Kult No.1 / 2018

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5€ Italia

English texts

the new

No.1 – 2018

ART – FASHION – MUSIC – DESIGN – LIFESTYLE

Power Generation

Visionaries we are

we are

Ema Stokholma Austin Mahone James Mollison Barbara Grotto Marva Griffin Danilo Paura Willow Smith Guy Gerber Yue Minjun Ben Mears Ke Ming

Creative Director/Co–founder di GCDS

E€6–P€7 F, B, L € 7.5 – NL € 8.5 D, A € 9 – CH Chf 7.50 UK £ 6.5 – S Sek 75

Unique Media Srl – Trimestrale 8–03–2018 marzo / aprile / maggio

Visionaries

Giuliano Calza

the new

Power Generation

No. 1 / 2018


La piĂš bella musica italiana di ieri e di oggi

La Superstation italiana

La superstation italiana Numero Verde 800.303464 www.radiomargherita.com info@radiomargherita.com

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Per informazioni, numero verde 800-922259.

LA NUOVA FRAGRANZA FEMMINILE

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LA NUOVA FRAGRANZA FEMMINILE




Prodotto e distribuito da Jet Set Group



COLOPHON

KULT Issue No. 1 2018

Editorial Director Enrico Cammarota

Editor-at-Large Luisa Micaletti

Literary Critic Gian Paolo Serino

Music Consultant Ciro Cacciola

International Collaborators Anna Casotti – New York Fausto Furio Colombo – Zurigo Alessandra Fanari – Parigi

Art Consultant Alessandro Riva

Fashion Coordinator Anna Rita Russo

Collaborators Maurizio Bertera, Alessandro Iacolucci Paolo Landi, Giulia Lenzi, Alessio Jacona Antonella Tereo, Marco Torcasio

Graphic Designer Francesco Dipierro

KULT Magazine is published quarterly by Unique Media Srl Marzia Ciccola (Editor-in-chief) Registration at Court of Milan n. 412 of 11/06/1998 ©Unique Media Srl. All right are reserved Reproduction in whole or in part without written permission is strictly reserved

Worldwide Distribution: Australia, Belgium, Brazil, South Korea, United Arab Emirates, Finland, Great Britain Hong Kong, Israel, Lithuania, Malta, Holland, Portugal, Singapore, Hungary

Unique Media Srl Via Cadolini 34 – 20137 Milano

ph. +39 0249542850 adv@uniquemedia.it (advertising) segreteria@uniquemedia.it Printed by Arti Grafiche Boccia Spa Distribution SO.DI.P. “Angelo Patuzzi Spa” Via Bettola, 18 – 20092 Cinisello Balsamo

Cover Giuliano Calza Creative Director/Co–founder di GCDS

ANES ASSOCIAZIONE NAZIONALE EDITORIA PERIODICA SPECIALIZZATA

Foto di William Frank e Guido Pancotti (Ragazzi Nei Paraggi) Grooming Greta Ceccotti

CONFINDUSTRIA



CONTENTS

Kult n–1 / 2018

Visionaries

Fashion

Kult in the city

12 Editoriale

14 Willow Smith 16 Austin Mahone 18 Bav Tailor 20–23 Viaggiare hi-tech

part one

part two

part three

Jack Daniel’s

36–41

68–79

116–117

30–31

GCDS: Interview w/

Sport Sexy Street

NAPLES

80–89

118–119

24–25 Visionnaire books

26–28

La bicicletta cambierà il mondo

Giuliano Calza

32–33

42–45

Visionary ideas for common people

Portrait of

Yue Minjun 46–47 Portrait of

Marva Griffin

designed by Rian Hughes

Serenity designed by Rian Hughes

Hypatia Sans designed by ThomasW. Phinney II

Cottonwood designed by Barbara Lind, Joy Redick and Kim Buker Chansler

Colored Texture

94–97

120–125 MILAN ITALIANA. L’Italia vista dalla moda 1971-2001

Danilo Paura

Interview w/ Ieva Petersone e Dimitri Agnello

98–101

126–127

Interview w/

PARIS

James Mollison

102–105

LOS ANGELES

58–61

Interview w/

Interview w/

Paralucent

90–93

ROME

Interview w/

48–51

I font su questo numero di Kult:

Shapes of youth

Ke Ming 52–57

Interview w/

Portrait of:

H.E.R, Alice Merton Purple Disco Machine Justine Timberlake 62–63 Interview w/

Guy Gerber

Beatrice Grotto

131–133

Ben Mears

BARCELONA w/ Volvo

106–108

134–139

#athleisurebeats di Swarovski

109 Interview w/

Tommy Vee

64–65

110–113

UQIDO: Interview w/

Interview w/

Pier Mattia Avesani

128–130

Ema Stokholma

Kult Events

140–143 English Texts

144–145 TedxYouthBologna

146 Talents


GTX MOUNTAIN JACKET woolrich.eu


EDITORIAL

È tempo di credere. In noi stessi

P

erché GCDS in copertina? Primo perché siamo liberi di esaltare chi ci colpisce e noi siamo rimasti colpiti dalla energia, la freschezza e l’allegria di Giuliano Calza, un creativo che non pretende di essere lezioso, autoreferenziale, ma semplicemente contemporaneo, con linee a volte roboanti ma che esaltano chi li indossa. È un omaggio al nuovo che avanza, a ciò che ha un linguaggio diretto, ricco di fantasia che contrasta con una moda che segna il passo accartocciata su se stessa, che pone barriere, che vuole evolversi ma usa i codici di vent’anni fa. Autoreferenziale, frivola, costosa senza significato, rincorre i giovani sui social ma ho idea che neanche sappia chi sono i giovani oggi. Molto interessante invece l’operazione di Moncler che ha riunito otto universi creativi sotto la sua icona. Un’operazione che porta creatività all’interno del gruppo, che promette di avere collezioni più rapide nei negozi, cercando di annullare i picchi di acquisti ad inizio primavera e ad inizio autunno, tenendo quasi il passo con i dettami del web, ma in realtà rende sempre più centrali i negozi che aumentano. Remo Ruffini ha visione, non sarà il più simpatico dell’universo, ma è tanto Genius. Questo mese consigliamo di andare a vedere la mostra al Vittoriano di Roma dell’artista Liu Bolin. In un mondo in cui non si fa altro che apparire, lui ha deciso di sparire nelle sue opere. Una grande protesta in una società in continua rappresentazione di se stessa. Dove si è deciso di vivere sempre in un continuo presente, dove il nostro ieri già non conta più, la nostra storia, i valori e gli errori di ieri, tutto dimenticato è solo l’oggi che vale. Tutti tuffati su Instagram che rappresenta solo un mondo disney, tutto favole, feste, bei vestiti, balletti, baci e abbracci. Le aziende lo rincorrono poverine, perché è più facile fare marketing così, ma i risultati scricchiolano, il metodo già segna il passo per chi vuole leggere bene i dati. In Inghilterra pesano il giusto impatto dei social, in Italia si preferisce invece alimentare a pioggia il sistema degli influencer che oggi postano un brand e domani l’esatto contrario. Tutto a pagamento ovviamente. Si ma poi chi compra? Con Kult esaltiamo, piccola voce nel mondo ma originale e indipendente, le passioni di chi ci crede ancora. Chi contro le delusioni quotidiane non si arrende, all’elogio facile preferisce la strada della coerenza. Leggeteci, fino in fondo, e se un solo spunto sarà per voi interessante abbiamo vinto ancora, abbiamo un motivo in più per andare avanti. È tempo di crederci, è tempo di imporre la nostra voce. Di avere il coraggio di esprimersi, per restare autentici, per tenere vivo il fuoco che alimenta le nostre passioni. Enrico Cammarota enrico.cammarota@uniquemedia.it

“Una delle grandi calamità dei nostri tempi è la perdita dell’intervallo. Non esistono più pause, né silenzi.” Gillo Dorfles

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PROTAGONIST

Willow Smith

H

a bruciato le tappe a soli 14 anni, diventando una vera icona fashion mondiale dotata di una forte personalità creativa. È spudoratamente cool, stilosa, effervescente, eccentrica, una bellezza che si fa notare. Cantante, attrice e figlia d’arte (il padre è Will Smith e la madre Jada Pinkett Smith), ha fatto le prime apparizioni nel mondo dello spettacolo al The Oprah Winfrey Show e all’Entertainment Tonight nel 2007, ed è tra le più seguite it-girl del momento, dopo il suo debutto come modella con la campagna pubblicitaria di Marc Jacobs. Amata anche da quel genio di Karl Lagelfeld che l’ha consacrata brand ambassador della maison francese, accanto a Lily-Rose Depp, Kristen Stewart e Blake Lively.

Ha festeggiato i suoi 17 anni con l’uscita dell’album The 1st, un intimo dialogo sull’amore e la musica ed è stata tra le protagoniste del ballo surrealista di Dior al Musée Rodin, in occasione dell’ultima Haute Couture parigina. Il suo Instagram esplode di continue immagini con i suoi look, incuriosendo i quasi tre milioni di follower che la seguono, la ripostano, la ammirano. Presenzia agli eventi spesso con il fratello Jaden, di due anni più grande, anche lui icona della moda per teen. Entrambi nel 2009 sono diventati Giovani Ambasciatori dell’Hasbro Project Zambia, un progetto sulla sensibilizzazione dei bambini africani rimasti orfani a causa dell’AIDS. Insomma, la piccola Smith ha ormai preso coscienza del suo talento e della sua maturità. Pronta a spiccare il volo. Sempre più in alto.

Tra le it-girl più cool del momento. Figlia d’arte, un gran talento e una bellezza che attira. Oggi la più piccola del clan Smith è continuamente sulla cresta dell’onda. Ed è la musa di Chanel.

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MOVE FREE

FEEL FREE

SEE FREE

4K foto e video

leggera e compatta

tropicalizzata

LUMIX G. LIBERA LA TUA VOGLIA DI FOTOGRAFARE. Il mondo sta cambiando. E tu? Cogli l’attimo. Con LUMIX G scatti foto e giri video in modo semplice e veloce, in totale libertà. Tutto, con incredibile realismo grazie alla risoluzione 4K/6K foto e 4K video. Una fotocamera LUMIX G è più leggera, più compatta e resiste agli agenti atmosferici. Grazie al display touch inclinabile, all’autofocus touch, al doppio stabilizzatore ottico, all’otturatore silenzioso, alle ottiche intercambiabili e alla connettività Wi-Fi, avrai tutta la libertà che desideri. Goditela. Scopri di più sul sito panasonic.it #GenerationFreedom


PROTAGONIST

Austin Mahone

È

sotto gli occhi di tutti ormai da po’ e sul web raggiunge numeri da capogiro. Il suo account Instagram conta oltre 10milioni di seguaci, mentre circa 3 milioni lo guardano sul canale Youtube. Così il suo nome è giunto anche nel nostro Paese. Si chiama Austin Mahone, è texano di San Antonio e a soli 21anni è l’idolo delle teenager. Nel giro di poco tempo ha raggiunto un successo impressionante tale da essere considerato il teen-popstar più famoso al mondo. La faccia da bravo ragazzo e i saldi principi lo etichettano come l’anti Bieber (pare a lui non dispiaccia) ma la sua carriera è iniziata proprio con i video delle cover dei sui artisti preferiti tra cui Mistletoe, la hit del divo ribelle canadese. Da lì incomincia a costruirsi una personalità creativa forte e distintiva, con un talento che viene

immediatamente riconosciuto tanto che Taylor Swift lo chiamò per aprire i suoi live durante il Red Tour nel 2013. L’EP di debutto The Secret pubblicato nel 2014 e prodotto dal noto musicista RedOne balzò in cima alle classifiche del Billboard e i singoli What about love e Banga! Banga! segnano oltre 200milioni di visualizzazioni. Oggi è una giovane celebrità, vanta featuring importanti con Pitbull, Juicy J e 2Chainz, le fan lo inseguono dappertutto e in Italia è stato protagonista dello show A/I 17-18 di Dolce e Gabbana con una performance strabiliante. La musica per Austin è una vera passione scoperta fin da bambino, quando la madre gli regalò a 6 anni la batteria. Ama lavorare duramente e si considera un perfezionista, per lui un vero artista deve cantare, ballare e coinvolgere il pubblico. Austin in questo è perfetto. Cosa dire… bello, bravo, super popolare. Insomma, il principe ideale.

Influencer e popstar da innumerevoli clic. Il suo brano “Dirty hit” ha raggiunto oltre 31milioni di view su Youtube. È considerato l’anti Bieber e ha in breve tempo catturato la scena pop americana.

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PROTAGONIST

Bav Tailor Il fashion è green. La sostenibilità diventa un tema sempre più caro ai giovani talenti. La stilista londinese si fa portavoce di una moda che rispetta il valore dell’artigianalità made in Italy.

U

n lusso eco sostenibile che fa uso di materiali riciclati o naturali nel rispetto della manifattura italiana. È la filosofia guida del brand fondato nel 2015 da Bav Tailor, stilista basata a Londra, che si ispira al design, architettura e filosofie orientali. Di origine indiana, Bav Tailor prosegue la tradizione dei suoi nonni, noti sarti, puntando all’eccellenza dei tessuti, innovazione e standard artigianali superlativi. Il marchio inoltre sostiene le attività di progresso umano e sanitario nei paesi in via di sviluppo, e ogni progetto viene realizzato

sulla base di importanti valori quali l’amicizia, il dialogo, la condivisione e lo scambio culturale. Tra le ultime iniziative la collaborazione con Mini, dove in occasione dell’ultima edizione di Pitti 93 il brand ha presentato The Nomad Coat, un prodotto esclusivo dal design essenziale e materiali pregiati certificati che impattano minimamente sull’ambiente e interpretano il minimal footprint, fra i principi intorno ai quali Mini ha costruito la sua forte identità. Una combinazione di antiche tecniche sartoriali con materiali e tecnologie moderni ed eco-sostenibili per un risultato che unisce perfettamente un’estetica attuale a uno stile senza tempo.

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TECH

La valigia che ti segue A due o a quattro ruote, oppure come zaino in spalla. Il bagaglio è sempre un peso da trascinarsi dietro a fatica. A meno che non sia la valigia ForwardX CX-1, che ci segue da sola perchÊ dotata di motore elettrico e, soprattutto, di una telecamera grazie alla quale ci riconosce, ci affianca e non ci molla piÚ. forwardx.com

Viaggiare hi-tech testo di Alessio Jacona

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News

Domani si parte: che sia per un mese, una settimana o anche soltanto un weekend, l’importante è dotarsi di tutti gli ultimi ritrovati tecnologici pensati per affrontare al meglio qualsiasi trasferta. Eccone alcuni che proprio non potete lasciare fuori dalla valigia (che, ovviamente, sarà hi-tech anche quella).

La sveglia profumata Quale che sia la ragione, svegliarsi la mattina è sempre un trauma. Perché allora non minimizzare il disagio con Sensorwake, la sveglia hi-tech che utilizza gli odori per destarci dalle braccia di Morfeo? Si può scegliere tra una dozzina di odori dal caffè o le rose. Se poi non bastano, parte la solita suoneria. us.sensorwake.com

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Lo spazzolino che ti guida A lavarsi i denti sono capaci tutti. La vera igiene dentale, invece, è cosa più seria. Lo spazzolino Sonicare Diamond Clean di Philips lo sa e, proprio per questo, vibra diversamente a seconda che vogliate lavarvi i denti, sbiancarli o togliere la placca. C’è anche un’ app che guida ogni vostro gesto e, se volete, poi manda un report al vostro dentista. philips.com


TECH

Il lucchetto che si apre con l’impronta Se aprire un lucchetto con la chiave vi sembra una cosa troppo scontata e un po’ demodé, Benjilock è quello che fa per voi: un lucchetto con batteria ricaricabile che legge le impronte delle dita. Realizzato in acciaio inossidabile, registra fino a 4 impronte diverse. E se poi si scarica, ci sono sempre le chiavi. benjilock.com

Il monitor della fertilità

La fotocamera a 360 gradi per iphone Che senso ha viaggiare se poi non si condividono sui social foto uniche per fare il pieno di like? Per chi è stanco dei soliti selfie e per chi vuole distinguersi dalla massa c’è Insta360 Nano S, un modulo per iphone che trasforma lo smartphone della mela in una irrinunciabile fotocamera a 360 gradi. store.insta360.com

Il wearable che monitora i raggi UV Neanche il sole è più quello di una volta. Quindi, se avete in programma di abbronzarvi, meglio farlo nel massimo della sicurezza. Per esempio dotandosi dell’UV Sense di L’Oreal, un piccolo wearable NFC che si può incollare ovunque, dall’unghia alla scarpa, e che tramite app ci informa su livello e impatto dei raggi UV cui siamo esposti. lorealusa.com

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Stare insieme, amarsi, desiderare un figlio, andare in vacanza per concepirlo. Lo fanno in molti. Con il Mira fertility monitor, che ancora una volta impiega l’intelligenza artificiale per capire quando è il momento giusto, possono farlo con più possibilità di successo. O, viceversa, possono correre meno rischi se i programmi sono altri. miracare.com


News

Il Traduttore universale Vi piace viaggiare ma non ve la cavate con le lingue? Ci pensa Travis. Che non è un laureato in lingue, ma un piccolo traduttore portatile che ascolta e traduce per voi oltre 80 lingue grazie al magico potere della ormai onnipresente intelligenza artificiale. Quel che si dice portare il mondo in tasca. travistranslator.com

Lo scanner che controlla il cibo (e l’alcool) Per alcuni è la maledizione di Montezuma. Quel che è certo è che a molti è capitato di mangiare la cosa sbagliata e rovinarsi una vacanza. Quindi mai più senza LinkSquare, lo scanner che ci dice se il cibo è avariato, se la pillola che stiamo prendendo è quella giusta e, cosa fondamentale, se il whiskey è contraffatto. linksquare.io

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CULTURE

Visionnaire Books testo di Gian Paolo Serino

IL SEGRETO DI JOE GOULD di Joseph Mitchell

Adelphi traduzione di Gaspare Bona pagg. 152 euro 12

Dopo vent’anni di oblio editoriale torna finalmente nelle librerie, sempre per Adelphi Il segreto di Joe Gould di Joseph Mitchell: una bio-fiction (tra reportage giornalistico e finzione narrativa) che racconta le drammatiche, ma al tempo stesso divertentissime, vicissitudini di un eccentrico intellettuale realmente vissuto negli anni ’40. Un personaggio conosciuto da tutti nel Greenwich Village, quartiere rifugio per gli artisti nella New York di allora. Il primo a interessarsi della sua strana figura fu proprio il giornalista Joseph Mitchell che nel 1942 gli dedicò un ampissimo

articolo sul prestigioso New Yorker. Da quel momento nacque in tutta l’America “il caso di Gould” e la sua storia commosse e interessò non solo i lettori, ma anche poeti del calibro di e.e. cummings che gli dedicò molti versi e William Saroyan, il più grande narratore cattolico della letteratura americana, che iniziò a scrivere proprio dopo aver conosciuto Gould. Gould si definiva “l’ultimo dei bohémien”, ma si presentava piuttosto come un singolare barbone. Discendente da una delle più antiche famiglie del New England, laureato a Harvard nel 1911, si interessò soprattutto di eugenetica. Entrò in contatto con l'Eugenics Record Office di Cold Spring Harbor e nel 1916 andò in North Dakota a misurare la testa di cinquecento indiani Mandan e un migliaio di Chippewa. In mancanza di finanziamenti che gli permettessero nuovi studi nelle riserve, decise di cercare lavoro a New York. Gould, sin da ragazzo, aveva sempre rifiutato l’appoggio, anche economico, della famiglia e si ritrovò a vagabondare per le redazioni delle riviste letterarie in cerca di un’occupazione, ma trovando solo collaborazioni saltuarie che non gli permettevano di mantenersi. Così elesse a proprio domicilio il Greenwich Village: dormiva negli alberghetti da due soldi o negli atelier degli amici pittori e mangiava, di rado, in qualche sordido localetto vivendo, come ripeteva, di “aria, presunzione, mozziconi di sigaretta, caffe da cowboy, panini all’uovo fritto e ketchup”. Perché, confessava, “nella mia città natale non mi sono mai trovato a mio agio. Davo nell’occhio. Mi sentivo un estraneo persino in famiglia. A New York, in particolare nel Greenwich Village, tra gli eccentrici, gli spostati, i tubercolotici, i falliti, le promesse mancate, le eterne nullità e Dio solo sa chi altri, mi sono sempre sentito a casa mia”. Gould si definisce “il massimo esperto negli Stati Uniti nell’arte del fai a meno” e molto raramente gli capita

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di avere più di un dollaro in tasca: la cosa lo lascia indifferente perché “di norma disprezza il denaro”. Poi, un giorno, la folgorazione. Gould decide di scrivere quello che, per lui, diventerà il capolavoro letterario del secolo: la Storia orale del mondo contemporaneo, il libro inedito più lungo di tutti i tempi. La sua ipotesi era che la vera Storia non è quella raccontata a scuola, ma l’unica testimonianza davvero credibile è quella raccolta tra la gente ogni giorno. Inizia a riportare in “presa diretta” su dei quaderni le conversazioni che ascolta nei bar, nei ristoranti, sui tram, nelle stazioni, nei locali notturni. In pochi mesi ha compilato decine di quaderni, che già “contano più pagine che undici Bibbie”. Ogni quaderno, non fidandosi di lasciare il suo “capolavoro” in un unico posto, lo nasconde in casa di vari amici e artisti. La Storia orale diventa quasi mitologica a New York ed è per questo che Mitchell decide di dedicargli il proprio articolo sul New Yorker descrivendo non solo l’eccentrico personaggio, ma anche l’attesa che si è creata intorno alla sua opera.Dopo la morte di Gould, nel 1957, molte persone, tra cui Mitchell stesso, si misero alla ricerca della Storia orale nei suoi svariati nascondigli, ricerca che diventò un’altra progressione di sbalorditive scoperte. Finché nel 1964 Mitchell decise di raccontare dall’inizio la vera storia del segreto di Joe Gould, un segreto che ci lascerà incantati e silenziosi, perché va molto lontano. La storia di Joe Gould è divertente e insieme profondamente drammatica. È una finestra spalancata sul mondo disperato e incerto dei senzatetto, dei soli, degli abbandonati: è un ritratto di una New York pulsante e piena di contrasti, ma anche l’immagine di un’epoca che si avviava verso la modernità. È il racconto di una New York che scelse di incarnarsi in uno dei suoi cittadini più piccoli e dimessi.


Book

LETTERE di Edgar Allan Poe

Il Saggiatore traduzione di Barbara Lanati, Nicoletta Lucchetti e Laura V. Traversi pagg. 751 euro 48

VOLI SEPARATI di Andre Dubus

Mattioli 1885 traduzione di Nicola Manuppelli pagg. 280 euro 16,80

Edgar Allan Poe come non l’avete mai letto: non attraverso i suoi Racconti, I delitti della Rue Morgue e le indagini dell’Ispettore Auguste Dupin, La lettera rubata o nei versi immortali de Il Corvo, ma attraverso molte sue lettere, per lo più sconosciute in Italia. In questa raccolta - curata dall’americanista Barbara Lanati, che già nel 1992 per Einaudi aveva dato alle stampe Vita di Edgar Allan Poe attraverso le lettere - scopriamo il “cuore messo a nudo” di uno degli scrittori più moderni dell’800 americano: antesignano del giallo poliziesco e psicologico, tra i primi a raccontarci l’orrore di quel soprannaturale di incubi e visioni, negli Stati Uniti non ebbe mai in vita quel successo che solo dopo la morte raggiunse. Scoperto e tradotto prima in Europa da Charles Baudelaire, dall’inglese Swinburne che vide in lui “il Lord Byron smarrito in un mondo malvagio” e definito da Mallarmé “il dio intellettuale del nostro secolo”. Orfano di due attori falliti, espulso dall’Accademia militare di West Point (dove fu portato davanti alla Corte Marziale), attraverso questo carteggio, liberamente tratto dai due volumi The Letters of Edgar Allan Poe (edito negli Usa in due volumi) troviamo uno scrittore e poeta lontano da quella prigione di “maledetto” che

spesso lui stesso aveva contribuito ad alimentare. Nelle missive le parole che ricorrono di più sono “ambizione” e “successo”: Poe era divorato dal desiderio di affermarsi, da quella “lucidità nevrotica” che spesso lo riduceva a maschera di se stesso (in una lettera chiede al proprio medico di dichiararlo pazzo). Sempre ossessionato dal denaro che non riceveva: in questo assomiglia moltissimo alla corrispondenza integrale di Baudelaire, tradotta integralmente negli anni ’80 dall’editore Cappelli in tre volumi. Certo Poe morirà per avvelenamento alcolico delle cellule cerebrali dopo sei giorni di vagabondaggio per le strade di Baltimora, ma in queste pagine non è quell’Edgar che si conosce. Ma il Poe che scrive: “Il mio unico crimine era di non avere nessuno al mondo che mi amasse davvero”, quello che annota “Gli uomini mi hanno chiamato pazzo, ma nessuno ha potuto stabilire ancora se la pazzia è o non è una suprema forma di intelligenza”. Certo si ha l’impressione, leggendo queste lettere, che Poe giocasse spesso a fare il folle, che quella maschera gli servisse come difesa da un mondo più crudele di quello che raccontava, un intellettuale per cui, molto spesso, anche la solitudine era un eccesso di compagnia.

Amato da scrittori come Richard Yates, Doctorow, Kurt Vonnegut, Stephen King e Denis Lehane, Andre Dubus è ancora oggi in Italia uno dei tesori purtroppo meglio nascosti della letteratura americana. Per Mattioli 1885, che sta traducendo tutta la sua opera, è appena uscita l’antologia di racconti Un’ultima inutile serata, ma sempre quest’anno Voli separati, la prima raccolta di short story pubblicata nel 1975 ma tutt’altro che datata. Storie che squarciano il velo della upper-class americana oltre quell’apparente “moralità” che accompagna anche le vite più borghesi. Troviamo padri, madri, figli immortalati da Dubus con magistrale e rara tecnica del racconto capace nella maggior parte dei casi di stravolgere il percorso indicato al lettore facendo irrompere nella quotidianità eventi inaspettati: gioia, dolore, sofferenza. E tutti, compresi noi che leggiamo, ci troviamo a fare i conti con le “conseguenze”: quelle dell’amore, del caso, della morte, dell’inafferrabile fragilità della vita. “A volte le storie diventano come ombre e luci dello spirito. Dubus non ha avuto una vita facile: tre mogli, sei figli, problemi con l’alcool, la frustrazione di insegnare scrittura creativa ma senza riuscire a vedere in vita il successo dei suoi libri: forse per questo tutte le sue storie cominciano da uno spunto personale o autobiografico, sono docu-fiction nate da una ferita poi destinata a colmarsi, pur

senza sconti, alla maniera di Cechov (maestro di Dubus che di lui scrisse: “È la mia coscienza, scrivo con lui appoggiato alla spalla”). È l’innocenza ritrovata dopo l’innocenza perduta ad accomunare tutte i suoi racconti convinto che “se non ci fosse peccato, non ci sarebbe arte”. Dubus è un maestro della “short-story”: ne sia esempio Affondando (insieme a Voli separati e Non abitiamo più qui tra i migliori racconti di questa raccolta) quando Dubus descrive una fumatrice che “a volte sembra fumare per noncuranza verso la morte e a volte per non curanza verso la vita in un mondo dove sono tutti addii, fin dal primo ciao, come stai?”. Non è un mondo disperato quello di Dubus, ma la cartina tornasole dei nostri comportamenti, dei nostri errori e di quelle fatalità che spesso ci spingono a un frontale con la vita. Sta a noi vedere in quelle crepe, in quelle fratture la possibilità di vedere la luce. Ed è questo a rendere la letteratura di Dubus accogliente, grandiosa, meravigliosa e maledettamente indispensabile. Oltre lo schermo delle apparenze, oltre il facile vento dei (pre)giudizi, delle condanne, delle dicerie, di parole che spesso, anche se non ce ne accorgiamo, possono diventare coltelli caduti dal cielo. Dubus ci insegna anche ad accorgerci del peso delle parole: di come le parole possano, soprattutto quelle non dette, trasformarsi in sentenze.

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TASTE

About Jack

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News

Una storia centenaria e una ricetta tradizionale che si sposa con un inedito sapore. It’s time of Jack Daniel’s Tennessee Honey, una proposta dal gusto avvolgente e delicato che richiama il forte carattere del celebre Tennessee Whiskey.

T

In apertura,

Jack Daniel’s Tennessee HONEY

In questa pagina,

La Distilleria Jack Daniel’s Lynchburg (Tennessee)

ra i marchi di whiskey più famosi al mondo, Jack Daniel’s ha alle spalle una storia centenaria che risale al 1866, con sede nella piccola città di Lynchburg (Tennessee). È lì che prende vita la più antica distilleria degli Stati Uniti, la Jack Daniel Distillery, inserita nel National Register of Historic Places americano. Per capire il grande successo di quest’impero bisogna ritornare alle affascinanti origini di un’azienda dal forte valore emozionale. Tutto ha inizio quando Jack decide di lavorare all’interno della fattoria di Dan Call, padre luterano protestante e amico di suo padre, avvicinandosi per la prima volta al mondo del whiskey. Call resta affascinato dalla passione, l’intraprendenza e la dedizione di Jack e decide di cedergli la sua attività. Nasce così ufficialmente la Jack Daniel Distillery, nel corso del tempo ampliata e ricostruita sulle fondamenta della vecchia sede, dove si annovera anche la presenza della leggendaria sorgente di acqua pura Cave Spring Hollow, da cui proviene l’acqua per la produzione e stabilizzazione di tutti i prodotti.

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Nel 1895, approfittando di una imposizione governativa che obbligava i produttori di whiskey al commercio del medesimo oltreché nei formati tradizionali (botte e galloni in terracotta porcellanata) anche in un formato in vetro da 1/4 di gallone (0,94 lt), Jack introduce l’iconica e innovativa Square Bottle, sulla quale a partire dal 1905 viene introdotta la prima etichetta di color verde scuro/oro con in evidenza le medaglie d’oro vinte dalla distilleria. Il destino però non gli è clemente. Nel 1906, a causa di un infortunio, decide di cedere la distilleria ai nipoti Lem Motlow, già suo collaboratore dal 1887, e Dick Daniel, distillatore in proprio. Due anni dopo, Lem Motlow rileva la quota del cugino Dick diventando così il solo proprietario e inserisce il fratello minore Jess Motlow in qualità di 2° Master Distiller. Nel 1956, la società viene ceduta al gruppo Brown-Forman, mentre restano presidenti i figli di Lem Motlow, a cui si deve l’introduzione dell’iconica Black Label su Old No.7, l’etichetta nero/bianca che ancora oggi è il segno distintivo del prodotto.


