La nebbiosa - progettazione di un libro visivo @Politecnico di Milano

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le Silerchie



Pier Paolo Pasolini

La Nebbiosa

Prefazione di Alberto Piccinini


Grafica Progetto: Maria Teresa Pansino Font: Dante MT, Giovanni Mardersteig, 1955, ©Monotype Carta interno: Gmund, Cotton new grey 110gr/m² Carta copertine: Canson, Mi-teintes, Gris perle, noir 160gr/m² Sovraccoperta: Fedrigoni, Golden Star K, Extra white 200gr/m² Stampa grimm service s.n.c. via Candiani 114, 20158 Milano isbn 978-884281944-8 Edizioni il Saggiatore Sito & eStore - www.ilsaggiatore.com Twitter - twitter.com/ilSaggiatoreED Facebook - www.facebook.com/ilSaggiatore ©ilSaggiatore S.r.l., Milano 2013


il lato teddy boy di ppp Nel novembre del 1959 Pier Paolo Pasolini è a Milano. Scrive dal vero la sceneggiatura di un film ambientato nel mondo dei teddy boys. «Venti atroci giorni chiuso in un alberghetto a lavorare come un cane» ricorderà l’anno successivo su Paese sera quando il film è fermo e lui ha strappato soltanto «la prima metà del prezzo pattuito». «La seconda metà si chiede rassegnato l’avete vista voi?»¹ Non sappiamo per quali vie avesse incrociato il produttore Renzo Tresoldi, un industriale milanese «di famiglia ricca e onorata, da far conoscere a Gadda»,² il cui nome appare per la prima e unica volta in ambito cinematografico. I giovani registi Gian Rocco e Pino Serpi sono invece «due ispirati», detto con sarcasmo nel ricordo di quell’impresa fallimentare su Paese sera. All’epoca Rocco e Serpi avevano firmato un solo lavoro, Carosello spagnolo, di stile turistico-documentario. Milano nera, questo il tiolo finale del film per il quale Pasolini era stato chiamato a scrivere la sceneggiatura, uscì nel settembre 1963 in un’unica sala del capoluogo lombardo, per cinque giorni soltanto. Un flop. Gian Rocco sarebbe tornato al cinema nel 1967 con Giarrettiera Colt, spaghetti western girato a Oristano che ha guadagnato di recente uno status di culto per via della protagonista femminile (caso unico nel 5


genere) interpretata dall’attrice Nicoletta Machiavelli, ispirazione per il personaggio di Uma Thurman in Kill Bill di Quentin Tarantino. Di culto, a suo modo, è anche Milano nera: per il titolo così in anticipo rispetto ai «polizieschi» anni settanta, per il ritardo nei confronti di certi giovanili biker movies di serie B, per il suo essere un film fuori genere, sghembo e sbagliato. Cult una volta appurato che lo sceneggiatore (e anche qualcosa di più), quasi tirato per la giacca nei titoli di testa, è Pier Paolo Pasolini. Bisognerà attendere il 1995 perché qualcuno si accorga di Milano nera. Complice il fortunoso ritrovamento della sceneggiatura originale che lo stesso Pasolini, forse per non buttar via del tutto due mesi di lavoro, aveva inviato a Edoardo Bruno, direttore di Filmcritica, autorizzando la pubblicazione di qualche scena. Della rivista romana Pasolini era saltuario collaboratore: vi pubblica parte del suo copione della Notte brava, analizza La dolce vita, commenta i propri film in lunghe e dense conversazioni e così via. In generale, alla fine degli anni cinquanta il rapporto tra lo scrittore e il cinema ha un’improvvisa accelerazione. Il soggetto e la sceneggiatura della Notte brava di Mauro Bolognini sono ispirati a Ragazzi di vita nei personaggi, nell’ambientazione e nello schema narrativo: l’azione copre una notte intera, come accadrà pure nella Nebbiosa. Due anni prima le medesime storie erano state abbozzate nella collaborazione con Federico Fellini per Le notti di Cabiria, e in quello stesso 1959 Pasolini aveva fornito al regista riminese alcune scene per La dolce vita. Consulente «di strada» per i dialoghi è – in entrambi i casi – Sergio Citti. Ma il materiale per Fellini fu scartato durante la lavorazione del film. «Ormai sono proprio a Roma» commenta Pasolini in un pezzo ironico su quell’esperienza.³ Del 1959 è la collaborazione, anch’essa sfortunata, a Morte di un amico di Franco Rossi. Ancora la storia di un «pappone», ispirata alle gesta di un ragazzetto della Garbatella che Pasolini conosce da qualche anno e ha rivisto di recente. «Uno degli eterni adolescenti romani […] con tutta la sua allegria da giovane malandrino […]. Era proprio il suo destino morire» ricorderà poi.4 Sempre con l’aiuto di Citti scrive una sceneggiatura «dura, forte, tetra», già vicinissima ad Accattone. La morte finale di uno dei protagonisti, aggiungiamo, sarà anche il «colpo di teatro» della Nebbiosa. Ma il 6


produttore non l’accetta, e dopo una scenata isterica ci fa rimettere le mani da un altro sceneggiatore. Pasolini ritira la firma, poi si sfoga: «Tutto era stato involgarito, sfatto, smussato, addolcito».5 Il film è un flop. Un’altra collaborazione che vale la pena ricordare è quella per Le notti dei teddy boys con gli sceneggiatori Elio Petri, Tommaso Chiaretti e il regista Leopoldo Savona. Il film esce nelle sale in quei giorni. In fase di sceneggiatura Pasolini, lo ricorda lo stesso regista, aveva fornito «delle idee, qualche paginetta con lo schema dei personaggi, il loro nome il loro background sociale».6 In un celebre saggio, già articolo uscito su Vie nuove, Pasolini scrive: «Si è tenuto recentemente a Venezia un congresso di «uomini illustri» sul problema della gioventù traviata; da questo congresso è risultato chiaro perché esistono i teddy boys: voglio dire non dai lavori e dalle discussioni del congresso, ma dal congresso stesso, dalla sua presenza: tanta presunzione pedagogica, tanta cecità reazionaria, tanto sciocco paternalismo, tanta superficiale visione dei valori, tanto represso sadismo, non possono che giustificare l’esistenza, in molte città italiane, di una gioventù insofferente e incattivita. Con simili padri ideali – perché è chiaro che la media dei padri è fornita dalla media dei partecipanti a quel triste congresso – i figli non possono che nutrire disprezzo per la morale vigente: disprezzo non critico, naturalmente, e quindi anarchico, improduttivo, patologico. Alla superficialità rispondono con la superficialità, alla crudeltà con la crudeltà. In effetti sono proprio i teddy boys i figli reali dei nostri avvocati, dei nostri professori, dei nostri luminari».7

La lunga citazione spiega bene qual è il punto di vista di Pasolini poco prima di mettersi a lavorare «sul campo» a Milano. I teddy boys italiani sono selvaggi piccolo borghesi, figli di ex fascisti, esemplari d’avanguardia della stessa omologazione che continuerà a raccontare e analizzare negli anni successivi con angosciata e crudele precisione. Vivono nelle città del Nord, non in quelle del Sud. Spiega ancora lo scrittore, con il puntiglio del sociologo: 7


Il ragazzo traviato con caratteristiche tipiche e moderne ha il suo modello a Londra, New York, nei paesi scandinavi: ossia in società puritane, e ad alto livello civile. Già il teddy boy francese è una variante meno perfetta (se vogliamo guardare le cose con distacco scientifico): in quanto appartiene a una società di alto livello sì, ma cattolica.8

Tanta precisione classificatoria, tuttavia, non nasconde una specie di lontana simpatia dello scrittore per quella «gioventù insofferente e incattivita». Un’attenzione verso i figli, non certo verso i padri gli consente di tornare nei luoghi che più gli stanno a cuore: le borgate romane. La definizione «teddy boy» era iniziata a circolare nei giornali italiani attorno ai primi anni cinquanta per descrivere le gesta criminali della banda di Paolo Casaroli, spietato bandito ventitreenne, ex della Decima Mas con un debole per Nietzsche, D’Annunzio e Sartre. Alla fine del decennio, la «delinquenza giovanile» di stampo metropolitano è diventata un problema sociale più che politico, o almeno viene percepita come tale da giornali e osservatori, al punto da attirare l’attenzione del governo. Ecco le parole del ministro di Grazia e Giustizia Guido Gonella, democristiano, nell’annunciare un disegno di legge per la repressione del fenomeno, presentato proprio alla fine dell’estate del 1959: «Anche l’abito fa il monaco; la blusa nera e i calzoni d’oltreoceano costituiscono una specie di immunizzazione morale di questo esercito di gaglioffi».9 Contemporaneamente, l’emergere del rock’n’roll anche in Italia conferisce alla figura del teddy boy una luce più lieve e sdrammatizzante, quasi un tocco da commedia riflesso al cinema nei primi musicarelli come I teddy boys della canzone di Domenico Polella. Teddy Girl è il titolo di una canzone di Adriano Celentano scritta nel 1959 dal paroliere Luciano Beretta, e contemporaneamente eseguita dai Due Corsari, Giorgio Gaber e Enzo Jannacci. Il rock’n’roll aiuta a stemperare i toni: «Oh Teddy Girl pupa in technicolor/ Oh Teddy Girl c’è un juke box nel tuo cuor». Pasolini ama Celentano, e quei versi finiscono di peso nella sua sceneggiatura. Secondo una testimonianza mai confermata avrebbe anche incontrato il cantante in quei giorni passati a Milano per 8


convincerlo a partecipare al film, senza però trovare un accordo. È certo invece che anni dopo andò a trovarlo assieme a Ninetto Davoli – quasi un pellegrinaggio – per proporgli un film ispirato al Ragazzo della via Gluck, mai realizzato e passato nel novero delle leggende dalla cultura pop italiana. Così una didascalia nella Nebbiosa inquadra la citazione di Teddy Girl: «Nella macchina davanti, mentre il Teppa guida, Toni canticchia una canzone da urlatore».10 E subito sopra: «Visioni di Milano, inquadrate dalle macchine in corsa. Rapide, fulminee. È l’ultima notte dell’anno».11 Il Teppa, Toni detto «Elvis», il Contessa, Mosè, il Gimkana, Rospo della banda è il capo, il suo fratellino Cino. I teddy boys della storia, i loro nomi almeno, sono tutti veri. Appena arrivato a Milano, Pasolini ha chiamato suo cugino Nico Naldini che l’ha messo in contatto con Umberto Simonetta, autore di rivista e futuro paroliere per Giorgio Gaber del Cerutti e dei Trani a gogò. Perché Simonetta ha un amico teddy boy: Giuseppe Pucci Fallica detto Gimkana, diciottenne. Questi, con l’amico Paolo Uguccione detto «El Lobo», ventenne, introduce lo scrittore negli ambienti di cui è curioso, risalendo la città dalla periferia al centro, dai trani del quartiere Ortica alle sale giochi di Porta Venezia. Ben presto Pasolini chiede ai due ragazzi di collaborare alla stesura dei dialoghi: trasferisce così a Milano gli schemi di presa diretta del parlato che aveva già collaudato a Roma, con Sergio Citti. Tanta ricchezza di sfumature nei registri dei dialoghi (dallo slang al dialetto al birignao borghese) forse al produttore e ai registi interessava fino a un certo punto. A lui invece sì. Furono gli stessi Pucci Fallica e Uguccione, dopo la pubblicazione della sceneggiatura nel 1995, a farsi vivi col Corriere della Sera per raccontare altri particolari di quei venti giorni milanesi, fino ad allora trascurati nelle biografie dello scrittore. Di notte in giro per bar, di giorno nei mercatini: «Ci chiedeva sempre di portarlo alla fiera di Sinigallia: era un collezionista di ex voto che, diceva, per lui rappresentavano la vera arte» ricordava uno di loro.12 Per completare il lavoro, poi, Pasolini chiede il permesso ai genitori dei ragazzi di portarli con sé a Roma, e lo ottiene. Un incidente con la sua 1100 verde gli fa momentaneamente cambiare programma. 9


«Mi lasciò l’auto da portare a riparare» ha ricordato Pucci Fallica «e partì solo con Paolo.» «Facemmo varie tappe» è il racconto di quest’ultimo. «A Bologna Pasolini doveva tenere una conferenza. Era un pubblico di comunisti sfegatati e il suo linguaggio pacato li deluse. Si andava a cena dai suoi amici e nessuno mi presentava. Semplicemente imponeva la mia presenza, senza dare spiegazioni. Tutti mi trattavano con riguardo, senza fare domande. Discuteva di filologia, o delle liriche greche che stava traducendo. Per me era più importante Little Richard.»13 Il terzetto si ricompone qualche giorno dopo a Roma. Alcuni elementi del viaggio, la lunga osservazione partecipata del mondo dei teddy boys, la reazione chimica – diciamo così – tra questi e la mondanità borghese si possono leggere facilmente nella sceneggiatura della Nebbiosa. Che risulterà per questo piena di vezzi d’autore, dialoghi molto al di là della superficialità spettacolare nei confronti del «disagio giovanile», poco adatti – probabilmente – alla spiccia macchina-cinema italiana di quegli anni. toni (eludendo la discussione con una certa volgarità) Ma dai, piantala lì, cosa vuoi che me frega a me del comunismo, fascismo, democrasia… Per me possono andare a buttarsi nel naviglio tutti quanti!... rospo (ostinato) Perché, io ti ho mica visto alla festa dell’Unità? Lì, a spellarti le mani a applaudire quegli esaltati che stavano urlando là dentro… toni Ma va, che io sono andato lì a ballare, a sentire il Celentano, cretino!14

È davvero curiosa l’immagine di questo terzetto – Pier Paolo Pasolini, il Gimkana ed El Lobo – che per un mese intero frequenta cene e occasioni sociali romane con Moravia e la Morante, Giorgio Bassani, Alberto Arbasino, Elsa De Giorgi, Adriana Asti, Tomás Milian. Lo scrittore non dimentica neppure di avventurarsi con loro nelle borgate, e non è chiaro quale dei due fosse il contesto 10


più straniante. Comunque non passano inosservati. Dagli archivi, ancora di recente, spuntano interi servizi fotografici dimenticati. ne nasce persino uno sandaletto a sfondo promozionale, questo almeno il sospetto di un sempre più esasperato Pasolini nei confronti della produzione del film: «Il bello è che i due ispirati hanno fornito a un giornale scandalistico del materiale fotografico del film in cui c’erano dei ragazzi che io avevo appena conosciuto: dei teddy-boys, appunto, pregiudicati e in attesa di giudizio. Uno è finito in prigione per precedenti reati: e, dalle didascalie, risultava che a metterlo sulla cattiva strada ero stato io, che avrò passato in sua compagnia sì e no quattro ore per “mimarlo” nella sceneggiatura».15 A Roma, alloggiati in albergo a spese della produzione – così almeno immagina Pasolini – i teddy boys passano le giornate in casa dello scrittore a Monteverde. Ricorda Uguccione: «Lavorava con una risma di fogli bianchi davanti. Scriveva, appallottolava e si laniava la carta alle spalle. Sua madre, silenziosa, girava con un cestino dietro e raccoglieva quelle pallottole di carta sparse. Poi ci preparava da mangiare. Noi mimavamo le scene o recitavamo i dialoghi».16 La Nebbiosa viene scelto da Pasolini come titolo definitivo della sua sceneggiatura. Ma gli appunti nel manoscritto conservano altre idee: La rovina della società, La ballata del Teppa, La notte del Gogna, Il Rospo si diverte, I romanici, I goti, La polenta con le sevizie. Nico Naldini ricorda ancora un altro titolo, Polenta e Sangue. «Me lo spiegò così: questi ragazzi sono dei sanguinari pur essendo dei polentoni».17 La storia è ambientata in una notte sola. La più «brava» di tutte, quella di Capodanno. In un turbinare di motociclette e macchine rubate, la ghenga di teddy boys fa festa a modo suo. Costringono a un brutto quarto d’ora una coppietta – ricco commerciante e segretaria – sorpresa a far l’amore in una macchina in un prato. Rubano i gioielli che addobbano la madonnina di una chiesa di campagna e li regalano a una barbona di passaggio. Vanno a trovare un amico maggiordomo in una villa di signori, e fanno una grande mangiata. Rapiscono tre signore impellicciate, le coinvolgono in un’orgia spaccona e ubriaca. Ballano il rock’n’roll al night. Caricano in macchina un omosessuale di passaggio, per poi spo11


gliarlo e bruciare i suoi abiti. Teppa muore infine mentre due degli amici stanno suonando uno spiritual per la sua ragazza, colpito da un proiettile sparato per sbaglio dal giovanissimo Cino (il finale del film Milano nera è diverso, ugualmente drammatico, e si svolge dentro il catino vuoto di San Siro oi teddy boys sugli spalti alle prime luci del mattino). Pasolini non ama Milano quanto Roma, ma non ne sottovaluta le potenzialità cinematografiche È già regista, non solo sceneggiatore. Le indicazioni di regia della Nebbiosa hanno un tono poetico, ispirato. Nella futuribile Metanopoli, dalle vetrate del bar dove si riunisce la banda si gode «un panorama crudele di file di luci e palazzi di vetro, simili a globi di chiarore». In una scena successiva, i grattacieli Galfa e Pirelli fanno da sfondo lontano alle viuzze del Naviglio: il nuovo skyline di Milano si va componendo. I grattacieli «sono immagini stupende: sfolgorano di luci come giganteschi diamanti, come colossali fantasmi pietrificati». Il dialogo di tre signore di via Montenapoleone, successivo alla didascalia, recita così: voce di signora

(F. C.) Stupendi, neh!

voce di seconda signora grassa (F. C.) Eh, anche il progresso c’ha le sue bellezze… L’accento è milanese, ma sofisticato: da signore di via Montenapoleone. Ecco, contro la straordinaria visione, si disegna la voce di una terza signora. voce di iii signora (F. C.) Sembra un Braque… No, anzi, un Léger…18

Pasolini sembra divertirsi a giocare al contrasto tra una Milano luccicante, ricca, cialtrona, orrendamente borghese dove «se cadi, non ti aiuta nessuno», secondo il luogo comune del tempo, e la disperata vitalità dei «suoi» teddy boys. In una delle scene finali, questi fanno irruzione in un night club. Recita la particolareggiata didascalia: «Davanti all’elegante pubblico che ascolta, divertito più che per altro per dovere, la cantante Laura Betti canta una 12


delle sue canzoni intellettuali. Sui suoi capelli biondi, di giaguara, splende la luce del riflettore: ed essa, con nevrotica dolcezza, con concentrata nonchalance, canta i versi di una canzonetta di Moravia».19 La scena irride alla doppia stupidità dei commenti del direttore del night («Questa è la democrazia») e di un portinaio povero cristo («Eh, gaverèven bisogn de un pu de bott!») di fronte alla gang di motociclisti. In fondo, è anche un piccolo scherzo da sceneggiatore giocato ai suoi stessi amici. Laura Betti di fronte a quell’inclusione nel film cadde dalle nuvole. In tanti anni di frequentazioni, Pasolini non gliene aveva mai parlato. Ma neppure dell’avventura di Milano nera parlò più, e preferì dimenticare l’ennesimo fallimento col quale terminava il suo periodo di apprendistato nel mondo del cinema. Interessante resta il tentativo di tenere insieme i registri dell’osservazione sociale, del rock’n’roll, ma pure dell’obbligata e crudele satira verso la Milano del boom. Oltremodo affascinante, infine, la storia del viaggio a Milano e Roma coi teddy boys. Tanto che un progetto sia pure abortito come La Nebbiosa arricchisce ulteriormente la figura dello scrittore in quegli anni. Strappa tanto moralismo che affligge come un tarlo l’eredità dei suoi scritti e delle sue analisi, per restituirci un artista capace di attraversare con curiosità, entusiasmo, spericolatezza tutta la realtà contemporanea, affrontata ogni volta – anche la più apparentemente banale – con l’azzardo di una specie di viaggio iniziatico. Il lato teddy boy di PPP. Alberto Piccinini 1 Pier Paolo Pasolini, «Cronaca di una giornata», in Paese sera, 2-3 dicembre 1969, poi in Storie della città di Dio, Einaudi, Torino 1995, pp. 143155; ora in Romanzi e racconti I, Mondadori, Milano 2006, pp. 1585-1598. 2 Pier Paolo Pasolini, Romanzi e racconti I, cit. 3 Pier Paolo Pasolini, «La lunga strada di sabbia», in Successo, luglio-settembre 1959, p. 33; cit. in «Pierpaolo Pasolini sceneggiatore» di Gaetano Gentile su frameonline.it [ora disponibile su http://www.pasolini.net/saggistica_PasoliniSceneggiatore.htm], al quale rimando per una storia dell’apprendistato cinematografico di Pasolini; Pier Paolo Pa-

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solini, La lunga strada di sabbia, Contrasto, Roma 2005. 4 Pier Paolo Pasolini, «Puzza di funerale», in Reporter, 16 febbraio 1960. 5 Pier Paolo Pasolini, «Puzza di funerale», cit. 6 Stefania Parigi, «Su Pasolini sceneggiatore», in Lino Miccichè (a c. di), Il bell’Antonio di Mauro Bolognini, Lindau, Torino 1996, pp. 191-205. 7 Pier Paolo Pasolini, «La colpa non è dei teddy boys», in Vie nuove, n. 4, 10 ottobre 1959; poi in Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999, pp. 92-98. 8 Pier Paolo Pasolini, «La colpa…», cit. 9 Intervista a Oggi, settembre 1959; cit. in Guido Crainz, Storia del miracolo italiano, Donzelli, Roma 2005. 10 Pier Paolo Pasolini, La Nebbiosa, il Saggiatore, Milano 2013, p. 41. 11 Ibidem. 12 Testimonianza raccolta da Gian Paolo Serino in «Le nostre notti brave con Pasolini», in la Repubblica, 13 gennaio 2007. 13 Testimonianza raccolta da Elisabetta Rosaspina, «Noi ragazzi di Pasolini nei trani a gogò», in Corriere della sera, 14 febbraio 1996. 14 Pier Paolo Pasolini, La Nebbiosa, cit., p.74. 15 Pier Paolo Pasolini, «Cronaca di una giornata», cit. 16 Pier Paolo Pasolini, «Noi ragazzi di Pasolini nei trani a gogò», cit. 17 Testimonianza resa all’autore, «Milano nera», in il manifesto, 7 febbraio 1996. 18 Pier Paolo Pasolini, La Nebbiosa, cit., pp. 83-84. 19 Pier Paolo Pasolini, La Nebbiosa, cit., p. 169.

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la nebbiosa



bar metanapoli Interno. Sera. Un luccicante bar della zona Metanopoli: splende il neon sulle vernici, sui metalli. Dalle grandi invetriate si vede l’esterno: un panorama crudele di file di luci e palazzi di vetro, simili a globi di chiarore. Un ragazzo si avvicina al telefono, a una parete violentemente maiolicata, astratta. È il Rospo. Un ragazzo biondiccio, coi capelli corti corti sulla faccia quadrata e intelligente: un solo spizzico di ciuffo sulla fronte. Ha la sigaretta “incollata” tra le labbra. Non è quello che si dice un fusto: ma solido, quadrato e scattante, nella sua narcisistica calma. Fa un numero al telefono: l’obiettivo inquadra in primissimo piano la sua faccia, che compare così in tutta la sua evidenza. rospo Pronto, Gimkana, te sì ti?... Hoi, qua siamo in bellezza, stasera! La sua faccia esprime compressa soddisfazione, canagliesca decisione. 17


casa gimkana Interno. Sera. Col microfono in mano, accanto a un umile mobile famigliare, l’obiettivo inquadra in primissimo piano Pucci, chiamato il Gimkana. Ha una faccia pallida, torbida, segnata, con gli occhi cerchiati: l’aspetto è quasi di bravo ragazzo, riservato, educato: ma c’è insieme, in lui, qualcosa di terribile, che fa pensare ch’egli sia capace di tutto. gimkana (afferrando al volo il senso delle parole del Rospo) Sono andati via i vecchi? Eh? Allora andiamo subito a prendere le sbarbate, e veniamo lì da te. bar metanapoli Interno. Sera. Un’ombra quasi di malumore e di rabbia è negli occhi del Rospo, che tuttavia, senza perdere la calma, da “capo”, replica: rospo No, no. Macché sbarbate! Per quelle c’è sempre tempo, prima andiamo a fare un po’ di macello! Arriva veloce, dai!

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casa gimkana Interno. Sera. Il Gimkana ha una rapida smorfia, ma non si scompone; e risponde rauco, rapido: gimkana e vengo!

Mi tiro dietro la spicciola,

bar metanopoli Interno. Sera. Il Rospo chiude la comunicazione e forma rapidamente un altro numero: il chiamato tarda a rispondere, e il Rospo attende impaziente, staccando e riattaccando la sigaretta spenta alle labbra. casa contessa Interno. Sera. Il telefono trilla su una scrivania dove ci sono in disordine dei libri e delle carte. L’obiettivo inquadra, sempre in primissimo piano, il Contessa che viene a rispondere al telefono. Alto, pesante e nel tempo stesso femminile, pur nella sua segnata faccia di cariatide gotica, il Contessa ha un’aria ineffabile urtante, quasi odiosa. In realtà anche lui è nel fondo un bravo ragazzo convenzionale, fin troppo ordinato e conformista. Che possa essere anche lui un “teppa” è nel tempo stesso impossibile e fin troppo spiegabile, con quella sua faccia barbarica. contessa (dopo aver ascoltato l’invito del Rospo) Io veramente ciò a casa i vecchi dei vecchi: son venuti per passare le feste in famiglia, come faccio adesso a sganciarli! 19


bar metanopoli Interno. Sera. Il Rospo è già quasi infuriato. rospo Cià, fa la canzone a tua madre e a tutti i vecchi, e squagliati, che cosa aspetti, stazzo! Non sta neanche a sentire cosa risponde il Contessa, e depone con rabbia il ricevitore: e fa subito un altro numero. baretto periferia Interno. Sera. Tra un juke-box silenzioso e un calcio balilla deserto, contro la sporca parete d’un baretto, è appeso un telefono, che suona. Chi va a rispondere, sempre inquadrato in primissimo piano, è Gianni, detto il Teppa: è vestito in divisa di teddy, lo si vede dal colletto rialzato del giubbotto di cuoio nero, dalla sciarpetta vivace e sporca che gli fascia il collo, dal berrettino con la visiera, da fantino, calato sugli occhi: è un bel ragazzo, bruno, fortissimo, una specie di giovane e armonioso gigante: la faccia è da canaglia, ma anch’essa fondamentalmente buona e generosa, com’è quella dei forti. teppa Era ora che i tuoi sloggiassero: è un mese che ce lo prometto: li hai mandati via? C’è qui il Toni che ti manda un accidente! Con un tranquillo sorriso passa il microfono al suo compagno, che è lì, subito inquadrato anche lui in primissimo piano. È Toni, detto Elvis, in onore di Elvis Presley: è il compagno inseparabile del Teppa, forte e alto come lui, vestito come lui: solo che anziché il berrettino, ha un ciuffo spettacoloso, che gli sporge un palmo buo20


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no sulla fronte, di capelli nerissimi. Ha un viso dolce ma segnato, di timido e buono, che se compie delle azioni violente è solo per una specie di disperazione. toni Uhei, mi raccomando, fa minga il stupit, propri stasera che l’è capodàn! (Ascolta un po’) Ti conosciamo te, va là! bar metanopoli Interno. Sera. Ancora una volta il Rospo si accende di rabbia: rospo

Ma crepa!

