Euroedizioni S.r.l. - Anno VI - n. 3 Lug/Ago/Set 2012 - Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 1, CN/BO
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Trentun anni fa venne compiuto un passo importantissimo che ribadì alcuni principi fondamentali la cui validità è indiscutibile ed indiscussa, ma che in realtà non solo non hanno avuto una piena attuazione pratica anzi, nel tempo, sono stati spesso disattesi quando non addirittura completamente rinnegati nei fatti, a cominciare dal coordinamento. Solo per fare un esempio: che fine hanno fatto le sale operative comuni previste dalla 121? Se le avessimo realizzate avremmo recuperato moltissime risorse e non solo umane, ma anche economiche che avrebbero potuto essere utilizzate per l’acquisto e la manutenzione di dotazioni e mezzi moderni ed efficienti oltre che per l’approvvigionamento dei materiali di consumo. E invece no! Abbiamo dovunque assistito alla proliferazione di Direzioni, Uffici e Comandi ed ogni volta che il problema si manifestava, invece di razionalizzare semplificando, si è preferito aggiungere ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: un sistema che non regge più, con costi enormi ed ingiustificabili che non generano affatto sicurezza, ma anzi portano alla paralisi. Non è necessario unificare le Forze di polizia, né mortificarne ordinamenti e tradizioni, ma riunirle sotto un’unica responsabilità politica, quella del Ministro dell’interno, è oramai un’esigenza non più rinviabile per il Paese: il sistema sicurezza potrebbe così avere non solo sale operative uniche, ma anche centri di acquisto ed organizzazioni logistiche unificate ed interforze. Se lo si fosse fatto il sistema avrebbe realizzato in maniera agevole le economie che l’attuale situazione di crisi impone, senza per questo perdere efficienza ed efficacia: non è stato fatto e, come poteva prevedere anche un bambino, visto che non siamo stati
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capaci noi, obbligarci a questi altri sicurezza, si tout court.
sono arrivati altri ad risparmiare e, poiché non si occupano di limiteranno a tagliare
E allora dobbiamo tornare alle metafore nautiche di Seneca per ricordare che “Un grande pilota sa navigare anche con la vela rotta”, l’importante è sapere dove si vuole
andare e, consapevoli dei mezzi a disposizione, essere capaci di tracciare una rotta o, in altre parole, elaborare un progetto che veda come protagonisti tutti gli attori interessati. Solo se saremo capaci di dimostrare una vera capacità progettuale potremo ripensare il sistema sicurezza in tutti i suoi aspetti, compresi i
trattamenti economici bloccati con l’indennità compensativa che, per il 2011 è stata pari al 100% dei mancati introiti per promozioni e scatti di anzianità, così come solo noi vi avevamo detto fin dall’inizio che per il 2012 sarà appena il 45% e l’anno prossimo sarà poco più del 20%. Lo avevamo detto già su queste pagine per le pensioni, dove si continua a par-
lare moltissimo di quando si potrà andare in pensione e non si parla abbastanza di quanto ci daranno, dimenticando che tra non molti anni le pensioni nette, che oggi superano l’ultimo stipendio percepito, si assottiglieranno progressivamente fino ad essere pari a circa la metà dell’ultimo stipendio, aggirandosi intorno alle pensioni sociali!
É assolutamente necessario che il Ministero dell’interno si riappropri del proprio ruolo centrale nel progettare la Sicurezza, in tutti i suoi molteplici aspetti e nelle sue articolatissime implicazioni, prima ancora che nel gestirla, riaprendo con il Sindacato quel confronto costruttivo che ha garantito risultati importantissimi in anni che ormai si allontanano sempre di più.
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appuntamento della Conferenza di Organizzazione, che la Uil terrà a Bellaria all’inizio del mese di ottobre, non è un’occasione rituale, collocata com’è a metà strada fra un congresso e l’altro, ma davvero può rappresentare un’opportunità per tutta la Uil, per i suoi dirigenti, per l’ampia rappresentanza di delegati eletti nei luoghi di lavoro, per gli operatori dei suoi servizi, per ragionare sulle sfide che attendono il sindacato, per verificare la funzionalità della macchina operativa, per ridefinire strategie e regole. 10
Da tempo e in ogni contesto, infatti, facciamo analisi di come è cambiata la società, di come sta modificandosi l’Unione europea ed il nostro Paese, delle mutazioni nel mondo del lavoro, delle trasformazioni dei bisogni dei cittadini, di come evolve il sistema della rappresentanza … e ne traiamo la conseguenza che anche il sindacato deve ammodernare il suo modo di agire, adeguare le proprie strategie, adattare la sua stessa struttura e porre a verifica le regole, e l’adozione delle stesse, che governano il suo funzionamento. Ma è anche la crescita della Uil registrata in questi anni che richiede una riflessione: gli iscritti aumentano in tutti i settori del lavoro dipendente e fra i pensionati, sempre più numerosi sono i delegati Uil che raccolgono il libero consenso da parte dei colleghi di lavoro, le sedi sindacali sul territorio aumentano, sono sempre di più i cittadini che guardano con fiducia al sistema servizi della Uil. Anche se i dati sono ampiamente positivi, c’è necessità di una riflessione sul modo di agire del nostro Sindacato e di adozione di decisioni per
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adeguare la macchina operativa ed i meccanismi organizzativi. Dal momento che il confronto attorno a questi temi è già iniziato, sono evidenziabili alcune direzioni possibili del cambiamento organizzativo dell’intera articolazione della Uil, perché stavolta, pare di capire, questa assise nazionale davvero potrà tracciare il percorso per “una nuova Uil”. Ripartire dai luoghi di lavoro e dal territorio Da anni il baricentro della contrattazione e della stessa rappresentanza tende a spostarsi nei luoghi di lavoro, dove sono numerosi i delegati Uil eletti nelle RSU o nominati nelle RSA. Costoro costituiscono l’ossatura dell’Organizzazione, garantiscono una capacità di lettura delle problematiche e dei bisogni dei lavoratori, si configurano come un veicolo fondamentale per le politiche del proselitismo. Dai luoghi di lavoro bisogna ripartire, sui nostri delegati dobbiamo fare affidamento. A loro devono essere assicurati spazi di presenza, occasioni di dibattito e opportunità di concorrere alla definizione delle scelte, in tutti i direttivi delle categorie ma anche dei livelli orizzontali. Vanno ripensati anche per loro gli strumenti sindacali per l’informazione (anche utilizzando i nuovi strumenti, social network, messaggistica istantanea, …) e messa in piedi una complessa iniziativa formativa, anche per un loro impegno specifico nella politica dei servizi (come primo livello di contatto fra il cittadino/lavoratore e gli specifici servizi posti in essere dall’Organizzazione, ma anche come realizzatori di una parte consistente del processo stesso). La Uil ha oggi una diffusa rete di presenze in molte realtà periferiche. Il territorio, d’altra parte, è il luogo dove vivono e manifestano le loro
istanze ed i loro bisogni i cittadini e, soprattutto, è il livello dove vengono adottate scelte di politica economica e sociale che grande influenza hanno sulla vita dei cittadini, dalle politiche sociali, al fisco locale, alla politica della casa… L’obiettivo che la Uil si deve dare è di praticare con più determinazione ed in ogni contesto la scelta del territorio come luogo privilegiato dell’azione sindacale. I protagonisti di queste presenze diffuse, dove si distribuiscono servizi e dove si fa contrattazione/concertazione con le autorità locali, dovranno trovare luoghi di espressione, occasioni di coinvolgimento e modalità di partecipazione alle scelte in tutti gli organi dirigenti della Uil. Ripensare le strutture orizzontali della Uil e l’articolazione in Categorie Dal momento che nel Paese si discute di soppressione delle province e di ridefinizione delle autonomie locali, il sindacato non può restare indifferente. Per questo la Uil, nella Conferenza di Organizza-
zione, ritiene che debba essere ripensata la stessa articolazione delle proprie sedi provinciali e regionali, le competenze, la distribuzione dei compiti di guida politica e dell’iniziativa organizzativa, l’attribuzione dei poteri. In questo quadro si mira ad attribuire funzioni di guida al livello regionale, in grado di pianificare gli interventi in un ambito territoriale più vasto, di realizzare le politiche del proselitismo e di gestione dei servizi, e di dialogare con le autorità locali su tutte le problematiche di non esclusiva pertinenza nazionale. Per quanto riguarda le Categorie, invece, si sta riflettendo su come tendere al meglio alla condivisione dei valori, alla messa in comune delle esperienze, alla ricerca di sinergie, soprattutto in alcuni territori e per talune categorie di limitata consistenza numerica. Si potrebbero strutturare coordinamenti o momenti di confronto tematico fra le diverse categorie con elementi in comune, coniugando queste scelte con l’esigenza di un rafforzamento della presenza delle stesse nel territorio e nei luoghi di lavoro.
Conferenza di organizzazione
Rilanciare il “Sistema servizi Uil” La Uil ha organizzato un gran numero e una grande varietà di servizi a disposizione degli iscritti, dei lavoratori, delle persone anziane e dei cittadini tutti, che sono l’esplicitazione della volontà di “occuparsi della persona” interpretandone i bisogni, garantiscono introiti economici e costituiscono una consistente spinta e un’opportunità per il proselitismo. Nella Conferenza di Organizzazione fisseremo impegni precisi per ampliare ulteriormente la gamma dei servizi offerti, rafforzare l’impegno di tutta l’organizzazione in queste attività, ricercare e realizzare sinergie - al centro e sul territorio - per il più efficace utilizzo della macchina operativa che rea-
lizza i servizi. Si sta ipotizzando un’unica sede della rappresentanza politica dell’Organizzazione, comune all’intero assetto del “Sistema Servizi Uil”, con compiti di indirizzo e di vigilanza sull’intera articolazione e su ogni singolo comparto o entità organizzata, da strutturare nazionalmente ed in ogni regione, cui competerebbero le scelte strategiche, i piani di investimento e le politiche di sviluppo dei servizi, le scelte di insediamento sul territorio, la definizione degli impegni di espansione e differenziazione dei servizi. Definire regole certe per un gruppo dirigente qualificato La vitalità di un’Organizzazione si misura anche dalla capacità di rinnovare il proprio gruppo dirigente
per utilizzare al meglio le professionalità e le capacità di guida di coloro che già ne fanno parte, favorire e valorizzare gli ingressi di nuovi dirigenti da accompagnare in un percorso formativo e nell’assunzione dei ruoli di responsabilità, registrare gli stimoli provenienti dalla propria base associativa, salvaguardando il pluralismo e filtrando le istanze di rinnovamento per un adeguamento delle strategie e della capacità di rappresentanza. Qualche linea operativa, al centro del dibattito in Conferenza, già si intravede: valorizzazione dei delegati eletti nelle Rsu e Rsa, nonché coloro che nel territorio presidiano sedi e assicurano servizi, garanzia di un’adeguata presenza di rappresentanti di ambo i sessi in ogni ruolo dirigente e in ogni articolazione della Uil, una politica inclusiva che favorisca l’inserimento dei giovani nell’attività sindacale. Ma la Conferenza di Organizzazione dovrà anche fissare le regole per le alternanze nei gruppi dirigenti, con diverse opzioni: limite fissato con riferimento all’età anagrafica, numero massimo dei mandati in una certa funzione, norme valevoli solo per i livelli apicali di segretario generale o anche per i componenti delle segreterie, limiti all’assunzione contemporanea di più ruoli di massima responsabilità, coinvolgimento in un percorso formativo continuo. Ripensare e adeguare gli strumenti Le decisioni che verranno assunte dalla Conferenza di Organizzazione porteranno ad una necessità di rimodulazione degli strumenti per il perseguimento degli obiettivi, a cominciare da quelli per la comunicazione interna al Sindacato (più luoghi per il dibattito e per il confronto, strumenti innovativi per l’informazione, una “scuola sindacale”) nonché dai sistemi della
Il Congresso confederale, che viene celebrato ogni quattro anni, è il massimo organo della Uil, cui spettano i pieni poteri deliberativi. In questa assise, composta dalle delegate e dai delegati delle Unioni regionali e delle Unioni nazionali di categoria, vengono assunte le decisioni più importanti per la vita dell’organizzazione: dagli indirizzi politici, alle politiche organizzative e finanziarie, dall’adeguamento dello statuto, all’elezione degli organi dirigenti. Da molti anni, però, la Uil realizza momenti significativi di dibattito ampio e partecipato fra tutti i propri dirigenti nel corso di Conferenze di Organizzazione. A metà strada fra un Congresso e l’altro, infatti, si ritiene opportuno esaminare lo stato di salute dell’Organizzazione, soprattutto dal punto di vista del suo insediamento territoriale e nei luoghi di lavoro, di funzionamento delle strutture, di operatività dei servizi, di ottimale utilizzo delle risorse economiche, in poche parole si mette in verifica l’intera tematica della funzionalità ed efficacia della macchina organizzativa della Uil. Nelle Conferenze di Organizzazione non si nominano organi e non si modificano norme statutarie ma si verifica la piena rispondenza dell’iniziativa sindacale agli orientamenti ed all’indirizzo politico assunto dalla Uil.