TASTE

Tra gli ultimi arrivati nella famiglia Jack Daniel’s c’è anche Tennessee Honey, per trasformare il dopocena in una dolce e piacevole atmosfera di unione. Ideale da gustare ghiacciato, Tennessee Honey ha un sapore unico grazie alla delicatezza data da un leggero sentore di miele, in grado di creare un perfetto equilibrio tra forza e morbidezza, senza rinunciare all’inconfondibile carattere di Jack. E al gusto autentico di Jack, insieme a quello morbido e naturale del miele, si aggiungono deliziose note di caramello e vaniglia. È il risultato di una ricetta originale, creata grazie all’aggiunta di un liquore al miele finemente lavorato a Jack Daniel’s Tennessee Whiskey.

Sopra,

Jack Daniel’s Tennessee HONEY

La forma della bottiglia, inoltre, è la stessa dell’iconico Old N°7 contraddistinta e resa più elegante dall’etichetta colore ambrato, con dettagli in oro e con al centro l’ape, che rappresenta il simbolo grafico dell’essenza del nuovo membro della famiglia Jack Daniel’s. Quel momento che segue il pasto serale, a casa, al ristorante, al bar, diventa unico e coinvolgente grazie al suo gusto morbido e allo spirito conviviale. Un nuovo e originale modo di gustare il sapore tradizionale di Jack Daniel’s! Da seguire e commentare anche sui social utilizzando gli hashtag ufficiali #jackhoney e #dopocena.

Statua di Mr. Jack Daniel Lynchburg (Tennessee)

Jack Daniel’s: un marchio che supera ogni confine e cultura e che da oltre 150 anni si rende il protagonista di indimenticabili istanti di puro piacere conviviale.

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pubbliredazionale

Artefice del capolavoro Old No. 7, Mr Jack, il signor Jasper Newton Daniel, viene riconosciuto come un innovatore nell’ambito della distillazione, in quanto seguiva di persona l’intero processo di sperimentazione e perfezionamento del prodotto, dalla lavorazione meticolosa di ogni barile all’esclusivo filtraggio goccia a goccia attraverso tre metri di carbone vegetale di legno d’acero, un passaggio, definito Drop by Drop, voluto fortemente da Mr Jack per purificare il distillato da olii di mais residui e renderlo meno dolce al naso e più secco al palato. Terminata la fase di filtraggio, il procedimento si conclude con l’invecchiamento in botti di quercia bianca statunitense (disposte in grandi magazzini a 7 piani dove ciascuno contiene fino a 54.000 botti e dove alcune etichette di whiskey resteranno a maturare tra i 4 ed i 5 anni). Un metodo minuzioso che dà vita a un prodotto dall’eccellente qualità e dal gusto particolare. Ed è proprio a questo procedimento, rimasto invariato negli anni, che è legata la dicitura Tennessee Whiskey, riconosciuta a Jack Daniel’s Distillery nel 1944.


RÊVE B E A U T Y

S T Y L E

A N D

Rebel.

M O R E


KULT

i c c i l e b t t a a L

salv erĂ

o d n il mo 30


Green

I vantaggi della bici? È sicura tanto per cominciare, non ha costi di bollo, assicurazione o manutenzione, non crea traffico ma anzi sfreccia velocemente e, soprattutto, fa bene alla salute. testo di Giulia Lenzi

V

e lo immaginate un mondo senza inquinamento? Una volta il commediografo Robert Orben disse che se non fosse per i nostri polmoni non ci sarebbe posto a sufficienza per mettere tutto l’inquinamento presente nell’aria. Dissacrante, irriverente, eppure terribilmente visionario, con le sue parole stava fotografando quello che di lì a poco sarebbe diventato il problema del secolo. Oggi a parlare sono i dati: in Italia lo scorso anno ben 39 capoluoghi di provincia hanno superato il limite annuale di 35 giorni per le polveri sottili; su questi, città come Torino e Milano hanno addirittura oltrepassato la soglia di 100 giorni, mentre l’ANSA avverte che la cappa di smog della Pianura Padana è così ampia da esser visibile dallo spazio. Il problema dell’inquinamento, tanto più insidioso perché “invisibile”, non si vede ma si sente e diventa tangibile quando facciamo i conti con i suoi effetti sulla nostra salute. Solo l’impegno di comunità consapevoli può frenare l’avanzata di questo nemico silenzioso, e qualcosa si sta già muovendo. Ad esempio in Cina, dove viene messo in commercio quasi il 30% dei 94 milioni di veicoli prodotti in tutto il mondo su base annua: qui il governo è impegnato da tempo nella lotta contro l’inquinamento dell’aria e, sulle orme di Francia e Regno Unito, prevede di mettere al bando la vendita di automobili a benzina e diesel entro il 2040. La Germania conta di tagliare questo traguardo entro il 2030, Norvegia e Olanda entro il 2025. In attesa di una diffusione al 100% di auto elettriche, la bicicletta diventa il fulcro attorno a cui si costruisce la maggior parte di iniziative ispirate al concetto di mobilità sostenibile. Come il bike sharing, il quale ha registrato un successo tale che città come Firenze

e Milano hanno già importato modelli di condivisione sempre più avanzati. Si tratta del free floating, il bike sharing di ultima generazione: eliminati i punti di raccolta con rastrelliere, prendi la bicicletta e la lasci dove vuoi, basta un’app. Anche Pesaro è stata una delle prime città italiane a scommettere sulla bici: qui un terzo degli abitanti la usa per muoversi in città grazie alla Bicipolitana, una serie di linee ciclabili strategiche colorate e numerate come quelle della metro, collegate fra loro per permettere uno spostamento rapido, sicuro, con zero spesa, zero inquinamento, zero stress. Nel 2003 a Reggio Emilia è nato invece Bicibus, che coinvolge insegnanti, studenti e genitori in un progetto di mobilità sostenibile negli spostamenti casa-scuola. Una sorta di “autobus a due ruote” formato da un gruppo di scolari in bicicletta che raggiungono le classi accompagnati da genitori volontari, lungo percorsi prestabiliti e messi in sicurezza. Altra iniziativa di successo, replicata in numerosi Comuni con l’obiettivo di educare sin da piccoli al concetto di sostenibilità. Il tempo darà pian piano i suoi frutti: la prova del nove ce la dà Bolzano, dove oggi, dopo 15 anni e 20 milioni di euro investiti in ciclabilità, quelli che si muovono su due ruote sono di più rispetto a chi usa la macchina. Gli italiani, insomma, sono pronti ad abbandonare quella comodità un po' pigra e un po' dannosa dell’auto per riscoprire in bici uno stile di vita più sano e green friendly. I segnali ci sono tutti: Critical Mass è un raduno spontaneo di biciclette che, sfruttando la forza del numero (massa), invade le strade cittadine; se la massa è sufficiente (ovverosia critica), il traffico non ciclistico viene bloccato. Nata a San Francisco nel 1992, oggi è replicata in un numero crescente di città con l’obiettivo di sensibilizzare

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gli abitanti sui temi di ciclabilità, ambiente, rispetto della comunità ciclistica. A Milano, l’esigenza di combattere il traffico a suon di pedalate è così forte che sporadicamente compaiono piste ciclabili clandestine disegnate nella notte da anonimi cittadini - ormai stanchi di aspettare un piano di fattibilità per la costruzione di bike lane. E senza sconfinare in progetti non ufficiali, anche l’industria recepisce questo crescente bisogno e sposa progetti incentrati su una mobilità 2.0. Ducati è solo una delle tante industrie che attualmente studia soluzioni alternative come la Freeduck Wheel, una “ruota magica” da montare sulla propria “biga” che fornisce una pedalata assistita trasformando di fatto una bici normale in una elettrica. I segnali, appunto, ci sono tutti, ma la marcia in più per avvicinare le grandi metropoli italiane a paradisi verdi come Amsterdam e Copenaghen può arrivare solo da parte delle istituzioni. Di fatto, il bike sharing non ha senso se mancano le infrastrutture per sostenerlo. Chissà se a Roma prenderà piede il bellissimo progetto del GRAB (Grande Raccordo Anulare delle Biciclette), un tracciato di 45 chilometri che dovrebbe toccare i luoghi più significativi della Capitale, un vero e proprio viaggio su due ruote alla scoperta delle bellezze della Città Eterna. L’input per realizzare progetti simili e “copenaghenizzare” le nostre metropoli potrebbe arrivare proprio dalla capitale danese, dove ha sede, per l’appunto, Copenhagenize. Lo studio di design lavora infatti con città di tutto il mondo - da Amsterdam a New York, da Chicago a Buenos Aires - con l’obiettivo di renderle bike-friendly attraverso lo studio del design e della urbana, “copiando e incollando” il modello di Copenaghen. Il futuro è pianificazione green e lo raggiungeremo in bicicletta.


KULT IDEAS

Visionary ideas common people for

Invenzioni geniali che vi faranno dire Sì, LO VOGLIO! testo di Giulia Lenzi

THE OCEAN CLEANUP PROJECT Lo 'spazzino' dei mari che sfrutta le correnti oceaniche Secondo alcune ricerche, 5 miliardi di pezzi di plastica galleggiano in mare in questo momento. Molti di questi vengono ingeriti da pesci e organismi marini che, col tempo, finiscono sui nostri piatti, con il risultato che l’uomo assorbe tutte le sostanze contaminanti contenute nei loro stomaci. La soluzione a questo dilagante problema potrebbe essere già realtà grazie a Boyan Slat, giovanissimo ingegnere di origine olandese fondatore del progetto Ocean Cleanup. Sfruttando l’azione delle correnti oceaniche, Boyan ha ideato barriere galleggianti a forma di boomerang da collocare nelle cinque aree più critiche a livello di inquinamento marino, a partire dalla Great Pacific garbage patch.

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Così facendo, le barriere riuscirebbero a raccogliere la plastica proprio là dove è maggiormente concentrata, mentre un apposito impianto collegato a esse triturerebbe i rifiuti prima di convogliarli in un container. Il progetto è a un passo dal diventare realtà: Boyan ha già raccolto fondi milionari grazie al crowdfunding e alla generosità di molti magnati sensibili al problema dell’inquinamento mentre molti test sono in fase avanzata. theoceancleanup.com


News

LE SNEAKERS IN 3D

LA TASTIERA CON I LEGO

Adidas lancia le scarpe del futuro

La keyboard Made in Taiwan Il 2018 sarà decisamente l’anno delle Futurecraft 4D, le futuristiche sneaker ideate da Adidas e progettate con una tecnologia esclusiva. Il loro segreto? La suola è realizzata con una stampante 3D tramite un processo denominato 4D Digital Light Synthesis, in grado di utilizzare lampi di luce e ossigeno per trasformare un materiale liquido in uno solido - in questo caso una particolare resina. Le scarpe del futuro offrono numerosissimi vantaggi, e non solo perché saranno l’accessorio più cool dell’anno. La stampa 3D da materiale liquido è infatti molto più veloce rispetto ai classici metodi di produzione e potenzialmente permetterà di creare suole “su misura” per ognuno di noi. Per il momento, Adidas ha prodotto esemplari standard basandosi sui dati forniti dagli atleti, ma la particolare tecnologia è già in grado di garantire il massimo in termini di controllo, ritorno di energia, ammonizzazione e stabilità durante la corsa. I primi esemplari dovrebbero arrivare sul mercato proprio quest’anno al prezzo di circa 400 dollari.

La tastiera del computer cambia in base al tuo umore. È l’idea più divertente nata in casa i-Rocks, l’azienda con base a Taiwan di cui forse avete sentito parlare per la commercializzazione di keyboard lavabili o retroilluminate. I progettatori erano alla ricerca di qualcosa che andasse altre al concetto di funzionalità per appagare anche gli occhi e lo spirito, per questo hanno dato vita a una tastiera compatibile… con il LEGO. Tutto si basa su particolari skin intercambiabili che possono assumere colori e temi sempre diversi, dal finto legno ai motivi tribali fino, appunto, a quella su cui montare i mattoncini più celebri al mondo. I temi sono i più diversi, dalla Formula 1 al giardinaggio e la spiaggia, e se mai dovessero annaiarvi, si può sempre cambiare… i-rocks.com

adidas.it/futurecraft

MESSI O RONALDO? La campagna che ripulisce Londra dall’inquinamento Il problema dell’inquinamento, a Londra, è preso molto sul serio: evidentemente la multa da 80 sterline prevista per chiunque getti rifiuti in strada non è stato un incentivo sufficiente a responsabilizzare gli abitanti della City, così la pulizia è stata semplicemente resa più divertente. Grazie alla campagna ideata da Hubbub nella capitale del Regno Unito sono comparse particolari installazioni gialle che invitano a votare il calciatore più forte del mondo: Messi o Ronaldo? Per esprimere la propria preferenza non c’è che da gettare gomme o mozziconi di sigaretta in uno dei due raccoglitori del pannello, e il gioco è fatto. Questo “eterno interrogativo” calcistico è solo uno dei tanti sondaggi comparsi sulle strade della metropoli, quasi tutti a tema sportivo e, a giudicare dal numero d sigarette raccolte, pare che la campagna abbia funzionato alla grande. hubbub.org.uk/neat-streets

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visionaries


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part one


FASHION

New street chic athleisure Al seguito vanta una super schiera di celebrity amiche che lo sostengono nell’era del boom della social reality. Giuliano Calza, il giovane designer napoletano di GCDS, è tra gli hot names dell’universo streetwear ed è pronto a svelare a Kult i suoi progetti futuri. Tra cui due special capsule collection e il primo store a Londra. testo di Anna Rita Russo

U

n’avventura creativa iniziata nel 2015 da Giuliano e Giordano Calza, due giovani talenti napoletani con un’energia coinvolgente e la voglia di introdurre nel sistema un qualcosa che avesse il profumo di Made in Italy, facendo convivere i valori di qualità, artigianalità e know how con un’estetica nuova, colorata e soprattutto social oriented. GCDS celebra così l’italianità con quel touch global che proviene da influence di culture diverse, un perfetto mix che consacra il brand

tra i più richiesti da chi ama mescolare lo street con i codici stilistici del fashion. Un successo sempre più in crescita che lo inserisce così tra gli hot names del panorama moda internazionale e lo vede protagonista di una fiaba contemporanea fatta di passione, entusiasmo e determinazione. GCDS ha debuttato a Milano solo un anno fa e già vanta di aver solcato le passerelle di New York Fashion Week con uno show very strong, che ha avuto come protagonista l’esplosiva Teyana Taylor, l’artista americana da 5 milioni di follower su Instagram e star del video “Fade” di Kanye West. E

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mentre nell’ultima settimana della moda milanese maschile ha trionfato con una mega produzione e una collezione che si preannuncia tra le più super glam della prossima stagione FW, spicca l’ambizione di aprire, a breve, il primissimo store a Londra. Un affascinante mondo che Giuliano Calza, creative director del brand, prima non osava neanche immaginare. A Kult racconta le sensazioni di un intenso percorso ricco di tante soddisfazioni che l’ha portato da subito a essere desiderato da una young community appassionata a uno stile ironico con una particolare attitude allo sportswear.


Giuliano Calza (a destra) insieme a Teyana Taylor GCDS RTW SPRING 2018, NEW YORK

Interview


FASHION

Nato a Napoli e sbarcato a Milano e Shanghai... un miscuglio di culture diverse che convivono nel DNA di GCDS. Come sei arrivato a fare moda? Non sono mai stato attratto dalla matematica o le regole, fin da piccolo mi hanno detto di avere un’intelligenza creativa, non seguivo mai un compito secondo le regole. Ho frequentato l’Accademia d’arte e la scuola americana, poi avrei voluto fare architettura o moda, ma mio padre (intelligentemente) mi mandò in Cina per imparare la lingua della terra delle produzioni di moda. Insomma, sarei entrato all’interno del fashion system dalla porta di servizio. Dopo il college in Cina e la laurea in Bocconi, sentivo di aver definito tutte le competenze artistiche, emotive e manageriali che mi hanno poi portato ad approdare a GCDS.

GCDS è un brand social oriented, con un’estetica all’avanguardia ma che conserva i valori del Made in Italy di artigianalità e qualità. Come ci riesci? Vivo ancora in una variopinta bolla anni ‘90, dando un’aggiunta con delle scelte di produzione e stilistiche che forse nello streetwear vengono intraprese per la prima volta, creando anche articoli che non sembrano appartenere a questo grandissimo patrimonio iconografico che abbiamo ereditato dagli anni ‘80, e io in particolare dai miei cugini americani. Il mio percorso influisce tanto, la mia istruzione è prevalentemente italiana, dandomi la sicurezza che Italians do it best. Volevo fare qualcosa di Made in Italy ma con uno spirito global, proprio come mi sento: raccontare durante il college a un compagno di classe coreano che il cachemire italiano non invecchia mai e vederlo stupito. Basta sapere comunicare e avere un’idea che possa funzionare. Parliamo della campagna SS 18 scattata e diretta dalla fotografa e regista inglese Nadia Lee Cohen con protagonista Pamela Anderson... Un’esplosione di immagini sexy e glamour. Lavorare con Nadia Lee Cohen è stato davvero molto interessante. Abbiamo entrambe più o meno la stessa età ma con diverse iconografie di riferimento.. unire queste due estetiche nella campagna ha dato vita a un’esperienza entusiasmante. L’idea era di fare un cult, rendendo glamour gli outsider. Pamela non ha confermato fino all’ultimo minuto, ma io volevo aspettare a tutti i costi. Averla in un cameo nella nuova campagna lo consideravo un momento iconico sia per me che per chi come me è cresciuto negli anni ‘90.

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Interview

Interview

Hai avuto l’onore di sfilare sulle passerelle della New York Fashion Week dove hai presentato la capsule collection per la PE 2018 in collaborazione con Australian, il marchio con l’iconico canguro. Essere invitato dalla New York Fashion Week è stato un bel sogno. L’idea del co-branding con Australian era quella di presentare una capsule con un marchio Made in Italy che negli anni ‘90 era considerato iconico.

Italia, America, Cina per creare, sfilare o vivere? Creare ovunque, anche in attesa di un volo. Sfilare a casa in Italia. Vivere… ho vissuto per un periodo prolungato all’estero ma dopo 3 anni scatta un orologio e senti il bisogno di tornare al proprio Paese. Mi piacerebbe stare 6 mesi in California e 6 mesi in Italia, magari quelli estivi.

Tre keywords per descrivere GCDS? Indipendente, ironico, reale.

GCDS SS 2018

GCDS è acronimo di “God Can’t Destroy Streetwear”. Quale la filosofia comunicativa alla base? Ridefinito nel tempo in qualsiasi modo GOD CAN’T DESTROY SEX, Giuliano Calza design studio. Realmente era creare uno streetwear innovativo, che non avesse paura di raccontare una storia, che non risultasse tone deaf a un pubblico cambiato, che non rispecchia più quello tradizionale dello scenario fashion.


FASHION

Oggi upcoming brand sognano di entrare nell’orbita dei colossi del lusso. Tu invece cosa ti auguri? Sono terrorizzato, sento parlare solo di fondi d’affari e di come allarghino i margini per restringere la qualità. Auspico invece di ingrandire questo progetto, continuando ad assumere giovani e a seguire il mio intuito, che spesso mi ha portato a decisioni coraggiose. Ho imparato, inoltre, che con un approccio felice e di soddisfazione dell’intera azienda, funziona e si cresce rapidamente. Credo quello che renda GCDS un cavallo in corsa sia essere un brand che approda nello streetwear di lusso, ma senza troppe regole da seguire, sciolto da grandi gruppi o società che dettano percorsi, margini e obbiettivi. Stiamo scrivendo il nostro percorso per dirigerlo verso una nuova direzione.

GCDS è amatissimo dagli instagrammers... Quali sono le celebrity affezionate al brand? Social-oriented è una peculiarità della mia generazione, e ci sono nato dentro. Chiara Ferragni, una mia cara amica da molti anni, è stata una delle prime star social a indossare la felpa logo, una madrina con un buon karma. Sono più amici che celebrity per me, come Dua Lipa, Bella Hadid, Paul Klein dei Lany, Vittoria Ceretti, Gilda Ambrosio, Slick Woods e tanti altri che mi hanno sostenuto da sempre.

Con quale designer ti piacerebbe collaborare? Vorrei andare a scuola da Miuccia Prada per prendere ripetizioni di accessori, da Remo Ruffini per capire la formula dei prodotti immortali. Invece a Miami ho conosciuto Louboutin e con poche parole mi ha aperto un mondo. Nella collezione per la prossima primavera estate 2018 il logo campeggia dappertutto... negli ultimi tempi nella moda c’è un ritorno ai nostalgici anni 90... e del logo pare non si possa proprio fare a meno. Retrogusto estetico? Il 23, i Chicago Bulls, JORDAN, le Coq Sportif, Nike, KANGOO Andy Warhol, il Wu-Tang Clan, Kris Kross, la nascita Supreme quando avevo solo 7 anni, il sogno americano: sono solo alcuni dei riferimenti che hanno dettato i miei binari stilistici fondendosi all’immaginario manga e cartoon che sembra essere percepito così forte in GCDS. GCDS nasce con una forte estetica anni ‘90, sia per le grafiche eccessive, i materiali e i volumi che per l’immaginario KULT di quegli anni. Commercialmente, ad oggi, penso sia l’unico modo che i brand abbiano per giustificare il prezzo retail ai propri clienti, diventare sinonimo di una garanzia di manifattura attraverso un logo, perché il design viene replicato a prezzi inesistenti.

C’è uno stilista o artista che ti ispira? Sono un grande appassionato di arte moderna, Eddie Kang, Cao Fei, Takashi Murakami sono tra i miei preferiti. Damien Hirst e James Sutton rappresentano gli artisti che trovo più geniali. Resto molto colpito da chi riesce a fare dell’arte un concetto moderno, così come i grandi del passato Dalí, Picasso o Warhol. Un vero e proprio ecosistema dove far vivere le opere d’arte. Tre locali cool dove trascorrere un one-night-party? Il Bar Rouge di Shanghai, il DC-10 a Ibiza ma il migliore tra tutti è sicuramente la taverna della Soho Farmhouse in UK.

Lo streetwear sta avendo un grande successo nel fashion system... perché? È il giro di boa di quelli come me nati nei primi anni ‘90 o un po’ prima, la ciclicità di questo settore ha dato vita a pezzi iconici e reference che erano solo a un passo fuori dalla porta, diciamo che sono entrato in quell’età in cui tutto ciò che si vede in giro oggi, l’ho già vissuto una volta, anche se ho solo 28 anni. Basta guardare all’immaginario delle serie più popolari del momento. Ricordo l’arrivo delle prime Nike Foamposite a casa e il dolore nel non poter mettere quel 44, con il mio misero 37. Il crollo dell’industria musicale sta mitizzando ulteriormente momenti storico-culturali che fanno fatica a rinascere sotto nuovi aspetti.

Il moodboard della tua vita? Più che moodboard… una pelle di serpente, muta in maniera inaspettata ogni anno, lasciando poco di quello precedente. È stupendo per tutto ciò che si realizza, che prima non potevo neanche immaginare. What’s next? Il lancio di due capsule inaspettate. A lungo termine spero anche una linea di beauty e un nuovo store in Asia. Cosa ti renderebbe felice? Continuare a fare il mio lavoro in Italia e riuscire a sostenere un progetto giovane, in un Paese dove aiutare il prossimo è diventato un pensiero assurdo.

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GCDS SS 2018

Interview


English text

ART

Una risata vi seppellirĂ .

Expression in Eyes, 2013

Parola di Yue Min Jun 42


Portrait

È uno degli artisti più quotati e ricercati della nuova arte pop cinese. Il suo simbolo? Il volto dello stesso artista, ripetuto mille volte, che si abbandona a una fragorosa risata. Per prendersi gioco della società del selfie e dell’autoidolatria dei social network.

P

er tutti è The Laughing Man, “l’uomo che ride”. Si chiama Yue Min Jun, ha 55 anni ed è considerato uno degli artisti più influenti e quotati dell’arte cinese contemporanea. Mostre nei musei, in Biennali, in fondazioni prestigiose come la Fondation Cartier a Parigi lo hanno consacrato, in questi ultimi anni, come uno degli artisti più rappresentativi del “nuovo corso artistico” cinese. Non solo: anche come un formidabile precursore, un visionario che ha anticipato alcune caratteristiche tipiche della società contemporanea, che venticinque fa, quando lui non era che un giovane artista squattrinato che sognava di sfondare e farsi conoscere fuori dalla Cina, ancora non era possibile prevedere. Prima fra tutte, l’ideologia del selfie e dell’auto-idolatria che vede oggi nei profili Facebook e Instagram di ciascuno, con la celebrazione di ogni minimo aspetto della propria vita quotidiana, il simbolo perfetto della società “egolatrica” (ovvero votata al culto e all’idolatria di se stessi) esplosa in questi ultimi decenni, studiata da filosofi, sociologi e pensatori come una delle caratteristiche più sorprendenti e attuali della contemporaneità. I quadri di Yue Min Jun rappresentano infatti sempre e solo il medesimo soggetto, ritratto in mille situazioni differenti: lo stesso artista, ripetuto, moltiplicato, serializzato all’infinito - quasi si trattasse dell’ultimo, folle “prodotto” della società dei consumi - che si lascia andare a una folle, liberatoria, esplosiva risata.

L’artista Yue Min Jun

testo di Alessandro Riva progetto artistico di Yue Min Jun

Le situazioni in cui l’artista è immerso cambiano però, di volta in volta. Così, è possibile vederlo nei panni di un gruppo di uomini che stanno per essere fucilati (come sempre sghignazzanti, benché si trovino di fronte il plotone d’esecuzione): scena che ricorda da vicino quella del celebre quadro di Goya 3 maggio 1808, nel quale era rappresentato un gruppo di patrioti spagnoli fucilati dalle truppe napoleoniche, trasportata però ai giorni nostri: con lo sfondo del Mausoleo di Mao in piazza Tienanmen a Pechino, che fa immediatamente venire alla mente la celebre rivolta degli studenti cinesi del 1989. O ancora, eccolo, sempre ridente, nei panni di un soldato, di un centauro, di un migrante in balia dei marosi, di una ballerina, di un imperatore cinese, di un dinosauro alla Jurassic Park, di Topolino; o, ancora, assieme ai protagonisti di celebri quadri del passato, come nel ritratto di Federico da Montefeltro di Piero della Francesca, o nei panni dell’infanta Margarita dipinta da Velázquez. Un modo come l’altro per dire che nella società di oggi l’egolatria si nasconde ovunque, ha aspetti sempre differenti ed è in agguato in ogni anfratto della quotidianità, dell’arte e della cultura. Ma anche che di questa nuova egolatria diffusa ovunque, oggi, è possibile fregarsene: o meglio, riderci sopra. Anzi, spanciarsi letteralmente dalle risate: perché i nuovi idoli che contano milioni di follower, lanciati dai profili social e dai canali youtube, nascondono spesso un grande vuoto culturale, una totale mancanza di idee, di gusto, di cose da dire.

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ART Anche se il percorso di Yue Min Jun non è costellato solo di “uomini che ridono”, come testimonia l’ultima mostra antologica tenuta, in Cina, allo Hubei Museum of Arts di Wuhan: ma di molti altri “giochi” pittorici che creano nello spettatore un senso di spaesamento e di sorpresa. Ma com’è nata l’idea di rappresentare il proprio volto sghignazzante, ripetuto ossessivamente in ogni posa e in ogni situazione? Correvano gli anni Novanta, la Cina stava già percorrendo a grandi passi la sua folle cavalcata nel mercato capitalista per diventare uno dei Paesi più sviluppati e industrializzati del pianeta (già nel decennio precedente l’allora presidente Deng Xiaoping aveva esortato le masse a inseguire il fascino del denaro con il famoso slogan: “Compagni, arricchitevi!”), e un’altra sirena inesorabile, quella del consumismo, dello spettacolo e della cultura pop, stava conquistando il Paese del dragone.

«Viviamo in un mondo pieno di idoli, gli idoli sono ovunque», dice Yue Min Jun. «Mao, Lei Feng (celebre figura di soldato maoista, icona della Rivoluzione cinese), ma anche Michael Jackson, Marilyn Monroe, Stalin, Picasso... Gli idoli rimangono nel cuore della gente, influenzano la nostra vita e i nostri comportamenti. A un tratto, però, mi sono accorto che questi idoli avevano tutti una cosa in comune: il fatto di usare la propria immagine per diffondere il loro messaggio. Così mi sono deciso a fare anch’io la stessa cosa, prendendo esempio da loro: ho voluto ripetere ossessivamente l’immagine del mio volto per trasformarmi anch’io in un idolo contemporaneo».

Untitled, 1994

The Throne, 2015

Singolare, ma solo a prima vista, che un approccio del genere, iper-pop, e fortemente anticipatore della nuova “società del selfie”, dove ognuno di noi è, pian piano, divenuto il protagonista del proprio spettacolo quotidiano attraverso l’uso massiccio di internet e dei social network, sia partito da un artista cinese, cresciuto in una società che, per la sua conformazione politico-economica, fino agli Novanta era rimasta indietro rispetto al mondo occidentale nella massificazione dell’ideologia spettacolare attraverso la tivù prima, e la rete telematica dopo. Ma questo è un paradosso solo apparente: proprio nella Cina post-maoista, infatti, gli artisti più arguti e attenti ai cambiamenti sociali in atto hanno potuto vedere di persona e riflettere sullo strano fenomeno che si stava verificando nel mondo contemporaneo: solo qui, infatti, dove il culto della personalità e l’idolatria degli “idoli politici” (il Presidente Mao, gli eroi della Rivoluzione come Lei Feng) cedeva gradatamente il posto anche ad altre icone mediatiche (cantanti, attori, artisti, presentatori della televisione), mescolandosi con quelle senza apparente discontinuità, era possibile vedere con maggiore lucidità l’enormità del cambiamento cui tutti noi stavamo assistendo e partecipando di persona. Non aveva più importanza, infatti, di che messaggi fosse portatore il personaggio di volta in volta scelto come nuovo idolo di massa: l’importante era, ed è, che la gente vi si affezioni, che diventi una “celebrity” del nuovo consumismo pop. Un’idolatria diffusa, che non risparmia niente e nessuno, e che mette tutto e tutti sullo stresso piano: leader politici e cantanti, eroi della rivoluzione e starlettes del cinema, politici e attori.

