9/12/2010 - Rassegna Stampa

Page 1

SCUOLA E U NERSiT

di GIOVANNI BELARDELLI n Gran Bretagna il Servizio sanitario nazionale venne creato nel 1948, ma la consapevolezza della sua necessità si era affacciata alcuni decenni prima. Era stata infatti, al principio del secolo, la pubblicazione dei dati sul grave deterioramento fisico delle giovani reclute all'epoca della guerra anglo-boera a far nascere la consapevolezza della necessità di un intervento statale in campo sanitario. Nulla di simile, presumibilmente, accadrà in conseguenza di un fatto tanto diverso, ma in fondo non meno drammatico, che riguarda l'università italiana: le condizioni di grave deterioramento culturale, cioè in termini di istruzione e competenze di base, in cui si trovano migliaia di studentesse e di studenti da poco entrati, come matricole, nel nostro sistema universitario. Del resto, che le scuole abbiano problemi a fornire una generalizzata cultura di base lo sappiamo da tempo (si vedano i tanto spesso citati dati Ocse-Pisa sulle scarse competenze dei nostri studenti in matematica, scienze e italiano che, nonostante il leggero miglioramento segnalato ieri dal Corriere, debbono far riflettere). È ormai sempre più difficile trovare all'università degli studenti che abbiano letto qualcuno dei grandi romanzi dell'Ottocento o che abbiano almeno (perché ogni anno le aspettative di un docente si abbassano un po' di più) sentito nominare Madame Bovary. Ma su questo è

inutile insistere, visto che sono stati pubblicati vari libri che raccolgono le «perle» di tanti studenti delle superiori o dell'università. E allora in cosa consisterebbe il peggioramento che qui sto ipotizzando? Non in un aumento semplicemente quantitativo dell'ignoranza intesa come assenza di nozioni di base, scarsa capacità di scrivere correttamente in italiano e cose simili. C'è anche questo, forse. Ma c'è soprattutto un'altra cosa: nelle generazioni ormai pienamente post-gutenberghiane (generazioni, cioè, che hanno conosciuto e frequentato il computer più del libro), c'è spesso una modificazione/atrofizzazione di alcune capacità argomentative di base. La novità, insomma, mi pare rappresentata dalla comparsa di una porzione crescente di studenti magari bravissimi nel multitasking (scrivo una mail mentre parlo al telefono e sbircio una rivista...), ma che trova difficoltà, una volta letto un libro o un articolo, a stendere su di esso una semplice relazione. Nel senso che riesce a scrivere tale relazione solo come collage di brevi citazioni dall'originale; vale a dire attraverso la procedura - divenuta così familiare grazie al computer - del taglia-e-cuci e non attraverso la costruzione di un sunto autonomo, di un resoconto dotato di una struttura logico-sequenziale. Sollecitato con insistenza a stendere un testo simile utilizzando le proprie parole, opinioni, capacità argomentative

lo studente post-gutenberghiano fornisce spesso un prodotto privo di struttura, sostanzialmente incomprensibile. Mi baso su un'esperienza limitata, la mia e quella di colleghi che insegnano nell'ambito delle scienze umane. Eppure ho la sensazione che gli appartenenti a questa nuova e inedita categoria siano in aumento, appunto perché sono in aumento gli strumenti e le modalità di comunicazione che ne hanno tenuto a battesimo la nascita. Presto arriveremo al momento (se pure non vi siamo già arrivati) in cui a iscriversi all'università saranno ragazzi e ragazze che hanno utilizzato il computer prima di un libro o di un quaderno (i cosiddetti «nativi digitali»). Proprio per questo appare ancora più essenziale la funzione della scuola, a cui l'opinione pubblica (perfino molti genitori) si interessa invece in modo erratico e distratto, e alla quale i media guardano soprattutto quando e se ci sono agitazioni di insegnanti precari o di studenti. Sempre più spetterà alla scuola, infatti, non soltanto trasmettere nozioni e conservare una familiarità con i libri che si va appannando - un po' come faceva la comunità dei lettori in Fahrenheit 4,1 di Bradbury - ma anche trasmettere quella capacità di costruire argomentazioni che per secoli si è formata insieme ai libri e grazie ad essi. ® RI PHOD UCION, R ISERVAI A


Università

La Via crucis antí-Ge PISA - La via crucis dell'università, con tanto di cartelli e «stazioni», in pieno centro a Pisa, nel salotto buono di Borgo stretto gremito di gente per le prime compere natalizie. Anche ieri pomeriggio gli studenti hanno organizzato presidi e flash mob contro il ddl Gelmini e i tagli all'università. Di fronte ai passanti divertiti, gli studenti di medicina, con tanto di camice, si sono improvvisati attori. La trama: uno di loro si sente male. Se a soccorrerlo sono i medici pre-Gelmini si salva, se arrivano invece i colleghi post-riforma, con cappello da asino, il povero malcapitato non ce la fa e muore. La fantasia non manca a questa protesta. E così i ragazzi di agraria distribuiscono gratuitamente delle bustine con dei semi di piante «contro l'ignoranza». Altri, sempre di medicina, misurano gratuitamente la pressione a chi vuole. «Vogliamo tenere viva l'attenzione sino al 14, quando sarà votato il ddl - dice Luigi e stasera ci riuniamo per decidere le prossime azioni».

In programma, questa sera, c'è anche uno «sciopero dell'aperitivo». In pratica gli studenti intendono organizzare degli aperitivi autogestiti e di autofinanziamento nelle diverse facoltà e astenersi dal frequentare i bar e i locali del centro. « E un modo - spiega uno di loro - per far capire anche ai commercianti che gli studenti sono importanti per l'economia della città».

M.M. 0 RIPRODUZIONE RISERVATA


11'.