Depone il ricevitore e fa un ultimo numero. ufficio ditta mosè Esterno. Sera. Stavolta il telefono è s’un tavolo di lavoro, con degli attrezzi. Primissimo piano di Mosè che telefona: è un biondo con nella faccia i segni d’una psicologia patologica: lo si direbbe un eredoluetico. Il mento pronunciato, la bocca storta in una smorfia crudele e grossolana. Però c’è in lui anche una certa simpatica, aitante baldanza. mosè Te sì ti, Rospo?... (Sta a ascoltare la telefonata, annuendo, duro) Hè… hè… hè… Buona! Sempre duro, senza cambiare espressione, depone il ricevitore. Dissolvenza. 23


casa rospo Interno. Sera. La casa del Rospo è un piccolo grattacielo, abbastanza di lusso: sorge isolato, oltre un fosso, in mezzo alla campagna, nuda, strillante, con le lontane, ragnatele file di pioppi. Ma, al di là della strada, ecco il caos di luci di Metanopoli, all’ingresso dell’autostrada del Sole. Arrivano, a tutto gas, su una motocicletta, il Teppa e Toni, nelle loro rozze, vistose divise di teddy boys. Raggiungono sparati, per la statale, la stradicciola appena costruita che porta all’isolato grattacielo: vi si fermano davanti con una frenata da acrobati. Lasciano la motocicletta davanti al grattacielo, sul ghiaino appena sparso lì davanti, fino all’orlo fangoso dei campi, e entrano. casa rospo. ingresso Interno. Sera. È chiaro che il grattacielo è ancora in parte disabitato: solo alcuni appartamenti sono affittati e occupati. Delle scale e degli altri attrezzi sono lì a testimoniare che i lavori di rifinitura sono ancora in corso. Il Teppa e Toni imboccano, con la “camminata” le scale. teppa

Sgancia una paglietta!

Toni tira fuori dal taschino dei blue-jeans strettissimi un pacchetto di sigarette, e l’allunga. toni Uhei! Ma ti a cumpret mai, ti? So’ minga il tabachìn! Si accendono le sigarette, e, in cima alla seconda rampa di scale, imboccano un lungo corridoio. In fondo, sono fermati da un richiamo: 24


gimkana

Uhei, dannà! Aspettatemi!

Arriva su dalle scale, di corsa, impallidito dal fiatone, il Gimkana, e si affianca agli altri due. Così, insieme, arrivano davanti alla porta, semiaperta, dell’appartamento del Rospo. Si sentono uscire, dall’interno, degli acuti strilli e dei lamenti; dalla voce si direbbe un bambino. Gridi di bambino. I tre entrano decisamente. appartamento rospo Interno. Sera. L’appartamento del Rospo è in pieno disordine di trasloco: degli angoli e delle pareti sono completamente vuoti e bianchi: altri angoli e altre pareti sono invece pieni di casse e di mobili appoggiati provvisoriamente. Nel corridoio d’ingresso si sentono più forti i gridi del bambino. Gridi di bambino. gimkana (alludendo a quei gridi disperati) Il Rospo si diverte! Entrano, aprendo una porta con elegante e pigro colpo di spalla, in una prima stanza. Qui ci sono il Rospo e suo fratello Cino: la stanza, malgrado il disordine, ha l’aria di essere la camera matrimoniale dei genitori: un grosso letto di legno, un comò, e il solito confuso disordine che regna nella casa di gente benestante. Il Rospo, per passare il tempo in attesa dei compagni, ha legato il fratellino piccolo, un rospetto sui dieci undici anni, alla sponda del letto, e, accucciato sul pavimento, davanti a lui, gli sta soffiando contro, con violenza, da una cerbottana, che è evidentemente 25


del piccolo, dei proiettili di carta con un aguzzo spillo per punta. Si diverte a sfiorarlo, alla Guglielmo Tell, ma qualche volta lo colpisce sul serio, e allora gli strilli di Cino salgono al cielo. cino

(strilla piangendo)

I tre, entrati nella stanza, per qualche istante osservano, staccati e leggermente ironici lo spettacolo delle sevizie, in profondo, e quasi placido silenzio. Il Rospo li sogguarda appena, e continua, ostinato e crudele, il suo gioco. toni Beh, sei dietro a andar fuori di matto? Ti pèdel sbrusàil, puoi bucarlo, non lo vedi? E poi ti mandano al Beccaria, bauscia! Dette appena queste parole, con tono saggio e didascalico, piano piano si mette anche lui davanti al Cino, all’altezza del Rospo, e tira fuori da una saccoccetta dei blue-jeans un coltello serramanico. Lo fa scattare e prende la mira. Il Cino, terrorizzato, urla ormai pietosamente: cino

No, mamma, mamma, aiuto!

Toni tira il coltello, colpendo la sponda del letto a una ventina di centimetri dal bambino. teppa (osservando il tiro poco brillante) Te se scars! Va alla sponda del letto, stacca il coltello, fa qualche passo indietro, prende la mira e lo lancia, infilandolo molto più vicino al Cino che grida. Il Rospo si rivolge al Gimkana: rospo 26

E tu non tiri?


Il Gimkana, freddo e spento, alza le spalle. gimkana Ci terrei se lì legata ci fosse la cameriera che avevi una volta! Col gogna lì (indica il bambino) io non mi diverto! Portami la cameriera, e poi ti faccio vedere come vi straccio tutti! Ed ecco che entrano, insieme, il Contessa e Mosè, salutando appena. contessa

Salve, ragazzi.

Va dritto alla cerbottana, che il Rospo ha posato per terra e, calmo calmo, si siede con le gambe incrociate, e comincia a tirare gonfiando le guance da signora, da lucertolone. contessa Bei tempi, quando giocavamo anche noi con queste! (Alza la cerbottana) Il Mosè tace, con una faccia terribilmente seria e quasi inferocita: a un tratto sbotta: mosè Ehi, stiamo qui a fare i pagliacci? Dai, facciamo qualcosa. Il Rospo strappa la cerbottana dalle mani del Contessa, e la butta ai piedi del ragazzino. rospo Dai, andiamo di là. (Si sofferma un istante a guardare il fratello) Questo lo lasciamo qui: così non ci viene a rompere le scatole dietro. Va verso l’altra stanza, seguito da tutti gli altri. Il Cino, che si era calmato un po’, ricomincia a gridare disperatamente: 27


cino Slegami… Non lasciarmi qui… aiuto, aiuto, slegami… appartamento rospo. stanza rospo Interno. Sera. Anche la stanza del Rospo è nello stato del resto della casa: e, in più, tutta la confusione tipica di un ragazzo come Giancarlo il Rospo. Il Rospo si rivolge subito a Mosè: rospo A grana come viaggi? mosè (duro) Se avevo della grana non stavo qua! Leva dalla tasca cinquecento lire, e le appoggia su una cassetta rovesciata piena di libri stracciati e altri attrezzi misteriosi. mosè

Ecco qua, cinque gambe.

gimkana (a Mosè) Huè, lercio capitalista, chi te l’ha mangiata la grana? (Si rivolge agli altri, ironico) Cià una ditta, con due tre sbarbati che gli lavorano, e poi va a dire che non ha i soldi! mosè (senza accusare il colpo, deciso) Non sono venuto con la piena, io, per poi regalare la grana a voi! rospo (tagliando corto con la discussione) Beh, andiamo piatti, qua, facciamo alla svelta… Stasera ci vuole un monte di grana. Io ciò un paio di sacchi… Li appoggia sulla cassetta. Di là vengono più forte i gridi di Cino. 28


rospo (urlando) Muchela! (Si rivolge al Teppa e a Toni) Voi due, naturalmente, più un paio di gambe per uno non ce l’avete… toni

Nanca quei!

Il Teppa, sorridendo, mette sulla cassetta tre quattrocento lire. gimkana Io un paio di chili ce li avrei: comunque chi è in piena qua è il Contessa. Dai Contessa, è meglio che sganci subito ‘sti soldi… Intanto depone circa due mila lire sulla cassetta. contessa Eh già, tocca sempre a me! Sborsa i soldi, scontento, ma anche abbastanza orgoglioso. Il Rospo gli prende dalla mano cinque seimila lire, le mette insieme agli altri soldi, e conta il tutto, rapidamente. La sua bocca si piega in una smorfia amara, un lampo di disgusto passa sui suoi occhi: la cifra che sta contando è veramente miserabile. rospo (finendo di contare con aria amara e sprezzante) Merda! E con rapido gesto ributta sulla cassetta i soldi come se gli sporcassero le dita. mosè Allora andiamo a far qualcosa, che bisogna trovare ‘sti soldi. Il Mosè è deciso, pronto a tutto. Il Rospo guarda in faccia prima lui e poi gli altri. È una specie di sfida, ch’egli lancia con quello sguardo. 29


rospo Vogliamo farsi la Madonna di Bollate? Tutti tacciono per un attimo: la proposta lanciata dal Rospo, lo sanno, è temeraria. gimkana Cristo, anche il clero volete fognare? contessa (prudente) Ma facciamo qualcosa che puzza di meno: è troppo pericoloso! Ma, a vincere ogni titubanza, con quel suo sorriso calmo, di forte, è il Teppa. teppa Dai muchela, dannato, andèm! Il Rospo ha ragione! Son tre mesi che ci balliamo intorno, a questo affare: adesso è la volta buona. ‘Dem! E, senza aspettare altro, si avvia alla porta, seguito dal Toni: vinti dalla sua balda e leggera sicurezza, gli altri piano piano gli vanno dietro. Ultimo a uscire dalla stanza è il Rospo. Egli infatti alza la cassetta, e ne tira fuori degli strani oggetti: una catena di bicicletta, un rasoio, un bastone avvolto con degli stracci e, infine, una rivoltella che, prima di intascare, controlla per vedere se è carica. È carica. Di là il fratellino grida e piange, disperato. Pianto di Cino. Dissolvenza.

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strada periferia. cinema marte Esterno. Notte. All’estrema periferia: un viale immenso, con in fondo una corona di immensi palazzi illuminati. Un cinema scintilla di luci in una strada semibuia, per cui passa un vecchio tram. All’angolo del cinema c’è una strada, ancora più stretta e buia, che porta verso dei cantieri. Una millecento che, è chiaro, si deve fermare davanti al cinema, rallenta, si ferma; il conducente guarda se davanti all’ingresso c’è un posto libero: ma è tutto occupato: due giardinette, una fila di motociclette… Allora prosegue, e gira verso la strada buia. Lì si ferma. Ne scendono due persone, un uomo e una donna, di mezza età. Vengono verso il cinema. La donna prende a braccetto l’uomo. Sono due tipici milanesi medi: lui, probabilmente, piccolo commerciante, o viaggiatore di commercio, un po’ spelacchiato e congestionato: sta per arrivare l’infarto. Lei una bruna, dura e grossa, coi capelli neri lisci. Stanno avvicinandosi ai cartelloni del cinema: si sente al volo un frammento del loro discorso: 31


donna …Per fare presto, ho dovuto fare l’insalata, perché doveva andare via. Il Gianni si era sentito male dopopranzo: magari erano due mesi che stava male, era andato dal medico, il Fumagalli, un bravo medico, e questo gli aveva trovato il cuore scassato. Avrebbe dovuto mettersi a letto. A letto, a letto, a letto. Invece… Svoltano in fondo ai cartelloni e entrano nell’atrio illuminato. A osservarli e a ascoltarli, era il Teppa, fermo accanto ai cartelloni. Ha il berrettino talmente calato sugli occhi che, per guardare, deve stare col mento alzato. Come la coppia è entrata nel cinema: fa un breve fischio. Avverte così Toni che è fermo dall’altra parte della strada. Poi fila veloce verso la strada buia, Toni lo raggiunge accanto alla millecento. Con un colpo abile del ginocchio contro lo sportello, il Teppa apre e entra. Toni strappa i fili dell’accensione e li annoda, con molta evidente pratica. teppa (a voce bassa, mascherando l’ansia) Speriamo che ci sia del brodo! toni (come il Teppa) Sì, ne segna almeno sei litri. Partono: si lasciano dietro, lanciati, il cinema luccicante, la stradina, l’immenso viale, le sconfinate distese dei palazzoni luccicanti.

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strada antistante casa rospo Esterno. Notte. La casa del Rospo sorge, tutta illuminata in mezzo alla campagna buia e deserta. Il Teppa e il Toni la raggiungono, filando a tutta velocità davanti alle distese di luci ultraterrene di Metanopoli. Fermano stridendo, davanti al piccolo grattacielo. Ma lì c’è già un’altra millecento, e, accanto, tutti gli altri. Il Teppa sporge calmo la testa dal finestrino accomodandosi il berrettino sulla fronte. teppa (ironico) È onesta quella macchina? gimkana

Sì, come la tua!

rospo Gimkana, monta con loro, dai! La proposta di passare all’altra macchina piace poco al Gimkana che si dirige lento e scontento verso l’altra millecento. gimkana All’ospedale sono già stato! Qua guido io o niente. Perché mi chiamate Gimkana, allora? Si sentono, lontano, vagamente, le grida di Cino. Lontane grida di Cino. Mosè sporge deciso la testa dal finestrino. mosè (al Gimkana) Non fare numeri, cretino, e andiamo, prima che ci cuccano, dai! I gridi di Cino sembrano avvicinarsi: e infatti il bambino sta uscen33


do di corsa dalla casa, e correndo per il vialetto fila verso la strada dove sono le automobili della banda. cino (gridando disperatamente) Giancarlo! Giancarlo! Aspettami… Per la strada passa della gente: due donne in bicicletta, una a piedi col bambino; a cento o duecento metri c’è un distributore di benzina… I gridi del bambino vengono subito notati, nel silenzio dei primi campi intorno a Metanopoli. Cino arriva di corsa. cino Giancarlo… dove vai… vengo anch’io! Non lasciarmi a casa da solo, ho paura, portami insieme con te… non lasciarmi solo… C’è tanto orgasmo e terrore nella sua voce, che le due donne che passano in bicicletta si voltano a guardare. mosè (con rabbia, al Rospo) Non vorrai mica portarlo con noi, il poppante! Il Rospo è sfigurato: i suoi piccoli occhi chiari ardono di rabbia. rospo Torna a casa, prima che ti disfi la faccia. Ma il Cino, a quelle parole, grida ancora più forte: cino No, no, non voglio restare a casa tutta la notte solo! Ho paura! Guarda che se non mi porti via racconto tutto… rospo 34

(c. s.) Racconti che cosa?


cino (con la forza della disperazione, guardandolo in faccia senza più piangere) Che rubate le macchine, e che siete una banda… Sta avanzando per la strada un vigile urbano. Ammantellato, in bicicletta. contessa (che ha adocchiato il vigile) Tiriamolo dentro, il piccolo: non vedete che la gente comincia a guardare? mosè (feroce) Dai, è meglio che monti, ormai. Guarda là arriva un grippa. (Con furia) E un’altra volta, legalo meglio, bauscia! Trascinano dentro in macchina il ragazzino, e partono sparati, lasciandosi vorticosamente alle spalle il mare di luci di Metanopoli. Dissolvenza.

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strade di milano Esterno. Notte. Visioni di Milano, inquadrate dalle macchine in corsa. Rapide, fulminee. È l’ultima notte dell’anno. Nella macchina davanti, mentre il Teppa guida, Toni canticchia una canzone da urlatore. toni Oh, teddy girl, pupa in technicolor Oh teddy girl, c’è un juke box nel tuo cuor… gimkana

Tira fuori la voce, dai!

toni (alla sollecitazione del Gimkana canta a squarciagola) Oh, teddy girl, pipa in technicolor Oh teddy girl, c’è un juke box nel tuo cuor… Nell’altra macchina c’è più calma: il Rospo e Mosè tacciono, tesi. Il bambino è come stordito, con gli occhi rossi e bruciati dalle lacrime. Parla il Contessa: contessa (al Rospo) E te ce n’hai solo uno, di fratello. Io che ne ho cinque, cosa dovrei dire. E ogni festa vengono a casa nonni, zii, tutti i matusalemmi, a fare i bagordi. Dì, in che maniera i tuoi hanno sloggiato e ti hanno lasciato libero? rospo (con calma sprezzante, col gusto di dire cose cattive) Mia madre ha avuto sempre la mania di fare la caritatevole. Adesso ha brancato l’abitudine di an36


dare a assistere ai moribondi. Mio padre, quel fesso, che dopo venti anni che stanno assieme è ancora cotto, quando ha tempo, le va dietro. Così stasera sono andati a una veglia funebre. contessa mosè vizio!

Propri la not de Capudàn!

La ga un bel vissi! Ha un bel

Nuove, fulminee visioni, dalla macchina in corsa, della città in subbuglio. Dissolvenza. paese presso milano Esterno. Notte. La chiara, fitta nebbia delle altre notti invernali della Val Padana, avvolge l’antico paese manzoniano. Ecco il tozzo campanile romanico: la facciata della chiesa, barocca e paesana. Ecco la piazzetta deserta, invasa dalla nebbia, col selciato luccicante. Ecco la strada principale del paese, con una sola vetrina illuminata, nel cui centro c’è un piccolo albero di Natale, che si accende e si spegne, intermittente. Arrivano le due macchine della banda del Rospo. Fermano accanto alla piazza, all’angolo di una viuzza appartata. I ragazzi scendono in silenzio, solo il Cino resta dentro la macchina. Sempre in silenzio, come ombre, i ragazzi attraversano la piazza, pervasa di nebbia lattiginosa: in testa è il Rospo, muto, deciso, e dietro gli altri. Col rumore dei passi ovattato dalla nebbia, passano davanti alla facciata della chiesa, e imboccano una specie di vicolo, che rasenta la chiesa di fianco, lungo un orto con un alto, scrostato muricciolo. 37


Arrivano all’altezza dell’abside, di dietro. Si fermano: un’occhiata: è chiaro che arrampicandosi per il muro, scrostato (ed è facile, perché, sotto, scorre una larga base di xxxxxxx [sic]), si può raggiungere la lunetta di una navata. Il Rospo si rivolge verso il Gimkana e il Contessa: rospo Uno di voi due resta qua, a allumare l’ambiente. In silenzio il Gimkana tira fuori dalla saccoccia una moneta da cento. gimkana (con un soffio di voce) Io testa, tu albero. Lancia la moneta: testa. Resta fuori il Gimkana. Gli altri sono andati avanti, verso l’abside. Il Contessa si avvia per raggiungerli. Per qualche metro è solo. Può per un istante, poiché nessuno lo vede, perdere il controllo di se stesso. E un’espressione di terrore senza fine si dipinge sulla sua faccia. Con uno sforzo atroce, quasi uno spasimo riesce a farsi forza, e a raggiungere gli altri che si accingono a arrampicarsi su per la muraglia. gimkana (con un soffio di voce, risoluto) Mosè, questo è sgobbo tuo. toni Dai, ti che te sì un pulidùr de vèder. Saprai come fare, con le finestre. Per primo si arrampica Mosè: che raggiunge la finestrella della lunetta. Ci lavora un po’ intorno, la prova, con perizia di intenditore. Gli ci vuole poco ad aprirla. La spinge, e si rivolge in basso, agli altri: mosè

Su, ch’è fatta!

Mosè si infila dentro la finestrella, con decisione, e gli altri si ar38


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rampicano rapidamente per la muraglia, andandogli dietro. Tutti entrano nella chiesa: per ultimo Toni che si fa il segno della croce istintivamente. Alla luce delle lampade i ragazzi per un attimo sostano come incantati, indecisi, davanti a quel magico, calmo fulgore. La Madonna è completamente coperta da una campana di vetro. Il Rospo, vinta ogni incertezza, si avvicina, e, con un diamante, comincia a tagliare il vetro. L’operazione è abbastanza lunga e delicata: gli altri tacciono, raggruppati intorno, con le lampade puntate sul tesoro che copre la Madonnina. Ecco che finalmente il vetro è tagliato. Muto, deciso, il Rospo comincia a togliere i gioielli dalla Madonna, deponendoli a mano a mano sull’altare: una lunga collana di pietre bianche, un’altra di pietre nere, poi un’altra ancora, e una quarta, e il diadema, gli orecchini, due tre braccialetti, due tre anelli. Mentre il Rospo sta sfilando in silenzio l’ultimo anello da un dito della Vergine, ecco che si sente un rumore, un leggero cigolio, che tuttavia rimbomba lungo e minaccioso, nella chiesa vuota. I tre si voltano, verso il fondo buio, bloccati dalla sorpresa. Il cigolio si ripete, più forte. rospo

Aprono la porta.

Spegne la sua lampada, gli altri lo imitano: cade il buio più profondo. Poi si distinguono le ombre dei ragazzi, alla debole luce che fiotta dalle finestrelle, che, lasciando i gioielli sopra l’altare, vanno a nascondersi dietro l’altare. Una lampada tascabile avanza dal fondo della chiesa, frugando nell’oscurità. Una lampada, che pare cammini da sola, poiché non si può vedere chi la regge. Avanza lentamente, la piccola lampada, guizzando qua e là nell’ombra pesante. Ora si punta per un attimo su un candelabro, ora su un angelo, ora sulla statua d’un santo, ora su un mazzetto di fiori di metallo, ora su un crocefisso. Tutti oggetti a cui la luce, estraendoli di colpo 41


dal nulla, dà una specie di fulminea, magica vita. Ecco piano piano la lampada arrivare verso l’altare: ed eccola illuminare la campana di vetro rotta, e, sotto, la povera Madonnina spogliata, ridotta a una statuina umile e senza interesse. Lì la lampada indugia a lungo. Dietro l’altare stanno ammassati, muti, senza respirare, i ragazzi della banda. È con un filo di voce, bassissima, ma minacciosa da far paura, che il Rospo si rivolge agli altri, stringendo in pugno la catena di ferro: rospo (feroce, deciso a tutto) State qua buoni… se è il guardiano lo sistemo io. Ecco che la lampada si stacca dalla Madonnina e punta sul tesoro ammassato sull’altare. Subito chi regge la lampada vi si avvicina, vivacemente, e, deposta la lampada sull’altare, allunga le mani sul piccolo tesoro, illuminato di scorcio. Il Rospo scatta, con una mano stringe la catena, sciolta, pronta a massacrare, e con l’altra la lampada, che, accesa di colpo, illumina il misterioso visitatore. È Cino, che, abbagliato dalla lampada puntata negli occhi, si fa solecchio con una mano, mentre con l’altra si stringe al petto un mucchio di collane e bracciali. rospo

Sacr… sei tu?

Gli altri sbucano fuori dall’altare, e le loro lampade guizzano come impazzire, facendo balenare qua e là per tutta la chiesa la loro luce. rospo

(divertito) L’è il gogna!

Come per reazione alla lunga apprensione, egli scoppia in una lunga risata, forzata, e gli altri lo imitano: le risate rimbombano come cannonate nella chiesa vuota: mentre le lampadine ballano ancora più follemente. Ma ecco che, d’un tratto, le luci della chiesa si accendono: e 42


tutto è illuminato a giorno. Nuovo attimo di panico. Il Cino, con rapidità di folletto, afferra l’intero tesoro, e, approfittando di quell’attimo di panico, con l’incoscienza della sua età, scappa giù per la chiesa, attraverso i banchi, verso la porta. Due tre dei ragazzi fanno per lanciarsi dietro a lui: il Contessa, il Gimkana, Toni, il Rospo. Ma, da una porta di fianco, è uscito un grasso e bianco sagrestano, un tipo di brianzolo gonzo, che alla vista della compagnia di ladri, comincia a gridare come un pazzo: sagrestano Aiuto!

Aiuto, aiuto… i ladri!

Il Teppa e Mosè si gettano verso di lui, anche Toni torna indietro, mentre il Rospo, il Contessa e il Gimkana, afferrato il bambino, vanno fuori, a preparare la macchina. teppa (avvicinandosi al sagrestano) Bel cicciùn, te vuset a fa? Terrorizzato, il sagrestano non riesce a muoversi, e continua a gridare, con la forza della disperazione: sagrestano

Aiuto, i ladri, aiuto!