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Portrait

E poi, gente qualsiasi, ragazzi e ragazze, studenti, lavoratori qualsiasi, improvvisamente divenuti essi stessi gli idoli della propria commedia quotidiana, da immortalare giorno per giorno, ora per ora, dagli schermi dei social per i propri “amici” e follower. Protagonisti di un’idolatria priva di contenuti, senza nient’altro che volti e corpi da adorare e da replicare su mille schermi in ogni luogo e in ogni momento della giornata. Da lì è venuta l’idea successiva dell’artista: rappresentare sempre e solo se stesso, ma nel mezzo di un’immensa, liberatoria risata. «Gli idoli tradizionali rischiavano di diventare molto noiosi nella società di oggi», sostiene l’artista.

«Ogni volta che pensavo ai cosiddetti idoli, mi facevano solo morire di noia, e pensavo che le nostre vite erano condizionate da idoli che alla fine stavano diventando insipidi e noiosi. Così mi sono detto: forse dovrei criticare gli idoli e affrontarli con una risata fragorosa. Il mio refrain è semplicemente quello di profanare e irridere le icone con altre icone, per rendere questa società un po’ più varia e interessante».

On the Rostrum of Tiananmen, 1992

Yue Min Jun ha còlto prima degli altri questo cambiamento: ha capito, in anticipo sui tempi, che la società post-ideologica orientale e quella spettacolare-mercantile occidentale si stavano fondendo in un’altra super-società, che stava facendo del culto dell’“io” e dell’individualismo narcisista la propria religione. La pratica del “selfie” era ancora di là da venire, eppure Yue Min Jun già presentiva che era nell’idolatria dell’ego, o egolatria, che poteva definirsi la nuova società trasversale, post-ideologica e post-capitalista globalizzata. Ecco, dunque, l’origine del Laughing Man: la sostituzione, come dice l’artista, «di un idolo con un altro idolo». Ma questa volta si tratta di un idolo sarcastico, sfrenato, libero dalle regole sociali e dai diktat del politically correct. Un idolo che, come il Dioniso dei greci, il Dio dell’ebbrezza, ilare e furioso, abbatte gli steccati della correttezza sociale e si lascia andare a una fragorosa, inebriante risata che tutto comprende e tutto irride. È il paradosso del contemporaneo: noi stessi, il nostro io frantumato, dissezionato, nevrotico, è finalmente diventato l’idolo stesso che ognuno di noi può, narcisisticamente, glorificare, ma può farso solo a patto di riderci sopra, di demistificarlo, di irriderlo.

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DESIGN

Manifesto Salone Scoprire, seguire, valorizzare e offrire concrete possibilità ai giovani designer under 35 è l’obiettivo che, per primo, si è posto il Salone Satellite. Marva Griffin Courtesy of Salone Del Mobile Milano

Alla vigilia della nuova edizione, la manifestazione riconferma questa sua vocazione e il desiderio di avviare conversazioni, riflessioni e indagini sul futuro del design.

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Portrait

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50 saranno i protagonisti distribuiti su 2.800 metri quadri nei padiglioni 13-15 del quartiere Fiera Milano a Rho con ingresso libero al pubblico da Cargo 4. Quest’anno il tema, assegnato ai talenti selezionati è “Africa / America Latina: Rising Design - Design Emergente”. Il SaloneSatellite accende, così, i riflettori sul Sud del Mondo: Africa e America Latina sono due vastissimi bacini di creatività e design. Ne nascerà un viaggio che cambierà la nostra percezione e visione della progettazione e di cui darà testimonianza una mostra curata, per l’America Latina, dai fratelli Campana, Humberto e Fernando, progettisti da tempo attivi nel recupero sociale degli emarginati, e, per l’Africa, dal designer franco-marocchino Hicham Lahlou, fondatore dell’Africa Design Award & Days, impegnato nella promozione delle nuove generazioni di creativi africani. L’intento è portare alla ribalta il design di derivazione vernacolare e segnalare cosa si propone oggi, o si potrà proporre entro breve tempo, per la soluzione delle emergenze sociali e ambientali e per un futuro abitare consapevole. A loro volta, i giovani protagonisti del SaloneSatellite, provenienti da tutto il mondo, saranno chiamati a presentare lavori che indaghino il rapporto tra heritage e contemporaneità, progetti in bilico tra nuove tecnologie e artigianato. Sopra e sotto,

Salone Satellite Milano

Un percorso tra sperimentazione, memoria, slow design, natura e forza della materia, antropomorfismo, riciclo creativo, contaminazioni e digital effect che riuscirà a stupire e a far riflettere. Come sempre un Comitato di Selezione, composto da personalità di rilievo internazionale nel mondo del design, della progettazione e della comunicazione – Maurizio Riva, CEO Riva1920; Roberto Minotti, CO-CEO Minotti; Gianluca Gessi, Presidente Gessi; Riccardo Bello Dias, Architetto; Stefan Scholten, Designer; Stefano Giovannoni, Designer; Porzia Bergamasco, giornalista; Suzanne Schwarz, Caporedattore Spectrooms; Luciana Cuomo, redattore DDN; Patrizia Malfatti, Responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa Salone del Mobile Milano - e presieduto da Marva Griffin Wilshire, Fondatore e curatore del SaloneSatellite, ha visionato le proposte di tanti designer che vanno ad affiancarsi a quelle dei designer che hanno già partecipato a edizioni passate (3 è il limite massimo di partecipazione).

«La selezione come sempre è molto competitiva, per mantenere integra l’alta reputazione del SaloneSatellite, che “laurea” giovani promettenti, destinati al mercato e al design star system.» Marva Griffin

«Il Salone del Mobile alleva da oltre vent’anni i giovani creativi al SaloneSatellite, una palestra in cui talenti di tutto il mondo arrivano a presentare le proprie creazioni, i prototipi di quello che potrebbe essere la chiave d’accesso al design. E, spesso, ci riescono: trovano qui le imprese giuste per realizzare i loro progetti creativi; dall’altra parte, le imprese trovano in loro la linfa vitale per rinnovare il design dei propri prodotti. Perché è al Salone del Mobile che domanda e offerta si incontrano in un’ottica di interscambio commerciale, creativo e culturale. Milano, con le sue scuole di design e università, è anche un importante polo formativo internazionale. I giovani studiano a Milano perché qui trovano alcune tra le migliori università del mondo, siano esse pubbliche o private. Arrivano da tutta Italia e da tutto il mondo perché Milano è una piattaforma formativa capace di creare sapere da esportare. Quando questi giovani tornano nel Paese di origine o si sparpagliano nel mondo, portano con sé le basi culturali, i modi e gli stili che hanno imparato a Milano. Milano è un modo di essere: laborioso, concreto, sincero, dinamico.»

M.T.

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English text

ART

L’uomo che pascolava le capre. Sul confine tra le due Coree

Crossing the 38th Parallel, 2017 Balle di fieno, Corea del Sud

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Interview

È tra i protagonisti del nuovo corso artistico cinese. I suoi progetti sono complessi e difficili da realizzare. Come fare sculture con gli scarti del denaro, unire Corea del nord e del sud attraverso il pascolo, o sposare una migrante, per darle diritti e doveri di un “vero” cittadino cinese

testo di Alessandro Riva progetto artistico di Ke Ming

F

isico asciutto, l’aria da ragazzo mai cresciuto malgrado abbia superato i 35 anni, occhi attenti e penetranti dietro a un paio di piccoli occhiali rotondi, idee chiare e una volontà di ferro. Si chiama Ke Ming, è un artista cinese che vive tra Pechino e Wuhan, capoluogo della provincia dello Hubei, una tra le prime città cinesi per numero di abitanti (oltre 10 milioni), numero di facoltà universitarie e musei d’arte contemporanea. La sua ricerca procede in maniera non lineare: per intuizioni, ragionamenti, attenti studi e indagini sul campo. Ogni progetto è a se stante, e procede per strade originali e autonome, spesso costringendo l’artista a trovare soluzioni non convenzionali per risolvere problemi pratici complessi. Qualche esempio? Cercare di convincere gli operai di una ditta che smaltisce

banconote fuori corso a vendergli gli scarti del procedimento con cui il denaro “scaduto” viene macerato. E ancora: trasportare letame di capra attraverso il blindatissimo confine che divide la Cina dalla Corea del Nord. Oppure: convincere pittori nordcoreani a dipingere in sua vece, con il tipico stile del realismo socialista ancora in auge in Nord Corea (ma non più in Cina), un grande quadro che rappresenta, per l’appunto, la Corea del Nord oggi. E, per l’ultimo progetto, trovare un museo cinese disposto a celebrare un vero matrimonio - con tanto di abiti, fiori, addobbi e ornamenti tipici della tradizione cinese -, tra lui e una rifugiata dell’Est europeo, in modo da darle i diritti e i doveri di tutti i cittadini cinesi. Ma andiamo con ordine, e cerchiamo di capire meglio perché questo artista ancora del tutto sconosciuto in Italia (terrà la sua prima personale nel nostro paese in primavera, alla Nuova

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Galleria Morone di Milano), che in Cina sta cominciando invece a farsi conoscere e apprezzare anche a livello nazionale (ha già avuto una importante personale al Wuhan United Art Museum lo scorso autunno, e fra qualche mese presenterà i suoi nuovi progetti al fabbrica 798 di Pechino) stia diventando uno dei giovani più promettenti del nuovo corso artistico cinese. Chi è, esattamente, Ke Ming? Un pittore? Uno scultore? Un artista che ama sfidare i luoghi comuni? Un provocatore? Un visionario che intuisce i trend del futuro? O, semplicemente, un artista d’avanguardia, che segue solo il suo istinto e la sua sensibilità per parlare del futuro del globo, ma anche del nostro presente? In questa intervista, l’artista si racconta, spiega come nascono i suoi lavori e spiega perché l’arte, se vuole, può ancora influire sui destini del mondo. Basta crederci. E soprattutto, basta volerlo.


ART ufficialmente non avrebbero potute essere vendute, tuttavia, nel momento in cui non avevano più corso legale ed erano già state distrutte, non erano neanche più sotto la supervisione della Banca. In fin dei conti, quei frammenti di banconote fuori corso che a me interessavano tanto, erano del tutto inutili per loro... Sta di fatto che sono rimasto nello stabilimento dove si smaltivano per un’intera settimana, entrando in confidenza con i responsabili dello smaltimento, chiacchierando con loro e offrendo loro da bere diverse volte. Alla fine, li ho convinti a vendermi i frammenti di banconote fuori corso e la cenere rimasta dopo che erano stati bruciati. C'è un vecchio proverbio in Cina che dice, più o meno, che il denaro smuove qualsiasi cosa. A quanto pare è vero ancora oggi!

The People’s Money, 2016

Un progetto che hai realizzato qualche anno fa riguardava il denaro. Ci spieghi in che cosa consisteva? The People’s Money (questo il titolo del progetto) è stato qualcosa di miracoloso per me e anche per l’arte contemporanea cinese; è successo davvero in Cina, oggi. È qualcosa che ha a che fare con la realtà, perché riflette lo stato attuale dello sviluppo sociale e il rapidissimo sviluppo economico avvenuto negli ultimi 30 anni in Cina, oltre a sollevare questioni più profonde. Una società in cui il denaro è l’unico modo per giudicare il valore delle cose e delle persone ha provocato effetti sociali distorti in Cina e nel carattere nazionale, portando alla perdita della cultura tradizionale. Inoltre, questo progetto mette a nudo gli strumenti del potere che si nascondono dietro il capitale. A causa del loro substrato ideologico e del valore che rappresentano, le banconote portano l’eco delle storie e delle emozioni degli innumerevoli cinesi che le hanno utilizzate, così come si portano dietro molti segreti che non possono essere raccontati. Non avevo programmato questo progetto artistico in anticipo, anche se nel 2004 avevo già realizzato un lavoro che usava il denaro come mezzo per discutere di questioni sociali. Com’è nata l'idea? È nato tutto il 12 novembre del 2015, quando mi sono imbattuto in una notizia su Tencent News (il colosso di Internet in Cina, ndr) che si intitolava: “La Banca Centrale Cinese brucia miliardi di banconote fuori corso". Questo mi ha fatto scattare una molla nella mia testa, e ha dato vita al progetto The People's Money. Dunque come si è sviluppato il progetto? Il processo di realizzazione pratica di The People's Money è stato tutt’altro che semplice. Ci sono voluti quasi due anni e una spesa complessiva di 60.000 euro per portarlo a termine. In sostanza, sono riuscito ad acquistare una grande quantità di sacchi di vecchie banconote andate al macero, che ho poi utilizzato per realizzare quadri e sculture. Mi spiace ma non posso essere più preciso sulle modalità di acquisto dei soldi: posso solo dire che non ho infranto la legge. La Cina è una società basata su scambi di favori, e c’è una certa casualità nel modo in cui certe cose vengono gestite. Sono andato a trovare i responsabili della distruzione delle banconote fuori corso, e ho spiegato loro che avevo bisogno di questi scarti per un progetto artistico. All’inizio pensavano che fossi pazzo, e hanno rifiutato di vendermi alcunché. La questione era complicata, e nessuno sapeva bene come affrontarla… le banconote, infatti,

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Hai anche battuto moneta col tuo nome. Come ti è venuta in mente questa idea, e perché l’hai fatto? Art for a Better Life: Coin è una delle mie opere concettuali. Credo che l’arte sia una delle cose più importanti per l’umanità. Senza di essa, non posso immaginare quanto sarebbe noioso il nostro mondo. Sono davvero orgoglioso di essere un artista! Molte persone non riescono a capire l’arte concettuale. Non riesce a coinvolgere davvero il pubblico, ed è particolarmente difficile da collezionare: per questo ho scolpito il mio slogan ideale, “Art Makes Life Better”, "L’arte rende la vita migliore", e sotto a questo ho inciso il mio profilo utilizzando metalli preziosi, come oro, argento e persino diamanti. A chiunque un lavoro del genere può piacere. E quando accetti una moneta, le idee che vi sono dietro vengono impiantate nella tua testa come nel trailer di un film!

«Questa intervista con Kult è per me la prima occasione di parlarne pubblicamente.» Di recente, sei andato in Corea del Nord per un nuovo progetto artistico. Ce ne puoi parlare? Questo è un lavoro che io considero molto romantico e commovente: un progetto nel quale un artista riesce a oltrepassare i confini e le barriere che dividono i paesi e le nazioni... Di fatto, il 38° parallelo (che rappresenta il confine tra le due Coree), un tempo assolutamente impossibile da attraversare, con questo progetto è diventato in qualche modo di nuovo percorribile. L’opera di per sé non ha un significato univoco, come può avvenire con un dipinto o una scultura. È, piuttosto, il riflesso delle azioni di un artista, e del suo desiderio di pace nel mondo, di integrazione e unificazione nazionale. Si tratta del futuro e del destino dell’essere umano. Volevo realizzare questo progetto, perché penso che il mondo dovrebbe considerare questioni quali la politica regionale, gli ostacoli culturali, la dittatura, la pace e l’assimilazione su scala globale, problemi che un giorno dovrebbero essere superati e risolti...


Interview

Perché hai scelto proprio la Corea del Nord? Quando ho partecipato al forum per la Pace e per la cultura della zona demilitarizzata (quella tra le due Coree, ndr), ho visto delle balle di paglia avvolte in plastica bianca vicino al 38° parallelo, e ho pensato che fosse un’immagine forte, e soprattutto che questa paglia dovesse appartenere all’intera Corea, e non essere controllata da una linea (il 38° parallelo): così ho deciso di portare la paglia sudcoreana in Corea del Nord, per nutrire il bestiame di là dal confine. Tutto ciò che accade in Corea del Nord è avvolto in un’aurea di mistero, e a me interessava approfondire l’argomento. È stato un istinto che qualsiasi buon artista avrebbe avuto.. Quindi come si è sviluppato il progetto in Corea del Nord? Oltre al trasporto della paglia dal sud al nord, e al ritorno delle feci delle capre al sud, ho voluto anche far realizzare un enorme dipinto a olio che raffigurasse la Corea del Nord oggi, che al momento è ancora in corso di realizzazione. Prima ho deciso la composizione, con gli edifici nordcoreani e i simboli del paese, poi ho incaricato dei pittori nordcoreani di dipingerlo nel loro paese. Il progetto sta andando avanti in fretta. Al momento, non è ancora stato pubblicizzato in Cina e neppure altrove, per evitare di aver problemi con le autorità nordcoreane. Questa intervista con Kult è per me la prima occasione di parlarne pubblicamente.

Per il prossimo progetto, hai deciso di sposare una rifugiata. Come ti è venuta l’idea e perché? Al momento, per questo progetto, sto cercando una rifugiata, che voglio sposare qui in Cina, con un matrimonio molto tradizionale. Nella mia testa, non li vedo come rifugiati: sono semplicemente nuovi migranti. Moltissime persone nel mondo oggi sono costrette a scappare dal loro paese, così si trasformano in migranti. D’altra parte, il progresso e lo sviluppo della civiltà umana si compiono proprio grazie a questo continuo movimento! La Cina si è mossa con grande cautela sul problema dei rifugiati e io, in quanto artista e cittadino cinese, ho intenzione di sposare una rifugiata straniera usando i mezzi legali e i miei diritti di cittadino. La trovo una cosa molto interessante. Naturalmente, ci sono un sacco di problemi da risolvere, burocratici, di studio delle varie leggi… ma io credo che la cosa si riuscirà a realizzare, e sono certo che il mio paese sarà molto accogliente con la mia “sposa”. Kult è un’influente rivista in Europa, e voglio approfittare di questa intervista per pubblicizzare questo progetto di proposta di matrimonio globale, in modo che più persone lo sappiano e siano disposti ad aiutarmi a realizzarlo. Dopo il matrimonio, io e la mia “sposa” manterremo una totale indipendenza emotiva e vivremo separatamente l’uno dall’altro.

“ Lo slogan che li lega tutti e tre potrebbe essere: “Art for a Better Life!”..

Tecnicamente, come si è sviluppato il tuo progetto in Corea del Nord? Crossing the 38th Parallel (è questo il titolo del progetto) è iniziato nell’ottobre 2016 ed è tutt’ora in corso. In sostanza, ho comprato della paglia proveniente dall’area del 38° parallelo in Corea del Sud, e, dopo averla trasportata attraverso la Cina (poiché il confine tra le due Coree è chiuso), l’ho portata in Corea del Nord, utilizzandola per nutrire il bestiame e le pecore al di là dal confine; infine, ho portato il letame delle pecore nutrite con quella paglia in Corea del Sud. In questo modo, ho riunito, seppure simbolicamente, le due Coree attraverso il processo agricolo, di pascolo e di alimentazione tradizionali. Per la maggior parte delle persone, la Corea del Nord è un paese misterioso; il mondo intero è curioso di sapere come si vive al di là del confine. Io ho visitato molti luoghi in Corea del Nord e ho incontrato diversi nordcoreani. Attraverso questi incontri, sono arrivato ad apprezzare la cultura e lo spirito di questo popolo. Per questo mi considero un uomo fortunato. Un progetto come questo è davvero molto stimolante per un artista…

Cosa unisce questi tre progetti così diversi tra loro? È molto difficile trovare una connessione tra questi lavori facilmente spiegabile: tutti e tre questi progetti sono legati ai miei sentimenti, alle mie idee e alle mie esperienze. Lo slogan che li lega tutti e tre potrebbe essere: “Art for a Better Life!”.

In questa pagina,

New Immigrant Project, 2017

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I suoi lavori toccano la sensibilità umana. James Mollison, autore del libro “Where Children Sleep”, racconta a Kult come è stato scattare Kanye West, il suo desiderio di fotografare Desmond Tutu e Iggy Pop, e quando ha ripreso l’esperienza di vivere in un campo di rifugiati per due settimane.

Le camere dei bambini. Una riflessione sulla disuguaglianza sociale English text PHOTOGRAPHY


Waled e Muhamed mentre tornano dal fronte con il loro pick–up , nei pressi di Ajdabiya, Libya

Libiyan Battle Trucks from Colors Transport

Ăˆ la mente geniale che sta dietro a Where Children Sleep: James Mollison, il fotografo, artista del team di Fabrica - il centro di ricerca del gruppo Benetton - che ha immortalato i bambini e le loro camere da letto in giro per il mondo per far riflettere sulla condizione umana e la disuguaglianza. Utilizza la macchina fotografica come strumento per sperimentare la vita e considera che ancora

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oggi la fotografia sia un mezzo in grado di produrre un’emozione indimenticabile. Nato in Kenya ma ha studiato in America, James mette al servizio la sua arte per porre attenzione su delicati temi come la discriminazione dei transessuali e la crisi dei rifugiati. A Kult ha parlato dei suoi lavori, del processo creativo e dei personaggi che sogna di scattare.

Interview


PHOTOGRAPHY Come è nata la passione per la fotografia? Durante i miei ultimi tre anni di scuola cazzeggiavo parecchio, la scena rave era in pieno auge e avevo appena terminato ottenuto il GCE (General Certificate of Education, ndr). In quel momento ero in difficoltà, così ho iniziato a lavorare, successivamente ho intrapreso un corso in Art Foundation a Oxford per andare poi a studiare fotografia documentaristica in Galles. Insomma potrei dire che è stato il fallimento accademico a condurmi verso il mondo creativo! Il tuo rapporto con la macchina fotografica? È come una chiave per sperimentare la vita.

Where Children Sleep

Kana, 15 photographed in Tokyo, Japan

I tuoi lavori sono stati pubblicati su importanti riviste internazionali, dal The Guardian al The New York Times… Con che genere di magazine ti piacerebbe collaborare? Qualsiasi rivista che approfondisca storie coinvolgenti, o che possa avere un interesse per la fotografia. L’esperienza che ho avuto con il magazine Colors è stata particolarmente affascinante in quanto avevamo la libertà di scegliere gli argomenti di cui trattare. Per Colors, ad esempio, sono andato in Libia a fotografare camion da combattimento artigianali per Transport Issue, poi un mercato Voodoo in Togo per Markets, fino a riprendere l’esperienza di vivere in un campo di rifugiati per due settimane.

Hai ricevuto anche importanti premi… La tua maggiore soddisfazione? Tutti i miei libri: è stato un incredibile privilegio poter entrare in stretto contatto con i nostri cugini animali per “James & Other Apes” - 50 ritratti di Scimpanzé, Gorilla, Orangutan e Bonobo. Per “The Memory of Pablo Escobar” ho conosciuto la famiglia di Escobar e i protagonisti della sua caduta al potere; per “The Disciples” - ritratti di fan musicali scattati fuori da 62 concerti - ho visto gli effetti che hanno le celebrità sul pubblico e l’esistenza della natura tribale nella società di oggi. Invece con “Where Children Sleep” - ritratti di bambini da tutto il mondo e delle loro camere da letto - ho visto l’enorme diversità della condizione umana. “Where children sleep” affronta un tema molto delicato, quello dell’infanzia. Mi ha colpito molto… Come si è sviluppato il processo di editing? L’idea era che ogni bambino dovesse essere visivamente coinvolgente, ognuno con storie differenti. Ho cercato di trovare bambini che vivevano sotto una diversa soglia di povertà e provenienti da varie aree geografiche. Il progetto mi è venuto in mente alcuni anni fa, quando stavo riflettendo riguardo all’idea di tutelare i diritti dei bambini, così mi sono ritrovato a pensare alla mia camera da letto. Pensavo a quanto quel luogo fosse significativo durante la mia infanzia e in che modo rispecchiasse ciò che ero. A quel punto ho riflettuto e sono giunto alla conclusione che un modo per affrontare tutte le situazioni complesse e le questioni sociali associate al mondo dei bimbi fosse proprio osservare le stanze dei bambini in svariate circostanze.

«La macchina fotografica? È come una chiave per sperimentare la vita.» In che modo descriveresti l’estetica dei tuoi lavori? Nel processo di creazione fotografica uso spesso l’"approccio tipologico" . Le immagini devono essere pulite, eleganti e provocatorie. A quale scenario sociale attuale dedicheresti un progetto? Mi piacerebbe fare qualcosa all’interno delle prigioni, ma non è facile accedervi e anche i prigionieri sarebbero troppo consapevoli della mia presenza. Ti ispiri a qualche altro artista in particolare? Amo molto il lavoro di Edward Burtynsky… le sue fotografie esplorano i segni dell’uomo sul paesaggio. Parlami del processo creativo e di come ti prepari a uno scatto. Quante volte è spontaneo? La maggior parte del mio lavoro nasconde dietro una vastità di idee e pensieri, quindi il tema è raramente spontaneo, però il momento concreto dello scatto viene fuori in modo naturale.

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Interview

Where Children Sleep


PHOTOGRAPHY

Il ruolo della fotografia oggi? Siamo sommersi dalle immagini, ma continuo a pensare che la fotografia abbia un ruolo importante per esplorare la vita degli altri o per emozionarci a livello estetico. Il personaggio più interessante che hai scattato e quello che vorresti scattare… Fotografare Kanye West è stato piuttosto strano, è una persona molto loquace anche se non sono riuscito a capire una parola di quello che diceva! Poi ho sempre voluto fotografare Desmond Tutu e Iggy Pop... Il tuo rapporto con la moda? Sono sempre stato un po’ diffidente nei confronti del fashion system, delle celebrità che ne fanno parte e di tutto ciò che ruota intorno al clamore dell’industria moda. Qualche anno fa mi è stato chiesto dal New York Magazine di lavorare durante la settimana della moda di Milano, New York e Parigi; è stato lì che ho visto l’incredibile arte degli abiti e la bellezza al centro di tutto.

The Memory of Pablo Escobar Dario Ramirez, Pablo Escobar’s Chef from Hacienda Naoples

Hai uno stilista preferito? Issey Miyake. Una volta mi ha invitato in Giappone, quindi diciamo che sono di parte! Un place to be? Puglia, Colombia o andare in campeggio in Africa Orientale. Se dovessi riassumere la tua vita con una canzone… quale sarebbe? Que Sera, Sera degli Sly and The Family Stone. Oggi il mondo della fotografia è super affollato! Che consiglio daresti a chi vuole fare il tuo mestiere? Senza dubbio la fortuna conta, ma sono convinto che più si lavora più la fortuna arriva! Progetti per il futuro? Sto ancora lavorando a “Where Children Sleep”, e sono sempre alla ricerca di bambini interessanti (potrebbe incuriosirmi anche una particolare camera da letto). Inoltre mi appassiono alle problematiche contemporanee come la crisi dei rifugiati, le discriminazioni nei confronti dei transessuali o l’anoressia. James Mollison ‘Decoy Duck Collection’ di Roberto Baggio per Christie’s Magazine

ARR

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Interview

Colors Markets Sedrak, 17 anni, al mercato dei feticci in Akodessewa, LomĂŠ, Togo


MUSIC

Sarà la Musica che gira intorno‌ quella che non ha paura Justine Timberlake

testo di Ciro Cacciola

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Portrait

3 astri nascenti & 1 vecchia volpe ovvero 4 nuovi Episodi Musicali. Visionari. Andanti. Con brio. H.E.R., Alice Merton, Purple Disco Machine… E Justin remix!

Ep.2 H.E.R.

V

oleva che la gente si innamorasse di L.E.I. solo ascoltando la sua musica. Rinunciando a “sapere” cose personali di L.E.I. Senza conoscere la sua vera identità. Senza poter giudicare la sua immagine. E così è stato. Ce l’ha fatta. Senza pubblicare sui social più del necessario, senza mettersi in pose per darsi in pasto agli eventuali follower. H.E.R. - al secolo Gabi Wilson, 21 anni, from California - è riuscita a entrare nel cuore di chi ha saputo ascoltare la sua

musica. Le sue canzoni, la sua voce, la sua scrittura ci hanno emozionato senza sapere nemmeno che faccia avesse. Le sue prime raccolte, H.E.R. Music Vol. 1 e Vol. 2, uscite a pochi mesi di distanza una dall’altra, riportano in copertina solo una formosa silhouette. Nelle rarissime foto che la ritraggono, ha sempre occhialoni enormi scuri e una mano davanti al viso. Nei videoclip delle sue canzoni non compare mai. «Voglio essere un supporto per tutte quelle giovani donne che si sentono sole nel portare avanti un progetto - ha dichiarato - voglio essere giudicata prima di tutto per quello che faccio, non per il mio aspetto o per la mia biografia.» Strategia di comunicazione? Può essere. Un po’ come quella messa in atto dal misterioso t-rapper napoletano Liberato che, tra un video e l’altro, ormai conta milioni di visualizzazioni. Sarà. Ma la sua musica parla davvero per L.E.I. in quel solco tracciato da regine della black music come Erykah Badu e Jill Scott. Che, neanche a dirlo, saranno sullo stesso palco con H.E.R. (e con Janet Jackson, The Roots, Mary J. Blige…) dal 5 all’8 luglio nella prossima edizione dell’Essence Festival a New Orleans. Un’esperienza afro americana che bisogna vivere almeno una volta nella vita. Il mistero sarà presto solo una metafora. A proposito: H.E.R. sta per Having Everything Revealed. Respect!

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MUSIC

Adolescente sui generis, andava pazza per la classica e per l’opera lirica. Poi si è invaghita dello stile compositivo di Brandon Flowers (The Killers, per intenderci), quindi ha scoperto Regina Spektor. Fino a trovare pace nelle tracce di un vecchio vinile anni ’80, Stereotomy, Alan Parsons Project. E come nel più eccitante dei cocktail del migliore bar di Vancouver, da questo mix di luoghi, incontri e ispirazioni, lontana da ogni tradizione o frequentazione parentale, più solitaria, forse ma più libera, ha messo fuori la “sua” musica. Intendiamoci, lei la musica l’ha studiata: pianoforte, clarinetto e canto, alla Popakademie Baden-Württemberg di Mannheim. Ma aveva bisogno di qualcuno che l’aiutasse a produrla. L’incontro con il suo Cappellaio Magico è avvenuto nel 2016 a Berlino. Con Nicholas Rebscher ha fondato la sua label, ha realizzato il suo primo EP e quel pezzo che ormai tutti abbiamo in testa, “No Roots”, con quelle meravigliose schitarrate elettriche, il beat elektro funk e la voce profonda e fiera alla London Grammar. A gennaio è stata premiata all’Eurosonic di Groningen (Olanda), il più longevo showcase festival d’Europa. Questa primavera arriva in Italia per un concerto. Ma solo uno, perché deve continuare a fare il suo giro del mondo. Occhioni aperti.