E ant e;

La Fa oltà c

deí clochard olevo porre sotto la vostra attenzione una situazione difficile, vissuta dalla Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze ormai da parecchi anni: la presenza di zingari, barboni e cani randagi all'ingresso della Facoltà in Piazza Brunelleschi. Arrivati a livelli indecorosi negli anni passati, nel 20o8 si era arrivati alla chiusura dell'ingresso della Facoltà dal cancello della Piazza, nella cui anticamera adibita a parcheggio per motorini e bici, i barboni si sistemavano stabilmente. Si utilizzava così un secondario ingresso in via degli Alfani. Ora però hanno riaperto il cancello e la triste invasione è tornata. Possibile che non si riesca a trovare una soluzione alternativa?

Angela Sarti Cara Angela, la situazione della Facoltà è pessima. Il degrado dell'ingresso di Piazza Brunelleschi è ben conosciuto dalle autorità accademiche e municipali. La chiusura dell'ingresso è solo l'ultimo dei provvedimenti intrapresi, oltre ai periodici sgomberi e l'assunzione di un guardiano da parte della facoltà, mantenuto però nell'organico soltanto per un anno accademico. Ma ancora si fanno attendere scelte coraggiose da chi di dovere, soprattutto per quanto riguarda la situazione dei clochard. wlattes@alice.it


Scontri in piazza Gli studenti usati come utili idioti di GIAMPAOLO PANSA Alla cacca sulla porta di casa della Gelmini non ci avevo pensato. Nel senso che non ritenevo il ribellismo studentesco, o presunto tale, cosĂŹ violento da arrivare a tanto. E non mi riferisco al materiale scaricato sull'uscio del ministro, bensĂŹ al posto scelto per l'Operazione (...) segue a pagina 15

CRISI DI PANICO TRA I FINIANI


La rivolta in piazza non la fanno gli studenti Lo sterco davanti a casa Gelmini e gli scontri a Milano e Roma dimostrano che i giovani non agiscono da soli. A manovrarli sono i cattivi maestri, ma non c'è la volontà di scoprirli segue dalla prima GIAMPAOLO PANSA

(...) Merda. Ossia un'abitazione privata, un domicilio sacro che dovrebbe sempre restare fuori dalla battaglia politica. Confesso che è proprio il luogo ad avermi fatto rimanere di gelo. Per un complesso di motivi che adesso spiegherò. Le abitazioni private sono sempre state prese di mira dal terrorismo, soprattutto da quello rosso. Carlo Casalegno venne ucciso dalle Br sotto l'androne del palazzo dove viveva. Il direttore di "Libero" ha visto arrivare sul pianerottolo di casa uno sconosciuto armato di pistola che non voleva certo recapitargli un biglietto di auguri. Potrei continuare con gli esempi. Ma si riferiscono tutti a una criminalità ben più sanguinaria rispetto a quanto vediamo in questo autunno di battaglie sulle strade. Pandemonìo Mi domando il pandemonio che si sarebbe scatenato se lo stesso carico di sterco fosse stato depositato sull'uscio di Nichi Vendola, di Pierluigi Bersani, di Pierferdinando Casini, o di qualche megadirettore dei giornaloni italiani. Per esempio, all'ingresso della casa di Ezio Mauro, il capo di "Repubblica". O di Ferruccio de Bortoli, il leader del "Corriere della sera". O anche di Gianni Riotta, il numero uno del "Sole-24 Ore". Tra l'altro, la testata della Confindustria è l'unico quotidiano ad aver dedicato alla vicenda appena una notiziola a una colonna. Per di più spartita fra due eventi: "Sterco da-

vanti casa Gelmini. A Roma fermo per 12 studenti". Mentre l'occhiello di quel titoletto praticamente invisibile era di un'ipocrisia senza pari: "Università. Le proteste". Se ci fosse andata di mezzo la signora Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, il sinistro Riotta avrebbe di sicuro strillato come un'aquila. Quanto è accaduto al ministro Gelmini va considerato un precedente pericoloso. Chi ci garantisce che, domani, sulla porta di casa di un altro ministro del governo Berlusconi non venga depositata una bomba? I maneggioni dello sterco in azione a Bergamo avrebbero potuto farlo senza correre nessun rischio. La casa del ministro più vilipeso d'Italia non era sorvegliata dalla questura. Per questa imperdonabile dimenticanza, gli stercorari hanno agito senza incontrare nessun ostacolo. La cronaca di "Repubblica" racconta che avevano i volti coperti da passamontagna neri e le mani difese da guanti bianchi. Si erano muniti di uno striscione contro la riforma dell'Università, poi appeso alla cancellata. Quindi hanno depositato la loro merce. E infine sono stati così arroganti da diffondere un comunicato di vittoria. Secondo 'La Stampa", diceva: "La città ospita nella sua roccaforte alta il ministro più amato da tutti gli studenti d'Italia. Noi abbiamo violato questa roccaforte e scaricato davanti a casa Gelmini la 'naturale' reazione alla sua riforma". I vecchi redattori capo rac-

comandavano a noi pivelli di stare attenti ai dettagli di un fatto perché è lì che si nasconde il succo di una storia. E il succo dell'azione a Bergamo è abbastanza chiaro. Chi si ferma a osservare i cortei, le strade invase, le stazioni occupate e gli scontri con la polizia, non agguanta la verità nascosta dietro tutto l'ambaradan che quotidiani e tivù ci raccontano ogni giorno. o La verità da scoprire è assai peggiore del caos che tiene in scacco molte città italiane. E ri guarda la natura dei gruppi che guidano i movimenti di piazza. Ho già scritto su "Libero" che siamo in presenza di un ribellismo organizzato da nuclei politici o para-politici assai diversi dagli studenti che vengono condotti in strada. Che cosa sono questi nuclei? Chi li ha costituiti? Al ministero dell'Interno forse lo sanno. Ma di certo i giornali lo ignorano. Forse perché vogliono ignorarlo. Posso ragionare da giornalista anziano? Un tempo non era così. All'inizio degli anni Settanta, quando la stagione del terrorismo era appena agli inizi, più di un giornale non rimase ad aspettare lumi dal Viminale. Mandò i suoi inviati più svelti a scoprire che cosa c'era dietro quei sussulti violenti.