Il Teppa gli è addosso e gli allenta un pugno in testa che lo fa tacere di colpo: poi, aiutato da Mosè lo afferra per le braccia, dietro la schiena, e lo tiene fermo. Il sagrestano ricomincia a lamentarsi, stordito: sagrestano Oh, Dio, mamma mia! Il Teppa gli allenta un altro pugno in testa. teppa (a Toni) Prendi quella tovaglia là! Indica la tovaglia coi pizzi che è sopra l’altare. Toni l’afferra, e la strappa via. 43


Poi ne appallottola più che può, e la caccia in bocca al sagrestano, ficcandone dentro una quantità incredibile. Così, bene imbottito, lo lasciano cascare per terra, e corrono via verso la porta. Piano piano, ancora stordito, il sagrestano, dopo un po’, si alza da dietro il banco dov’era caduto: annaspa, si tira su, cammina barcollando verso la porta. La tovaglia dell’altare gli esce dalla bocca arrivandogli fino ai piedi. Egli comincia a togliersela dalla bocca: e comincia a tirare fuori una specie di serpente bianco, coi pizzi. Sembra uno di quei prestigiatori, che, dal loro cilindro, estraggono una quantità di cose la cui inesauribilità è allucinante. Così, tirandosi fuori la tovaglia, passa davanti all’altare. Per forza d’abitudine, il povero vecchio, pure in quelle condizioni, si fa il segno della croce e piega il ginocchio. Poi, continuando a togliersi la tovaglia dalla bocca, va verso la porta: qui finalmente ha la bocca libera, e, col fiatone, mezzo morto per il dolore e la paura, ricomincia a gridare con quanto fiato ha in gola: sagrestano I ladri, i ladri! Don Giuseppe, i ladri! Aiuto! Si fa sul vano della porta, si affaccia: ma si intravede una piazza completamente deserta, tranquilla, immersa nell’alto silenzio della campagna invernale, nella nebbia lattiginosa. Dissolvenza.

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strade di milano Esterno. Notte. Visioni della città, che passa, vista dalla macchina in corsa. Luoghi completamente deserti, luoghi affollati di gente festante. Al volante è il Gimkana, che guida a pazza velocità. rospo Allora la roba l’andiamo a vendere al padrone del trani, il Carlino. La sai la strada? gimkana Come no? È qui. Ci passo sempre, con le donne, per andare in càmpora! Mosè si rivolge al bambino, che tiene sempre stretto contro il petto il mucchio scintillante di gioielli: mose Ehi, fiulètt! Dimmi un po’, com’è che hai fatto a entrare dentro la chiesa? cino

(timidamente) Per la porta.

mosè

Che porta?

cino Quella là della stanza dove si spogliano i preti… mosè

E non hai avuto spaghetto?

cino Una volta, ce l’avevo, quando ero piccolo… Mosè dà un leggero scappellotto sulla testa del bambino. mosè

Bravo, bravo, pissinlett! 45


La macchina frena bruscamente, una strada appartata e fangosa, in un posto caotico, lunare, lungo il terrapieno della ferrovia. In mezzo ad alcuni enormi palazzoni ancora in costruzione, scheletri tra enormi sterri, c’è un mucchio di bicocche, di vecchie case di contadini, tra cui luccicano le lampade accese di un locale: di un “trani”, appunto. rospo (aprendo lo sportello) Dai, vieni tu, Mosè! mosè (deciso, dritto) No, no, porta un altro, che è più indicato. Io non voglio impegolarmi… rospo (rapido, al Teppa) Allora vieni tu, Teppa, andiamo. Il Teppa tace un attimo raccolto, poi di scatto si accinge a scendere, menefreghista e leggero. teppa

‘Dem!

Il Rospo allora si rivolge al fratello, per prendere il mucchio dei gioielli: rospo

Dà qua!

Ma il Cino, inaspettatamente, si irrigidisce, stringendosi forte al petto il mucchio dei gioielli. cino

(con un soffio) No, sono miei!

Il Rospo è preso da un nuovo, violento scatto d’ira contro il fratello. rospo

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Dà qua, cretino.


Allunga la mano e tira i gioielli, ma il bambino se li tiene ostinatamente stretti. Il Rospo allora gli dà uno schiaffo violento, da lasciarlo mezzo stordito, e gli strappa i gioielli: li avvolge nel suo trench, e si avvia, seguito dal Teppa, verso il trani. trani Interno. Notte. È un locale vasto e povero. Davanti alla porta c’è un grande banco, poco fornito: a destra si stende una sala, scura, con le pareti affumicate o umide, pochi tavolini con delle vecchie sedie in disordine, e, in fondo, un grande specchio, che dà ancora maggiore il senso del vuoto. Dietro il banco c’è una porta, da cui si intravede una specie di cucina, in disordine, piccola, scura, malgrado le pareti di calce, senza intonaco. Dietro il banco, occupato a lavare dei bicchieri, è il padrone del trani: un uomo ancora abbastanza giovane, biondiccio, stempiato, con gli occhi celesti, acquosi, la faccia pallida e “bruffolosa”: sembra un uomo totalmente spento, slavato. Davanti al banco ci sono due uomini sui cinquant’anni, che hanno addosso una balla che stravedono: devono essere due faccini, due manovali. Cantano a squarciagola un pezzo d’opera, Ponchielli, forse, o Donizetti. Più precisamente è uno che canta, molto pomposamente, a squarciagola, e l’altro lo sta ad ascoltare, facendo ogni tanto da secondo. Fanno dei gesti buffi, coi calzoni a bragarella e i berrettacci sugli occhi. Canto dei due ubriachi. Altri clienti stanno seduti ai poveri tavoli del salone: sono per lo più vecchi e vecchie, che passano di lì, davanti a un po’ di vino, l’ultima notte dell’anno. Nella cucina, di dietro, la moglie del padrone del trani, una donna anziana, pallida e grassa, con qualcosa di ambiguamente 47


pauroso addosso, sta facendo le carte, insieme a una sua amica. Il padrone del trani smette per un istante di sciacquare i suoi bicchieri, e si rivolge, con una certa ironia, verso la cucina: padrone del trani Zà che te sé lì, famm vedè se i cart me fan diventà milionari! moglie (seccada dal tono ironico) Ma va a dà via i pè! padrone del trani Eh, te se propri mata, ghe pù a speransa! moglie Schersa, schersa, te! Ma le carte non hanno mai sbagliato, e neanche mai sbaglieranno, ricordati! In quella entrano nel trani il Rospo e il Teppa: per darsi un contegno, si accendono subito una sigaretta: poi il Rospo va davanti al banco, guardando con sguardo di circostanza il padrone. rospo Salve, capo. Se hai cinque minuti, ci sarebbe da combinare un affare. Il padrone del trani temporeggia, facendo un po’ d’ironia: padrone del trani Non andate mica a ballare, stanotte? rospo Ehi, io non ho tempo da sbatter via. Vuoi combinare? Il padrone del trani gli lancia un’occhiata intensa, capisce che non scherzano, si decide: padrone del trani 48

Hu capì. ‘Dem!


Esce da dietro il banco, pulendosi le mani sul grembiule, e fa cenno ai due di seguirlo. Entra nella cucina, seguito dal Teppa e dal Rospo: l’attraversa, passando davanti alla moglie, raccolta come una strega sopra le carte in fila sul tavolo sporco concentrata nel suo rito silenzioso: in fondo alla cucina c’è una piccola porta; l’oste l’apre, scompare seguito dai due, mentre la moglie continua, spettinata e pallida come un cadavere, il suo sortilegio. corridoio trani Interno. Notte. Il padrone del trani e i due ragazzi passano per uno stretto corridoio, completamente nudo e semibuio. A destra sale una sordida scala, in cima alla quale balla una polverosa lampada elettrica. Dalla scala sta scendendo una giovane prostituta, mora e grossa, con dei lunghi orecchini. Il Teppa, imitato dal Rospo, non può fare a meno di osservarla, con aria bulla. Dietro alla donna c’è un tipo magrolino e losco, forse meridionale: i due scendono gli ultimi gradini e vanno verso la cucina. Il magnaccia si ferma un attimo vicino al padrone del trani, e con un soffio di voce s’informa: magnaccia Cosa vogliono? Compagnia? padrone del trani (anche lui sbrigativo, con un soffio) No, no… E entra, aprendo un’altra porta, in una stanza in fondo al corridoio. I due ragazzi lo seguono, mentre il Teppa si volta indietro a guardare la prostituta che esce per la cucina, nel taglio di luce della porta.

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sgabuzzino trani Interno. Notte. Il padrone e i due ragazzi entrano in una specie di cantina, sordida, piena di cassette e sacchi, con una tavola traballante, su cui pende una lampada senza piatto, sporcata dalle mosche estive. padrone del trani Allora, se ghì portà de bell? Cosa mi avete portato di bello… Perché son in chiuso, stasera, sono quasi in bolletta… Il Rospo mette il trench avvoltolato sul tavolo, lo apre, e scopre il mucchio sfolgorante dei gioielli. rospo

Ecco qua.

Il padrone è abbastanza colpito dalla presenza di quel tesoro nel suo sgabuzzino, ma ancora una volta, astutamente, nasconde l’emozione dietro un tono ironico. padrone del trani Eh, porco diàvol! Ghè purtà el museo? Così dicendo, con calcolata calma mette le mani sul mucchio dei gioielli, e li osserva a uno a uno, attentamente. Ma, per mascherare il suo interesse, continua a chiacchierare: padrone del trani Per essere la prima volta, hai fatto le cose in grande, eh Rospo! (osserva una collana) Ma dì un po’… (osserva ancora, alla magra luce) chi è che ti ha inviato… (osserva una perla) a fare anche te il gratta? rospo (tagliando corto) Dai, veniamo al duro. Quanto sgrani per tutta 50


questa roba? Il padrone tace: questa volta è in silenzio che egli osserva i gioielli: e molto a lungo e accuratamente. Poi alza gli occhi sui due ragazzi e li guarda, ancora in silenzio. padrone del trani Questa qui non è polenta! (Tace e ribadisce) Questo qui non è oro! E queste perle son roba de strasc! Uhei, non vi sarete mica montati, qua, eh, credendo che si tratti di roba vera! teppa (per niente convinto, afferrando un diadema) Perché, questo qui non è oro? padrone del trani Sì, quello del Giappone… Per questa roba io vi posso dare cinquantamila: l’attaccherò all’albero di Natale… Ma il Teppa non si arrende, una vampata d’ira gli sale agli occhi: teppa Uèh, mi ghe credi no! Chi è che me lo dice che è roba falsa? padrone del trani (calmo) Se te se fìdet no, va da un alter! Ma il Rispo capisce che il “cuc” non può avere torto, probabilmente, e spinge dolcemente da una parte il massiccio corpo del Teppa. rospo (all’oste, calmo) Dai, sgancia queste cinque deca! teppa

Ma… 51


rospo

(secco) Muchela.

Il padrone tira fuori da una tasca dei bigliettoni e comincia a contarli, accuratamente. Poi li allunga al Rospo. Mentre il Rospo, calmo, li intasca, rapido come una fucilata, con uno scatto, il Teppa allunga le mani sul mucchio dei gioielli e li riavvolge rapidamente nel trench. teppa

Te me frèghet no!

E fila via, di corsa, spalancando la porta del corridoio con una spallata. corridoio trani Interno. Notte. Il padrone del trani esce nel corridoio, urlando. Ma non fa in tempo che a vedere i due precipitarsi nella cucina, nei tagli di luce della porta. Il padrone si getta lungo il corridoio, di corsa. trani Interno. Notte. Attraverso la cucina dove la vecchia fattucchiera è ancora intenta a fare le carte, il padrone arriva nel locale. Qui i due ubriachi stanno cantando l’Aida, con una violenza da spaccare i timpani, e volano sulle ali beate della melodia. Canto violento degli ubriachi. Il padrone arriva fino sulla porta del locale, che dà sull’esterno buio come l’inferno. Ma non può urlare, per timore della polizia. Comprime la rabbia, in una smorfia che lo sfigura. Quella faccia spenta di banchista ha ora una luce bieca, d’uomo capace di tutto. 52


padrone del trani Sacr… ‘Sti fioi de p…! Ma l’è minga finita inscì! Torna verso il banco, verde, furente, muto. Giunto dietro il banco, con uno scatto, afferra un coltellaccio, e lo pianta con violenza sul legno, facendolo penetrare per due tre dita. padrone del trani Ve trovi ancamò… E allora vi faccio vedere, vi faccio… La moglie, dalla cucina, ha seguito tutta la scena, interrompendo le carte. moglie Ciàpela no inscì, Carlino! Lassa perd…! Tace, ricominciando a fare le carte. moglie Brutti mascalzoni… (tace ancora, disponendo le carte sul tavolo) Ma te vedet no che gan el demoni adoss (Comincia a consultare il futuro) Ma cosa credi, prima di mattina… a seguità inscì… la scunteran… tel disi mi… (sposta concentrata le carte) Prima di matina… almeno uno di quelli là… ci lascia le penne… La sua voce suona quasi profetica nella fangosa pace del trani. Dissolvenza.

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strade periferia Esterno. Notte. Per una strada deserta, piena di mucchi di ghiaia e catrame, con degli attrezzi abbandonati qua e là e marciti nel fango, sta camminando una vecchia. Dietro a lei, in fondo dei palazzoni illuminati, nei muretti, un grande deposito che pare abbandonato, le cui forme si alzano mostruose e gigantesche nel buio della notte. La vecchia è quasi decrepita. Si trascina passo passo nel fango, con addosso una lunga palandrana, che tuttavia denota un remoto benessere. Sta facendo un discorso da sola, sotto i capelli che paiono peli di pannocchia, con le guance cadaveriche tinte follemente di rossetto. Si trascina dietro una grande borsa stracarica di soprabiti e maglie, con una gavetta militare pendente e un cucchiaio legato insieme. Tiene appuntato sul collo della pelliccia spelata e cascante un grande mazzo di fiori di plastica. Parla da sola: a volte irosa e combattiva, a volte furbesca e sghignazzante. vecchia

No, no, no, no, no, no‌ 57


Continua a negare, a dire di no con la testa, convinta. vecchia Queste cose qui a me non si fanno… no, no, no, no, no, no, eh no! Dopo tri ann me cascen via… No, no, no, no, delinquent!... La Olga! La Olga! Incoeu, se Dio voeul, incoeu la ga na scagna de pudès setà giò! E mi gò nanca quela!... No, no, no, no, no… Queste cose qui a me si fanno mica… no, no, no, no, no… A un tratto, la vecchia che procede, nel suo delirio, nell’oscurità, è illuminata da due fari d’automobile, abbaglianti, che la fanno come sbandare, impazzita e accecata. Poco lontano da lei si ferma la macchina della banda del Rospo: uno sportello si apre, e ne esce il Cino, in fretta. rospo

(brusco, al Cino) Veloce, eh!

Il bambino fa pochi passi sulla strada, fuori dal fascio abbagliante della luce, e si ferma, preparandosi a fare pipì, sul ciglio fangoso che dà su una immensa radura invasa di strati di nebbia. Intanto, gli altri avvistano la vecchia che avanza, verso la macchina, completamente accecata dai fari, come una povera talpa stanata e smarrita. gimkana Cià, ghe dem adrè a la veggia? mosè

Che cosa vuoi fargli?

toni (sporgendosi sguaiato dal finestrino) Signora! Per favore, dov’è viale Maino? La vecchia continua a parlare da sola, accecata dai fari, perduta nel suo vaneggiamento: 58


vecchia Gu de andà dal Gulotta… L’è chì in Musocc… (guardandosi intorno) È tutto giù di là… rospo Vedi cosa succede a far la vita da giovani! La vecchia ha realizzato di essere accecata, e si copre gli occhi con le lunghe mani ossute: vecchia Smorsa la lus… Ma muchela, malnàt! Andè via! Ca ta vegna un cancar! Sputa per terra, maledicendo con solennità biblica. vecchia Andate via! Brutti mascalzoni… Via! Teppa prende a piene mani il tesoro della Madonna di Bollate: teppa falsi!

Glieli diamo a lei? Tanto son

gimkana Dai, sì! Omaggiamo la regina delle barbone! Detto fatto, il Teppa è già sceso dalla macchina, col tesoro tra le braccia: raggiunge la vecchia e comincia a riempirla di collane. Gli altri lo raggiungono e gli si mettono intorno. toni

(contemplando la vecchia) Bella!

Il Teppa mette sulla testa della vecchia un luccicante diadema, che sfavilla alla luce dei fari.

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mosè Cunciada inscì, qualche cliente vedrai che lo trovi ancora! Continuano a coprirla di gioielli, che scintillano come di fuoco: anche il Cino è lì che contempla estasiato. Ormai la vecchia è completamente ricoperta del tesoro. I ragazzi, guardandola e ridendo, rivanno verso la macchina. contessa

Prega per noi!

Salgono e mettono in moto, partendo sparati. La vecchia resta sola, in mezzo alla strada fangosa, intontita, immobile, sotto tutto quell’oro e quelle pietre, che le pendono intorno, piene di misteriosi, muti fulgori.

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strade periferiche milano Esterno. Notte. Ancora frammenti di Milano che passano vertiginosamente, inquadrati dalla macchina in corsa. gimkana Uhei ragazzi, prima di andare a caricare le donne e portarle a casa del Rospo… andèm a fa un bel paciutìn… A pancia piena dopo si lavora meglio! Io conosco una bella trattoria da queste parti, ci si ingozza da Dio! Il Rospo si guarda intorno, aguzzando lo sguardo, dal finestrino: rospo Ma da che parti siamo, qui? (Guarda ancora) Ehi ragazzi, mi si è accesa la lampadina! Qui vicino c’è la villa dei marchesi Valtorta, che io lo so, sono andati in montagna… Lo so perché conosco il maggiordomo… 61


toni Chi? Carino? Il cunusci anca mi! Al Teppa guizza negli occhi un lampo di furberia. teppa

Che cos’è, un mezzo loffio?

rospo Cosa te ne frega, ci mette a disposizione una villa ch’è una bullata… Facciamo i miliardari… gimkana Okay, capo! Uhei, anche le donne, però, eh? Ce le possiamo portare… A me piacciono i letti del Settecento… rospo Intanto andiamo a prendere qualcosa da smorfire, ci sarà una rosticceria, da queste parti… Interviene Mosè, con rapida e asciutta allegria: mosè C’è un’osteria dove vendono il baccalà! strada antistante rosticceria Esterno. Notte. La macchina è vuota, c’è dentro solo il Cino. Egli con la mano cancella il velo di umidità del finestrino, attraverso cui trapela una forte luce: ed ecco che attraverso il vetro ancora strillante, appare all’occhio del Cino il grande negozio di rosticceria, che, con la sua fredda luce al neon, inonda la strada. Nella vetrina del negozio, tra i polli freddi, le salsicce, le maionesi, c’è un grosso pupazzo natalizio, un babbo natale giovane, che fa degli inchini meccanici, contorcendosi in modo buffo. Tra il Cino e il pupazzo avviene un breve dialogo: un inchino, 62


e il Cino guarda stupito, un altro inchino, e il Cino comincia a sorridere: altri due tre inchini e il sorriso si fa sempre più largo e convinto. Poi il Cino si stanca del pupazzo, e comincia a guardarsi intorno dentro la macchina: nel sedile ci sono tutti gli attrezzi della banda, dei bastoni, la catena di bicicletta ecc. Il bambino osserva tutte queste cose. Poi, cercando meglio, trova qualcosa che lo interessa di più: la rivoltella. La prende in mano e la osserva, rigirandola. Poi si rimette in ginocchio sul sedile, rivolto al pupazzo, e gli punta piano piano contro la rivoltella, fingendo di sparargli. Ed ecco che sotto la canna della pistola puntata, escono dal negozio, carichi di pacchi, i ragazzi della banda: prima il Teppa e, dietro a lui, il Rospo, il Contessa, il Gimkana, il Mosè, il Toni. Tutti con la canna della pistola puntata. Il Teppa avanza bullo verso la macchina. Si rivolge allegro al Contessa: teppa Mi sembri la cameriera quando va a fare la spesa! contessa Si vede proprio che non l’hai mai avuta la cameriera, barbùn! teppa (sempre allegro) Mia mamma basta, a casa! Toni afferra uno dei fiaschi di cui è carico il Contessa. toni

Dà chì un po’, va!

Beve, succhiando al collo del fiasco, in posa bulla. Il Teppa gli strappa il fiasco di mano, e beve anche lui allo stesso modo. mosè Cià, andèm alla svelta, che gò voja de mangà e bef! Il Cino, che è stato sempre con la pistola puntata verso di loro, vedendoli avvicinarsi alla macchina, ripone l’arma, rapido e abile, 63


dove l’ha trovata. I sei ragazzi, ridendo, salgono in macchina. villa marchesi valtorta Esterno. Notte. Una stupenda villa neoclassica, la cui facciata si erge, bianca, dietro un breve giardino, col cancello che dà su una strada appartata dell’estrema periferia, quasi ormai campagna, di Milano. Il Rospo e gli altri sono davanti al cancello del giardino. Il Rospo suona due tre volte il campanello. Ma la villa sembra completamente abbandonata. Allora il Rospo si decide a chiamare, gridando: rospo Carinooo! Sbrigati, aprici! Se ci fai star qui ancora un minuto, guarda che spacchiamo su tutto! Il Contessa rabbrividisce per il freddo, in mezzo alla nebbiolina gelata. contessa (battendo i piedi) Brrr, qua si gela… rospo (infuriandosi) Carinooo! Brutta baldracca! A quell’appellativo, una finestra si apre: un buco di luce nell’oscurità: e un’ombra vi si affaccia. carino (con voce in falsetto, da maggiordomo nelle sue funzioni) Chi è? Che cosa desiderate? Non c’è nessuno in villa: i signori marchesi sono fuori città… rospo Vieni ad aprire, salivario! Che sono io, Giancarlo! 64


carino Uh, Giancarlo! Che sorpresa! Adesso vengo, adesso vengo, aspetta! La finestra si chiude, e, dopo qualche istante, si apre la pesante, scolpita porta della villa, e la sagoma di Carino si disegna contro il gran quadrato di luce. Egli attraversa il giardino e corre verso il cancello, dove, ad aspettarlo, è solo il Rospo. carino Uh carissimo! Ma guarda chi si vede, ma come mai ti sei deciso proprio stasera!... Senti, carissimo! Quanta gente farai ingelosire, venendomi a trovare la notte di Capodanno! Vieni, vieni… È arrivato al cancello e lo apre, tutto su di giri. Come il cancello è aperto, il Rospo è entrato, sbucano tutti gli altri. Il Carino, a quell’apparizione inaspettata, è chiaramente atterrito. carino Uh, ti prego! Chi è che mi hai portato? rospo (tranquillizzandolo) Dai, sono tutti miei amici… Ma il Carino non lo sta neanche a sentire: è preso dall’angoscia. carino Non posso, non posso… Giancarlo, ti prego, uh mamma mia! rospo Ma su, non fare lo stupido! Di che cosa ti preoccupi… Son tutti tranquilli… Cià, non scappare che te li presento… Ma il Carino rincula verso la villa, mentre i tranquilli, tra benevoli 65


e minacciosi, avanzano nel giardino. carino (spasimando) No, no, no… Se lo vengono a sapere i marchesi, oh Dio! rospo Ma non vedi? C’è anche mio fratello piccolo… Te lo presento… Il Carino dà meccanicamente, con rispetto, la mano al bambino, ma continua a balbettare angosciato: carino No, non fatemi fare queste cose! Io rischio di perdere il posto, cosa credete? Si commuove sulla sua possibile disgrazia, e vanta fieramente il suo curriculum di lavoratore: carino Perché poi, se perdo il posto, dov’è che vado? Ho bisogno di lavorare, per mangiare… È da quando ho nove anni che lavoro, io: sono orfano di padre, e ho dovuto sempre guadagnarmi il pane, per me e per mia madre, povera santa! Il Teppa, bello, benevolo, lo guarda, alzando il mento per via del suo berrettino calato fin sulle palpebre. Poi gli dà una manata affettuosa sulla spalla. teppa Ma vai tranquillo! (Lo guarda ancora un momento) Ma lo sai che sei un tipo simpatico? (Lo sospinge dolcemente avanti, verso la villa) Ne ho trovati pochi simpatici come te, davvero! carino 66

(facendo spalluccia) Mh!


atrio della villa Interno. Notte. Illuminato da due enormi lampadari di fine ottocento, grandi come armadi, l’atrio si apre tranquillo in uno sfarzo e in un gelo principesco. In fondo c’è un doppio scalone, che porta al piano superiore, con dei grandi parapetti di marmo e delle statuette di amori. Il Carino entra per primo dalla porta, e mettendosi le mani sulle guance, si lamenta ancora: carino Che scandalo! Mamma mia, che scandalo! Fa strada agli altri che gli vengono dietro, entrando in branco nello sfarzoso atrio. carino (con angoscia polemica) Ve le siete pulite, le scarpe! contessa (gentile, sempre per tranquillizzarlo) Ma sì, ma sì! E poi non piove neanche stasera! Toni si guarda intorno: le grandi pareti con quadri e statue, i lunghi tappeti… toni Sembra quel pagliaio dove abbiamo dormito l’altra notte, eh Teppa? Carino continua a fare delle difficoltà: carino Per carità, non toccate niente, state attenti a dove mettete i piedi… Quei vasi, mamma mia! Sono vasi che vengono dritti dritti dalla Cina: mezzo milione l’uno! (Si rimette le mani sui ca67


pelli) Oh santa! Cosa dirà la marchesa! mosè (secco e a piena voce, con un gesto ampio del braccio) Eeeeh ma muchela un po’ con ‘sta marchesa! Siamo mica venuti qui per sentire i tuoi tiriteri! toni (nello stesso tono del Mosè, anche lui alzando un braccio) Fa no el piangina, dai! Stanno intanto arrivando ai piedi dello scalone. rospo Ehi, un po’ di ragione ce l’ha anche lui, bisogna capirlo! Stringe il ganascino, serio e ragionevole, al Carino. rospo (al Carino) Vedrai che ti trovi contento! Facciamo una bella fine d’anno insieme, porca miseria! gimkana E poi, di che cosa ti lamenti! Siamo qui che c’abbiamo un mucchio di bella roba! Cristoforo, ci è costata un monte di grana! Mentre i ragazzi parlano la faccia del Carino sta subendo delle metamorfosi: dal tono lagnoso sta passando a un tono di miserabile furberia, poi di disperato menefreghismo. Un guizzo: e il Carino scatta salendo a tutta velocità su per lo scalone, e lasciando in fondo, stupiti, i ragazzi. Com’è giunto, con un frullo, in cima al maestoso scalone, si volta. È trasfigurato: non è più lui, ma una vecchia signora di settant’anni, che porta bene la sua età, trasformando la rigidità dei reumatismi in una rigidità regale. Il Carino è un attore formidabile. Così trasformato nella vecchia marchesa, sua padrona, si rivolge agli ospiti. 68


carino-marchesa Avanti, avanti, carissimi! Grazie di essere venuti fin quassù, a consolare questa povera vecchia nobildonna abbandonata! Eh, quando si è vecchi piace avere intorno tutta questa bella gioventù! Vi prego, salite, la mia casa è vostra!... (Recita due versi del Porta) Eh, il nostro vecchio Porta, sempre grande! Ma voi giovani, queste cose, le avete dimenticate, non l’amate più, la poesia! I ragazzi sono rimasti impalati, divertiti e anche un po’ affascinati da tanta garbata ciarlataneria. Piano piano, con in testa il Rospo, cominciano a salire lo scalone. Come è in cima, il Rospo si avvicina alla marchesa, accettando il suo gioco. rospo (come a una marchesa vera) Buona sera, cara marchesa…(guardandola) Come la trovo bene. Ringiovanita. Permette che le presenti questi miei giovani amici? carino-marchesa (con un sorriso radioso, allargando le braccia) Ma prego! rospo Il Teppa… Toni… il Gimkana… il Contessa… il Mosè… il gogna! Man mano che vengono presentati, essi baciano la mano alla “marchesa”, che per ognuno ha un sorriso luminoso. carino-marchesa Venite, venite, cari! La sala da pranzo è da questa parte… Fa strada verso la sala da pranzo, lungo un principesco corridoio. 69


Va alla console piena di cartocci di roba di rosticceria, e tira fuori le vivande, mettendole su due grandi vassoi. gimkana ho fame!