Alice Merton

A

lice è uno di quei nomi che vanno a braccetto con la musica. Beh sì, certo, anche con le favole. Ma noi qui siamo più concentrati sulla vita. Semplice, uguale a se stesso in tutte le lingue, no gender ante litteram: Alice Cooper è un maschietto, per esempio. Alice tout court, invece, quella di “Per Elisa”, è la signorina che, da sempre, ispira Franco Battiato. Quella che proviamo a raccontare qui è una dolcissima e giovane musicista senza radici, venuta alla luce a Francoforte sul Meno nel 1993 e, in men che non si dica, trasportata in Connecticut, Canada, poi Monaco di Baviera, Regno Unito, e ancora immancabilmente Parigi, New York… Difficile così capire davvero da che parte vuoi stare, vivere, affrontare seriamente, che so, l’amore. Così da piccolissima Alice si è creata il suo paese delle meraviglie, una patria prêt-à-porter che potesse seguirla ovunque: la Musica.

Ep.2


Portrait

Ep.3

iene dalla Germania, con un sound che non ti aspetteresti. Caldo, melodico, molto funk. A chi glielo fa notare replica che Giorgio Moroder si è “formato” a Monaco di Baviera, e che un bel po’ di “Disco” anni Settanta era proprio “tedesca di Germania”: Silver Convention, Baccara, Boney M. Si chiama Tino Piontek, ma per il suo progetto musicale ha scelto un marchio di fabbrica, Purple Disco Machine, giusto per evitare ogni dubbio. Jamiroquai si è fatto remixare, e l’ha scelto a supporto del suo ultimo tour in UK. Tantissimi sono gli artisti che gli hanno chiesto di metterci del suo nelle loro produzioni. Poi finalmente è arrivato il primo album, “Soulmatic”, tre anni di appassionato lavoro, nove magnifici featuring (Faithless e Cee Lo Green le ciliegine), e un singolo riempipista (“Body Funk”): una benedizione anche per chi sa aprire bene le orecchie. Un disco da ballare e ascoltare, solare, pieno di soul, e di rimandi, spesso espliciti, confessati perché adorati, a quel funky così 70/80 che ha trascorso ore e ore e ore ad ascoltare nel piccolo negozio di vinili in cui lavorava a Dresda per pochi spiccioli, solo per poter mettere le mani su quelle meraviglie “suonate” da gente come Chic, Prince (“Purple” è forse un omaggio al re di Minneapolis?), Skyy, Narada Michael Walden. Acclamato nei club più eleganti del globo, dal mitico Catch Beach di Phuket al District 8 di Dublino, promette di essere in giro questa estate anche in Italia. La sua musica visionaria è pura felicità. Non perdiamocela..

P

Justin Timberlake

Purple Disco Machine

V

Ep.4

rima o poi tocca un po’ a tutti i cantanti americani. Se riesci a scansare la maledizione dell’album di Natale, prima o poi ti becchi il virus della svolta country. La chiamano Sindrome di Dolly Parton (che non è una pecora 2.0, ragazzi, andate a sbirciare su Wiki) e non è troppo dissimile da quella di Stendhal. Così dopo Madonna (in uno dei suoi album più riusciti, “Music”), dopo Taylor Swift, dopo la stessa Lady Gaga in “Joanne”, quest’anno è la s/ volta del simpatico Justin. Sarà per dire al mondo “hey, sappiate che ho più stoffa dell’altro insopportabile imberbe Justin (Bieber, ndr)”, sarà per protesta contro le posizioni anticlimatiche e antibucoliche di Donald Trump, fatto sta che il trentasettenne cantante, attore e ballerino ex NSYNC che moonwalk come il mitico Michael Jackson offresi per questa estate come allegro boscaiolo. Il suo nuovo album, “Man of the Woods”, è una dedica sperticata alla vita salubre, ai principi del vecchio west, alla vita e all’amore nei campi. Senza rinunciare alle sonorità sempre un po’ “cool” di amichetti del calibro di Neptunes a.k.a Pharrell o Timbaland, danzando come in un musical cheek to cheek con la splendida Jessica Biel, sua moglie, questo western Justin ha il merito di metterci un po’ di sana allegria e di spezzare il ritmo monocorde, incessante, palestrato dei big del reggaeton a oltranza. Merci beaucoup

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English text

Guy Gerber

Guy Gerber

Music without compromise All’Armani/PrivĂŠ Club di Milano, a margine del suo live set, abbiamo incontrato il dj israeliano dal talento universalmente riconosciuto. Noto protagonista delle estati made in Ibiza con la sua serata Rumors, è un eclettico perfomer che ama confondere le aspettative. 62


Interview

P

rima di destreggiarsi tra drum machines e synths, Gerber, era affascinato dall’arte di gruppi musicali come Joy Division e My Bloody Valentine. Influenze che ancora oggi risuonano chiaramente nella sua musica, che si tratti di ipnotizzanti performance dal vivo o di produzioni contemplative. Con quattro album alle spalle, Gerber ha dimostrato di essere un artista singolare. Dal debutto con “Late Bloomers” nella leggendaria Cocoon di Sven Vath, al secondo “My Invisible Romance” nel 2009, per poi sovvertire il concetto di “mixtape” rilasciando due album composti da produzioni completamente originali inedite. “La notte ha un flusso tutto suo” afferma, mentre scalda i piatti per un nuovo progetto che vedrà la luce non prima della prossima estate.

Fare il dj è ancora uno dei mestieri più cool al mondo? La ragione per cui faccio questo lavoro sostanzialmente è contribuire a rendere le persone felici. Il tuo disco in collaborazione con Puff Daddy ha spiazzato sia i critici che i tuoi fedelissimi… Puff Daddy non viene percepito sempre come vero e proprio artista, piuttosto come un ricco ragazzo di colore che fa hip hop di successo. Per me, invece, è stato davvero interessante fare un disco con lui perché mi piace che nei miei lavori ci possano essere diversi piani di lettura e non soltanto il dritto e il rovescio della medaglia. Non amo la prevedibilità, al contrario preferisco non dare alle persone esattamente quello che si aspettano. E nel caso specifico di 11:11 Puff Daddy ha rappresentato l’elemento di disturbo prescelto per il mio pubblico. In che modo lavori per distinguerti nella scena elettronica contemporanea? Tutti oggi grazie alla tecnologia possono usare delle applicazioni per scoprire in tempo reale quali siano i pezzi che sto passando durante un set. E non c’è niente di artistico in tutto questo. Per rimanere unico non mi resta che cambiare costantemente, spiazzare gli altri e far sì che non possano mai imitarmi. Il cambiamento costante è l’unico modo che conosco per rimanere me stesso. Come sei riuscito ad emergere da un contesto musicale così povero di artisti elettronici di qualità come quello israeliano? Ho lavorato molto per arrivare a questo livello, ma mi ritengo fortunato. Chi nasce a Parigi è tenuto a confrontarsi con la French house, chi proviene dall’Italia si confronta con l’Italo Disco oppure con un’elettronica alla Marco Carola, chi nasce in Germania deve fare i conti con la techno. Il Paese da cui provengo, invece, non ha una storia musicale così forte quindi è stato semplice oltrepassarne i confini. Non avendo limiti di alcun tipo, né termini di paragone diretti, è stato facile fare la differenza.

testo di Marco Torcasio

Guy Gerber come guest star dell’Armani/Privé suona un po’ insolito… Credo ci sia qualcosa di profondamente rock and roll nel portare la musica dei club underground in contesti commerciali. È molto interessante poter osservare le reazioni delle persone che frequentano questi locali perché, pur non avendo né la conoscenza né la passione per una certa musica elettronica, nella maggior parte dei casi vengono colpiti da un effetto wow che li porta ad amare ciò che stanno ascoltando. A proposito di atteggiamenti rock’n’roll, alle origini della tua carriera c’è una grande passione per My Bloody Valentine e Joy Division. Cosa rimane di quelle band? Il sound di queste band era molto ruvido, con testi di una notevole profondità. Dal vivo la loro estetica è stata identitaria al massimo. Quel tipo di vibrazioni credo si siano evolute nel tempo, cioè siamo passati dai Nirvana ai Daft Punk. Oggi credo i prosecutori di questo spirito siano band come The XX, Ariel Pink, Real Estate, e devo ammettere di amare molto anche la nuova Lana Del Rey, il suo ultimo album è splendido. Tuttavia tra un concerto rock e una serata elettronica credo ci siano grosse differenze. In un club, ad esempio, non mantieni un livello di concentrazione costante, pensi a divertirti e a perdere il controllo. Ad un live invece l’energia che si propaga è differente, conoscere i testi delle canzoni che si stanno ascoltando permette di identificarsi in essi.

Prima di ogni grande dj c’è sempre un grande party boy. Che rapporto hai con la nightlife? Preferisco definirmi un “music boy”. Ciò che ho trovato davvero affascinante quando mi sono avvicinato al mondo della notte è stata la natura degli after party. Mentre alla festa ufficiale, chiamiamola così, c’è la star di turno e dall’altra parte il suo pubblico, all’after party tutti sono sullo stesso livello e si divertono insieme. Oggi le cose sono cambiate perché gli after sono diventati dei veri e propri eventi a sé stanti, con djs ad hoc eccetera. Niente di incredibile come in passato.

Credi che Ibiza sia ancora il posto migliore in cui suonare per un dj? In generale sì. Ma, essendo una località ad alta densità turistica, molte persone che si ritrovano alle feste non sanno neppure cosa stanno ascoltando. Ibiza è cambiata, non è più la stessa di qualche anno fa, prevalgono logiche di business anche nel mercato del divertimento. Continuerò ad amarla per sempre credo, ma negli ultimi anni non sento più le vibrazioni di un tempo. Dove ti troveremo in estate? Suonerò per diversi party a Ibiza e Mykonos. Ad aprile uscirà il mio nuovo disco, quindi sicuramente tornerò sia a Parigi che a Milano. Sto lavorando a un progetto completamente inedito, spero potrò comunicarne al pubblico i contenuti al più presto. Guy Gerber’s latest EP "What To Do’" is out from 3rd March

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TECH

An easy world

L

a sua start up è diventata un’azienda in cui lavorano quotidianamente ragazzi con passione, entusiasmo e determinazione. Il fondatore, la mente imprenditoriale, nonché geniale, dietro a questo più che soddisfacente successo si chiama Pier Mattia Avesani. Un simpatico veronese di 32 anni, laureato in informatica multimediale che già da giovanissimo bazzicava con computer e grafica. Nel 2010 ha messo in piedi un’idea di business vincente che l’ha portato alla creazione di Uqido, il suo prezioso gioiellino che dà vita a prodotti innovativi, con un unico obiettivo: migliorare la vita delle persone e delle aziende. «Rendere la complessità semplice», afferma Pier Mattia. E lui ci è riuscito appieno. L’invio di un sms ti permette di evitare i tempi di attesa alla posta o in ospedale, mentre puoi vivere l’emozione di esplorare un mondo diverso con la realtà virtuale. In sostanza, tecnologie esclusive e all’avanguardia che ti proiettano in un futuro che non avresti mai osato immaginare. Grazie a una piacevole chiacchierata abbiamo avuto modo di aprire la mente verso nuovi, e per molti versi, incogniti orizzonti. Pier Mattia Avesani Cofondatore e Genaral Manager di Uqido

Gli occhi al centro del mondo virtuale. Il primo summit a Venezia e un Academy sull’immersive computing. Il desiderio di rendere la vita sicuramente più facile e divertente. Dietro tutto ciò c’è il giovane veronese Pier Mattia Avesani, cofondatore e General Manager di Uqido, oggi una vera realtà imprenditoriale. Da una start up fatta di giovani ragazzi a una vera e propria azienda imprenditoriale. Raccontaci il percorso. Il progetto è nato nel 2010 da un’idea con un amico, Alberto Silletti, considerando la parte di ingegneria del software. Nel mondo esistono tante questioni e complessità che si possono gestire autonomamente attraverso un software… quindi abbiamo pensato: perché non rendere più semplice queste complessità? Siamo partiti dalla gestione delle liste d’attesa brevettando un algoritmo, per prevedere i tempi di attesa in coda, all’interno delle poste o di ospedali. Si tratta di un sistema molto complesso che permette di capire

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quanti sportelli sono aperti, il tempo metereologico che influenza la quantità di attesa, insomma tante variabili, un mondo pieno di dati che siamo riusciti a semplificare con un’app e un sms che comunica l’orario esatto del proprio turno. Ad oggi l’abbiamo venduta a una cinquantina di ospedali e l’hanno usata 650mila persone. Insomma, tante ore impiegate in attività più produttive piuttosto che spenderle rimanendo seduti su una sedia ad aspettare. Questo è stato il primo prodotto rilasciato, attualmente posso contare su una ventina di ragazzi che lavorano con passione e sviluppano software per commissione di aziende.


Interview Quali sono le linee guida della filosofia alla base di Uqido? Il focus dell’azienda è rendere la complessità semplice. Lavoro quotidianamente a contatto con giovani laureati in materie tecniche, fisica, matematica, ingegneria. Per noi resta fondamentale il team, le risorse, perché è questo che fa la differenza. Ragazzi entusiasti che dedicano il loro tempo per sviluppare un prodotto software che possa essere facile da usare, innovativo e funzionale. La tua più grande soddisfazione? Vedere l’azienda che diventa autonoma, che non ha più bisogno delle mie spinte motivazionali e di una direzione, in quanto ho la fortuna di avere un team che ama ciò che fa e ci tiene alla riuscita e alla qualità dell’azienda per cui lavora. Adesso sono i clienti che ci cercano. Inoltre è appagante vedere anche quando un cliente si emoziona con un nostro prodotto. Invece la più grande difficoltà? Non ricevere un feedback reale dalle persone. In generale all’inizio quando parli di un progetto che hai in mente, chiedi opinioni e molti reagiscono positivamente incoraggiandoti, ma poi ti rendi conto che il mercato reale ti dà una risposta diversa. Tutti noi saremmo più veloci nel realizzare concretamente un’idea di business se la gente ti desse onestamente anche i feedback negativi. A metà marzo ci sarà a Venezia l’EICS, primo summit sulla tecnologia immersiva organizzato in Italia da Uqido. Quali i punti chiave? Sarà un summit sull’immersive computing, quell’insieme di tecnologie che include la realtà virtuale, aumentata, immersiva e mista. Comprenderà due giorni di conferenza sullo stato dell’arte di queste tecnologie nell’ambito di 4 settori: ARTE & ARCHITETTURA, INTRATTENIMENTO, INDUSTRY 4.0, HEALTHCARE, quest’ultima racchiude progetti in relazione con il mondo della sanità. Ci saranno i maggiori esperti mondiali del settore, 16 speaker che affronteranno i temi e provenienti direttamente dalla Silicon Valley, da Luca Prasso di Google a Ethan Shaftel appena premiato al Tribeca Film Festival. Tra i partner ci sarà anche Fondazione Milc con un progetto VR in ambito Healthcare. Mentre l’ EICS Startups sarà dedicato a 5 startups che avranno la possibilità di esporre e raccontare il loro progetto a diversi investitori coinvolti. Organizzeremo invece la prima ” lobby” di esperti di tecnologie immersive con l’EICS Club. Ci aspettiamo sicuramente un buon numero di partecipanti da tutta Europa. Da cosa nasce l’idea di realizzare un Academy di specializzazione in Immersive Computing? È una novità assoluta nel settore, non esiste tutt’ora un percorso di formazione ad un così alto livello sul mercato. L’Academy, che lanceremo a ottobre prossimo nella nuova sede di Uqido a Verona, nasce dalle difficoltà di trovare figure altamente specializzate in tecnologie immersive, e pensato come step conclusivo di un percorso di formazione più ampio, che ha il compito di preparare gli studenti al mondo del lavoro. Ci sarà una selezione all’ingresso di 12 persone con corsi full time che devono tutti saper programmare, anche se non è necessario possedere un titolo di studio particolare. Oltre alla realtà virtuale e aumentata insegneremo i processi di gestione dei progetti, del tempo, le delibere. Ogni due settimane ci sarà una verifica per formare professionisti con una formazione completa dei processi aziendali.

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Cosa significa vivere una realtà virtuale immersiva? Bisogna distinguere innanzitutto realtà virtuale e realtà aumentata, due cose tanto diverse. La prima si vive all’interno di un visore con delle cuffie: ti isola dal mondo reale e ti porta in un mondo virtuale. È come essere in un altro mondo. La realtà aumentata consiste, invece, nel vedere la realtà con un’aggiunta di informazioni. Ad esempio con l’app di Ikea si può arredare virtualmente la propria casa. Le tecnologie immersive stanno prendendo piede sempre di più in svariati ambiti, dalla moda al beauty, dalla musica all’arte. Perché? È un salto nell’utilizzo della tecnologia. La realtà virtuale riesce a creare un meccanismo mentale particolare che incuriosisce e attrae.

Nellovirtuale sviluppo delle tecnologie all’interno della società la realtà virtuale Realtà immersiva ©Uqido viene

considerata un fattore di accelerazione che concerne non solo il rapporto uomo-macchina, ma anche l’idea di reale e di sé. Come affrontare questo da un punto di vista etico. La realtà virtuale è un mezzo di comunicazione, come la televisione, la radio, le riviste e come tale è il contenuto che fa la differenza. Puoi usarlo per trasmettere amore oppure per non uscire mai di casa e di conseguenza non socializzare e relazionarsi con il mondo reale. Ogni tecnologia credo debba essere utilizzata nel modo corretto, educando chi ne fa uso. Il tuo lavoro per passione o per il desiderio di cambiare il mondo e forse renderlo più facile? Non c’è una motivazione razionale, è stata per me una scelta naturale e fortemente voluta. Non ho neanche l’ambizione di voler cambiare il mondo, ma vedere emozionate le persone dopo aver provato i miei prodotti mi inorgoglisce.

Come si ottiene il successo? Questo bisogna chiederlo a chi ce l’ha avuto. Al momento io direi che bisogna credere in quello che si fa, essere fiduciosi, ottimisti, trovare le persone giuste e aver una buona idea di business. E la fortuna? La fortuna ti deve incontrare lavorando!


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fashion


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part two


t r o p S exy

t e e r t S S

Photographer Domenico Donadio Stylist Carmen Incarnato Model Ólöf Ragna Árnadóttir @MP Managment Make-up Artist & Hair Ketevan Varsimashvili

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Denim shirt Re–Hash Pants Kappa Kontroll Boat shoes Timberland


Jeans Kappa Kontroll Open toe Aldo


Jacket Lucio Vanotti x Tatras


Total look GCDS



Jacket Tagliatore Crop top and skirt Tommy Jeans Sneakers BePositive x Veeshoes


T–shirt GCDS Trousers PT 01 Sneakers Rucoline



Overcoat Caban Romantic Shorts Berwich Cuissardes GCDS


Shoes Adidas Originals Deerupt

Crop top Lotto Bomber Tommy Jeans Shorts Wrangler


Hat Adidas T-shirt and long skirt Diesel Black Gold


FASHION

Shapes of youth Fotografo Arianna Bonucci Styling Isabella Broggini Make up artist Serena Polh Hair stylist Serena Palma Models Roger and Max (Beyond Models) Martynas (Elite Models) Camillo (Fashion Models)

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T-shirt Wolf Totem


Shirt Iceberg Trousers Wolf Totem Shoes Wolf Totem

Shirt Iceberg Jacket Herno Waist bag Milano 1914 Trousers Nine in the morning Sneakers Artselab


Shirt Moschino Trousers Moschino Sneakers Artselab



Raincoat and t-shirt Iceberg Balck jacket Iceberg White jacket North Sails T-shirt Patrizia Pepe

(From above)


Sweatshirt Moschino Trousers Moschino Open-toe boots Wolf Totem

Shirt Moschino Trousers Moschino Open-toe boots Wolf Totem

Jacket Moose Knuckles T-shirt Moschino Bermuda shorts Aeance Sandals Artselab


Trousers Belstaff Sneakers Artselab Sweatshirt Love Moschino Trousers Serdar Sandals Artselab

Shirt Xacus Jacket Nine in the morning



Hoodie jacket Kimo No-Rain Trousers Iceberg Sneakers Puma


FASHION

Colored Texture Photographer Dario Sartori @dariosartori.com – IG dario.sartori Styling Stefano Guerrini – IG stefano_guerrini Photographer Assistant Giacomo Masi Stylist Assistants Cristina Florence Galati, Carmen Romano Make up artist Francesca Angelone @TheGreenAppleItalia Milano, using Giorgio Armani Hair stylist Matteo Bartolini @Freelanceragency Milano Cosmetics Model Vaiora Stroganoff @MPmanagement Milano Location – Special thanks to The Westin Palace Hotel Milano

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Fake fur coat Department 5 Blouse and trousers Alcoolique Sunglasses Pugnale & Nyleve Sandals Steve Madden


Total look Marni

Dress and choker Giuseppe di Morabito


Total look Gucci


FASHION

Street tailoring

Concentrarsi sul presente. Creare capi che possano raccontare una storia ed esprimere una personalità individuale. Avere la piena consapevolezza di ciò che si è. Così il designer Danilo Paura si confida a Kult, parlando del suo amore per Basquiat, il valore della scritta Wariat incisa sul collo, l’ammirazione per Andre Agassi. 94


E per il successo? Nessun compromesso!

U

n cognome misterioso divenuto poi grande sfogo di creatività. Riuscendo nel corso degli anni a plasmare progetti sartoriali che esaltano una produzione totalmente Made in Italy, dall’attitude street e contemporanea. Che raccontano se stesso. Reduce dal successo della collaborazione con Kappa, brand protagonista nel mondo dello sportwear e lifestyle, Danilo Paura, nato in un piccolo paese di provincia della

Calabria, si reputa orgoglioso e felice di un percorso che l’ha catapultato in un mondo così distante dalle origini da cui proviene. Un’opportunità singolare per far conoscere il suo lavoro, le sue idee e trasmettere le sue esperienze al pubblico. Legato a un decennio che continua a rivivere ancora oggi, quei nostalgici anni Novanta, il neo designer è pronto a giocare le sue carte per parlare un linguaggio che si sposa con la cultura street e affascina la generazione moderna.

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SS 2018

Kappa by Danilo Paura

Interview


FASHION Negli ultimi anni le iniziative di co-branding hanno spopolato creando un sodalizio tra lusso e streetwear…. Fino a qualche tempo fa considerato impensabile. Neanche tu hai resistito. Prima hai realizzato una special capsule collection di sneakers con Superga, poi una bellissima collezione con KAPPA. Cosa ci racconti a tal proposito? Credo nel lavoro di squadra, nella condivisione di idee. Collaborare è crescere. Le passerelle portano il linguaggio della strada, il lusso è streetwear. Le operazioni di co-branding hanno rafforzato questo concetto aprendo nuovi orizzonti. Superga è la sneaker degli italiani, chi non ne ha avuto una?! Un oggetto perfetto, senza tempo. È stato affascinante poter lavorare su questa scarpa mettendoci del mio. La "mega", così si chiama la nostra Superga, mette in risalto un elemento distintivo del marchio, la lente di ingrandimento cade sulla suola, la texture, che sembra una corteccia cerebrale, diventa elemento caratterizzante. Una Superga tutta suola, tutta cervello. I capi più rappresentativi, la scelta dei tessuti di pregio e diverse tecniche di lavorazione del denim, maglieria e jersey, rendono la collaborazione con Kappa una vera e propria capsule che esalta il Made in Italy. Il velluto è di sicuro il tessuto predominante. Abbiamo lavorato con la volontà di esaltare i due brand, senza farne prevalere uno. Capi sartoriali con banda 222, ripetizione verticale del logo, la stampa a corrosione per conferire un effetto materico. La tecnica di serigrafia manuale rende i capi unici. KAPPA è un brand iconico degli anni ‘90 che ha conquistato per l’unicità del suo stile. Come sei riuscito a interpretare l’allure del marchio nell’era moderna? Stiamo vivendo gli anni '90, il decennio che mi rappresenta di più, al quale mi sento più legato. Kappa è uno dei brand che più rappresenta quel periodo: i colori, le stampe, ma soprattutto le nostre vestibilità sono la chiave di lettura per far rivivere quei momenti in maniera sincera e credibile.

Da un paese di provincia del sud allo sfavillio del fashion world. Come hai iniziato a realizzare il sogno di diventare un designer? Sono nato e cresciuto in un paese di provincia, a Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza. Ho sempre saputo di voler e dover fare qualcosa che avesse a che fare con la creatività. Accettare se stessi e trovare un modo personale di esprimerlo è la cosa che mi rende libero, orgoglioso e felice. Disegno le mie collezioni con la volontà di creare capi che daranno a chi li indossa, la possibilità di esternare la propria personalità. Uno stilista o artista da cui trai ispirazione? Jean-Michel Basquiat è l’artista da cui traggo maggiore ispirazione. Le sue opere così incasinate, così forti, dirette, provocatorie. Resta eterno. Il mondo è sempre più digital. Oggi senza i social quasi non si vive o si vive male. Perché? Accettare il momento in cui si vive è la chiave di lettura per vivere una vita senza rincorrere. Siamo in un mondo moderno, digitale, veloce. Credo che i social rappresentino lo strumento più democratico per farci conoscere dappertutto. Io ci convivo abbastanza bene. Bisogna stare attenti a non diventarne dipendenti. Il profilo Instagram da seguire? Rafael Mantesso, lui, la sua storia, il suo splendido cane. Un profilo che ha aiutato una persona a uscire da un momento negativo della sua vita. Lo adoro.

La tua più grande aspirazione? Sono una persona molto ambiziosa e ogni anno ho aspirazioni diverse, ma un’ambizione costante è quella di poter avere sempre la possibilità e la fortuna di scegliere le persone con cui lavorare. Questo è per me fondamentale.

foto di Marco Onofri

Danilo Paura

Il momento che ti ha dato maggiore soddisfazione? La cosa che mi dà più soddisfazione è incontrare la gente vestita con i miei capi.

Parliamo della collezione a tuo nome. Un mix di look diversi. Come nasce e di cosa si compone? Danilo Paura è una collezione che prende il mio nome. Anzi svela un mistero legato al mio cognome. Cognome che spesso, in età adolescenziale, aveva creato non pochi attriti. Uno sfogo di massima creatività. Metto nelle collezioni pensieri e quotidianità. La collezione è interamente creata e prodotta in Italia, la sartorialità espressa in alcuni capi si mescola con vestibilità over di felpe e t-shirt. Il risultato è una collezione streetwear attuale e contemporanea. Sono tutti capi di alta qualità di materiali. Può essere definita una “street couture” declinata in uno stile deciso e young? Le passerelle oggi parlano il linguaggio della strada. La moda è streetwear. Tutta la cultura street ne determina i contenuti e ne conferisce linguaggio. Cosa ti aspetti dal futuro? Non penso al futuro, mi stressa, mi agita. Mi soffermo sul presente, sono felicissimo e provo a godermi un bellissimo momento.

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Interview C’è qualcosa a cui non rinunceresti per il successo? Non amo pensare a compromessi. Condivido le mie preoccupazioni e prendo decisioni importanti insieme alle persone che mi stanno a fianco, e questo mi fa vivere serenamente. Non ci rinuncerei mai. Il successo non mi interessa. La persona che ammiri di più? Andre Agassi, non lo conosco personalmente ma il suo libro mi ha decisamente fatto avere di lui una considerazione pazzesca. Era il mio idolo da giocatore, mi sono rivisto in lui in tante scelte e in tantissime situazioni di vita vissuta.

Come ti vedi da qui a 10 anni? Mi vedo esattamente così, sicuramente con qualche capello bianco in più. SS 2018

Kappa by Danilo Paura

Hai molti tatuaggi? Moda o hanno un valore emozionale? Quello a cui sei particolarmente legato? Se tornassi indietro non ne farei nemmeno uno. Vorrei vedermi senza. Credo che sia molto più bello un uomo senza tatuaggi, piuttosto che un corpo tutto scarabocchiato come il mio. Quando li vedo sorrido, perché ognuno ha la sua storia. Ho la mia vita raccontata sulla pelle. Il disegno che ne rappresenta il messaggio passa in secondo piano. La scritta Wariat che ho sul collo è quella a cui mi sento più legato.

Tre canzoni della tua playlist… “Best friend” di Yelawolf. “He got game” di Public Enemy. “High and dry” di Radiohead. Il #placetobe in Italia e all’estero? In Italia assolutamente Milano, all'estero New York.

ARR

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FASHION

For the passion

of denim 98


Interview

Un futuro che guarda all’ottimismo e all’obiettivo di conquistare il target più ambito ed esigente, i Millennials. Barbara Grotto, head of marketing and communication di Gas, si racconta a Kult, svelandoci il nuovo progetto in tandem con la Marangoni e i retroscena della “sua città immaginaria”. testo di Anna Rita Russo

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I

l denim ha un profumo speciale. Per Barbara Grotto, head of marketing del gruppo Grotto spa, è sicuramente così. E il suo attuale armadio strabocca di una quantità infinita di jeans dai quali non riesce proprio a liberarsi. Perché ognuno di loro rappresentata un importante squarcio di vita. Intraprendete, sorridente, ambiziosa, risoluta, Barbara, figlia del presidente e fondatore di GAS Claudio Grotto, è una giovane donna in carriera che ha vissuto da sempre in una favola fatta di attenzione e qualità, dove echeggia costantemente quella dolce fragranza a cui resta da sempre affezionata. Ha fatto dell’heritage dell’azienda di famiglia la musica a cui ispirarsi per costruire con vigore un successo internazionale, mettendoci la mente, il coraggio, il desiderio, la volontà. Coinvolgendo i giovani, innovando, sperimentando. Con passione. Perché è la passione il motore che muove le idee, la creatività e rappresenta la chiave per il successo.