Alberto Ronchey, in quel momento direttore della "Stampa", mi spedì a Genova per capire chi fossero certi scalmanati che sembravano soltanto rapinatori da quattro soldi. Fu così che venne a galla l'esistenza di una banda politica, la 22 Ottobre, i tupamaros di Genova. Si ispirava al "Piccolo manuale del guerrigliero urbano", scritto dal rivoluzionario brasiliano Carlos Marighella. E considerava le rapine, i sequestri e gli omicidi l'unico mezzo per abbattere il capitalismo. Davanti a un fatto violento di natura dubbia, i vecchi capi dei giornali ci dicevano: alzate il culo dalla sedia e andate a vedere di persona. Vorrei davvero che non fosse più necessario un incitamento del genere. Però la vita mi ha insegnato una verità: sapere tutto di un fatto, riduce di molto il rischio che può derivarne. Forse è bene tenerlo a mente. PIAZZATE Gli studenti stanno manifestando da giorni con la scusa dei tagli alla scuola: la manifestazione più forte è prevista per il 14 dicembre, giorno in cui il Parlamento voterà la fiducia al governo Berlusconi. Dietro alle proteste, una strategia precisa ansa


Immacolata, e precaria, la festa dei manganelli La protesta di disoccupati, studenti, ricercatori e teatranti Repressione a Napoli: due arresti e il divieto di manifestare Adriana Pollice NAPOLI

oveva essere una festa dell'Immacolata all'insegna della pacifica mobilitazione e invece si è conclusa con due arresti, con processo per direttissima questa mattina. La repressione, a Milano, Roma o Napoli, si abbatte su ogni dissenso. La mattinata era cominciata all'università Orientale con la proiezione del film I cento passi, sui titoli di coda era arrivato in una sala strapiena Luigi Lo Cascio, in città con lo spettacolo La diceria dell'untore, al Teatro Mercadante. Tagli alla cultura, tagli all'università, una discussione plurale sulla quale irrompe la notizia delle cariche. In contemporanea, a piazza del Gesù, dove troneggia l'obelisco della Madonna dell'Immacolata in ristrutturazione, erano in corso i festeggiamenti religiosi: il cardinale Crescenzio Sepe, il sindaco Rosa Russo lervolino, il governatore Stefano Caldoro e duecento disoccupati del progetto Bros, con cui le autorità hanno improvvisamente troncato ogni dialogo. Circa 4 mila precari, formati per fare bonifiche e raccolta differenziata porta a porta in una città che muore di rifiuti, da novanta giorni senza sostegno (596 euro mensili) e senza dialogo: dopo tredici anni e tavoli di concertazione direttamente al ministero, gli unici che li accolgono sono i poliziotti in assetto antisommossa. E anche ieri c'erano gli uomini in divisa, ol-

D

tre cento, a fare scudo alle autorità. Più lontano un gruppetto di universitari e una ventina di ragazzi della Ciclofficina "Massimo Troisi": erano nella discesa di calata Trinità Maggiore, a due passi dalla piazza, a cambiarsi gli abiti al centro sociale Ska. Sono gli attivisti della Critical mass, si battono per una mobilità sostenibile. Ieri si preparavano al flash mob «Il presepe morente», biciclette colorate e abiti da pulcinella. Sono stati loro a finire sotto i manganelli della polizia, buttati giù dalle bici e picchiati. Alfonso Borelli, 28 anni, e Ana Paola Barbosa Rezende, una venticinquenne brasiliana, sono stati portati via dalle forze dell'ordine. L'accusa è di resistenza e violenza a pubblico ufficiale e di inottemperanza all'ordine di sciogliere la manifestazione. Quando gli amici, increduli, hanno cercato di seguirli è partita la seconda carica. «Eravamo con il nostro striscione - racconta Roberta, studentessa dell'Orientale - "Anche l'obelisco è precario", accanto ai ragazzi in bici, defilati rispetto alla piazza. La polizia è arrivata già con i manganelli in mano, nessuno si aspettava la carica, soprattutto i compagni della Critical mass che semplicemente volevano andare in giro per il centro storico». La violenza gratuita ha innescato la risposta, con cassonetti rovesciati e dati alle fiamme. «I ragazzi sono stati picchiati brutalmente», racconta Paola del progetto Bros, 48 anni e 25 di inutile iscrizione al collocamento: «Le forze dell'ordine or-

mai fanno solo disordine, hanno creato il panico tra i turisti per picchiare dei ragazzi che chiedono le piste ciclabili! Noi siamo abituati a questo: quando ci presentiamo, le istituzioni si nascondono dietro la polizia, la loro strategia è intimidirci. Ma qui nessuno si fa spaventare». Oltre duecento persone si sono radunate dall'una del pomeriggio davanti la questura per chiedere il rilascio dei fermati, la digos ha impedito agli avvocati di incontrarli. Cosa particolarmente grave per la ragazza che, non essendo italiana, non aveva riferimenti per nominare un difensore di fiducia. «Possono bloccarci - spiega Stella Arena che, con Ivana Zarrelli, ha assunto la difesa del ragazzo - ma non succede sempre. Quando siamo arrivate ci hanno detto che, secondo i dirigenti, non c'era bisogno degli avvocati». Forze dell'ordine con la mano pesante. La scorsa settimana a finire sotto i manganelli sono stati gli studenti e gli orchestrali del Teatro San Carlo, la prefettura poi ha dato un ulteriore segnale vietando sitin e iniziative che bloccano la viabilità. Vietato anche fermare il traffico intorno al palazzo della regione, a Santa Lucia, e proibizione assoluta di cortei notturni tra le 22 e la 10 di mattina. Le istituzioni scelgono di rispondere con le maniere forti ma operai, studenti, disoccupati, comunità locali hanno imparato a saldare le proteste: stamattina presidio al Tribunale, sabato a Terzigno per un altro piano rifiuti, il 14 dicembre a Roma contro il governo.