comunicazione rivolta all’esterno dell’Organizzazione, ai lavoratori ed ai cittadini, agli interlocutori, al mondo stesso dell’informazione. Ed anche le tematiche finanziarie devono essere al centro della riflessione: va anzitutto perseguita la trasparenza e la conoscenza diffusa delle risorse economiche che affluiscono all’Organizzazione attraverso i diversi canali, così come deve essere garantito un maggior afflusso di risorse finanziarie sul territorio, anche per praticare politiche di sviluppo. Vogliamo avervi con noi Come si vede, i temi posti al centro della nostra prossima Conferenza
Quest’anno questo appuntamento, che si celebra a Bellaria in provincia di Rimini nei giorni 1, 2 e 3 ottobre, più esattamente si chiama “VIII Conferenza Nazionale di Organizzazione e dei Servizi della Uil”, per ricomprendere nell’esame anche tutta la tematica delle attività di servizio poste in essere dall’Organizzazione a favore dei lavoratori, degli anziani e dei cittadini tutti per la promozione e l’ottenimento di loro diritti o per l’assolvimento di talune incombenze, dal fisco alla previdenza, dalla tutela dei consumi alla politica dell’abitare. Alla Conferenza di Organizzazione parteciperanno 1500 delegati, eletti per un terzo nelle regioni, per un terzo dalle diverse categorie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati e per un terzo designati dagli Enti strumentali della Uil per i servizi. Tre giorni di dibattito sulla base di documenti organizzativi approvati dagli Organi dirigenti della Uil. A questo appuntamento nazionale altri faranno seguito, organizzati in tutte le regioni e da tutte le categorie per riportare in questi ambiti le scelte di politica organizzativa che verranno assunte dalla Conferenza Nazionale di Organizzazione e dei Servizi della Uil.
di Organizzazione sono molti, i confronti sono già iniziati, le soluzioni sono differenziate ed il gruppo dirigente ed il dibattito nell’assise nazionale saprà fare sintesi delle diverse opinioni, sensibilità, orientamenti. Proprio in questo quadro, contiamo anche sulla qualificata presenza di una delegazione della Uil Polizia, anzitutto per la qualità della vostra esperienza di strutturazione della presenza sindacale in un settore invero assai particolare del mondo del lavoro. Avremo così, ancora una volta, l’opportunità di affermare che i diritti sindacali dei lavoratori della sicurezza, nonché l’operatività e le strategie della loro rappresentanza, si rafforzano e si qua-
lificano ulteriormente in un rapporto organico e strutturato con il sindacalismo confederale e, in particolare, con una grande Organizzazione qual è la Uil. Contiamo, inoltre, sulla presenza della Uil Polizia alla Conferenza di Organizzazione anche per la particolare sensibilità di ognuno di voi alle tematiche dei diritti dei cittadini, all’ottica del servizio, alla rappresentanza degli interessi del mondo del lavoro “nessun contesto escluso”: tutti temi che, come vedete, sono al centro del dibattito per progettare e realizzare un grande Sindacato al passo dei tempi e proiettato nel futuro. 13
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dirlo è la Fondazione Moressa e lo confermano anche i dati Istat, mentre la Caritas ipotizza che il numero di immigrati che hanno perso il lavoro possa addirittura toccare quota 600 mila. C’è poi chi confronta i dati Istat con quelli del censimento e calcola che presumibilmente in due anni siano scomparsi dai registri quasi un milione di stranieri. Quello che conta è che la situazione è in continuo movimento e diventa difficile capire se una persona o una famiglia sia scivolata in una condizione di clandestinità, sia andata in un altro Paese, o semplicemente se ne sia tornata a casa, dove il tasso di crescita del pil è da anni molto più alto che in
Europa (vale per l’Asia, per l’America latina e anche per alcuni Paesi africani). a) Un quadro sintetico dell’immigrazione in Italia Secondo dati pubblicati recentemente dall’Eurispes, gli stranieri in Italia erano al 1° gennaio 2011 4.570.317, in aumento del 7,9% rispetto all’anno precedente, mentre i cittadini stranieri diventati italiani sono 600mila ed hanno un’età media notevolmente inferiore a quella degli italiani (31,8 anni contro 43,5 anni). Circa il 22% degli immigrati è costituito da giovani minorenni e solo il 2,4% della popolazione straniera ha piu’ di 64 anni: tutti questi dati, in un Paese che invecchia
La crisi economica che stiamo attraversando colpisce duramente le condizioni di lavoro e di vita delle persone ed, in primo luogo, l’occupazione, sia essa “autoctona” oppure “etnica”. Se è vero che il livello dei senza lavoro in Italia sta raggiungendo punte record, specialmente tra i giovani, è altrettanto vero che nel 2011 e nel 2012 almeno 300 mila stranieri hanno perso il lavoro (oltre il 13% degli occupati stranieri complessivi).
sempre più rapidamente, avranno un forte impatto economico e sociale nei prossimi decenni. Profonde trasformazioni sociali che stanno investendo anche il mercato del lavoro, dove ormai gli stranieri rappresentano il 10% della forza lavoro del Paese: sarebbero oltre 2,3 milioni di persone e, di queste, circa il 60% è occupato nei servizi; il 36% nell’industria (la metà nelle sole costruzioni) ed il 4,3% nell’agricoltura. Senza dimenticare che sono 2 milioni e mezzo le famiglie italiane che godono di un’assistenza fornita da
L’immigrazione nei tempi della crisi
circa 1,5 milioni di lavoratori domestici, quasi tutti stranieri. Sebbene siano in possesso di un titolo di studio medio-alto, gli immigrati nel nostro Paese svolgono lavori dequalificanti e sottopagati e la crisi economica sta ulteriormente ampliando questo divario: il 10,4% degli stranieri risulta sottoccupato, a fronte del 3,6% rilevato tra i lavoratori italiani. Una condizione di estrema debolezza sociale confermata anche dalle retribuzioni nette mensili medie: 973 euro al mese, contro i 1.286 euro percepiti in media dai lavoratori italiani. Una situazione di vero dumping sociale prodotto non solo dal brain waste, ma soprattutto dalla condizione di debolezza e ricattabilità sociale in cui le normative vigenti pongono – de facto - i lavoratori immigrati: senza il lavoro, infatti, viene meno anche il diritto al permesso di soggiorno. Infine, ricorda l’Eurispes, gli stranieri che lavorano in Italia rappresentano una vera e propria ricchezza economica, contribuendo per oltre il 12% alla formazione del pil del nostro Paese, con importanti ricadute economiche anche sul versante contributivo e previdenziale grazie ai quasi 11 miliardi di euro di contributi previdenziali e fiscali versati ogni anno nelle casse dello Stato dai lavoratori stranieri, a cui vanno aggiunti 9 miliardi di euro in rimesse mandate ai Paesi d’origine. Anche sul versante dei consumi gli immigrati in Italia sono sempre più spesso protagonisti attivi dei consumi: nel 2010 l’8,7% delle abitazioni acquistate ha avuto un compratore straniero.
b) Il disastro della (non) governance Un sistema che voglia governare davvero l’immigrazione dovrebbe – come minimo - avere un monitoraggio complessivo dei flussi di manodopera: non limitarsi a conteggiare chi entra, ma anche avere il quadro aggiornato di chi esce e perché, altrimenti si corre il rischio di non capire quanti siano veramente gli immigrati presenti: 5 milioni come ha stimato la Caritas basandosi sui dati dell’Istat, o gli scarsi 4 milioni registrati dal Censimento. Se non si ha un quadro chiaro dell’immigrazione, delle sue sfaccettature e molteplici complessità, è ben difficile poter sviluppare una politica efficace di gestione della mobilità e, soprattutto, di valorizzazione della ricchezza professionale e culturale che arriva con questi nuovi cittadini, al fine di una buona integrazione. Non è un caso che in dieci anni abbiamo decuplicato il numero di stranieri residenti, facendoli passare quasi tutti dalle forche caudine della irregolarità. La legge Bossi–Fini certo non aiuta l’immigrazione regolare, specialmente in un momento di grave crisi economica e di chiusura della società: ad appesantire la situazione, per un lavoratore straniero, c’è il fatto che la legge attualmente in vigore in Italia sull’immigrazione lega strettamente il permesso di soggiorno per lavoro all’esistenza di un contratto in essere al momento del rinnovo. Chi perde il lavoro ha pochi mesi di tempo per cercarne un altro (la recente riforma del mercato del lavoro - legge 92/2012 ha portato questo periodo alla durata di un anno), dopo di che dovrebbe tor-
narsene a casa o, più probabilmente, sceglierà la strada del lavoro nero e della presenza irregolare. L’allungamento della durata del permesso per ricerca di occupazione è un grande passo in avanti, una vittoria del movimento sindacale che per anni ha segnalato il rischio che la crisi economica possa tradursi in un incremento consistente dell’economia sommersa e del lavoro etnico irregolare. L’art. 4, comma 30, della Legge 92/2012, in vigore dallo scorso 18 luglio, ha anche prodotto un grande passo in avanti concettuale, rompendo per la prima volta lo stretto rapporto voluto dalla Bossi – Fini tra lavoro e residenza: stabilisce infatti che decorso il periodo di ricerca occupazione (12 mesi più eventualmente le prestazioni di sostegno al reddito) “trovano applicazione i requisiti reddituali di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b) del d.lgs. n. 286/1998”. Il riferimento è al meccanismo del ricongiungimento familiare che viene concesso indipendentemente dal lavoro, se uno può dimostrare comunque di avere un reddito derivante da fonti lecite, non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale (nel 2012, € 5.577). In pratica, con la nuova legge, terminato il permesso per ricerca occupazione, se uno straniero può dimostrare un reddito lecito, anche minimo, avrà diritto al rinnovo del permesso. è un grande miglioramento della normativa, un piccolo successo che ci consola sulla possibilità, se prevale il buon senso, di ottenere modifiche positive (anche in una fase politicamente così difficile) della inefficace legislazione in
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L’immigrazione nei tempi della crisi
materia di immigrazione. Ed è forse il momento davvero di chiederci: c) Perché non ha funzionato il governo dell’immigrazione e che caratteristiche ha quella italiana? L’Istituto Fieri di Torino dice che, dal punto di vista statistico, nell’ultimo decennio siamo stati l’unico Paese, tra i maggiori europei, in cui si è osservata una correlazione sistematicamente negativa tra immigrazione e crescita: in pratica una media di 300 mila nuovi ingressi all’anno, malgrado il calo di domanda di lavoro. Il paradosso di una forte immigrazione con crescita debole, nulla e persino negativa, si spiega soltanto se l’immigrazione in Italia è determinata prevalentemente da fattori demografici, invece che pura-mente economici. Avremmo cioè, secondo gli studiosi, una pressione migratoria che arriva per rimpiazzare i vuoti della popolazione, non perché richiamata dalla dinamicità del nostro mercato. Questa “immigrazione di rimpiazzo” è particolarmente necessaria in quei settori e per tutti quei lavori che - per ragioni materiali e simboliche (scarso prestigio) - i giovani italiani continuano a rifiutare. Ma l’immigrazione in Italia è il prodotto di determinanti demografiche anche in un altro senso: una com-