Nella pagina a fianco,

Barbara Grotto Head of marketing and communication di GAS

Gas ha presentato in occasione dell’ultima edizione di Pitti GAS CITY, un’esperienza artigianale a 360 gradi per mettere in risalto il lavoro creativo degli artigiani contemporanei. Un’idea innovativa che ha attirato un vasto pubblico… Sì, è stata una bella soddisfazione vedere che il nostro progetto abbia incuriosito i molti visitatori. Abbiamo portato a Pitti la città di Gas, una città immaginaria simbolo dell’unione tra tradizione e innovazione, con varie postazioni di giovani artigiani, dal pittore, il gioielliere, il ceramista al sarto e scultore della cioccolata, i quali hanno contaminato il prodotto Gas con la loro creatività, rielaborando e customizzando alcuni capi del brand. L’intento era quello di raccontare Gas attraverso un’esperienza, uno spazio esperienziale in cui gli artisti mostravano il loro savoir faire, un insieme di qualità indispensabili che devono essere valorizzate soprattutto nel contesto italiano, dove l’artigianalità è una caratteristica a volte poco avvalorata.


FASHION La moda si proietta al futuro con la realtà 3.0. In cosa consiste? Dal mio punto di vista riguarda la possibilità di condividere delle esperienze in modo diretto e preciso. Ad esempio a Pitti abbiamo interagito attraverso i principali social network raccontando live cosa accadeva all’interno dello spazio allestito, da Instagram a Facebook e Youtube, generando una relazione con i nostri canali. Oggi i social media sono un importante strumento per il business e danno un grande potere di visibilità a un brand, perché permettono di dialogare direttamente con il proprio target e gli appassionati, quindi è giusto che un marchio debba utilizzarli nel modo più onesto possibile. Per molti brand oggi il giro di affari viene incrementato proprio dai Millennials, una fonte di ricchezza… pensiamo ad esempio a Gucci che ha rimescolato le carte anche all’interno dell’azienda con un team under 35. Cosa ne pensi? Siamo di fronte a una vera e propria evoluzione, dove svolge un ruolo determinante il target dei cosiddetti Millennials, ma anche quello della generazione Z. Gas si rivolge a un pubblico che condivide la filosofia e i valori del brand. Ma questa attitude è trasversale, è vero che abbiamo sviluppato per anni le nostre strategie puntando ai Millennials, ma nel 2018 è giusto guardare al futuro diversamente coinvolgendo un target più allargato, raccontando l’azienda e la storia che si cela dietro. Qualità, know how, innovazione, stile. Gas li combina impeccabilmente da sempre. Qual è la chiave per il successo? La passione, nel lavoro e nella vita privata. L’entusiasmo, la curiosità e la voglia di andare oltre. Gas ha sempre avuto un occhio rivolto al presente e al futuro, abbiamo cercato di creare costantemente delle collezioni che rappresentassero il Dna del brand in una chiave contemporanea. C’è molta sperimentazione nel prodotto, rivolto in primis a un pubblico colto, ragazzi che finiscono l’università ed entrano nel mondo del lavoro, insomma persone che danno il giusto valore agli acquisti. Il punto di forza di Gas è proprio quello di non essersi mai dimenticato del consumatore e del target di riferimento. Anche la creatività è fondamentale, lavoriamo molto sull’innovazione, soprattutto nella tela del denim, sviluppiamo brevetti… vogliamo rappresentare un prodotto moderno e all’avanguardia. Gas deve guardare al futuro con ottimismo e nel segno dell’innovazione.

Cos’è il talento secondo te? Ci sono veri talenti o solo tanto business? Credo e spero che in questo momento siamo entrati nell’era del talento. Però ad esempio se penso al fast fashion parliamo solo ed esclusivamente di business puro, si tratta di grandi industrie della moda che hanno conquistato il mondo intero. Nell’aria aleggia uno spirito di grande voglia di fare, di costruire, di emergere, di rischiare. Il talento e la creatività devono assolutamente emergere. Basta con i prodotti industriali. Il talento è una dote innata. Parliamo del ruolo dell’arte (in senso lato) nella moda. Le collaborazioni con celebri artisti sembrano spopolare… Come si muove Gas in questa direzione? La parola chiave che sintetizza il nostro ultimo progetto, Gas City, è contaminazione, abbiamo contaminato il mondo degli artisti, della moda, della musica, oltre ad aver realizzato una capsule dedicata all’anniversario dei Nirvana. Gli scatti di Micheal Lavine sono stati reinterpretati in una limited edition di t-shirt e felpe dedicata a Kurt Cobain, che abbiamo presentato in occasione di una mostra fotografica presso la galleria bolognese Ono Arte Contemporanea. Per noi la contaminazione è un concetto fondamentale. Un capo emozionale. Posso dire che la mia esistenza è fatta di cinque tasche e pantaloni in denim. Ahimè ho una stanza immensa con un armadio pieno di jeans che non riesco

Sei una giovane manager ormai affermata. Quando hai deciso di voler fare questo lavoro? Non è stata una scelta, mi sono ritrovata in mezzo agli “stracci” da quando avevo 3-4 anni, mi sono abituata subito a quel profumo che c’era a casa. Per me il denim ha un profumo speciale, quando ti affezioni a una cosa diventa difficile separarsene. Non mi sono mai chiesta cosa avessi voluto fare “da grande”, è stato un percorso spontaneo. Mi reputo comunque fortunata di avere un lavoro che amo e che svolgo con tanta passione. C’è un consiglio per chi vorrebbe intraprendere la tua strada? Credo ci sia tantissimo spazio per emergere, se un giovane coltiva la sua passione e ci crede fortemente, ha idee chiare e una giusta visione a 360 gradi, potrà senza dubbio raggiungere i propri desideri e ottenere il giusto successo.

Quali sono i principali investimenti sul fronte della strategia di espansione? Mio padre è un visionario, forse il più grande visionario che abbia mai conosciuto. Circa quindici anni fa ha avuto la visione dell’India, lì abbiamo costruito un’azienda grandissima con 60 punti venditi, insieme a un partner importantissimo che ha creduto in noi e ci ha aiutato a costruire il network di negozi. Così abbiamo deciso di puntare dritto all’India e oggi ne stiamo raccogliendo i frutti. Lo scorso anno abbiamo inaugurato un nuovo store nella capitale della Repubblica Ceca all’interno del Centrum Chodov. Nel mondo ci sono veramente tanti spazi e Paesi interessanti, ma non abbandoneremo mai il territorio di origine, dove continuiamo a investire. Il nostro obiettivo resta comunque l’internazionalizzazione del brand ottimizzando la strategia Vertical Retail su base globale e rafforzando la presenza all’estero, in particolare in Europa e Asia.

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Interview

GAS CITY Pitti Immagine Uomo 93

«La mia esistenza è fatta di cinque tasche e pantaloni in denim. Ho una stanza immensa con un armadio pieno di jeans che non riesco a buttare, ognuno di loro rappresenta un momento importante della mia vita.»

Ci vuoi svelare qualche news? Tra le ultime iniziative di Gas c’è la collaborazione con l’Istituto Marangoni, per dare spazio e visibilità alla creatività dei giovani talenti dello stile. Il progetto include la realizzazione di una capsule collection total look denim uomo e donna fino alla creazione di una strategia commerciale e di promozione. Gli studenti coinvolti, quelli del secondo anno del corso di Fashion Design, hanno interpretato il mondo Gas mettendo in campo la loro creatività. Tra questi sono state selezionati le due vincitrice del contest, Virginia Sicardi per la sezione donna e Francesca Vinelli per l’uomo, le quali sono state per la prima volta ospiti in azienda, dove hanno incontrato e lavorato con entusiasmo fianco a fianco con i manager del nostro ufficio stile e prodotto. La capsule realizzata sarà in vendita su gasjeans.com oltre che in una selezione di e-retailer e monomarca del brand. È un’idea pensata per i Millennials, un target sempre più esigente e stimolante.

GAS e Istituto Marangoni

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English text

FASHION

Change Your Mind testo di Alessandro Iacolucci

Ben Mears, il Direttore Creativo di North Sails, ci racconta la nuova svolta eco. In occasione dei sessant’anni di attività il marchio lancia uno speciale progetto volto alla sostenibilità del mare. La biologa marina Ocean Ramsey Ambasciatrice per North Sails

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Interview

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i chiama Ocean Family Foundation (OFF) ed è la fondazione inglese, impegnata nella salvaguardia degli oceani con cui North Sails ha deciso di stringere una collaborazione in favore della tutela della biodiversità marina e la protezione delle acque dagli effetti dell’inquinamento globale. A partire dalla collezione primavera/estate 2018, North Sails devolverà l’1% del ricavato delle proprie vendite a livello mondiale per sostenere diverse campagne. L’impegno di North Sails nella conservazione degli oceani prosegue con il sostegno anche a Ocean Ramsey (biologa marina) e Juan Oliphant (fotografo subacqueo). Entrambi sono i fondatori dell’associazione One Ocean Research & Diving, scelti dal brand come ambassador. Per l’azienda di Sailmaking un impegno del genere rappresenta la naturale continuità del progetto messo in cantiere dallo storico fondatore del marchio e che nel tempo ha generato il tessuto distintivo del suo Dna. Il brand nato dall’idea di Lowell North ha trasformato la passione per la regata in un universo costituito da tecnologia ed eco-sostenibilità.

Ben Mears, Global Creative Director di North Sails

Oggi il tracciato prosegue con la direzione creativa di Ben Mears, la cui prima collezione ha debuttato a Pitti 92 e da subito, in accordo con Oakley Capital, il gruppo che controlla il marchio, si è messo all’opera per la creazione di capi sempre più all’avanguardia, guardando al ricco heritage fatto di materiali innovativi, come del resto lo sono le tecniche di costruzione e verso la sempre più accurata e maniacale cura del dettaglio. Per North Sails il mare è una passione, oltre che una fonte inesauribile di riconoscibilità, a cui oggi dedica gran parte del suo successo cercando di tutelarlo dall’inquinamento. Liberandolo dalla plastica che lo deturpa, la ricicla ricavandone speciali tessuti e filati, utili a confezionare abiti performanti. Durante la presentazione italiana di questa speciale partnership con OFF, Kult ha incontrato Ben Mears, Global Creative Director di North Sails. Un uomo alto, slanciato, ironico e dalla risata contagiosa, che in poco tempo è riuscito a fondere l’animo degli iconici capi activewear a una nuova immagine che non denaturalizza la storia, ora sempre più fresca e responsabile.

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FASHION

Come interpreta la filosofia del “Go Beyond”, andare oltre, impostata sin da subito dal fondatore di North Sails con il suo approccio creativo? Andare oltre ogni limite in tantissimi aspetti, come ad esempio e soprattutto l’innovazione. Andare oltre tutto quello che rappresenta un semplice tessuto per adattarne al meglio le qualità e le potenzialità, realizzando capi finiti che risultino performanti. Abiti che si possano indossare in città come sulla costa. Conservando le caratteristiche del fit e che dunque riescano a mantenere le qualità della vestibilità nel tempo, e ovviamente guardando al mondo del riciclo, usando materiali eco-compatibili. Ricicliamo la plastica dal mare, siamo molto attenti a questo ecosistema, perché ci piace pensare che i nostri prodotti possano essere indossati in maniera sostenibile.

Ocean Ramsey e Juan Oliphant x North Sails

Come è stato l’ingresso in Oackley Capital, il gruppo che controlla North Sails, e quali erano le aspettative? Il gruppo è davvero di gran supporto per tutto quello che riguarda la tecnologia, l’incremento del business e per lo sviluppo del retail. Lavoriamo insieme per confezionare collezioni sempre più all’avanguardia e riconoscibili al pubblico. Troviamo insieme nuovi stimoli e focus creativi. L’impegno era quello di portare avanti in maniera sempre più inclusiva i tratti tipici di North Sails focalizzandoci sull’innovazione.

Il mondo dello sportswear è in un periodo storico di grande rivalutazione, ad esempio molti brand del lusso lanciano delle collaborazioni in esclusiva con artisti e designer emergenti. Ultimamente si parla molto dell’ascesa post-sovietica di Gosha Rubchinskiy che dallo sport al lusso, rivisita lo urban style. In questo senso North Sails come si rapporta ai competitor e alle collaborazioni creative? Di competitor bravi e che realizzano buoni prodotti sportswear ce ne sono diversi, ma piuttosto che guardare a un singolo nome preferisco osservare l’insieme delle proposte sul mercato. Preferisco rimanere impressionato dalle qualità di una giacca a vento oppure di un pantalone da corsa. Dalle cuciture alle rifiniture interne. Sono tanti gli elementi da tenere in considerazione per sviluppare un capo che sia sempre performante, compresa la parte più fashion oltre che quella tecnica, per esempio l’insieme di colori e degli accessori che si utilizzano. Di tutti questi ne faccio tesoro, li prendo come stimoli per creare collezioni all’altezza delle aspettative del cliente. Per quanto riguarda le collaborazioni credo che molti brand sviluppino delle partnership perché c’è qualcosa che gli piace o che comunque gli interessa tirar fuori da un accordo di business. North Sails è legata per natura al mondo dello sport e della vela in particolare, abbiamo un ottimo rapporto con tutto quello che è lo streetwear e nella parte creativa ci sentiamo molto forti in questo, infatti il nostro business lo conferma. Vogliamo continuare a sviluppare proposte per il mondo della vela, perché è ciò che più ci interessa e rispecchia il nostro Dna. La collaborazione con FFO per la salvaguardia degli oceani è significativa, ci rappresenta nel prodotto e nell’heritage. Il vostro headquarter è in Italia, a Rapalllo, come si lega la questione del know how italiano con il vostro Dna? L’Italia rappresenta una grandissima parte del lavoro di North Sails, da qui riteniamo sia possibile ricevere diversi impulsi creativi, ma anche per quanto riguarda il business. Possiamo sviluppare diversi stili, renderli più internazionali. L’Italia per la morfologia del suo territorio è legata alla presenza del mare, e troviamo diverse sinergie con la parte distintiva del nostro Dna, questo ci aiuta a essere sempre “up to date”.

Selfie subaqueo di Juan Oliphant (a sinistra) con Ocean Ramsey

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Interview

Lei ha lavorato nel mondo della couture come da Ungaro e Saint Laurent. Ci sono degli approcci diversi da parte di chi compra il prodotto luxurywear rispetto a quello sportswear e c’è anche un approccio creativo diverso da parte dello stilista? Penso che il rapporto del cliente sia simile. Il trend va molto in direzione di uno sportswear ricercato, sono molti i brand dei grandi gruppi francesi che si affacciano a questo tipo di abbigliamento. Il rapporto di un cliente che compra un capo di lusso rispetto a quello del mondo active non è poi così differente, vogliono tutti qualcosa di speciale e innovativo. Nell’approccio stilistico c’è un’attitude diversa da parte dello stilista. Non si tratta solo di fare qualcosa di nuovo, ma anche di connettere il tutto secondo i giusti dettagli per le diverse occasioni. Deve esserci una continuità con i pezzi delle collezioni e i trend rilevanti. Lo sviluppo del prodotto deve essere pensato come qualcosa che, per chi lo compra, sia sempre migliore del precedente.

Sopra,

Juan Oliphant sott’acqua in compagnia di uno squalo

(sotto) Juan Oliphant

x North Sails

A proposito di Saint Laurent, lo stesso Yves dichiarò che tra tutte le sue creazioni avrebbe davvero voluto inventare il jeans, un tessuto, ma soprattutto un capo rivoluzionario. C’è qualcosa che guardando al mondo della moda, lei Ben Mears, avrebbe voluto inventare? Oh wow! Rimanendo legato al mondo di North Sails la cosa che in assoluto sarei stato più felice di creare è la Sailor Jacket. È il capo più iconico che esista, è semplice ma da ben cinquant’anni rappresenta la storia del marchio, piace ai giovani, è versatile e può essere indossata in diversi modi e per le occasioni più disparate. Ne sviluppiamo molte in modo da offrire un’ampia copertura della richiesta per tutte le sue potenzialità.

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FASHION

The Athleisure Question Non solo cultura del fashion, ma programmi ambiziosi e dal respiro internazionale come #athleisurebeats di Swarovski. Il brand austriaco esalta una migliore qualitĂ della vita secondo una sana e dinamica libertĂ di espressione, ingaggiando 14 marchi e i talenti delle scuole di danza americane

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Project

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SWAROVSKI Progetto #athleisurebeats


FASHION

N

iente più tristi angoli casual, come li definirebbe quel diavolo di Miranda Priestley. Lo sport e con lui tutto il suo universo da tempo sdoganato nel panorama della moda, assume le sembianze di un lifestyle improntato sempre più sull’esperienza quotidiana. Una questione che riguarda la comodità, associata ad un modo di vestire easy anche nelle occasioni più istituzionali. Dettami e incursioni che richiamano la piacevolezza del benessere, grazie a fit larghi e svasati, oversize e stampati. Piccoli dettagli come cappucci delle felpe che vanno ad accostarsi a eleganti tute in sherling oppure zip che, da testa a piedi, confezionano le chiusure degli abiti da cocktail. Spesso però, quello dello sportswear, non assume solo le sembianze di uno styling che piace ai Millennials, considerati dal mercato come la nuova fetta di clienti da accaparrarsi e soddisfare, ritenuti anche dei veri influencer non solo in termini di stile, ma essendo legati alle attività giovanili, conquistano un ruolo di prim'ordine in progetti dal respiro internazionale e uno di questi riguarda anche Swarovski che, insieme a 14 brand e ai giovani talenti delle scuole di danza americane, dà vita ad #athleisurebeats, reinventando l’estetica hip-hop anni ‘80/’90 con un nuovo look dal sapore sports-luxe che è allo stesso tempo spensierato e casual, ma anche ricercato e urban.

I mood discreti che spaziano dal retro-sportswear, allo sfavillante bling-blitzed fino ai motivi ispirati alla gang-culture, riguardano concetti che pongono grande attenzione su una sana e dinamica libertà di espressione. Tutti elementi messi in cantiere da Swarovski con un progetto e un dance-off forte, energico e dal retrogusto culturale che, forse, non a caso sceglie l’America, oggi divisa da muri d’opinione non solo metaforici. Le scuole e le accademie, viste anche come punti di incontro e di aggregazione grazie a background etnici diversi per ognuno dei loro studenti, diventano un melting pot simbolo della ricerca di riconnessione, integrazione e comunità. In questi termini Swarovski, azienda leader nel mondo degli elementi di cristallo e della gioielleria fashion, fondata nel 1895 in Austria e che da sempre crede e investe nel talento, insieme a speciali partner selezionati, dà modo a giovani emergenti del mondo della danza di esprimere se stessi attraverso una semiotica performativa a loro nuova.

SWAROVSKI Progetto #athleisurebeats

Il marchio ingaggia i ballerini provenienti dalla X-Factory school e dal Multi-Cultural Dance Center di Chicago, coinvolgendoli nella presentazione di collezioni athleisure, adatte sia alla sfera sportiva ma anche all’uso quotidiano e dedicate alla prossima Primavera Estate 2018. Collaborando con questi giovani il marchio austriaco ha l’obiettivo di evidenziare i benefici di un lifestyle attivo, dove la compagnia di ballo funziona come esempio e fonte di ispirazione per una comunità dinamica, espressiva e integrata. Dunque grazie al progetto #athleisurebeats, 14 grandi marchi nel settore sport e leisure come: Caraa Sport, Juicy Couture, Ultracor, Kappa, Nokaoi, Roxy, Victoria Sport, Pretty Ballerinas, Munich, Marc Cain Sports, Mizuno, Holster, Mariam Seddiq e Prsr, danno vita a collezioni di abbigliamento e di accessori casual, presentate in anteprima online, con un accattivante video dance-off girato nella Grande Mela grazie alla coreografia del Creative Movement Director Normann Shay, accompagnato della direzione creativa della celebre fashion-editor e stylist italiana Giovanna Battaglia Engelbert, dove tutti i capi delle collezioni vengono impreziositi da cristalli Swarovski: dalle sneaker agli occhiali, dai croc top alle felpe, dalle tute sportive alle esclusive jumpsuit. Poi ancora giacche, camicie, shorts, e molto altro ancora.

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Interview

Follow your style BePositive e Tommy Vee. Un progetto speciale tra moda e musica.

U

n dj con una passione e una cultura musicale sopra le righe, come lo stile che da ragazzino lo aveva sancito, col senno del poi, per essere un tipo all’avanguardia. Un gusto nato imitando i musicisti degli anni ’80, spulciando le riviste di settore che da Oltreoceano insieme alle novità musicali, portavano anche i dettami della moda di una subcultura in ascesa. Canotte brandizzate con gli stilemi delle squadre di rugby come anche dei fumetti più in voga, insieme a uno degli elementi più rappresentativi di sempre: la sneaker. L’oggetto del desiderio che per Tommy Vee diventa una vera ossessione. Un frullatore di coincidenze, passioni, assonanze che, arrivando ad oggi, lo portano a dare vita a uno speciale progetto con BePositive. Assieme al marchio Made in Italy nato nel ’95 dall’idea innovativa di Ubaldo Malvestiti, il dj realizza una capsule collection che racchiude l’essenza del suo stile che a differenza degli anni del liceo, è più minimal ed essenziale. Con solo qualche dettaglio che infonde la particolarità. In che modo ti rappresenta la capsule “Veeshoes” con BePositive? La collezione nasce grazie al fortuito incontro con Fabrizio Ferraro. Ci siamo trovati a collaborare già in passato per la collezione primavera estate del 2017, con un mio Dj Set durante la presentazione a Pitti. Con lui ci siamo ritrovati a parlare dei nostri feticci sull’abbigliamento che per entrambi sono le sneakers. Da qui è partita la proposta di lavorare insieme. Sono andato in azienda da lui, dove c’è un archivio pazzesco. Ci siamo confrontati su come potevamo realizzare un prodotto che rispecchiasse il mio gusto. Io sono abbastanza minimalista, non mi piacciono gli eccessi ma apprezzo mischiare, magari andando a scovare qualcosa nel mondo vintage, e queste sneakers lo sono molto. Abbiamo messo tutti gli elementi insieme per creare la nuova scarpa in totale condivisione.

BePositive x Veeshoes Boutique La Tenda Milano

Come nasce la tua passione per questo genere di calzature? A quattordici anni guardavo in TV i dj d’Oltreoceano e soprattutto dell’hip-pop, la Old School da Spoonie Gee a Kurtis Blow, che indossavano cose diverse rispetto alle nostre. Così mi ispiravo ai loro look, che per noi in Italia erano impensabili. Una volta portai i miei genitori in un negozio dove vendevano gli anelli a quattro dita della Nike, oppure con le stampe di Batman. A scuola mi guardavano come un pazzo. Tramite le riviste di musica dell’epoca, i video e i viaggi mi sono appassionato alle sneakers che rappresentavano una sorta di status symbol per tutti i musicisti dell’epoca. Come è avvenuta la tua formazione musicale? Sono stato fortunato, sono nato in un contesto del genere, in cui la prima volta che ho lavorato da professionista è stato a 19 anni. A 20 ho lavorato come secondo di un resident storico delle mie parti. Lui mi ha spiegato tutto quello che sapeva, il resto lo immagazzinavo da me, mettendomi alla ricerca di fiere o confrontandomi anche con i più “vecchi”. A ventidue anni sono andato alla Winter Music Conference, mi informavo, ero curioso, avevo voglia di sapere tutto. Leggevo i crediti che erano inseriti nei vinili, andavo e guardavo chi era alle tastiere e chi erano i produttori. Pian piano ho iniziato a riconosce tutti i protagonisti e ho sviluppato una mia linea personale. Che consiglio daresti a un giovane che si affaccia adesso a questa carriera? Questo è un momento molto complicato, perché secondo me in Italia abbiamo pochissimi dj emergenti che stanno facendo una carriera seria. È un problema di musica e di identità.

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FASHION

The Soul Beats Ex modella, conduttrice televisiva e radiofonica, ma soprattutto DJ per passione. Potremmo definire Morwenn Moguerou, in arte Ema Stokholma, come una clubber di professione. Un aggettivo che richiama anche la sua ultima esperienza TV targata Pechino Express.

C

apelli rosa sfumati di viola, una voce che lascia intendere le sue origini francesi, di Marsiglia precisamente, miste alla graffiante pronuncia puramente italiana. Una vita vissuta con la valigia in mano girando mezzo mondo, per portare avanti quel sogno di una vita nello spettacolo che a soli 15 anni la porta a calcare le passerelle di Versace, Valentino, Dolce & Gabba-

na e Fendi. È invece tra Roma, Londra, Milano, Berlino e Parigi che Ema sposta la sua attenzione dalla moda alla musica. Un universo che sin da piccola le aveva preannunciato il mezzo che le avrebbe salvato la vita. Ema Stokholma la incontriamo a Firenze, in occasione dell’esclusiva presentazione autunno inverno 2018/19 di Diadora. Il marchio per cui torna a fare da testimonial e che diversamente dagli esordi in passerella, rispecchia il suo stile underground. Anche se l’età di una signora

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non si dice, lei è del 1983, e questo lo chiariamo perché è importante far capire qual è il punto di vista di Ema Stokholma sul mondo della musica. Clubber, artista, anzi entertainer. Una personalità che è in grado di plasmare se stessa in base alle diverse professioni che ricopre, al solo scopo di far godere il pubblico. Lei viene da un’altra generazione, da una di quelle che la musica l’ha ascoltata sul walkman e ha provato e riprovato a mettere su i suoi pezzi con una console mezza sgangherata.


Ema Stokholma indossa DIADORA Heritage x Loving Unicorn Capsule Collection

Interview


FASHION Il tuo percorso inizia dalla moda. Come ti trovi a indossare di nuovo i panni di testimonial per Diadora? In realtà sono molto contenta, Diadora rappresenta il mio stile, quando per caso in azienda ho visto l’outfit che indosso per questa presentazione a Pitti 93 sono letteralmente impazzita, l’ho provato subito sopra i pantaloni, ero davvero entusiasta e devo dire che quando facevo la modella questo non succedeva spesso, perché o ti capitava l’abito pazzesco, oppure altre volte non mi sentivo tanto a mio agio con i look iper femminili. Io sono una persona stravagante, amo indossare capi che solitamente sarebbero di un guardaroba maschile, larghi e oversize. Amo molto lo streetwear e lo sportswear, devo dire che sto anche “rosicando” un po’, e ovviamente lo dico scherzando, perché negli ultimi tempi è uno stile che va molto. Io mi sono sempre vestita così, adesso lo fanno tutti e a volte fai fatica a sentirti speciale. Però è bello vedere che anche i grandi marchi siano orientati verso questa tendenza. La moda mi piace, la seguo e, devo dire la verità, soprattutto attraverso i social.

Mi rinchiudevo nella musica, mettevo su le mie cuffie e grazie a lei ho capito che prima o poi ci sarebbe stato un mondo bello e felice anche per me, ed è stato così. La musica ha sempre fatto parte della mia vita, anche quando facevo la modella. Uscivo spesso, le traccie che passavano nelle discoteche e nei locali che frequentavo non mi piacevano molto e anche in maniera un po' presuntuosa, pensavo di avere il mio contributo da dare. Dopo ho capito che bisogna stare alle hit e ai canoni musicali del momento. Ecco, diciamo che facendo la DJ ho smesso di giudicarli. Qual è stata la tua formazione musicale? Gavetta, gavetta, gavetta. Con i primi soldi guadagnati ho comprato la mia prima console, di quelle “scrause” di seconda o terza mano e l’ho messa in casa. Avevo comprato anche un dolby surround dai cinesi e ho cominciato a mettere su i pezzi che mi piacevano, provando a metterli a tempo. Sono convinta del fatto che bisogna allenarsi molto e sbagliare tanto. Secondo me la musica è una passione che va vissuta come fosse un amore. Io ho pianto tanto per questo lavoro, l’ho vissuto esattamente come una vera relazione. Quando mi trattava male io ne risentivo e invece quando andava bene ero esattamente la persona più felice del mondo, e tutt'ora è così.

A proposito di social, oggi anche nel mondo della musica come accade per altre professioni dello spettacolo, molti ragazzi arrivano al pubblico postando i loro video su YouTube. Come è avvenuto invece il tuo ingresso nel mondo della musica? Vengo totalmente da un’altra generazione, ascoltavo la musica sui vinili e sulle cassette, andavo in giro con il walkman. Ho sempre vissuto con la sua compagnia e grazie alla musica mi sono letteralmente salvata la vita, ho avuto un'infanzia difficile, un po' triste.

Em aS tok ho lm DI AD a a OR A

19 a oss –20 ind 2018 3 er ti 9 int Pit ll W Fa

Hai vissuto molto all’estero, c’è qualcosa di diverso nel panorama della musica italiana e straniera? In realtà no. L’Italia è un bel Paese anche a livello di festival di ogni genere. Tutti i DJ più importanti al mondo vengono in Italia. Amano venire a suonare qui perché sono trattati benissimo in tutto e per tutto. Dal pre serata, al dopo e durante. Bisogna anche dire che il pubblico italiano è davvero bellissimo, non parlo tanto per me, ma è una realtà che riscontro da quello che leggo anche in merito ad altri generi musicali. Io sono più electro-house, ma DJ molto importanti del mondo della tecno dicono che l’Italia è il posto perfetto per venire a suonare. Ammetto che abbiamo sempre da criticare questo Paese, ma nella musica siamo davvero bravi a dimostrare affetto. Tra i diversi palchi in cui hai suonato, qualcuno ti è rimasto particolarmente caro? È difficile dirlo, ho provato emozioni straordinarie sia davanti a 30 mila persone come agli MTV a Firenze, dove prima di suonare stavo male. Era una di quelle sensazioni che ti fanno pensare di non voler salire sul palco, poi metti il primo disco e allora non vorresti più scendere. Mi sono sentita benissimo a suonare anche davanti a sole 100 persone, perché sono quelle che ti danno l’adrenalina. È come se si creasse un legame particolare tra te e quei pochi, e questo è impagabile.

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Interview

Sei reduce dall’esperienza TV targata Pechino Express, cosa ci racconti dei quella avventura? È un’esperienza che ti cambia la vita. Ho sempre vissuto come in Pechino Express, quindi in costante movimento, spostandomi e viaggiando. Nel programma mi sono sentita davvero coccolata perché la produzione è fantastica, hai molte persone che ti sono intorno, che ti vogliono bene. Ti fanno sentire speciale, e ogni giorno, ogni prova che devi affrontare è come fosse un regalo. Si tratta di avventure che non hai mai fatto prima e che probabilmente non farai più. Si è creato un bel rapporto con tutti. È una di quelle esperienze che ti consente di creare dei legami con le persone.