INDISPONIBILI Storie di ordinaria repressione a Napoli. Dopo gli studenti e gli orchestrali del San Carlo, ieri è toccato a un gruppo di precari

in protesta durante la festa dell'8 dicembre

UN'IMMAGINE DELLA PROTESTA AL TEATRO SAN CARLO, LA SCORSA SETTIMANA, REPRESSA DAI POLIZIOTTI /FOTO EMBLEMA


Guardare lontano

LA SFIDA CRUCIALE DELLA

CUL USEI, fondazioni, archivi e biblioteche che non sono più in grado di funzionare. Produzioni cinematografiche e teatri d'opera a rischio di asfissia per la riduzione o l'interruzione del flusso di aiuti pubblici. Maria Stella Gelmini, ministro della Pubblica istruzione contestata nelle piazze come complice o vittima consenziente dei tagli generalizzati nei settori di sua competenza. Il ministro della Cultura, Sandro Bondi. investito da una valanga di critiche e minacciato da una mozione individuale di sfiducia in quanto responsabile oggettivo di alcuni recenti disastri, in primo luogo i crolli ripetuti nel più importante e frequentato sito archeologico nazionale. Naturale che, in questa situazione, si moltiplichino gli appelli autorevoli a governo e Parlamento perché l'Italia, anche in una situazione finanziaria difficile come l'attuale, non faccia mancare risorse vitali a un settore che resta comunque cruciale non solo per l'immagine del Paese, ma anche

per la qualità della sua vita sociale e della sua stessa democrazia. Sono appelli che vanno ovviamente ascoltati, se non altro per le speciali responsabilità di cui l'Italia è investita in quanto massimo contenitore mondiale di beni artistici e di siti di interesse culturale. Ma la questione non sta soltanto, enon staprincipalmente, nell'entità delle risorse impiegate; e non sta nemmeno nelle responsabilità individuali, oggettive o soggettive, di questo o quel ministro. Una volta trovate le risorse - e chi le vuole più abbondanti dovrebbe anche farsi carico di indicare dove andrebbero prelevate, in un sistema a somma zero qual è oggi il nostro bilancio pubblico - bisogna saperle spendere meglio di quanto non si sia fatto in passato. E per questo è necessario cambiare la filosofia che ha sinora presieduto alle scelte operate in materia della nostra classe dirigente. nazionale e locale. CONTINUA A PAG. 24


LEDITORIAT F,

La sfida cruciale della cultura SEGUE DALLA PRIMA PAGINA dl GIOVANNI SABBATUCCI Troppo spesso i fondi per la cultura sono stati polverizzati in una serie infinita di micro-interventi e distribuiti a pioggia, in base a criteri politici o puramente clientelari. Donde aiuti e aiutini a iniziative discutibili o comunque poco rilevanti, finanziamenti ad amici e parenti, logiche spartitorie che configurano fra l'altro forme di pressione e di controllo poco compatibili con i requisiti di libertà e di disinteresse che dovrebbero caratterizzare qualsiasi attività culturale. Occorre allora capovolgere queste pratiche: introdurre, per quanto possibile, criteri oggettivi di merito per selezionare gli enti destinatari di risorse pubbliche; evitare le sovrapposizioni, i doppioni, in una parola gli sprechi; privilegiare, una volta operata la selezione, il sistema degli incentivi fiscali, che meno si presta ai favoritismi, rispetto a quello dei finanziamenti ad hoc. E occorre soprattutto distinguere le iniziative di ambito settoriale e di breve respiro, che andrebbero lasciate alla responsabilità (e affidate alle risorse) degli enti locali e degli sponsor privati dalle aree di intervento strategiche, dalle istituzioni e dai siti di interesse nazionale, dove lo Stato deve impegnarsi in prima persona.

Si tratta, in altri termini, di passare dalla logica dell'erogazione a quella dell'investimento, inteso in senso non puramente mercantile. Un patrimonio culturale e paesistico senza uguali al mondo non rappresenta solo un obbligo e un onere per chi ha il dovere di

tutelarlo e di conservarlo intatto. È anche - come insegna l'esperienza di tanti Paesi assai meno ricchi del nostro in questo settore - uno straordinario asset economico, una fonte di risorse inesauribile, purché non venga prosciugata dall'incuria, dalla speculazione e dai calcoli di corto respiro. Una produzione artistica eletteraria, cinematografica e musicale vivace e capace di imporsi fuori dai confini nazionali può anch'essa costituire - lo dimostra la nostra storia. anche recente - un vantaggio non solo in termini di immagine: va dunque aiutata, sempre che sia di per sé in grado di affrontare l'impatto col pubblico cui in ultima analisi è destinata. Un'editoria plurale e dinamica è essenziale alla formazione dell'opinione pubblica e alla crescita qualitativa della classe dirigente: sostenerla entro certi limiti, e senza distinzioni di parte, in un momento difficile, non significa attentare alla libertà dell'informazione. Una università efficiente, in grado di competere sul mercato globale dell'istruzione superiore, è la miglior garanzia di un futuro migliore per le generazioni più giovani e per l'intero Paese: i soldi che la comunità vi impegna non sono un cattivo investimento, purché non siano dilapidati nella moltiplicazione delle sedi e delle cattedre. Sono, questi appena elencati, esempi da manuale di come i comportamenti virtuosi possano, in qualche caso, diventare anche convenienti. Ma per capirlo bisogna saper guardare lontano. © RIPRODUZIONE RISERVATA