Cià, porta la sbobba, che

Carino frattanto è tornato Carino: la marchesa si è afflosciata in lui con la massima naturalezza. carino Accidenti! Ma guarda che sbadati! Non avete portato il pane! (Un po’ lamentoso) Come facciamo adesso… toni Ma chi se ne frega del pane, mangèm inscì! carino No no no no! Non sia mai detto! (Con una idea luminosa che gli brilla in tutto il corpo) Lo sapete cosa faccio? Una bella polenta! Sì, sì, la polenta! È entusiasta dell’idea: e fugge via, invano trattenuto dal Rospo. rospo carino

Ma non importa, dai! (sparendo) Sì, sì, la polenta!

gimkana (urlandogli dietro) A mi la me piàs no! mosè (al Gimkana) Ma sta un po’ cito! Per forza la te piàs no, la polenta! Te set un milanès del tac! Gimkana è sproporzionatamente offeso dall’allusione alle sue origini. gimkana 70

(con rabbia) Uèh, sbarbà,


cosa hai detto? Ringrazia il signore che siamo qua dentro, se no a quest’ora ti avrei già impiastrato al muro! contessa (con calmo e pungente intervento) Perché, tuo padre e tua madre di dove sono? Tuo padre di Catania, e tua madre di Catanzaro! gimkana (sempre con ira un po’ isterica) Mi so nassù a Milàn, e sunt un milanès! (Poi aggiunge con infantile livore) Pussè de ti, che te sé nassù a Menàg’! Toni allunga, con la virulenza popolaresca del suo gran corpo diciottenne, la mano sul vassoio delle vivande, affamato. toni Alè, uèh! Mi magni un toc de pulàster! mosè (secco) Uèh, giù le mani dal lisca! Rospo è indignato contro Toni, per la cui improntitudine ha una vecchia ruggine. rospo Questo brutto burino! È sempre lui! Si deve sempre mettere in mostra! toni

Eh, mi gò fam!

rospo (scaldandosi ancora di più) E io, cosa credi che non ho mica fame? (Con altro tono, ma sempre di vecchia ruggine) Si vede proprio che sei proletario! toni (subito pronto a litigare anche lui) Perché, dove vuoi arrivare? 71


rospo Ma sta zitto che sei un morto di fame, l’educazione non la conosci neanche sui biglietti, vai… Per forza! Tuo padre è un lercio comunista, e tu sei peggio di lui! toni (eludendo la discussione con una certa volgarità) Ma dai, piantala lì, cosa vuoi che me ne frega a me del comunismo, fascismo, democrasia… Per me possono andare a buttarsi nel naviglio tutti quanti!... rospo (ostinato) Perché, io ti ho mica visto alla festa dell’Unità? Lì, a spellarti le mani a applaudire quegli esaltati che stavano urlando là dentro… toni Ma va, che io sono andato lì a ballare, a sentire il Celentano, cretino! teppa Ma muchela lì, sem chì a mangià miga a parlà de pulitica… rospo Lo credo! A me mi piace parlare di politica con elementi che siano padroni della materia, mica con dei gnucca come voi! Rapidissima dissolvenza.

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idem Idem. Una decina di minuti dopo: Carino entra tenendo alto sulla testa un tagliere con sopra la polenta fumante. carino Bei tusànn! L’è chì fresca e vergina, la pulenta! mosè

Uèh, se magna!

Carino taglia la polenta, e tutti si gettano sui cibi, voraci, scatenati. Il Cino, solo in fondo alla tavola, non osa farsi avanti. Lo adocchia Mosè. mosè El Cino l’è là ch’el mor de fam, uèh fieu! L’ha fam anca lu! Provvede lui a prendere una porzione per il bambino: e questo, tutto soddisfatto, in piedi comincia silenziosamente a mangiare, mentre intorno a lui è la baraonda, il pasto dei leoni. Carino guarda i ragazzi che mangiano con gli occhi luccicanti. Si sente che è carico di iniziative. carino (sovreccitato) Adesso intanto che voi mangiate – io ho mangiato – faccio il numero! gimkana (masticando a bocca piena) Fai lo striptease? toni

(fa una pernacchia)

carino (a Toni, con falsa indignazione) Te se propri un falchèt! Ma tutto felice, sparisce ugualmente di là: la porta, tutta lavorata 73


in stile impero, bianca e filettata d’oro, si chiude alle sue spalle. F. C. il groviglio di voci e grida del pasto dei leoni. Baccano del pasto. La porta si riapre e compare Carino del tutto irriconoscibile: è travestito, con genialità di mimo, da xxxxxx xxxxxxxxxx [sic]. Seguiti dagli occhi meravigliati, ora beffardi, ora ammirati, dei ragazzi che mangiano con la fame dei vent’anni, seguono due o tre numeri, ad libitum, di Carino. Sono numeri da varietà o da clown: per esempio il numero del “Cosacco effeminato”. Carino entra travestito da Cosacco, con pochi elementi essenziali, che diano un senso di potente, greve, asiatica virilità, una specie di Gengis Khan baffuto e pettoruto, che, con un breve mimo, mette in mostra tutta la sua durezza e la sua baldanza: poi, di colpo, con un gesto fulmineo, quasi insignificante, si lecca le dita e si mette a posto i capelli, con aria capricciosa e femminile, facendo così crollare di colpo il mito del Cosacco costruito con tanta efficacia. Un altro numero potrebbe essere tutto puramente visivo e spettacolare: una follia di prestigiatore-comico, con tutto lo stravagante, variopinto, funambolesco e espressionistico armamentario del caso… Ma c’è, in quello che fa Carino, pur così genialmente, qualcosa di eccessivo, di sovraccarico, che alla fine dà una specie di stanchezza: e infatti alla fine del secondo numero, gli spettatori, alla fine ormai del pasto, danno segni di stanchezza. gimkana Ehi ragazzi, adesso che abbiamo finito, come eravamo d’accordo? Dai, andiamo a ribaltare le patate! Carino capisce al volo il senso di quella proposta e si allarma. carino Ah che schifo, vi prego! Rimanete, no? Ci si diverte tanto qua così, tutti insieme… Dove vorreste andare? 74


Fuori c’è freddo… e poi ci sono gli amici cattivi… Se avete nostalgia delle donne ci penso io! Un nuovo guizzo lo elettrizza, gli fa brillare gli occhi. toni carino

(fa un’altra pernacchia) Uh!

Fila fuori dalla porta stile impero. gimkana (con la sua impazienza un po’ nevrotica) Dai, dai, andiamo via, che mi son strac de stà chì, basta! mosè

Sì, sì, andèm via subit, và!

Ma il Teppa continua ancora a mangiare. teppa Uèh, un momènt! Lasciatemi finire di mangiare, no! Si apre la porta bianca dorata stile impero: e ricompare Carino in un nuovo travestimento. Sempre con due tocchi essenziali, da mimo nato, è splendidamente truccato da donna: ma una donna speciale, subito riconoscibile: Wanda Osiris. Carino-Osiris, fatta la sua comparsa a effetto, con le braccia spalancate, e delibata per qualche istante la silenziosa meraviglia degli spettatori, fa qualche passo, e cantando perfettamente come la Osiris, fa il nuovo numero: carino (con la voce e lo stile della Osiris in carne e ossa) Come una coppa di champagne io ti berrò… E così canta splendidamente l’intera canzone. I ragazzi lo guarda75


no e lo ascoltano divertiti. E alla fine scoppiano in applausi. contessa Brava la Wanda! Viva la Wandissima! carino-osiris (sempre con la stessa voce e stile della soubrette) Un pizzico di musica! Vola verso un giradischi, collocato sopra un magnifico mobiletto del settecento. carino-osiris panna!

Il tuo cuore è una ca-

Esplode la dolce, fatidica musica del walzer delle Candele. Rapito dalla musica, Carino allunga una mano, invitandolo a ballare, al Contessa, che gli è più vicino. carino-osiris

Questo solo con te!

Il Contessa si lascia trascinare, e cominciano a ballare il walzer lento: Carino è una Wanda perfetta. Vedendoli, gli altri ridono, facendo delle risate sempre più sguaiate e sforzate: più che risa sono urli nervosi, ruggiti. Poi Toni prende un pezzettino di polenta, e lo tira in faccia a Carino-Osiris, che cerca di non accusare il colpo. carino-osiris una rosa! teppa

Sadico! Fosse almeno

Eccola!

Prende e tira addosso a Carino un pezzo più consistente di polenta. toni 76

E adesso arriva il mazzo!


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Prende una fetta intera e la tira addosso a Carino: Carino evita il colpo, e la polenta va a spiaccicarsi contro un antenato, un generale, su un quadro della parete. Carino vede la malaparata. Ridiventa subito lui stesso, di colpo. Wanda Osiris scompare. carino Uèh, mamalùc, ma cos’è che vi gira, così tutto a un colpo? gimkana Ci gira ci gira che ci siamo rotti l’anima di stare qua, cribbio! Prende, isterico, e rovescia uno dei vassoi carichi dei resti della cena, che si spargono per terra, luridi, sul tappeto persiano. È il segno. Come fosse la cosa più naturale del mondo, Toni prende l’altro vassoio, e lo rovescia, con più furia, facendo schizzare gli avanti tutt’intorno. Il Teppa afferra un fiasco, mezzo vuoto, e lo tira contro il generale. teppa bevi!

Cià, adesso che hai mangiato,

Il fiasco si fracassa sul quadro! Carino, come in un incubo, assiste impotente a quella furia: grida, afono, pazzo, disperato: carino State fermi! Cosa fate! Aiuto! Cosa fate! toni

Taci!

E gli tira via un tappeto di sotto i piedi, facendolo cadere in ginocchio. carino (disperato, al Rospo) Rospo, diglielo tu! Diglielo tu, che la smettano, diglielo tu! Sono rovinato! 79


Il Rospo – sotto lo sguardo attento del Cino – per tutta risposta si avvicina al tavolo, prende per un lembo la tovaglia, tira, e con un fracasso terribile rovescia tutto, piatti, argenteria, cristalli: il pavimento è cosparso di cocci che brillano. Carino lancia un urlo di bestia sgozzata. carino

(urla)

Fatto questo, il Rospo esce e tutti gli vanno dietro. Scompaiono per la porta che porta allo scalone, quasi correndo. voci dei ragazzi Addio Carino! Addio! Salutami la marchesa! E scompaiono urlando giù per lo scalone di marmo. Carino resta solo. La sala da pranzo, intorno a lui, è tutta una rovina: polenta, vino, intingolo hanno lordato qua e là pareti e pavimento: un cimitero di cocci preziosi brilla tragicamente sopra i tappeti, tra le gambe del tavolo e della console. Carino è senza parole: paralizzato. Solo una specie di lieve rantolo gli raschia la gola. Ma è senza espressione, come morto. Per un po’ resta in ginocchio, fermo: poi, trascinandosi carponi, va per la stanza, prende in mano un pezzo di cristallo, un frammento di vaso, un piatto miracolosamente intatto. Ma non dice nulla: guarda come inebetito. Non può né parlare né piangere. Dissolvenza rapidissima.

80


quartiere grattacielo galfa Esterno. Notte. Una visione impressionante di Milano notturna: una piccola strada che corre lungo il Naviglio e s’imbuca in un tunnel, sopra cui si incrocia un’altra strada. A sinistra vecchie case: a destra, subito oltre il Naviglio, ci sono delle rovine di vecchie case sventrate, con le finestre vuote, occhieggianti, e angoli colmi d’un buio pauroso: dietro quell’ammasso di macerie, splendono le sagome di quattro cinque grattacieli: il Galfa, il Pirelli ecc. Sono immagini stupende: sfolgorano di luci come giganteschi diamanti, come colossali fantasmi pietrificati. voce di signora neh!

(F. C.) Stupendi,

voce di seconda signora grassa (F. C.) Eh, anche il progresso c’ha le sue bellezze… L’accento è milanese, ma sofisticato: da signore di via Montenapoleone. 81


Ecco, contro la straordinaria visione, si disegna la voce di una terza signora. voce iii signora (F. C.) Sembra un Braque… No, anzi, un Léger… voce i signora Ma anche il nostro Boccioni ha dipinto un po’ delle cose così… Silenzio: e dopo un poco, contro le dominanti sagome dei grattacieli, entrano in campo le tre signore. Sono molto eleganti, coperte di pellicce molto lussuose: visone ecc. Due sono anche molto belle. La terza è una bruna grassa, un po’ più anziana: ma anche lei qualche anno avanti deve essere stata una bellezza. Nella (la grassa), Clara e Ornella, camminano per un po’ in silenzio, verso l’imboccatura del piccolo tunnel. Clara stringe a braccetto Ornella, con una certa foga affettuosa. clara Oddìo, mi gira un po’ la testa! Lo champagne dei Radaelli mi ha sbronzata… Si stanno avvicinando all’imboccatura tenebrosa del tunnel. Come sono a una decina di metri, dall’ombra si staccano due ombre: due giovani uomini silenziosi. La signora grassa è subito insospettita. nella (con disgusto) Guarda là che due facce! Non avranno mica brutte intenzioni! Ma non conviene mostrarsi titubanti, e le tre donne camminano per un po’ silenziose verso il piccolo tunnel. È la grassa che ricomincia a parlare, con voce un po’ rauca e ansiosa: 82


nella Aveva ragione l’avvocato Morassuti, al congresso di Venezia sulla gioventù traviata! Eccome che aveva ragione! La gogna ci vorrebbe, per quei teppisti… Se ero io Segni, altro che la repressione, avrei ordinato: la forca! Intanto lancia sospetti e sgomenti sguardi sui due, che stanno appoggiati, come due gangster, all’angolo del piccolo tunnel. I due sono il Rospo e il Gimkana. Se ne stanno appoggiati all’angolo del piccolo tunnel, con aria stanca. Hanno delle sigarette spente, pigramente in mano. Le signore si avvicinano a loro, mute, concentrate nella loro inquietudine, ma cercando di non dimostrarlo. Mano mano che si avvicinano al tunnel i tre quattro grattacieli si vanno sempre più isolando nel cielo, dietro la scarpata, enormi fantasmi di luce. Ora le signore stanno a pochi passi dai ragazzi, questi si spostano e bloccano l’entrata nel tunnel. gimkana

La gà un fiamìfer?

Le signore cercano, fredde, di passare: risponde per tutte la più adulta delle due giovani, Clara: clara

Non fumiamo, ci spiace…

Cercano di incunearsi, dietro a Clara, tra i due: ma il Rospo allunga una mano e afferra la terza, Ornella, per un braccio. rospo Dov’è che andate così in fretta? Ornella si svincola: ma i due ragazzi sono di nuovo davanti a loro, a bloccare il passaggio. ornella

Ci lasci andare… 83


nella (scattando con furiosa indignazione di signora perbene offesa) Ma l’avete capita di lasciarci andare? Che cosa volete da noi, si può sapere? Il Rospo, muto, tira fuori da una tasca interna un lungo rasoio, e lo apre. Il Gimkana lo imita. Le lame dei due rasoi splendono minacciose. Da dietro – da dove sono avanzate le signore – arriva una macchina, silenziosa, e frena dolcemente due tre metri più in su, alle spalle delle donne. Dalla macchina scende il Contessa, va a uno sportello, e l’apre, invitante. contessa

Non salgono?

Il Rospo sta fissando, col rasoio in mano, le tre signore, impressionate. rospo Mi sa che da queste parti alla sera andare un po’ veloce fa male alla salute… nella (con uno scatto d’indignazione) Ma lasciateci andare, mascalzoni… rospo (avvicinandosi ancora di più a lei) Che belle pellicce! Sarebbe un peccato che andassero a pezzi… Ho l’impressione che se non montate su quella macchina, sarà proprio questa la loro fine. Cos’è? Visone? Accarezza la pelliccia, a lungo, calmo, col piatto del rasoio. rospo (con uno scatto) Su, salite, fate le brave! Chissà che poi non ci ringra84


ziate… Non capita tutti i giorni di trovare dei fusti come noi… Nella, la grassa, è presa a un tratto come da una crisi isterica: nella Lasciateci andare via, mascalzoni, guardate che ve la facciamo pagare cara, voi non sapete con chi avete a che fare… lasciateci passare, è meglio per voi… Il Gimkana le si accosta, faccia contro faccia. Con uno scatto fulmineo le apre la pelliccia: un colpo secco di rasoio, e le fa un lungo taglio sulla gonna di seta nera. gimkana Via in macchina, se no questi geroglifici ve li faccio sul musino. Nella è presa dal terrore: quel gesto vandalico del Gimkana dimostra che i ragazzi non hanno intenzione di scherzare. E in quel momento in fondo al tunnel appaiono, vividi, i fari di un’altra macchina, che si avvicina lentamente: arriva all’imboccatura, dopo avere investito il gruppo di una luce strana e violenta – e ne escono Mosè, il Teppa e Toni, stringendosi intorno alle tre donne. mosè (con una faccia da galera) Cos’è? Non vogliono? rospo

No, no… salgono, salgono…

E comincia a sospingere Ornella e Clara verso la macchina, presso cui il Contessa tiene lo sportello aperto. Il Gimkana sospinge la grassa, tenendole il rasoio sotto il naso. Alle donne non resta che ubbidire: salgono in macchina. Il Rospo e il Gimkana salgono dietro a loro. Il Mosè, il Teppa e il Toni risalgono nell’altra macchina. 85


E in silenzio le due automobili partono, calme, morbide, su per la strada da cui sono discese le tre signore. Ecco di nuovo la visione, impressionante, dei grattacieli che splendono dietro il Naviglio, dietro gli ammassi neri di ruderi, giganteschi fantasmi di luce. strada antistante casa rospo Esterno. Notte. La casa del Rospo, il piccolo grattacielo, si staglia isolato nei campi nudi, con intorno le migliaia di luci di Metanopoli. Arriva una delle due macchine, quella con le donne: imbocca il vialetto di ghiaia, e va a fermarsi davanti al portone della casa del Rospo. Per primo ancora scende il Contessa che si è un po’ affezionato alla sua parte di autista. contessa (aprendo lo sportello) Voilà, madames! Le signore scendono: dietro a loro il Rospo e il Gimkana, col rasoio. Il Gimkana l’ha legato al portachiavi e lo fa allegramente girare sull’indice. nella Non spererete mica di farla franca! Voi non sapete chi sono io, ci penserà mio marito, a farvela pagare… Teppisti! gimkana Cià, che tuo marito non ti ha mai fatta divertire come ti facciamo divertire noi stasera, sta buona! clara Ma si può sapere cosa volete da noi? 86


gimkana (con violenta ironia) Eh! Provi a indovinare! rospo Dai, salite, e basta con le chiacchiere… Va verso il portone e l’apre: le signore sono sempre recalcitranti, esasperate. rospo

Prego!

Sospinte dal Gimkana però non resta loro che muoversi verso il portone e imboccarlo. Alle loro spalle, mentre si muovono avviene un rapido dialogo furbesco tra il Gimkana e il Contessa: gimkana Me gusta e cocàr esta mujera! contessa Andale, andale, cabessa de cuerno che non duele! gimkana Dai, vamos a la noche de bagordos! Entrano tutti dentro il portone.

87


ingresso appartamento rospo Interno. Notte. Il gruppo entra nel disordinato e semivuoto ingresso. rospo

Permette, signora?

E aiuta Clara a togliersi la pelliccia grande e morbida. gimkana Vi prego, fate pure come a casa vostra: spogliatevi tranquillamente… Il Contessa si infila, scherzando, la pelliccia di una delle signore. contessa Vi prego!

Come mi sta? Mi dona?

Se la toglie, e si toglie anche la giacca, e poi la camicia. Rimane in canottiera: ed è chiaro che fa il culturismo, perché egli è un vero e proprio “mister”, con certi muscoli che si gonfiano e guizzano come se fossero vivi. contessa

Qui fa caldo!

Il Rospo, sospingendo quasi rudemente le signore, vedendo che recalcitrano ancora: rospo

Accomodatevi!

E spalanca con forza una porta dell’appartamento.

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stanza soggiorno rospo Interno. Notte. Anche nella stanza di soggiorno regna la solita aria di provvisorio e di caotico di tutta la casa del Rospo: ma non mancano mobili eleganti. In una parete c’è anche un bel caminetto, col parafuoco d’ottone. rospo Su, non fate le statue, mettetevi a sedere! Intanto anche lui si spoglia, e getta via la giacca, la camicia e anche la canottiera, restando a torace nudo. Anche lui è un vero “fusto”, con due spalle potenti. Rapida occhiata di Clara, che delle tre signore pare la più spregiudicata e intelligente, ai poderosi dorsi dei due ragazzi mezzi nudi. Scambio di occhiate tra Clara e Ornella, mentre Nella resta dura, disgustata e assente. Nuova rapida occhiata di Clara che indugia un po’ sulla scoperta bellezza virile. clara (con vibrante indignazione) Ma vi rendete conto di quello che state facendo? No, dico, lo sapete a cosa andate incontro? Anche se le cose… si fermassero qua… Sì, mi capite… Avreste già commesso il reato di sequestro di persona, e a mano armata, per di più… Dai due ai quattro anni di reclusione… Non so se avete mai sentito parlare di codice… gimkana Perché? Suo marito l’è un galeràt? Sta a dormire sul tavolaccio? clara Mio marito è l’impresario Eligio Barone: ne ha sentito parlare? contessa (gonfiando inverosimilmente il 89


torace) Ho giusto bisogno di un impresario teatrale… Voglio darmi all’arte! gimkana Io avrei un bel numero da far vedere a suo marito… clara

Ah sì, e di che si tratta?

gimkana (che forse intendeva qualcosa di ancora più pesante…) Un bel paio di corna. Il Rospo si rivolge a Ornella, la più carina, una ragazza molto sofisticata, che parla anche lei col tono di via Montenapoleone, leggermente démodé, e quindi quasi come la signorina snob della Valeri. rospo

E lei, è sposata?

ornella Sì, da quasi due anni: e mio marito è ancora giovanissimo e fa lo judo… rospo

Ha muscoli come questi?

Si gonfia, allargando il più possibile pettorali e dorsali, ben piantato sulle gambe larghe. Ornella lo guarda di sottecchi, e poi rivolge di nuovo lo sguardo a Clara. Nella è invece sempre furente. nella (al Rospo) Ma non ti vergogni a mostrarti in quello stato indecente davanti a una ragazza perbene?... Se ci fosse qui suo padre, ti sistemerebbe lui! Una persona rispettata e stimata da tutti, qui a Milano… tranne che dalla gentaglia come voi, cafoni! 90


contessa E chi sarebbe questo mostro di virtù di suo padre? nella (con sussiego, con violenza polemica) Non vi dirà niente di particolare: comunque si chiama Mazzoni, docente all’Università Cattolica! Il Rospo la guarda un po’ incuriosito, poi con voce semplice, chiaramente col tono di dire la verità: rospo Il professor Mazzoni? È amico di mio padre. La Nella è incredula, e sussulta a quelle parole come l’avesse punta una serpe: nella Sì, sentite questa! Amico di suo padre! Ma vergognati! Il Rospo parla secco, cinico, a bassa voce, con disprezzo: ma è chiaro che non dice bugie: rospo Sono stati bambini assieme, a Brescia. Mio padre mi rompe sempre le scatole con ‘sta storia. Hanno fatto l’università insieme, e anche tutta la guerra, quei due poveri fessi. Erano tutti due fascisti, e mio padre c’è rimasto. Cominciare da zero… Dopo l’esaurimento che si è preso quando i partigiani hanno preso mio fratello grande e l’hanno ammazzato a botte davanti ai suoi occhi. Clara lo guarda a lungo, con intensità. In quel momento la porta si spalanca con violenza e arrivano gli altri della banda, col bambino. Sono di nuovo pieni di pacchi, 91


specialmente bottiglie. toni

Huèla, arriva il beveraggio!

Il Gimkana afferra una bottiglia, e l’alza: gimkana Cara la mia bottiglia! Che cos’è, Black and White? Ciapà la ciuca con chela roba chì l’è un soign! Mosè guarda intensamente, con aria pericolosa, la più grassa delle tre, Nella. Muto, le si avvicina con in mano la cicca accesa. mosè Ti piace farti spegnere la cicca sul carname? nella

(furibonda) Cafone!

Imperturbabile Mosè, per tutta risposta, le stringe il ganascino. mosè

Bella paciocona!

