3500 kg. e si consegue anch’essa a 18 anni.

Tab. 2

QuadriCiCli e auToveiColi+rimorChi Categoria

età

B1

16 ANNI (SENzA PASSEGGERO)

(COMPRENDE AM)

B

18 ANNI

[COMPRENDE B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw SE MAGG.21 ANNI (SOLO ITALIA) E AM]

Be

[COMPRENDE B,B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw SE MAGG.21 ANNI (SOLO ITALIA) E AM]

32 - VI

18 ANNI

tipo veiColo

veCChia normativa

attuale normativa

QUADRICICLI (CAT.L7E)

ABILITATI CON PATENTE A1, A2, A OPPURE B

TUTTI (NO LIMITI)

AUTOVEICOLI DI M.M.A. FINO A 3,5 T CON MAx 8 POSTI (ESCLUSO CONDUCENTE) + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750 kG)

TUTTI (NO LIMITI)

TUTTI (NO LIMITI)

AUTOVEICOLI DI M.M.A. FINO A 3,5 T CON MAx 8 POSTI (ESCLUSO CONDUCENTE) + RIMORChIO NON LEGGERO (OLTRE 750 kG)

M.M.A. RIMORChIO NON DEVE ECCEDERE MASSA A VUOTO MOTRICE M.M.A.COMPLESSO NON DEVE SUPERARE 3,5 T

M.M.A.COMPLESSO NON DEVE SUPERARE 3,5 T SE M.M.A. COMPRESA TRA 3,5 T E 4,25 T OCCORRE ESAME SPECIFICO COD.96 IN COLONNA 12

AUTOVEICOLI DI M.M.A. FINO A 3,5 T CON MAx 8 POSTI (ESCLUSO CONDUCENTE) + RIMORChIO NON LEGGERO (SUP.750 kG)

M.M.A. RIMORChIO ECCEDE MASSA A VUOTO DELLA MOTRICE E/O M.M.A.COMPLESSO SUPERA 3,5 T

M.M.A.COMPLESSO SUPERA 4,25 Q IL RIMORChIO O IL SEMIRIMORChIO NON DEVE SUPERARE MASSA COMPLESSIVA DI 3,5 T


PATENTE UNIONALE

Tab. 3

veiColi pesanTi età

Categoria

C1

18 ANNI

tipo veiColo AUTOVEICOLI

COMPRENDE B,B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw SE MAGG.21 ANNI (SOLO ITALIA) E AM

C1e

[COMPRENDE C1, BE,B,B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw SE MAGG.21 ANNI (SOLO ITALIA) E AM]

veCChia normativa

attuale normativa

DIVERSI DALLA CAT.D DI M.M.A. SUP. 3,5 T MA NON SUP. A 7,5 T + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750 kG)

DIVERSI DALLA CATEG.D1 O D DI M.M.A.SUP. 3,5T MA NON SUP.A 7,5T + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750 kG)

CAT.C1 (TRA 3,5 E 7,5 T)

CAT.C1 (TRA 3,5 E 7,5 T) E RIMORChIO NON LEGGERO

M.M.A. COMPLESSO FINO A 12 T 18 ANNI

AUTOVEICOLI M.M.A. RIMORChIO NON DEVE ECCEDERE LA MASSA A VUOTO DELLA MOTRICE

M.M.A. COMPLESSO FINO A 12 T OPPURE COMPLESSI CON MOTRICE B + RIMORChIO CON M.M.A. SUP.3,5 T M.M.A COMPLESSO FINO A 12 T

DIVERSI DALLA CAT.D DI M.M.A. SUP. 3,5 T + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750 kG)

C

[COMPRENDE C1,B,B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw SE MAGG.21 ANNI (SOLO ITALIA) E AM]

21 ANNI

AUTOVEICOLI M.M.A. MINORE 7,5T FINO A 21 ANNI, SALVO POSSESSO “CARTA QUALIFICAzIONE CONDUCENTE” COMPLESSI CON MOTRICE C + RIMORChIO NON LEGGERO (SUP.750kG)

Ce

[COMPRENDE C1,B,B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw SE MAGG.21 ANNI (SOLO ITALIA) E AM]

21 ANNI

AUTOVEICOLI

M.M.A. MINORE 7,5T FINO A 21 ANNI, SALVO POSSESSO “CARTA QUALIFICAzIONE CONDUCENTE”

AUTOVEICOLI DIVERSI DALLE CAT.D1 O D DI M.M.A. SUP.3,5T + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750kG)

COMPLESSI CON MOTRICE C + RIMORChIO NON LEGGERO (OLTRE 750kG)

33 - VII


INSERTO STACCABILE

Tab. 4

veiColi pesanTi per TrasporTo persone

Categoria

D1

età 21 ANNI

tipo veiColo AUTOVEICOLI

COMPRENDE B,B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw (SOLO ITALIA) E AM

veCChia normativa

attuale normativa

PER TRASPORTO PERSONE CON POSTI A SEDERE FINO A 16 PASSEGGERI + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750kG)

AUTOVEICOLI DIVERSI DALLE ALTRE CATEGORIE, COSTRUITI PER TRASPORTARE FINO A 16 PASSEGGERI + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750kG) IL MINIBUS DEVE AVERE LUNG. MAx 8 METRI

D1e

21 ANNI

AUTOVEICOLI

[COMPRENDE D1,BE,B,B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw (SOLO ITALIA) E AM]

PER TRASPORTO PERSONE D1 M.M.A. DEL RIMORChIO NON DEVE ECCEDERE LA MASSA A VUOTO DELLA MOTRICE

COMPLESSI CON MOTRICE D1 + RIMORChIO NON LEGGERO (OLTRE 750kG) LA MOTRICE DEVE AVERE LUNGhEzzA MAx 8 METRI

RIMORChIO NON DESTINATO A TRASPORTO PERSONE

D

24 ANNI

AUTOVEICOLI

PER TRASPORTO PERSONE CON POSTI A SEDERE SUP A 8 PASSEGGERI + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750kG)

DIVERSI DALLE ALTRE CAT. COSTRUITI PER TRASPORTARE OLTRE 8 PASSEGGERI + RIMORChIO LEGGERO (FINO A 750 kG)

De

24 ANNI

AUTOVEICOLI

COMPLESSI CON MOTRICE D + RIMORChIO NON LEGGERO (SUP.750kG)

DIVERSI DALLE ALTRE CAT. COSTRUITI PER TRASPORTARE OLTRE 8 PASSEGGERI + RIMORChIO NON LEGGERO (OLTRE 750 kG)

[COMPRENDE D1,B,B1,A1 E TRICICLI SUP.15kw (SOLO ITALIA) E AM] [COMPRENDE D1,D1E, D,B,B1,BE,A1 E TRICICLI SUP.15kw (SOLO ITALIA) E AM]

34 - VIII


PATENTE UNIONALE

Tab.5

validiTà paTenTi ordinarie Categoria

valiDità

età ConDuCente

am,a1,a2,a, B1, B, Be

10 ANNI

FINO 50 ANNI

5 ANNI

DA 50 A 70 ANNI

3 ANNI

DA 70 A 80 ANNI

2 ANNI

PIù 80 ANNI

5 ANNI

FINO 65 ANNI

2 ANNI

DA 65 ANNI

ANNUALE

DOPO 65 E FINO A 68 ANNI TITOLARI CE POSSIBILITÀ, CON CERTIFICATO CML, DI ESTENSIONE PATENTE A GUIDA AUTOTRENI E AUTOARTICOLATI OLTRE 20 T OBBLIGO DI CERTIFICATO A BORDO

5 ANNI

FINO 70 ANNI

3 ANNI

DA 70 ANNI

ANNUALE

DOPO 60 E FINO 68 POSSIBILITÀ DI ESTENSIONE PIENA VALIDITÀ PATENTE CON CERTIFICATO CML ED OBBLIGO DI TENERLO A BORDO

C1,C1e,C,Ce

D1,D1e,D,De

7. Le novità della patente di categoria C1-C1E-C-CE La nuova normativa ha introdotto la patente di categoria C1, che consente di condurre autocarri di massa non superiore a 7500 kg, anche trainanti un rimorchio con massa non superiore a 750 kg e si può conseguire dai 18 anni. Per poter trainare un rimorchio di massa massima superiore a 750 kg, ma con massa complessiva autorizzata non superiore a 12.000 kg si dovrà conseguire la patente C1E. La patente di categoria C consente di condurre veicoli senza limite di massa per il trasporto di cose oppure omologati per il trasporto di 8 passeggeri escluso il conducente e si può ottenere al compimento dei 21 anni; anche in questo caso, se si intende trainare rimorchi di massa massima superiore a 750 kg, occorre conseguire la patente di categoria CE.

8. Le novità delle patenti di categoria D1-D1E-D-DE A 21 anni è possibile ottenere la patente D1 che abilita a gui-

limitazioni

DA 65 SOLO PER TITOLARI CE GUIDA LIMITATA AD AUTOTRENI E AUTOARTICOLATI FINO 20 T

DA 60 ANNI LIMITATE A CAT. B, BE (CON POSSIBILITÀ DI RICLASSIFICAzIONE IN QUESTE) SOLO PER PATENTI RILASC.DALL’1.10.2004

dare autobus fino a 16 passeggeri escluso il conducente e di lunghezza massima di 8 m, mentre a 24 anni è invece possibile ottenere la patente D per guidare tutti i tipi di autobus. Come per le altre categorie, per poter trainare rimorchi di massa massima superiore a 750 kg occorre sostenere un esame ed ottenere così la patente D1E o DE. È importante sottolineare che le patenti D1 e D non comprendono le C e C1, come avveniva invece con la precedente normativa, per cui per la conduzione di veicoli adibiti al trasporto di cose occorre conseguire anche una delle patenti di categoria C.

9. Le novità per i titolari di patenti speciali La patente unionale può essere conseguita anche dai mutilati ed i minorati fisici, come in effetti già avviene; ad essi è previsto il rilascio di tutte le categorie di patenti finora illustrate, ad eccezione di quelle che prevedono il traino di 35 - IX


INSERTO STACCABILE rimorchi più pesanti, e quindi le categorie BE, C1E, CE, D1E e DE. Sulle patenti speciali sono apposti dei codici unionali armonizzati, che indicano la presenza di limitazioni alla guida di veicoli di particolari tipi e caratteristiche, determinate anche in relazione ad accertamenti medici cui vengono sottoposti i titolari. Non sono imposti particolari tipi di veicoli da guidare e non vi è un limite di cilindrata o di potenza: l’importante è che essi rispondano alle caratteristiche e possiedano gli adattamenti tecnici richiesti in relazione alle limitazioni dei codici presenti sulla patente. Poche sono le limitazioni per questo tipo di patenti previste dalla nuova normativa: i titolari di patente speciale possono effettuare il trasporto anche di merci pericolose, tranne nel caso in cui sia richiesto il possesso del Certificato di formazione professionale e, se in possesso di patente speciale D e D1, non possono guidare autobus in servizio di piazza o in noleggio con

conducente per trasporto di persone ovvero in servizio di linea. Non è consentita la guida di autoambulanze ai soli titolati di patente B speciale, mentre è consentito il rilascio della Carta di qualificazione del conducente ai titolari di patente speciale C1 e C.

10. Disciplina delle macchine agricole ed operatrici Per condurre le macchine agricole cosiddette “moto agricole” che non possono superare i 45 km/h di velocità è sufficiente il possesso della patente A1, mentre per condurre le altre macchine agricole, anche quelle di dimensioni eccezionali e per le macchine operatrici, purché di dimensioni non eccezionali, è richiesta la patente di categoria B. Per condurre le macchine operatrici di dimensioni eccezionali è indifferente il possesso della patente C o C1.

Tab.6

validiTà paTenTi speCiali Categoria

am,a1,a2,a, B1, B, Be

C1,C1e,C,Ce

D1,D1e,D,De

36 - X

valiDità

età ConDuCente

5 ANNI

FINO 70 ANNI

3 ANNI

DA 70 A 80 ANNI

2 ANNI

PIù 80 ANNI

5 ANNI

FINO 65 ANNI

2 ANNI

DA 65 ANNI

5 ANNI

FINO 70 ANNI

3 ANNI

DA 70 ANNI

limitazioni POSSIBILE DURATA INFERIORE A SECONDA DELLA MINORAzIONE ANNOTATA SULLA PATENTE POSSIBILE DURATA INFERIORE A SECONDA DELLA MINORAzIONE ANNOTATA SULLA PATENTE POSSIBILE DURATA INFERIORE A SECONDA DELLA MINORAzIONE ANNOTATA SULLA PATENTE


PATENTE UNIONALE

Tabella di eQuipoll enZa Categoria di patente posseduta alla data del 18.01.2013

periodo di conseguimento

Categorie

Certificato di idoneità alla guida del ciclomotore (CIGC)

Conseguita fino al 18.01.2013

AM

A

Conseguita entro il 31.12.1985

A

A

Conseguita dal 01.01.1986 al 25.04.1988

AM + “a” ovvero A se è stata sostenuta la prova pratica integrativa

A senza limitazioni

Conseguita con accesso dietro dal 26.04.1988 oppure con accesso graduale dal 26.04.1988 fino al 18.01.2011

A

A con limitazioni

Conseguita dal 19.01.2011 al 18.01.2013

A

A1

Conseguita dal 01.07.1996 al 30.09.1999

A

A1

Conseguita dal 01.10.1999 fino al 18.01.2013

A1

B

Conseguita entro il 31.12.1985

A, B

B

Conseguita dal 01.01.1986 al 25.04.1988

“a”, B

B

Conseguita dal 26.04.1988 al 18.01.2013

B

C

Conseguita fino al 18.01.2013

B, C

D

Conseguita entro il 30.09.2004

B, C, D

D

Conseguita dal 01.10.2004 sl 18.01.2013

B, D

E conseguita da titolare di patente B

Conseguita fino al 18.01.2013

BE

E conseguita da titolare di patente C

Conseguita fino al 18.01.2013

CE

E conseguita da titolare di patente D

Conseguita entro il 30.09.2004

CE, DE

E conseguita da titolare di patente D

Conseguita dal 01.10.2004 fino al 18.01.2013

DE

11. Patenti già rilasciate e regime transitorio Le nuove disposizioni si applicano solo per le patenti rilasciate successivamente l’entrata in vigore dei decreti legislativi 59/2011 e 2/2013; quelle rilasciate in precedenza conservano l’efficacia originaria. Si procederà gradualmente all’adeguamento alle nuove patenti unionali ed alla loro consegna, che avverrà al momento della prima scadenza di validità o nel caso in cui, prima di tale scadenza, il titolare faccia richiesta di duplicato per smarrimento, deterioramento o furto del vecchio documento. Per facilitare la gestione delle vec-

chie abilitazioni quando viene rilasciata una patente sul nuovo modello UE, sia in caso di duplicato che di conferma della validità, è prevista dalla nuova normativa una tabella di equipollenza. Anche il Certificato di idoneità alla guida del conducente, CIGC, mantiene la sua validità fino alla scadenza indicata sul documento oppure, come nel caso delle patenti di guida, nel caso in cui venga fatta richiesta di duplicato, che verrà sostituito dalla patente UE di categoria AM. In ogni caso, con l’entrata in vigore della nuova normativa, il possessore del CIGC è a tutti gli effetti equiparato a chi possiede la patente AM. 37 - XI


INSERTO STACCABILE 12. Veicoli con il cambio automatico È possibile sostenere un esame di abilitazione alla guida di veicoli con cambio automatico, cioè quelli in cui non è presente il pedale della frizione o la leva manuale per i veicoli di categoria A, A2 e A1. In tal caso viene apposto il codice amministrativo 78 sulla patente così ottenuta, che in questo modo viene limitata. In mancanza di queste segnalazioni il titolare può guidare indifferentemente auto con cambio manuale o automatico.