CONSERVARE NON BASTA

E'INDUBBIO che San Salvi rappresenta per Firenze il luogo della memoria storica della malattia mentale e dei modi con cui la società l 'ha fronteggiata per un secolo e mezzo. E' una memoria storica che riguarda migliaia di uomini, di malati con i loro familiari, di infermiere, di medici e artigiani, agricoltori che con la loro partecipazione quotidiana hanno reso possibile la vita di questa comunità. Con la chiusura del manicomio e la destinazione di molti locali ai servizi della Asl, San Salvi è rimasta intimamente aperta al quartiere ed amata dalla cittadinanza anche perché costituisce una zona verde all'interno della quale trovano spazio importanti iniziative culturali. Le ultime notizie diffuse dalla stampa indicherebbero che il piano dell'azienda sanitaria di Firenze per il futuro dell' area dell'ex manicomio è cambiato su indicazione del Comune, che è tramontata l'ipotesi della vendita ai privati di quasi tutti i 40 padiglioni, che gli uffici della Asl hanno lavorato alla nuova ipotesi e che ora è pronto il progetto da presentare a Palazzo Vecchio e che il trasferimento delle

pubblicazioni e delle cartelle cliniche è solo finalizzato alla loro conservazione

temporanea presso l'archivio di stato in attesa di una bonifica dei locali dove erano allocati o ad una individuazione di un nuovo archivio ma sempre nell'area di San Salvi. Ma conservare il passato non basta. San Salvi è stato il luogo della sofferenza mentale sarebbe costruttivo sviluppare, a partire da questa storia, centri studi e di alta formazione ove tutti coloro che, con competenze e professionalità diverse, si occupano di scienze della mente possano trovare spazio per una fattiva collaborazione nella ricerca e nell'insegnamento. Tra l'altro potrebbero essere trasferiti a San Salvi i corsi di studio universitario della vicina facoltà di Psicologia, riunendoli al Dipartimento che vi è già insediato. Insomma dare un senso unitario, pubblico genuinamente culturale e formativo a questa area vorrebbe dire sfruttare in pieno le potenzialità delle memorie e renderle feconde. Nessun altro luogo è più adatto di questo. * Preside di Psicologia


RSITÀ TOSCANA L'EFFICIENZADELL'UN E QUEL RAPPORTO PIENO DI LUOGHI COMUNI ALBERTO BACCINI MICHELANGELO VASTA amissione dell'Università consiste nel formare le nuove generazio ni e nel realizzare ricerca di alto livello; a questi compiti tradizionali si è da qualche lustro affiancata un aterza missione: favorire lo svi luppo economico territoriale attraverso le interazioni con il tessuto produttivo. Queste missioni possono essere svolte bene (formazione di qualità, ricerca di qualità) o male. In modo efficiente, utilizzando al meglio le risorse disponibili, o inefficiente, con sprechi e diseconomie. Si può fare buona formazione e buona ricerca in modo inefficiente, perché si usano più risorse di quelle necessarie. Quando questo accade il problema è il recupero dell'efficienza; quando ricerca e didattica sono mal fatte allora il problema I due argomenti principali principale è riuscire a spingere utilizzati riguardano l'irrazionalità dell'offerta formativa: l'Università a farle bene. La discussione sulla didattica troppi corsi con pochi studenti, e la ricerca prodotte dalle Unie la scarsa qualità della ricerca. versità della Toscana ha trovato Vogliamo fare notare che quein questi giorni molto spazio sui ste argomentazioni sono basate nel rapporto Irpet su dati palesemente errati. Cominciamo dall'inefficienza dell'offerta formativa. Il dato eclatante sottolineato dall' Irpete daicommentatori è che oltre il 60% dei corsi del biennio specialistico ha meno di cinque studenti immatricolati ed oltre l'80%® ne ha meno di 10. Molto semplicemente: non è vero. Per scoprirlo non c'è bisogno di complicate elaborazioni; è sufficiente visitare il sito del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca e leggere i dati dell'Agiornali a seguito della presennagrafe Nazionale degli Stutazione di un rapporto di ricerdenti (i dati ufficiali ministeriacali sistema universitario inToli, di cui evidentemente i ricerscana, curato dall' Irpet, che catori Irpet ignorano l'esistennelle parole del vicepresidente za). I corsi con meno di cinque della Regione, Stella studenti sono 7 e non 111 come Targetti, sarà la base conosciticalcolato Ball' Irpet, che su un va per impostare la riflessione totale di corsi attivi pari a 260 è il sull'Università in 'I oscana. 2,7% e non il 60%. I corsi tra 5 e Purtroppo la discussione si è 10 studenti sono 17 pari al 6,5% appiattita sull'impostazione del totale. In totale quindi i corsemplicistica, piena di luoghi si con m eno di dieci studenti socomuni, che ormai da qualche no circa il 9% e ri ori l'80%. Se poi anno prevale alivello nazionale, si va a vedere quali sono questi che confonde i piani della quacorsi, si scopre che si tratta nellità e dell'efficienza. In estrema la stragrande maggioranza dei sintesi, latesi principale emersa casi di corsi di area sanitaria, la nel rapporto Irpet è che le Unicui numerosità è programmata in accordo conil servizio sanitaversità della Toscana non solo non offrono didattica e ricerca rio regionale. di qualità, inalo fanno sprecanPer quanto riguarda la ricerdo risorse. ca, ilrapporto dell' Irpetpropo-