Il Rospo versa il whiskey in due bicchieri e si avvicina a Ornella. La guarda e le allunga un bicchiere. Ornella esita, coi suoi occhi grossi e misteriosi di sofisticata: lancia uno sguardo a Clara. Poi ha come una decisione improvvisa. Allunga nervosamente una mano e afferra il bicchiere. Sorseggia, con calma nervosa, il whiskey. rospo (guardando fisso Ornella, e alzando leggermente il bicchiere) Cin cin! Il Cino tutto eccitato dalla novità della scena, si aggira tra i grandi, osservando curioso. gimkana (realizzando la presenza del bambino) Abbiamo l’asilo tra i piedi, 92


ehi! Cià, dove lo possiamo sbattere il gognetto malefico? Il Rospo, irritato per l’interruzione del suo nascente idillio con Ornella, si volta di scatto, e prende brutalmente il piccolo per un braccio, trascinandolo verso una porta. stanza da letto casa rospo Interno. Notte. È la stanza dove poche ore prima il Cino era stato legato al letto e bersagliato con la cerbottana. Egli si divincola: la stretta del fratello è una morsa. cino No! No! Lasciami, voglio stare anche io con le signore! Ma il Rospo non lo sente neanche: lo sbatte con una spinta sul letto, e riesce dalla stanza, chiudendo la porta a chiave. Il Cino se ne sta desolatamente accucciato sul lettone dei genitori, con una faccia colma di triste indignazione, di dolorosa e muta protesta per l’ingiustizia che gli è stata fatta. Poi scende giù dal letto, e, sempre crucciato, si guarda intorno. La stanza è triste, desolata, in disordine. Ecco lì per terra la corda con cui era stato legato al letto. Ed ecco un po’ più in là la cerbottana, coi proiettili. Lentamente, con noia, con disgusto, il bambino raccoglie la cerbottana, si accuccia due tre metri davanti alla porta oltre la quale si sente il brusio, mescolato a qualche grido e a qualche risata, della piccola orgia. E, senza convinzione, comincia a bersagliare la porta con la cerbottana, conficcando i leggeri proiettili nel legno: ed ecco che al sesto e settimo proiettili che vi si conficca, si sente, tra le risate maschili, una risata femminile.

93


sala soggiorno rospo Interno. Notte. A ridere è Clara. Una risata nervosa e studiata, con eleganza. Ai suoi piedi è il Contessa, che si gonfia in varie pose da Mister: sopra di lei, cascamorto, il Gimkana. gimkana (alludendo al Contessa) Culturista: lung de bale e curt de vista! Dicendole così le si avvicina fin quasi a sfiorarla con la bocca. contessa

Ma va là, terrone!

Il Rospo è addosso a Ornella, e cerca di baciarla. Ornella si schermisce: la sua espressione è impenetrabile: ma in fondo agli occhi le guizza una specie di colpevole allegria. rospo (finalmente supplichevole) Dai, solo un bacetto! La donna si rifiuta ancora qualche istante, poi, di punto in bianco, dà un bacio sulla guancia del Rospo, ma leggero leggero, quasi infantile. Vedendo questo, un’espressione di scandalo e indignazione passa sulla faccia di Nella. mosè (alla grassa) E tu me lo dai mica, un bacetto? La Nella alza furiosamente le spalle: tuttavia si sente che non è più così rigida e convinta come poco avanti. Il Toni e il Teppa bevono, brindando fra di loro. Poi mettono della legna nel caminetto che frattanto hanno acceso, e brindano di nuovo, contro le fiamme che guizzano. toni 94

A la tua!


teppa

A la tua!

Bevono dal bicchiere incrociando le braccia, quasi guancia contro guancia. Ingollato il whiskey, il Teppa si stira, in tutta la grandezza del suo corpo esaltato dalla divisa di teddy boy. teppa

Ma che caldo, cribbio!

Si toglie il giubbotto di cuoio nero, col suo nome scritto sulla schiena: poi si toglie il maglione, poi la canottiera. Poi, non contento, si sfila anche i calzoni, un paio di blue jeans così stretti che, per toglierseli, deve farsi aiutare dal Toni. toni Ehi, ragazzi, se sbiòtum! C’è lo spogliarello! Mentre il Teppa si spoglia, il Toni, come accompagnamento, canta un rock and roll, ma moderato, adatto all’occasione. toni (“urla” moderatamente un rock and roll) Il Teppa è ora in slip – un vero e proprio paio di slip blu da bagno. E si batte il petto come Tarzan. Fatto questo, va a invitare a ballare la grassona: e il Toni canta con più convinzione – invitando al ballo – il suo rock and roll. teppa (afferrando per una mano la Nella) Dai, balliamo! nella (resistendo) Piantala, brutto porco, che non sei altro! Va via! Il Rospo smette di sbaciucchiare la Ornella: e si avvicina interessato, e evidentemente ormai seccato, alla grassona. 95


rospo (guardando con calma minacciosa la grassa) E con me non lo faresti, un giro? nella

Ho detto di no, e no!

Clara interviene, col suo approssimativo buon gusto, di mezza intellettuale: clara Eh! Non essere così intransigente! Cerchiamo di prendere le cose con spirito! Dopotutto, non siamo mica a Bracciano: siamo a Milano! nella (sempre meno convinta nella sua resistenza) Cosa vorresti dire, con questo, che col primo mascalzone che viene, tu… clara (secca, un po’ ubriaca) Perché no? Se mi piace… E poi, mascalzoni, mascalzoni… Sono figli di gente bene, in fondo… gimkana (mettendo una mano sulla spalla di Clara, cameratescamente) Oh! Se cumincia a ragiunà! clara

(a Ornella) Tu cosa ne dici?

Ornella alza un attimo le spalle, ha un breve silenzio e poi: ornella Vorrà dire che Bugatti-Calzecchi aspetteranno… Il Contessa ha acceso una radiolina e pazientemente cerca una stazione buona: ecco, finalmente la trova: è un ritmo vivacissimo, 96


che fa sobbalzare il Teppa. Per un po’ il Teppa, in slip, coi capelli neri sulla fronte, balla da solo: poi ballando, va da Ornella, e la trascina con lui. Ornella è bravissima, i due si esibiscono in un numero entusiasmante. Lungo, travolgente ballo del Teppa e Ornella. Clara beve: si vede che è quasi del tutto sbronza. Addosso a lei è sempre il Gimkana. clara E tu, perché non te la togli, la giacca! gimkana Sono un distinto… Me la tolgo solo quando l’intimità e completa… clara O è perché senza ti senti un verme? gimkana A cosa alludi, piccola! Senti qua che fusto! clara

Posso? Fa vedere!

Gli allarga la giacca e gli sbottona la camicia aprendogliela sul petto. E, sul petto, comincia a baciarlo: dapprima dolcemente, poi con violenza, fino a dargli un morso. Gimkana rimane fermo per un po’ a farsi baciare così, poi con uno scatto improvviso rovescia la donna incollandole un bacio a ventosa, e, sempre con le sue labbra incollate a quelle di lei, le fa scivolare tutto il corpetto dell’abito da sera, denudandola. Dalla bocca scende piano a baciarla sulla gola e sui seni… Il Rospo sta ballando con Nella: se la tiene stretta, con le mani congiunte dietro la schiena di lei. rospo Beh, però se la cava bene a ballare…

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nella Cosa credevi, che solo i teddy boys sanno ballare bene? rospo razza?

Lo sai il movimento della

nella

Mai sentito.

rospo

Proviamo.

Le si stacca un poco e le mostra un movimento di ballo, sinuoso e sensuale. rospo

CosĂŹ.

La Nella impara subito. Si riaccostano, e eseguono, stretti, il movimento della razza. rospo Te gusta de balà r con migo, eh, bonita! Il Teppa e Ornella continuano a ballare, scatenati: un roteare di corpi giovani, potenti, sfrenati‌

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stanza da letto casa rospo Interno. Notte. Il Cino è sempre chiuso nella camera da letto. Ora se ne sta senza fare niente, stanco da un bel pezzo della cerbottana, accucciato su una sedia. Dalla camera accanto giunge il rumore della festa: la musica sfrenata di jazz, lo scalpiccio dei piedi delle coppie che ballano, parole mozze, risate, grida. Cino è triste: è evidentemente stanco anche di origliare. A un tratto la sua attenzione è attratta da qualcosa: una viva curiosità si dipinge sul suo volto smunto dal sonno. Si tratta di un topolino, là, appena uscito da qualche nascondiglio. La casa è nuova: quindi il topolino non può avere una tana: sarà entrato per la via normale, e ora si aggira sperduto nella stanza. Il Cino prova simpatia per la bestiolina: piano piano gli si avvicina: ma quello scappa e si nasconde sotto un mobile. Il Cino sposta il mobile e il topolino è costretto a cercare un altro rifugio. Il Cino allora accende una lampada tascabile, e con quel fioco raggio di luce, lo cerca negli angoli più oscuri della stanza. Lo scopre. Lo perde ancora. Lo torna a scoprire. Così il bambino passa il suo tempo, giocando con la bestiolina spaurita. Rapida dissolvenza.

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stanza soggiorno rospo Interno. Notte. La Nella è congestionata, folle. È seminuda, e, coi capelli sciolti, sta cantando una canzone di moda di una quindicina d’anni avanti: nella No, l’amore no l’amore mio non può disperdersi con l’oro dei capelli… Toni è stravaccato in un angolo, mentre gli altri, uomini e donne sono ammassati uno sull’altro in un groviglio di corpi. toni Se l’è ‘sta nenia? C’è qualcuno che ha mal di pancia? teppa

(di rincalzo) Daga un taj!

nella (continua a cantare, con una certa classe, la vecchia canzone di Alida Valli) Il Contessa sta condividendo col Gimkana il corpo di Clara. contessa Non usavano ai tuoi tempi gli spogliarelli? nella (completamente fuori di sé) No! Non usavano! Sai chi sono stata io? La modella della signorina Grandifirme, cocco bello! e mio marito mi ha conosciuta ch’ero soubrette della compagnia di Macario, che quella volta faceva furori! contessa Vediamo allora come facevi lo spogliarello! 100


Una vampata di sensualità, di orgoglio, quasi di rabbia passa sulla faccia della Nella. nella (quasi urlando, con tono di sfida) Così! E, con violenza, quasi con brutalità, si toglie il vestito, la sottoveste, il reggipetto, le mutandine. È nuda in un attimo. I ragazzi intorno guardano quell’enorme corpo denudato, come non credendo ai loro occhi, tanto fulmineo è stato quello spogliarello eroico, all’antica. stanza da letto casa rospo Interno. Notte. Il Cino sta ancora giocando col topo: ha fatto con dei mobili una specie di trappola, e cerca, accecandolo con la lampada e spaventandolo di farlo entrare per poi rinchiuderlo e catturarlo. Ma il topolino ha trovato una fessura, s’è infilato, ed è sparito. Il Cino è di nuovo tutto solo. Ma a un tratto, fuori, dalla strada, giungono gridi, voci, spari. Un fracasso improvviso e travolgente. È la mezzanotte di Capodanno. Il Cino va alla finestra e l’apre. Dal caseggiato di fronte, un po’ meno nuovo di quello dove abita il Cino, viene tutto quel rumore di festa: dalle finestre aperte la gente butta giù piatti, bicchieri, bottiglie. Gli auguri e le risa volano nell’aria ghiacciata e nebbiosa. Voci di augurio Grida di buon anno Più lontano, probabilmente da un cascinale in mezzo alla campagna, risuonano degli spari. E più lontano ancora si sentono – e si intravedono – dei fuochi d’artificio. 101


Giù per la strada passa un gruppo di gente, tra cui molti giovani: tutti si gridano gli auguri, e spariscono correndo nel buio. Il Cino guarda stupito e contagiato dalla gioia generale. stanza soggiorno rospo Interno. Notte. Nella camera di soggiorno la confusione è tale, che, nella penombra, non si distingue quasi nulla: è un groviglio, un carnaio, una piccola bolgia di corpi mezzi nudi. Il Teppa si alza dal mucchio confuso e, sempre in slip, traballando, va a buttare un pezzo di legno sul fuoco del caminetto semispento: subito il fuoco si ravviva, e una gran fiammata fa luce sul groviglio dei corpi, che si distingue meglio, netto, a tratti, come un’allucinazione. Ma il Teppa, alzandosi, è uscito dal torpore del vino e della sensualità, guarda fuori dai vetri. teppa (gridando) L’è mesanòt! Fioeu, l’è mesanòt! Le donne si agitano e ridono: voci delle donne Oh Dio, è mezzanotte! Auguri, Ornella! Auguri Clara! Buon anno, buon anno! Tutti un po’ alla volta si svegliano, si agitano, al chiarore incerto e inquieto della fiammata. ragazzi

Auguri! Buon anno!

Il Rospo si alza in piedi, tira fuori da una tasca dei calzoni la sua pistola, la impugna minacciando scherzosamente di sparare sulla compagnia. Poi va alla finestra, la spalanca, e comincia a sparare a uno a uno, lentamente, contro il cielo, sei colpi, che risuonano 102


fortissimi, assordanti dentro la stanza. Sei colpi di pistola Il Contessa si è alzato, si è gettato sulle bottiglie di spumante e le stura, facendo saltare i turaccioli. Botti dei turaccioli contessa ragazzi!

È l’ora del francese! Forza

Comincia a rovesciare lo spumante nei bicchieri sporchi che tutti gli tendono. Clara è sempre mezza ubriaca. Auguri, maschioni!

clara ornella mosè

Felicità!

(a Nella) A la tua, stelassa!

nella A mio marito, pien di grana e pien de ciccia! Ride ubriaca e beve d’un sorso lo champagne. Tutti si riabbracciano, ricadendo distesi sulle poltrone, per terra, nel groviglio di corpi di poco prima, e che la fiamma ora illumina più debolmente. Continuano a bere, e bevendo si baciano. Le facce sono luccicanti di champagne.

103


stanza da letto casa rospo Interno. Notte. Cino è sempre solo, relegato nella stanza dei genitori: ma ha deciso di evadere. Dalla finestra aperta, quello che succede fuori, nella strada, lo attrae, lo affascina. Subito sotto la finestra c’è un ballatoio, da dove il Cino pensa di poter uscire di casa. Prende la corda con cui era stato legato, la lega a un uncino della finestra, e, coraggiosamente – come avevano fatto poco prima i più grandi per entrare in chiesa – ci si lascia scivolare giù, per circa due metri, fino sul ballatoio. Sul ballatoio dà una porta finestra. Il Cino l’apre. La porta finestra dà su un appartamento ancora da affittare, completamente vuoto. Il Cino entra, attraversa di corsa la stanza vuota. strada antistante casa rospo Esterno. Notte. Il Cino si avventura prima per il vialetto di ghiaia vicino a casa sua, poi per la grande strada di asfalto, che passa per Metanopoli. Le luci di Metanopoli brillano intorno all’infinito: una miriade. Ma il momento “di punta” di mezzanotte è passato. Corre per la strada, ai cento all’ora, una macchina, piena di giovani, che gridano e cantano, e subito dietro un’altra uguale. Poco più in là, accanto a un benzinaio, c’è un gruppetto di persone: custodi, guardie notturne, benzinai, che ridono, un po’ ubriachi, tranquilli e umili. Ed ecco passare anche un gruppo di persone, sono tutti adulti, ma tra essi c’è anche una bambina, sui sei sette anni, che si lascia trascinare buona e insonnolita per mano. Passando davanti al Cino, essa comincia a guardarlo fissa, incuriosita. Le è simpatico, e, con tutta semplicità, come gli è vicina, lo saluta: 104


bambina cino

Ciao!

(timido) Ciao!

La bambina fa ancora qualche passo dietro ai grandi che chiacchierano, poi si volta ancora: bambina

Ciao!

Il Cino si avvia solo oltre la strada, verso il caseggiato di fronte da cui poco prima era esploso tanto baccano. Ora tutto è più calmo. Il Cino cammina solo tra i cocci rotti che riempiono la strada, luccicando qua e là. stanza soggiorno rospo Interno. Notte. Tutte le luci sono accese: il disordine è illuminato spietatamente, e ha già un’aria vecchia, stantia. La festa è finita. Le signore si stanno rivestendo e pettinando, a uno specchio della stanza. Ornella, seria, come assente, si dà svogliatamente il rossetto. ornella Cosa racconteremo ai nostri amici, adesso… clara (anche lei come assente, a mezza voce) Lo sai che alla festa doveva esserci anche il Crespi… e forse il Quasimodo? Meglio non pensarci. Nella, riassestandosi, si guarda il vestito strappato. nella Povero il mio vestito. Me l’ero fatto fare per lo Scià. 105


Le signore – e soprattutto la Nella – sembrano tornate quelle di prima, ora che la festa è finita e la parentesi chiusa. È come se nulla fosse successo, e tutto fosse tacitato e rimosso. Il Mosè guarda ancora con l’aria del maschio soddisfatto ma ancora un po’ vogliosa il corpo della Nella. mosè (dando una manata nel di dietro della Nella) Che cos’è, madre Natura o madre Pirelli? La Nella lo guarda inviperita, pallida di rabbia, e si scosta senza rispondergli. Interviene il Rospo, che sta finendo di infilarsi il “vestito da teppa”, pressappoco uguale a quello del Teppa e di Toni. rospo (a Nella) Uèh, siamo ritornati seri, a quanto pare! Ma tanto l’abbiamo capito chi sei, tu. Neanche a lui Nella risponde: poi si rivolge alle amiche, finendo di mettersi a posto l’acconciatura, e parlando in inglese: nella (in inglese) Questi teppisti! Presi uno per uno sono tante pecore. Questo qua se non avesse intorno i suoi scagnozzi sarebbe come suo fratello piccolo. Il Rospo, che stava ricaricando la pistola con cui aveva sparato in aria colpi d’allegria, ascolta attento e accigliato le parole di Nella. rospo (in inglese) Grazie per l’interessante osservazione… (Poi si rivolge agli altri) Avete sentito, ragazzi? Dice che noi teppa presi uno per uno siamo tante pecore, e che se io non avessi intorno degli scagnozzi come voi, seri come 106


mio fratello piccolo. La sua faccia è pallida di rabbia, gli occhi gli brillano minacciosi: sta evidentemente pensando a qualcosa. E sovrappensiero, minaccioso, aggiunge: rospo

Eh, forse ha ragione!

Toni interviene, intempestivo, vociante. toni

Ha ragione un cavolo!

Il Rospo approfitta al volo dell’irruenza del Toni per preparare il suo piano d’azione. Si rivolge ai ragazzi voltando per un attivo le spalle alle donne, e fa loro rapidamente l’occhietto, con una faccia crudele che non promette niente di buono. rospo Ma sì, ma sì, ha ragione… Siamo stati dei vigliacchi con loro, dobbiamo ammetterlo… Si avvicina a Clara e Ornella, con faccia piena di ipocrita contrizione: rospo Ci siamo comportati davvero male, con voi… Ma solo in principio, poi abbiamo capito con chi avevamo a che fare… Ci dispiace, davvero… Noi non siamo quella gentaglia che abbiamo dato l’impressione di essere… Ci perdonate? Lo chiede con tanta infantile ingenuità e candore, che a Clara sfugge un sorriso: ma non risponde. Il Rospo le si avvicina, sempre col visto infantilmente crucciato. rospo Dite… ci perdonate?... Dite… 107


Clara lo guarda con una specie di sorriso: ormai è pronta per andar via. clara

Ma sì, vi perdoniamo…

Il Rospo ha il viso illuminato da un’espressione felice… rospo Cià, andiamo, che vi accompagniamo a casa! Tutti si apprestano, da buoni amici, a uscire. strade antistanti casa rospo Esterno. Notte. Il Cino, stanco di girovagare tra i cocci, insonnolito, sperduto, va verso una cabina telefonica che sorge accanto al benzinaio. Entra, mette il gettone nella scanalatura alzandosi sulla punta dei piedi, e cerca di fare il numero che gli aveva lasciato sua madre. Ma non lo ricorda bene, o non riesce a farlo. cino tu?

Pronto! Mamma! Mamma, sei

Ma gli rispondono voci ignote, confuse, in cui risuonano le parole “Auguri” “Buon anno”, come se tutti fossero ubriachi, disumani. Il Cino fa un’altra volta il numero, e un’altra volta ancora. cino

Mamma! Mamma!

Ma sempre voci ignote, strane, elettrizzate gli rispondono nei più strani modi, inafferrabili. Voci confuse al microfono. cino 108

(rifacendo il numero) Mamma!


Ma ancora stavolta niente. Allora il Cino desolato esce, lasciando penzolare il microfono al filo. Dal microfono ciondolante escono confuse e pazze parole. Confuse parole di auguri dal microfono. Il Cino esce sulla strada, l’attraversa, e, di corsa, va verso casa. Qui davanti c’è l’automobile con cui sono venuti i ragazzi della banda con le donne. Entra e si chiude dentro. Proprio in quel momento vede venire avanti il gruppo dei ragazzi e delle signore, verso la macchina. Egli si rintana sotto il sedile. Il gruppo avanza, uscendo dal portone della casa del Rospo, e viene in fretta verso la macchina. contessa (sbadigliando) Uèh, fem a la svelta, perché mi gò son! Il Teppa e il Toni, molto sbronzi, vengono dietro per ultimi, tenendosi a braccetto, malfermi sulle gambe poderose, e cantando come dannati. toni e teppa (cantando a squarciagola) Arrivano davanti alla macchina, il Rospo apre lo sportello. rospo

(alle signore) Prego!

Il Rospo e il Contessa, con le signore, salgono sulla macchina. Gli altri prendono le motociclette, che avevano lasciato lì all’inizio della serata. La compagnia motorizzata parte: davanti la grossa macchina, e dietro, come una scorta, le motociclette. Con un gran rombo imboccano la strada, e filano via. Le motociclette del Teppa e del Toni, ubriachi, sbandano paurosamente.

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strade milano Esterno. Notte. Nuove visioni fulminee della città nell’orgasmo dell’ultima notte dell’anno. Le immagini che passano davanti all’obiettivo, come sempre, sono come viste dalla macchina o dalle moto in corsa, oggettivamente. Nell’atmosfera buia e gelata, improvvisi scoppi di luci e di voci: compagnie, ubriachi, gente allegra, spari… L’ultima notte dell’anno si va lentamente dissolvendo. Ecco il nuovo giganteggiare, sopra mucchi più scuri di case vecchie e nuove, gli immensi blocchi luminosi dei grattacieli Galfa, Pirelli… Sembrano come fosforescenti, nel buio lattiginoso… La macchina arriva in una larga strada, tra lussuosi caseggiati, nel cuore del quartiere dei grattacieli. Guida il Rospo, che ha accanto il Contessa: dietro sono le signore, col piccolo. La macchina rallenta, evidentemente già nelle vicinanze della casa delle signore. Ed ecco che, disposti qua e là lungo la strada, agli angoli, si vedono gli altri, già arrivati, a cavalcioni delle loro motociclette. Ma non sono solo il Teppa, il Toni, il Gimkana e il Mosè: ce n’è, insieme a loro, un’altra mezza dozzina, tutti in motocicletta, tutti vestiti da teppa: e tra questi c’è pure una ragazza, sul sellino di quello che è evidentemente il capo, William. contessa Guarda guarda, chi si vede! William e la banda dei Pestatori! Con Pupetta! Stasera riunione al completo! L’automobile passa lentamente davanti ai motociclisti, che hanno l’aria di aspettare indifferenti. rospo Eh sì! Bene, più siamo e meglio è! Vero, Contessa?

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La sua voce si fa ambigua e minacciosa, voltandosi di scorcio verso le donne. rospo Queste brave donnine, eh, che vanno in giro, tranquille!... Eh, certa gente non avrebbe diritto di campare così: è tutto troppo facile per loro! Il Rospo si incupisce: egli cerca ferocemente un alibi moralistico alla sua azione: una ragione profonda della sua rivolta, ragione ipocrita, conformista e perciò tanto più dolorosa. rospo Hanno i soldi, le pellicce… i maritini che sgobbano e guadagnano i milioni alle spalle dei poveri cristi… Si divertono con chi gli pare, dimenticando la polenta che hanno al dito, e magari i figli innocenti che hanno a casa… poveri bambini… e si danno agli sbarba! Eh, no! È troppo facile, vero… Intanto, mentre la macchina avanza e si ferma davanti a un ricco portone, la compagnia dei motociclisti si è disposta intorno, quasi in cerchio. rospo (alle signore) Ecco, siete arrivate alla carbona… Prego… Scende dalla macchina e apre lo sportello. Le signore escono. Il Rospo si rivolta, con improvvisa violenza, a tutta la compagnia. rospo (ai compagni) Ragazzi! Salutate le signore! Come a un segnale, tutti d’accordo, i ragazzi cominciano a suonare i clacson delle loro motociclette: un rumore infernale, strazian113


te echeggia intorno, nel silenzio notturno. Violentissimo baccano di clacson. Nella baraonda furiosa dei clacson schiacciati a tutta forza, si mescolano delle voci di scherno: ragazzi Clara! Amore! Torna indietro che ti facciamo un’altra volta! Ornella! Ho qua le tue mutande! Nellaaa! Tanti saluti al tuo maritino, e fagli gli impacchi alla testa! Diglielo, diglielo! Raccontagli un po’ come si fa l’amore, coi maschi giovani e forti! Le tre donne, atterrite, camminano in fretta, verso casa, seguite dal maccano assordante dei clacson, e dalle voci che le insultano. Qualche finestra si apre: della gente che cammina per la strada si sofferma a guardare la scena. Rumore assordante di clacson. Voci di insulti. Anche la ragazza che è con l’altra banda interviene: pupetta Ecco le signore tanto per bene! Guardatele, che carnivendole! Le signore, terrorizzate, coi vicini che si affacciano alle finestre, entrano in casa. Alle loro spalle continua la baraonda. Appena esse sono entrate in casa, quelli dell’altra banda mettono in moto, sempre con un fracasso infernale, le loro motociclette, e si allontanano.

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ragazzi della banda e pupetta Addio! Buon anno! Pupetta, aggrappata sul sellino posteriore di un Harley Davidson alle spalle di un tracagnotto, si rivolge, allontanandosi nella corsa veloce, al Rospo e alla sua banda: pupetta Ragazzi, ci venite, dopo, al 62? Stasera gran cagnara! Non mancate! rospo (gridandole dietro) Per adesso no! Abbiamo da fare! Dopo! tra un paio d’ore, magari! pupetta (gridando, già lontana) Dai, veniteci! Non fate i loffi! Vi aspettiamo! La sua voce non si sente quasi piÚ: la banda scompare lontana in fondo alle strade buie, con un grande rombo confuso di motori e qualche ultimo urlo di clacson. Dissolvenza.