ponente molto significativa degli afflussi è infatti indotta dalla domanda crescente di servizi di cura da parte delle famiglie, in particolare per l’assistenza alle persone anziane. Certo è forte il sospetto che una parte della nostra economia abbia ricercato una forma di competitività, non sull’innovazione di processo e di prodotto, ma sulla compressione del costo del lavoro e dei diritti: in pratica sul dumping sociale. Un’immigrazione con le caratteristiche appena richiamate presenta vantaggi evidenti nel breve periodo: è un’immigrazione che non si pone in concorrenza con l’offerta nazionale sul mercato del lavoro e, inoltre, presenta tassi di attività alti e livelli di disoccupazione bassi, in confronto a ciò che si registra nella maggior parte degli altri paesi europei. Di conseguenza, è anche un’immigrazione particolarmente vantaggiosa dal punto di vista del suo impatto sulla spesa pubblica, poiché permette risparmi importanti (il “welfare parallelo” delle “badanti”), pur avendo costi relativamente ridotti (bassa domanda di servizi, specialmente in campo sanitario e pensionistico). Le critiche della Uil vanno ad un modo sbagliato di concepire, subire e – in sostanza - non governare la pressione migratoria. è quello che ha fatto l’Italia
nell’ultimo decennio rendendo – di fatto – difficile l’immigrazione regolare e lasciando campo libero all’economia sommersa. Infatti il modello migratorio italiano ha un basso costo anche dal punto di vista del governo del fenomeno: basandosi essenzialmente sull’incontro diretto tra domanda e offerta in condizione di irregolarità e su successive regolarizzazioni. Così si può fare a meno di adeguati investimenti in infrastrutture amministrative preposte alla determinazione, selezione e gestione dei flussi legali. d) Il dumping sociale non risolve il problema I vantaggi a breve termine, di un modello che l’Istituto Fieri ha definito di “immigrazione low cost”, tendono ad assottigliarsi in tempo di crisi e probabilmente a tramontare nel mediolungo termine, innanzitutto perché la
La “ sanatoria” in corso Il decreto legislativo 16 luglio 2012, n.109 recepisce la direttiva 2009/52/CE sulla lotta allo sfruttamento del lavoro nero degli immigrati irregolari, volta a rafforzare la cooperazione tra Stati membri nella lotta contro l’immigrazione illegale, introducendo il divieto per i datori di lavoro di impiegare cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nonché norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nel confronti dei trasgressori. Il decreto, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 25 luglio
2012, n.172, introduce pene più severe per chi assume immigrati irregolari e permessi di soggiorno temporanei per i lavoratori che denunciano i loro sfruttatori; si potranno regolarizzare inoltre i lavoratori occupati irregolarmente, usufruendo della cosiddetta “sanatoria”. Dal 15 settembre 2012 al 15 ottobre 2012 sarà possibile presentare la “dichiarazione di emersione” esclusivamente in via telematica accedendo privatamente al sito del Ministero dell’interno oppure rivolgendosi allo sportello di un patronato o di un’associazione. Per poter accedere alla regolarizzazione, i datori di lavoro dovranno versare 1.000 euro a titolo di contributo forfetario per ogni immigrato “clandestino” alle proprie dipendenze; presso lo Sportello Unico dell’immigrazione verranno convocati insieme datore di lavoro e lavoratore per la stipula del contratto di soggiorno, la verifica della documentazione, dei livelli retributivi e contestualmente per le comunicazioni all’Inps e al Centro per l’impiego. Fino al momento della conclusione della procedura sono sospesi i procedimenti penali a carico del datore di lavoro e del lavoratore in materia di ingresso e soggiorno; la sospensione viene a cessare in caso di mancata presentazione della domanda o di archiviazione del procedimento con un rigetto. Non saranno comunque perseguibili i datori di lavoro che hanno visto rigettare la domanda per cause non direttamente a loro imputabili. Il lavoratore non potrà quindi essere espulso. In caso di conclusione del procedimento i reati a carico di lavoratore e datore di lavoro verranno estinti.
crisi obbliga molti italiani a fare lavori prima rifiutati e quindi a mettersi in diretta concorrenza con gli immigrati, poi perché ci sono le nuove generazioni che si formano nel nostro Paese e che saranno in diretta competizione con i nostri figli, com’è giusto che sia. Questa “voglia di farcela”, con la disponibilità al sacrificio e la tenacia che spesso l’accompagnano, andrebbe vista come una risorsa per la collettività, ma se queste aspirazioni dovessero continuare a scontrarsi con barriere strutturali (accesso alla cittadinanza limitato, discriminazioni nell’accesso alle filiere scolastiche e ai lavori migliori), andremmo incontro a un contraccolpo di sfiducia e conflittualità socialmente molto costoso. e) Cosa fare, allora? Occorre, innanzitutto, guardarsi da una lettura semplicistica, secondo cui la realtà è solo in bianco o in nero: i problemi non si risolvono con i “vadano a casa loro” o “tolleranza zero verso i clandestini”, né con lo slogan “gli italiani al primo posto”,
ma nel momento in cui un cittadino straniero lavora e vive accanto a noi, egli è potenzialmente titolare degli stessi nostri diritti e doveri. Abbiamo visto che è impossibile e costosa la politica delle espulsioni, inoltre, con la applicazione della direttiva europea n. 52, saranno più chiari i diritti fondamentali anche degli irregolari e più duro il prezzo da pagare per chi sfrutta il lavoro etnico irregolare. è l’Europa, con le sue direttive ed i suoi stimoli, che ci costringe a guardare la realtà con gli occhi di una maggiore comprensione di questi fenomeni. Non esiste, ad esempio, l’immigrato tipico: ogni uomo, ogni storia sono il portato di problemi, aspirazioni e ricchezze individuali diverse, a cui vanno date risposte pertinenti e adeguate. Bisogna anche avere la consapevolezza che le politiche non hanno mai condizionato, se non in modo parziale e in misura limitata, i processi migratori e di
integrazione: più che in altri ambiti, nel settore delle politiche migratorie, fare propaganda e promettere risultati mirabolanti (tolleranza zero, tutti a casa…) è controproducente, mentre la chiarezza e la moderazione (o realismo) delle proposte e degli obiettivi giocano, dal punto di vista della costruzione del consenso, un ruolo decisivo. In particolare, se è giusto perseguire l’obiettivo di flussi più selezionati, occorre non illudersi, e non illudere l’opinione pubblica, con la retorica di una immigrazione altamente qualificata. A lungo, infatti, il fabbisogno di lavoro straniero espresso dall’Italia continuerà a concentrarsi prevalentemente nelle fasce basse e medie del mercato del lavoro. Il nostro mercato del lavoro manca di addetti in settori, mestieri e funzioni dove non è richiesta alta professionalità. Per quanto riguarda gli high skills, inoltre, non dobbiamo dimenticare le decine di migliaia di nostri giovani, laureati e con master di specializzazione post-laurea, che emigrano all’estero, cercano lavoro altrove, in quanto non lo trovano in Italia. Questa dura realtà forse servirà a darci un quadro più chiaro del nostro mercato del lavoro, autoctono o etnico che sia. La domanda-chiave, per il futuro della politica migratoria italiana dovrebbe dunque essere, a parere della Uil, su come superare l’attuale modello di cattiva gestione di una immigrazione a basso costo ed indiscriminata e su come favorire il passaggio a un modello migratorio - non solo più soddisfacente ed equo dal punto di vista dei diritti fondamentali dei migranti e dei loro discendenti - ma anche più efficiente e fruttuoso dal punto di vista dello sviluppo e della competitività del nostro Paese. 19
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L’operazione Il boss palermitano Salvatore Bonomolo, ricercato in Italia dal 2007 per associazione mafiosa ed estorsione, è stato arrestato il 24 agosto mentre faceva la spesa nel centro commerciale di Porlamar, cittadina venezuelana sull’isola di Margarita. Il latitante è stato fermato grazie a una operazione congiunta condotta dalla Questura di Palermo, dal Servizio centrale operativo, dall’Interpol e dalla Polizia venezuelana, impegnati da tempo nell’individuazione della residenza nella località turistica. Esponente di una famiglia mafiosa palermitana, Bonomolo, da esattore del pizzo era diventato uno degli ambasciatori dei boss siciliani in America Latina.
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hi immagina il Dipartimento della pubblica sicurezza come un luogo tranquillo dove le cose si fanno si, ma senza troppa fretta, resterebbe molto deluso: lo abbiamo trovato indaffaratissimo nel fronteggiare contemporaneamente svariate emergenze sull’intero territorio nazionale perché in fondo la Dac, a capo della quale è stato posto con una cerimonia ufficiale dal Capo della Polizia Antonio Manganelli che parallelamente ha anche nominato a capo del Servizio centrale operativo Maria Luisa Pellizzari, è anche un’immensa Questura...
Intervista a Gaetano Chiusolo
Come si sente nel tornare dopo anni e con l’incarico di maggior rilevanza nell’ambito della Polizia di Stato all’attività cui in passato ha dedicato gran parte del suo impegno professionale, quella investigativa? Considero questo incarico una gratificazione, avendo compiuto gran parte del mio percorso professionale nel settore investigativo. Questo “ritorno alle origini”, in un ruolo di alta direzione e responsabilità, sarà l’occasione per mettere a disposizione dei cittadini e delle Istituzioni, oltre che dei miei collaboratori, l’esperienza maturata negli anni in cui ho avuto l’opportunità e la fortuna di lavorare a fianco dei migliori investigatori della Polizia italiana. In questo modo conto anche di ripagare la fiducia accordatami dal Ministro dell’interno e dal Capo della Polizia. La sensazione avvertita al primo impatto con il Servizio centrale operativo, il Servizio polizia scientifica ed il Servizio controllo del territorio? Più che la sensazione ho la certezza di una struttura ben organizzata e ricca di professionalità nei diversi settori in cui opera. La prova è data dai brillanti risul-
tati ottenuti sinora, grazie al costante impegno e al senso di responsabilità dimostrato dalle donne e dagli uomini della Direzione centrale anticrimine anche nei momenti più difficili. Basti considerare che molte attività investigative e preventive vengono condotte anche sotto la ‘giustificabile’ pressione dell’opinione pubblica che si aspetta risultati volti a ripristinare il senso di sicurezza e la legalità violati.
trale e delle sue articolazioni sul territorio? …e nel raccordo con gli uffici di Questure e Specialità? Le scelte organizzative sinora compiute hanno garantito il raggiungimento di risultati eccellenti: le strutture centrali (Servizio centrale operativo, Servizio polizia scientifica e Servizio per il controllo del territorio) e territoriali (Gabinetti di polizia scientifica, Reparti prevenzione crimine e Squadre mobili
Quanto risente l’attività anticrimine dei recenti tagli alle spese per la Sicurezza? La macchina statale è chiamata a rispondere alle richieste di maggiore efficienza ed economicità in questo periodo di restrizioni finanziarie e sacrifici richiesti ai cittadini. La sfida è proprio quella di non sacrificare il bene ‘sicurezza’ ridefinendo alcuni moduli operativi ed organizzativi per risparmiare risorse da investire, magari, in tecnologie senza penalizzare il personale. Cosa potrebbe migliorare nell’organizzazione interna della Direzione cen-
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Operazioni principali concluse dalle Squadre Mobili e dai Commissariati di P.S. 1° gennaio – 30 giugno 2012
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Intervista a Gaetano Chiusolo
delle Questure) hanno risposto in maniera adeguata alle esigenze. Naturalmente, per continuare su questa strada, sarà necessario mantenere aggiornata la dotazione di mezzi e tecnologie, che contribuiscono anche al miglioramento dello scambio informativo tra centro e territorio e alla condivisione delle metodologie d’indagine.