ne una lettura più articolata, parlando però di ricerca non di frontiera e di relativo isolamento della ricerca toscana rispetto ai circuiti internazionali. Il giudizio è basato su dati bibliometrici, relativi cioè alle pubblicazioni scientifiche prodotte dalle Università toscane. Il problema in questo caso è che i dati sono vecchi (addirittura 1995-1999) e alcune tecniche di aggregazione errate, come si insegna nei corsi di base di library science. Dunque anche i dati sulla ricerca neri sembrano particolarmente solidi per argomentare così nettamente sulla qualità della ricerca. Sarebbe forse bastato andare a leggere le statisti che di produttività pubblicate sui sito dell'Università di Siena per avere un panorama relativamente aggiornato (20042008) delle specializzazioni di ricerca delle tre università toscane, messe a confronto con le specializzazioni nazionali e internazionali. Si evince, pur tra alcune criticità, la presenza di numerose eccellenze anche di livello internazionale. Per concludere: è sicuramente ilmomento di affrontare il temadelle Università dellaToscana, della loro integrazione, delle modalità per il recupero dell'efficienza e per il miglioramento della qualità della didattica e della ricerca. Per questo è necessario avere una base informativa solida e strumenti analitici adeguati. Solo a partire da questa analisi sarà possibile uscire dai luoghi comuni ed elaborare interventi di policv ragionevoli. Le Università della Toscana e la Regione Toscana non possono sottrarsi a seguire questo percorso. Purtroppo il primo passo compiuto non è andato nella giusta direzione. Gli autolisono docenti del Dipartimento di Economia Politica dell'Università di Siena


studenti in piazza

Chiedono più Stato DI PEPPINO CALDAROLA

eppure la possibilità che la riforma Gelmini venga lasciata in un cassetto in caso di sfiducia del governo, ha fermato le manifestazioni di protesta. Gli studenti continuano la mobilitazione in tutte le principali città e anche questa generazione ha passato l'esame della contestazione alla Scala nel giorno della

N prima.

SEGUE A PAGINA 5

1 .() SJI CI l l011111()?


g ovan gr dano la fine dell'ubriacatura eris a i

i

i

RES PUBUCA. Non c'è futuro se lo Stato si separa dalla cultura e dall'istruzione. Questo non hanno capito Bondi e Gehnini.

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

olte scene sono le stesse degli anni ruggenti, compresi gli episodi di violenza che suscitano lo sgomento nei tifosi dei ragazzi e il sollievo di chi vorrebbe derubricare la rabbia giovanile come la riedizione del vecchio estremismo. Gli scudi in plexigas della polizia contengono a fatica la pressione di giovani senza paura e dietro di loro i fotografi degli sbirri scattano istantanee che serviranno a mandare avvisi di garanzia a studenti che ancora non conoscono il rituale degli interrogatori di questura. Tuttavia loro non si fermano e soprattutto scoprono di guadagnare nuova insperata popolarità. E sorprendente, per chi aveva ragionato sull'apatia di questa generazione cresciuta di fronte alla tv, la continuità della mobilitazione. Non è un fuoco di paglia. Sta accadendo quello che avevamo dimenticato in anni di torpore e di ottimismo. Facce di ragazzi sconosciuti conquistano la prima scena delle riprese televisive e molti di loro raccontano l'insostenibilità di una condizione senza futuro. Ancora più sorprendente è il consenso che sembra circondare la rivolta giovanile. C'è il grande maestro che prima di dare il via agli orchestrali con-

M

dannai tagli alla cultura. Ci sono soprattutto le parole di sostegno di alcuni grandi vecchi che si preparano ad assistere al trionfo dell'opera wagneriana. Umberto Veronesi e Francesco Saverio Borrelli elogiano i ragazzi che fuori della Scala levano cartelli e grida di protesta. Sulla loro stessa lunghezza d'onda c'è anche un anziano uomo d'ordine come Cesare Romiti che alcuni decenni fa sostenne la marcia dei quarantamila contro il dilagare della protesta operaia. Neppure le manifestazioni più odiose della contestazione giovanile, come l'irruzione violenta nei palazzi del potere oppure il gesto, solitamente simbolo dell'oltraggio nella tradizione mafiosa, come lo sterco lasciato davanti alla casa della ministra Gelmini, indeboliscono il consenso verso i nuovi ribelli. Il disprezzo verso gli attuali protagonisti della politica italiana è più forte del dissenso verso le forme di lotta meno condivisibili. Anche questa è una novità di questi giorni. Il tratto caratteristico di questa mobilitazione senza tregua sembra, infatti, aver conquistato anche gente che mai in vita sua aveva indossato un eskimo. La contrarietà alla riforma è diventata simbolicamente la bandiera di protesta contro tempi in cui la politica si separa dalla cul-