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strada periferia milano Esterno. Notte. Il Rospo è chino sul manubrio della sua motocicletta: dietro a lui, la notte della periferia: e, intorno, il sordo rombo dei motori. Egli corre a non più di venti trenta chilometri all’ora, perché sta parlando. rospo Quelle là le abbiamo sistemate, eh… Stasera ne dobbiamo far vedere delle belle, a quella gente… La sua faccia si incupisce di nuovo, nella sorda ferocia di chi inventa delle giustificazioni morali al suo operato, e insieme con la disperazione di chi soffre realmente di una confusa repressione morale. rospo Ci son troppe persone, in questa città, che hanno il pelo nello stomaco: è un ambiente che fa schifo! Se hanno avuto un anno tranquillo, stasera gliela facciamo pagare per tutte!... Se ne vedono di tutti i colori… Donne che fanno cornuti facile i loro mariti… i commenda pancioni che vanno con le ragazzine minorenni… Magnaccia… prostitute… Gli ambigui, poi, quello del terzo sesso! Quelli mi fanno proprio schifo… Sangue, stasera! Tace per qualche istante, torvo, coi lineamenti deformati dal disgusto rospo Che schifo, questa società! Sembra tanto pulita, e sotto è marcia, marcia, marcia… Ah, che non li posso proprio sopportare tutta questa massa di sporchi borghesucci conformisti… 116


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Sangue, stasera! L’obiettivo ora inquadra l’intero gruppo dei motociclisti. Il Rospo è in mezzo, e ai suoi lati corrono gli altri, in fila, in modo da occupare tutta la larga strada di periferia. Procedono lentamente, e i motori hanno un rombo sordo e compresso. Mosè tira fuori da dietro il sellino una bottiglia. mosè (attaccandosi al collo della bottiglia) Uhei, va giù come l’olio! toni

(pronto) Passa!

Il Mosè, dopo che ha bevuto, passa la bottiglia al Toni, che beve a sua volta, avidamente, sgangheratamente, come sempre. Poi la passa al Teppa. gimkana E a me niente? Sono il figlio della serva? Il Teppa, senza bere, la passa subito al Gimkana. toni teppa

(al Teppa) E ti nagòt? Ho minga voja!

contessa Per forza, che non beve! Sta a pensare a la donnina… Gli altri capiscono subito e ridacchiano. toni Ah già, che qui siamo dalle parti di San Siro… gimkana Siamo in zona, e lui sente l’odore del suo amore! 119


teppa (con voce bassa e forte) Ma muchela lì, babiòtt! gimkana Va là, va là, che ti abbiamo visto varie volte insieme, incollato a lei… Come si chiama? Cosa, Daniela… teppa Macché, Daniela! Ma da dov’è che hai tirato fuori questa Daniela che non esiste… L’unica Daniela che conosco è la mia professoressa di lettere… È alta un metro e sessanta, e pesa un quintale! I sei procedono sempre lentamente, in fila, occupando tutta la strada, chiacchierando allegri sul rombo tranquillo e regolare dei motori. contessa Va là! Cuntela giusta! Vuoi scommettere che ce l’hai in tasca, la foto… gimkana Ma sì, va, l’ho vista anch’io! È anche una bella mina! teppa (cominciando a prendersela) Ma sacronòn, piantèla lì, se no me fè girà le scàtul! Il Gimkana ha un guizzo nei suoi occhi esaltati. gimkana quisa…

Dai, fioj, ghe fem la per-

Spinge più forte la motocicletta e mettendosi davanti alla motocicletta del Teppa frena, costringendolo a frenare a sua volta, bruscamente, e rischiando di slittare sul fango. 120


teppa (violento) Fa no il bauscia, che ti spacco la faccia! Ma il Contessa e il Mosè gli sono addosso, alle spalle, stringendolo alla carabiniera. Inutilmente il Teppa, fortissimo, cerca di liberarsi da quella stretta, dando calci, gridando. Il Gimkana gli fa la perquisa, mentre il Toni assiste ridendo. Il Rospo si avvicina, tranquillo. teppa (urlando) Fermi, fermi… piantatela, è meglio per voi… Gimkana, dentro una tasca interna del giubbotto, ha trovato il portafoglio, e, dentro, la foto. gimkana Eccola! Bella! È proprio una tranquilla! mosè (osservando la fotografia) Gh’è anca la dedica… Fam lege un pu… “Al mio unico e grande amore.” Mosè scoppia in una fragorosa e cattiva risata, e tutti ridono con lui, piegandosi e urlando. ragazzi

Ah, ah, ah, ah! Amore!

Le loro risate hanno qualcosa di forzato e voluto, che raschia le gole. rospo Ma non ti sarai mica preso l’imbarcata sul serio… Il Rospo prende dalle mani di Mosè la fotografia, e la guarda: si tratta di una ragazzetta carina, fotografata contro lo sfondo dello stadio di San Siro. Detto, fatto: il Rospo prende e strappa la fotografia, buttandone i pezzi per terra, oltre l’argine della strada. 121


Il Teppa guarda lo scempio, fingendo la massima indifferenza. Scrolla le spalle, rimontando a cavalcioni della motocicletta. teppa

A mi me fa!

Rimette in moto la motocicletta, e gli altri si affiancano a lui, in fila, come prima, in modo da occupare tutta la strada, e si allontanano, in un lento rombo. Dissolvenza.

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periferia milano Esterno. Notte. Una macchina è ferma in mezzo a una strada che scorre tra due prati, due aree da costruzione, fangose, e piena qua e là di mucchi di legname. In fondo c’è una fabbrica, curiosa, che si staglia come una costruzione da Metropolis, tutta serbatoi e piccole goffe ciminiere, contro il cielo notturno. Lungo la strada, contro lo sfondo metafisico di quella fabbrica, cammina un uomo, malvestito, miserabile. Egli guarda fissamente l’automobile ferma: e, man mano che si avvicina, i suoi passi si fanno più cauti e silenziosi. Finché, quando è a qualche metro dalla macchina, comincia a camminare come un ladro, a gesti studiati, abili. Nella sua faccia c’è una colpevole tensione. Eccolo, ora è vicinissimo alla macchina, e guarda dentro, fisso, oltre il finestrino. Nei suoi occhi si fa sempre più accesa la sua colpevole espressione. Guarda avidamente, disperatamente. I vetri sono annebbiati dal calore interno della macchina: tuttavia si riescono appena a intravedere, controluce, le figure di un uomo e di una ragazza. 123


Si vede che l’uomo cerca di baciarla, e la ragazza si schermisce. Il voyeur, allora, scivola silenziosamente lungo la coda della vettura, per avvicinarsi a un altro finestrino, da dove vedere meglio. Nella sua espressione, di avido stravolto piacere, si riesce a immaginare quello che accade nella macchina. Così, per qualche minuto, negli occhi di quel povero maniaco, si riflette quello che accade dentro la macchina. Ma ecco che un improvviso rumore di motori, che avanzano con lento rombo, lo impaurisce. Si guarda attorno, inquieto. Ma il rumore cessa subito, come se le macchine si fossero fermate in una strada vicina: ed egli riprende, tremante, a spiare… Infatti dall’altra parte della fabbrica silenziosa, col suo caos di serbatoi e ciminiere, lungo la strada perpendicolare a quella dove si trova la macchina, sono venuti a fermarsi il Rospo e i suoi compagni. rospo (al Gimkana) Ehi, tu che sei esperto di queste cose, non è un posto dove le coppie vanno in càmpora, qua? gimkana Di solito le coppie non mancano… mosè O siamo orbi e ce le dai storte! Qua non si vede un cane! Mentre gli altri chiacchierano, il Contessa si allontana silenzioso, verso l’angolo del muretto che recinge la fabbrica. toni

Du a te vè, Contessa!

contessa

A raccogliere i fiori!

Svolta oltre l’angolo del muretto, e scompare. Il Cino, accanto a una motocicletta, dorme in piedi. Mosè – che ha preso fin dapprincipio a proteggerlo un po’ – si rivolge a lui: 124


mosè Ehi, cipelìn! L’è lì ch’la sta pu nanca in pe’! Teppa allunga un affettuoso scappellotto al ragazzetto. teppa

Uhei, gogna, svejett!

rospo (con rabbia, al Contessa oltre il muro) Contessa! Muoviti! Ma guarda quel brutto stitico quanto tempo ci fa perdere! Il Contessa ricompare da oltre il muretto allacciandosi la cinta dei calzoni. contessa Uèh, ragazzi! Là di dietro c’è una macchina… con un guardina… toni

Dai, ch’al legnùm!

Tutti, seguendo il Rospo, si avviano verso il fondo del muretto: ma il Rospo li ferma. rospo Aspettate qua, voi! Se ci vedono in tanti, tagliano subito! Mosè, andiamo… I due vanno soli, camminando rapidi lungo il muretto, sotto la fabbrica… …dall’altra parte di questa, sull’altra strada, il “guardina” sta osservando come prima, abbruttito dalla sua vergognosa mania, quello che succede dentro la macchina. L’uomo, dentro la macchina, oltre i vetri appannati sembra sia riuscito a conquistare la ragazza: e la bacia con violenza sulla gola, sul seno. La ragazza resiste sempre più debolmente: e il guardina osserva sempre più avido… 125


Ma ecco che sopraggiungono, silenziosi e veloci, il Rospo e il Mosè: il guardina non se ne accorge, ed essi gli sono alle spalle. Il Rospo lo afferra violentemente per il colletto, quasi sollevandolo. L’uomo si rigira verso di lui atterrito, e subito implorante. Il Rospo gli sputa in faccia. Poi, ancora tenendolo per il colletto, gli dà una violenta pedata nel didietro. L’uomo cade a terra, sul fango, ma rapidamente, come una bestia presa dal panico, si rialza e fugge. Ancora una volta si rigira per vedere se è inseguito, e riprende a fuggire, sparendo con corsa disperata nella nebbia. Dentro la macchina intanto, i due si sono accorti di quello che succede: si ricompongono in fretta, con orgasmo, e l’uomo accende i lumi della macchina per partire. Ma il Rospo è su lui, con la sua pistola puntata. rospo

Ven giò de lì!

Anche il Mosè, dall’altra parte della macchina, all’altro finestrino, dice con brutalità alla ragazza di scendere: mosè

Anca ti, belè!

Il Rospo, intanto, si volta verso la fabbrica, e lancia un fischio acuto: poi si rivolge all’uomo: rospo

Dai, sbrigati.

L’uomo lentamente, spaventato, scende dalla macchina. La sua compagna lo imita. Intanto arrivano di corsa gli altri. Il Cino arriva anche lui, tutto affannato, e si pianta con gli altri davanti alla macchina. Il Rospo lo aggredisce con rabbia: rospo Che cosa fai tu qui? Torna indietro… torna dove sono le moto, e guai a te se ti muovi ancora… 126


Ma il Cino, muto, fa spallucce: non ha intenzione di andarsene, vuole godersi la nuova avventura. Il Rospo capisce che è meglio prenderlo con le buone: è più sbrigativo: rospo Dai, che bisogna che uno stia là di guardia… Vacci tu, e se vedi qualcuno arrivare, avverti. Corri! Preso sul punto debole, il Cino, volenteroso volta le spalle alla compagnia e va al trotto verso le moto. Ora il Rospo si rivolge verso la coppia: lui un uomo sui quarant’anni, probabilmente un ricco commerciante, volgare, duro, con una faccia segnata sotto la fronte stempiata; lei una bellissima ragazza, molto giovane, sottile, quasi efebica, timida, con una faccia quasi da bambina. Tutti e due sono sconvolti, angosciati. rospo (alla ragazza) Adesso tu mettiti lì… lì, contro quel muretto… e stai buona… Goditi lo spettacolo: non aver paura, non ce l’abbiamo con te. Si rivolge con violenza verso l’uomo: rospo Ce l’abbiamo con questo, gli facciamo passare la voglia di andare in giro a limonare con le minorenni… Gli si accosta, guardandolo in faccia, sempre con la pistola puntata. rospo Mettiti un po’ in ginocchio… (poiché l’uomo indugia, con furia, secco) Dai. L’uomo si mette in ginocchio.

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rospo No, non così… Anche con le mani per terra… Su, che non te le sporchi le manine… (Rivolgendosi alla ragazza) Guardalo com’è carino, adesso… (Di nuovo all’uomo) E tu striscia, verme! Su, striscia! Salta, adesso, salta… (Con furia, perché ancora l’uomo indugia a obbedire) Salta! Il Toni gli allenta un forte calcio nel didietro. Il Teppa lo imita, ma colpendolo piano, quasi con pigra dolcezza. contessa Eh, al par una lumaga! Dai un po’ de lena, lì! Cur! Il Rospo gli dà, anche lui una pedata sul didietro. rospo Hai sentito cosa dicono i miei amici? Corri! Il disgraziato comincia a camminare più svelto, a quattro zampe sul fango. rospo

Più svelto!

ragazzi Più svelto, dai! Vediamo come corri! Dacci sotto con quelle zampe! Intanto il Gimkana – come sempre pazzo dietro le sottane – si avvicina alla ragazza. gimkana (ipocrita, interessato) Eh, deve scusarli, ma son fatti così! Io però non sono come loro… Intanto gli altri imperversano feroci sul malcapitato. 128


Il Mosè gli mette una mano sulla nuca, e lo spinge giù, obbligandolo a strisciare il viso nel fango. mosè Giù, nel fango, vecchio maiale! Il Toni imita Mosè con maggiore violenza, costringendo l’uomo a strisciare con le guance e la bocca a terra. toni

La legge del contrappasso!

Tutti ridono intorno: la faccia del martire, nera di fango, si volta verso di loro, disperata: e loro ridono ancora di più, con forzata malvagità. rospo

Adesso basta!

Tutti si fermano, in attesa di qualcosa di nuovo. Il Rospo si avvicina all’uomo che si sta rialzando da terra. rospo Ma non ti vergogni? Ma che uomo sei? Neanche un tentativo di ribellarti… Quasi quasi ti meriti qualcos’altro, eh ragazzi? Cosa gli facciamo a ‘sto disperato? toni rospo

Màsel! (Ammazzalo!) Però, è un’idea!

Tutti si fanno intorno, minacciosi, con l’aria di volerlo sul serio far fuori. ragazza (atterrita) No, no! Aiuto! Cosa volete fare! Il Gimkana sta sempre accanto a lei, protettore. 129


gimkana Sta buona, è meglio, non farli arrabbiare… L’uomo, muto, inespressivo, guarda i ragazzi che gli si stringono intorno. rospo Ma parla! Parla, non sei buono di parlare? Dì qualcosa, vigliacco! uomo (inespressivo, smorto) Cosa volete che dica… contessa Perché non gli facciamo fare il grugnito del porco? rospo Hai sentito che cosa ha detto il mio amico? Grugnisci! L’uomo ancora una volta, esita: e il Rospo, esasperato, gli punta di nuovo contro la pistola, togliendo la sicura. Dopo un breve sforzo, vincendo il pianto, l’uomo comincia a grugnire. rospo

Bravo!

toni Uèh, ma è bravo sul serio! Prova un po’ a fa el càn! rospo

Fa il cane. Abbaia.

L’uomo obbedisce ancora, abbaiando penosamente. rospo L’uomo obbedisce. 130

Guaisci, adesso!


rospo

Ringhia!

L’uomo cerca di imitare il ringhio di un cane arrabbiato. Tutti si divertono pazzamente a quelle disperate imitazioni. rospo (a Mosè) Carica la ragazza in macchina. Mosè si avvicina alla ragazza, la prende per un braccio, e non privo di una certa galanteria la fa salire in macchina. gimkana (alla ragazza) Non avere paura, ci son qua io… La ragazza sale tremante, in silenzio. rospo Dai, andiamo ragazzi… (all’uomo) E a te, chi ti ha detto di smettere… Continua! Continua, ho detto… L’uomo ricomincia il suo povero ringhio. Tutti fanno per salire intanto in macchina, e per ultimo il Rospo. rospo (dando un’occhiata d’intesa al Contessa) Sta qua, e continua a ringhiare… Mentre il Rospo sale in macchina, il Contessa si avvicina rapidamente all’uomo, allentandogli un formidabile colpo sulla nuca. L’uomo stramazza sul fango. Anziché entrare nella macchina, il Toni e il Teppa si attaccano agli sportelli, e salgono addirittura sul tetto, distendendosi sopra e cantando. La macchina si avvia lentamente verso la strada oltre la fabbrica dove sono le motociclette. Dentro la macchina Mosè sta dandosi da fare, ha sentito che c’è qualcosa sotto le sue gambe, e, dopo qualche sforzo, riesce a tirar fuori una cassetta natalizia. 131


mosè

Uhei, gh’è de bef !

gimkana

Fa vedere, fa vedere!

Si distrae dalla ragazza, e aiuta il Mosè a aprire la cassetta. gimkana danza!

Porca miseria, che abbon-

Si rivolge sporgendo la testa ai due matti che sono sul tetto della macchina: gimkana cannare!

Ehi, abbiamo trovato da

Intanto la macchina è giunta accanto al mucchio delle moto, col Cino mezzo addormentato che fa la guardia. Il Toni e il Teppa saltano giù dal tetto, e tutti si fanno intorno alla cassetta, piena di ogni ben di Dio, bottiglie, bottigliette, caramelle… teppa

Ghè anca un bambolòt!

Infatti c’è dentro un bel bambolotto natalizio e innocente, che il Teppa afferra e osserva. teppa

Uèh, l’è bell!

Il Cino lo guarda muto. Il Teppa comincia a giocare col burattino. teppa Man man morta / pica su la porta, / pica sul purtùn, pun, pun, pun! Toh, ciàpel, va! E allunga il pupazzo al Cino, che lo prende allegramente. cino 132

Grazie, eh, Teppa!


Intanto, mentre il Teppa e il Cino sono occupati col pupazzo, il Mosè ha fatto a pezzi la cassetta di legno, e l’ha accesa, facendo un piccolo falò. Tutti si mettono intorno alla fiamma guizzante, bevendo. gimkana Questo qui l’ho bevuto una volta in casa del cantante Clem Sacco! È roba fina! toni Vacci piano, che se no ti sbronzi! Lo sai che due bicchieri ti fanno andare in gaena! gimkana Senti chi parla! Ne sfido cinquanta di bambini come te, a bere! toni

Dai! Pruvèm!

Prende due bottiglie: una ne dà al Gimkana, e una se la tiene lui. toni Vediamo chi finisce prima, ci stai? Via! I due si attaccano alla bottiglia, bevendo a garganella come dannati. Dissolvenza.

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strade milano Esterno. Notte. Su un marciapiede umido, che riflette appena la luce di un lampione, si vedono i piedi di un uomo che cammina lentamente. Ecco, ora i piedi si fermano, si girano, ritornano indietro. Passano davanti ad altri piedi, ad altri pantaloni, di gente ferma. Vanno oltre, sul marciapiede luccicante, avanzano ancora un po’, si fermano. I piedi sono quelli di un uomo di mezza età, non brutto, e ben curato. Egli ora sta guardando fissamente l’uomo che ha appena superato lasciandolo indietro, fermo, una decina di metri. L’altro uomo, laggiù, sembra come incerto: prende dalla tasca dell’impermeabile bianco un pacchetto di sigarette. Ne accende una, fuma. Poi, lentamente, sempre come indeciso, si rigira, e, sempre lentamente, si allontana. Il primo uomo lo segue con lo sguardo: il suo occhio è fisso, avido, inquieto. Si sente non lontano, per i viali immensi con le loro file di alberi stecchiti, il rumore di una macchina. 135


strade milano Esterno. Notte. Per un grande viale, sotto le file di alberi stecchiti, passa la macchina con sopra il Rospo e i suoi amici. contessa Ehi, Gimk, ma qui non è il posto dove siamo passati quella volta che abbiamo trovato un tipo pieno di grana… Uèh, ma non ti ricordi le botte che gli abbiamo dovuto dare… Ehi, Gimk, ehi… Ma il Gimkana, completamente sbronzo, pare morto: non sente, non parla, è uno straccio. contessa È sbronzo, ragazzi, si è preso una ciucca che l’ha imbranato! Toni è ubriaco fradicio anche lui, ma ha ancora la forza di parlare: toni Te lo dicevo, io, che partiva subito! rospo (al Contessa, interessato) Sei sicuro che questo sia quel posto balordo… Rallenta la corsa della macchina andando quasi a passo d’uomo e scrutando intorno. rospo Non si vede nessuno, dove si sono cacciati, ‘sti schifosi? teppa

Se scùndun!

rospo (con nuova, decisa crudeltà) Guardate se riuscite a vederne qualcuno… 136


Stasera c’è tempo anche per loro… Il Mosè si rivolge alla ragazza: mosè Però quello che era con te, non era uno di quello, eh? Ci sapeva fare, lui! La ragazza, angosciata, non risponde. Il Contessa incalza: contessa Che cosa farebbe, lei, se le capitasse uno del genere… che gli piacciono poco le donne… La ragazza guarda fuori dal finestrino, il vialone deserto, tragico. rospo Se fossi io il capo della polizia, gli farei avere la vita facile, io, a questi! Li metterei tutti nelle camere a gas… Nei forni crematori… quella gente maledetta, rovina della società!

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vialone milano Esterno. Notte. I piedi dell’uomo camminano ancora, sul marciapiede specchiante. Camminano, si fermano, riprendono a camminare. L’uomo sembra incerto. Si guarda intorno, come insospettito. Ma poi riprende a camminare. Improvvisamente si volta: silenziosa, misteriosa coi suoi fanali bassi, passa la grossa macchina dei teppa. L’uomo la segue con lo sguardo. Dentro la macchina che fila lentamente per il vialone, parla il Contessa, crudele: contessa L’avete visto, l’ambiguo? Pareva un cane rognoso… teppa Era abbastanza giovane, eh? Io dico, come si fa a ridursi in quello stato! Mamma mia! Si nasconde la faccia tra le mani. mosè Chissà quante donne potrebbe avere quello lì, ‘sta faccia de palta! Il Rospo si rivolge di scatto alla ragazza: rospo Tu adesso stai buona… ubbidisci agli ordini dei vecchi… se non vuoi fare la fine del tuo amico… Siamo intesi? La macchina prosegue la sua corsa per il vialone deserto. Rapida dissolvenza.

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vialone milano Esterno. Notte. I piedi dell’uomo che camminano per il marciapiede. Egli cammina come poco avanti, con l’aria indecisa di chi aspetta qualcosa, di chi cerca. All’altezza di una strada trasversale, però, incontra la ragazza, a piedi. Poco più in là è ferma la grossa macchina, immobile, spenta. L’uomo, insospettito, fa il gesto di tornare indietro; ma la ragazza lo ferma. ragazza

Scusi… Scusi…

L’uomo si ferma, rabbuiato. ragazza Torno da certi amici, da una festa… e mi sono un po’ perduta… (Sorride faticosamente) Da che parte devo prendere per arrivare verso il centro? L’uomo (il cui nome è Gino) comincia a darle, imbarazzato, delle indicazioni: gino Ma… guardi, vada dritta fino in fondo a questo viale… Lì c’è porta Ticinese… Forse a quel punto si orizzonta… Da dietro un portone sbucano improvvisamente gli amici. Il giovane, vedendoli, è preso da un misto di curiosità e di paura. ragazza (al giovane, con un soffio di voce) Non salga in macchina… stia attento… teppa Uhei, fioeu! Vardè che tuchinìn de fiola! 139


Tutti fingono di interessarsi esclusivamente alla ragazza. contessa Chi se l’immaginava di trovare una fata del genere da queste parti… (Si rivolge direttamente a lei) Si è perduta? Gino fa per andarsene, alla chetichella: ma il Rospo lo afferra quasi brutalmente per un braccio. rospo (a Gino) La signorina aveva bisogno di qualcosa? gino (a disagio) Ma… sì… voleva sapere la strada per il centro… rospo Ma la possiamo portare noi… Qui siamo fuori mano… è difficile… Mentre parla si mette tra la ragazza e Gino. rospo Ragazzi, allora, la carichiamo? Sospinge Gino verso la macchina, che è lì accanto. gino (impaurito) Ma io, veramente… non ho nessuna intenzione di andare al centro… rospo Ma su, dai, monta… Vieni anche tu… vedrai che ci divertiamo… Vero, ragazzi, che accompagniamo la signorina al centro? Ma, sospingendo Gino verso la macchina, ha del tutto voltato le spalle alla ragazza. Sale in macchina con Gino, seguito dagli altri. La ragazza resta sola. Come presa da un indefinibile stupore, 140


guarda la macchina che parte, che si allontana. Resta ancora per un po’ così, sola, in tutto quell’immenso viale gelido, a guardare. E nella sua faccia c’è solo un dolente, infantile stupore. strade periferia milano Esterno. Notte. Le solite visioni oggettive di Milano dalla macchina in corsa. La macchina con tutti i compagni del Rospo, e in mezzo Gino, fila a moderata velocità attraverso nuove strade della periferia milanese. gino

Ma dov’è che andiamo?

Nessuno gli risponde. Strade, viali, caseggiati, passano fuori dal finestrino, lividi. gino

Ma dove mi state portando?