13. I neopatentati Con l’introduzione della patente A2 e dei diversi requisiti per il rilascio della patente A, scompaiono i limiti di potenza per i neopatentati che guidano moto potenti con la patente A; al contrario, restano in vigore i limiti di 70 kw di potenza e 55 kw/t di potenza/tara per i neopatentati di categoria B. Una nuova disciplina è stabilita per i limiti di velocità che devono rispettare tutti coloro che hanno appena conseguito una patente di categoria A2, A, B1,e B: per i primi tre anni dal conseguimento della patente non potranno superare i 100 Km/h in autostrada e i 90 Km/h sulle le strade extraurbane principali.

14. Il limiti d’età per la guida La nuova disciplina della patente unionale sostanzialmente conferma quelli che sono i limiti massimi di età per la guida già vigenti per i conducenti titolari di patenti rilasciate in Ita-

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lia. Al compimento degli 80 anni bisogna sottoporsi a visita medica con cadenza biennale, per confermare la validità del titolo posseduto, dimostrando di essere in buona salute. Non è richiesta una visita specialistica da parte di una Commissione medica locale per la conferma della validità, che può essere effettuata da uno dei medici legali abilitati, già impiegati per gli altri conducenti, se la persona gode di buona salute. Ai possessori di patenti di categoria D1 o D oppure D1E o DE, al compimento del 60° anno è consentito guidare i soli veicoli di categoria, rispettivamente, B o BE. Coloro i quali si trovano in buona salute possono però richiedere la conferma della validità di queste patenti anche sottoponendosi annualmente, fino al compimento del 68°anno di età, ad una visita specialistica da parte di una Commissione medica locale, la quale rilascerà un certificato che dovrà essere conservato sempre insieme alla patente di guida. Procedura analoga dovranno seguire i conducenti titolari di patente CE che, quando compiranno il 65°anno di età, potranno condurre autotreni ed autoarticolati con massa complessiva non superiore a 20 tonnellate se supereranno la visita annuale fino ai 68 anni, conservando il certificato rilasciato insieme alla patente di guida.

15. Le indicazioni aggiuntive e i codici armonizzati Per rendere le patenti unionali facilmente intellegibili in tutti gli Stati membri le annotazioni non vengono fatte in forma di testo, ma attraverso codici numerici armonizzati che indicano i contenuti di particolari prescrizioni o indicazioni utili relative al conducente. Questi codici, composti da due cifre, da 00 a 99, hanno un significato uniforme e sono validi sull’intero territorio dell’Unione Europea. I Paesi


PATENTE UNIONALE

membri hanno facoltà di utilizzare ulteriori codici, validi solo al loro interno, utilizzando cifre a partire da 100. Ogni codice può avere un sottocodice costituito da un altro numero di due cifre, indicato dopo il codice e preceduto da un punto. Ogni codice e sottocodice può essere specifico di una sola categoria di patente o essere esteso a tutte le abilitazioni possedute; nel primo caso l’indicazione viene fatta sul rigo corrispondente alla categoria cui si riferisce, altrimenti la codifica è apposta senza far alcun riferimento alla categoria. Per le violazioni delle indicazioni riportate dai codici unionali e nazionali sono previste delle sanzioni amministrative pecuniarie; se le violazioni riguardano modifiche dei veicoli o riguardano le patenti speciali è possibile la sospensione della patente stessa.

16. Guida senza patente o di categoria diversa Con la nuova normativa si inaspriscono le sanzioni per coloro che vengono sorpresi a guidare un veicolo con una patente di categoria diversa: la sanzione applicata diventa di carattere penale e non più amministrativo, al pari di chi guida un veicolo senza aver conseguito alcuna patente. Per cui il reato di “guida senza patente” (non conseguita o conseguita di categoria diversa) prevede un’ammenda che va dai 2.257 ai 9.032 euro e il fermo amministrativo del veicolo per 90 giorni o la confisca nel caso di recidiva biennale. Rimane la sanzione amministrativa e la sospensione della patente per coloro che, sebbene guidino un veicolo diverso da quello che la loro patente abilita a condurre, abbiano ottenuto un’altra patente per quel tipo di veicolo. Così, ad esempio, il titolare di una patente A2 o A1 sorpreso alla guida di un veicolo che richiede la patente A, sarà oggetto di sanzione amministrativa. Così come un conducente in pos-

sesso di patente B1 o C1 oppure D1, alla guida di un veicolo per cui è richiesta rispettivamente la patente B o C oppure D. Solo sul territorio nazionale è prevista la sanzione amministrativa per coloro che, in possesso di patente B, guidano una moto per cui è richiesta la patente A2 o A.

17. La conferma di validità Alla scadenza di validità, che ogni Stato UE prevederà per la patente unionale, il conducente dovrà sottoporsi a visita medica per ottenere la conferma del titolo e, nel caso di esito positivo, non deve più applicare sulla patente un tagliando adesivo come previsto prima dell’attuale normativa, ma gli sarà inviata una nuova patente di guida con l’indicazione della nuova scadenza, che verrà stampata a cura dell’Ufficio centrale operativo della Motorizzazione. Nell’attesa potrà circolare utilizzando la vecchia patente insieme al certificato medico rilasciato al momento della visita per la conferma di validità. Una volta ottenuta la nuova patente il titolare dovrà distruggere la vecchia. Per le patenti di categoria AM, A1, A2, A,B e B1 la scadenza di validità, già dal 12 marzo 2012, coincide con il compleanno del titolare, per cui nel momento in cui viene rilasciata una nuova patente o si conferma la validità di una scaduta, l’ufficio della Motorizzazione stamperà come scadenza i dieci anni successivi al prossimo compleanno del conducente. Ad esempio il titolare di una patente B nato il 18 agosto, che ottiene il certificato di conferma di validità il 30 settembre 2013, vedrà stampata come data di scadenza per la successiva revisione il 18 agosto 2024 (10 anni dal compleanno successivo la data della visita medica). Queste nuove regole non sono applicabili alle patenti C1, C, C1E, CE, D1, D, D1E, DE, per le quali continua ad essere vali39 - XIII


INSERTO STACCABILE

da la regola per cui la data di scadenza del documento è fissata in relazione alla data di effettuazione della visita medica di conferma della validità.

18. La residenza normale Così come previsto dalla generalità delle norme comunitarie, è stata introdotta anche per le patenti di guida la residenza normale per i cittadini dell’Unione Europea e dello Spazio economico europeo. Cosicché è considerato residente in Italia anche chi vi dimora per almeno 185 giorni l’anno, avendo sul territorio nazionale interessi personali o professionali, oppure chi ha sul territorio italiano propri interessi personali, tornandoci regolarmente pur avendo interessi professionali in altro stato dell’UE o SEE. Il rilascio o la conferma della patente può essere richiesto solo nello Stato in cui si ha la residenza normale ed è in tale Paese che, qualora commettano violazioni o provochino incidenti, si può essere soggetti a revisione di patente – indipendentemente dal fatto che il titolo sia stato rilasciato in quel Paese o in altro Stato UE o SEE.

19. Le novità per la guida di alcuni veicoli commerciali Con la nuova normativa non verrà più rilasciato ai conducenti professionali, titolari di patenti di categoria C, CE, D o 40 - XIV

DE, la cosiddetta carta di qualificazione del conducente (CQC), in sua vece si provvederà ad annotare sulla patente di guida il codice 95, che sta ad indicare che il conducente ha effettuato la formazione professionale prescritta. Al momento della conferma di validità verranno gradualmente sostituite con nuova documentazione i certificati di qualificazione già rilasciati in precedenza. I titolari di certificati di abilitazione tipo KA e KB devono sottoporsi all’accertamento dei requisiti per il rinnovo di validità con cadenza quinquennale e comunque in occasione del rinnovo della patente di guida. In caso di mancato rinnovo di questi titoli alla scadenza sono previste sanzioni pecuniarie oltre ritiro dei titoli stessi.

20. Le revisioni: vecchi e nuovi casi Come nella vecchia normativa anche per la patente unionale è prevista le revisione nei casi di: dubbio sull’idoneità del possessore, guida in stato di ebbrezza o dopo l’assunzione di stupefacenti, sospensione della patente a seguito di incidente con lesioni gravi, perdita totale del punteggio ovvero di coma superiore a 48 ore. Nuovo caso previsto è invece l’obbligo, da parte di medici che espletano la funzione di medico legale, di comunicare alla Motorizzazione la sussistenza, in individui già titolari di patente, di patologie accertate che siano incompatibili con la guida di un veicolo. A seguito di questa comunicazione la Motorizzazione inviterà il conducente a sottoporsi a revisione entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento. Le comunicazioni da parte dei


PATENTE UNIONALE medici potranno scaturire da accertamenti medico-legali di qualsiasi tipo, come quelli per ottenere prestazioni pensionistiche od assistenziali da parte dello Stato o di Enti pubblici. Coloro che non si presenteranno entro il termine suddetto per la revisione saranno soggetti a sospensione della patente fino a che non verranno dichiarati nuovamente idonei a seguito di visita medica. L’invito a sottoporsi a revisione di patente può essere disposto anche dal prefetto nei confronti di coloro i quali sono stati sorpresi a detenere sostanze stupefacenti per uso personale, destinatari quindi di misure amministrative in materia di violazione delle norme sulla disciplina degli stupefacenti, ad esclusione dei casi di spaccio oggetto degli interventi amministrativi di cui all’art.75 del dPR 309 del 1990. Anche in questo caso, coloro i quali, entro 60 giorni dalla notifica dell’invito da parte del prefetto, non si sottoporranno alla revisione, consistente in una visita medica specialistica presso una Commissione medica locale, vedranno sospesa la patente a tempo indeterminato fino a che non verranno dichiarati idonei dopo la visita.

21. Conferma di validità per i residenti all’estero Coloro che sono in possesso di una patente di guida rilasciata dallo Stato italiano, ma risiedono o dimorano per almeno sei mesi continuativi in uno Stato dell’Unione od anche extracomunitario, possono far confermare la validità della patente dalle autorità diplomatico-consolari italiane presenti in quegli Stati. Previa visita medica effettuata presso medici di fiducia delle ambasciate o dei consolati italiani il titolare di patente unionale rilasciata in Italia può ottenere il rilascio di un’attestazione specifica che, per il periodo di permanenza all’estero, dimostra la conferma di validità

della patente anche se il titolare torna occasionalmente in Italia. Una volta riacquisita la residenza o la dimora in Italia, la validità della patente dovrà essere confermata secondo le procedure ordinarie, sottoponendosi a nuova visita medica presso un medico abilitato nello Stato italiano.

22. Il principio del reciproco riconoscimento per le patenti degli Stati UE e SEE I titolari di patente di guida rilasciata da uno Stato dell’Unione Europea o dello Spazio economico europeo circolano liberamente su tutto il territorio dell’Unione senza la necessità di convertire la loro patente con quella rilasciata dallo Stato ospitante, anche quando in esso ha la residenza normale, questo perché è stato confermato il principio del reciproco riconoscimento per le patenti degli Stati UE. I titolari possono guidare in Italia tutti i veicoli cui la patente posseduta li abilita, senza limitazioni di conduzione e possono essere guidati senza restrizioni o altre formalità i veicoli immatricolati in Italia. Il principio del reciproco riconoscimento si riferisce a tutti i modelli di patente di guida in uso nei diversi paesi dell’UE e SEE, considerando anche quelli rilasciati prima della riforma, a volte molto diversi dal modello stabilito dalla nuova normativa della patente unionale. Coloro che hanno la residenza normale nel nostro Paese hanno la facoltà di chiedere il riconoscimento della loro patente di guida in Italia oppure convertirla in patente italiana, mediante il rilascio di una nuovo documento. Nel caso in cui venga richiesto il riconoscimento, viene mantenuto il titolo conseguito in altro Stato, ma viene effettuata la registrazione nell’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida presso il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti,

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INSERTO STACCABILE e le patenti riconosciute vengono assimilate a quelle rilasciate in Italia per cui seguono la disciplina della conferma della validità con le scadenze applicate nel nostro Paese.

23. Cittadini comunitari residenti in Italia: nuovi obblighi Quando una patente rilasciata da uno Stato UE o SEE non prevede alcuna scadenza amministrativa di validità, ed il suo titolare ha nel nostro Paese la residenza normale da più di 2 anni, scatta l’obbligo di convertirla in patente UE rilasciata in Italia, per cui bisogna farne richiesta alla Motorizzazione. Decorsi i 2 anni dall’entrata in vigore della nuova normativa sulle patenti UE chi venga sorpreso a guidare senza aver espletato tale formalità è punito con sanzioni amministrative pecuniarie ed il ritiro del documento. I titolari di patenti rilasciate da Stati UE o SEE sono obbligati a richiedere alla Motorizzazione la conversione in patente UE rilasciata dall’Italia qualora siano oggetto di un provvedimento di revisione a seguito di un incidente o violazioni commesse nel nostro Paese, tale richiesta deve essere effettuata prima di sottoporsi all’esame o alla visita medica di revisione.

24. Le patenti rilasciate da Stati non appartenenti all’UE o allo SEE I titolari di patenti di guida rilasciata da uno stato non appartenente all’Unione europea od allo Spazio economico europeo, se non residenti in Italia o comunque per un anno da quando vi abbiano ottenuto la residenza, possono guidare nel nostro Paese i veicoli cui la loro patente abilita a condurre ed il loro documento deve essere conforme al model-

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PATENTE UNIONALE lo previsto dalla convenzione di Vienna del 1968, allegato 6. Il documento deve essere redatto in alfabeto latino, contenere la foto del titolare ed una numerazione adeguata; in caso contrario occorre che sia accompagnato da una traduzione giurata oppure da patente internazionale rilasciata dallo Stato che ha emesso la patente di guida. La conversione della patente rilasciata da uno Stato non UE né SEE deve essere obbligatoriamente richiesta entro un anno dall’acquisizione della residenza in Italia; non è richiesto di sostenere un nuovo esame qualora esistano accordi bilaterali tra il nostro paese e quello che l’ha rilasciata, in caso contrario il conducente dovrà sottoporsi agli esami di idoneità richiesti per ottenere la patente unionale italiana, se vorrà continuare a guidare.