Non l'hanno capito né il mitura. È questo il miracolo compiuto da questa generazione di nistro Bondi né la ministra Gelcui ignoriamo le propensioni par- mini. Il primo ha addirittura reso titiche ma che è riuscita a porre al evidente la sua estraneità ai temi centro del dibattito pubblico la che dovrebbero assillarlo con nunecessità che la cultura e la scuo- merosi gesti di chiusura. L'assenla facciano parte di un progetto di za dalla Mostra del cinema di Verinascita nazionale. Non vale la nezia, il balbettio sul crollo delle pena di perder tempo nel con- mura di Pompei, la rinuncia a fronto con altre stagioni di conte- presenziare, ieri l'altro, alla prima stazione giovanile. I ragazzi di della Scala rivelano la singolare oggi sono probabilmente meno condizione di un ministro che fantasiosi dei loro progenitori evita, forse perché teme di esseperché vivono anche in un mon- re inadeguato, le occasioni di do assai più disincantato, tuttavia confronto e le manifestazioni culil loro rifiuto dell'ingegneria turali. Forse siamo l'unico paese riformistica degli esperti della al mondo in cui un ministro delministra non rivela utopie estre- la Cultura considera il suo incarimistiche ma il rifiuto di un mo- co come un compito secondario dello sociale in cui lo Stato ri- rispetto alla vita del proprio partinuncia a svolgere un ruolo nell'i- to. Forse siamo anche l'unico struzione pubblica. Alcune forme paese al mondo in cui un ministro di lotta sono estremistiche come della Cultura teme di incontrare quelle del passato, ma gli obietti- quelli che la cultura la producono vi sono molto meno retorici di preferendo lunghe e noiose lettequelli alcuni anni fa. C'è una nuo- re ai giornali. Anche la Gelmini va domanda di Stato che viene al- interpreta il suo ruolo con fastidio la ribalta nelle parole di questi ra- e autosufficienza. L'universo scogazzi. La fine della stagione del- lastico ignora la sua presenza, la l'ubriacatura liberista non porta rinuncia a misurarsi con gli intelcon sé richieste assistenziali o di lettuali conferma i dubbi sulla sua percorsi scolastici egualitari ma preparazione forse inadatta a darl'idea che non c'è futuro se lo le la forza di interloquire con chi Stato si separa dalla cultura e dal- la contesta. La Gelmini in questi mesi non è riuscita, infatti, a trola istruzione. vare una sola occasione per discutere con chi criticava la sua riforma preferendo l'anatema alla pratica faticosa del dibattito. Due ministri palesemente inferiori al compito che è stato loro assegnato hanno mostrato la scarsa consapevolezza del governo


verso una delle principali risorse di un paese moderno, la cultura e l'istruzione, e soprattutto la principale risorsa di un paese come l'Italia. Due simboli di una classe dirigente inventata. Miserie da Seconda Repubblica. É questa la ragione per cui è potuto accadere che alcuni anziani signori abbiano sentito la necessità di solidarizzare con gli studenti malgrado alcune degenerazioni della protesta. Il loro sostegno probabilmente rivela un nuovo spirito dei tempi, un clima che sta mutando che rende tanta gente più disponibile agli argomenti di chi contesta piuttosto che ai messaggi fuorvianti di chi governa. È sempre un'operazione rischiosa quella di interpretare gli orientamenti della pubblica opinione sulla base di segnali che

sembrano parziali, tuttavia non c'è più quel torpore che sembrava avvolgere la società italiana appena pochi mesi fa. Il ribelle non è più colui che rompe il sogno berlusconiano ma quello che dirada le angosce del suo trasformarsi in un incubo. I giovani delle università sono meno soli di come solitamente vengono raccontati. Ci sarà ancora un popolo che freme indignato di fronte alla carriera in bilico di un miliardario che occupa il centro della scena politica, ma sta crescendo un altro popolo che guarda al futuro e capisce che hanno ragione quelli che non si rassegnano. Dietro gli striscioni dei ragazzi che affollano i cortei ci sono ormai anche quei moderati che si stanno incazzando. PEPPINO CALDAROLA


DATI OCSE-PISA

Scuola Italia 2010 ecco 1 i pro rossi e sboccia di Alessandro Schiesaro bno due i dati Ocse sui risultati scolastici, gli ormai famosi test Pisa, che più colpiscono, uno alivello internazionale, l'altro italiano. Sullo scenario globale spicca l'entrata in scena, e subito ai primi posti, del campione cinese, Shanghai, a conferma dell'alta qualità raggiunta dai sistemi educativi asiatici. Lette in parallelo con le classifiche universitarie, lestatistiche premiano gli enormi sforzi che superpotenze come Cina e Giappone o nazioni quali Corea, Singapore e Hong Kong dedicano da anni all'intera filiera dell'istruzione. Si conferma così, se mai fosse necessario, che il nuovo paradigma di una crescita impetuosa in quella parte del mondo è destinato a durare, anzi a rafforzarsi, perché il successo nei test Pisa di oggi garantisce nuove generazioni di studenti ben preparati.

Per l'Italia il dato più eclatante è la straordinaria variabilità di risultati non tra Nord e Sud, o tra regione e regione, e neppure tra città e campagna, come avviene per esempio nel caso dell'India. No, in Italia il tasso abnorme di variala si misura nell'arco di qualche metro, quello che separa, nella stessa regione, città e scuola, un'aula dall'altra. La conferma arriva anche da un'analisi dei risultati degli esami di licenza media, dove la forte escursione di voti tra una sezione e l'altra non si può attribuire ad alcun fattore sociologico esterno, ma solo alla diversa qualità degli insegnanti. Questo dato singolare s'inserisce peraltro in un quadro più incoraggiante rispetto ai risultati conseguiti nel 2004s 2007. Continuiamo arestare aldisotto della media Ocse, il che, in termini di, storia, tradizione e Pil non è davvero accettabile. Ma recuperiamo posizioni rispetto al passato e, soprattutto, si accorciala distanza tra Nord e Sud del paese, uno dei dati più eclatanti delle precedenti rilevazioni. Il miglioramento si deve a una combinazione di diversi fattori. Il primo è la maggiore apertura che docenti e studenti incominciano ad avere verso forme di valutazione standardizzate. Continuar- pagina 16