In definitiva quali sono le linee guida cui intende improntare l’attività di guida della Dac? Come ho potuto sottolineare in precedenza, la strada è già tracciata e non posso che condividere gli obiettivi e le strategie operative individuati da chi mi ha preceduto. In particolare, basandomi anche sulle mie esperienze passa-
te, intendo sviluppare la capacità di raccogliere ed affrontare, auspicabilmente con successo, le nuove sfide che la criminalità, capace di sfruttare ogni opportunità di profitto illecito riconvertendosi ed adattandosi a nuovi settori con l’utilizzo di nuove ed avanzate tecnologie, lancia alla società.
Gaetano Chiusolo inizia nel 1978 la sua carriera di Funzionario della Polizia di Stato presso la Squadra mobile di Bologna, per poi assumere la direzione dei Centri interprovinciali Criminalpol dell’Emilia-Romagna e della Liguria. Durante questo periodo partecipa e conduce molte indagini su rapine, sequestri di persona a scopo di estorsione ed omicidi, cui hanno dato ampio rilievo le cronache nazionali; la sua esperienza sul territorio prosegue con incarichi di rilievo presso le Questure di Ravenna e Firenze, e di guida delle Questure di Parma e Brescia. L’esperienza presso il Dipartimento della pubblica sicurezza inizia con l’incarico di Direttore dell’Ispettorato Vaticano prima prosegue con la guida dell’Ispettorato Viminale, con la responsabilità della gestione dei relativi servizi di sicurezza. Chiamato alla guida della Direzione centrale per i servizi antidroga, arricchisce il suo curriculum con una significativa esperienza interforze e di respiro internazionale. Nominato Prefetto ha dapprima assunto l’incarico di Direttore dell’Ufficio centrale ispettivo, mentre dal luglio di quest’anno è a capo della Direzione centrale anticrimine.
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Intervista al Questore di Roma
tre mesi dal suo insediamento al vertice della Questura più grande d’Italia il dott. Della Rocca ci ha rilasciato un’intervista a tutto campo, dove conferma la sua nota sensibilità sia verso le tematiche sociali che nei confronti del personale, dandoci molte buone notizie ed anche qualche speranza… Roma è come se l’aspettava, professionalmente l’aveva già conosciuta? Chi fa il nostro lavoro per forza di cose segue sempre le vicende romane, perché si riflettono sulla periferia, così come le vicende della periferia si riflettono poi su Roma, che di conseguenza diventa il luogo d’incontro di tutte le problematiche di nostra competenza: anche per noi tutte le strade portano a Roma. Quindi nessuna sorpresa? Sicuramente l’attualità è particolare e probabilmente in autunno lo sarà ancor di più perché certamente l’Italia vive un momento molto delicato sotto il profilo economico e questo difficilmente può non avere conseguenze sotto il profilo dell’ordine pubblico, che è una delle principali attività della polizia di Roma: a tutti i livelli ci aspettiamo un impegno di lavoro molto intenso da gestire con molta attenzione perché, oggi come non mai, spesso chi protesta ha ragione di protestare se non altro perché è in difficoltà. Come pensa di affrontare la situazione dell’ordine pubblico? Cercheremo di trovare il giusto equilibrio tra la necessità di garantire il diritto a manifestare e la 29
Intervista al Questore di Roma
sicurezza di chi non partecipa alla manifestazione e delle Istituzioni, il tutto tenendo conto che i cittadini hanno il diritto di non vivere in una città blindata. Un esempio di questa linea è rappresentato da come alla fine è andata la protesta dei lavoratori Alcoa: sono molto soddisfatto dei miei uomini, che hanno dimostrato grande professionalità e sangue freddo, sopportando l’insopportabile e reagendo in maniera controllata solo quando non si poteva fare altrimenti. Fondamentale sarà anche il supporto dell’attività informativa… La Digos ha un’attività primaria e si tratta di un settore che ho seguito in prima persona per molti anni: quella di Roma non ha bisogno di avere lodi, l’ho trova-
ta di altissimo livello sia sotto il profilo informativo che dal punto di vista operativo, perché ha anche un’attività di antiterrorismo di prim’ordine. I segnali di un possibile ritorno della violenza politica, che comunque non ha nulla a che fare con gli anni settanta - anche in vista delle ormai imminenti elezioni politiche - è un fenomeno che stiamo monitorando con la massima attenzione grazie ad una sezione ad hoc. Tornando alle difficoltà: anche per noi le risorse sono scarse… Per quanto riguarda l’ordine pubblico stiamo cercando di razionalizzare al meglio le risorse, altrimenti rischiamo sia di fare degli sprechi e di usurare il personale oltre il dovuto. Ci stiamo adoperando sia per cercare di immet-
Fulvio Della Rocca, sposato con due figli, è nato a Napoli nel 1950, dove si è laureato in Giurisprudenza ed è entrato in Polizia nel 1975. Il suo primo incarico da commissario lo ha avuto a Mantova, dove ha lavorato presso la Squadra mobile, la Digos ed infine si è congedato dalla città virgiliana come Capo di Gabinetto. Dal 1992 al 1993 ha diretto il Commissariato di Gioia Tauro che, sotto la sua direzione, ha portato a termine numerose operazioni di contrasto alla ‘ndrangheta. Tra queste l’operazione “Tirreno” che, grazie all’acquisizione della collaborazione del primo importante collaboratore di giustizia di quel sodalizio criminale, ha consentito la cattura dei principali esponenti delle famigerate famiglie mafiose della piana di Gioia Tauro. Dal 1994 al 1995 è stato Capo di Gabinetto della Questura di Reggio Calabria e, trasferito a Bologna nel marzo del 1995, ha ricoperto analogo incarico in quella Questura, contribuendone al rilancio dopo la vicenda della Uno bianca. Dal maggio del 1997 ha assunto, nella stessa sede, le funzioni di vice questore vicario. Il 1° febbraio 2001 è stato nominato Questore di Agrigento e sotto la sua direzione sono state effettuate numerose e brillanti operazioni di polizia contro la criminalità organizzata di stampo mafioso, tra cui quella denominata “Cupola”, che nel 30
tere forze fresche che per ottenere mezzi adeguati a muoversi sul territorio, sempre tenendo presente che più della macchina conta chi ci sta dentro, la sua professionalità e le sue motivazioni, che qui a Roma sono di spicco: mi adopererò per migliorarle ulteriormente e valorizzarle. E la recrudescenza di criminalità diffusa ed omicidi? Non credo sia azzardato pensare che alla fine del 2012 ci sarà un calo rispetto all’anno precedente. Anche per rapine e furti. In tutto il 2011 gli omicidi a Roma sono stati venticinque, dal primo gennaio di quest’anno siamo a tredici, di cui undici sono stati risolti, mentre solo per due le indagini sono ancora aperte.
luglio del 2002 ha permesso di arrestare, in flagranza di reato, 15 esponenti di spicco della mafia agrigentina riuniti in un summit. Non meno impegnativa è stata l’azione di contrasto all’immigrazione clandestina, che ha sempre visto l’isola di Lampedusa come punto di approdo per migliaia di disperati provenienti dall’Africa. Dal luglio 2003 al gennaio 2007 ha ricoperto l’incarico di Questore di Ravenna ed in questa città, oltre all’impegno in azioni di contrasto alla criminalità diffusa, con particolare attenzione alle misure preventive ed alla realizzazione di importanti innovazioni, frutto di appositi accordi con enti locali e altre associazioni ed Istituzioni, il dott. Della Rocca ha avuto il merito di essere a capo della Questura in cui è stato realizzato il primo asilo nido, segno questo della sua sempre viva attenzione ai problemi ed alle esigenze del personale della Polizia di Stato. Impegno che ha mantenuto anche a Pisa, dove è stato Questore dal 2007 al 2009. Dal 1° giugno 2009 ha ricoperto l’incarico di Questore della Provincia di Venezia, ottenendo la promozione a Dirigente generale della Polizia di Stato: l’impegno nel capoluogo veneto è stato profuso sia nell’affrontare i problemi di sicurezza nella realizzazione dei numerosi eventi di rilevanza internazionale che vi si svolgono, sia nel contrastare in modo costante ed incisivo ogni forma di criminalità.
Dunque è fiducioso anche sotto questo aspetto? Si, perché abbiamo aumentato la nostra presenza sulle strade e non credo sia un caso che negli ultimi tre mesi ci siano stati solo due omicidi, entrambi risolti: la Squadra mobile capitolina è di prim’ordine e sta contrastando efficacemente anche il traffico di stupefacenti. Entrambi gli ultimi delitti erano maturati in ambienti non originari della città… Nell’ultimo periodo i problemi di criminalità di questa città, che ha tre milioni di abitanti, riguardano soprattutto le comunità straniere e le lotte al loro interno. Oggi l’Ufficio immigrazione ha mezzi sufficienti? Devo dire che temevo per l’Ufficio immigrazione, ma ho riscontrato innanzitutto una struttura direi ottimale ed una funzionale organizzazione dell’ufficio, di cui va dato atto innanzitutto al Dirigente, ma stiamo lavorando per potenziare ulteriormente la struttura. Insomma sembra soddisfatto… Mi conforta anche la presenza a capo della Procura della Repubblica di un Magistrato di altissimo livello e l’avere alla guida di importanti settori della Questura nuovi uomini, insieme ad un nuovo modo di coprire il territorio che ci permette di essere più presenti, come testimoniano gli ultimi fatti di cronaca. Ma - come ho già avuto modo di dire - è vietato abbassare la guardia. Siamo quindi giunti alla presenza sul territorio, quindi al suo controllo… In questi giorni riceviamo una media giornaliera di oltre duemila chiamate al centralino del 113 e questo vuol dire che la gente ha fiducia in noi ed alla gente dico: “chiamate sempre le Forze dell’ordine, meglio una segnalazione in più - anche se sbagliata - che una in meno”. La Sala operativa lavora a pieno ritmo e si interfaccia con la cittadinanza ed equipaggi del Reparto volanti e dei Commissariati.
zata, stiamo studiando una ristrutturazione: col tempo le esigenze mutano e va considerata l’espansione della città nelle grandi periferie; probabilmente, qualcosa di più proprio in questi territori serve, soprattutto a Tor Bella Monaca e Centocelle, ma anche ad Ostia, dove gli stabilimenti balneari e le discoteche sono obiettivi molti appetiti per la criminalità. Non va sottovalutato neanche il centro, dove il fenomeno della Movida va seguito con molta attenzione.