25. Le patenti straniere: sospensioni e revoca Come per le patenti rilasciate in Italia, anche quelle rilasciate da Stati sia UE che SEE o extracomunitari possono essere soggette alle sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente di guida. In sostituzione di tali provvedimenti, però, il prefetto del luogo in cui è stata commessa la violazione, che prevede l’applicazione di queste sanzioni, provvede ad emettere un provvedimento di inibizione alla guida in Italia per lo stesso tempo della sospensione o, nel caso di revoca della patente, per 2 anni. Se il titolare della patente lascia il territorio italiano il documento gli verrà restituito, altrimenti non potrà guidare alcun veicolo che in Italia richiede una patente di guida. Nasce l’obbligo da parte del conduttore di dichiarare il domicilio legale in Italia, al momento dell’accertamento dell’illecito, presso il quale sarà notificato il provvedimento di inibizione.


La norma ha certamente ostacolato una fluida formazione dei ruoli d’udienza e ritardato una più serrata accelerazione dei tempi di definizione dei procedimenti, che se già fissati hanno dovuto scontare un rinvio a udienze successive, oltre a provocare un notevole impegno delle cancellerie per l’invio degli avvisi richiesti dalla legge. Nonostante tutto ciò, la durata media dei procedimenti, pur rimanendo ancora attestata su tempi decisamente “lunghi”, non ha subito stravolgimenti particolari, confermando così l’impegno che magistrati e personale amministrativo dei vari uffici collocati nel territorio hanno profuso per conquistare un accettabile livello di esercizio dell’attività giurisdizionale. Così, se per le corti d’appello vi è stato un aumento tutto sommato contenuto della durata dei procedimenti (pari all’1,7%), passata dai 1.033 giorni del 30 giugno 2011 ai 1.051 giorni del 30 giugno 2012, una diminuzione è stata registrata per quanto riguarda i tribunali (-1,6%, da 479 a 463 giorni) e ancor più per i giudici di pace (-1,9%, da 386 a 378 giorni). Una situazione questa che può autorizzare qualche ottimismo circa un positivo inizio del cammino verso l’obiettivo del “tempo ragionevole del processo”. La giustizia minorile Il 2012 segna tappe importanti nella costruzione dell’Europa dei diritti e della giustizia potenziando il livello di protezione delle persone particolarmente “esposte”, donne e bambini, e chiamando gli Stati nazionali a fare la loro parte. Il 27 settembre di quest’anno l’Italia ha firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), che è il primo strumento giuridicamente vincolante, pensato per la prevenzione di questo fenomeno dilagante, per combatterlo e per affrontarne le cause. Esso affina i mezzi di contrasto, crimi-

Procedimenti definiti con prescrizione

Tab.9.2:

Procedimenti definiti con prescrizione per anno di definizione e voce di reato (per anno di definizione e voce di reato) nA ni: -021 .012 Valori asoluti

DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO DIVERSI DAI FURTI DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DELITTI CONTRO L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA PRETER.,RISSA,ABBANDONO DI MINORI DELITTI CONTRO LA FEDE PUBBLICA FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI IN GENERE DELITTI CONTRO L'ONORE DELITTI CONTRO LA LIBERTA' MORALE DELITTI CONTRO LA FAMIGLIA DELITTI DI FURTO MAFIOSO DELITTI DI OMICIDIO COLPOSO E LESIONI COLPOSE CONTRAVV. - PREVENZIONE DEI DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO EDILIZIA E URBANISTICA ALIMENTI E BEVANDE STUPEFACENTI ASSICURAZIONI SOCIALI, PENSIONI E ASSISTENZA IN GENERE MISURE DI PREVENZIONE ANTIMAFIA E ANTIEVERSIONE ALTRI REATI DELITTI CONTRO L'INVIOLABILITA' DEI SEGRETI DELITTI DI VIOLAZIONE DEI SIGILLI PROPRIETA' INTELLETTUALE STUPEFACENTI AUTOCERTIFICAZIONI BENI CULTURALI E AMBIENTALI CACCIA COMMERCIO DELITTI DI COMUNE PERICOLO MEDIANTE VIOLENZA PERSONALE,ABUSI DI AUTORITA' IMMIGRAZIONE IMPOSTE DIRETTE E IVA INQUINAMENTO E RIFIUTI RICICLAGGIO (DISPOSIZIONI ANTI) CIRCOLAZIONE STRADALE Altro TOTALE

2010

2011

123 34 35 20 26 14 11 11 8 16 6 45 7

109 53 49 27 35 24 19 18 8 22 10 1 4

8

6

2 1

3

1 1

1 1

1 22 5 398

2 3 10 404

2012 81 58 54 47 39 22 20 19 18 18 6 6 5 5 4 4 3 3 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 4 435

Fonte: Corte di Cassazione - Ufficio di statistica

nalizzando nuove fattispecie come il matrimonio forzato, le mutilazioni dei genitali femminili, la violenza psicologica e dà nuovo slancio - inserendolo in un programma europeo di promozione dei diritti delle donne - alle strategie di prevenzione, repressione, assistenza e riabilitazione delle vittime, mirando a garantire, in una Europa dei diritti, il concreto esercizio del diritto fondamentale all’integrità fisica ed alla salute psicologica delle donne e delle bam-

bine. Con obiettivo analogo, neanche un mese dopo, l’Italia ha ratificato, con la già citata legge n. 172, la Convenzione del Consiglio d’Europa di Lanzarote del 25 ottobre 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. Convenzione che rappresenta l’approdo della costante preoccupazione dell’Europa nei confronti dei diritti delle vittime del reato e un formidabile volano culturale ed operativo

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nella promozione dei diritti delle persone di età minore e nell’elaborazione di nuove e più efficaci strumenti vincolanti per gli Stati parte, al fine di contrastare la violenza, declinata in diverse forme, nei confronti di soggetti minorenni. Le più importanti novità legislative riguardano, quanto ai profili processuali, l’ampliamento del novero dei reati a termine di prescrizione “raddoppiato”, operato dall’art. 4, primo comma, lett. a); mentre sotto il profilo sostanziale la lettera b) introduce nel codice penale l’art. 414-bis e con esso la nuova fattispecie di pubblica istigazione o apologia a pratiche di pedofilia o pedopornografia. La successiva lettera c), invece, esprime l’attenzione del legislatore ai nuovi modelli familiari emergenti: l’art. 572 c.p.c., come modificato, assicura, infatti, tutela non solo ai soggetti che costituiscono la “famiglia”, quale “società naturale fondata sul matrimonio”, ma anche alle “persone conviventi”, con ciò mostrando di accogliere la valorizzazione giurisprudenziale della famiglia di fatto, per la quale già era stata assicurata tutela al convivente more uxorio.

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Il legislatore, peraltro, spinge il raggio di tutela oltre, operando un più generico riferimento al rapporto di convivenza, non necessariamente qualificato dalla particolare natura del legame che ha portato alla sua instaurazione, allargando quindi significativamente il “potenziale” della norma incriminatrice. Estremamente utile, per una più efficace tutela, è la previsione di cui all’art. 602-quater, sull’inescusabilità dell’ignoranza dell’età della persona offesa e l’estensione della protezione alla minore età in generale e non più solo agli infraquattordicenni. Per la verità, l’art. 33 della Convenzione invitava gli stati aderenti a prevedere che l’inizio del procedimento penale (e quindi il termine di prescrizione) fosse collegato al raggiungimento della maggiore età della vittima. Senza alcuna pretesa di esaustività, va ancora sottolineata l’introduzione del reato di adescamento, anche per via telematica, di minorenni, cd. grooming (art. 609-undecies), e la riformulazione dell’art. 600-ter con oggetto la pornografia minorile; mentre è interessante osservare come il “nuovo” testo del-

l’art. 600-bis configuri due distinte fattispecie, con oggetto, la prima, il reclutamento o induzione alla prostituzione del minore di anni diciotto e, la seconda, la condotta di chi favorisca, sfrutti, gestisca, organizzi o controlli la prostituzione di infradiciotenni ovvero ne tragga in altro modo profitto. Al giudice nazionale rimane il peso della responsabilità di dare pieno sviluppo, con la sua costante opera di adeguamento del “fatto” al principio normativo, ai maggiori livelli di protezione della comunità domestica e delle persone minori, voluti dal legislatore “europeo”, utilizzando la ratio della disciplina sovranazionale come criterio ermeneutico prioritario. Giudice nazionale che, grazie ad una sempre maggiore uniformità dell’interpretazione del sistema delle fonti del diritto e della norma sovranazionale, contribuirà a disegnare un’unica identità dei cittadini europei, con il medesimo patrimonio “genetico” di diritti e doveri, assicurando, al contempo, il rispetto del principio di uguaglianza di tutti di fronte alla legge.


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Ad essa, peraltro, nella sua funzione di Organo ausiliario di ambedue i soggetti, è assegnato il compito di esprimere valutazioni sull’efficacia degli strumenti prescelti, valutandone la capacità di conseguire gli effetti attesi. Sulle politiche per il risanamento e per la crescita, la Corte ha, pertanto, avanzato, in più occasioni, osservazioni e suggerimenti intesi a migliorarne la validità ed a correggere anche squilibri ed incongruenze che l’esperienza recente ha posto in evidenza. In questo quadro, il ruolo che la Corte ha esercitato trova alimento nella conoscenza e nelle attività svolte da tutte le proprie articolazioni: esse, nel loro complesso, consentono di garantire un monitoraggio delle gestioni finanziarie delle amministrazioni pubbliche, indispensabile per assicurare l’affidabilità delle scritture contabili del Paese e per verificare il rispetto del principio dell’equilibrio dei bilanci quale elevato al rango di principio costituzionale. Il coinvolgimento diretto dell’Istituto nelle procedure di verifica dei conti pubblici, richiesto proprio per tali motivi dalle Autorità comunitarie, fa rientrare a pieno titolo la Corte tra gli attori posti a garanzia della tenuta delle regole di coesione dell’Unione economica e monetaria. In tal senso vanno interpretate le più significative novità legislative introdotte nel 2012, entrambe volte all’ampliamento dei compiti dell’Istituto. Due sono le innovazioni più significative: - l’introduzione nella Carta costituzionale del detto principio dell’equilibrio dei bilanci delle pubbliche amministrazioni; - la ridefinizione e il potenziamento del sistema dei controlli sulle autonomie locali. Sui problemi economici e finanziari del Paese, i ripetuti interventi nelle sedi parlamentari e le analisi condotte da tutte le articolazioni dell’Istituto nello svolgimento delle funzioni di controllo, riflettono la continuità di una linea della Corte che si è andata arricchendo ed aggiornando via via che nuovi eventi internazionali ed interni venivano a maturazione, ma conservando un chiaro filo conduttore. L’urgenza del riequilibrio dei conti pubblici secondo un percorso concordato in sede europea – e ulteriormente

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rafforzato dalla detta costituzionalizzazione dell’obbligo dell’equilibrio dei bilanci – ha posto in chiara evidenza le difficoltà di gestione del bilancio pubblico in condizioni di duratura stagnazione del prodotto interno lordo. L’asimmetria temporale tra gli effetti restrittivi prodotti dalle ripetute manovre di riduzione del disavanzo e l’impatto positivo sulla crescita degli interventi di sostegno dell’economia e delle


riforme, genera un equilibrio fragile, con il rischio di una rincorsa incompiuta degli obiettivi di finanza pubblica. In un periodo di tempo breve e con l’urgenza di corrispondere alle richieste dell’Europa, i margini limitati di riqualificazione della spesa pubblica hanno reso necessario, dunque, un ricorso ad aumenti del prelievo tributario, forzando una pressione fiscale già fuori linea nel confronto europeo e favorendo le

condizioni per ulteriori effetti recessivi; la pur comprovata maggiore efficacia delle misure di contenimento della spesa pubblica non ha, inoltre, consentito, in presenza di un profilo di flessione del prodotto, la riduzione dell’incidenza delle spese totali sul PIL, che resta al di sopra dei livelli pre-crisi. Il pericolo di un avvitamento, connesso alla composizione, più che alle dimensioni, delle manovre correttive del disa-

vanzo, è stato tempestivamente e ripetutamente segnalato dalla Corte che ha molto insistito, nelle proprie analisi, sulla necessità di puntare in ogni modo sui fattori in grado di favorire il recupero di livelli di crescita economica più elevati. Ma con la consapevolezza del lungo tempo necessario per riassorbire il vuoto di prodotto generato dalla crisi. Gli interventi di contenimento della spesa si sono rivelati efficaci nel limita-

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re le dinamiche di breve periodo: la spesa pubblica complessiva, al netto degli interessi sul debito si è ridotta nell’ultimo triennio di oltre l’un per cento a fronte dell’aumento di poco meno del dieci per cento che aveva ancora segnato il triennio 2007-2009. Ma ciò è avvenuto con effetti non sempre condivisi nella composizione della spesa e con interventi non sempre adeguatamente selettivi. L’impostazione deve, dunque, essere ripensata in funzione di un obiettivo di più lungo periodo, che non può non investire la questione della misura complessiva dell’intervento pubblico nell’economia. La linea della Corte è stata univoca lungo l’intero arco della strategia di risanamento: l’azione di riequilibrio dei conti pubblici – nonché essere espressione di un solenne impegno europeo – costituisce non solo una precondizione perché l’Italia possa riprendere il cammino della crescita economica, ma è essa stessa un fattore di crescita. Al nuovo Parlamento e al nuovo Governo spetta il compito di esplorare – restando all’interno del sentiero di risanamento che conduce al pareggio di bilancio di cui si è detto – le azioni in grado di generare una più equilibrata composizione di entrate e spese, una volta superata l’emergenza finanziaria. In questa occasione sia però consentito ricordare che la Corte ha avuto modo, nei suoi documenti, di avanzare valutazioni su quelli che appaiono gli indirizzi di intervento strategici: - il rafforzamento e l’implementazione della politica di revisione della spesa e di maggiore efficienza delle strutture amministrative, da intendere, come si è detto, anche nel significato più impegnativo e complesso di ripensamento del perimetro dell’intervento pubblico e delle modalità di prestazione dei servizi pubblici in un contesto sociale e demografico profondamente mutato; - la rimozione degli ostacoli per un rilancio selettivo degli investimenti pubblici e privati nelle infrastrutture, fattore determinante per la crescita economica; - la riduzione della pressione fiscale che grava sulla “economia emersa” da finanziare con i maggiori proventi ottenuti dalla lotta all’evasione fiscale e dalla stessa “spending review” e una più equa distribuzione del carico