Tutti tacciono ancora: solo il Teppa lo sogguarda da sotto la visieretta del suo berretto, calata fin sulle palpebre. Gino, per poter parlare ancora, contro quella muraglia di crudeltà e di silenzio, deve fare un penoso sforzo su se stesso. gino Ma che cosa fate in giro a quest’ora? Non siete andati a nessuna festa? Dei bei ragazzi come voi, chissà quante donne hanno… Dove le avete lasciate? Di nuovo nessuno gli risponde: e, fuori, quel passaggio ossessivo di immagini tristi di case, di viali, senza speranza. gino Come mai state zitti? Cosa avete che siete così seri? 141


Silenzio, dentro la macchina: come se Gino nemmeno esistesse. Gino allora, per il momento, non trova di meglio che fare un po’ il buffone, cercare di vincere il silenzio con un po’ di allegria. gino (con mosse un po’ smorfiose) Uffa! Che afa fa! Su, un po’ di vita, vi prego! Ribatte Toni, a fior di labbra, con le labbra di ubriaco storte dal disgusto: toni

Ma muchela lì…

Silenzio: con le vedute agghiaccianti che scorrono al finestrino, senza fine. Ma a un tratto Gino cambia completamente tono. Non più paura. Non più buffoneria. Si presenta per quello che è: un uomo serio e intelligente. Affronta i ragazzi con l’unica arma vera che possiede: la parola. gino (serio, acuto, coraggioso) Lo so. Avete brutte intenzioni nei miei riguardi. Ma ciò non toglie che potreste essere più divertenti. Bastonatemi, se siete così malvagi da farlo, ma bastonatemi almeno da persone spiritose. Il Teppa, per primo, resta colpito da quel tono. teppa (bofonchiando) Ma chi t’ha dì, che te demi bastunà? Perché? gino (secco, preciso) Perché siete infelici, scontenti di voi stessi, e dovete sfogarvi contro qualcuno. toni (sgangherato) Infelici noi? Scontenti noi? Ma che cosa si è messo in 142


testa, questo qua! Il Toni lo guarda con uno sguardo ferito e quasi cattivo. Ma Gino ormai va avanti per quella strada: è per lui l’unico modo di salvare almeno la sua dignità. gino Siete non infelici, ma molto infelici. Odiate tutti i vostri padri, e il loro mondo, cioè la società: ma non li odiate abbastanza… perché, in fondo, siete come loro… Il più punto sul vivo di tutti, è il Rospo, che si rivolge a Gino con ira: rospo Che cosa ne sai tu di noi, povero depravato. gino (con altrettanta forza) Sì, consolati insultando, facendo il duro… Io non so niente di te, eh? Lo guarda intensamente, di scorcio, per qualche istante. gino Tu, qui, sei il capo perché sei il più insicuro, ed è solo la rabbia che ti rende più intelligente… Fai tanto il ribelle, l’uomo libero: e invece tu sei conformista fino alle midolla… Lo guarda ancora, come per capirlo e giudicarlo per quello che è. gino Tuo padre è un commerciante, o un piccolo industriale, magari ex fascista. E tu diventerai come lui, servo della società borghese, magari con una moglie bigotta… come tua madre. 143


Tutti tacciono qualche momento, interdetti benché non lo mostrino, dalla forza della verità indovinata da Gino. contessa

E di me, cosa ne pensi?

Gino lo guarda, cercando di intuirlo, come ha fatto per il Rospo. gino Tu? Uno studente mediocre, che vuol dare del fumo negli occhi facendo lo judo. Perché sei soprattutto vanitoso, peggio di una donna. Sei qui per vanità. E in realtà sei il cocco del babbo e della mamma, e magari di una intera tribù di nonni e di nonne. Tutti tacciono di nuovo, seri, sotto l’aria, ch’è restata uguale a prima, di sprezzo e di ironia. toni Ma chi abbiamo incontrato, un profeta? gino Macchè profeta… Un altro infelice come voi, ma che almeno ammette di esserlo… Toni per rompere il sortilegio della logica, scoppia a cantare nel più illogico, sgarbato e assordante rock and roll: toni (canta sgraziatamente un rock and roll) gino (quasi gridando per superare il baccano che fa il Toni) Canta, canta, tu! Urla, per non parlare: è un metodo molto comodo. È quello degli struzzi. toni 144

Ma fa minga rid!


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E gli dà una manata sulla testa, volgare, sciocco, facendo ridere tutti, ma un po’ forzatamente. gino Sei uno struzzo che non vale un cavolo. Malgrado tutta la sabbia dove ti nascondi, ti si legge dentro come una donnicciuola. Sei il più timido di tutti, spaventato, sperduto, è per questo che fai tanto il violento. E… sei anche il più povero, e magari ti vergogni di tuo padre e tua madre… Toni lo guarda con un riso di sprezzo, misto alla sua effettiva timidezza: non vuole cedere, e reagisce quasi urlando: toni Sì! Mia madre! Col càvol! Ma se mia madre è morta che io avevo dodici anni, e ho dovuto andare in collegio, che lì è stata la mia rovina! Cosa vuoi capire tu di me, mamalùc! Teppa che continua a stare col mento alto, per poter guardare da sotto la piccola visiera tirata giù fino alle palpebre, interviene con aria indolente: teppa

E mi che sun de bel?

Gino lo guarda: Teppa è tutto bellezza e gioventù. gino Tu?... Non lo so… Non ti capisco: sei tutto bellezza e gioventù. teppa Beh, per fortuna che non mi capisci, perché se mi dicevi qualcosa ti davo uno sganassone che ti spaccavo la faccia… 147


Mosè si guarda intorno, invece, e col solito tono sbrigativo e autorevole, interviene: mosè (al Rospo) Questo qua è il posto… Ferma. Il Rospo frena la macchina con un breve stridio di freni, che la fa sbandare. Il Rospo scende per primo, e gli altri lo seguono in silenzio, e un po’ impacciati. garghetto Esterno. Notte. Siamo in piena campagna: di Milano laggiù, non c’è che un soffio gigantesco di luce. Intorno si distendono i campi, stillanti, cole rogge che li solcano, e le file di pioppi e di cespugli secchi, divorati dall’inverno, agghiacciati. Usciti dalla macchina, i ragazzi, sempre un po’ impacciati, si stirano, con dei versacci della bocca. toni (stirandosi) Ah, un po’ di spazio! Il Teppa guarda oltre il finestrino appannato il Gimkana disteso sul sedile, muto, fermo e bianco come un mosrto. teppa Guardalo lì, come dorme! Chissà cosa si sta sognando… certamente una bella sbarbata… Ma tra i ragazzi c’è uno strano silenzio, uno strano imbarazzo. Restano fermi, intorno alla macchina. È il Rospo che si fa d’improvviso, e con tanta più cattiveria, violenza su se stesso, e si decide: 148


rospo

Partiamo, ragazzi.

C’è un momento di sgomento, negli occhi intorno. Ma anche Mosè è deciso: e segue il Rospo verso lo sportello dietro il quale, nella macchina, c’è Gino. mosè

‘Dem!

Strappano con violenza Gino dal suo posto sulla macchina, e lo tirano fuori. gino

(con calma) Vigliacchi.

Com’è fuori dalla macchina, tenendolo stretto, cominciano a togliergli di dosso i vestiti, gettandoli a terra, sull’erba. Il Cino osserva attentamente quello che stanno facendo suo fratello e gli altri grandi. Prima gli tolgono il cappotto di cammello, che il Contessa subito si prova, facendo qualche mossa caricaturale, di scherno per Gino: poi gli tolgono la giacca, il pullover, la camicia, i calzoni. Gino è ormai seminudo. Allora lo spingono in mezzo al prato, sotto una fila di pioppi lungo una roggia. Ammucchiando i vestiti sotto un cespuglio secco. Il Cino li segue, guardando fisso nel viso Gino, che, nella sua angoscia, nella sua umiliazione, ricambia per un attimo quello sguardo. Ora il Rospo e gli altri danno fuoco ai vestiti, che subito cominciano stentatamente ad ardere. Il Cino ha visto che tra i panni che bruciano manca il cappotto: il Contessa l’aveva gettato dietro un cespuglio. Il Cino si allontana e nasconde meglio il cappotto sotto il cespuglio stecchito. Intanto, come ombre, il Rospo e gli altri ridacchiando con forzata allegria per la lugubre azione compiuta, gli passano davanti, correndo verso la macchina. Il Cino afferra il cappotto, e correndo lungo la fila di pioppi, raggiunge il posto del rogo: lì Gino, chino sui panni bruciacchiati, cerca di salvare il salvabile. Il Cino gli si avvicina, tendendo verso Gino il cappotto: Gino lo 149


guarda, e, con rapido, angosciato sorriso, prende il cappotto. gino

Grazie!

Il ragazzetto gli sorride a sua volta, e scappa via verso la macchina. Dissolvenza.

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strada night club Esterno. Notte. Ardono nella notte le luci di un lussuoso night club, nel centro della città. Nessuno entra o esce: l’ora è ormai molto tarda: la notte volge verso la fine. Solo le luci continuano a ardere, vivaci e infuocate nel buio gelido. In fondo al vialone che porta a queste luci del night club, si sente un lento rombo di motociclette: sono quelli della banda del Rospo, che avanzano in fila, sulle loro motociclette, quasi a passo d’uomo, occupando l’intera strada. Il Gimkana è sempre ubriaco morto: lo trasportano gli altri, in un modo molto strano: il Toni, sul sellino di una motocicletta dietro al Teppa, lo regge per la testa, e il Mosè, su un’altra motocicletta, lo regge per le gambe. Mentre il gruppo procede, verso le luci del night club, lentamente, insensibilmente il Contessa resta indietro, finché quando sono all’altezza di una strada trasversale, l’imbocca, e vi si allontana, prima andando piano, poi sempre più forte, fino a scomparire a tutta velocità. 151


Gli altri, agghiacciati, e un po’ assonnati, col Gimkana disteso tra una motocicletta e l’altra come un cadavere, arrivano fino sotto le luci del night club, senza accorgersi della scomparsa del Contessa. Arrivati sotto il night club, sotto gli occhi assonnati e gonfi di un solenne guardiano in divisa, si guardano intorno, e si rendono conto dell’assenza del Contessa. mosè

(rauco) E il Contessa?

toni (lasciando cadere il Gimkana a terra, per sgranchirsi le braccia) Uèh, avrà bucato! Il Rospo si guarda intorno con l’espressione dei suoi momenti di rabbia e di feroce indignazione morale. rospo (con minacciosa calma) Sì, bucato! Quello là ha tagliato la corda! Non sarebbe la prima volta che lo fa, comunque stavolta la paga per tutte… I suoi lineamenti sono sfigurati dalla rabbia. Rapida dissolvenza.

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baretto presso casa contessa Interno. Notte. Pupetta sta ballando sola accanto a un juke box, che spande intorno con violenza le note di un rock. Siamo dentro un piccolo bar, dalle parti di corso Buenos Aires: tutto è lucido, nuovo, fiammante: nichel e neon e marmo che scintillano: un albero di Natale che sfavilla. Ma il bar è vuoto: vi sopravvivono solo pochi clienti presi da una silenziosa e malinconica ubriachezza. E Pupetta. Che, fresca come una rosa, col suo vestito da teddy girl, la sua faccia da bambina arguta e innocente, balla deliziosamente, tutta sola, il rock. Le porte a vetri del bar si spalancano, ed entrano, clamorosamente, come sempre, con quei loro blue jeans e quei loro giubbotti neri, il Toni e il Teppa, che reggono il cadavere del Gimkana, e, dietro a loro, piccolo piccolo, il Cino. Essi vedono subito Pupetta, che continua maliziosa a ballare. teppa

Uèh, Pupetta, cosa fai qui?

pupetta (continuando a ballare) Aspetto il grosso, che è andato a fare il pieno! Il Toni e il Teppa stanno sistemando il Gimkana, che crolla da tutte le parti, su una sedia. toni Come mai, per rimediare la grana, non sei andata a battere tu? pupetta Ehi, per chi mi hai presa? Io vado soltanto coi ragazzi che mi piacciono! Toni le si avvicina, guardandola pallido e ridente, col suo enorme ciuffo che lo precede di un buon palmo. toni

E cosa ci fai? 153


pupetta Lo sai che a me mi piace l’amore sentimentale e basta! toni

Ma dai, non essere bugiarda!

pupetta Prego credere, io non ho mai detto una bugia in vita mia! toni Vuoi dire che tu non hai mai fatto niente… con un ragazzo? pupetta

No!

toni (ridendo, tra i denti) Vieni con me, allora! Ma Pupetta non lo sente nemmeno, riprendendo a ballare con foga. Poi ballando, si avvicina al Teppa, lo prende per una mano e lo fa avvicinare al juke box. I due cominciano a ballare: ma il Teppa deve sgranchirsi, e ci danno sotto con una certa calma. pupetta

E voi cosa fate da ‘ste parti?

teppa Siamo venuti a dare la buona notte al Contessa. Il rock si interrompe: un breve silenzio con gli scatti del meccanismo dentro il juke box, ed ecco esplodere uno stupendo blues, lento e quasi solenne: forse è una marcia funebre negra. Il Teppa e Pupetta ballano questa musica stupendamente: sembrano due ballerini su un palcoscenico: la loro bravura è quasi una follia. Ballano a lungo, tutti presi dal ritmo che ha qualcosa di religioso, di mistico. Rapida dissolvenza.

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casa contessa Interno. Notte. Il Rospo e il Mosè salgono una rampa di scale. Tristi scale di una vecchia casa, con la sua vecchia dignità liberty decaduta, corrosa da generazioni di famiglie piccolo-borghesi, in lotta con lo stipendio. Di pianerottolo in pianerottolo, con tutte quelle povere porte che nascondono povere gioie e poveri dolori famigliari, i due arrivano davanti alla porta dell’appartamento del Contessa. E suonano il campanello. Viene ad aprire la porta il Contessa, mezzo svestito. Nel vedere i due compagni, un misto di paura, di vergogna, di imbarazzo si dipingono nel suo viso. contessa

(balbettando) Ciao!

rospo (secco) Dai, vestiti e torna fuori con noi. contessa (impaurito) Parla sottovoce, che i miei stanno dormendo… mosè

Dai, fa alla svelta.

contessa (quasi piangendo) Ma io mi sono stancato di andare in giro a far casino, ormai è quasi mattina, andate a dormire anche voi… Rospo lo afferra per una spalla, lo scosta con rabbia, e entra in casa, seguito da Mosè.

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appartamento contessa Interno. Notte. Entrano tutti tre in un piccolo corridoio semibuio, in cui si intravede la sagoma massiccia di un grosso armadio liberty, e di un attaccapanni solenne. Lungo le pareti degli arazzi stinti, e qualche seggiola anch’essa del primo novecento. C’è un’aria che fa venire in mente l’odore del soffritto e del secchiaio, e, nel tempo stesso, un disperato bisogno di dignità borghese. rospo (a voce quasi forte) Dacci un taglio, vestiti veloce, che ti conviene… contessa (disperato, a voce bassissima) Va bene, vengo, vengo… mosè

Vestiti, dai.

Il Contessa, seguito dai suoi amici, va verso la sua camera, passando attraverso tutta la casa immersa nel sonno. Ecco, in fondo al corridoio, oltre un alto paravento a fiorami, una cuccetta, su cui dorme una persona, forse la serva, coi capelli discinti sul cuscino poco pulito. Ecco una porta semiaperta, dove si vedono dormire altre persone, che si sono evidentemente arrangiate per l’occasione della festa: due ragazzini che dormono in uno stesso letto. Un vecchio, forse il nonno, che dorme in un sofà. Ecco la sala da pranzo, coi resti della cena, e l’albero di Natale, piccolo e misero, con gli oggetti che vi penzolano inanimati. La cameretta del Contessa è in fondo, pure con la porta aperta e in disordine. rospo Adesso mettici tre ore, a infilarti un paio di calzoni! Il Contessa fa disperatamente cenno al Rospo di parlare a bassa voce. Egli si mette a sedere sul letto e ricomincia a mettersi i vestiti: 156


sopra il letto, sulla parete con la carta da parati a fiorellini, c’è un quadro del Sacro Cuore, con sotto un piccolo lume che brilla flebilmente. Il Mosè, aspettando, si accende una sigaretta. baretto sotto casa contessa Interno. Notte. Il Cino dorme con la guancia appoggiata contro la coscia del Gimkana, che, crollato su un tavolino, dorme anche lui. Accanto al juke box, ora stanno ballando, una canzone urlata, Pupetta e Toni, mentre il Teppa, addossato al juke box, col berrettino calato fin sulle palpebre, canta dietro alla musica. Toni non è un gran ballerino come il Teppa, e balla normalmente, stringendosi Pupetta, letteralmente ricoperta dal suo ciuffo. toni

Ma lo sai che tu mi piaci?

pupetta tanto… toni

Però tu invece non mi piaci

Che tipo è che ti piace a te?

pupetta (maliziosa ma sincera) Non lo so ancora. Ma lo sai che ho appena sedici anni? toni (allegro) E io quanti ne ho? Uno più di te! pupetta Sì, ma con voi io ci vengo perché mi piace divertirmi… ballare… fare un po’ di macello… toni Perché a te non piace andare nei prati? 157


Pupetta sbuffa un poco, ballando: ma poi guarda di nuovo negli occhi Toni, con quei suoi occhietti da cucciolo di lupo, leziosa e sincera. pupetta No, ti ho detto. Non ho provato mai quello che pensi tu! toni Uèh, ma non mi vorrai mica raccontare che sei vergine! Chissà quanti! pupetta Senti, guarda, se non mi credi, domandalo a tutti quelli della Banda del Pestaggio… toni Ma quei lì hin bun de fa nàgot! Vieni con me, Pupetta, ti faccio imparare io come si fa… pupetta Ma dai, dai, dai, balliamo! A me mi piace ballare! E staccandosi dal Toni che non la sa seguire, balla quasi da sola, con grande slancio e grazia. La porta a vetri si spalanca, e compaiono il Rospo e Mosè. rospo

Andiamo!

Il Rospo ricompare subito: il Mosè aiuta il Teppa a portar fuori il Gimkana, sempre perduto nella sua ubriachezza muta e cieca. Il Toni afferra per una mano Pupetta. toni Dai, vieni con noi anche tu, bella verginella mia! La Pupetta si lascia trascinare, tranquilla, fuori dal bar. Rapida dissolvenza. 158


strade periferia milano Esterno. Notte. Ecco la solita fila di motociclette, schierata frontalmente, che occupa tutta la strada, e avanza quasi a passo d’uomo, con un lento, regolare, ritmico rombo. Nella prima motocicletta ci sono Mosè, che guida, con sul sellino il Cino e Pupetta; nella seconda il Rospo, e, dietro, il Contessa; nella terza e nella quarta il Toni e il Teppa, che reggono, sempre allo stesso modo, uno per la testa uno per i piedi il corpo del Gimkana. Il Toni è scontento, rabbioso, e esplode: toni Ma perché io devo portare questo qua, e Mosè deve portare la Pupetta?… Io quasi quasi lo mollo per la strada! rospo (col solito tono di vecchio rancore e fastidio che ha col Toni) Sei sempre lo stesso, non cambierai mai! toni (c.s.) Beh, insomma, a me mi piace la Pupetta, porco diàvol! Cosa c’è di strano! Pupetta interviene, voltando verso di lui la sua faccia aguzza: pupetta piaci!

Ma tanto tu a me non mi

Toni maschera l’imbarazzo dietro un tono di sicurezza e di volgarità. toni

Va là, che ti piaceresse!

teppa (allegro) Ma allora ti sei proprio imbarcato, ti abbiamo perso! 159


toni

Non sono mica te, io!

Pupetta comprende al volo l’allusione di Toni, e si rivolge al Teppa: pupetta Ma è vero che ti stai facendo la ragazza sul serio? teppa (con indignazione) Mettiti anche tu, adesso, a cianciare! Cosa vuoi che me ne freghi a me di quella là! È lei che mi viene sempre a tampinare! pupetta

(ironica) Sì, lei!

teppa (con fastidio, con incuranza, per nascondere i suoi veri sentimenti) Ma dai, ci conosciamo da bambini piccoli… Quasi mia sorella, mi pare… Appena venuto a Milano che non c’avevo neanche sei anni, non sapevo parlare… perché ero abituato a parlare il dialetto di Bergamo… e tacevo sempre… La prima persona che ci ho parlato è stata lei! Ecco tutto, che cosa vuoi che me ne freghi a me delle vostre chiacchiere! Le motociclette, col loro ritmico, sordo rombo, stanno percorrendo una strada in piena campagna. E siamo ora, infatti, al Garghetto, in quell’angolo di campagna solitaria dove il Rospo e gli altri avevano bruciato i vestiti di Gino. Ecco i campi intersecati dalle rogge, immensi in un puro, geometrico silenzio; ecco la lunga fila di pioppi nudi contro il cielo buio. rospo

Ferma!

Tutti si fermano, e scendono dalle motociclette. Solo il Contessa indugia. 160


161


162


rospo

(al Contessa) Scendi.

contessa rospo

Che intenzioni hai?

Scendi!

E, senza aggiunger altro, lo afferra per un braccio e lo trascina giù dalla motocicletta. rospo (guardando il Contessa con perfida, minacciosa calma) Ma lo sai tu che non si piantano gli amici a metà di una impresa? Vigliacco! Così un’altra volta impari a tradire i compagni! contessa

Ma ormai… era tardi…

Mentre il Contessa cerca di balbettare qualche scusa, il Mosè lo afferra per di dietro, in una morsa a cui inutilmente il Contessa cerca di svincolarsi. mosè

Forza, ragazzi!

Inferociti, come sempre, di fronte all’atto di violenza, come trasformati da quello che sono solitamente e realmente, i ragazzi si buttano senza pietà sul Contessa, e, come già avevano fatto con Gino, cominciano a spogliarlo. Gli levano anche le scarpe, e gliele buttano lontano, oltre la fila di pioppi. rospo A casa ci torni a piedi, così avrai tempo di pensare a cos’è un vero uomo. Tutti sono ansimanti, reggendo ancora il Contessa in mutande: poi Mosè prende i vestiti e li butta in mucchio dentro la roggia che comincia a trascinarli via. 163


contessa

No!

Disperato, vedendo i suoi vestiti nell’acqua, umiliato, impotente, il Contessa si mette a piangere. E, piangendo, corre lungo la roggia, a raccogliere i suoi vestiti che galleggiano sulla leggera corrente. Gli altri, senza più badare a lui, vanno verso le motociclette, vi salgono. rospo

Tu, Pupetta, monta con me!

toni (con rabbia) Come monta con te, uèh! Monta con me, invece. Pupetta sale silenziosa sul sellino della motocicletta del Rospo. rospo (indicando il Gimkana) E quello lì chi lo porta, cretino! Toni lo guarda: la sua faccia è sfigurata dalla rabbia, sotto il ciuffo nero. toni (furioso) Ma va a cagà! (a durmì!) Dissolvenza.

164


viale night club Esterno. Notte. Ecco ancora le luci del night club che ardono rosse nell’aria gelata: c’è più movimento di prima: della gente elegantissima, in abito da sera entra ed esce, sotto lo sguardo deferente del portinaio gallonato. Davanti alle luci che ardono, si stende l’immenso viale: ed ecco laggiù, dirette verso il night club, le motociclette della banda. Dietro il sellino del Rospo, la Pupetta canta candidamente e spavaldamente il blues che aveva ballato nel bar col Teppa, a piena voce. Il Gimkana, sempre trasportato per la testa e per le gambe dal Toni e dal Teppa, si risveglia improvvisamente, e comincia a agitarsi come un’anguilla. gimkana Maledetti… Vigliacchi… Lasciatemi in pace… Che vi venga un cancro a tutti messi insieme… teppa

Ferma, che si è svegliato!

Toni ferma bruscamente, e lo lascia cadere per terra: allora anche il Teppa che lo reggeva ancora per i piedi, lo molla, e il Gimkana 165


casca a terra. gimkana Maledetti, vigliacchi, figli di cani! Guardate come mi hanno ridotto… Ma si deve interrompere, perché lo prende un conato di vomito, e rialzandosi appena, comincia a vomitare sulla strada. Il Toni, senza neanche guardarlo, va verso la moto del Rospo e Pupetta. toni Adesso non devo più portarlo, il Gimkana. rospo Cosa vuol dire che non devi più portarlo! toni Voglio dire che adesso la porto io, la Pupetta! rospo Sentilo, questo morto di fame! Ma che cosa ti sei messo in testa! Se tu alla Pupetta le fai schifo! toni A mi me fa nagòt! Tu adesso la lasci venire con me, se no son guai! Rospo lo guarda con disprezzo, col solito acido disprezzo: e non scende dalla motocicletta. rospo Ti compatisco perché sei sbronzo… Ma stammi lontano. Toni gli si fa sotto, faccia contro faccia; ma si rivolge di scatto alla Pupetta: toni Hai sentito quello che ho detto? Monta con me! 166


pupetta bambini.

Uffa! Piantatela di fare i

Ma Toni l’afferra per un braccio e la trascina giù dal sellino. toni rospo

Vieni. Uèh, molla l’osso.

Toni, senza rispondergli, trascina la Pupetta verso la sua moto, con violenza. rospo

Hai sentito?

toni (rivoltandosi bruscamente verso di lui) Ti ci vuoi provare? rospo te? Pff!

Cosa credi, che ho paura di

Si rivolge a Pupetta, guardandola fisso: rospo

Pupetta, tu chi scegli?

pupetta A me che cosa me ne importa! O uno o l’altro, io vado con chi mi vuole. Il Rospo resta un po’ umiliato, e questo lo rende ancora più feroce contro Toni. rospo Ma come, vorresti andare con questo morto di fame comunista, che si fa il bagno solo quando lo branca la pula? toni (furente) E tu chi sei? Lo sappia167


mo tutti qui chi sei tu! rospo

(urlando) E chi sono?

toni Se mio papà è un povero diavolo, il tuo è uno sporco ebreo! Il Rospo non raccoglie quelle parole: ma il tono con cui si rivolge ora a Pupetta, benché quasi calmo è ancora più drammatico: rospo

E allora, con chi vai?

Ma Pupetta alza le spalle, infantile e crudele. pupetta rospo

Arrangiatevi voi! (secco, al Toni) Andiamo.

Si avvia deciso verso un grande sterro, circondato da cantieri, che si stende cupo nell’ombra della notte, oltre i lampioni del viale. Sorpassa una staccionata cadente, e si interna dentro l’enorme sterro. Gli altri lo seguono: è una specie di processione che si incammina verso l’ombra più fitta, tra le sagome desolate dei cantieri, e i luminosi, lontani fantasmi dei grattacieli. Dopo aver camminato per qualche minuto sul fango, tra mucchi di mattoni e di attrezzi, arrivano in un punto adatto. Il Rospo si ferma. Tutti a loro volta si fermano a una certa distanza da lui. rospo

(al Toni) Sei pronto?

Per tutta risposta il Toni gli si avvicina, alzando i pugni, pronto a fare la scazzottata. Ma il Rospo tira fuori dalla tasca del giubbotto la catena di bicicletta, arrotolata: la srotola, e la fa fischiare, sferzando l’aria. Toni si ferma, di fronte a quell’arma inaspettata. 168


toni

Carogna!