I Commissariati, il nostro cuore ed insieme la nostra “frontiera”… La risorsa dei Commissariati va valoriz-
Né va sottaciuto che alcuni Commissariati ci sono sulla carta, ma poi non ci sono perché il personale
viene sempre impiegato in ordine pubblico: a questa riorganizzazione farete fronte anche con il coinvolgimento del Sindacato? La conosciamo come persona assolutamente attenta… Sicuramente! è un aspetto che riguarda il personale e tutto quello che riguarda il personale va affrontato insieme al Sindacato: ci deve essere una forma di collaborazione ed anche le critiche, per me, sono motivo di riflessione; nel rapporto col Sindacato sono assolutamente per il confronto sincero. Ritengo infatti che possiamo dare reale sicurezza solo stando veramente vicini al personale. 31
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La giustizia italiana
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tudi classici e giuridici in Italia e negli Stati Uniti, già Presidente del Consiglio consultivo dei giudici europei e componente del Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati, oggi componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura e consigliere presso la Suprema Corte di Cassazione, il dott. Raffaele Sabato nel corso degli anni si è occupato attivamente della formazione dei magistrati e del loro codice etico. In genere rifugge dai riflettori, ma oggi ha accettato di rispondere a qualche domanda…
Il Presidente Napolitano al Consiglio superiore della Magistratura
Cosa c’è alla base dell’annosa crisi del nostro sistema giudiziario e quali potrebbero essere i rimedi? Domanda difficile, questa … La crisi, direi, è “multifattoriale”, come si dice di certe malattie: ci sono fattori, addirittura di portata sociale internazionale, su cui non si può intervenire con mezzi ordinari, come la litigation explosion, cioè l’incremento esponenziale del contenzioso che è correlato alla più alta consapevolezza che oggi, rispetto a cinquant’anni fa, abbiamo dei nostri diritti. Ma altri fattori sono connessi a vicende tutte italiane: alla fine degli anni ‘90 avevamo più di 46.000 elementi di personale amministrativo nella giustizia, oggi solo 39.000, con un’età media di … oltre 54 anni! Da oltre un decennio c’è il blocco del turnover, con carenze soprattutto nel settore informatico (nel quale invece negli altri Paesi si investe tantissimo). Mancano anche 1.000 magistrati … Invece gli avvocati sono in numero abnorme rispetto alle medie europee: in Francia solo 75,8 per 100.000 abitanti nel 2010, da noi 322; se la moltiplicazione degli operatori sul mercato è in altri settori un dato positivo per soddisfare le esigenze, c’è da verificare se nella giustizia essa non si traduca in assenza di selezione “a monte” della domanda di giustizia. Ancora – e questa è un’autocritica doverosa – anche noi magistrati
abbiamo molto da migliorare nell’organizzazione del lavoro, pur con le povere risorse disponibili. I rimedi starebbero nell’invertire questa rotta, cosa ancor più difficile in tempi di spending review. Un discorso a parte va fatto per il settore penale, più di interesse per i lettori: il nostro processo penale è costellato da una tale serie di inutili formalismi da diventare un percorso ad ostacoli, del tutto sganciati dall’esigenza di garanzia dell’indagato o dell’imputato. Adottare alcuni degli schemi seguiti all’estero (ad
esempio, l’abolizione del divieto della reformatio in peius in appello; la sospensione della prescrizione dopo l’esercizio dell’azione penale; la sufficienza ai fini del contraddittorio della comunicazione al difensore) sarebbe sufficiente a far “decollare” il nostro processo. Un tratto comune sembra legare i problemi del penale con quelli del civile: la carenza di rapidità ed effettività delle sanzioni … Quale magistrato non posso che guardare con cautela alle “sanzioni” troppo rapide, che evocano processi sommari. C’è però da dire che, nel civile, l’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado è troppo “timida”, riguardando in sostanza solo alcune condanne; per avere decisioni rapide, avevamo puntato sul c.d. procedimento sommario di cognizione, che all’estero funziona benissimo; da noi, pur avendolo il legislatore finalmente introdotto da qualche anno, il suo utilizzo è sgradito … Nel penale, poi, l’illimitato sistema di impugnazioni cautelari e riproposizione di istanze di revoca di misure, con nuove impugnazioni, disincentiva l’imputato ad affrontare il processo di merito, puntando sulla liberazione e sulla prescrizione … Responsabilità civile sì o responsabilità civile no? I lettori sapranno bene che si vorrebbe introdurre la possibilità di un’azione
diretta contro il magistrato, richiamando pronunce della Corte di Giustizia Europea per giustificare la necessità della riforma. Ebbene – se mi si consente l’esposizione di un dato tecnico – bisogna dire che questo richiamo è sbagliato: le pronunce della Corte fanno esclusivo riferimento alla responsabilità dello Stato membro (e non del magistrato) per manifesta violazione del diritto comunitario (e non anche della legge nazionale). Insomma, si è trovato un pretesto per introdurre una disciplina della responsabilità civile dei magistrati che non tiene conto della peculiarità della funzione giurisdizionale. L’attuale regime di responsabilità civile, lasciando al cittadino la possibilità di agire contro lo Stato, e lasciando poi a questo la possibilità di rivalersi sul magistrato, è invece quello conforme alla Costituzione italiana e alle raccomandazioni europee. Vorrei aggiungere che l’azione civile diretta di una parte contro il magistrato causerebbe gravissime conseguenze, quali l’obbligo del magistrato citato in giudizio di astenersi dalla trattazione del procedimento; insomma, la parte sceglierebbe il giudice … Condivide l’idea di ricondurre il procedimento di convalida delle espulsioni dei cittadini non comunitari nell’ambito del percorso procura-giudice penale? Innanzitutto dovremmo chiarire che la distinzione tra giudice penale e giudice
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civile è di natura solo organizzativa, in quanto i tribunali sono un unico organo ed è noto che, al loro interno, anche il giudice penale talvolta tratta procedimenti di natura civile. Dovremmo, allora, domandarci se il “procedimento” possa avere natura penale, rispetto a quella attuale di stampo civilistico. La risposta, allora, non può che essere negativa: la materia dell’immigrazione (e dell’asilo), quando non si sia di fronte a reati, ricade appieno nell’area civilistica in senso lato. In alcuni casi, all’estero ancor più che in Italia, può essere coinvolto il giudice amministrativo. Mi rendo conto che, per gli operatori di polizia, il relazionarsi con la giustizia civile ponga problemi; bisogna intervenire su quelli, a mio avviso, rendendo più efficiente il sistema, senza poter scardinare principi fondamentali. Il codice etico dei magistrati italiani, unanimemente ritenuto all’avanguardia all’interno dell’Unione Europea, è stato da Lei studiato ed esportato all’estero: apprezzerebbe un’iniziativa analoga per organizzazioni profondamente differenti per inquadramento e rilevanza costituzionale, come la Polizia di Stato, ma comunque molto importanti per la vita democratica del Paese? Il “codice etico” è stato adottato dall’Associazione Nazionale Magistrati negli anni ‘90, sulla base di una norma 36
delegata – di dubbia costituzionalità, per eccesso di delega e altro – che lo imponeva, avendo l’ANM deciso di darvi attuazione senza proporre impugnazioni, considerando comunque opportuna l’individuazione delle regole etiche cui, secondo il comune sentire dei magistrati, deve espirarsi il loro comportamento. Il codice, recentemente innovato, è poco noto e, soprattutto, poco applicato e, nel mio lavoro, ho cercato di fare quanto possibile (convegni, pubblicazioni, diffusione a livello europeo) per diffonderlo. Per il lavoro che facciamo, solo noi stessi possiamo imporci regole (ad es. per i rapporti con la politica e la stampa) che, se imposte dall’esterno, violerebbero il ruolo della giurisdizione. Il codice ha avuto fortuna all’estero, essendo stato recepito in molti Paesi europei e in testi del Consiglio d’Europa. Non so se questioni analoghe si pongano per la Polizia di Stato; comunque fissare dei principi, là dove non ce ne sono, con la precisazione della loro rilevanza solo “professionale” e non disciplinare, non può che essere utile … Quando un poliziotto sbaglia si tende a generalizzare e si pensa che a sbagliare è stata la Polizia; un editoriale di Ernesto Galli della Loggia, recentemente apparso sul Corriere della sera, stigmatizza pubbliche rivalità e protagoni-
smi in seno alla Magistratura ... Galli della Loggia – commentatore autorevole ma non sempre distaccato quando tratta di giustizia – con quell’editoriale del 27 maggio, pur inframmezzando il suo discorso con affermazioni inaccettabili (ad es. la generalizzata accusa ai magistrati di diffondere le intercettazioni telefoniche), ha stavolta espresso anche dubbi condivisibili: non può ammettersi che questioni di natura professionale (nel caso di specie, un contrasto in materia di competenza tra Procure circa le indagini sull’attentato all’esterno della scuola di Brindisi) vengano portate all’attenzione dell’opinione pubblica in maniera eccessiva. Esistevano strumenti giuridici per risolvere il conflitto tra Procure e, se di interesse pubblico (ma vi è da dubitarne), il contrasto stesso poteva formare oggetto, in breve, di un comunicato stampa, senza indulgere a dettagliate interviste televisive … A proposito, posso chiederLe di non pubblicare una mia foto? A ragione o a torto l’Anm viene considerata il Sindacato dei Magistrati: è così? Beh, è sicuramente così, nel senso che l’ANM è “anche” un sindacato. Ma la magistratura deve essere fornita, oltre che di un sindacato, di un’associazione professionale, quale pure è l’ANM,
La giustizia italiana
quale luogo in cui i magistrati possano contribuire in pubblico (cioè trasparentemente) al dibattito sulla giustizia. L’ANM ha ora un bel sito web: www.associazionemagistrati.it. Dia uno sguardo … La sua opinione in merito al ricorso promosso e vinto in primo grado da suoi colleghi di Reggio Calabria contro il blocco dei trattamenti economici dei dipendenti pubblici - una vera e propria tassa - ed il perdurare delle trattenute previste per l’indennità di buonuscita dopo la sua trasformazione in tfr, di cui dovrà occuparsi la Corte costituzionale dopo l’ulteriore recentissimo rinvio del Tar Lazio su ricorso dei dipendenti dell’Agcom? Come dicevo, in magistratura – e sempre più negli ultimi anni che hanno visto penalizzato il trattamento economico dei magistrati, in maniera insostenibile soprattutto per i giovani – vi è una movimentazione “sindacale” in senso stretto, che talora si traduce in iniziative di tutela giudiziaria … Decideranno gli organi competenti … Tornando all’attività giudiziaria, c’è ancora una effettiva utilità del permanere nell’ordinamento dell’obbligatorietà dell’azione penale, alla radice di enormi arretrati che di fatto possono portare ad una discrezionalità dell’azione penale, priva però della regolamentazione dei criteri, delle modalità, dei tempi che l’accompagnerebbero se
fosse prevista dalla legge? Discorso complesso: in sintesi, direi che nel nostro paese l’obbligatorietà dell’azione penale ha ancora un senso, anche se non ci si deve nascondere che i problemi che Lei indica sussistono. Ha un senso perché, anzitutto, non riesco a immaginare che il nostro legislatore che non trova il modo per “ridurre” la lista dei reati, aggiungendone anzi sempre di nuovi – riesca invece ad emanare “criteri di priorità” che, per esempio, dessero la preferenza alla repressione dei reati di un certo tipo, “depenalizzando” di fatto gli altri … L’obbligatorietà ha poi un senso nella tutela dell’eguaglianza dei cittadini: con criteri di priorità ci troveremmo di fronte a reati di serie A e reati di serie B, rispetto a questi ultimi non essendoci però tutela. E ciò rappresenterebbe un rischio anche per le Forze di polizia, che si vedrebbero criticate – come in parte sono già ora – in caso di omissione di indagini o attività di prevenzione circa i reati di serie B… É soddisfacente l’attuale strutturazione del rapporto tra procura e polizia giudiziaria? Questa è una delle questioni più complesse che si possano porre, incidendo sull’attuazione di un precetto della nostra Costituzione che prevede tale rapporto. Inoltre, non ho esperienze di Procura, per cui la mia opinione sarebbe “disinformata”. Da un punto di vista generale, mi sento però di esprimere dubbi sull’opportunità di riforme che,
Conseguiti la maturità classica (Italia) e l’High School Diploma (Usa), e in possesso di laurea in giurisprudenza (Italia), di laurea in scienze politiche (Italia), di Master of Comparative Jurisprudence (Usa) e di specializzazione post-laurea in diritto commerciale (Italia), abilitato alla professione forense, il dott. Raffaele Sabato ha lavorato prima come funzionario della Banca d’Italia e poi come magistrato. Nella magistratura italiana si è occupato in maniera intensa di formazione: membro del Comitato Scientifico del Consiglio Superiore della Magistratura in Italia (19982001), in tale ambito ha seguito in particolare la formazione dei magistrati sui temi della cooperazione giudiziaria internazionale ed europea, della cooperazione in materia civile e della creazione di programmi di formazione giudiziaria sotto gli auspici dell’Unione europea (Rete europea di formazione giudiziaria - EJTN). è stato officiato come esperto del Consiglio d’Europa in una serie di missioni e iniziative nell’ambito di programmi volti a promuovere le riforme nei sistemi giudiziari e i diritti umani (Albania, Azerbaigian, Croazia, Federazione Russa, Georgia, ecc.), nonché la formazione della magistratura (Rete di Lisbona). è stato eletto Presidente del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE), organo consultivo in tema di giustizia nel Consiglio d’Europa, il 25 novembre 2005 con voto unanime. Ha assunto la presidenza del CCJE il 1 ° gennaio 2006 e l’ha tenuta fino al gennaio 2008. Componente per un quadrienno del Comitato direttivo centrale dell’ANM, dal dicembre 2011 si è insediato quale componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura e dal marzo 2012 è consigliere della Corte di cassazione italiana.