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fiscale; - l’effettiva realizzazione di un programma mirato di dismissioni del patrimonio immobiliare e mobiliare pubblico, al fine di conseguire un consistente abbattimento dello stock di debito. Si tratta di percorsi in parte già avviati ma, in alcune direzioni, l’impianto non appare ancora adeguato, anche in relazione al coordinamento tra livelli di governo presenti nel nostro sistema pluristituzionale. Il nuovo quadro ordinamentale centrato sulla costituzionalizzazione dell’equilibrio dei bilanci estende a tutti gli enti delle amministrazioni pubbliche l’obbligo di una gestione finanziaria in equilibrio e quello di assicurare la sostenibilità del debito pubblico. In questo contesto si colloca anche la ridefinizione del sistema dei controlli della Corte in materia di finanza e funzionamento delle amministrazioni territoriali prevista con il decreto legge 174, convertito con la legge 213 del 2012, con cui il legislatore colma anche un

“vuoto” che la precedente riforma dei controlli aveva creato. L’intera gestione finanziaria delle Regioni qual è riflessa nei rispettivi bilanci preventivi e consuntivi, diviene, infatti, oggetto di controllo da parte delle sezioni regionali della Corte, per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento, della

sostenibilità dell’indebitamento e dell’assenza di irregolarità suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. Inoltre, ogni sei mesi le Sezioni regionali di controllo della Corte dovranno trasmettere ai consigli regionali una relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali approvate nel semestre precedente e sulle tecniche di quantifi-


cazione degli oneri. Il rendiconto generale di ciascuna regione è sottoposto – come accade per il rendiconto dello Stato e per i rendiconti di quasi tutte le Regioni a statuto speciale – al “giudizio di parificazione” delle Sezioni regionali di controllo. Non meno pregnante, nella legge 213 del 2012, la portata delle disposizioni concernenti il rafforzamento del sistema dei controlli sugli enti locali e la disciplina per gli enti a rischio di dissesto, la c.d. procedura di riequilibrio finanziario pluriennale; pur trattandosi di disposizioni recentissime, la Corte ne ha già dato applicazione con pronunce che ci si augura che consentiranno di avviare un processo di risanamento dei conti di alcune significative real-

tà territoriali. Il complesso delle nuove norme dà vita a un sistema di “sorveglianza preventiva e successiva” sul rispetto, da parte degli enti territoriali, degli equilibri finanziari quali derivano dagli obiettivi della finanza pubblica nazionale, a loro volta condizionati dal vincolo di pareggio del bilancio e dalle regole del patto europeo di stabilità e crescita. Si tratta di un sistema essenzialmente imperniato su quattro elementi. Il primo è costituito dalla circostanza che i controlli mettono capo ad un organo indipendente dai Governi – da quello centrale, come da quelli regionali e locali – e ciò rappresenta la migliore garanzia delle autonomie regionali e locali. Il secondo, strettamente collegato al precedente, attiene alla neutralità dei giudizi emessi dalla Corte e all’essere questi destinati all’assunzione di deci-

amministrazioni – un flusso costante e coordinato di dati e informazioni, idonei a costruire indicatori significativi della regolarità e della proficuità delle gestioni, oltre che ad analizzare andamenti e tendenze – generali e specifiche – dei diversi aggregati rilevanti. Ma il 2012 è stato importante per la Corte anche sotto il profilo delle misure che sono state adottate, da un lato, per ridurre i costi della politica e, dall’altro, per combattere la corruzione politica e amministrativa. Quanto al primo ordine di misure, è stata introdotta una forma di controllo sulla gestione delle risorse finanziarie assegnate ai gruppi politici rappresentati nei consigli regionali, con obblighi di comunicazione dei rendiconti alle sezioni regionali della Corte e sanzioni (decadenza dal diritto ai contributi e obbligo di restituzione di quelli ricevuti) dei gruppi inadempienti alle prescrizioni di

sioni che ricadono nell’ordine delle attribuzioni proprie di altri soggetti: gli amministratori e dirigenti degli enti, i Governi locali o regionali, il Governo centrale. Il terzo attiene al carattere ricognitivo, rectius di accertamento e referente dei controlli, poiché l’esito di questi costituisce il presupposto per chiamare in causa le responsabilità del sistema politico-amministrativo, a questo richiedendo di adottare, entro tempi predefiniti per legge, le misure necessarie a risolvere le criticità riscontrate. Il quarto – che è anche il più delicato sul piano operativo – riguarda la tempestività e l’efficacia dei controlli della Corte verso le cui Sezioni regionali dovrà essere attivato – da parte delle

legge e all’onere di effettuare le regolarizzazioni eventualmente necessarie. Mentre, per quanto riguarda i controlli sui bilanci dei partiti politici, si è dato attuazione alla legge 6 luglio 2012, n. 96, che ha dettato una nuova disciplina in tema di controllo sulle spese dei partiti e dei movimenti politici. Si tratta di una problematica che, ratione materiae, meritava in verità di essere ricompresa tra quelle ordinariamente attribuite alla cognizione di questa Corte. La scelta del Legislatore, invece, è stata quella di addivenire alla creazione di un nuovo organismo, la Commissione per la trasparenza ed il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici.

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Tuttavia, il dibattito sviluppatosi intorno alla questione e le diverse voci sollevatesi nel senso di attribuire tale competenza a questa magistratura, hanno fatto sì che il Legislatore decidesse di trarre da quest’ultima ben tre dei suoi cinque componenti e hanno indotto i Presidenti di Camera e Senato a scegliere tra questi ultimi il Presidente del nuovo organismo. Con riguardo, invece, alle misure per combattere la corruzione politica ed amministrativa, emblematiche, sotto diversi profili, risultano alcune disposizioni contenute nella legge 6 novembre 2012, n. 190. È da tempo che si è avuto modo di rilevare che la corruzione è divenuta da fenomeno burocratico-pulviscolare, fenomeno politico-amministrativosistemico. La risposta, pertanto, non può essere di soli puntuali, limitati, interventi – circoscritti, per di più, su singole norme del codice penale – ma la risposta deve essere articolata ed anch’essa sistemica. Inoltre, la metamorfosi del fenomeno criminale della corruzione ha comportato un significativo mutamento della natura del disvalore dei fatti di corruzione e del bene giuridico offeso. In particolare, la natura sistemica della corruzione ha comportato un ingigantimento del bene giuridico offeso e una rarefazione del contenuto di disvalore dei singoli comportamenti di corruzione. In effetti, la corruzione sistemica, oltre al prestigio, all’imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione, pregiudica, da un lato, la

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legittimazione stessa delle Pubbliche Amministrazioni, e dall’altro – come più volte la Corte ha evidenziato – l’economia della Nazione. Da qui l’importanza della parte amministrativa della legge 190/2012 che assume la portata di una riforma delle pubbliche amministrazioni ai fini della prevenzione e della lotta alla corruzione, riforma che attende ora la sua prova più difficile, quella della sua realizzazione. Questa richiede intima convinzione di fondo, conoscenza delle pubbliche amministrazioni nei loro vari livelli e nelle loro variegate conformazioni, fino a quelle più insidiose aventi un’ambigua e sovente ingiustificata forma privatistica; consapevolezza dei contesti, anche economico-finanziari nei quali esse operano; volontà e capacità di incidere, lasciando al giudice penale – nonché al giudice contabile nella sua specifica sfera – l’opera, auspicabilmente sempre più eventuale, di chiusura del sistema. La funzione giurisdizionale della Corte si è nel tempo, sensibilmente evoluta dal piano dell’accertamento e del recupero del danno erariale. Per anni, la giurisdizione della Corte dei conti ha guardato a due aree giurisdizionali – il diritto civile e il diritto penale – del tutto estranee alla funzione tipica della Corte dei conti e cioè il controllo sull’attività amministrativa finalizzato alla verifica del rispetto dei principi del profondamente novellato art. 97 della Costituzione. L’attività giurisdizionale, invece, in quanto momento di completamento, è

parte essenziale del sistema della Corte dei Conti. Non avrebbe senso una funzione di controllo esterno – svolto da magistrati – senza le connesse competenze giurisdizionali, che, a loro volta, non avrebbe senso intestare ad una magistratura specializzata se non per la sua connessione con le competenze del controllo. Il carattere essenziale della cointesta-


zione delle funzioni appare, se non implementato, di certo riconosciuto dalla più recente legislazione (d.lgs 149/2011 e decreto legge 174/2012) che assegna alla Corte dei conti il compito di accertare la sussistenza delle condizioni per la dichiarazione del grave dissesto finanziario degli enti locali e la loro riconduzione alla diretta responsabilità, per dolo o colpa grave, degli amministratori locali, accertamento che coinvolge l’esercizio della funzione giurisdizionale. Nei detti provvedimenti si realizza un percorso che attribuisce un ruolo particolare al dissesto dell’ente locale prima del d.lgs 149/2011, qualificandolo come circostanza in un certo senso “aggravante” del danno erariale, in pre-

zione interdittiva. Viene, così, a connaturarsi una ipotesi di responsabilità non più recuperatoria ma gestoria, conseguente cioè all’accertamento di gravi inefficienze gestionali, con conseguente sanzione interdittiva. Meritano, infine, di essere ricordate le recenti disposizioni che attribuiscono alle Sezioni riunite della Corte dei conti, in speciale composizione, nell’esercizio della loro giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica, specifiche competenze in tema di approvazione o diniego del piano di riequilibrio finanziario degli enti in situazione di c.d. predissesto; nella materia del riparto dei relativi fondi; nella materia dei ricorsi avverso gli atti di ricognizione

senza della quale la sanzione muta funzione e da recuperatoria diviene interdittiva (quale, ad esempio, l’incandidabilità) e, successivamente (decreto legge 174/2012), divenendo esso stesso elemento necessario e sufficiente per concretare il danno erariale (che, dunque, non costituisce più una deminutio patrimonii bensì una manifesta inefficienza gestionale) cui consegue la san-

delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall’Istat ai fini del rispetto dei vincoli europei e nazionali. Le similitudini tra le diverse fattispecie attengono alle materie sottoposte al giudizio delle Sezioni Riunite in speciale composizione, perché materie di specifica valenza economica con evidenti riflessi sulle finanze pubbliche. Si tratta, anche in questo caso, di una

nuova frontiera dell’attività giurisdizionale della Corte dei conti cui guardare con attenzione. Accanto a queste innovazioni, permane la validità della tradizionale funzione del giudizio di responsabilità erariale che la Corte svolge nella consapevolezza di contribuire al miglioramento dell’efficienza dell’azione amministrativa. Anche quest’anno sono state emesse numerose pronunce di condanna per danni conseguenti a fenomeni di malagestio: frodi finalizzate all’appropriazione illecita di denaro pubblico; violazione del patto di stabilità; utilizzo di strumenti finanziari derivati; emergenza rifiuti; numerosi casi in tema di malasanità; inefficienze nel settore scolastico; gravi irregolarità negli appalti di lavori, servizi e forniture, nonché opere incompiute, mal realizzate o inutilizzate; violazioni in tema di urbanistica; multiformi specie di disservizi tra i quali è stato tipizzato dalla legge anche quello dell’assenteismo; senza parlare, infine, dell’illecito conferimento di consulenze o incarichi, delle prestazioni rese senza titolo, delle spese di rappresentanza e dell’uso improprio di auto di servizio o di altre risorse istituzionali. Funzione ausiliaria nei confronti del Parlamento e del Governo nella valutazione delle politiche economiche; scrutinio della legittimità, dell’efficienza e dell’economicità dell’attività di tutte le pubbliche amministrazioni che, come recita il novellato art. 97 Cost., devono “in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea, assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico” e loro referto ai rispettivi organi della governance; rimedi recuperatori e sanzionatori, nella forma della giurisdizione, per i danni arrecati e per le disfunzioni, rispetto ai detti parametri, rilevate: queste le complesse attività che attengono alla Corte, che l’hanno impegnata nell’anno 2012 e che vieppiù la impegneranno nell’anno 2013. La Corte ha già adottato le prime misure organizzative necessarie ai nuovi compiti che le recenti leggi le hanno affidato, anche orientando coerentemente le procedure di selezione dei propri magistrati, fugando così le preoccupazioni in ordine alla capacità dell’Istituto ad affrontare i nuovi compiti.

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U

Un passo avanti, due indietro. Prosegue, anche quest’anno, il calo di fiducia nelle Istituzioni. Lo scorso anno segnalavamo come il dato fosse il più alto registrato, rispetto alla serie storica 2004-2012, segnando un trend in crescita che non si è mai arrestato nel periodo considerato. Per il 2013 dobbiamo evidenziare un ulteriore peggioramento nel giudizio degli italiani nei confronti delle Istituzioni e un grado di sfiducia che sale dal 71,6% del 2012 al 73,2% di quest’anno. L’aumento dei delusi, tra un anno e l’altro, passa dal 68,5% del 2011 al 73,2% del 2013 e, raffrontato con il 2010 (45,8%), quest’ultimo dato segna un incremento superiore al 27%. Sul versante di quanti segnalano invece un aumento della propria fiducia, sebbene si registri un lieve passo in avanti (+1,2%), occorre tenere in considerazione che si tratta di una quota decisamente minoritaria (5,3% nel 2013, mentre erano il 4,1% nel 2012). I cittadini che riferiscono un grado di fiducia rimasto invariato nel corso dell’anno appena passato si attestano al 19,1%. In nessun caso il numero dei cittadini che afferma di riporre la propria fiducia nel Parlamento e nel Governo arriva a raccogliere la metà del campione, mantenendosi al di sotto del 45%, o rovinosamente, al di sotto del 10%. È quest’ultimo il caso del Parlamento che raccoglie solamente il 9% dei consensi assoluti, neanche un cittadino su dieci. Il Governo non ha mai raccolto dal 2004 un aumento della fiducia massima che oltrepassasse la soglia del 10%, registrando il picco nel 2007 con il 9,9%. Allo stesso tempo, la spirale di sfiducia che si era leggermente attenuata nel passaggio dal governo Berlusconi a quello Monti è tornata a crescere, attestandosi quasi ai livelli precedenti (non fiduciosi 82,8%; fiduciosi 15,9%).Anche la figura del Presidente della Repubblica fa registrare da una parte un calo dei consensi tra il 2012 e il 2013 e, dall’altra, un aumento degli sfiduciati. Fa eccezione in questo quadro la Magistratura che, dopo la flessione dello scorso anno, torna a crescere lievemente, confermando il trend altalenante che ha caratterizzato il giudizio dei cittadini nei confronti di 54

questa Istituzione nel corso degli anni dal 2004 all’ultima rilevazione. La Magistratura, inoltre, sale solo nei giudizi che indicano la massima fiducia, facendo registrare nel dato complessivo (“molta” + “abbastanza” fiducia) solo un +5% di consensi. L’effetto Monti penalizza il Quirinale. Il Presidente Napolitano è sicuramente penalizzato nel sondaggio dall’aver sostenuto la discesa in campo del governo Monti, dall’aver forzato la mano nel giro di boa tutto italiano che ha condotto all’insediamento del Governo tecnico e dai pesanti sacrifici che quest’ultimo ha imposto ai cittadini. Anche la recente discesa di Monti come candidato premier ha fatto sì che venisse meno il ruolo di figura super partes, e quindi transitoria, affidatogli in un certo senso proprio da Napolitano. In ogni caso, l’apprezzamento degli italiani nei confronti del Presidente della Repubblica è in netto calo e fa registrare quest’anno il 44,7% di fiduciosi (il 19,3% “molto” e il 25,4% “abbastanza”) e il 52,8% di sfiduciati (il 24,7% “poca” e il 28,1% “nessuna”). Per quanto riguarda la geografia del consenso nei confronti di Napolitano, è interessante segnalare in particolare un livello di fiduciosi al Centro Italia (52,2%) maggiore rispetto alle altre aree nelle quali il dato si ferma nella media del 40%. Le aree nelle quali

invece il distacco dei cittadini raggiunge i livelli più importanti sono il Nord e le Isole, in queste ultime è particolarmente elevato il numero di chi si dichiara totalmente sfiduciato (30,5%). Sono gli over 65, più delle altre fasce d’età considerate, ad accordare nel 52,7% dei casi molta e abbastanza fiducia al Presidente della Repubblica, segue la classe d’età immediatamente inferiore dai 45 ai 64 anni con il 46,2%, e così fino al minimo del gradimento presso i giovani (25-34 anni) con il 38,6% e i giovanissimi (18-24 anni) con il 33,8%. L’analisi dei dati secondo il titolo di studio degli intervistati evidenzia due tendenze agli antipodi: un livello di fiducia incondizionata al 24,7% riscosso presso coloro i quali hanno conseguito una laurea o un master e, dall’altro lato, il maggior numero di persone che non hanno alcuna fiducia tra quanti non sono in possesso di alcun titolo di studio o hanno ottenuto la licenza elementare (43,2%). Il Presidente della Repubblica conta sul consenso e sull’apprezzamento degli elettori di centro-sinistra (73,2%), di sinistra (61,9%) e del centro (63,3%). I sostenitori di centro-destra pur rappresentando una quota pari al 41,1% sono diminuiti drasticamente rispetto allo scorso anno quando erano il 59,6%, e ancora di più se si prende in considerazione il 2011 (71%).