Ema Stokholma indossa DIADORA Heritage x Loving Unicorn Capsule Collection

Uno sguardo al mondo dei talent. Anche se non lo si può definire uno scouting, hai partecipato alla giuria di Sanremo Giovani. Qual è la tua opinione sul nuovo modo di far emergere i talenti? Io credo che ci voglia un po’ di respiro tra un talent e l’altro. Se ci pensiamo, tanti anni fa non c'era un Jim Morrison all'anno, bisognerebbe lasciare un po’ di tempo ai ragazzi per diventare veramente dei talenti. Sanremo però è un’altra cosa, non c’è il fatto di dover stare tre mesi in una casa e diventare quello che non sei, a Sanremo Giovani sei già ciò che rappresenti, magari un po’ costruito dal produttore del caso, però sono convinta sia un’esperienza importante.

A.I.

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kult in the city


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part three


KULT IN THE CITY

Napoli ART

CARTA BIANCA Capodimonte Imaginaire

SPRING IS IN THE AIR

LORENZO MATTOTTI In mostra con “Seguendo le Tracce” Inaugurata in occasione della XX edizione del Salone Internazionale del Fumetto, è da non perdere la mostra di Lorenzo Mattotti - tra i fumettisti e illustratori più famosi al mondo - allestita nelle sale al piano nobile di Villa Pignatelli, con una serie di “Pulcinella” disegnati apposta per il Comicon 2018. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo, e le sue opere sono spesso in copertina su riviste di grande prestigio come il The New Yorker, Le Monde, Das Magazin, Corriere della Sera, Le Nouvel Observateur. Dopo aver collaborato al film “Eros” firmato a sei mani da Antonioni, Soderbergh e Wong Kar Wai, ha ottenuto di recente enorme successo con “Ghirlanda”, un’avventura fiabesca di 400 pagine che è al tempo stesso sogno, ricerca personale e viaggio oltre i limiti del fumetto tradizionale. Fino al 27 maggio Casa della Fotografia Villa Pignatelli – Riviera di Chiaia, 200 comicon.it

Un “Fuori Salone” tutto bianco, rosso e bollicine, antichi musei che si aprono al contemporaneo, spazi neoclassici che diventano gallerie d’arte internazionali, kermesse di teatro e una nuova Sala da Caffè 4.0. Visionaria primavera al sole del Vesuvio. testo di Ciro Cacciola

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Da un’idea di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, e Andrea Viliani, direttore del museo MADRE di Napoli: dieci personalità internazionali in diversi campi del sapere, con sensibilità, formazione, cultura, nazionalità e inclinazioni differenti, sono stati invitati a diventare curatori della loro sala “ideale” nel Museo di Capodimonte, selezionando liberamente circa dieci opere tra le 47.000 conservate, avendo “carta bianca” con il solo obbligo di argomentare la propria scelta. Hanno accettato la sfida lanciata dal Museo di Capodimonte: Laura Bossi Régnier, neurologa e storica della scienza; Giuliana Bruno, professoressa di Visual and Environmental Studies, Harvard University; Gianfranco D’Amato, industriale e collezionista; Marc Fumaroli, storico e saggista, membro dell’Académie française; Riccardo Muti, direttore d’orchestra; Mariella Pandolfi, docente di Antropologia, Université de Montréal; Giulio Paolini, artista; Paolo Pejrone, architetto e paesaggista; Vittorio Sgarbi, critico e collezionista d’arte, scrittore, docente; Francesco Vezzoli, artista. I curatori spiegano la propria scelta con interviste video accessibili dal proprio smartphone attraverso l’app Carta Bianca, estensione digitale dell’esperienza di visita alla mostra; sarà possibile salvare i contenuti e rivederli a casa. Fino al 28 giugno Museo e Real Bosco di Capodimonte Via Miano, 2


Naples LIFESTYLE

WINE & THE CITY Al via la X edizione tra degustazioni, visite guidate e spettacoli Undicesima, attesissima edizione per quello che ormai tutti in Italia conoscono come il “Fuori Salone” partenopeo. Un evento diffuso che mette in squadra talenti diversi, location esclusive e tanto, tanto vino. Il viaggio multisensoriale ha inizio giovedì 10 maggio dal Palazzo Reale di Napoli (gala dinner con visita privata all’appartamento storico, pizza gourmet e DJ set) e si conclude venerdì 25 maggio al Museo MADRE con un final party a numero chiuso sul tema: il gioco. Al centro della rassegna c’è infatti una Caccia al Tesoro a metà strada tra l’urban e il mind game che investe molti luoghi della città. E poi: happy hour nelle boutique più trendy con chef e sommelier in vetrina, riflettori sulle Scale di San Pasquale a Chiaia con un’azione d’arte a cura di Simona Perchiazzi, degustazioni nello stellato Palazzo Petrucci, performance di Ciro Oliva alla Sanità nell’atelier del designer Vincenzo Oste e, da non perdere, opening di una emozionante installazione dell’artista Lello Esposito site specific nella hall dell’Hotel Mediterraneo.

Dal 10 al 25 maggio wineandthecity.it

CULTURE

FOOD & DRINK

NAPOLI TEATRO FESTIVAL

NEW OPENING

Tra eventi teatrali, performance artistiche ed exhibition

Riapre il Bar Centrale 4.0

34 giorni di programmazione, 85 compagnie nazionali e internazionali, 160 recite complessive: l’undicesima edizione del Festival consolida un progetto culturale che individua il suo principale obiettivo nella ricongiunzione organica tra le arti della scena. Una ricchissima edizione che accoglie “prime” mondiali costruite intorno alle figure di Declan Donnellan, Isabelle Huppert (nella lettura de “L’amant” di Marguerite Duras), Rabih Mroué, Laetitia Casta, Thierry Collet. La sezione prosegue con “Brodsky/Baryshnikov”, omaggio di Mikhaïl Baryshnikov alla poesia di Joseph Brodsky e con Liv Ullmann per un significativo segmento in tre spettacoli dedicati al grande regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita (il 14 luglio 1918 a Uppsala). Ma il Festival non è solo teatro: in programma installazioni/ video/performance, laboratori, mostre, concerti, cinema e molti altri eventi collaterali, inclusa la mondanità del Dopo Festival nel Giardino Romantico di Palazzo Reale. Anche per il 2018 il Festival continua la collaborazione con Mimmo Paladino. L’artista ne progetta nuovamente l’immagine, il catalogo e i materiali promozionali, che diventano così oggetti d’arte, oltre che elementi informativi.

Forte di 60 anni di attività, interrotta solo il tempo di una sorprendente ristrutturazione, ha riaperto lo storico Bar Centrale, parte integrante della Stazione della Funicolare, con una nuova concezione di “essere bar”, sottolineata con il rafforzativo “4.0”. “Quattro Punto Zero non è solo una cifra di tendenza” confermano i soci Marco Reginelli e Mario Rubino. Qualità, ricette e cocktail esclusivi, eccellenze del territorio sono le cifre di un menù che racconta esperienze. Ogni sera l’aperitivo rende omaggio al cinema e alle arti visive con videoproiezioni di film rari e antologie fotografiche. Il soffitto del Bar Centrale conta due suggestive installazioni: una permanente, costruita come un binario ferroviario con scritte neon delle quattro fermate della Funicolare che guardano ad altrettante rivisitazioni grafiche dei progetti storici riproducenti la meccanica e il funzionamento della caratteristica

Dall’8 giugno al 10 luglio Casa del Festival – Palazzo Reale, Piazza del Plebiscito, 1 napoliteatrofestival.it

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ferrovia; e una installazione cinetica in movimento perpetuo, dedicata ad esposizioni temporanee. Il progetto architettonico si pone stilisticamente in continuità con l’ambiente che lo ospita (datato 1928), in una sorta di scenografia che si sovrappone alle strutture esistenti. In chiaro riferimento al Liberty, grande attenzione è stata riservata al decoro delle superfici interne: la pavimentazione, infatti, è realizzata in micrograniglia decorata, mentre il disegno della controsoffittatura si ispira alle coperture in ferro e vetro tipiche degli spazi collettivi del primo ‘900. Arredi, sedute, pannellature ricordano la cultura popolare e l’estetica dell’Italia degli anni Trenta, in cui i “Caffè” diventavano luoghi di cultura oltre che di intrattenimento e di incontro. Smart ma con un cuore “slow”. Un nuovo must cittadino. Bar Centrale 4.0 Piazza F. Fuga, 1


KULT IN THE CITY

Roma MEET ME HERE La capitale al centro di un turbinio di eventi da mettere in agenda. Una mostra multimediale per entrare nel mondo del padre della Secessione Viennese. I live delle star internazionali e nostrane. Insieme alla scoperta di un itinerario gastronomico dal sapore stellato ma dall’animo street.

ART

KLIMT EXPERIENCE Rappresentazione multimediale dedicata al padre fondatore della Secessione Viennese Fino al 10 giugno 2018 A cura di Crossmedia Group Piazza di San Giovanni in Laterano 74, Roma klimtexperience.com

Un percorso onirico, emozionante, semplicemente esperienziale grazie alla totale immersione digitale tra le opere come Il Bacio, L’Albero della vita, oppure Giuditta. Un evento che punta alla comprensione del genio creativo di Gustav Klimt, attraverso la spettacolare messa in scena della sua tecnica pittorica. In Klimt Experience bisogna lasciarsi trasportare dal flusso continuo di emozioni della Sala Immersiva: è qui che grazie alla forza espressiva della narrazione per immagini e suoni, pensata e realizzata dal regista Stefano Fomasi, prendono vita sui maxi schermi le proiezioni dell’allestimento ad altissima definizione che mostrano a 360°, le opere selezionate dallo storico dell’arte Sergio Risaliti.

FOOD

“MERCERIE” DI IGLES CORELLI L’ Hight Strett Food nel cuore della capitale L’idea di Mercerie High Street Food nasce dal desiderio di proporre la qualità dei piatti stellati in piccoli assaggi che rendano accessibile a tutti un percorso culinario generalmente piuttosto costoso. Così lo Chef stellato Igles Corelli, apre nel locale di Piazza Argentina un salotto del gusto dove i piatti della tradizione vengono rivisitati in praline, bottoni e lasagnette, sempre diverse anche in base alle stagioni. Tutti da assaporare seduti negli spazi che una volta ospitavano uno storico negozio di stoffe, oppure “to go”. Mercerie è

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Dalla durata complessiva di circa 85 minuti, l’esposizione comprende anche un contributo didattico sulla vita e l’avventura artistica di Klimt; trasmesse dagli oltre 20 monitor della Sala Visual con segni e figure che si susseguono nelle pareti, sul pavimento e sul soffitto della Sala degli Specchi e dall’esperienza di realtà 3D con gli Oculus VR sviluppata in esclusiva per Klimt Experience da Orwell Milano. L’atmosfera glamour accompagna la visita. Nell’itinerario spiccano gli abiti riprodotti interpretando i disegni e le textures creati ormai oltre un secolo fa da Gustav Klimt.

un luogo dove vivere l’esperienza del food a 360° grazie alle proposte che partono dalla colazione all’aperitivo, fino al dopocena, a cui si accostano gli immancabili cocktail firmati da Riccardo Colasanti, uno dei migliori bartender emergenti della Capitale che crea e rivisita nuovi e antichi drink da associare ai migliori assaggi dello Chef il quale, riguardo alla nuova avventura, afferma: «Con questa nuova ambiziosa sfida desidero dare il mio contributo ad una ristorazione che, senza rinunciare alla qualità, sia anche veloce e facilmente fruibile, ma sempre rigorosamente sorprendente.» Via San Nicola de’ Cesarini, 4/5 mercerie.eu


Rome MUSIC

TRE CONCERTI DA NON PERDERE Lana del Rey, Ministri e Björk

Ministri

Lana del Rey

Il 13 aprile Lana Del Rey sbarca al Palalottomatica. La cantante di Brooklyn è alle prese con il nuovo tour europeo “L.A. To The Moon” prodotto da Live Nation. Protagonisti i brani dell’ultimo album “Lust for Life” che è stato in vetta alle classifiche Billboard 200 per diverso tempo. Un progetto ricco di collaborazioni dove spuntano i nomi di The Weeknd, A$AP Rocky, Playboi Carti, Stevie Nicks e Sean Lennon. A seguire il 14 aprile arrivano all’Atlantico I Ministri, il gruppo milanese nato nel 2006 contraddistinto da un animo rock tremendamente ironico. Il nuovo tour è l’occasione giusta per presentare l’album “Fidatevi” in uscita a marzo, un lavoro realizzato dopo tre anni di stop. Da non perdere anche l’appuntamento del 13 giugno 2018 alle Terme di Caracalla con Björk. L’artista islandese, famosa per il suo mix musicale sui generis che unisce diversi stili dal rock all’elettronico e al pop, semplicemente iper carismatica, non si esibiva in Italia dal 2015. Torna a giugno con un live in coproduzione con DNF Live e Just Music Festival che va a inaugurare la nuova stagiona artistica estiva promossa dal Teatro dell’Opera di Roma e dedicato ai diversi linguaggi della musica contemporanea.

Björk

2018 13 aprile Lana del Rey – Palalottomatica 14 aprile Ministri – Atlantico 13 giugno Björk – Terme di Caracalla

LIFESTYLE

ROMICS GIUNGE ALLA XXIII EDIZIONE La rassegna dedicata al fumetto, al cinema e al game Torna la grande rassegna internazionale sul fumetto, l’animazione e i games, organizzata dalla Fiera di Roma e dall'associazione ISI.Urb. Il Festival è caratterizzato da un programma culturale di livello internazionale, con prestigiosi ospiti, mostre, anteprime, eventi speciali, incontri con i responsabili dei più rilevanti festival internazionali, che vede protagonisti gli stand degli editori, fumetterie e collezionisti. Il programma culturale di Romics include l'Officina del fumetto e della multimedialità che oltre a coinvolgere gli addetti al settore è, per il pubblico appassionato, l’occasione per fare il punto sullo stato del fumetto italiano e internazionale grazie a conferenze, tavole rotonde, incontri sul tema e con gli autori. Tra i Grandi Eventi: il Romics Cosplay Award, in collaborazione con il World Cosplay Summit di Nagoya.

Dal 5 al 8 aprile 2018 Fiera di Roma romics.it

Quest’anno Romics celebrerà l’artista inglese Martin Freeman con l’assegnazione del primo Romics d’Oro mai attribuito a un attore per la sua capacità di interpretare immaginari che dalla letteratura e dai fumetti sono passati al cinema, alla televisione e al teatro, in un’ottica assolutamente transmediale. Un altro premio importante sarà invece assegnato al mangaka Tsukasa Hojo - celebre creatore delle serie Occhi di Gatto, City Hunter e Angel Heart - con il Romics d’Oro alla carriera.

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KULT IN THE CITY

Milano TEATRO METROPOLITANO Balla, esce, va a cena fuori di lunedì, legge indipendente e beve ricercato. La Milano di oggi non è più quella che eravamo abituati a conoscere fino a una manciata di anni fa, i luoghi e le storie qui selezionati lo affermano a gran voce. testo di Marco Torcasio

Courtesy of Maison Margiela Press Office

MM6 Maison Margiela via Vincenzo Capelli 5 Lun - Sab: 10,30-19,30, Dom: 10-19 FASHION

MM6 MAISON MARGIELA Graffiti e scribbles neri sull’iconico bianco evocano il passato e il presente della maison Inizialmente inaugurato nel 2014 come il solo punto vendita dedicato a tutte le linee di accessori del brand, lo spazio di 60mq in Porta Nuova ha riaperto durante l’ultima fashion week milanese, come il primo negozio esclusivamente dedicato a MM6 Maison Margiela, la linea contemporanea donna che include abbigliamento, calzature, accessori e pelletteria. In accordo con lo spirito di MM6 che reinterpreta gli iconici concetti anticonvenzionali di Margiela. Tra pannelli alle pareti e pvc sul pavimento, lo spazio attuale è stato rivestito totalmente di bianco. Gli allestimenti rimovibili scelti come arredo contribuiscono a una generale atmosfera di work in progress. In linea con il carattere inclusivo di MM6, un gruppo di studenti IED e Marangoni è stato coinvolto nel progetto di design del negozio.

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Milan editrice, ABEditore, Black Coffee, Edicola Ediciones, Cesura Publish e Safarà sono solo alcune delle case editrici, tutte diverse fra loro ma con un desiderio comune: trovare ciò che sia allo stesso tempo bello e nuovo, dargli spazio e farlo durare. In perfetto stile caffè letterario, inizia a marzo un ciclo di incontri dal titolo “Le parole degli altri” (16, 30 marzo; 13 aprile; 11 maggio; h. 18,30), un invito alla lettura senza alcun tema prestabilito per dare luogo a un libero momento di condivisione personale. Un altro ciclo di incontri sarà dedicato a BUILD (17 aprile; 15 maggio; 12 giugno; h. 18,30) - associazione studentesca dell’Università Bocconi che approfondisce tematiche di design management e urban strategies. Non mancano le presentazioni e gli incontri con gli autori: 27 marzo, h. 18,30 - The whale in the woods/ La balena nel bosco di Emanuele Piccardo (racconta le sperimentali architetture di Vittorio Giorgini, Casa Esagono e Casa Saldarini, costruite negli anni ‘50-‘60 nella pineta di Baratti). 10 aprile, h. 18.00 - La scienza in tribunale. Dai vaccini agli Ogm, da Di Bella al terremoto dell’Aquila: una storia italiana di orrori legali e giudiziari; di Luca Simonetti, editore: Fandango. 10 aprile, h. 18,30 - Homo Sapiens e altre catastrofi. Per un’archeologia della globalizzazione; di Telmo Pievani, editore: Meltemi. Durante la settimana del Fuori Salone, architettura e design diventano attori principali, con mise en place dedicate e un’installazione speciale, che a che fare con Thoreau, dell’azienda di legno Innova Fvg e Domus Gaia.

BOOK

WALDEN Nella libreria-bistrot, tra piante e colori due anime si fondono

La cucina è espressa, tutto cioè viene servito e cucinato al momento, i pranzi e le tapas serali sono rigorosamente home-made e non mancano dolcetti, crostate, biscotti fatti in casa per la colazione o la merenda pomeridiana. La bottigliera offre vini di piccole cantine e prodotti alcolici di particolare produzione. La libreria ospita solo editori indipendenti; qui, come sul bar, aleggia la filosofia del libro a cui s’ispira il nome del locale. Edizioni Atlantide, L’Orma, Ortica

Walden Via Vetere 14 waldenmilano.it

LIFESTYLE

APRÈS-COUP L’estetismo si fa teatro, bistrot e showroom

La galleria d’arte contemporanea Après-coup Arte è parte integrante del progetto Aprèscoup di cui rappresenta, insieme a Bistrot/Proscenio e Spazio Nur, una delle tre identità che, vissute singolarmente o insieme, caratterizzano questo neonato spazio milanese nel quartiere storico di Porta Romana. Il Bistrot è un luogo autentico, fluido, dove ci si ritrova, potendosi dedicare interamente a se stessi, una Wunderkammer in cui arredo e dettagli sono rigorosamente originali, riportando indietro le lancette alla prima metà del Novecento: dai servizi da thè alle abat-jour Déco e Liberty, dalle posate con i manici d’osso e di resina alle fantasie Déco e alle ceramiche Art Nouveau, sino alle appliques di ottone e opalina

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o alla lampada nel bagno delle signore risalente agli anni ‘20. La zona dedicata all’arte ospita sei mostre all’anno senza alcun costo per gli artisti, che avranno la possibilità di un confronto quotidiano con il mondo dell’arte e con il pubblico, presentando i risultati delle loro ricerche e sperimentazioni, anche le più trasversali e borderline. Spazio Nur, ovvero Tahereh Toluian, che da diversi anni si occupa con passione di moda di ricerca e design, rappresenta la terza anima di Après-coup, proponendo collezioni di abiti, bijoux e accessori realizzati da stilisti italiani e internazionali. Après-Coup via Privata della Braida 5 apres-coup.it


KULT IN THE CITY

MUSIC

PIANO CITY 2018 Un festival indipendente che ambisce a farsi città Con i suoi 450 concerti gratuiti nel 2017, Piano City Milano si conferma una delle manifestazioni più apprezzate dalla città, capace di restituire ai cittadini il piacere della cultura condivisa, della partecipazione e della socialità. Dai grandi artisti di profilo internazionale come Chilly Gonzales, Ludovico Einaudi e Michael Nyman, ai giovani talenti, pianisti provenienti da ogni parte del

mondo danno vita ogni anno a un palinsesto straordinario di concerti nelle case, nelle piazze, nei luoghi simbolo di Milano, dal centro alle periferie, e oltre i confini della città. Perché nel nome c’è già tutto:
Piano, perché è un omaggio allo strumento e alla sua musica, City perché della città ha l’energia, il clima elettrizzante, e Milano perché la sua ineguagliabile misura umana di quartieri, case, cortili, giardini, i suoi tanti luoghi amati o inaspettati, ne fanno il teatro ideale per l’incontro e la partecipazione. 18,19,20 maggio pianocitymilano.it

ART

OTHER SIZE GALLERY Collegamenti trasversali tra arte, musica, food e design Nasce nel cuore di Milano Other Size Gallery, sotto la direzione artistica di Maria Savarese. Lo spazio espositivo si colloca all’interno del concept Workness, contesto multidisciplinare che in un’atmosfera elegante e cosmopolita coniuga un raffinato bistrot, il Bistruccio, un angolo bar-libreria dove ascoltare anche musica dal vivo, un’area dedicata alla danza, Muse, e, appunto, tanta arte contemporanea. Inaugura la stagione espositiva Babel (in corso fino al 22 aprile), inedito progetto personale di Christian Leperino (Napoli, 1979). Other Size Gallery via Andrea Maffei 1 othersizegallery.it

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Milan

ITALIANA. L’ITALIA VISTA DALLA MODA 1971-2001 Una mostra ideata da Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi a Palazzo Reale per raccontare la moda italiana durante la celebre stagione del Made in Italy.

Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001 Fondazione Gianfranco Ferrè P/E 1993

Fino al 6 maggio 2018 Italiana. L’Italia vista dalla moda 1971-2001 A cura di Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi Milano, Palazzo Reale

L’arte, l’architettura, il cibo, la moda. Sono quei pilastri che conferisco all’Italia un fascino senza confini e che ancora oggi ci emozionano, esaltano, ci inorgogliscono riconoscendone sensibilmente la mancanza. “Italiana. L’Italia vista dalla moda 19712001” è la mostra inaugurata in occasione della fashion week milanese, che celebra e racconta la moda italiana in un periodo storico, evidenziando la progressiva messa a fuoco e l’affermazione del sistema italiano della moda nella grandiosa stagione del Made in Italy. Un progetto, in forma di mostra e libro, ideato e curato da Maria Luisa Frisa e Stefano Tonchi per raccontare trent’anni di storia e la nascita del fenomeno del Made in Italy. Un periodo indimenticabile di creatività culturale, in cui le relazioni e gli scambi tra gli esponenti delle generazioni italiane dell’epoca a cui appartenevano artisti, architetti, designer e intellettuali hanno impostato le rotte della presenza italiana nella cultura internazionale. Un excursus emozionale che parte dal 1971, anno che dà il via alla stagione del prêt-à-porter italiano e alla censura simbolica dell’alta moda, per arrivare al 2001 dove la moda italiana cambia pelle e si trasforma in un fenomeno globale. Ma il 2001 è anche l’anno del terrore, di una presa di coscienza diversa, di una visione che spaventa e incoraggia a nuove strade e in cui il sistema internazionale, già messo a dura prova dalle mutazioni geopolitiche degli anni novanta, viene radicalmente e definitivamente messo in discussione dagli attentati dell’11 settembre.

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Il percorso espositivo, allestito nelle stanze di Palazzo Reale, non procede in maniera cronologica, ma si articola in vari temi Identità, Democrazia, In forma di logo, Diorama, Project Room, Bazar, Postproduzione, Glocal, L’Italia degli oggetti - seguendo una lettura critica sugli aspetti rilevanti della cultura e della moda nei 30 anni presi in considerazione. La mostra si svolge in nove stanze, una diversa dall’altra, dove sono esposti una selezione di oggetti tra moda, arte, design, fotografia, editoria risalenti ad artisti come Michelangelo Pistoletto, Maurizio Cattelan, Elisabetta Benassi, Giulio Paolini, Marcello Maloberti, Luciano Fabro, Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft, Luigi Ontani, Alighiero Boetti, per testimoniare la complessità creativa e sociale dell’arte italiana negli ultimi decenni del secolo e valorizzare la qualità della moda italiana attraverso il loro sguardo e le loro opere. Insieme alle immagini di Gian Paolo Barbieri, Alfa Castaldi, Aldo Fallai, Fabrizio Ferri, Giovanni Gastel, Paolo Roversi, Oliviero Toscani, solo alcuni dei fotografi presenti, esempi della capacità sperimentale e visionaria che hanno caratterizzato la fotografia italiana di moda dal 1971 al 2001. A fare da supplemento all’exhibition un volume realizzato da Marsilio con una serie di testi inediti, una antologia riassuntiva della letteratura sulla moda di quegli anni, e immagini tratte dalle più importanti riviste del periodo. Tra i nomi in mostra: Alberta Ferretti, Antonio Marras, Blumarine, Bottega Veneta, Diesel, Emporio Armani, Fendi, Ferragamo, Fiorucci, Franco Moschino, Fratelli Rossetti, Genny, Gianfranco Ferré, Giorgio Armani, Gucci, Mario Valentino, Moncler, Tod’s, Trussardi, Valentino, Versace, Walter Albini. Un nostalgico viaggio dal grande fascino per un omaggio al Paese del Bon Vivre.


KULT IN THE CITY

IL VALORE DELLE IMMAGINI SECONDO IEVA PETERSONE E DIMITRI AGNELLO

Olio su cotone

Dimitri Agnello Expulsion, 2017

M77 Gallery, l’hub cretivo di Giuseppe Lezzi ed Emanuela Baccaro, presenta a Milano “1 + 1”, l’esposizione di due giovani talenti dell’arte che pongono l’accento sul valore illusorio e allusivo della dialettica delle immagini.

D

a un lato le iconografie che popolano lo spazio di un’atmosfera dominata dalla contrapposizione di arazzi di grandi dimensioni, alternati a tele di piccolo formato. Bianco su bianco, evocative, bibliche. Nuove versioni di un Masaccio contemporaneo che nella loro trasparenza raccontano il valore dell’educazione, vista però come una sconfitta della società. Dall’altro, invece, dipinti concettuali carichi di colori brillanti e forme stimolanti, nati da una personale interpretazione

ritmi-formica degli oggetti di design e un lavoro per sottrazione che indaga, un po' come una seduta psicoterapica, la soggettiva percezione emozionale. In occasione dell’anteprima di UNO+UNO, la doppia personale inedita di Ieva Petersone e Dimitri Agnello presentata da M77 Gallery e aperta al pubblico fino a sabato 21 aprile 2018, Kult incontra i due giovani artisti protagonisti di una originale dialettica sul colore e sull’uso dei materiali che esplicita, con esiti pur diametralmente diversi, una comune ricerca creativa basata sui rimandi, sull’allusione e sull’illusione dell’immagine.

Da quale riflessione nasce la tua esposizione? D.A. L’immaginario della mostra è strettamente legato alla sfera dell’educazione. Educazione vista come imposizione, addomesticamento e canalizzazione dei pensieri in un’unica via. Era inevitabile il confronto con la religione. In questo senso la mostra parla di sconfitta e fallimento di una Nazione analizzata partendo dal secolo scorso, tramite i movimenti anche politici mossi dalla volontà di imporre un’ideologia e un determinato comportamento. Oggi si sta ripetendo tutto, le masse vengono spinte verso la diffidenza dello straniero, tutto questo era già accaduto e non ha portato a un buon epilogo. Al momento noto che c’è una forte tendenza e una nostalgia non vissuta di tornare a quei tempi. Buona parte di queste opere sono su cotone, è un lavoro che nasce prendendo spunto dall’arazzo del tardo ‘400. L’arazzo ha un’origine nobiliare e lo si nota non solo dal materiale che veniva usato, per esempio intrecciando fili d’oro e d’argento, ma anche da ciò che veniva rappresentato, come eroi, ritorni in patria e scene gloriose di cui il popolo doveva andare fiero. In questa rappresentazione mi interessava l’esatto opposto sia dal punto di vista dei materiali che dei soggetti. Ho analizzato le sconfitte e i fallimenti della società. Per esempio Expulsion, la “Cacciata dal Paradiso” è da vedere come un’espulsione dalla classe che, accostata alla presenza delle due mani che hanno una valenza davvero simbolica. Sembra che l’una chieda il permesso di poter dire o fare qualcosa e l’altra sembra invece che stia per esprimere un giudizio o, appunto, il gesto di una cacciata.

Che ruolo ha il valore dell’immagine e al contempo dell’artista? D.A. Penso che il valore apportato da un artista o comunque di un soggetto che lavora per immagini, sia quella di sensibilizzare il pubblico a un certo tipo di visione. Oggi viviamo una saturazione di immagini, ogni giorno ne siamo bombardati senza nemmeno accorgercene, sono fotogrammi forti, da zone di guerra, ci pressano e si ammassano nella mente e non solo. Fotografie che ci hanno portato al punto di essere quasi insensibili, non riusciamo a interiorizzarle. Penso che ora il pericolo sia percepito come lontano perché è vissuto tramite un mezzo che è estraniante, per esempio il cellulare. Eugenio Turri ha scritto un trattato sul paesaggio, e qui parla di come questo sia cambiato, o meglio tramite l’invenzione del treno o della macchina, è cambiato il modo di come noi percepiamo il paesaggio. C’è un materializzarsi continuo di immagini che scorrono dal finestrino, e la stessa cosa succede tramite lo smartphone e i social network, mezzi così veloci che non ci lasciano percepite tutto.

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Milan

Da cosa è composto il tuo lavoro qui? I.P. I miei soggetti sono sedie e tavoli molto riconoscibili. Questo è parte della mia grande passione per il design. È un percorso sviluppato sin dal mio arrivo a Milano. Ho raccolto diversi materiali facendo fotografie in strada, oltre a quello che si può vedere nei saloni dedicati al design, a me interessavano le forme che si sviluppano negli angoli della città, dagli accatastamenti di oggetti magari vicino alla serranda di un bar. Dopo aver scattato davvero tante foto, mi sono resa conto dell’essenza ritmi-formica che ne usciva fuori, e questa era la cosa che più mi colpiva. Guardando bene tutti i materiali ho notato che, facendo un’operazione di sottrazione e dunque andando a levare tutto quello che era in più, le immagini creavano altre forme che non c’entravano più con l’oggetto in sé, ma sviluppavano delle concatenazioni di pensieri. Vorrei che guardando ogni quadro si possano aprire paragoni e sensazioni diverse, o magari anche uguali.