quali quelle periodicamente annunciate, volessero recidere il rapporto diretto tra PM e PG, “ritardando” i contatti o sottoponendo gli stessi a “filtri” gerarchici all’interno dell’amministrazione delle Forze dell’ordine. Credo che sia a rischio, in tale ipotesi, anche la valorizzazione del ruolo democratico dell’azione di polizia giudiziaria, che non può ricadere integralmente sotto il controllo dell’esecutivo. Per ultimo, ma non ultimo ... ha fatto bene il Capo dello Stato a sollevare il conflitto di attribuzioni? Direi anzitutto che la lotta alla criminalità, in specie organizzata, e il dovere di accertamento dei reati, anche quelli connessi a fatti ancora oscuri della nostra storia, è e deve essere un impegno di tutte le Istituzioni, la Magistratura e le Forze dell’ordine in primo luogo, le quali – possibilmente senza protagonismi – devono ricercare la verità nell’interesse dei cittadini. Ciò premesso, non credo che si possa dubitare che il Capo dello Stato di tale impegno sia stato sempre protagonista e, come dallo stesso specificato, il conflitto di attribuzioni sia apparso necessitato per chiarire, attraverso la valutazione della Corte costituzionale, un quadro normativo in tema di immunità rispetto all’attività di intercettazione che manca, appunto, di chiarezza. Si tratta quindi di un atto meritorio, che anche per il futuro avrà valenza di guida per le attività di indagine.
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Centri di ascolto Uil
Tante parole che stanno ad indicare fenomeni diversi, ma tutte le tipologie di violenza hanno un’unica origine: l’odio nei confronti di altre persone. Certamente sui giornali emergono i fatti di cronaca macroscopici, nella realtà ogni giorno si verificano episodi di violenza microscopica più frequenti e devastanti per la psiche di chi li subisce, purtroppo i giornali parlano solo dei casi macroscopici mentre le violen-
ze microscopiche vengono dimenticate. Noi come Uil, con i centri di ascolto, diamo voce alle vittime di cui nessuno si occupa: queste persone possono recarsi presso uno dei nostri centri, attivi in tutta Italia, dove certamente troveranno una risposta concreta e fattiva alla loro richiesta di aiuto. Caratteristica specifica del lavoro dei centri di ascolto è avere un protocollo di intervento rigoroso, che viene attivato sia che si tratti di una violenza che avviene sul posto di lavoro, conosciuta anche come mobbing, o che riguardi una violenza nella sfera “affettiva”, detta anche stalking. Il fenomeno del mobbing è inteso come forma di violenza morale o psichica in occasione di lavoro - attuato dal datore di lavoro o da altri dipendenti - nei confronti di un lavoratore. Esso è caratterizzato da una serie di atti, atteggiamenti e comportamenti, diversi e ripetuti nel tempo in modo sistematico ed abituale, aventi connotazioni aggressive, denigratorie e vessatorie tali da
comportare un degrado delle condizioni di lavoro ed idonei a compromettere la salute, la professionalità o la dignità del lavoratore nell’ambito dell’ufficio di appartenenza o, addirittura, tali da escluderlo dal contesto lavorativo di riferimento. Per dimostrare che si sia verificata un’azione di mobbing è necessario che si verifichino una successione di fatti e comportamenti posti in essere sul posto di lavoro al solo scopo di recare danno al lavoratore, rendendone penosa la prestazione; atti che siano condotti con frequenza ripetitiva ed in un determinato arco temporale sufficientemente apprezzabile e valutabile. Il mobbing, da un punto di vista degli orientamenti giurisprudenziali, mancando nel nostro paese una normativa specifica, richiede un elemento oggettivo ed un elemento soggettivo: l’elemento oggettivo riguarda le condotte vessatorie, che devono essere dolose, ossia determinate dalla volontà di nuocere, o infastidire, o svilire un individuo al fine di allontanarlo dal luogo di
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lavoro. Ne consegue che non è dato ravvisarsi un’ipotesi di mobbing laddove lo stress e la prostrazione psicologica del lavoratore derivino dalla “normale” attività lavorativa. Per quanto riguarda l’elemento oggettivo, le condotte vessatorie devono presentare il carattere della sistematicità: ci si deve trovare, cioè, in presenza di una successione di fatti e comportamenti condotti con frequenza ripetitiva e in un determinato arco temporale sufficientemente apprezzabile e valutabile. Ne consegue che, di norma, non è dato ravvisarsi un’ipotesi di mobbing in presenza di un episodio isolato di discriminazione e/o maltrattamento del lavoratore. Il protocollo di intervento nei casi di mobbing si suddivide in quattro fasi: in una prima fase si chiede al lavoratore o alla lavoratrice di raccontare la storia della vessazioni con i riferimenti temporali, quelli patologici e le prove che possono portare a sostegno di quello che raccontano; in una seconda fase si verifica la situazione di mobbing con la categoria sindacale di riferimento; nella terza fase, qualora la situazione di mobbing sia stata accertata, si procede con la relazione psicodiagnostica sullo stato di salute psichica della vittima e nella quarta fase, si procede con un intervento sindacale qualora ci siano le possibilità per intervenire, oppure si procede con un ricorso legale. Il protocollo è rigoroso, perché come sindacato abbiamo l’obiettivo di tutela40
re tutte le persone che si rivolgono ai nostri centri di ascolto. Tutelare significa esprimere solidarietà fattiva nei confronti delle vittime costruendo delle azioni specifiche che non siano foriere di pesanti ripercussioni nella loro vita lavorativa. Per quanto riguarda il fenomeno dello stalking cominciamo col dire che con questo termine ci si riferisce ad una serie di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza, alla ricerca di un contatto e di comunicazione nei confronti di una vittima che risulta infastidita e/o preoccupata di tali intenzioni; anch’esso, secondo la legge 23 aprile 2009, n. 38, richiede un elemento oggettivo ed un elemento soggettivo: l’elemento oggettivo consiste nel fatto che esso è un delitto di evento a condotta vincolata, inoltre la condotta deve possedere necessariamente un duplice connotato: la reiterazione e la minacciosità. L’evento deve presentare tre caratteristiche: 1. Un perdurante e grave stato di ansia; 2. Il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; 3. Alterare le proprie abitudini di vita. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo il delitto è una fattispecie del dolo generico, nella quale non è richiesta una particolare finalità o intenzione in capo al soggetto agente, ma unicamen-
te coscienza e volontà del fatto materiale tipico. Cosa interessante della legge sullo stalking, ovvero della legge degli atti persecutori, è l’istituto dell’ammonimento che vuole essere una misura di prevenzione. L’autore di una condotta lesiva, già in atto, viene richiamato e ammonito affinché interrompa qualsiasi forma di interferenza con la vita della vittima che ha richiesto l’intervento: purtroppo questo istituto presenta luci ed ombre poiché non sempre la vittima riesce a dimostrare le forme di persecuzione e in tale modo non riesce a presentare prove adeguate al fine di mettere in atto tale istituto. Alla luce di tale problematica, in qualità di responsabile nazionale dei centri di ascolto Uil, ho recentemente firmato un protocollo di intesa con la Segreteria Uil Polizia che, dunque, su richiesta dei centri d’ascolto potrà contribuire ad assistere le vittime di stalking nel difficile percorso delle valutazioni propedeutiche alla denuncia. Il protocollo di intervento nei casi di stalking si suddivide in quattro fasi: in una prima fase si chiede a colei o colui che si rivolge ai nostri centri di raccontare la storia della vessazioni con i riferimenti temporali, quelli patologici e le prove che possono portare a sostegno di quello che raccontano; nella seconda fase si assiste la persona nella predisposizione e presentazione della denunciaquerela; nella terza fase, qualora la situazione di stalking sia stata adeguatamente verificata, si procede con la relazione psicodiagnostica sullo stato di salute psichica della vittima e nella quarta si procede con un ricorso legale. Ed è nella seconda fase che potrà intervenire la Uil Polizia, fornendo l’assistenza necessaria per redigere la denuncia e tutte le informazioni tecniche per l’eventuale gestione del caso; si tratta di un’altra delle numerosissime azioni che il Coordinamento nazionale violenza-mobbing-stalking ha posto in essere a favore di coloro che subiscono vessazioni, maltrattamenti ed ogni genere di atti persecutori e di violenza, sia nella sfera affettiva che in quella lavorativa: in una società civile, come dovrebbe essere la nostra, tutto queste cose non possono e non devono trovare alcuna giustificazione.
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Con una cerimonia svoltasi il 14 settembre scorso, in concomitanza con la conferenza sindacale dedicata ai ragazzi del 184° corso allievi agenti della Polizia di Stato, la Uil Polizia di Alessandria ha donato alla Scuola un defibrillatore semiautomatico, consegnato nelle mani del Direttore Bruno di Rienzo dal Segretario nazionale Vincenzo Chianese. La Segreteria provinciale ha dedicato questa iniziativa al collega poliziotto e sindacalista Tommaso Fanelli, prematuramente ed improvvisamente scomparso alcuni mesi fa, all’età di cinquant’anni. Cittadinanza ed autorità hanno manifestato grande interesse: oltre ai figli del compianto Tommy, Andrea e Jessica Fanelli, sono intervenuti il Questore Vicario d.ssa Alessandra Faranda Cordella, il primario del reparto di cardiologia dell’Ospedale di Alessandria dott. Gianfranco Pistis, il Vicario della curia vescovile di Alessandria mons. Guido Ottria, ed il Cappellano della Polizia di Stato, don Augusto Piccoli.
Nel ricordare la figura di colui il quale era stato definito dalla stampa come “anima della Scuola di Polizia” ho rimarcato l’importanza del dispositivo medico donato, che non dovrebbe mai mancare nelle comunità e il cui uso immediato può
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risultare fondamentale per salvare la vita. Come ha ben spiegato ai presenti il dott. Pistis, per i soggetti colpiti da tachicardia sopraventricolare e ventricolare, flutter o fibrillazione ventricolare, l’uso del defibrillatore è essenziale ed è fondamentale intervenire nei primi quattro minuti per evitare che il mancato afflusso di sangue possa arrecare danni irreversibili al cervello. Proprio un evento drammatico come la morte del collega Fanelli, che era anche Segretario provinciale della Uil Polizia, mi ha indotto a contribuire alla diffusione dell’uso dei defibrillatori, che presto dovrebbero arrivare anche presso la Questura, la Polizia Stradale e la Polizia Ferroviaria, con l’obiettivo di rendere più sicura la città, formando il personale nelle tecniche di rianimazione ed all’uso di queste apparecchiature. Nelle altre sedi d’Italia, grazie a donazioni pubbliche e private, gli uffici si stanno dotando di defibrillatori il cui utilizzo, in dieci anni, ha consentito di salvare ben diciannove persone colpite da arresto cardiocircolatorio (vedi in proposito “Quando il poliziotto diventa un angelo” sul n. 4 dello scorso anno – n.d.r.). A Piacenza, che ha fatto da apri pista nell’uso dei defibrillatori, gli operatori di polizia appositamente addestrati hanno potuto salvare sette vite, la Polfer di Bologna due, mentre alla stazione di Roma Termini sono state sei le persone salvate, ed inoltre una al Viminale e ben tre grazie agli interventi tempestivi della Polizia sulle piste da sci di Colfosco, Roccaraso e Belluno.
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Per questo abbiamo ritenuto importante spiegare anche agli agenti in prova il valore della solidarietà, dell’impegno sociale e del soccorso pubblico ed infine, a conclusione della cerimonia, abbiamo scoperto una targa ricordo che intitola alla memoria di Tommy Fanelli la nostra sede all’interno della Scuola.