Da sinistra: Giorgio Napolitano, Renato Schifani, Gianfranco Fini e Mario Monti.


Governo. Ai provvedimenti “lacrime e sangue” gli italiani hanno risposto con un aumento del dissenso che passa dal 76,4% dello scorso anno all’82,8% (+6,4%) e segna un ritorno ai livelli del 2011 (84,2%). In parallelo cala anche il dato del consenso che passa dal 21,1% del 2012 all’attuale 15,9%. Il dissenso attraversa con poche variazioni tutte le fasce d’età, con una punta in quella tra i 45 e i 64 anni, dove hanno poca (38,1%) e nessuna fiducia (46,4%) complessivamente l’84,5% degli intervistati, e in quella tra i 25 e i 34 anni (poca 40,2% e nessuna fiducia 43,5%, per un totale di 83,7%). La sfiducia infine si fa sentire in tutte le aree geografiche del Paese (sempre al di sopra dell’80% dei delusi), ma con un picco registrato anche nella rilevazione

di quest’anno nelle Isole (85%, +2% rispetto al 2012). Parlamento. Come registrato per il Governo, la fiducia degli italiani nei confronti del Parlamento mantiene un andamento in negativo raccogliendo l’89,7% degli sfiduciati: il 51,3% non vi ripone alcun fiducia e il 38,4% poca. Il senso generalizzato di sfiducia si acuisce tra quanti appartengono alla fascia d’età compresa tra i 45 e i 64 anni, dove il dato arriva addirittura al 91,7%, ben 9 intervistati su 10, insieme a quella tra i 35 e i 44 anni (90,2%) e gli ultrasessantacinquenni (88,9%). Quest’ultima fascia d’età è anche quella che fa registrare un’indicazione di consenso lievemente superiore rispetto alle altre fasce d’età (10,4%).

Magistratura. Il livello di fiducia nei confronti della Magistratura torna a crescere dopo il calo dei consensi dello scorso anno. Ad accordare molta (12,5%) e abbastanza fiducia (29,5%) a questa Istituzione sono 4 cittadini su 10, anche se occorre evidenziare che il fronte della sfiducia continua ad essere maggioritario e a comprendere più della metà del campione (56,4%). Disaggregando i dati per area politica di appartenenza degli intervistati emergono due blocchi contrapposti sul versante della fiducia alla Magistratura. Da una parte l’area di centro-sinistra e sinistra che attesta con forza il proprio gradimento nei confronti del terzo potere dello Stato (rispettivamente 73,2% e 65,4%), dall’altra il centrodestra (21,6%), la destra (30,4%) e

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quanti non hanno appartenenza politica (32,3%) che mostrano un gradimento decisamente minoritario. In una posizione mediana si colloca infine l’area politica di centro nella quale il campione si divide praticamente a metà tra quanti apprezzano il lavoro della Magistratura (44,5%) e quanti invece non lo ritengono soddisfacente (55,6%). Forze di polizia e sicurezza. Tra le Istituzioni più apprezzate e sulle quali si ripone un’ampia fiducia vi sono le Forze dell’ordine che hanno, negli anni, mantenuto altissimo il livello di consenso espresso dai cittadini. La Guardia di Finanza segna un recupero rispetto alla precedente indagine, nella quale si riscontrava un lieve calo dei consensi passati dal 64,1% del 2011 al 63,3% del 2012, con il dato di fiducia 56

complessiva che sale invece oggi al 71% (quasi 8 punti percentuali in più). La quota di fiducia nei Carabinieri resta altissima (76,3%) e in aumento rispetto alla precedente rilevazione (75,8%). L’indiscusso e tradizionale primato dell’Arma viene superato, anche se per poco, dal Corpo forestale dello Stato che con il 77,1% dei consensi sale al primo gradino del podio della fiducia riscontrata presso i cittadini. Per quanto riguarda infine la Polizia di Stato, i dati in serie storica mostrano un graduale e positivo exploit che ha visto crescere il consenso dei cittadini dal 50,7% del 2008 al 67,2% del 2010 fino all’ottimo risultato del 2012 (71,7%)e l’ulteriore aumento di diversi punti rilevato quest’anno (75%). A partire dal 2011,nella rilevazione sulla fiducia nelle Istituzioni ha fatto il

suo ingresso il Corpo forestale dello Stato ottenendo da subito risultati ragguardevoli, inserendosi allo stesso livello delle altre Forze di polizia e facendo segnare un livello di gradimento al 64,6%. Quest’anno, come evidenziato in precedenza, il Corpo forestale dello Stato più di tutte le altre Istituzioni nel novero delle Forze dell’ordine, delle Difesa e dei Servizi segreti, raccoglie il massimo giudizio positivo da parte dei cittadini con il 77,1% della fiducia. Questo importante risultato è sicuramente l’effetto della cura con la quale la Forestale negli ultimi anni ha voluto seguire la propria immagine, anche grazie ad una serie di iniziative divulgative. Accanto a ciò, segnaliamo anche quello che potremmo definire l’effetto “Terence Hill” che con la fiction Un


passo dal cielo ha portato per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica, attraverso il personaggio del forestale Pietro, il lavoro e la quotidianità del Corpo, rendendolo vicino alla sensibilità degli spettatori. Ma va considerato anche l’impegno del Corpo in difesa dell’ambiente e del territorio. Anche quest’anno il ruolo delle nostre Forze armate e gli ottimi risultati ottenuti nel contesto internazionale hanno contribuito a collocare i militari in una posizione privilegiata presso l’opinione pubblica. Cresce quindi l’apprezzamento dei cittadini che si dicono fiduciosi nell’operato delle Forze armate nel 71,3% dei casi, con un balzo in avanti rispetto al risultato ottenuto lo scorso anno (67,8%, +3,5%). Continuano a crescere nella fiducia riscontrata presso l’opinione pubblica anche i nostri Servizi segreti, silenziosi servitori dello Stato, che nel 2011 avevano la fiducia del 30,5% dei cittadini e nel 2012 la vedevano aumentare di ben 10 punti percentuali (40,6%) per arrivare quest’anno ad un altro avanzamento di quasi 5 punti (45,3%). Altre istituzioni. Tra le Istituzioni prese

in considerazione dall’indagine, si rileva come un aumento della fiducia riscontrata presso i cittadini abbia interessato solamente le associazioni dei consumatori, passate dal 52,1% del 2012 al 63,8% del 2013, le associazioni di imprenditori (dal 20,9% al 28,9%) e in misura decisamente inferiore, soprattutto in considerazione del già basso dato di partenza, la Pubblica amministrazione (dal 17% al 17,6%), i partiti (dal 6,8% al 7,3%) e i sindacati (dal 17,2% al 19,5%). Seguendo un trend discendente iniziato dal 2011, troviamo in lieve calo le associazioni di volontariato che lo scorso anno avevano la fiducia del 77,4% degli intervistati e passata quest’anno al 75,4%. La Chiesa (36,6%) subisce un brusco calo dei consensi riportandosi al di sotto del livello di fiducia registrato lo scorso anno (47,3%). La scuola non fa rilevare particolari scostamenti del grado di fiducia rimanendo stabile appena sotto al 50% dei giudizi positivi. Infine, per quanto riguarda la mancanza assoluta di fidu-

cia segnalata dagli intervistati, hanno particolare evidenza i risultati di giudizio assolutamente negativo ottenuti dai partiti (68,9%), dai sindacati (41,3%) e dalle confessioni religiose, diverse da quella cattolica, presenti nel nostro Paese (44,9%). Dal consueto sondaggio sulla fiducia dei cittadini nelle Istituzioni contenuto nel “Rapporto Italia Eurispes 2013” (La rilevazione è stata effettuata nel periodo tra il 21 dicembre 2012 e il 4 gennaio 2013) Terence Hill

Tabella 1. Ecco l’andamento della fiducia nelle Istituzioni in generale

Nell’ultimo anno la sua fiducia nelle Istituzioni è… Aumentata

5,3

Diminuita

73,2

Rimasta invariata

19,1

Non sa/non risponde Totale

2,5 100,0

Valori percentuali - Fonte: Eurispes

Tabella 2. A quelli che attribuiscono “abbastanza o massima fiducia alle Istituzioni” è stato poi chiesto:

…può esprimere il suo livello di fiducia nel Governo, nel Parlamento, nella Magistratura e nel Presidente della Repubblica? (*) Presidenza della Repubblica

Fiduciosi

Non fiduciosi

Non sa/ non risponde

Totale

44,7

52,8

2,5

100,0

Magistratura

42,0

56,4

1,6

100,0

Governo

15,9

82,8

1,3

100,0

9,0

89,7

1,4

100,0

Parlamento Valori percentuali - Fonte: Eurispes

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Nazioni Unite e...

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...Palestina 1. Alcuni mesi fa, vari media internazionali hanno preso atto, già a partire dal mese di settembre del 2011, circa le deliberazioni anticipate, adottate dalle Nazioni Unite sullo status della Palestina. Il problema è stato caratterizzato variamente come mera rappresentanza palestinese nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: l’ammissione della Palestina come membro di quest’organizzazione, il riconoscimento della Palestina come Stato e il problema dell’esistenza dello Stato della Palestina. Mentre questi problemi vengono caratterizzati dalla loro interconnessione, sono, invece, diversi dai vari punti di vista come quello analitico, concettuale, giuridico e, infine, funzionale. Dopo qualche anno, cioè a dire il 29 novembre del 2012, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ha espresso voto favorevole all’affiliazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) in qualità di membro osservatore1. Dal punto di vista formale, la designazione della Palestina è mutata dall’essere prima una mera entità di osservatore a quella di Stato osservatore. In termini di diritti della Palestina ad essere partecipe durante le assise dell’Assemblea Generale, la risoluzione cambia di poco. Il significato della risoluzione si trova nel suo ampio impatto sulla soggettività internazionale della Palestina nel diritto internazionale. 2. Come problema iniziale, la questione della soggettività internazionale si distingue da quella di membro delle

Nazioni Unite. Infatti, è possibile essere uno Stato sovrano senza essere necessariamente uno Stato membro delle Nazioni Unite – si pensi al caso svizzero, in cui il Paese elvetico non è stato per anni membro delle Nazioni Unite – ed è anche possibile essere Stato membro delle Nazioni Unite, senza essere pienamente uno Stato indipendente – il caso noto è quello dell’India, dove quest’ultimo, prima di raggiungere la totale indipendenza dalla Corona britannica, era già membro delle Nazioni Unite2. L’esistenza degli Stati, in quanto soggetti di diritto internazionale, viene regolamentato dal diritto internazionale pubblico, mentre il diventare membro delle Nazioni Unite è regolato dalla Carta di San Francisco in concerto con la prassi dell’organizzazione ed i suoi membri. Una fondamentale conseguenza di queste diverse strutture si trova nella ragione che, mentre alcuni Stati, come uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, possono bloccare qualsiasi attuazione per l’ammissione alle Nazioni Unite, essi non possono prevenire uno Stato dal suo ingresso come membro delle Nazioni Unite o dall’essere riconosciuto dalla comunità internazionale in senso ampio3. Perché un neo Stato possa acquistare la soggettività internazionale, deve porre in essere i c.d. criteri stabiliti dalla Convenzione di Montevideo sui diritti ed obblighi degli Stati come quello di avere una popolazione permanente, un territorio definito, un governo e, infine,

