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GIOCHI DI POTERE

Negli ultimi anni le acquisizioni nel mondo del trasporto e della logistica si sono moltiplicate, dando luogo a concentrazioni sempre più diffuse. Insieme a Pietro Spirito, tra i massimi esperti in materia, cerchiamo di capire le ragioni di questo fenomeno e le insidie che nasconde

di Gennaro Speranza

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guerra e agli strascichi pandemici. Ma per l’economia e per l’equilibrio dei mercati, si tratta di strategie virtuose? E qual è il rischio – se esiste un rischio – della diffusione sempre più ampia di queste concentrazioni di potere che sanno tanto di oligopolio? Pietro Spirito, docente universitario, saggista e tra i massimi esperti dell’argomento, prova a rispondere analizzando la complessità di questo momento.

Le Ragioni Della Concentrazione

una così forte espansione dei mercati tale per cui era necessario dotarsi di una rete maggiormente strutturata a livello territoriale. Quarto fattore sono gli sviluppi tecnologici, che stanno giocando – e giocheranno sempre più nei prossimi anni – un ruolo determinante per migliorare redditività ed efficienza nelle operazioni logistiche e di trasporto».

un fatturato monstre da 660 milioni di euro) che ha comprato l’80% della lodigiana Aldo Ferrari Trasporti-FA Chemical Logistic, con l’obiettivo di diversificare la gamma di prodotti trasportati gestendo anche le spedizioni nel settore chimico. O ancora di Gefco, storico marchio creato nel 1949 da Peugeot, che è stato assorbito nella multinazionale logistica Ceva, dando vita a un gruppo da 110.000 dipendenti che lavorano in 1.300 siti di 170 Paesi del mondo. Insomma, il mantra per le grandi aziende del trasporto e della logistica sembra essere uno solo: aumentare di dimensioni. Diventare più grandi, più forti. E probabilmente non potrebbe essere altrimenti in questo lungo periodo di incertezza legato agli elevati costi dell’energia e delle materie prime, ai tormenti delle banche mondiali, alla

«Innanzitutto – spiega Spirito – il settore dei trasporti sta vivendo una doppia fase di concentrazione: di tipo verticale, cioè all’interno dello stesso settore specialistico di attività, e di tipo orizzontale, ovvero con un allargamento verso altri segmenti della catena del valore del trasporto (magazzinaggio, logistica, portualità, ecc.). La particolarità è che questi fenomeni si stanno svolgendo contestualmente ed è una cosa abbastanza rara nella storia economica».

Ma perché si sta verificando? Le ragioni, secondo Spirito, vanno individuate nella coesistenza di almeno quattro fattori. «Il primo è che le imprese che si erano già strutturate in modo più robusto hanno macinato utili particolarmente poderosi, che forniscono il carburante per una nuova stagione di acquisizioni. Il secondo fattore è che si stanno affacciando sul mercato soggetti che prima non c’erano. Parliamo dei grandi fondi di investimento istituzionali, che hanno cominciato a vedere i settori del trasporto e della logistica come una buona occasione per acquisire asset e aziende capaci di produrre una redditività di medio periodo. Altro fattore è la globalizzazione, che ha determinato

I RISCHI DELL’OLIGOPOLIO Queste, dunque, sono le dinamiche che stanno caratterizzando gli scenari globali di mercato. Dinamiche che però nascondono aspetti ambivalenti. Perché se da un lato offrono indubbie opportunità (le concentrazioni tra imprese, in buona sostanza, possono favorire forme di efficienza, creando operatori in grado di massimizzare economie di scala), dall’altro possono indurre a forme di eccessivo consolidamento del potere di mercato, consentendo all’impresa che si rafforza tramite tale processo di adottare comportamenti non virtuosi da un punto di vista concorrenziale, per esempio aumentando i prezzi o praticando condizioni svantaggiose per le controparti. E questo è il rischio più importante da evitare in una forma di mercato oligopolistica. «Il punto di fondo è che non si può sempre dipendere dalla ricerca disperata delle economie di scala per fare sempre più profitti», conclude Spirito, sostenendo che in questo scenario va resa necessaria «una più marcata presenza del regolatore, vale a dire delle istituzioni che devono evitare la formazione di cartelli capaci di frenare la concorrenza e di condizionare i comportamenti della domanda».

Il volume «Silvio Faggi. L’amico degli autotrasportatori», di Umberto Cutolo ed edito da Fiap, si può acquistare al prezzo di 14 euro. Per info: 049.7848900 chiediafiap@fiapautotrasporti.it

Conoscevo bene Silvio Faggi, soprattutto in veste di fonte attendibile, in grado di evidenziare e discernere come pochi le ragioni di parte. Anche per questo ho trovato sincero, acuto, a volte persino toccante il ritratto che dello storico segretario della Fiap, scomparso prematuramente poco più di un anno fa, delinea Umberto Cutolo in «Silvio Faggi. L’amico degli autotrasportatori», edito dalla stes- » sa Fiap lo scorso dicembre. Dalle pagine emergono i connotati dell’uomo e del rappresentante di categoria, in alcuni casi magicamente intrecciati, come se la vicenda personale respirasse e si nutrisse con l’avanzare della storia. In questo modo Faggi diventa una sorta di Forrest Gump, dotato

– al contrario del protagonista del film – di acume politico lungimirante, di competenze tecniche approfondite, di capacità relazionale immediata e spesso lubrificata a tavola a colpi di tagliatelle e sangiovese. Come Forrest, Faggi si trova a essere testimone di una serie di episodi storici per il settore, osservandoli da un punto di vista originale. Ecco due esempi.