Scuola Italia ecco í promossi e i bocciati di Alessandro Schiesaro olo due anni fa molte scuole, forse perpregiudizio ideologico, forse scoraggiate dal timore di risultati deludenti, rifiutavano i test Invalsi in terza media e in seconda e quinta elementare, che nel frattempo sono stati resi obbligatori. Familiarizzare con queste modalità di valutazione dell'apprendimento non significa rinunciare ad altre, magari di compasso più ampio. Ma anche i grandi clinici misurano la febbre col termometro e queste prove restano le uniche adatte a fotografare su larga scala i livelli di rendimento in competenze basilari come appunto la capacità di lettura, la matematica, le scienze. Un secondo fattore da tenere presente è che anche in un paese come l'Italia, dove la valutazione è ancora spesso sentita come una forma autoritaria di controllo, quando non di punizione, si sta evidentemente facendo strada una visione meno ideologica epiù concreta, che le riconosce un valore soprattutto prospettico. Sapere che il proprio lavoro sarà oggetto di valutazione indipendente rappresenta uno stimolo tanto più efficace quanto più è correlato al raggiungimento di obiettivi ben definiti e anch'essi, tendenzialmente, sottratti all'arbitrio di scelte soggettive. Lo studente consapevole del fatto che da una buona preparazione liceale dipende,

per esempio, la possibilità di accedere al corso universitario preferito, non solo tenderà a lavorare di più, ma sarà meno indulgente nei confronti d'insegnanti poco preparati, che lo danneggerebbero quindi in modo tangibile. Gli investimenti sulla valutazione, infine, stanno evidentemente dando i frutti sperati. Questo vale soprattutto in relazione al miglioramento del Sud: all'interno del Programma operativo nazionale istruzione, riservato al Sud, tutti i fondi per la formazione sono stati concentrati sulle competenze di base, coinvolgendo più dia6mila insegnanti nelle diverse iniziative; e la Puglia, che vantai progressi più significativi, è la regione che è riuscita a utilizzare una quantitamaggiore di risorse e coinvolgere un numero maggiore d'insegnanti. L'impegno dei singoli docenti gioca infatti un ruolo decisivo se si vuole superare la variabilità di risultati a livello locale, altrimenti inspiegabile. E non c'è dubbio che un paese avanzato deve poter contare su di un sistema scolastico che riduce al minimo le variabili locali: è questa l'unica strada per favorire una reale mobilità nazionale, in cui gli studenti siano sempre meno costretti ad adattarsi all'offerta formativa sotto casa e diventino invece liberi di scegliere il tipo di studi e la sede che preferiscono. Poiché la massima parte delle nostre scuole è statale, ci sono le condizioni di partenza per puntare a una maggiore uniformità dei risultati educativi. Per ottenerla non si può far altro che insistere sul binomio valutazione-incentivi, perché la scuola, come la storia, cammina sulle gambe degli uomini e delle donne, cioè di docenti più o meno preparati e più o meno motivati. Sono loro, che, letteralmente, fanno la differenza.


Riforma Gelmini Dove è finita la meritocrazia? Media e politici sembrano aver dimenticato la compattezza del fronte che protesta contro il ddl del ministro dell'istruzione a favore di analisi sociologiche fatte «senza entrare nel merito»

GIULIO PERUZZI DOCENTE UNIVERSITARIO

tirano Paese il nostro. Fino a qualche giorno fa si sottolineava l'essenziale compattezza della comunità universitaria nella protesta contro il ddL Gelmini. Una compattezza di cui la stessa CRUI, la Conferenza dei Rettori, doveva alla fine prendere atto. Si metteva bene in evidenza, almeno nei mezzi di comunicazione sia di destra che di sinistra ancora non asserviti a tesi precostituite, come gli enunciati di principio (autonomia, merito, responsabilità, valutazione) venissero puntualmente disattesi nell'articolato della legge. E si faceva emergere come al contempo la stragrande maggioranza della comunità universitaria (studenti, personale tecnico, docenti) ritenesse importante 7.

Il messaggio che passa è quello che si difenda la situazione esistente un intervento riformatore, ma volto a invertire una tendenza al declino del nostro sistema di formazione e ricerca e non ad accelerarla. Oggi invece sembra stia progressivamente passando, anche nei mezzi d'informazione non proprio filogovernativi, il messaggio sbagliato che la protesta dei giovani sia sì stata innescata dal ddL sull'università ma abbia cause riconducibili essenzialmente al disagio sociale sempre più diffuso e finisca per risolversi in un mantenimento dello status quo. Con buona pace per la meritocrazia.

Nessuno vuole negare cogenza ad analisi sociologiche e psicologiche delle masse in tempo di crisi, come quelle di Barbara Spinelli, Ilvo Diamanti o Michele Boldrin. Aiutano sicuramente a capire le dimensioni e la durata di un fenomeno di protesta come quello cui assistiamo. Ma risulta francamente discutibile fare queste analisi «senza entrare nel merito della riforma». Si finisce per creare fittizie contrapposizioni tra il movimento di protesta e principi importanti, come la rilevanza del merito, dando l'impressione all'opinione pubblica che proprio di meritocrazia e della sua esaltazione parli il ddL sull'università. Ma questo non è assolutamente conforme al testo della legge. Ad alimentare la confusione si trovano le solite frasi fatte sulla mancanza di proposte alternative di riforma. Peccato che queste proposte siano tante. E ben congegnate. Ma che non trovino spazio adeguato nei nostri mezzi d'informazione. Non credo che il 14 dicembre assisteremo a una palingenesi del quadro politico. Credo tuttavia che sia importante che, qualunque sia la sorte di questo Governo, questa nefasta riforma venga ripensa-

Dei valori tanto sbandierati nel testo non c'è alcuna traccia ta profondamente. La protesta continua, anche dopo il rinvio della data in cui il provvedimento passerà in discussione al Senato, proprio perché nessuno di coloro che stanno (in varie maniere) contestando questo provvedimento si fa soverchie illusioni sulla classe politica e i suoi trasformismi. Sono troppi i politici che hanno espresso il loro parere favorevole al provvedimento senza sapere cosa davvero contiene. ❖

Francesco Maselli interviene sui tagli alla cultura e sulla mobilitazione del mondo dello spettacolo


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.