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Questo mi ha portato nell’ultimo anno a ripercorrere, almeno idealmente, la strada tracciata dai primi “carbonari” impegnati nella lotta per i diritti, cercando di comprendere come, parafrasando Pasolini, i “figli dei poveri venuti dalle periferie, contadine o urbane”, si fossero avvicinati al mondo confederale, cercando in esso quelle certezze venute meno in un contesto sociale in rapido mutamento. All’indomani della smilitarizzazione, una volta ufficializzata la nascita del Sindacato di Polizia, fu possibile compiere un ulteriore passaggio, sviluppando, a fasi alterne, tre aspetti della comunicazione di rappresentanza: quello rivendicativo,
quello identitario e quello di servizio. La nostra storia è stata segnata da momenti in cui lo spirito rivendicativo ha prodotto rapporti comunicativi dalla forte carica emotiva, e fondamentali per forgiare l’attuale sistema con il quale il Sindacato si rapporta con i propri iscritti. Basti pensare ai primi sindacalisti impegnati, alla vigilia della stipula del primo contratto di lavoro (d.P.R. 27 aprile 1984), nella difesa dei valori della riforma. Fu proprio in quel contesto storico che, accanto alla naturale spinta rivendicativa, il sindacalismo maturò un nuovo spirito identitario, trasmettendo ai colleghi dell’epoca gli elementi necessari per svincolarsi dagli schemi comunicativi e linguistici antecedenti alla riforma . Un altro scenario storico, più vicino ai giorni nostri, da cui è emerso un
forte richiamo alla rivendicazione, è quello rinchiuso nel documento del 19 ottobre 2006 redatto dal “Cartello”, a firma di ben sette Segretari generali di diverse organizzazioni, dove accanto a temi come il rispetto della dignità professionale dei Poliziotti, si chiese a gran voce in riconoscimento della specificità lavorativa. Comunque, quello che più interessa analizzare, oltre alla sintesi storica, è il modo attraverso il quale il Sindacato dei giorni nostri comunica con i Poliziotti e il mondo esterno al proprio raggio d’azione professionale. Oggi, più che mai, i sistemi informativi sindacali sono molti e di difficile controllo; anch’essi sono un prodotto dei giorni nostri, gestiti nella consapevolezza che i
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Nuovi sistemi di comunicazione e...
Poliziotti, i destinatari finali dei flussi comunicativi, non sono più i “figli dei poveri”, ma come il resto degli italiani, hanno innalzato notevolmente il loro livello culturale e di scolarizzazione, capaci di ricevere messaggi e stimoli assai più articolati di quelli utilizzati nei decenni passati. Con l’affermazione del web, ad esempio, le news si diffondono su tutto il territorio nazionale con estrema velocità, in un sistema in
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cui ogni velina trova breve vita sui monitor dei computer dei colleghi, perché rimpiazzata da un’altra più giovane e fresca notizia. A ciò si aggiungono le informazioni, più o meno ufficiali, che viaggiano attraverso al rete dei social network, dei forum e dei blog ed attraverso le mailing list e gli sms. Si tratta, principalmente, di comunicazione di servizio: una sorta di ciclone mediatico, che si affida principalmente ad un tipo di infor-
mazione “mordi e fuggi”. Spesso temi di immediato consumo per il destinatario, come ad esempio il pagamento di arretrati stipendiali, i trasferimenti del personale ed eventi di cronaca e di politica, sono tra gli argomenti più gettonati e ricercati da pubblicizzare. Questo modo di informare, però, nasconde un rischio assai grosso: infatti, “l’informazione di servizio” può essere un limite per l’attività comunicativa, nel momento in cui
... attività sindacali
diviene l’unico contesto in cui si muovono i flussi informativi e l’unico scenario sul quale si fonda il confronto tra il sindacalista ed il lavoratore. Attraverso questo sistema si può sviluppare un meccanismo autoreferente, capace di annullare gli aspetti identitari e rivendicativi della comunicazione sindacale. In pratica il livello comunicativo dei rappresentanti dei poliziotti si riduce a quello di semplici portavo-
semplice e secondario contesto, in cui il vero protagonista è il punto di vista di questo o di quell’altro sindacalista. È chiaro, quindi, che il sistema informativo del Sindacato di polizia è un universo assai complicato, in cui si muovono dei veri e propri professionisti del settore, ma ove mancano ancora delle regole capaci di individuare una corretta gestione della comunicazione. Forse ci si dovrebbe ispirare proprio
zie, suscitando confusione e disinformazione tra i destinatati. Proprio nella giusta misura, allora, risiede la vera strada da seguire nella comunicazione sindacale, senza mai perdere di vista il senso etico della nostra missione di rappresentanti dei Poliziotti e senza mai dimenticare che oggi i Lavoratori di Polizia, meritano piena cittadinanza nel mondo del lavoro. Per quanto difficile e complicata
ce delle notizie provenienti dal centro, dalla cronaca sindacale regionale e provinciale e degli eventi sociali e politici che riguardano in qualche modo la Polizia di Stato. Come ciascuno potrà immaginare, il pericolo diviene ancora maggiore se questo modo di gestire l’informazione si fonde con elementi di forte matrice identitaria ed ideologica. A tal punto le notizie diventano un
al modello seguito dai “padri fondatori” del Sindacato, tracciando delle linee che permettano di fondare il nostro modo di comunicare su elementi semplici e basilari, capaci di fondere il messaggio identitario e di rivendicazione, senza che nessuno tra i due prevarichi, ed evitando, inoltre, che la normale gestione delle “info” di servizio divenga un’occasione per snaturare le noti-
sia, la strada che noi della Uil Polizia stiamo percorrendo consiste proprio nel cercare di costruire un sistema informativo che offra ai colleghi gli strumenti necessari per sviluppare un punto di vista personale e libero nei confronti di un universo professionale, politico e sociale, a volte troppo distante dalla quotidianità degli operatori di polizia. 49
Ma ancora più grave è quando, per il trasferimento, non viene addetta alcuna motivazione: nel ribadire che, per questo tipo di trasferimento d’autorità, non è indispensabile che questa sia “puntuale ed analitica”, come richiesto in altri casi, il Consiglio di Stato non si è infatti discostato dai principi generali dell’ordinamento, che da un lato impongono la necessità di motivazione ad ogni provvedimento della pubblica amministrazione (Cons. Stato, VI, sent. 28 aprile 2006, n. 4489) e dall’altro escludono che i trasferimenti per ipotetiche “incompatibilità ambientali” possano avere natura sanzionatoria (Cons. Stato, IV, sent. 27 maggio 2002, n. 2895). Un caso particolare e di estrema gravità si concretizza quando ad essere interessati da un trasferimento autoritativo non sostenuto da alcuna motivazione, neanche vaga e generica, sono dei dirigenti sindacali. Quando ciò si verifica e l’Amministrazione dà corso alle richieste del Procuratore senza chiedere formalmente di conoscerne le motivazioni ufficiali, si concretizza, a nostro parere, una condotta antisindacale le cui conseguenze si dispiegano su tutte le organizzazioni sindacali e su tutti gli appartenenti alla Polizia di Stato operanti nell’ambito interessato che, vedendosi privati del loro diritto ad essere efficacemente tutelati, subiranno una vera e propria intimidazione. è evidente infatti che, ove mai fosse accertato che la causa scatenante il procedimento amministrativo finalizzato al trasferimento sia da ricondurre all’attività di rappresentanza dei dirigenti sindacali, si pone in discussione la libertà di rappresentanza da parte del Sindacato stesso nella sua interezza: del Sindacato in quanto tale e non perché si tratti 51
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di una sigla piuttosto che di un’altra. La materia è delicatissima ed è chiaro che non può essere trascurata proprio per l’alta funzione svolta dal Sindacato a tutela dei diritti di ogni aderente e più in generale della categoria; inoltre questa stessa funzione è sempre, salvo sporadiche umane eccezioni, riconosciuta dalla Direzione centrale e dal Dipartimento tutto.
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Discutere di ciò, rimarcare la nobile funzione di rappresentanza nell’ambito della tutela sindacale, ci porta ad avere “memoria” dei passaggi fondamentali che hanno dato vita alla riforma dell’Amministrazione della pubblica sicurezza ed alla nascita, con la Legge 121/1981, della Polizia di Stato. Fare memoria delle intense ed appassionate lotte di natura sia politica che sindacale dei tanti
poliziotti della prima ora, che hanno avuto il merito di aver raccolto le istanze d’innovazione che provenivano dalla nostra Società in continuo divenire, ci offre ancora occasione per riaffermare quei principi e quei valori fondanti di un impegno che, specie oggi, deve essere ripreso con maggior lena al fine di promuovere ancor più questo patrimonio di idee, che diviene progetto e movimento democratico
Garanzie e trasferimenti
ogni giorno di più. Non solo, ma è continua, quasi stressante, la richiesta sindacale di una collaborazione più attiva con le altre Forze di polizia, volta a far intendere a tutti che, per salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica, è necessario avviare i passi concreti di un rapporto sempre più saldo tra Polizia e Società. Ma perché ciò accada è necessario che quello stesso Sindacato che avanza proposte di efficienza del Comparto sicurezza veda difesi i propri rappresentanti non solo dalle norme che ci sono (l’articolo 22 dello Statuto dei lavoratori già dispone che “…il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali … può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza”), ma anche dai gesti e dai comportamenti della stessa Amministrazione.
Come ribadisce proprio il massimo Organo giurisdizionale amministrativo l’attività sindacale deve infatti essere libera, non soggetta ad alcun tipo di ritorsione: “La prerogativa sindacale introdotta dall’art. 22 della L. 300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori, n.d.r.) che prevede che il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente art. 19 della legge citata, dei candidati e dei membri di commissione interna, può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza - riguarda testualmente solo ciascun dirigente di ogni r.s.a.; il precedente art. 19 Stat. lav. poi prevede che rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva” (Cons. Stato, IV, sent. 16 giugno 2008, n. 2983). Il rispetto delle regole è un obbligo per tutti, ma riteniamo che questo obbligo diventi ancor più stringente ed assoluto quando riguarda coloro che hanno la responsabilità di far rispettare le regole anche agli altri.