NOTE

1 Risoluzione dell’AG delle Nazioni Unite n.°67/19, in UN Doc. A/RES/67/19 del 29 novembre del 2012.; L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha espresso voto favorevole all’affiliazione del Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) in qualità di membro osservatore. Lo ha fatto con una larga maggioranza (138 paesi favorevoli su 193, nove contrari, 41 astenuti), alla quale si sono aggiunti dei voti europei, in particolare – e a sorpresa – quello dell’Italia (con l’emergere di un inedita solidarietà sud-europea sulla questione rispetto a un Nord Europa più cauto).; E. Anchieri, La questione palestinese, Milano-Messina, 1940, p. 5 ss.; R. Aliboni, Il futuro della Palestina nelle mani di Hamas, in www.affarinternazionali.it, del 01/12/2012.; J. Crawford, The Creation of the State of Palestine: Too Much Too Soon?, in EJIL (1990) p. 307ss. 2 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Bari, 1994, p. 491 ss. 3 M. Giuliano, I Diritti e gli Obblighi degli Stati, Padova, Vol.3°, Tomo 1°, 1956, p.89 ss. 4 La personalità giuridica internazionale – e cioè la capacità di essere destinatari delle norme dell’ordina-mento internazionale e titolari dei diritti e degli obblighi in esse contenuti – viene riconosciuta principalmente agli Stati. La stessa nascita del diritto internazionale si fa del resto tradizionalmente coincidere con la fine della guerra dei trent’anni suggellata dal trattato di pace di Westfalia del 1648 che sancisce l’affermazione degli Stati nazionali quali enti sovrani ed indipendenti sia nei rapporti reciproci, sia nei rapporti con i maggiori potentati dell’epoca e cioè il Papato e l’Impero. I tradizionali caratteri dell’indipendenza da qualsiasi altro centro di potere esterno (c.d. sovranità esterna) e della capacità esclusiva di esercitare funzioni di governo su popolo e territorio (c.d. sovranità interna) vengono in considerazione alla luce del criterio di effettività e attribuiscono, secondo la prassi e l’opinione dominanti, la soggettività internazionale agli Stati anche a prescindere da forme di riconoscimento e da considerazioni di legittimità e cioè da valutazioni in ordine alle modalità con le quali si è venuto formando il

la capacità di entrare in rapporti con altre entità statuali4. Quest’ultimi due criteri vengono generalmente sottointesi per includere il requisito inerente l’indipendenza. Il criterio del governo implica anche il requisito del totale controllo sul lembo territoriale e sulla propria popolazione. Il riconoscimento dello Stato da parte di altri Stati è un problema distinto. Mentre in passato il riconoscimento veniva considerato da alcuni giuristi essere un elemento fondamentale dello Stato, la posizione dominante in ambito dottrinale, attualmente, si poggia sul fatto che il riconoscimento è meramente dichiarativo, nel senso che è generalmente definito come la dichiarazione di volontà con cui un’entità statale esprime l’intenzione di considerare un’altra comunità sovrana come Stato ai sensi dell’ordinamento internazionale5. Un’entità statale viene a realizzarsi solo nel momento in cui esso incontra o, meglio, si attenga ai criteri enunciati nella Convenzione di Montevideo del 1933. Tale riconoscimento, poi, evidenzia semplicemente una realtà giuridica esistente. Nel caso in cui uno Stato decida oppure scelga di riconoscere un altro Stato, il suo atto è da considerare politico e discrezionale; e l’atto di uno Stato di riconoscere un altro Stato, o il riconoscimento considerato, non incide da sé stesso l’esistenza giuridica dell’altro Stato6. Tuttavia, un ammonimento a questa posizione sta nel fatto che il riconoscimento della collettività o il non riconoscimento di una ampia fetta di Stati

nuovo Stato, con particolare riguardo al rispetto del principio di legalità. Tali caratteri sono ben evidenziati nella Convenzione di Montevideo sui diritti e doveri degli Stati del 1933 (§ 1.1) che, a prescindere dal suo valore giuridico vincolante per i soli Stati contraenti, contiene all’art. 1 una precisa ricognizione degli elementi considerati necessari e sufficienti per connotare l’esistenza di uno Stato in quanto ente collettivo dotato di personalità giuridica internazionale. A.T. Di Vignano e M. Solina, Profili di Diritto Internazionale, Torino, 1990, p. 101 ss.; N. Ronzitti, Introduzione al Diritto Internazionale, Torino, 2009, p. 13 ss. 5 N. Ronzitti, op. cit., p. 45 ss. 6 T. Treves, Diritto Internazionale, problemi fondamentali, Milano, 2005, p. 56 ss. 7 A. Cassese, Diritto Internazionale – I lineamenti, Bologna, 2003, I, p.89 ss.; V. Cannizzaro, Diritto Internazionale, Torino, 2012, p. 15 ss. 8 L’articolo 4, paragrafo 2°, della Carta delle Nazioni Unite enuncia che: L’ammissione quale Membro delle Nazioni Unite di uno Stato che adempia a tali condizioni è effettuata con decisione dell’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza. 9 In virtù dell’articolo 27, paragrafo 3 della Carta delle Nazioni Unite, le decisioni del Consiglio di Sicurezza su ogni altra questione sono prese con un voto favorevole di nove Membri, nel quale siano compresi i voti dei Membri permanenti (…). La Corte Internazionale di Giustizia, in un parere consultivo del 1950, asseriva che la raccomandazione del Consiglio di Sicurezza doveva essere a favore dell’ammissione di uno Stato che venga ammesso come membro da parte dell’Assemblea Generale. Si consulti: Competenza dell’AG per l’ammissione di uno Stato alle Nazioni Unite, Advisory opinion, in I.C.J. del 4 marzo 1950; G. Guarino, La Questione della Palestina nel Diritto internazionale, Torino, 1994, p. 31 ss. 10 Il termine veto indica la facoltà di impedire una deliberazione da parte della maggioranza, riservato in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU a ciascuno dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia - che l’ha ereditata dall’URSS -, Regno Unito, Francia e Cina), in base allo Statuto delle Nazioni Unite. In realtà il diritto di veto non è esplicitamente menzionato nello

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Nazioni Unite e...

possa influenzare la questione o, meglio, il problema dell’esistenza di uno Stato possa operare l’attuazione e la valutazione dei criteri della Convenzione di Montevideo del 1933. Il riconoscimento della comunità internazionale potrebbe perfezionare un adempimento, altrimenti imperfetto, dei criteri e, in alternativa, il non riconoscimento della comunità internazionale potrebbe, in modo effettivo, prevenire l’adempimento dei criteri7. I criteri, invece, per divenire membro delle Nazioni Unite vengono sanciti dallo articolo 3 all’articolo 6 della Carta delle Nazioni Unite. In conformità all’articolo 4, paragrafo 1°, della Carta, un membro dell’organizzazione, di cui si sta trattando, deve essere amante della pace, che accetti gli obblighi del presente Statuto e che, a giudizio dell’Organizzazione, sia in grado di adempiere tali obblighi e disposto a farlo. L’ammissione, quale membro delle Nazioni Unite, di uno Stato, che questo ultimo adempia alle condizioni enunciate nell’articolo 4, viene effettuata con decisione dell’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza8. Nel suo primo parere consultivo, concernente le con-

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dizioni di ammissione di uno Stato a divenire membro delle Nazioni Unite, la stessa Corte Internazionale di Giustizia ha rilevato che quest’obbligo imponeva de jure di vincolare i criteri sugli Stati membri nel loro voto a favore oppure contro l’ammissione di uno Stato. In particolare, sempre la Corte Internazionale di Giustizia, ha ancora sottolineato che gli Stati membri non erano liberi di condizionare il loro assenso all’ammissione su condizioni differenti da quelli espressamente enunciati nell’articolo 4 paragrafo 1°9. La Corte respinse di colpo l’argomento, secondo cui il carattere politico degli organi delle Nazioni Unite non aveva nulla a che vedere con l’applicazione preclusa delle restrizioni giuridiche. Contrariamente, la Corte stessa evidenziava che queste disposizioni della Carta delle Nazioni Unite imponevano dei limiti sul loro potere. Affinché uno Stato raggiunga l’obiettivo di divenire membro delle Nazioni Unite, è d’uopo che la raccomandazione del Consiglio di Sicurezza debba essere a favore dell’ammissione. Come è ben noto e determinato dalla Carta di San Francisco, i cinque membri permanenti – quali Stati Uniti, Russia, Gran

Bretagna, Francia e Cina – esercitano il diritto di veto10. In quanto tale, uno di questi Stati può ostacolare o impedire che uno Stato possa essere ammesso. Nel momento in cui il Consiglio di Sicurezza raccomanda l’ammissione di un determinato Stato, sta poi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite esprimere la decisione se ammettere il candidato come Stato membro. Come fondamentale questione, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 2° della Carta, l’ammissione del nuovo membro alle Nazioni Unite deve essere deciso dall’Assemblea Generale a maggioranza di due terzi dei Membri presenti e votanti. Nell’ambito dell’Assemblea Generale, ciascuno Stato membro delle Nazioni Unite ha il diritto di voto, ma nessuno di questi ha diritto di veto, tranne i cinque Membri permanenti. Recentemente è stato ammesso, in qualità di Stato membro nell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Sud-Sudan11. La sua ammissione era abbastanza controversa, ma le risoluzioni sia del Consiglio di Sicurezza che dell’Assemblea Generale vennero entrambi adottate mercé l’assenso nel luglio del 201112. La Repubblica del kosovo, invece, non è stata ancora ammessa come Stato


...Palestina membro delle Nazioni Unite. La probabilità di un veto nel quadro del Consiglio di Sicurezza cancella ogni possibilità di divenire membro delle Nazioni Uniti in un futuro prossimo13. Oltre ad essere membro dell’Organizzazione, le Nazioni Unite forniscono altre forme di partecipazione nel quadro delle proprie attività. Sebbene non siano previste nella Carta, le Nazioni Unite hanno sviluppato un’ampia prassi per ammettere gli Stati, come pure talune entità ed organizzazioni, in qualità di osservatori14. I membri osservatori hanno una serie di diritti di partecipazione durante le deliberazioni nell’ambito delle Nazioni Unite, ma non hanno diritto di voto15. Le varie categorie di status di osservatore sono contenute nel Libro Blu del Protocollo e servizio di collegamento delle Nazioni Unite16 che include gli Stati non membri che, però, hanno missioni permanenti di osservatori presso il quartiere generale delle Nazioni Unite, come la Santa Sede; le entità come quelle missioni di osservatori permanenti sempre nell’Organizzazione, come la Palestina e via discorrendo. La questione di chi rappresenta un Stato od altra entità presso le Nazioni Unite è un problema separato. La designazione dei rappresentanti è solitamente un fatto interno degli Stati. I rappresentanti designati sono, successivamente, riconosciuti dalle Nazioni Unite mercé la procedura di presentazione delle lettere credenziali, gestite dall’Ufficio del Cerimoniale dell’Assemblea Generale. Il gradimento di tali lettere è

solitamente una questione di routine, anche se i problemi possono sorgere nel momento in cui più di un gruppo pretende di essere il governo legittimo di un determinato Stato17. 3. L’Assemblea Generale, nel 1974, invitava l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina a parteciparvi come osservatore18. Nel dicembre del 1988, seguendo la dichiarazione del Consiglio Nazionale palestinese sull’indipendenza della Palestina, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite decise che, a sostituzione in ambito dell’Organizzazione Unite, la denominazione “organizzazione per la liberazione della palestina” veniva sostituita con quella di “palestina”19. Nel luglio del 1998 una nuova risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite diede ai rappresentanti dell’Organizzazione diritti e prerogative ulteriori rispetto a quelli dello status di osservatore, quale, ad esempio, il diritto di sostenere progetti di risoluzione sulla questione palestinese. Nel 1998, una nota del Segretario Generale chiariva quali sono i limiti e le caratteristiche della partecipazione della Palestina ai lavori dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite20. Negli anni, l’Assemblea Generale ha accresciuto il fine di questa partecipazione al punto da considerare lo status della Palestina sostanzialmente identico a quello di uno Stato osservatore, come il caso della Santa Sede21. Esistono un certo numero di modi, dove il dibattito di questa vicenda possa accrescere sempre di più. Il più eviden-

Statuto delle Nazioni Unite (art. 27 c.3) che recita testualmente: Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su ogni altra questione sono prese con un voto favorevole di nove Membri, nel quale siano compresi i voti dei Membri permanenti...; ma il fatto che nel voto debbano essere necessariamente compresi i voti dei Membri permanenti porta implicitamente al veto ad esempio quando uno dei suddetti membri si opponga alle deliberazioni del consiglio facendo mancare il suo voto. B. Conforti e C. Focarelli, Le Nazioni Unite, Padova, 2012, p.81 ss. 11 South Sudan: World Leaders Welcome New Nation, BBC NEWS (July. 9, 2011), http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-14095681; G.A. Res. 65/308, U.N. Doc. A/RES/65/308 (July 14, 2011). 12 A Cassese, Self-determination of Peoples: a legal reappraisal, Cambridge: Cambridge University Press, 1995, 19−33. J. Vidmar, South Sudan and the International Legal Framework Governing the Emergence and Delimitation of New States, in Texas International Law Journal, Vol. 42, No. 3, 2012.; S. Dersso, International law and the self-determination of South Sudan, in I.S.S., Paper n.231, 2012, p.1 ss. 13 A. Tancredi, Il parere della Corte internazionale di giustizia sulla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, in RDI, 2010, p.994 ss.; P. Fois, Il parere della Corte internazionale di giustizia sull’indipendenza del Kosovo e il diritto internazionale «a` la carte», in RDI, 2010, p.1131 ss. 14 Res. 1996/31, UN Doc. E/RES/1996/31 del 25 luglio 1996. 15 B. Conforti e C. Focarelli, op. cit., Padova, 2012, p.156 ss. 16 Cabinet du Secrétaire général Service du protocole et de la liaison, in ST/SG/SER.A/301. 17 Le Lettere Credenziali costituiscono il documento ufficiale con cui un Capo di Stato accredita un proprio agente diplomatico (Ambasciatore) presso il Capo di uno Stato straniero; questi, infatti, era di consuetudine ritenuto detentore di uno “ius rapraesentationis omnimodae” che gli attribuiva il potere – in quanto rappresentante dell’intero ordinamento statale – di accogliere gli agenti diplomatici degli altri Stati. L. Visconti di Modrone, Consuetudini di Cerimoniale Diplomatico, Roma, 2008, p. 1 ss.; B. Conforti e C. Focarelli, op. cit., Padova, 2012,

te modo sarebbe nel caso in cui la Palestina si appelli, per aderire come membro, alle Nazioni Unite. La sua richiesta di adesione potrebbe non realizzarsi e, quindi, cadrebbe nel vuoto, a causa della mancanza di unanimità fra i Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Tanto è vero che dal Dipartimento di Stato statunitense, nel settembre del 2011, posero in chiaro che avrebbero posto il veto ad ogni iniziativa22. Ciò nonostante, una domanda di adesione potrebbe portare alla deliberazione della questione e nell’Assemblea Generale e nel Consiglio di Sicurezza. Un’altra possibilità potrebbe essere per l’Assemblea Generale quella di pensare di cambiare la dicitura da osservatore ufficiale della Palestina a quella di entità Stato non membro o Stato osservatore. Ci potrebbero essere anche un numero di altre risoluzioni che incrementerebbero il problema dello status della Palestina, a seconda della materia oggetto della risoluzione, che può o non può essere un fondamentale problema ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 2°, della Carta, che richiede i 2/3 dei voti23. Per la rappresentanza della missione della Palestina presso le Nazioni Unite, in cui la gran parte degli Stati che compongono l’Assemblea Generale, ci sono molti Stati che sono a favore affinché la Palestina diventi un vero e proprio Stato. In realtà, è noto che circa la metà degli Stati già mantiene rapporti diplomatici con la Palestina. La conferma statale da parte dell’Assemblea Generale, anche se non prevede uno status di Stato membro per la

p.69 ss. 18 Già attualmente l’Autorità nazionale palestinese gode di uno status del tutto peculiare all’interno dell’ONU in quanto, pur non essendo riconosciuta come Stato membro, le sue prerogative risultano superiori a quelli di un semplice osservatore. Nell’ottobre 1974 l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) fu riconosciuta con risoluzione dell’Assemblea generale come rappresentante del popolo palestinese ed invitata a partecipare ai lavori dell’ONU aventi ad oggetto la questione palestinese. Il mese successivo ottenne lo status di osservatore all’Assemblea generale e successivamente lo status di osservatore in numerosi organi delle Nazioni Unite come il Consiglio economico e sociale, il programma per lo sviluppo e l’Organizzazione mondiale per la sanità. Dal 1975 anche il Consiglio di sicurezza riconobbe l’OLP, conferendo ai suoi rappresentanti il diritto a partecipare ai lavori del Consiglio aventi ad oggetto le tematiche mediorientali. A. Di Blase, L’ONU e il conflitto Arabo – Israeliano, Milano 1975, p.1 ss.; Gross, Voting in the Security Council and PLO, in AJ, 1976, p.470 ss. 19 G.A. Res. 43/177, U.N. Doc. A/RES/43/177 del 15 dicembre 1988. 20 Secretary-General Note on Palestine Partecipation, UN General Assembly A/52/1002, 4 agosto 1998. 21 Si confronti il G.A. Res. 58/314, U.N. Doc. A/RES/58/314 del 16 luglio 2004 con il G.A. Res. 52/250, U.N. Doc. A/RES/52/250 del 13 luglio 1998 e, infine, quella del 9 dicembre 1988 il G.A. Res. 43/160 U.N. Doc. A/43/160.; I. Santus, Il Contributo della Santa Sede al Diritto Internazionale, Padova, 2012, p. 1 ss. 22 www.state.gov/r/pa/prs/dpb/2011/09/171954.htm, dove è possibile leggere la dichiarazione del portavoce del Dipartimento di Stato.; E. Milano, Palestina, la vera posta in gioco per l’Osservatore permanente, in www.ispionline.it, 13 settembre 2011. 23 Le decisioni dell’Assemblea Generale su questioni importanti sono prese a maggioranza di due terzi dei Membri presenti e votanti. J.P. Cot, A. Pellet et M. Forteau, La Charte des Nations Unies, commentaire article par article, Paris, 2005, p. 805 ss.