Leva Petersone Allegoritmica 4, 2017 Olio su tela

In 1+1 qual è il punto di incontro tra il tuo lavoro e quello di Dimitri? Penso che il contrasto e la diversità sia la cosa più bella che è nata da I.P. questo progetto. Tecnicamente sono due cose opposte che dialogano tra loro. È strano, ma il nostro pensiero coincide col fenomeno del paragone, di cose che stanno dietro all’oggetto. Il desiderio di voler vedere il mondo da un'altra prospettiva. Penso che siamo saturi di immagini e di informazioni, accumuliamo tutto e, a volte, ci lasciamo influenzare. Voglio dare altri stimoli alleggerendo il mondo tramite l’uso del colore. Vorrei che le persone si soffermassero a osservarlo per lasciarsi rapire dalle sensazioni viscerali che stimola. Nelle mie opere il colore è la cosa quasi più importante, lo scelgo in base alle mie emozioni e agli abbinamenti possibili. La caratteristica principale è la brillantezza, deve essere forte, a volte quasi cattiva. L’arte è inevitabilmente psicologica e ha molto a che vedere con il modo in cui noi interpretiamo le cose. Nei miei dipinti il colore a volte attira l’attenzione, altre volte tranquillizza, altre ancora inquieta. A.I.

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KULT IN THE CITY

Parigi

testo di Alessandra Fanari

Amélie Pichard

Street cultura, sportswear e culto dell’accessorio. Sono questi gli ingredienti dell’ultimo moodboard parigino tra London calling e California dreaming: Parigi evade verso nuove destinazioni. Concept store e new location cool dal decoro vintage, ispirazioni rap e un touch surf della West Coast, disegnano un percorso sorprendente che trascina inaspettatamente.

©Arthur Delloye

INEDITE EMOZIONI

LIFESTYLE

THE HOXTON The coolest hotel Protetto dagli sguardi delle alte mura di un vecchio hôtel particulier, lontano dal cliché del “grand palace” parigino, il The Hoxton, l’insegna più cool della nuova generazione degli hotel inglesi, sbarca a Parigi. Il successo di Londra e Amsterdam si rinnova nella capitale facendo dell’Hoxton il nuovo spot di un parisianismo hype e codificato. Un concetto semplice, che moltiplica gli eventi in uno spazio multiforme, dalle ambiances diverse. Con due grandi terrazze coperte, disseminate di tavolini, divani e dotate di un cocktail bar, un ristorante articolato su più sale, un intimo bar al primo piano, un altro più animato al pianterreno, l’Hoxton regala ai suoi ospiti il piacere della sorpresa. Sinonimo di un’arte alberghiera cool e urbana, l’hotel accoglie attualmente l’universo di Amélie Pichard. L’Oasis Pichard immerge il visitatore in una rêverie d’estate. Uno spazio fuori dal tempo disseminato di oggetti improbabili e da creazioni della designer. Design&fils Chilling – A River Runs Through It ©Thomas Mailaender

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The Hoxton 30-32 Rue du Sentier thehoxton.com


Paris

Kendrick Lamar Damn.Tour

FASHION & MUSIC

NOUS & THE DAMN.TOUR Pop up store with Kendrick Lamar’s limited edition NOUS è il nuovo concept store della Parigi post-Colette. Vetrina delle ultime tendenze sportswear, accessori hitech, orologeria, lo spazio catalizza l’energia di una street culture senza frontiere, sperimentando esclusive dinamiche e collaborazioni. È qui che Kendrick Lamar, il rapper afroamericano in tournée con il suo The Damn.Tour, ha deciso di deporre le valigie con una collezione in edizione limitata presentata durante le date dei suoi concerti francesi. È grazie a eventi di questo calibro che si definisce l’identità Nous: una piattaforma modulabile, un catalizzatore di esperienze inedite tra industria e creatività. Pilotato da un’équipe di ex-collaboratori di Colette, tra cui Sébastien Chapelle, direttore del polo hi-tech e orologeria insieme a Marvin Dein (sneakers) la boutique, installata nella celebre Rue Cambon, si fa interprete di uno streetwear sempre più ricercato che decodifica le ultime tendenze sportswear e accessori.

Nous 48 Rue Cambon, Paris nous.paris

FASHION

RAEN From California to Paris È la marca di occhiali prediletta dalle star americane. Nata a San Diego 11 anni fa, destinata alla sua comunità di surfisti, atleti, artisti o avventurieri e tutti gli amanti del mare e del sole, Raen decolla dalla sua California e atterra a Parigi. Per il lancio parigino il brand ha scelto l’iconico quadro anni ’80 di Les Bains, in una presentazione che ripercorre attraverso modelli simbolici la storia e la filosofia del marchio “Inspired by the classic. Handmade for today”. L’estetica essenziale, materiali ultraleggeri e una vasta gamma

di gradazioni cromatiche delle lenti garantiscono uno stile fortemente definito e una grande portabilità. La collezione si arricchisce di una nota pop grazie alla collaborazione con il più dandy dei surfisti, Alex Knost. Una capsule collection dichiaratamente vintage, che con le sue forme futuriste e la vivacità dei colori rinvia direttamente all’America degli anni ’60 e i suoi happy days.

Alex Knost @raen_optics

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KULT IN THE CITY

Larchmont Village the unusual face of L.A. testo di Antonella Tereo

Spensierato, dall’animo green e fuori dagli schemi, stretto in tre sole avenue ma ai piedi di Hollywood.

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Los Angeles

L

archmont Village, un’area poco sopra Downtown della Los Angeles che offuscata dalle sue luci - riflette un’altra anima, forse non così nota al mondo. Il quartiere si stringe fra Larchmont Blvd a Ovest e Melrose Avenue a Nord, quasi a circoscrivere un piccolo microcosmo che si delizia fra ritrovi inusuali ed esperimenti frutto di giovani imprenditori, nonché piccoli talenti dello stato più popoloso degli U.S.A. Il tutto a pochi passi anche da Koreatown, un altro universo di vite del tutto indipendenti, ma che sa stupire chi si allontana dalla ribalta delle zone più turistiche e popolari della città. Salt & Straw Larchmont Village

È forse la porta d’accesso a quella Downtown, più animata e verace che - un po’più a Sud - anticipa di fatto quei negozi indipendenti, le storiche librerie dell’usato (come The Last Bookstore, in Spring Street) o caffetterie di nuova ispirazione, come anche i ritrovi che sorgono dopo il recupero di ex-magazzini o antichi teatri in disuso che hanno lasciato da qualche anno il posto all’ospitalità meno banale, come è accaduto a The Ace Hotel. Un quartiere che sin dai primi del Novecento era frutto di una visionaria aspettativa, quella di divenire area di grande transito per e da il centro città. E così il flusso di asiatici, latini ed etnie diverse hanno segnato un po' la storia di questo territorio, seppur circoscritto, determinandone la multietnicità e la creatività. E così anche lo stile di vita, lontano dai riflettori e fatto di giovani, idealisti e alla ricerca di un easy way out, anche oggi. Così c’è il parco, ad esempio. Per eccellenza quelli a Larchmont Village sono il Robert L. Burns Park e l’Hancock Park, oasi per le ore di relax e quanti vogliono dedicarsi un pic-nic, in qualsiasi stagione, vista la mite temperatura che la California regala.

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KULT IN THE CITY

archmont Village, un’area poco sopra Downtown della Los Angeles che offuscata dalle sue luci - riflette un’altra anima, forse non così nota al mondo. Il quartiere si stringe fra Larchmont Blvd a Ovest e Melrose Avenue a Nord, quasi a circoscrivere un piccolo microcosmo che si delizia fra ritrovi inusuali ed esperimenti frutto di giovani imprenditori, nonché piccoli talenti dello stato più popoloso degli U.S.A. Il tutto a pochi passi anche da Koreatown, un altro universo di vite del tutto indipendenti, ma che sa stupire chi si allontana dalla ribalta delle zone più turistiche e popolari della città. È forse la porta d’accesso a quella Downtown, più animata e verace che - un po’più a Sud - anticipa di fatto quei negozi indipendenti, le storiche librerie dell’usato (come The Last Bookstore, in Spring Street) o caffetterie di nuova ispirazione, come

A destra,

By the slice – Larchmont Village

anche i ritrovi che sorgono dopo il recupero di ex-magazzini o antichi teatri in disuso che hanno lasciato da qualche anno il posto all’ospitalità meno banale, come è accaduto a The Ace Hotel. Un quartiere che sin dai primi del Novecento era frutto di una visionaria aspettativa, quella di divenire area di grande transito per e da il centro città. E così il flusso di asiatici, latini ed etnie diverse hanno segnato un po' la storia di questo territorio, seppur circoscritto, determinandone la multietnicità e la creatività. E così anche lo stile di vita, lontano dai riflettori e fatto di giovani, idealisti e alla ricerca di un easy way out, anche oggi. Così c’è il parco, ad esempio. Per eccellenza quelli a Larchmont Village sono il Robert L. Burns Park e l’Hancock Park, oasi per le ore di relax e quanti vogliono dedicarsi un pic-nic, in qualsiasi stagione, vista la mite temperatura che la California regala.

Larchmont Village Evening Outdoor Dining

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Barcellona

Volvo loves Barcelona Da Volvo nasce XC40, il SUV compatto pensato per chi vive la cittĂ : smart, sicuro, elegante, ci ha accompagnato in un day trip alla scoperta dei luoghi piĂš segreti di Barcellona

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KULT IN THE CITY

P

oche città al mondo possono vantare il dinamismo e la vitalità di Barcellona, la Ciudad Condal che ha saputo trasformarsi da tranquillo e raccolto porto di mare in una delle metropoli più vive e modaiole del momento. Cosmopolita, solare, vivace, ha conservato la sua tradizione pur aprendosi alla modernità, e oggi ci invita a scoprire i suoi mille volti in un viaggio attraverso i luoghi più nascosi e affascinanti. Gli stessi che Kult ha raggiunto grazie a Volvo, protagonista di un day trip che parla di innovazione, sicurezza e lusso: è a bordo della nuova XC40 che infatti raggiungiamo il Paradiso (Carrer de Rera Palau, 4), un locale in pieno stile hidden, celato dietro un Pastrami Bar: anonimo e essenziale fuori, dentro racchiude un piccolo mondo, con sale nascoste che si susseguono una dopo l’altra come fossero una matrioska e che portano fino a una geniale secret room aperta solo al pubblico più selezionato. Seduti al banco dei bartender, avrete a disposizione una carta dei cocktail non infinita ma assolutamente originale e potrete gustare un pastrami o una tapa avvolti da un’atmosfera d’altri tempi. Basta meno di mezz’ora dal Carrer per raggiungere il tratto di spiaggia antistante l’aeroporto, il Passeig de la Platja, che accoglie da diversi anni un Surf Hut in continua evoluzione.

La nuova Volvo XC40

Qui Marco, italiano di nascita e catalano d’adozione, sta lavorando alla creazione di un surf club concepito come luogo d’aggregazione per i surfer (il primo in Europa) e in grado di accogliere anche comunità disagiate attraverso numerose attività di recupero. Nel frattempo, a Barcellona il Surf Hut è diventato celebre perché qui si creano tavole personalizzate con un budget compreso fra le 400 e le 1000 euro. Sono pezzi unici costruiti su misura in base a peso, altezza e esperienza del cliente, senza tralasciare il tipo di onda che questo andrà a cavalcare. E poi via, di nuovo al volante per attraversare la Rambla fino al civico 24 del Carrer de Joaquín Costa e raggiungere la Hidden Factory, una visionaria location nata in una vecchia fabbrica di fili di rame e conosciuta da tutti come il ristorante segreto del quartiere Raval. Qui l’esperienza culinaria diventa magica non solo grazie all’estro degli chef stellati Xavi & Nico, ma soprattutto per i ricercati pezzi di design. Lasciatevi affascinare da vecchi grammofoni e tv in bianco e nero, poltrone corredate di…ossa, fino a manichini spezzati, metà uomo metà strumento musicale: all’interno di questo loft nascosto potrete vivere un’esperienza che ha il sapore del surrealismo.

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Barcellona

Spostarsi sulle strade di Barcellona è stato facile grazie soprattutto ai plus che XC40 offre: le parole d’ordine sono “simple”, “enjoyable” e “customized”, e raccontano alla perfezione la vision di Volvo, che mette la scelta del singolo individuo al centro della sua filosofia con un SUV premium di dimensioni compatte. Dedicato a un pubblico più giovane e progettato per rispondere alle sfide della moderna vita cittadina, per XC40 il marchio svedese ha totalmente ripensato l’organizzazione degli spazi interni collocando in posizioni strategiche i vani portaoggetti (utilissimi, ad esempio, quelli sotto i sedili) o eliminando i diffusori audio dall’usuale alloggiamento all’interno delle portiere - disegnate per accompagnare al meglio i movimenti del guidatore - in favore di un sub-woofer ventilato ad aria montato nel cruscotto. I plus di cui non potremo più fare a meno? Lo speciale alloggiamento per i telefoni cellulari completo di dispositivo di ricarica a induzione, un gancio a scomparsa per piccole borse e un cestino per i rifiuti estraibile nella console fra i sedili, oltre all’impostazione vocale della destinazione. Con Volvo il mondo dell’automotive si muove - per l’appunto - sempre più velocemente verso il futuro e acquisisce molte delle proprietà tipiche di un device. Per facilitare al massimo non solo gli spostamenti, ma la gestione stessa della vettura, XC40 permette di condividere la propria auto con amici e familiari attraverso una nuova tecnologia a chiave digitale, parte di Volvo on Call: non c’è più bisogno di affidare le chiavi a qualcuno, per aprire XC40 basta un click.

Gli interni anteriori di Volvo XC40

Ma il nuovo modello Volvo ci ha conquistato anche e soprattutto grazie alle sue linee che strizzano l’occhio al pubblico femminile: XC40 è basato sulla nuova Architettura Modulare Compatta (per ospitare la tecnologia più recente) e è disponibile in una gamma colori più ampia e vivace rispetto alle precedenti. Facile da guidare e insuperabile in fatto di praticità, i dispositivi di sicurezza e di assistenza alla guida della XC40 includono i sistemi di Volvo Cars Pilot Assist, City Safety, Run-off Road Protection & Mitigation a tutela degli occupanti in caso di uscite di carreggiata, Cross Traffic Alert con assistenza alla frenata e telecamera a 360° per facilitare le manovre di parcheggio in spazi limitati.

G.L. Paradiso Carrer de Rera Palau, 4


KULT

Nothing can stop the system Moncler Genius, Tommy Hilfiger e Moschino Eyewear: fra gli eventi più cool del fashion system! testo di Alessandro Iacolucci

Starry night with Moncler Genius La casa di Grenoble presenta un nuovo corso del marchio che coincide con la scelta di una filosofia creativa al cui centro dell’universo ci sono il prodotto e il consumatore. Un hub che vede la collaborazione di 8 grandi stilisti, ideato da Remo Ruffini che svela in anteprima, durante Milano Moda Donna, il Genius Building: repubblica dell’immaginazione e luogo fisico dove la nuova visione diviene tangibile attraverso differenti collezioni, affrontando le varie sfaccettature dell’identità di Moncler Genius. Un party inaugurale che ha visto la presenza di star, celebs internazionali e nostrane, in un place dall’animo futurista. Hanno calcato il backdrop e l’ingresso, personaggi dal calibro di Naomi Campbell, Tina Kunakey, Madalina Ghenea, Margherita Missoni, Anna Dello Russo, Dean e Dan Caten, Vittoria Puccini, Pierpaolo Piccioli e tanti altri.

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Events

Siobhan Bell

Katlin Aas

Chiara Scelsi

Dr. Woo

Dean Caten e Dan Caten

Margaret Zhang Matilde Gioli

Rola

Toni Mahfud

Francesco Ragazzi e Margherita Missoni

Sita Abellan

Naomi Campbell Winnie Harlow

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KULT

Pierpaolo Piccioli L’essenza pura. Il Direttore Creativo di Valentino ha spogliato il classico piumino Moncler per raggiungere la sua forma più chiara, seguendo l’idea che la purezza si raggiunge quando la forma riflette l’essenza. La sua interpretazione della funzionalità ha la forza della couture.

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Moncler 1952 by Karl Templer

L’accento pop. I modelli classici vengono reinterpretati da Karl Templer con colori pop e macro logo a contrasto. Un omaggio all’anno di nascita del brand, andando a definire la naturale evoluzione di oltre 65 anni di storia basati su ricerca tecnologica e creativa.

Otto stilisti per Moncler Genius

Progetti volti a identificare la nuova filosofia del marchio che orbitano attorno a due cardini fondamentali per Moncler: il prodotto e il cliente. Ognuno legittima l’individualità del consumatore e la pluralità dei loro gusti, andando a considerare la frammentazione come una preziosa risorsa. Remo Ruffini coinvolge all’interno dell’hub otto grandi nomi del fashion system, tutti affiancati da un numero non gerarchico ma puramente identificativo della nuova visione d’insieme…

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Moncler Grenoble by Sandro Mandrino

Simone Rocha

Lo stile multiforme. Stampe e tessuti insoliti assumano qualità tecniche e performanti, mantenendo intatta la loro eleganza.

La femminilità pragmatica. La designer di origini irlandesi imprime un immaginario audace ispirato all’epoca vittoriana, composto da scalatrici in sottoveste. Ha lavorato su sagome voluminose e proporzioni decostruite fondendo il gusto per l’ornamento con la performance qualitativa di Moncler.

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Events

5 Kei Ninomiya

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La geometria indossata. La mente creativa di “Noir”, progetta silhouette di impatto moltiplicando moduli in geometrie da indossare. Per la prima volta applica la sua meticolosa artigianalità al piumino, trasformandolo anche in una maglia.

Craig Green Vestire come habitat naturale. Lo stilista inglese ha concepito prodotti in grado di riscrivere il dialogo tra i capi e il corpo, ciò che si indossa e l’habitat. Ispirato da considerazioni funzionali, le ha successivamente espresse sotto forma astratta senza però sacrificare un rigoroso bisogno di pragmatismo.

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Palm Angels La comunicazione virale. Francesco Ragazzi riduce all’essenza il piumino, e lo rende definibile con slogan e loghi per diffondere il messaggio in maniera virale attraverso un esercizio di merchandising che si traduce in un gift shop.

Hiroshi Fujiwara La sottigliezza culturale metropolitana. Musicista, fomentatore culturale e infiltrato pop, ha fatto proprio il piumino Moncler e con il suo modo personale di modificare in maniera sottile i capi ne ha rafforzato il cult-status.

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KULT

TOMMYNOW Oltre 2.000 ospiti per il “Drive” targato Tommynow, l’incredibile show di Tommy Hilfigher dopo Los Angeles, New York e Londra scalda i motori di Milano per la speciale presentazione della collezione Tommy x Gigi Spring 2018. Un progetto realizzato insieme alla top model, nonché brand ambassador del marchio di PVH Corp. Gigi Hadid e grazie alla partnership con Mercedes-AMG Petronas Motorsport che ha permesso di sperimentare il brivido delle corse automobilistiche con il Simulatore di guida F1 e la Sfida di pit stop F1. Oltre alle super model dal calibro di Bella Hadid, Lucky Blue Smith, Winnie Harlow, Hailey Baldwin, Christian “King” Combs, Cordell Broadus, Audrey Hilfiger, Julian Ocleppo, Hannah Ferguson, Joan Smalls, Sora Choi e Josephine Skriver, protagoniste della passerella, hanno presenziato allo spettacolo la moglie di

Ruby Rose

Tommy, Dee Hilfiger, Lewis Hamilton, Shawn Yue, Eva Herzigová, Bar Refaeli, Olivia Palermo, Johannes Huebl, Toto Wolff, Susie Wolff, Diego Della Valle, Ruby Rose, Pyper America Smith, Gabriel-Kane Day-Lewis, Tina Kunakey, Cameron Dallas, Anaïs Gallagher, Riccardo Scamarcio, Eva Riccobono, Miriam Leone, Matilde Gioli, Matilda Lutz, Chiara Scelsi, Pietro Boselli, Bebe Vio, Michaela DePrince, Sody, Sabrina Carpenter, Inna, Ghali, Veronica Ferraro, Eleonora Carisi, Linda Tol, Caro Daur, Nina Suess, Luka Sabbat, Sarah Snyder, Negin Mirsalehi, Valentina Ferragni, Erika Boldrin, Eleanor Calder, Shea Marie, Caroline Vreeland, Jordan Barrett, Cindy Kimberly, Neels Visser, Pelayo Diaz, Aida Domenech, Sara Escudero, Marc Forne, Sabrina Sato, Manu Gavassi, Thássia Naves, Camila Coutinho, Jasmine Sanders, Andrea Iannone, Belen Rodriguez e Anna Dello Russo.

Molly Chiang ed Elva Ni

Sara Ellen

Abbie Heath

Gigi Hadid

Andrea Chong

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Events

#MoschinoEyewear Moschino Eyewear presenta la nuova collezione di occhiali con un party e una live performance di Sita Abellan e Boston Bun all’interno del Casello di Ponente presso l’Arco della Pace a Milano. Una celebrazione a 360° attraverso i quattro elementi che contraddistinguono il brand Moschino e che caratterizzano la collezione, ognuno interpretato da allestimenti d’eccezione, statici e dinamici, ospitati nelle molteplici sale della location neoclassica: Teddy Bear, Bijou Chain, Logo, Metal Studs. Tra gli ospiti della serata, hanno partecipato numerose influencers, socialité e personalità internazionali del mondo dello spettacolo e della musica, tra cui la modella americana Sarah Snyder e Luka Sabbat, lo stylist di Kanye West, ma anche italiane come la giovane attrice Martina Pinto e il duo di X-Factor Sem & Stenn. Poi ancora nomi del jet-set come Clara Alonso, Ana Laura Ribas, Elisa Taviti, Catherine Poulain, Cristina Musacchio, e tanti altri.

Sophia Salaroli

Clara Alonso

Ana Laura Ribas

Luka Sabbat

Sarah Snyder

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Sita Abellan


English Texts pp.42–45 pp.48–51 pp.52–57 pp.62–63 pp.102–105 pp.42–45

A laughter will bury you. In the words by Alessandro Riva He is one of the most valued and loved artists in the new Chinese pop art. His symbol? The face of the artist himself, repeated thousands times, bursting in a loud laughter. To fool selfie society and the self-idolatry of social networks. To everybody he is The Laughing Man. His name is Yue Min Jun, he is 55 and is considered one of the most influential and famous artists of contemporary Chinese art. Exhibitions in museums, in Biennial, in prestigious foundations such as the Fondation Cartier in Paris, consecrated him, in these last years, as one of the most representative artists of the Chinese “new artistic course”. Not only: also as an amazing precursory, a visionary who foretold some typical features of contemporary society, which twenty-five years ago, when he was just a young poor artist who dreamed to have success and be known outside China, it was not possible to foretell yet. First of all, the ideology of selfie and self-idolatry, that he sees today in the Facebook and Instagram profiles of everyone, with the celebration of each minimal detail of one's daily life, the perfect symbol of “self-centered” society (which is devoted to cult and idolatry of themselves) burst in these last decades, studied by philosophers, sociologists and thinkers as one of the most surprising and recent features of contemporaneity. The paintings by Yue Min Jun in fact represent always and only the same object, portrayed in thousands different situations: the artist himself, repeated, multiplied, serialized endlessly - almost as if he was the last, fool “product” of consumer society - bursting into a fool, releasing, explosive laughter. But the situations in which the artist is immersed, change time after time. So it is possible to see him in the place of a group of men going to be shot (laughing scornfully as always, in spite of being in front of a firing party): a scene that reminds the one of the famous painting by Goya 3rd May 1808, which represented a group of Spanish partisans shot by the Napoleonic troops, moved then to our days: with the background of the Mausoleum of Mao in piazza Tienanmen in Peking, which immediately recalls in the mind the famous revolution of Chinese students in 1989. Or again, here he is, always laughing in the place of a soldier, of a centaur, of a migrant at the mercy of large waves, of a dancer, of a Chinese emperor, of a dinosaur at the Jurassic Park, of Mickey Mouse; or again, together with the protagonists of famous paintings of the past, as in the portrait of Federico da Montefeltro by Piero della Francesca, or in the place of the infanta Margarita painted by Velàzquez. A way like another to say that in the society of today self-centrism is hidden everywhere, it has always different looks and it is snaring in each corner of daily life, of art and culture. But he wants to say that it is also possible to ignore this new self-centrism spread everywhere today: or better, to laugh of it. Or rather, to literally split one's sides with laughter: as the new idols counting millions followers, launched by social profiles and youtube channels, often hide a great cultural gap, a total lacking of ideas, taste and things to say. Even if the route of Yue Min Jun is not only full of “laughing men”, as it is shown in the last anthological exhibition made in China, at the Hubei Museum of Arts of Wuhan: but of many other painting “games” that give to public a lost and surprise feeling. But how did he have the idea of representing his own laughing face, obsessively repeated in each pose and each situation? It was in the nineties, China was already making big steps in its fool race in the capitalist market, to become one of the most developed and industrialized Countries in the world (in the previous decade president Deng Xiaoping had already exhorted mass to follow the charm of money with the famous slogan: “Get rich, fellows!”), and another inexorable siren, the one of consumerism, of pop show and culture, was conquering the dragon's Country. «We live in a world full of idols, idols are everywhere», Yue Min Jun says. «Mao, Lei Feng (famous figure of Maoist soldier, icon of Chinese Revolution), but also Michael Jackson, Marilyn Monroe, Stalin, Picasso... Idols stay in the heart of people, they af-

fect our life and our behaviors. But suddenly I realized that these idols had all something in common: they used their own image to spread their message. So I decided to do the same thing, taking example from them: I wanted to repeat obsessively the image of my face, to change into a contemporary idol like them.» It is singular, but only at first glance, that this kind of approach, being super-pop and strongly anticipating the new “selfie society”, where each of us has slowly become the protagonist of his own daily show through the strong usage of internet and social networks, started from a Chinese artist, grown up in a society that, for its political-economic conformation, till the Nineties was backwards in comparison to the western world in the standardization of spectacular ideology through the TV before and the computer net after. But this is an only seeming paradox: just in the post-Maoist China, in fact, the wisest artists, beware of the social changing in act, could see in person and reflect on the strange phenomenon spreading in contemporary world: only here, in fact, where the cult of personality and the idolatry of “political idols” (President Mao, the heroes of the Revolution such as Lei Feng) left gradually the place also to other media icons (singers, actors, artists, TV masters), getting mixed with the ones without seeming discontinuity, it was possible to see with more clearness the huge changing we all were assisting and taking part to. It did not matter, in fact, which messages were given by the character each time chosen as new idol of mass: it was and it is important that people get to love it, that it becomes a “celebrity” of the new pop consumerism. A spread idolatry that does not save anything and anyone, and that puts everything and everyone on the same level: political leaders and singers, heroes of revolution and starlettes of cinema, politicians and actors. And then, any kind of people, boys and girls, students, any worker, suddenly become themselves idols of their own daily comedy, to immortalize day by day, hour by hour, from the social screens for our “friends” and followers. Protagonists of an idolatry without contents, with only faces and bodies to adore and reply on thousands screens in every place and every moment of day. From this we have the following idea of the artist: to always and only represent oneself, but in the middle of a deep releasing laughter. «Traditional idols risked to become very boring in the society of today» the artist claims. «Each time I thought of the so called idols, they made me only die of boredom, and I thought that our lives were affected by idols that in the end were becoming dull and tiring. So I told to myself: maybe I should criticize the idols and approach to them with a loud laughter. My refrain is simply to profane and deride the icons with other icons, to make this society a bit more different and interesting.» Yue Min Jun caught before the others this changing: he understood, in advance on times, that the eastern post-ideological society and the western spectacular-commercial one were getting mixed into another super-society, which was making the cult of “self” and of narcissistic individualism its own religion. The practice of “selfie” was still to come, anyway Yue Min Jun already foresaw that it was in the ego idolatry, or egolatry, which could be defined as the new transversal, post-ideological and post-capitalist globalized society. Here is, therefore, the origin of the Laughing Man: the substitution, as the artist says, “of an idol with another idol”. But this time it is a sarcastic, wild idol, free from social rules and from diktats of the politically correct. An idol that, like the Dionysus of Greeks, the God of exhilaration, laughing and furious, knocks down the fences of social politeness and bursts into a loud, heady laughter involving and deriding everything. It is a paradox of the contemporary: ourselves, our broken, dissected, neurotic ego in the end has become the idol itself that each of us can, in a narcissistic way, glorify, but only as long as we laugh of it, we demystify and deride it.

pp.48–51

The man who grazed the goats. On the boundary between the two Korea by Alessandro Riva He is among the protagonists of the new Chinese artistic course. His plans are complex and hard to realize. Such as to make sculptures by money reject, to unify north and south Korea through the pasture, or to marry a migrant woman and give her rights and duties of a “real” Chinese citizen. Slim physique, the look of a young boy who never grew in spite of being over 35 years old, sharp and watchful eyes behind a pair of small round glasses, clear ideas and a solid will. His name is Ke Ming, a Chinese artist who lives between Peking and Wuhan, capital of the Hubei province, one of first Chinese cities for number of inhabitants (over 10 millions), number of university fields and contemporary art museums. His research has not a linear procedure: by intuitions, reasoning, careful studies and surveys on the ground. Each plan is by itself and follows original and independent routes, often inducing the artist to find unconventional solutions to solve complex practical problems. Some examples? To try to persuade the workmen of a company working off no current banknotes, to sell him the reject of the

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Kult procedure by which the “expired” money is macerated. And also: to carry goat manure through the armored boundary dividing China from North Korea. Otherwise: to persuade North-Korean painters to paint in his place, with the typical style of socialist realism which is still popular in North Korea (but no more in China), a great painting representing indeed the North Korea today. And, for the last project, to find a Chinese museum ready to celebrate a real marriage - with dresses, flowers and decoration typical of Chinese tradition - between him and a refugee of European East, so to give her rights and duties of all the Chinese citizens.But let's respect the order, and let's understand better why this artist still unknown in Italy (will take his first personal exhibition in our country in spring, at the New Morone Gallery of Milan), who in China now is getting famous and appreciated even on national level (he already had an important personal at the Wuhan United Art Museum last fall, and in a few months will present his new projects at the factory 798 of Peking) is becoming one of the most promising young of the new Chinese artistic course. Who is exactly Ke Ming? A painter? A sculptor? An artist who loves to challenge common places? A provoker? A visionary who foresees the future trends? Or simply an avant-garde artist, who just follows his instinct and sensibility to talk about the future world, but also about our present? In this interview, the artist describes himself, he explains how he realizes his works and why art, if it wants, can still affect the destiny of world. You only have to believe in that. And most of all, you only have to want it.

can go over the boundaries and limits dividing countries and nations...In fact, the 38° parallel (representing the boundary between the two Korea), once absolutely impossible to cross, with this project became in some way passable again. The work itself has not a univocal meaning, as it may be with a painting or a sculpture. It is rather the reflection of the artist's actions, and of his desire of peace in the world, of integration and national unification. It is the future and destiny of human being. I wanted to realize this project, as I think that world should consider matters such as regional politics, cultural obstacles, dictatorship, peace and assimilation on global scale, problems that one day should be passed and solved... Technically, how did your project develop in North Korea? Crossing the 38th Parallel (this is the project's title) started in October 2016 and it is still current now. In substance, I bought some straw coming from the area of the 38° parallel in South Korea, and after bringing it through China (as the boundary between the two Korea is closed), I took it to North Korea, using it to feed cattle and sheep over the boundary; in the end, I took the manure of the sheep nourished by that straw to South Korea. In this way I gathered, even if symbolically, the two Korea through the traditional farming, grazing and feeding procedures. To most people, North Korea is a mysterious country; the whole world is curious to know how life is beyond the boundary. I visited many places in North Korea and I met different North-Koreans. Through these meetings I got to appreciate culture and spirit of this population. For this reason I consider myself a lucky man. A project like this is really stimulating to an artist...