Stavolta è il Rospo a avanzare verso di lui, sempre facendo fischiare all’aria la catena srotolata, come una frusta. Toni indietreggia, si guarda intorno, spaventato, infuriato. Vede, poco discosto, conficcato a terra, un paletto di legno. Con un balzo gli è vicino, lo afferra con tutte due le mani, con uno sforzo poderoso, prima che il Rospo gli sia sopra, riesce a sradicarlo dal fango. Comincia una lotta a distanza, tra i due, uno armato della catena, l’altro del paletto. Cercano di colpirsi, evitando i colpi tirati a tutta forza, tali da massacrarsi. E girano intorno, sullo spiazzo fangoso, guardandosi fissi, osservando l’uno le mosse dell’altro. Ecco che il Rospo, con violenza bestiale, vibra un colpo tremendo con la catena: anche il Toni vibra un colpo col paletto, che serve a pararlo. La catena, con estrema violenza, si attorciglia intorno al paletto, e, con uno strappo, il Toni riesce a toglierla di mano al Rospo. Butta via il paletto con la catena attorcigliata intorno: e avanza contro il Rospo, affrontandolo coi pugni. Comincia una scazzottata di inaudita violenza. Un pugno più forte di Toni manda il Rospo per terra, che, rotolando sul terriccio, cade quasi ai piedi del fratellino Cino che guarda spaventato. Dal giubbotto del Rospo, nella caduta, esce la rivoltella, che scivola ai piedi di Cino. Il Rospo si rialza, e riaffronta il Toni: si colpiscono ancora due, tre, quattro volte. Il Toni colpisce nuovamente con forza il Rospo, che cade di nuovo a terra. Ma stavolta, sul cumulo di macerie dov’è caduto, il Toni gli si avventa addosso, e comincia a massacrarlo di colpi. Il Cino accorre urlando, afferra dal dietro Toni, lo graffia al viso, gli copre gli occhi, lo morde, per difendere il fratello. cino No… lascialo… lascialo… vigliacco, smettila! 169


E continua a cercare di strapparlo da sopra il fratello disteso. Allora accorre, deciso, anche Mosè: e poi gli altri. mosè

Adesso basta!

Strappa il Toni, che cerca di avvinghiarsi ancora al Rospo, disteso a terra, mezzo svenuto e dolorante. Poi, mentre lui allontana il Toni, il Teppa e gli altri tirano su da terra il Rospo. teppa (mettendo una mano sulla spalla del Rospo) Basta, adesso, vi siete pestati abbastanza… mosè

(al Rospo) Come ti senti?

Il Rospo alza le spalle: nel suo viso è dipinta una profonda afflizione, che lo rende ancora più duro e crudele: eppure, in fondo ai suoi occhi, luccica, appena repressa, una luce di pianto. mosè Andiamo! Qua non abbiamo più niente da fare, andiamo a ballare, piuttosto! C’ho una voglia di ballare! Il gruppo degli amici, a cui il Mosè cerca di rialzare il morale, va ora verso la strada. Il Cino li lascia andare avanti. Poi cautamente, esplorando nell’ombra, sul terriccio, tra le macerie, va sul posto dove aveva visto cadere la rivoltella. La raccoglie. La prova, puntandola in giro, con infantile divertimento. La punta ora, laggiù, verso il gruppo che si allontana. Poi la nasconde sotto il giubbotto. E corre verso il gruppo lontano. Va di corsa lungo lo sterro e arriva sul ciglio della strada, dove sono le motociclette. Passa accanto a Pupetta sola sotto un lampione e monta sul sellino posteriore della motocicletta del gratello, che lo aggredisce a fior di labbra: 170


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rospo

Sbrigati, scemo!

I ragazzi mettono in moto le loro motociclette, rombando a tutta forza, con un fracasso che echeggia violento nel luogo deserto: e partono a tutta velocità . Il Cino lancia indietro un’occhiata a Pupetta che resta sola, indifferente, sotto il lampione. Rapida dissolvenza.

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night club Interno. Notte. Una donna bellissima si sta spogliando lentamente, illuminata da un riflettore, che la rende come fosforescente in mezzo all’ombra del night club, popolata di facce confuse, di gente elegante. Un cha cha cha segue con convenzionale languore i suoi movimenti. Il faro che segue i suoi movimenti scopre il suo corpo a poco a poco: dapprima della donna splende solo una mano che lascia scivolare un indumento, poi tutto il braccio, poi le spalle nude, poi le gambe e le cosce. Infine appare del tutto denudata. L’ambiente intorno si direbbe molto snob: eleganti signore vestite dai sarti piÚ costosi, uomini vestiti da sera: tutti applaudono morbidamente. Molti hanno dei cotillons.

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strada antistante night club Esterno. Notte. Sotto le luci ardenti del night club, che annunciano lo striptease, si stanno avvicinando con le loro moto, quelli del Rospo. Nella prima moto il Rospo e il fratello, nella seconda il Mosè, nella terza il Toni, nella quarta il Teppa e il Gimkana. Il Gimkana si sta lentamente rimettendo dalla sbornia: e, ancora allucinato, si guarda intorno. gimkana Uèh, ma dite un po’, facendo la conta qua ne manca uno. Dov’è il Contessa? teppa Si sta allenando per le prossime Olimpiadi! gimkana Ma questo qui è il suo Ducati! mosè

Ce lo siamo presi in prestito…

Le moto si avvicinano rombando lentamente al night club, le cui luci splendono sempre più vive. Il Cino è attaccato affettuosamente alla schiena del Rospo. cino Con te sì mi piace andare in moto. Guidi meglio di tutti… Il Rospo tace: è ancora umiliato, angosciato: il veleno del dolore è nei suoi occhi. cino (consolando goffamente) Perché sei inciampato! Se no chissà quante gliene davi! Il Rospo non risponde ancora, immerso nei suoi cupi pensieri. 176


cino

(c. s.) Ti fa male?

rospo (sbrigativo, accorato e con un certo insolito tono di affetto) No, no, sta zitto… E copriti, cretino, se no ti prendi anche un accidente… Il Cino, contento per quelle parole, si avvolge meglio intorno al collo la sciarpetta di lana. Sono ormai sotto le luci del night club, rosse come le fiamme dell’inferno, che rischiarano tutta la strada. Accanto all’ingresso, tra drappi rossi e cartelloni pieni di donne mezze nude, c’è il portinaio gallonato, che ha subito uno sguardo nemico per i ragazzi che si avvicinano nel lento rombo delle loro moto. night club Interno. Notte. Ora davanti all’elegante pubblico che ascolta, divertito più che per altro per dovere, la cantante Laura Betti canta una delle sue canzoni intellettuali. Sui suoi capelli biondi, di giaguara, splende la luce del riflettore: ed essa, con nevrotica dolcezza, con concentrata nonchalance, canta i versi di una canzonetta di Moravia. laura betti (cantando) Mi butto, mi butto, mi butto… E si contorce presa dalla sua crisi della moglie bene che interpreta, con aggressiva eleganza.

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strada antistante night club Esterno. Notte. Il Rospo e i suoi compagni lasciano le motociclette davanti al night club, col Cino di guardia, e salgono con aria bulla verso l’ingresso. portinaio

Dove andate voi?

La sua espressione di vecchio è ostile e quasi cattiva. mosè Perché? A ti cussa l’è che te ne frega? portinaio

Ven chì no a fa il spiritùs!

Ma Toni gli si avvicina, grande, spavaldo, prepotente. toni Cià, cià, uhei tìres via! Lasciaci passare! Sufulòt de menta! portinaio (un po’ spaventato da quel tono) Ah, io non ne voglio saper niente… Aspettate un momento, che chiamo il direttore… Si rivolge verso l’interno, e comincia a gridare: portinaio Signor Esposito… Signor Esposito… Fa qualche passo verso l’interno, e i ragazzi gli si accalcano dietro. Il direttore però è lì pronto, e si mette davanti alla porta. direttore Mi dispiace, amici, ma così non si può entrare nella sala. È prescritto l’abito da sera… 178


teppa (guardandosi blue-jeans e giubbotto) Quest qua cosa l’è? Il vestito da teppa lo mettiamo su solamente la sera, noi! direttore Non scherzate, ragazzi, non è il caso! gimkana Ma noi volevamo vedere solo lo spogliarello, e poi scantoniamo subito! direttore Eh no, a quest’ora lo spogliarello è terminato e si balla soltanto. E poi non avete neanche le signore! Interviene il Rospo, che comincia a riprendere il suo posto di capo: rospo Ah, non abbiamo le signore… Scusi, provvediamo subito… Fa un cenno, autoritario e sicuro agli altri: e va verso la sua motocicletta, accanto alla quale è accucciato il Cino. Tutti gli altri lo seguono. Mettono in moto, e si allontanano con un violento rombo. Il portinaio li guarda, pieno della sua patetica saggezza di uomo onesto, dalla morale antica di umilissimo cittadino. portinaio (amaro, buono) Ma guarda lì, che gioventù! Ai me temp chi robb ch’ succedèven no! I giuven andaven a tirà la lima da la matina a la sera, e po andaven a lett! direttore (con stupidità fascista) Questa è la democrazia! 179


portinaio (servile) Eh, gaverèven bisogn de un pu de bott! Scuote amaramente la sua faccia di povero cristo. night club Interno. Notte. La Laura Betti sta finendo di cantare una nuova canzone, stavolta di Soldati, e urla, coi suoi grossi occhi sbarrati, col suo vestito nero quasi da collegiale: laura betti (cantando) I hate Barocco! I hate Scirocco!... Il pubblico applaude, e la Giaguara manda qualche bacio: e se ne va. Attacca subito dopo una musica da ballo, leggera e discreta. Alcune coppie elegantissime – personaggi di Camilla Cederna – cominciano a ballare. strada antistante night club Esterno. Notte. Enorme, animalesco sbadiglio, con la bocca che si spalanca fino a far vedere la trachea, del povero portinaio, tra i drappi e i cartelloni di donne nude. Si sente il rombo delle motociclette, violento. Ecco il Rospo e i suoi: stavolta il Rospo, dietro il sellino, ha una vecchia baldracca, clamorosa, grassa, scalcagnata, con una montagna di capelli di stoppa tinta di nero, la bocca vizzosa e sdentata. Come vede quella compagnia, il portinaio si rivolge subito, disperatamente, verso l’interno. portinaio (allarmato) Signor Esposito… Signor Esposito… Venga! 180


Il Rospo, disceso dalla motocicletta, con la baldracca al fianco, e dietro i compagni, si avvicina con studiata lentezza all’ingresso. Egli si rivolge, con la cortesia con cui ci si rivolge a una delicata signora bene, alla baldracca: rospo Come ti pare, cara? Un po’ intellettuale, magari… baldracca Ah, queste svergognate, che ballano nude davanti a tutta la gente! Che schifo! Intanto è comparso il direttore, e affronta la compagnia: direttore Ma abbia pazienza, giovanotto, non vede che non è il caso di entrare… così… anche per lei… dentro c’è un mucchio di gente chic… che figura ci fa! rospo (cattivo) Adesso la signora ce l’ho! Non vede? Per l’abito da sera… siamo all’ultimo dell’anno… cosa sta lì a guardare… direttore No senta, lei qui non può entrare. rospo

Ah no? Non è convinto?

Fa un cenno rapido a Toni, che, subito, lancia un fischio lacerante. Subito, da due strade laterali, con un rombo che toglie i sentimenti, tra selvaggi suoni di clacsom compare una banda di diavoli scatenati, con in testa William che ha sul sellino Pupetta. Tutti si avvicinano, decisi, al night club.

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rospo Le presento i Pestatori della Bovisa! portinaio (rapido, spaventato al direttore) Devo chiamare la Volante? direttore (balbettando) No, no, aspetta… meglio no… evitiamo il peggio… (Balbettando, senza che nessuno lo ascolti) Sentite, ragazzi… potrei anche chiamare la polizia… Ma dovete promettermi di non dar fastidio a nessuno… Quelli del Rospo e quelli della Bovisa sono in tutto una quindicina: un esercito di teddy boys che invade il night. toni Entrano in massa.

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Ma sì… ma sì…


night club Interno. Notte. Provenendo da un lussuoso corridoio, pieno di velluti, cordoni dorati e fiaccole fasulle, con le pareti dipinte di donne nude in stile liberty, i ragazzi dilagano nella sala da ballo, dove molte coppie stanno ballando. I due capi, il Rospo e William, procedono affiancati. Nel Rospo risorge l’avvelenato, confuso moralismo che è l’alibi della sua violenza. rospo Guardala qua, la nostra bella classe dirigente, immersa nello sterco fino al collo… questi democristiani bigotti e opportunisti… Si divertono, eh, alla faccia del popolo… william sono!

(alzando le spalle) Loro pos-

rospo Sì, ma stanotte possiamo anche noi, eh, William? william Stasera i nostri teddy sono in buono. Ne vedremo delle belle. I ragazzi si sparpagliano intorno, e finiscono col sedersi a due o tre tavolini liberi in un angolo della sala. L’unico a restare indipendente è il Gimkana, che gira intorno a esplorare l’ambiente. Un cameriere si avvicina ai tavolini dei teddy. cameriere

Desiderano?

william Gin-fix per tutti! Il Gimkana intanto girando per la sala, dalle parti del bar, ha adocchiato una bellissima ragazza, in un succinto abitino da sera. 183


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Subito gli occhi celesti del ragazzo si intorbidano, brillando cupi nella faccia smunta e pallida di nevrotico ubriaco. Egli le gira un momento intorno, poi l’accosta. gimkana (accennando ipocritamente col mento verso i suoi soci) Che gente! Chissà cosa ne penserà lei di questi teppisti!... E pensi che ci sono delle ragazze a cui piacciono… La ragazza, seduta al banco, continua a bere il Whiskey senza rispondere. Il Gimkana prosegue, filone, con la sua faccia ipocrita da bravo ragazzo: gimkana Non crederà mica che io sono uno come quelli… Mi ci trovo per caso con loro… La ragazza continua a tacere, ubriaca e indifferente. gimkana Si interessa di musica leggera lei, signorina… Lei qui al night canta? balla? Ha qualche attività? La ragazza lo guarda, staccata e vaga. ragazza

Che cosa le importa?

gimkana Beh, sa, perché io mi interesso di queste cose… siccome ho varie conoscenze nel campo dei cantanti e dei balletti… a tempo perso faccio l’agente teatrale… E lei come tipo ha dei numeri… 186


La ragazza alza ingenuamente e smorfiosamente le spalle. Il Gimkana le si accosta ancora di più. gimkana

Parola d’onore!

Intanto nella sala si continua a ballare, ma con molta compitezza e con la goffaggine dei signori anziani che vogliono fare i damerini. Il Teppa si volta di scatto con aria cameratesca e bulla verso Pupetta. teppa Ehi, maliarda… balùm? La Pupetta, come spinta da una molla, si alza, dà la mano al Teppa e si dirige sicura verso la pista, tirandosi dietro per mano il ballerino. Cominciano a ballare, i due, sfrontatamente: un po’ alla volta diventano padroni assoluti della pista, facendo il vuoto intorno a loro. La Pupetta, ballando, si leva le scarpe, e balla scalza, lanciando ogni tanto, nelle giravolte del rock, una specie di lungo ululato da indiana, con la mano davanti alla bocca. Piano piano, davanti a quell’esibizione, le altre coppie lasciano la pista con aria urtata e disgustata. rospo Guardali, i pecoroni, gli facciamo schifo… william (con uno scatto) Questa orchestra è loffia! Bisogna svegliare l’ambiente! Si alza di scatto, e va verso l’orchestra, deciso. Il Rospo e gli altri si alzano e gli vanno dietro. william (col tono del gangster) Un po’ di rock, ragazzi! William, con tutti i suoi intorno, va accanto all’orchestra. Come fossero d’accordo – e sicuramente perché l’hanno fatto altre volte – i 187


pestatori s’impadroniscono lentamente degli strumenti, sostituendosi all’orchestra. i pestatore (al sassofonista) Fammi sentire che voce ha questo sax! E toglie il sassofono di mano al sassofonista che trova più ragionevole cedere. ii pestatore (al ghitarrista) Ma usi le corde di nylon o di ferro? Fa sentire! E prende la ghitarra al ghitarrista. iii pestatore (al pianista) Tu non ti senti bene, vero? Hai l’aria stanca… Forse un po’ d’influenza… Ti sostituisco io… dai, dai… E spinge fuori dal seggiolino il pianista, prendendo il suo posto davanti allo strumento. Ormai tutta l’orchestra è sostituita dai teddy: e esplode nella sala un rock furioso. Toni si mette al microfono e canta, anzi urla, contorcendosi tutto, secondo lo stile del Celentano. Il Rospo va a un tavolo di gente chic a invitare una bella, delicata ragazza. rospo ragazza

Signorina, balla? Grazie, sono stanca.

Il Rospo, che già sapeva la risposta negativa, le volta vistosamente le spalle e vistosamente va a prendere la baldracca. La porta in mezzo alla pista, dove sono rimasti soli la Pupetta e il Teppa che si scatenano. Il Rospo e la baldracca, estremamente clamorosa, quasi mo188


struosa, cominciano a ballare. La baldracca, ubriaca, è uno spettacolo che ripugna e fa pietà. Intorno a quella miserabile coppia altri teppa ballano fra di loro, scatenati, con grande abilità e spaventosa energia. In mezzo a tutti Pupetta, scalza e urlante, è la regina del rock. Di fronte allo spettacolo, molta gente comincia a alzarsi e a andarsene: più i ballerini si scatenano, e più vuoti restano tra i tavolini nella sala. È ormai un vero esodo. Un signore, andandosene, non sa trattenere parole di disgusto: signore (a fior di labbra) È una cosa disgustosa, dov’è la polizia? William gli è accanto e lo sente. william le piace? signore

Perché se ne va lei? Non Mi fate pena.

Tranquillo William parte, e con un tremendo cazzotto stende il signore tra due tavolini che si rovesciano. Altri giovanotti bene, amici del signore, intervengono: altri pestatori intervengono a loro volta. In pochi minuti tutto il night è una bolgia infernale, una generale scazzottatura. Il direttore corre al telefono, e chiama la polizia. Dentro il night la scazzottata continua, epica: tutto si rovescia, va in frantumi: è una rovina, una specie di tornado si è abbattuto sulla sala. Una vocina esile si leva in tutta quella confusione: è il Cino, che spaventato chiama il fratello: cino Giancarlo… Giancarlo… Lo avvista infine e gli si aggrappa. 189


cino Giancarlo… Giancarlo… arriva la polizia, si sentono le sirene… Il Rospo non aveva certo bisogno dell’avvertimento del fratello: era chiaro che è il momento di tagliare. rospo william la pula!

Via, via! Tagliamo, ragazzi… arriva

Come un fiume straripante si gettano verso l’uscita, lasciando dietro di sé il disastro. Gimkana, che era ancora accanto alla ragazza, deve seguire la compagnia. gimkana

Saludi! E coltiva la voce!

Si butta anche lui verso l’ingresso, verso lo scalone dorato e pavesato a festa, seguendo la furia frenetica della ghenga. strada antistante night club Esterno. Notte. La torma dei teddy boys dilaga fuori dal night, e si butta sulle motociclette: appena in tempo, perché, ecco là, in fondo alla strada, precedute da un lacerante suono di sirena, le macchine della polizia. I ragazzi montano sulle loro moto, e partono sparati, in fuga.

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strade milano Esterno. Notte. Visioni di Milano in corsa, come già ne avevamo viste durante tutto il film: leimotiv del film stesso. Ma stavolta esse sono frenetiche, data la drammaticità dell’inseguimento. Sequenza e particolari, ad libitum, della regia sulla fuga del Rospo e dei suoi compagni sulle motociclette. Nel cielo di piombo c’è un faticoso, mortale presagio del giorno che nasce. strade dintorni san siro Esterno. Notte. Il Rospo e gli altri amici arrivano lanciati a tutto gas, con un rombo assordante, in una strada del quartiere periferico attorno a San Siro. Sono soli e liberi. La sirena della polizia suona lontanissima, e finisce con dileguare. Man mano che il suono della sirena svanisce, i ragazzi rallentano la corsa. E un po’ alla volta, prima uno, poi via via tutti gli altri, cominciano a ridere, a ridere. Un’ilarità contagiosa, infantile, dilagante. Le loro risa di gioia risuonano nella strada deserta, in fondo alla quale si intravede la sagoma dello stadio, una costruzione che pare metafisica. mosè (rivolto indietro, verso la città lontana) Pula! Ciapa! gimkana Gli abbiamo dato la birra! È dura con noi! Toni, sempre ridendo, si guarda intorno. toni teppa

Du a l’è che sem chi? Sem a Milan, no! 191


toni (con la gioia esplosiva della scoperta) Uèh, ma qui siamo a San Siro! Si rivolge entusiasta all’intera compagnia: toni Ehi, ragazzi, sapete chi abita qua? La pupa del Teppa! Daniela! gimkana (urlando selvaggiamente) Daniela! Daniela! Buon anno! Buon annooooo! toni Uhei, sbarbà, perché non andiamo a farle una visita? teppa (un po’ meno irritato che la prima volta, a proposito del suo amore, ma quasi bonario) Ma piantatela, diseredà… rospo Ma sì, andiamo a trovarla… Andiamo a farle la serenata… toni

Sì, sì, dai la serenata!

gimkana

Andiamo a farle gli auguri!

teppa (brusco, ma in fondo contento) Con che cosa le facciamo la serenata? Cun ‘t ‘i man? mosè

Ghe pensi mi!

Dà violenti colpi di calcagno alla messa in moto, virando la motocicletta. Rapidissima dissolvenza. 192


strada milano Esterno. Notte. Comincia vagamente a albeggiare: la quieta strada milanese è piena di quello squallido presentimento di luce. La compagnia del Rospo arriva a tutto gas, col solito rombo violento dei motori, e fermano davanti a un negozio, di colpo. Rapidi, senza una parola, tutti allegri, coi ferri del Rospo scardinano la saracinesca, la alzano; rompono i vetri; è un negozio di strumenti musicali; prelevano un sassofono e una tomba; rimontano in motocicletta. mosè

Via, ragazzi!

Il suo calcagno spinge violentemente la messa in moto: scoppia il rombo del motore. I ragazzi filano via. Rapidissima dissolvenza. viale di san siro Esterno. Alba. Alla prima luce dell’alba, i ragazzi arrivano di corsa, sparati, lungo i viali che costeggiano l’enorme stadio di San Siro. L’immenso ovale posa sui prati lisci e fangosi, è una forma irreale, folle, nel silenzio doloroso, funebre del giorno che nasce. Gli amici corrono a tutta velocità: dall’altro lato del viale ci sono delle enormi, nordiche case popolari, e dei cantieri, fra sterri e gru. Arrivano all’ultimo dei palazzoni, di fronte al quale c’è un terrapieno. I ragazzi rallentano e si fermano. toni

Ma dov’è che abita?

teppa (sempre brusco, ma emozionato e allegro) Ma sta lassù, al terzo piano… 193


gimkana

Mettiamoci lassù, allora…

E fila di corsa verso il terrapieno, o il mucchio di macerie, che si protende verso il terzo piano del palazzone addormentato. Gli altri gli corrono dietro, allegri. rospo

Tutto a posto?

Mosè e il Gimkana hanno gli strumenti in mano: si preparano a suonare. mosè Questa tromba qui mi pare un calumèt! Buona! Il Gimkana attacca, con molta bravura, uno spiritual negro, dalle note lunghe, solenni, dolorose, quasi funebri. Spiritual suonato dalla tromba e dal sassofono. Il giorno è sempre più forte: ma è un giorno grigio, gelido, triste. Alle spalle dei ragazzi raccolti sul terrapieno o sul monticello, la sagoma di San Siro ha qualcosa di mostruoso, oblunga, plumbea. rospo (urtando il Teppa) Ma dai, dì qualcosa, chiama! teppa

(emozionato) Ma no, ma no…

rospo

(allegro) Su, dai!

Il Teppa guarda in alto, verso le finestre dell’enorme palazzo: la sua espressione, sotto la visiera del berrettino calata come sempre, con aria bulla, fin sopra le palpebre, ha qualcosa di tenero, di ilare. Si decide tutto a un tratto, con la sua aria incurante di ragazzo semplice e buono, a seguire il consiglio del Rospo. 194


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teppa

Daniela! Daniela!

toni (imitandolo, con gridi selvaggi) Daniela, auguri! L’è chì el to Romeo! rospo

(ridente) Daniela! Auguri!

Il Teppa, un po’ per vincere il suo imbarazzo, si guarda un attimo intorno. teppa Sacranùn, ragazzi! L’è quasi dì! Infatti la luce è sempre più forte – e più triste. Mentre i ragazzi suonano e gridano, alle loro spalle, accucciato sul terriccio, il Cino, pallido di sonno, tira fuori da sotto il giubbotto dove se la teneva nascosta, la rivoltella di suo fratello, e poiché a lui la serenata non interessa, ci gioca un po’, stringendola in mano. Il Toni si mette in mezzo tra il Gimkana e il Mosè che suonano, aspetta un momento aspettando il tempo, e comincia a cantare, in inglese, come sempre: toni

(canta, urlando)

rospo Dai, facciamola venir fuori… vediamo se si affaccia! Il Teppa si mette le mani a imbuto intorno alla bocca, e con gli occhi che ridono pieni di amore e di gioventù, comincia a gridare: teppa Daniela! Daniela! Derva un momènt! Te voei rivedè! Colpo di rivoltella. Il Teppa cade, sul terriccio, riverso. Gli altri per un attimo non capiscono: poi succede un profondo silenzio. 197


Le loro facce si voltano, contro quel cielo pieno di una triste luce, verso il corpo del Teppa. Il terrore e il dolore sono nei loro occhi. Il Toni si butta sul corpo dell’amico, scuotendolo disperato: il petto è tutto bagnato di sangue. toni

(con un urlo disperato) Teppa!

Il Cino lascia cadere la pistola, e comincia a scappare. Si mette a correre, piangendo: corre giĂš per il terrapieno, va verso le case. Corre e piange. Si volta. Va verso il viale con in fondo uno stadio. Corre a lungo, nella triste luce, contro il fronte immenso della cittĂ ; corre, corre, piangendo. fine

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Finito di stampare nel gennaio 2018 presso grimm service s.n.c.


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