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Ricordo di Umberto Improta
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ono passati dieci anni dalla sua scomparsa ed il 14 agosto scorso avrebbe compiuto ottant’anni: chi lo ha conosciuto personalmente ricorderà quel suo modo sbilenco di portare la cravatta, il suo sorriso, la sua autoironia, ma soprattutto la passione per il suo lavoro e l’impegno continuo: un poliziotto sempre in prima linea tra appostamenti, irruzioni e con giornate senza orario. Era anche un vero capo, un abile organizzatore ed un funzionario testardo e pieno di fantasia. Poliziotto dal curriculum eccellente, questore di Cosenza, Milano e Roma, funzionario dell’Ucigos e poi prefetto di Napoli, la città in cui era nato nel 1932, Improta è stato testimone diretto e indiretto di quarant’anni della nostra storia. Tantissimi sono gli episodi di cronaca nera, politica e giudiziaria italiana che lo hanno visto protagonista: ad iniziare dal 1960, anno della sua prima nomina, con gli scontri di piazza a Genova per impedire il congresso del Movimento Sociale, e poi la strage di piazza Fontana a Milano e il rapimento Moro, ed ancora la strage di Bologna e il delitto del sostituto procuratore Vittorio Occorsio,per arrivare alla stagione di tangentopoli ed il G7 a Napoli, organizzato in maniera magistrale insieme ad altri interventi che diedero un volto nuovo alla città ed appunto il sequestro da parte delle Brigate Rosse del generale americano James Lee Dozier, vice-comandante delle Forze Armate di Terra della Nato per il Sud Europa, per le cui indagini e liberazione, avvenuta come accennavamo il 28 gennaio 1992, Improta ha avuto un ruolo di assoluta rilevanza. La sua carriera sarebbe stata sicuramente ancor più prestigiosa se nel 1995, a seguito di un avviso di garanzia ricevuto per presunte irregolarità nella concessione di licenze ad istituti di vigilanza legati alla camorra nel napoletano, Improta non avesse deciso di lasciare l’incarico di prefetto rilasciando una sofferta dichiarazione durante una drammatica conferenza stampa: si dimetteva solo per un sospetto (cosa alquanto “insolita” ai giorni nostri per un rappresentante dello Stato) e cinque anni più tardi veniva assolto da tutte le accuse. Gran parte della sua esperienza di uomo e di servitore dello Stato, di attento osservatore dell’evoluzione storico-politica della società italiana, sono arrivate a chi non ha avuto modo di conoscerlo e di seguire le sue attività, attraverso le pagine del libro/intervista di Piero Corsini “Lo sbirro” (ed. Laurus Robuffo) uscito postumo nel 2004. Il libro è pieno di informazioni e giudizi netti sugli anni di piombo e su tutti gli episodi che lo hanno direttamente coinvolto e su cui il superpoliziotto Improta , che già sentiva la vita sfuggirgli di mano, dal suo punto di vista non ha voluto lasciare ombre. Molto toccante la prefazione del Prefetto De Gennaro, suo strettissimo collaboratore, che definisce la vita di Improta quella “di un funzionario dello Stato che con la stessa coinvolgente passione ama il suo lavoro e la sua famiglia, la cui solida impalcatura è la vera certezza della sua esistenza, che lo sorregge fino alla fine”. Eh si, la famiglia! Quella che, come si legge nel libro di Corsini, ha gioito e sofferto insieme a lui, quella dei sacrifici economici degli anni sessanta, quando tra stipendio e straordinario non si arriva a 95mila lire al mese e l’unico lusso che ogni tanto ci si può concedere, con tre figli, è il cinema con i 60
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l 28 gennaio 2002, proprio 20 anni dopo la liberazione del generale Dozier, che diede lustro in tutto il mondo alla Polizia italiana, il prefetto Umberto Improta si spegne a Roma dopo una breve ma implacabile malattia, una
figura emblematica del dopoguerra sia per l’Italia che per la Polizia di Stato.
Marito, padre e nonno attento ed affettuoso, nonostante il suo fosse un lavoro che lo tenesse molto tempo lontano da casa, è riuscito a trasmettere ai suoi tre figli, grazie soprattutto alla costante ed amorevole presenza della moglie Angela, quei valori in cui egli ha sempre creduto e sui quali ha fondato la sua esistenza. Molto toccanti sono alcune lettere, gentilmente concesse dalla famiglia, scritte negli anni successivi le sue dimissioni da Prefetto di Napoli: la prima del ’96 indirizzata ai suoi cari figli insieme, la seconda del ’97 scritta alla vigilia della partenza per Padova del figlio Maurizio, funzionario della Polizia di Stato. Vogliamo proporvene alcuni brani in cui meglio appare il desiderio di Umberto Improta di essere sempre stato d’esempio e motivo d’orgoglio per i suoi ragazzi, ed il suo enorme rammarico per aver procurato loro, involontariamente, del dolore. “ Ai miei cari figli… …Oggi ho ricordato, che sin da ragazzo, ho sempre studiato e lavorato con impegno, amore e onestà per rendere felice anche gli altri e, più tardi, voi e tutta la famiglia. Ho ricordato di aver sempre ritenuto di dover lavorare, perché era ed è giusto lottare per aiutare, rendere, nel possibile, sereni e felici tutti e tra questi i figli, affinché fossero sempre orgogliosi del padre, del suo impegno, della sua desizione, della sua condotta, esempio unico e vero punto di riferimento per chi vive credendo nel domani… Con grandissimo affetto Papà - Roma, 5 settembre 1996”
Ricordo di Umberto Improta
biglietti omaggio della questura, oppure focaccia, prosciutto (di gambetto perché meno costoso) e vino in un ristorantino di via XX settembre a Genova. Racconti che avvicinano i primi anni della famiglia Improta a quella che, anche oggi, è la realtà di tante famiglie di poliziotti e di italiani, costrette a molte rinunce per arrivare alla fine mese. Solida ed unita, la famiglia del Prefetto Umberto Improta la vedova Angela insieme ai figli Maurizio e Massimo, funzionari della Polizia di Stato, ed alla figlia Elena - ha fortemente voluto e creato una fondazione ed un premio intitolati alla memoria del loro esemplare congiunto. Così ogni anno, e con questo si è giunti alla nona edizione, nella sede della Scuola Superiore di Polizia a Roma , viene assegnato il prestigioso riconoscimento ad quei poliziotti che durante la loro attività si sono particolarmente distinti per aver dato prova di “elevata professionalità”, “non comune determinazione operativa” e “sprezzo del pericolo”. Tutte qualità che hanno contraddistinto in ogni occasione la vita dello sbirro Umberto Improta, un uomo che ha sempre lavorato per lo Stato e con lo Stato, cui è stato anche dedicato un giardino nella Capitale, su via dell’Amba Aradam, ma che non ha mai amato essere definito eroe: “Non sono un eroe diceva - gli eroi si vedono nelle circostanze eccezionali. Però quel poco che ho fatto per il mio Paese l’ho fatto con amore”.
“Carissimo figlio, voglio salutare la tua partenza per Padova con parole non mie….ma con quelle di san Francesco … « Che il Signore faccia di te uno strumento di Pace, d’Amore, di Perdono, di Speranza e soprattutto di Verità, di Luce e di Gioia, senza che tu cerchi tanto, ma solo di amare e di essere amato». …ritengo che più di tanto non posso desiderare per te che, come tua sorella e tuo fratello, sei l’espressione vera e concreta dell’onestà e la bontà. … Tantissimi ringraziamenti per avermi sempre seguito e, forse, anche compreso, sopportando serenamente gli eventi… che, certamente non per mia volontà e colpa, hanno procurato a te ed a tutta la famiglia non trascurabili ferite… Roma, 26 settembre 1997”.
XXX Olimpiadi Londra 2012
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primi due fantastici ori li ha portati a casa un’agguerrita Elisa Di Francisca nel fioretto individuale ed a squadre insieme alla tenacissima e mai doma Valentina Vezzali che ha conquistato anche il bronzo nell’individuale. Nella gara individuale la Di Francisca ha battuto in finale la compagna di squadra, il carabiniere Arianna Errigo, cui è andato l’argento, mentre la Vezzali ha realizzato un piccolo miracolo: fortemente motivata dal suo ruolo di portabandiera azzurra, come sembra abbia dichiarato, è riuscita a compiere un’entusiasmante rimonta contro la coreana Nam, nella finale per il bronzo. Le due poliziotte jesine hanno raggiunto la vetta dell’Olimpo nel fioretto a squadre battendo le schermidrici russe. Un’altra medaglia d’oro l’ha conquistata una giovane e concentratissima Jessica Rossi, protagonista di una gara storica nel tiro a volo, specialità Trap. La campionessa cremisi non solo è salita sul gradino più alto del podio, ma ha sbaragliato tutti i record olimpici e mondiali, sia in fase di qualificazione che in finale, forte di un’impeccabile preparazione sia tecnica che psicologica. Tenacia e forza di volontà che le vengono sicuramente dalla sua terra, la
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splendida e laboriosa Emilia, colpita a maggio scorso dal terremoto, a cui Jessica Rossi ha dedicato la sua favolosa vittoria. Che dire poi dell’argento di Roberto Cammarelle: più di tre milioni di italiani hanno assistito alla plateale ingiustizia subita nella finale disputata contro l’atleta di casa Joshua. Per tutti noi quella medaglia ha il valore di un oro, soprattutto per il fair play dimostrato dal nostro campione di fronte ad un verdetto che lo ha visto incredibilmente privato della vittoria in un match che lo aveva decretato superiore al suo avversario nei primi due round. Respinto il ricorso presentato dalla delegazione azzurra, a Roberto Cammarelle resta la consolazione di aver aggiunto al suo palmarès olimpico, bronzo di Atene e oro di Pechino, anche l’argento di Londra. Medaglia di bronzo a Martina Grimaldi, altra giovanissima atleta cremisi che, con la sua prestazione nel nuoto di fondo in acque libere, ha riscattato la poco convincente performance della squadra di nuoto azzurra a queste Olimpiadi. La poliziotta bolognese ha condotto una gara sempre nel gruppo delle prime cinque e sul finale è
penti i riflettori sulle coloratissime Olimpiadi di Londra, è tempo di bilanci per la rappresentativa italiana e soprattutto per le Fiamme oro: gli atleti azzurri hanno portato a casa una medaglia in più rispetto a Pechino, ventotto in tutto, e sette le hanno messe al collo atleti cremisi, quindi circa un quarto del totale del medagliere italiano. Il bilancio è ancor più lusinghiero se si pensa che quasi la metà delle medaglie d’oro le hanno conquistate proprio atleti della Polizia di Stato. 64
riuscita ad impedire il sorpasso all’inglese Payne, fortemente incitata dal pubblico di casa, conquistando così una meritatissima terza posizione, suggellata da un urlo liberatorio lanciato non solo a conclusione della gara olimpica, ma di un intero anno di intenso lavoro e sacrifici, come lei stessa ha dichiarato. Ricordiamo che altri atleti delle Fiamme oro hanno ben figurato, rimanendo ad un gradino dal podio, come Elio Verde nel judo, Lorenzo Carboncini nel canottaggio “2 senza” e Daniele Greco nel salto triplo, senza dimenticare il quinto
FIAMME d’ORO
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posto di Gregorio Paltrinieri nella finale 1500 stile libero ed il settimo posto conquistato dal duo Giulia Lapi e Mariangela Perrupato nella finale del nuoto sincronizzato. Tanti sono stati gli atleti cremisi che hanno sfiorato le finali nelle loro specialità, ma dobbiamo riconoscere che tutti i “Magnifici 31” uomini e donne della Polizia di Stato che hanno partecipato alle Olimpiadi di Londra hanno dimostrato grande valore sportivo e umano ed a loro va il nostro ringraziamento … Arrivederci a Rio de Janeiro ragazzi!!
ome abbiamo ricordato nel n.2/2012 di Pubblica Sicurezza, da quest’anno sono entrati a far parte della grande famiglia del gruppo sportivo delle FFOO anche tre atleti paralimpici e tra la compagine italiana presente alle Paralimpiadi di Londra 2012 hanno ben figurato due dei neo-tesserati atleti cremisi, gli schermidori in carrozzina Alessio Sarri (fioretto e sciabola) e Andrea Macrì (fioretto e spada). Il romano Sarri, dopo un sesto posto ad Atene 2004 ed un quinto a Pechino 2008, ha conquistato una splendida medaglia di bronzo alla sua terza Paralimpiade, nella gara di sciabola individuale, andando ad arricchire sia il medagliere paralimpico italiano (eguagliate le 28 medaglie conquistate dagli atleti normodotati, ma con un oro in più), sia quello glorioso del gruppo sportivo della Polizia di Stato, che si conferma la società sportiva italiana con più medaglie olimpiche al suo attivo. Inoltre Alessio Sarri ed Andrea Macrì, gareggiando insieme nella squadra di fioretto, sono giunti quarti e perciò ad un passo dal podio, risultato che conferma, ancora una volta, il ruolo da protagonista dell’Italia e delle Fiamme oro nel panorama mondiale della scherma.
FIAMME ORO IL MEDAGLIERE DI LONDRA 2012 MEDAGLIE D’ORO Elisa Di Francisca - Scherma (fioretto individuale) Elisa Di Francisca - Scherma (fioretto a squadre) Valentina Vezzali - Scherma (fioretto a squadre) Jessica Rossi - Tiro a volo (fossa olimpica)
MEDAGLIE D’ARGENTO Roberto Cammarelle - Pugilato - Supermassimi (kg. +91)
MEDAGLIE DI BRONZO Valentina Vezzali - Scherma (fioretto individuale) Martina Grimaldi - Nuoto di fondo (10 km in acque libere) Alessio Sarri – Scherma in carrozzina (sciabola individuale)
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