A project that you realized a few years ago concerned money. Can you explain us what it involved? The People's Money (this is the plan's title) was something miraculous to me and also to contemporary Chinese art; it really happened in China, today. It is something dealing with reality, as it reflects the current state of social development and the very fast economic rise of the last 30 years in China, beyond arousing deeper matters. A society where money is the only way to judge the value of things and people, provoked twisted social effects in China and in the national character, taking to the loss of traditional culture. Moreover, this project discloses the means of power hidden behind the capital. For their ideological substrate and the value they represent, banknotes bring the echo of stories and emotions of the many Chinese who used them, as they keep many secrets that can't be revealed. I did not conceive this artistic project in advance, even if in 2004 I had already realized a work that used money as means to discuss on social matters.

Why did you choose just North Korea? When I took part of the forum for Peace and culture in the demilitarized area (the one between the two Korea), I saw some straw bales enveloped in white plastic near to the 38° parallel, and I thought it was an impressive image and, most of all, I thought that this straw should have belonged to the whole Korea, without being controlled by a line (the 38° parallel): so I decided to take the South-Korean straw to the North Korea, to feed the cattle beyond the boundary. What happens in North Korea is covered with a mystery halo, and I wanted to study in depth the matter. It was an instinct that any good artist would have had. So how was the project developed in North Korea? Beyond carrying the straw from south to north, and also the faeces of the goats back to south, I wanted to commission a huge oil painting representing the North Korea today, which at the moment is still being made. At first I decided the composition, with North-Korean buildings and the country's symbols, then I asked some North-Korean painters to paint it in their country. The project is going on fast. At the moment, it has not been publicized in China and nowhere else, to avoid having hard time with the North-Korean authority. This interview with Kult is to me the first occasion to talk of it in public.

What about the idea? Everything started on the 12th November 2015, when I caught a news on Tencent News (the Internet colossus in China) titled: “The Chinese Central Bank burns billions no current banknotes” this made me spring up and gave life to the project The People's Money. So how has the project developed? The procedure o practical realization of The People's Money has been not easy. It has taken almost two years and a total expense of 60.000 euros to be completed. In the substance, I could acquire a large quantity of bags full of old macerated banknotes, which I then used to realize paintings and sculptures. I am sorry, but I can't be more exact on the ways I acquired money: I can only say that I did not violate law. China is a society based on shared favors, and there is a sort of casualness in the way certain things are managed. I went to meet the ones responsible for the destruction of no current banknotes, and I explained them that I needed those rejects for an artistic project. At first they thought I was fool, and they refused to sell me anything. The matter was complicated, and nobody knew well how to cope with it...the banknotes, in fact, could not be officially sold, anyway, at the time they had no more legal course and had already been destroyed, they were not even under the Bank's supervision. After all, those fragments of no current banknotes, that I wanted so much, were absolutely useless to them...So I stayed in the factory where banknotes were destroyed for a whole week, getting in confidence with the workers in charge of the disposal, chatting with them and offering them to drink several times. In the end, I persuaded them to sell me fragments of no current banknotes and the ash left after they had been burnt. There is an old proverb in China saying that money moves anything. It just seems to be still true today!

For the next project, you decided to marry a refugee. How did you have the idea and why? At the moment, for this project, I am looking for a refugee to marry here in China, with a very traditional marriage. In my mind, I don't see them as refugees: they are simply new migrant people. A lot of people in the world today are induced to escape from their country, so they change into migrant people. In fact the progress and development of human civility are possible just thanks to this constant movement! China moved with great caution on the matter of refugees and I, as artist and Chinese citizen, intend to marry a foreign refugee by using legal means and my rights of citizen. I find it a very interesting thing. Naturally, there are a lot of bureaucratic problems to solve, to study the different laws...but I think that it will be possible, and I am sure that my country will be very welcoming to my “bride”. Kult is an influential magazine in Europe, and I want to take advantage of this interview to publicize this project about a global marriage, so that many people could know it and would be willing to help me in its realization. After the marriage, me and my “bride” will keep a total emotional independence and will live separately from each other. What is the common line between these three such different project? It is very hard to find a connection between these works, which would be easily explainable: all the three projects are close to my feelings, to my ideas and experiences. The slogan unifying all of them could be: “Art for a Better Life!”.

You have also realized a coin with your name. How did you have this idea, and why did you do that? Art for a Better Life: Coin is one of my conceptual works. I think that art is one of the most important things for humanity. Without that, I can't imagine how boring our world would be. I am really proud to be an artist! Many people can't understand conceptual art. They can't really involve public, and it is particularly hard to collect: so I sculptured my ideal slogan, “Art Makes Life Better”, and below I carved my profile by using precious metals, such as gold, silver and even diamond. Anyone could like this kind of work. And when you accept a coin, the ideas behind it get impressed in your head just like in a movie trailer!

pp.52–57

The rooms for children. A reflection on social disparity His works touch human sensibility. James Mollison, author of the book “Where Children Sleep”, tells Kult how it was to photograph Kanye West, his desire to take Desmond Tutu and Iggy Pop, and when he photographed his experience in a refugee camp for two weeks.

Recently you went to North Korea for a new artistic project. Can you talk about it? This is a work that I consider very romantic and touching: a project in which an artist

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ENGLISH TEXTS He is the genial mind back to “Where Children Sleep”: James Mollison, the photographer, artist of the Fabrica's team - the research center of Benetton group - immortalized the children and their bedrooms around the world to make people consider human condition and disparity. He uses the camera as means to experience life and he believes that today photography is still a means that can give an unforgettable emotion. He was born in Kenya but he studied in America, James offers his art to arise attention on delicate themes such as the discrimination of transsexual people and the crisis of refugees. He talked to Kult about his works, his creative procedure and the characters he dreams to photograph. How did you find your passion in photography? At what age did you understand that you wanted to enter the creative world? I’d mucked around during my last three years at school, the rave scene was in full swing and I almost failed my A-levels. The moment I got the results I realised I was in trouble and started to work, getting into an art-foundation course in Oxford, and then going onto to study Documentary photography in Wales, so I suppose you could say that academic failure pushed me in the creative world!

Tutu and Iggy Pop… Your relationship with fashion? I used to be put off by all of the hype and celebrity around fashion. Then a few years ago I was asked by New York Magazine to photograph the Milan, New York and Paris fashion weeks; it was there that I saw the incredible craft of the clothes and the beauty at the heart of it. Your favorite fashion designer? Issey Miyake - he once invited me to Japan so I’m biased! A place to be… Puglia, Colombia, or camping in East Africa. A song that tell your life story… Que Sera, Sera by Sly & The Family Stone. Today the world of photography is super full! What advice would you give to those who want to do your job? You need some luck, but the harder you work the more luck you get.

Your relationship with the camera? It’s like a key to experience life. Your works have been published in international magazines, from The Guardian to The New York Times ... What kind of magazine would you like to collaborate with? Any magazine which runs engaging stories, or has somebody interesting to photograph. My experience at Colors magazine was particularly fascinating as we where given a free reign to choose themes and stories. At Colors I photographed stories such as going to Libya to photograph home made battle trucks for the Transport Issue or a Voodoo market in Togo, for Markets, or living in a refugee camp to two weeks. You have also received prestigious awards ... Your greatest satisfaction? All of my books: It was an incredible privilege to hang out with our closets animal cousins- for “James & Other Apes” - 50 passport style photographs of Chimpanzees, Gorilla’s, Orangutang’s and Bonobo. For “The Memory of Pablo Escobar” I got to know Escobar’s family and key players in his downfall; for “The Disciples” - portraits of music fans taken outside 62 concerts I saw the affect of celebrity and the tribal nature that still exists in society. With “Where Children Sleep” - portraits of children and their bedrooms from around the world- I saw the huge diversity of the human condition. Your book Where children sleep reflects on a very delicate theme, such as the childhood. I was very impressed... How did the editing process develop? The choice was that each child should be visually engaging and have a diverse story. I tried to find didactic children at different ends of the wealth / poverty scale, and get children with a range of geographical locations around the world. The idea came to me several years ago, when I was thinking about an idea for engaging with children’s rights, I found myself thinking about my bedroom: how significant it was during my childhood, and how it reflected what I had and who I was. It occurred to me that a way to address some of the complex situations and social issues affecting children would be to look at the bedrooms of children in all kinds of different circumstances How would you describe the aesthetic of your work? I often use the ‘typological approach’ the process of making innumerable similar photographs of the same kind of thing. The images should be clean, elegant and thought provoking. What current social scenario would you dedicate a project to? I’d like to do something inside prisons, but I’m finding access difficult and prisoners too aware of my presence. What artist in particular do you inspire? I love the work of Edward Burtinsky, and his photographs which explore’s mans impact on the landscape. Tell me about the creative process? How do you prepare yourself for a picture. How often is it spontaneous and instinctive? Most of my work has a lot of thought behind it so the theme is rarely spontaneous, however actual moment of taking the picture thrives on spontaneity The role of photography today? We’re drowning in pictures, but I still think photography has a role in helping us explore the lives of others or to move us on an aesthetic level. Who is the most interesting celebrity you've taken? And the next one you would like to photograph or to work with… Photographing Kanye West was pretty weird, he was very talkative but I didn’t really understand a word he said! I’ve always wanted to photograph Desmond

Plans for the future? I’m still working on Where Children Sleep, and always looking for interesting kidsit could be a visually interesting bedroom, or engaging with contemporary issues such as the refugee crisis, transgender issues, or anorexia. ARR

pp. 62–63

Guy Gerber, music without compromise text by Marco Torcasio

At the Armani/Privé Club of Milan, close to his live set, we met the Israeli DJ with a talent recognized in the universe. The famous protagonist of the summers made in Ibiza with his Rumors night, which is also the name of his label, is an eclectic performer who loves to confuse the expectations. Before coping with drum machines and synths, Gerber was caught by the art of musical groups such as Joy Division and My Bloody Valentine. These effects today still resound clearly in his music, whether in hypnotizing live performances or in contemplative productions. After making four compilations, Gerber showed that he is a singular artist. From the debut with “Late Bloomers” in the legendary Cocoon by Sven Vath, to the second “My Invisible Romance” in 2009, to then subvert the concept of “mixtape” releasing two albums made of unknown, completely original productions. “The night has its particular flood” he claims, while he gets ready for a new project that won't come out before next summer. Guy Gerber as guest star of the Armani/Privé sounds a bit unusual... I think that there is something deeply rock and roll in taking the music of underground clubs to commercial contexts. It is very interesting to observe reactions of people who regularly go to these locals as, even if they don't have a knowledge and passion for a certain electronic music, in most cases they are caught by a wow effect that brings them to love what they are listening to. About rock'n'roll attitudes, at the origin of your career there is a great passion for My Bloody Valentine and Joy Division. What about those bands now? The sound of those bands was very rough, with texts of remarkable depth. From live their aesthetics could reveal their identity at most. These kind of vibrations developed in time, I think, we passed from the Nirvana to the Daft Punk. Today I think that the followers of this spirit are bands just like The XX, Ariel Pink, Real Estate, and I should say that I love much also the new Lana Del Rey, her new album is wonderful. Anyway I think there are big differences between a rock concert and an electronic night. In a club, for example, you don't keep a level of steady concentration, but you just want to have fun and lose control. Instead in a live the energy spread is different, to know the texts of the music we are listening to, allows to identify in them. Is the DJ still one of the coolest job in the world? The reason I do this work is substantially to manage to make people happy. Your CD in collaboration with Puff Daddy wrong-footed both your critics and your faithful fans... Puff Daddy is not seen as a real artist, rather as a rich colored boy making hip hop with success. To me it was really interesting to make a CD with him, as I like that in my works there could be different levels of reading and not only the two sides

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Kult of a medal. I don't love predictability, on the contrary I prefer not to give people exactly what they expect. And in the specific case of 11:11 Puff Daddy represented the bother element chosen for my public. How do you work to get distinguished in the contemporary electronic scene? Everybody today, thanks to technology, can use applications, to discover in real time which are the pieces I am passing during a set. And there is nothing of artistic in all this. To be unique I only have to change continuously, to wrong-foot the others and prevent them to imitate me. Steady changing is the only way I know to keep myself. How could you emerge from a musical context so poor of electronic quality artists such as the Israeli one? I worked hard to reach this level, but I consider myself lucky. Who is born in Paris should face the French house, who comes from Italy has to face the Italo Disco or a Marco Carola electronics, who is born in Germany has to cope with techno. The Country I come from instead has not such a strong musical story, so it was easy to overstep the boundaries. As I had no kind of limit nor direct terms of comparison, it was easy to make the difference. Before each great DJ there is always a party boy. What is your relationship with nightlife? I prefer to define myself a “music boy”. What I found really attractive, when I approached the night world, was the nature of the after parties. While at the official party, let's call it like that, there is the star in charge and on the other side the public, at the after party everybody are on the same level and they have fun together. Today things have changed as the after became real events with special DJ and so on. Well, nothing so incredible like in the past. Do you think Ibiza is still the best place where to play to a DJ? In general yes. But, since it is a place of high touristic density, many people who are at parties not even know where they are. Ibiza has changed, it is no more the same of some years ago, also in the market of amusement the logic of business is dominant. I will keep loving it forever, I think, but in the latest years I don't feel any more the vibrations of once. Where will we find you in summer? I will perform for different parties in Ibiza and Mykonos. In April my new cd will come out so I'm going back to Paris and to Milan of course. I am working on a completely new project to me, I hope I'll be able to communicate its contents.

pp. 102–105

During the Italian presentation of this special partnership with OFF, Kult met Ben Mears to discover who is this new creative face. A tall, slim, ironic man with a contagious laughter, who in a short time could unify the spirit of active-wear iconic pieces to a new image, which respects the nature of history and is now more and more fresh and responsible. How do you interpret the philosophy of “Go Beyond”, to go beyond, set from the first moment by the founder of North Sails with his creative approach? To go beyond each limit in so many ways like for example and most of all innovation. To go beyond what represents a simple texture to best adapt its quality and potential, realizing finished pieces that look performing. Clothes that can be wearable in the city and on the coast. Clothes that keep the features of fit and which would take the quality of wearability in time, and obviously considering the recycling world, by using environmentally compatible material. We recycle plastic from sea, we are careful to this ecosystem, as we like to think that our products can be worn in a sustainable way. When you got in Oackley Capital, the group controlling North Sails, how was the entrance and which were the expectations? The group is of really great support for what concerns technology, business improvement, and development of retail. We work together to make more and more advanced collections, which are recognizable to public. We find together new spurs and creative goals. The aim was to follow in a more and more inclusive way the typical features of North Sails, by focusing on innovation. The sportswear world is in a historical time of great revaluation, for example many luxury brands launch collaborations in exclusive with emerging artists and designers. Lately we talk a lot about the post-Soviet rise of Gosha Rubchinskiy, that from sport to luxury revisits urban style. In this sense how does North Sails approach to competitors and creative collaborations? There are good competitors realizing good sportswear products, but rather than a single name, I prefer to observe the ensemble of proposals on the market. I prefer to be caught by the qualities of a wind jacket or some race pants. From seams to internal finish. There are many elements to keep in consideration, to realize a piece that would be always performing, including the more fashion part beyond the technical one, for example the ensemble of colors and accessories used. I make a treasure of all of them, I take them as stimulus to create collection that could fulfill the customer's expectations. About collaborations, I believe that many brands develop partnerships, as there is something they like or they want to take from a business agreement. North Sails is for nature tied to sport world and to sail in particular, we have a great relationship with all streetwear is and in the creative part we feel very strong, in fact business confirms that. We want to keep on developing proposals for sail world, as we are interested most of all in that and it represents our DNA. The collaboration with FFO for the safeguard of oceans is considerable, it represents us in the product and heritage. Your headquarter is in Italy, in Rapallo, how close is the matter of Italian know how in fashion world to your Dna? Italy represents a great part of the work made by North Sails, so we think it is possible to get different creative impulses, but also about business. We can develop different styles, make them more international. Italy for the morphology of its territory is affected by the presence of sea, and we find different synergies with the distinguishing part of our Dna, this helps us to be always up to date.

Change Your Mind text by Alessandro Iacolucci

Ben Mears, the Creative Director of North Sails, tells us about his new ecological turn. In occasion of the sixtieth anniversary North Sails launches a special project for the sea sustainability. We met its Global Creative Director. It is called Ocean Family Foundation (OFF) and it is the English foundation, engaged in the safeguard of oceans, with which North Sails decided to start a collaboration for the protection of sea biodiversity and of waters from the effects of global pollution. Starting from the spring/summer 2018 collection, North Sails will invest the 1% of the profit from its world sales, to support different campaigns. The engagement of North Sails in the protection of oceans goes on giving also support to Ocean Ramsey (sea biologist) and Juan Oliphant (underwater photographer). They are both founders of the association One Ocean Research & Diving, chosen by the brand as ambassador. To the Sailmaking concern, this kind of engagement represents the natural continuity of the project launched by the historical founder of the brand, which generated the distinguishing tissue of his DNA and philosophy. Conceived by Lowell North, who changed the passion for regatta into a universe made of technology and eco- sustainability, today the route goes on with the creative direction by Ben Mears, whose first collection debuted at the Pitti 92 and soon, in agreement with Oakley Capital, a group controlling the brand, started to work on the creation of more and more advanced pieces, which would follow the rich heritage made of innovative material, as well as the techniques of manufacture for a more and more refined and obsessive care for details. To North Sails sea is a passion, beyond being an endless source of recognizability, and it dedicates large part of its success trying to protect it from pollution. By removing and recycling the harmful plastic from sea, it takes special material and yarns, useful to make performing clothes.

You worked in the world of couture such as Ungaro and Saint Laurent. Are there different approaches from who buys the luxurywear product in comparison to the sportswear one, and is there also a different creative approach from the stylist? I think that the customer's relationship is similar. The trend goes much towards a famous spotswear, many brands of the big French groups follow this kind of clothing. The relationship of a customer who buys a luxury piece is not so different from the one of the active world, everybody want something special and innovative. In the stylistic approach there is a different attitude from the stylist. The aim is not only to do something new, but also to match everything to the right details for different occasions. There should be a continuity with the pieces of the collections and with the important trends. The product development must be considered as something always better than the previous thing to who buys it. About Saint Laurent, Yves himself claimed that among all his creations they should have really invented jeans, a material, but most of all a revolutionary piece. Is there anything that, looking at the fashion world, you Ben Mears would have liked to invent? Oh wow! If I want to keep close to the world of North Sails, I would have been happiest to create the Sailor Jacket. It's the most iconic existing piece, it is easy but it has represented the brand's story for fifty years, young people like it, it is versatile and can be worn in different ways and for the most various occasions. We develop many of them, so to offer a wide covering of the request for all its potential.

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INITIATIVES

Leader di domani Giovani menti creative, geniali pensatori che sognano in grande, promulgatori di idee per dominare il mondo del futuro. Solo undici di loro si sono esibiti sul palco dell’Opificio Golinelli a Bologna, tra inventori, musicisti, filosofi e paladini della giustizia e dell’uguaglianza.

E

mozionati, agitati, desiderosi di condividere ed esporre dinanzi alla platea le loro idee per un futuro migliore. Sono tutti “under 20” e sognano di essere felici. Una giuria li ha selezionati tra oltre cinquecento partecipanti al concorso TedxYouthBologna, plasmato sul formato americano TED (acronimo di technology, entertainment, design). Un’iniziativa nata grazie alla partnership tra TED e MIUR, ministero dell’Istruzione, e dedicata alle eccellenze nelle scuole superiori italiane attraverso l’argomentazione e il public speaking. Il concorso è partito con le video-candidature in cui i ragazzi parlavano della propria idea di

Mattia Strocchi

valore. I vincitori sono entrati in piedi diritto nella TED community, le conferenze statunitensi che si riassumono nella formula “ideas worth spreading” (idee che val la pena di diffondere), così che possano acquisire visibilità ed essere sostenuti per la realizzazione dei progetti. Giovani speaker desiderosi di comunicare la loro visione del mondo, riflettendo sugli interrogativi della società e il ruolo della tecnologia al centro del progresso. Per mettere in luce una generazione curiosa e determinata, pronta a fare di una passione un’opportunità di vita. Tra queste, alcune idee e pensieri ci hanno affascinato, soprattutto per l’intensità e la maturità di riflessioni che porteranno realmente a una secietà senza frontiere.

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Ha diciannove anni, è di Ravenna ed è iscritto al primo anno di ingegneria dell’automazione dell’Università di Bologna, ma si trasferirà in Olanda per studiare ingegneria aerospaziale. Lo scorso anno è stato l’unico italiano all’International Exhibition of Young Inventors in Giappone, tra i finalisti del concorso «I giovani e le scienze 2017» della Commissione Europea. Ha presentato Orion: un esoscheletro riabilitativo comandato dagli impulsi muscolari, attraverso un elettromiografo. Il tutore è applicato agli arti che, grazie a un doppio dispositivo, aumenta la forza di chi lo indossa. Il suo sogno è trasformare il progetto in un sistema attivo per la camminata assistita, che possa dare libertà di movimento alle persone in sedia a rotelle… a un costo accessibile a tutti.

19 anniì, Ravenna Ideatore di Orion


Gen Z

Lorenzo Riggi Diciannovenne di origini siracusane, parla di AI. È l’inventore di SmartEyes, dispositivo che sfrutta l’intelligenza artificiale per coadiuvare le persone affette da tetraplegia, nella vita quotidiana domestica. Attraverso il dispositivo, la casa diventa smart, così da diventare davvero accessibile a tutti. Lorenzo vuole dare vita a una casa intelligente su misura per chi è affetto da tetraplegia e non può muovere le gambe e le braccia. L’app permette al disabile di muoversi nella

sua casa con una certa autonomia, controllando alcuni oggetti come la porta, il termostato, o la televisione perché è in grado di rilevare e interpretare il movimento degli occhi dei padroni di casa e di eseguire l’”ordine”. Con il suo progetto ha vinto anche il primo premio al concorso organizzato dall’istituto tecnico Galileo Ferraris di Napoli. Tutto reso possibile attraverso l’uso di una fotocamera, collegata a un Raspberry Pi 3 in cui è stato installato un software che si occupa di elaborare le immagini in modo da catturare il movimento degli occhi e le palpebre traducendolo in azioni.

19 anniì, Siracusa Inventore di SmartEyes

Emanuel Chirilia Viene da Arezzo, precisamente San Giovanni Valdarno, ha 20 anni e ha inventato “Blue Helmet”, il casco intelligente, un prodotto che rivoluziona il concetto di sicurezza stradale, partendo dalle nuove tecnologie e sfruttando le telecomunicazioni. Blue Helmet è un casco per moto, dotato di intelligenza artificiale in grado di contattare autonomamente i soccorsi, in caso di incidente, fornendo tutti i dati necessari per localizzare la persona, così da permettere un intervento più rapido possibile da parte dei soccorritori. Il casco funziona come scatola nera, Emanuel afferma: «Il casco ha un sensore di collisione, geolocalizza il motociclista e manda in automatico un sms di richiesta di soccorso. La protezione, da passiva, diventa attiva.»

Anastasiya Mamonova

20 anniì, Arezzo Ideatore di Blu Helmet

17 anni, ucraina. Cresciuta ad Avellino, si sente un ponte fra due culture diverse

Ha 17 anni, cresciuta a Sperone, un piccolo paese in provincia di Avellino, ma nata in Ucraina. Anastasiya sente di dentro si sé di essere un ponte fra due culture diverse. E sono proprio questi ponti a creare le connessioni tra mondi apparentemente differenti, perché le persone, prima di essere italiane, straniere, extracomunitarie, sono solo persone, e non si possono ridurre al semplice numero su un passaporto. Considera i suoi genitori degli eroi e non si ritiene né ucraina, né italiana ma cosmopolita: «Il mondo diventa il mio orizzonte» ha dichiarato. Anastasiya racconta la sua storia (ha conosciuto la madre naturale all’età di 14 anni), con grande sensibilità, per far capire che la vera integrazione comincia quando iniziamo ad ascoltare le storie degli altri.

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INITIATIVES

Talents Sono sempre più numerosi i progetti per i giovani che desiderano fortemente un futuro nel mondo della creatività, dalla moda all’arte, dal design alla fotografia. Molti dedicati alla sostenibilità, diventato ormai uno degli argomenti più hot delle ultime stagioni. Mast Foundation for Photography Grant Il premio della Fondazione Mast per la fotografia, nato per promuovere l’attività fotografica delle nuove generazioni di artisti sul tema del lavoro e dell’industria, giunge alla sua quinta edizione. Presentato negli anni precedenti con il nome “GD4Photo Art”, da quest’anno si chiamerà “Mast Foundation for Photography Grant”. A ogni edizione, un gruppo internazionale di esperti seleziona circa 40 fotografi e fotografe. In un secondo tempo, una giuria sceglie i quattro progetti più interessanti e i candidati prescelti hanno a disposizione sei mesi di tempo per portare a termine il loro progetto, che sarà infine presentato nella PhotoGallery della Fondazione MAST. La selezione biennale dei giovani fotografi, promossa dalla Fondazione MAST, ha lo

scopo di documentare e sostenere l’attività di ricerca sull’immagine dell’industria, le trasformazioni che questa induce nella società e nel territorio, il ruolo del lavoro per lo sviluppo economico e produttivo. La mostra in corso espone i progetti realizzati appositamente per il concorso dai quattro finalisti: Mari Bastashevski (Russia), Sara Cwynar (Canada), Sohei Nishino (Giappone) e Cristobal Olivares (Cile). Sara Cwynar (Canada) e Sohei Nishino (Giappone) sono i vincitori nominati ex aequo in occasione dell’inaugurazione dell’esposizione, visibile fino al 1 maggio al MAST di Bologna.

The Next Green Talents Inaugurato a Palazzo Morando in occasione della fashion week milanese, The Next Green Talents è l’evoluzione eco del celebre The Next Talents, il progetto di scouting nato nel 2011 grazie alla collaborazione di Vogue Italia e Yoox. Il focus di questa nuova edizione è sui valori etici e un approccio più attento al consumo e ha visto come protagonisti le collezioni autunno/inverno 2018-19 di sette brand internazionali che hanno la sostenibilità al centro del loro processo creativo e produttivo: Sylvia Enekwe e Olivia Okoji di Gozel Green dalla Nigeria, Bobby Bonaparte e Max Kingery di Olderbrother dagli Stati Uniti, ByBrown brand olandese firmato dalla britannica Melanie Brown, Unravelau di Laura Meijering dall’Olanda, Tiziano Guardini dall’Italia, Chain di Lucía Chain e Nous Etudions di Romina Cardillo dall’Argentina. Inoltre quest’anno i designer hanno anche disegnato sette statement T-shirt esclusive disponibili su Yoox. Le collezioni saranno in vendita su Yooxygen, piattaforma eco di Yoox, in più di 100 Paesi dal prossimo settembre.

New Challenges Istituto Marangoni supporta da sempre i giovani talenti e questa volta lo fa con uno speciale contest organizzato in

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collaborazione con Vogue Italia e Vogue Talents, dedicato agli studenti delle scuole superiori italiane che aspirano a un ruolo nel mondo della moda e dell’arte. Il premio per i migliori studenti comprende 50 borse di studio, da 5000 euro fino ad un massimo pari al 50% della retta scolastica per il primo anno, valide per uno dei corsi triennali offerti da Istituto Marangoni per le sedi di Milano e Firenze per l’anno accademico 2018-19. Per partecipare alle selezioni ogni studente dovrà mette alla prova la propria creatività in base al settore in cui vorrebbe lavorare, fashion designer, fashion stylist, business, arte. I progetti dovranno essere consegnati entro il 2 maggio e saranno valutati da una giuria presieduta da Sara Sozzani Maino Deputy Editor in Chief Vogue Italia e Head of Vogue Talents.

Kering e LCF: al via il primo corso online sulla sostenibilità È ormai uno dei temi più hot del momento, la sostenibilità è diventata il fulcro della creatività di molti brand e stilisti. Dopo aver attuato negli anni passati una serie di corsi per offrire maggiori conoscenze sulle questioni ambientali, oggi Kering e il London College of Fashion, prestigioso college membro della University of the Arts London, consolidano la loro partnership e lanciano il primo corso digitale ad accesso libero. Il corso online, dal titolo “Fashion & Sustainability: Understanding Luxury Fashion in a Changing World”, avrà una durata di 18 ore e sarà accessibile gratuitamente ai professionisti di Kering e del LCF per sei settimane. L’inizio del corso è previsto per il 9 aprile e sarà suddiviso in sei moduli presentati attraverso video, podcast, attività e dibattiti. In programma anche traduzioni in lingua, come quella in cinese, in aggiunta a una versione concisa per le new entry del gruppo Kering. Infine i materiali relativi ai corsi saranno disponibili tramite un Massive Open Online Course (MOOC), ossia un corso online aperto su larga scala.


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