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Nazioni Unite e... Palestina, potrebbe avere conseguenze giuridiche. Se la Palestina raggiungesse il traguardo di divenire uno Stato, allora diverrebbe titolare di tutti i diritti e, direi, anche dei doveri degli Stati, in virtù delle norme di diritto internazionale generale. Questi diritti includono le immunità degli Stati e dei suoi organi, la protezione dall’impiego della forza da parte di altri Stati, il diritto di autodifesa individuale e collettiva in caso di attacco armato contro di esso, la piena giurisdizione sul proprio territorio, il divieto di ingerire negli affari interni di uno Stato e via discorrendo. La soggettività statale potrebbe anche dare la possibilità di accedere ai Tribunali di carattere internazionale ed ai meccanismi di soluzione delle controversie. Mentre non può essere parte dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza; può essere in grado di accedere alla Corte Internazionale di Giustizia in virtù dell’articolo 35 paragrafo 2°24 del proprio Statuto e ai sensi della risoluzione n° 9 del 1946 adottata dal Consiglio di Sicurezza25, che permette agli Stati, non parti allo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, di presentare una dichiarazione di accettare la giurisdizione della Corte. Una determinazione collettività di riconoscimento statale potrebbe inoltre avere immediate implicazioni di genere giuridico. Nel periodo del conflitto armato tra Israele e Gaza, verso la fine del 2008 e l’inizio del 200926, l’Autorità nazionale palestinese presentava una dura dichiarazione alla Corte Penale Internazionale, affermando che essa riconosce la giurisdizione della Corte con l’obiettivo di identificare, di perseguire e giudicare gli autori e coloro che si sono resi complici di atti commessi sul territorio palestinese dal 1° luglio 2002. In virtù dell’articolo 12, paragrafo 3°, dello Statuto della Corte Penale Internazionale, viene enunciato che uno Stato, non parte del presente Statuto, abbia il diritto di accettare l’esercizio giurisdizionale della Corte Penale Internazionale su reati criminosi consumati dai suoi cittadini o all’interno del proprio territorio27. Il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha esaminato: in primo luogo, se la dichiarazione che richiede l’esercizio di giurisdizione della Corte Penale Internazionale si configura con i requisiti statutari; 62

Il Presidente palestinese Abu Mazel mostra all’Assemblea il documento che attesta il riconoscimento dello status di Stato osservatore permanente non membro della Palestina.

e, in secondo luogo, se i crimini che sono stati commessi rientrino nella giurisdizione della Corte. Nel caso in cui la Palestina fosse uno Stato, potrebbe attivare la Corte Penale Internazionale per esercitare la giurisdizione sui crimini commessi sul suo territorio, anche se quei crimini siano stati compiuti da cittadini di Stati che non sono parti allo Statuto di Roma del 1998. 4. Come già ho trattato nei paragrafi precedenti, le questioni della soggettività di uno Stato e dell’essere membro delle Nazioni Unite sono del tutto distinte. Il seggio di membro dell’Organizzazione a carattere universale, come già accennato, viene regolato dalla Carta di San Francisco del 1945 in concerto con la prassi e degli Stati membri e della stessa Organizzazione delle Nazioni Unite. È ben noto, infatti, che la Palestina non è mai stato uno Stato membro delle Nazioni Unite. Tuttavia, oltre membro dell’organizzazione, le Nazioni Unite prevedono altre forme di partecipazione nelle sue attività. Poiché non viene previsto nella Carta del 1945, le Nazioni Unite – come ho avuto modo di ribadire nei precedenti paragrafi – hanno avuto un incremento, in merito alla prassi, di ammissione di Stati ed un certo numero di entità ed organizzazioni a status di osservatore o, meglio, attenendosi alle frasi dell’Ufficio del Cerimoniale e Protocollare delle Nazioni Unite, Stati non membri che abbiano ricevuto un

invito, sempre valido, a partecipare come osservatori all’interno delle sessioni ed ai lavori dell’Assemblea Generale, mantenendo le loro missioni di osservatori permanenti presso il quartiere generale delle Nazioni Unite. Il classico esempio è quello della Santa Sede, del Sovrano Ordine di Malta e via dicendo28. La frase Stato non membro pare che abbia cagionato una certa confusione. Il prefisso non muta solamente la parola membro e non si riferisce a tutti gli osservatori che non sono Stati membri, che potrebbe essere naturalmente troppo eccedente per qualsiasi evento. È probabile che per tale ragione che l’Assemblea Generale fosse attenta a formulare la designazione a favore della Palestina come Stato osservatore non membro. Circa il problema dell’espressione Stato, essa viene regolato – come già è stato scritto precedentemente – dal diritto internazionale pubblico. Il riconoscimento dello Stato da parte di altri Stati non viene di solito richiesto per uno Stato che sta per nascere29. In ogni modo, il riconoscimento o il non riconoscimento della comunità internazionale, proveniente da una ampia e schiacciante maggioranza degli Stati, può incidere sul problema inerente l’esistenza di uno Stato, influenzando, in tal modo, l’applicazione e la valutazione dei criteri contenuti nella Convenzione di Montevideo del 1933. Affinché uno Stato diventi un soggetto di diritto


...Palestina internazionale, sono necessari che esso segua i criteri determinati dalla Convenzione di Montevideo, come quello di avere una popolazione, un territorio definito, un governo ovvero un organo esecutivo e, infine, che sia in grado di allacciare relazioni diplomatiche con altri Stai. Il riconoscimento della comunità internazionale potrebbe perfezionare un adempimento, altrimenti non perfetta, dei criteri e, in alternativa, il non riconoscimento della stessa comunità di Stati potrebbe, in modo effettivo, prevenire la realizzazione di tali criteri o requisiti30. 5. Il presidente dell’Autorità palestinese, nel settembre del 2011, fece inoltrare al Segretario Generale la richiesta formale a favore della Palestina per essere ammessa alle Nazioni Unite come Stato membro. Quantunque lo sforzo di ottenere la qualità di Stato membro non si è concretizzato a causa del veto nel Consiglio di Sicurezza, altri tentativi vennero posti in essere o, meglio, raggiunsero ottimi risultati. Ad esempio, nell’ottobre dello stesso anno, la Palestina veniva ammessa all’UNESCO, agenzia specializzata delle Nazioni Unite, come Stato membro31. Nella risoluzione adottata il 29 novembre 2012, l’Assemblea Generale, inoltre, ha riaffermato il diritto del popolo palestinese di autodeterminazione e di indipendenza nel proprio Stato della Palestina e, quindi, sui territori palestinesi occupati dal 1967 e ha deciso di accordare alla Palestina lo status di Stato osservatore non membro presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite,

senza alcun pregiudizio dei diritti e dei privilegi acquisiti e del ruolo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina nell’ambito delle Nazioni Unite nella sua qualità di rappresentante del popolo palestinese, in conformità alle risoluzioni ed alla prassi esistente in materia. La stessa risoluzione tende anche a sottolineare come l’Assemblea Generale ha espresso il desiderio affinché il Consiglio di Sicurezza si impegni ad esaminare, in modo favorevole, la richiesta presentata il 23 settembre del 2011 dalle autorità palestinesi, che brama diventare membro, con pieno diritto, delle Nazioni Unite. L’Assemblea Generale, in questa risoluzione, ha anche voluto esortare gli Stati, così pure gli Istituti specializzati e gli organismi del sistema delle Nazioni Unite a proseguire nel sostenere il popolo palestinese ed aiutarlo a realizzare, in modo rapido, il suo diritto ad autodeterminarsi, a divenire indipendente ed a raggiungere la piena libertà32. La risoluzione non elenca eventuali altri importanti diritti di partecipazione nel sistema delle Nazioni Unite. In tal senso, si può sottolineare che essa è largamente simbolica. Anzi, ancor prima della sua designazione come Stato osservatore, la Palestina già godeva dei diritti di essere partecipe nell’ambito dell’Assemblea Generale similmente a quelli di un vero e proprio Stato osservatore. Infatti, sin al 2004, la Palestina ha giovato di molti diritti di partecipazione all’interno della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rispetto alla Santa Sede, che ha ottenuto lo sta-

24 Le condizioni alle quali essa è aperta agli altri Stati sono, con riserva delle disposizioni speciali dei trattati in vigore, fissate dal Consiglio di Sicurezza e, in tutti i casi, senza che ne possa risultare per le parti alcuna ineguaglianza davanti alla Corte. Articolo 35/2 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia. 25 Si veda tale risoluzione in: http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/RES/9%281946%29 26 N. Ronzitti, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, Torino, 2011, p.349 ss.; Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione a Gaza (2012/2883(RSP), 20.11.2012, B7-0525/2012. 27 Se è necessaria, a norma delle disposizioni del paragrafo 2, l’accettazione di uno Stato non Parte del presente Statuto, tale Stato può, con dichiarazione depositata in Cancelleria, accettare la competenza della Corte sul crimine di cui trattasi. Lo Stato accettante coopera con la Corte senza ritardo e senza eccezioni, in conformità al capitolo IX. Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Concluso a Roma il 17 luglio 1998, in vigore dal 1° luglio 2002. 28 F. Cansacchi, La soggettività internazionale dell’Ordine di Malta in una recente sentenza ecclesiastica, in RDI, 1955, p. 39 ss; S. Sperduti, Sulla personalità internazionale dell’Ordine di Malta, in RDI, 1955, p.48 ss.; F. Cansacchi, L’Ordine di Malta come soggetto primario di diritto internazionale, in Studi Venturini, 1984, p.75 ss.;S. Ferlito, L’attività internazionale della Santa Sede, Milano, 1988, p.125 ss.; T, Treves, op. cit., p. 162 ss; I. Santus, op. cit., p.383 ss. 29 Il riconoscimento può delinearsi come quell’atto con cui uno Stato ammette che un determinato ente presenta le caratteristiche necessarie, affinché lo si possa considerare come Stato, nel senso di soggetto di diritto internazionale. In aggiunta, tale riconoscimento può essere configurato come un accordo ovvero come un atto reciproco o bilaterale ed assume valore costitutivo della personalità internazionale. T. Dugard, Recognition and the United Nations, Cambridge, 1987, p. 34 ss.; S. Talmon, Recognition of Governments in International law, Oxford, 1998, p. 184 ss.; T. Treves, op. cit., p. 56 ss. 30 G. Sperduti, Il riconoscimento internazionale di Stati e di governi, in RDI, 1953, p.30 ss.; S.

tus di Stato osservatore nel 1964. Ciò nonostante, la semplice ragione che la risoluzione è stata adottata rappresenta una determinazione da parte dell’organo politico rappresentativo delle Nazioni Unite, affinché la Palestina diventi uno Stato. Con l’adozione della risoluzione che ha un significato minimo all’interno della struttura del suo proprio lavoro, l’Assemblea Generale ha chiarito che, secondo la Palestina, lo status di Stato osservatore è stato qualcosa di importante, al di là dei diritti di partecipazione. Il tema della giornata del 29 novembre è stato quello del riconoscimento della Palestina a Stato, non ha accresciuto i diritti procedurali all’interno degli organi politici delle Nazioni Unite33. Per quanto concerne il voto, la risoluzione dell’Assemblea Generale ha potuto godere di un largo supporto rispetto alla risoluzione adottata dall’UNESCO. La rilevanza sul piano giuridico del voto dell’Assemblea Generale può essere valutata in modo rigoroso nell’ambito della struttura della Carta delle Nazioni Unite, dove ha il suo maggior ed immediato impatto, e può anche essere valutato nel più ampio contesto del diritto internazionale. Valutare il valore giuridico della risoluzione in questo ampio contesto richiede un attenta analisi del contenuto di entrambi e le condizioni della sua approvazione. Attualmente, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è costituita da 193 Stati, di cui 138 hanno espresso voto favorevole alla bozza di risoluzione, nove Stati hanno votato contro, 41 si

Talmon, La non reconnais-sance collective des Etats illégaux, Paris, 2007, p.6 ss. 31 Con 107 voti a favore, 14 contrari e 52 astenuti (1), la Palestina è entrata ufficialmente a far parte dell’Organizzazione per l’educazione, le scienze e la cultura (Unesco) legata alle Nazioni Unite. Si tratta del primo organo dell’Onu ad accettare come membro uno stato palestinese dopo che il 23 settembre scorso Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e capo del partito nazionalista Al-Fatah, aveva presentato richiesta formale di adesione alle Nazioni Unite. A. Dessi, Palestina nell’Unesco puntando all’Onu, 2011, in http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1909; A. Tanzi, La Palestina alle Nazioni Unite tra diritto e politica, 2011, in www.aspeninstitute.it/. 32 Risoluzione adottata il 29 novembre 2012 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, A/RES/67/19 A/67/PV.44 GA/11317 138-9-41; G. Della Morte, La Palestina osservatore ONU: nuovo Stato o nuovo status?, 11 dicembre 2012, in http://www.huffingtonpost.it/; 33 F. Boyle, The Creation of the State of Palestine, (1990) in European Journal of International Law, p.301–6; J. Crawford, The Creation of the State of Palestine: Too much too soon?,(1990) in European Journal of International Law, p.307–13; O. M Dajani, Stalled between Seasons: the International Legal Status of Palestine during the Interim Period, (1997) 26 Denver Journal of International Law & Policy, p.27–92.; K. Giridhar, Legal Status of Palestine, in http://artsci.drake.edu/dussj/2006/giridhar.pdf.; C. Meloni and G. Tognoni (eds), Is There A Court for Gaza?- A Test Bench for International Justice, Asser/Springer, The Hague, 2012. 34 2. Le decisioni dell’Assemblea Generale su questioni importanti sono prese a maggioranza di due terzi dei Membri presenti e votanti. Tali questioni comprendono: le raccomandazioni riguardo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, l’elezione dei Membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, l’elezione dei Membri del Consiglio Economico e Sociale, l’elezione dei Membri del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria a norma del paragrafo 1(c) dell’articolo 86, l’ammissione di nuovi Membri delle Nazioni Unite, la sospensione

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Nazioni Unite e... sono astenuti e 5 non erano presenti. I 138 voti favorevoli comprendevano una vasta sezione trasversale del pianeta, rappresentando ogni area regionale ed i livelli di sviluppo34. Così, si può sottolineare che gli Stati, che hanno espresso parere positivo, hanno schiacciato quei pochi che erano contrari. Il peso nei riguardi di queste considerazioni è costituito dal numero delle astensioni, che rappresenta circa il 20% dei membri delle Nazioni Unite. Alcuni Stati, che hanno votato a favore della Palestina, hanno evidenziato che la titolarità di Stato poteva unicamente essere raggiunta mercé il dialogo fra le Parti, il che implica che la Palestina non aveva ancora raggiunto la piena sovranità per essere considerato un vero e proprio Stato. Mentre questo storico voto certamente rafforza la pretesa che la Palestina possa divenire uno Stato, poteva non essere sufficiente a correggere eventuali difetti nella realizzazione palestinese di soddisfare i criteri della Convenzione di Montevideo del 1933. 6. Come ho già evidenziato nei precedenti paragrafi, un problema delicato concerne il fatto se la Palestina può acconsentire all’esercizio giurisdizionale della Corte Penale Internazionale sul comportamento che ha avuto luogo a Gaza ed in Cisgiordania. Infatti, l’articolo 12, paragrafo 3°, permette ad uno Stato, che non è parte di questo Statuto, di accettare l’esercizio di giurisdizione della Corte Penale Internazionale sui crimini commessi dai suoi cittadini o all’interno del proprio territorio35. Durante il conflitto armato tra Israele e Gaza, verso la fine del 2008 e l’inizio del 2009, quando si passò all’operazione piombo fuso (operation Cast Lead)36, l’Autorità Nazionale Palestinese presentava una dichiarazione alla cancelleria della Corte Penale Internazionale, in cui si evidenziava il fatto che essa riconosce la giurisdizione della Corte con l’obiettivo di identificare, perseguire e porre sotto processo gli autori responsabili di atti compiuti all’interno del territorio palestinese dal 1° luglio del 2002. Se la Palestina fosse uno Stato, a maggior ragione potrebbe essere in grado di permettere alla Corte Penale Internazionale di esercitare la giu-

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risdizione sui crimini perpetrati sul proprio lembo territoriale, anche se quei crimini fossero stati commessi da soggetti privati di Stati che non riconoscono la autorità della Corte, come, a titolo di esempio, Israele. La Corte Penale Internazionale ha soltanto giurisdizione per perseguire individui e non ha alcuna autorità di intentare un procedimento nei confronti di uno Stato. Sarebbe, comunque, in grado di esercitare la sua giurisdizione su ogni crimine internazionale attuati in Gaza ed in Cisgiordania, come pure su ogni atto criminoso commesso dai cittadini palestinesi ovunque. Dopo che l’Autorità palestinese ha presentato la sua dichiarazione alla cancelleria della Corte Penale Internazionale, il Procuratore37 della Corte ha riportato il fatto che stava esaminando, in primo luogo, se la dichiarazione della delegazione palestinese sull’accoglimento dell’esercizio di giurisdizione da parte della Corte rispettava i criteri richiesti dallo Statuto ovvero se si atteneva ai requisiti, e, in secondo luogo, se i crimini sono stati commessi e, pertanto, rientrino nella competenza della Corte per espletare il proprio giudizio38. La frase i requisiti dello Statuto presumibilmente include il problema se o meno la Palestina è da considerare un vero e proprio Stato, secondo i punti enunciati nell’articolo 12, paragrafo 3°, dello Statuto della Corte. Si potrebbe anche includere il problema della dimensione territoriale della Palestina e se l’Autorità palestinese è giuridicamente competente a rappresentare la Palestina in ambito del sistema giuridico internazionale oppure se la sua autorità si estende su Gaza.

L’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale ha rilasciato una dichiarazione dove ha delineato che, per il momento, non verrebbero tenute in considerazione le accuse di crimini commessi in Palestina. Rispetto ad alcuni rapporti, l’Ufficio del Procuratore non ha ritenuto che veniva respinto o rifiutato la dichiarazione di consenso palestinese o che si considerava incompetente a procedere39. L’analisi si riferiva, tralaltro, alla prassi del Segretario Generale delle Nazioni Unite, in quanto depositario del trattato, ed evidenziava in particolare il fatto che lo stato attuale conferito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è quello di Osservatore e non di Stato non membro40. La dichiarazione, se viene letta con attenzione, alla conclusione evidenzia che l’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale non esclude la possibilità di esaminare in futuro le accuse di crimini compiuti in Palestina, nel caso in cui gli organi competenti delle Nazioni Unite, oppure l’Assemblea degli Stati parti, riescono a mettere in chiaro il punto di diritto in causa nell’ambito di una valutazione, di cui all’articolo 12 o se il Consiglio di Sicurezza gli attribuisce, in virtù dell’articolo 13/b, la competenza. Il riferimento del Procuratore alla prassi del Trattato delle Nazioni Unite potrebbe aggiungere un certo peso al senso dei voti espressi prima dall’UNESCO e, di seguito, dall’Assemblea Generale a favore della Palestina. Come con l’adesione delle Nazioni Unite, il problema della


...Palestina partecipazione al trattato si diversifica da quella dal termine Stato. Gli Stati che partecipano alle trattative possono decidere di rendere la partecipazione ad un trattato disponibile ad entità se non pienamente indipendente o a Stati membri delle Nazioni Unite. Anche quando il testo di un trattato limita la partecipazione agli Stati, si può manifestare una zona grigia, in cui al depositario del trattato viene garantito un certo livello di discrezionalità. Su quest’ultimo punto, la dichiarazione del Procuratore della Corte Penale Internazionale si appoggia ad una interpretazione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla sua seduta plenaria, svoltasi nel 197341. In base a tale interpretazione, il Segretario Generale, nell’esercizio delle sue funzioni di depositario o custode di un determinato accordo o convenzione, contenente la clausola tutti gli Stati, seguirà la prassi dell’Assemblea Generale, a norma della presente clausola e, ogni volta che lo riterrà necessario, solleciterà il parere dell’Assemblea Generale prima di ricevere una firma od uno strumento di ratifica e di adesione42. L’ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale ha, essenzialmente, fatto utilizzo di quest’interpretazione come giustificazione per presentare il problema agli organi politici delle Nazioni Unite, asserendo che spetta agli organi competenti delle Nazioni Unite o degli Stati membri dell’Assemblea Generale procedere alla stabilizzazione del diritto se la Palestina debba essere o meno considerato

uno Stato per poter accedere allo Statuto di Roma, consentendo l’esercizio della giurisdizione della Corte Penale internazionale, in virtù dell’articolo 12, paragrafo 2°43. Lo Statuto di Roma non dà alcun autorità all’Ufficio del Procuratore di adottare strumenti per dare una definizione al termine Stato, secondo l’articolo 12, paragrafo 3° che sarebbe in contrasto con quanto determinato nell’articolo 12, paragrafo 1°44. In ogni modo, l’Assemblea Generale ha ora stabilito che la Palestina è, in un certo senso, uno Stato. Dato la fiducia dell’Ufficio del Procuratore sulla prassi del Segretario Generale delle Nazioni Unite in qualità di depositario dei trattati e, a sua volta, su determinazione di organi competenti delle Nazioni Unite e, soprattutto, dell’Assemblea Generale, adesso non dovrebbe sembrare arduo per l’Ufficio del Procuratore mantenere la posizione, giacché non può effettuare un esame sui presunti crimini internazionali che sono stati commessi sia in Gaza che in Cisgiordania. La pressione sull’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale di proseguire aumenterà sempre di più, se la situazione in Palestina venga sottoposta al Procuratore da uno Stato parte dello Statuto di Roma. Va evidenziato, dunque, che la Corte Penale Internazionale ha un neo Procuratore che potrebbe rigettare o, meglio, cambiare l’impostazione del suo predecessore. Il Procuratore potrebbe fare a meno sia della prassi del Segretario Generale custode dei trattati, sia delle determinazioni politiche dell’Assem-

dei diritti e dei privilegi di Membro, l’espulsione di Membri, le questioni relative al funzionamento del regime di amministrazione fiduciaria e le questioni di bilancio. (articolo 18/2 della Carta delle Nazioni Unite). Gli Stati che hanno votato contro sono stati: Israele, il Canada, la Repubblica Ceca, Panama, gli Stati Uniti d’America, le Isole Marshall, gli Stati Federati della Micronesia, Nauru e Palau. B. Conforti e C. Focarelli, op. cit., Padova, 2012, p.110 ss. 35 Se é necessaria, a norma delle disposizioni del paragrafo 2, l’accettazione di uno Stato non Parte del presente Statuto, tale Stato può, con dichiarazione depositata in Cancelleria, accettare la competenza della Corte sul crimine di cui trattasi. Lo Stato accettante Corte coopera con la Corte senza ritardo e senza eccezioni, in conformità al capitolo lX. 36 M. Pertile, Le violazioni del diritto umanitario commesse da Hamas durante l’operazione Piombo fuso, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 3(2009), p.333 ss.; G. Bartolini, Il Rapporto Goldstone sul’operazione piombo fuso, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 4(2010); Rapporto Goldstone UN doc. A/HRC/12/48, 15 settembre 2009; N. Ronzitti, op. cit., Torino, 2012, p.250 ss.; M. Annati e T. Scovazzi, Diritto internazionale e bombardamenti aerei, Milano, 2012, p.62.; Al Haq ‘Operation Cast Lead’: A Statistical Analysis August 2009, available at: http://www.alhaq.org/pdfs/gazaoperation-cast-Lead-statistical-analysis%20.pdf. 37 Roberge, The new International Criminal Court: a preliminary assessment, in IRRC, 1998, p. 676.; S. Zappalà, Il Procuratore della Corte Penale Internazionale: luci ed ombre, in RDI, 1999, p. 52 ss.; G. Lattanzi e V. Monetti, La Corte Penale Internazionale, Milano, 2006, p.39 ss.; E. Cimiotta, Corte penale internazionale e accettazione della giurisdizione da parte della Palestina: incompetenza o subalternità al Consiglio di sicurezza?, in Diritti umani e diritto internazionale, 6 (2012). 38 C.F. Robert Weston Ash Is Palestine a “State”? A Response To Professor John Quigley’s Article, “The Palestine Declaration To The International Criminal Court: The Statehood Issue” 36 Rutgers Law Record (2009) available at: http://www.lawrecord.com/files/36-Rutgers-L-Rec186.pdf; M. Kearney, The situation in Palestine, 2012, in http://opiniojuris.org/2012/04/05/the-situation-in-palestine/.; M. Kearney and St. Denayer ,

blea Generale, e, invece, inquadrare il problema in termini puramente di diritto internazionale generale, valutando il voto dell’Assemblea generale mediante l’obiettivo del riconoscimento anziché dandole un peso determinante. Supponendo, inoltre, che la Palestina sia uno Stato in virtù dell’articolo 13, paragrafo 3°, restano una serie di questioni giuridiche non risolte. Anche se la Palestina fosse attualmente uno Stato, lo era al momento in cui presentava la sua dichiarazione alla Corte Penale Internazionale? È d’uopo che la Palestina fosse stato uno Stato in quel periodo o bastasse che lo sia ora? Potrebbe adesso sottoporre una nuova dichiarazione di assenso rispetto al comportamento che ebbe in passato? Praticamente, queste ambiguità di genere giuridico forniscono alla Corte Penale Internazionale un grado di latitudine nel decidere se proseguire oltre. Tuttavia, lasciano anche spazio alle scelte politiche. La sfida della Corte Penale Internazionale sarà quella di dimostrare che la sua decisione non fa parte della scelta politica, ma, al contrario, rappresenta il risultato di analisi giuridiche. Qualunque decisione prenda, verrà considerata o, meglio, denunciata come una scelta politica da aree opposte. In questo modo sarà tanto più fondamentale per la Corte Penale Internazionale una completa e ben motivata analisi giuridica a sostegno della propria linea di condotta. * Dottore in Scienze Politiche Esperto di Diritto Internazionale, dell’UE, Diplomatico e Consolare

Al-Haq Position Paper on Issues Arising from the Palestinian Authority’s Submission of a Declaration, 2010, in http://www.alhaq.org/attachments/article/273/position-paper-icc%2814December2009%29.pdf. 39 Dichiarazione dell’Autorità della Palestina che riconosce la giurisdizione della Corte Penale Internazionale: http://uclalawforum.com/media/background/gaza/2009-01-21_Palestinian_National_Authority_Declaration.pdf. 40 Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale: in http://www.icccpi.int/NR/rdonlyres/C6162BBF-FEB9-4FAF-AFA9-836106D2694A/284388/SituationinPalestine030412FRA.pdf. 41 Précis de la pratique du Secrétaire général en tant que dépositaire de traités multilatéraux, ST/LEG/7/Rev. 1, par. 81-83, United Nations, 1994, p.21 ss. 42 La presente Convenzione sarà aperta alla firma di tutti gli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite o di una istituzione specializzata o dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, come pure di tutti gli Stati che siano parti dello Statuto della Corte internazionale di giustizia e di qualsiasi altro Stato invitato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite a diventare parte della Convenzione… Quest’articolo 81 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969 richiama la c.d. Formula di Vienna, contenuta in Précis de la pratique du Secrétaire général en tant que dépositaire de traités multilatéraux, ST/LEG/7/. Questo documento sembra significare che il Segretario Generale cercherà unicamente la direzione dell’Assemblea Generale se un presunto Stato non rientri nei parametri di questa formula. 43 D. Akande, ICC Prosecutor Decides that He Can’t Decide on the Statehood of Palestine. Is He Right?, 2012, http://www.ejiltalk.org/. 44 V. Azarov, ICC Jurisdiction in Palestine: Blurring Law and Politics, JURIST - Forum, Apr. 9, 2012, in: http://jurist.org/forum/2012/04/valentina-azarov-icc-palestine.php.; W. T. Worster, The exercise of jurisdi-ction by the international Criminal Court over Palestine, 2012, in Am. U. Int. L. L. Rev., p.1153 ss.

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