Quando Nacquero

Le Tariffe A Forcella

Il primo risale al 18 novembre 1982. Sono trascorsi otto anni dall’approvazione della legge 298 del 1974, quella che forniva ai fragili trasportatori dell’epoca una tutela sulla carta straordinaria: le tariffe obbligatorie «a forcella» È un’innovazione che la committenza non gradisce e contrasta in tutti i modi. E questo giustifica la lunga gestazione che precedette la loro nascita. Fatto sta che quel giorno a Cesena arriva il ministro dei Trasporti dell’epoca, il socialista Vincenzo Balzamo, invitato a partecipare a un convegno. Faggi ha appena 27 anni e lavora da poco nella Fita di Forlì, eppure spetta a lui introdurre il ministro. Appena gli passa la parola, Balzamo annuncia di aver appena firmato il decreto che consente alle tariffe a forcella di entrare in vigore. È un momento di svolta atteso e rincorso per anni e quando si concretizza Faggi è lì, a un passo, a osservarlo.

LA SCRITTA «UNATRAS»

AL POSTO DI CINQUE SIGLE

Il secondo ci porta dieci anni avanti, al 18 ottobre 1992. Qui la storicità dell’evento la si coglie se si premette che ogni settore ha la rappresentanza che merita. E un autotrasporto animato dalla presenza sul mercato di 130 mila aziende, il più delle volte l’un contro l’altra agguerrita, è sempre stato sostenuto da una cornice associativa frastagliata e duellante Due debolezze in un settore solo. E se per arginare la prima qualcuno predicava una saggia aggregazione, per contenere la seconda, Faggi consigliava dialogo e unificazione. Di tentativi in tal senso se ne fecero tanti, quasi tutti affondati nel mare degli interessi di parte. Ecco perché lo spettacolo che va in scena in quell’ottobre del ’92 al palazzetto dello sport di Cesena è letteralmente emozionante. Cinque associazioni dell’autotrasporto (Fita-CNA, Fai, Fiap, Sna Casa e Confartigianato Trasporti) che insieme pesano per l’85% del mercato, danno vita a un raggruppamento unitario. E

Faggi di quello spettacolo è una sorta di scenografo innamorato del coupdethéâtre: fa realizzare uno striscione su cui vengono riportate le sigle delle cinque associazioni e, al momento dello storico annuncio, lo lascia cadere muovendo apposite cordicelle, svelando così ai presenti la scritta «Unatras».

IL GIORNO CHE DISSE «E BASTA!...»

Alla Ministra

Ma Faggi entra anche in una sezione provinciale dell’Albo degli autotrasportatori nel 1978, l’anno stesso della sua istituzione, e percorre al suo interno un lungo tragitto fino alla poltrona più alta raggiungibile da un rappresentante dell’autotrasporto, quella di vicepresidente del Comitato Centrale. Ruolo che il segretario della Fiap interpreta in modo molto istituzionale, con un atteggiamento che lascia trapelare il rispetto che nutre per quell’organo di rappresentanza. Atteggiamento che ha messo da parte – si narra nel volume – soltanto una volta, quando il 19 novembre 2019, al primo appunta- mento con la neo ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, Faggi, dopo aver ascoltato il solito copione che interpreta stancamente ogni neo ministro (che il settore è strategico quanto complesso e che quindi necessita di tempi lunghi per essere compreso), sbottò in un sonoro «E basta!...», reso ancor più spettacolare dalle carte che fece volare mentre imprecava e usciva dalla stanza.

MENO NORME, PIÙ FORMAZIONE

È il sintomo di una stanchezza, ma è anche un segno dei tempi, divenuti sempre più complicati per la rappresentanza. Dopo aver combattuto tanto per ottenere tutele normative di ogni tipo e dopo aver ispirato, insieme al fedele e sagace Massimo Bagnoli, presidente della stessa Fiap, l’attuale legge sui pallet, quella sull’indennizzo dei tempi di attesa e quella per caricare di un interesse dignitoso la fattura pagata oltre i 60 giorni, Faggi fa un bilancio e getta la spugna. Gli appare evidente cioè che quel continuo trattare per costruire un sostegno di norme per le imprese di autotrasporto, alla fine non paga, perché quelle stesse imprese sono le prime a non rispettarlo. E allora comprende che è meglio puntare per un verso sulla pulizia del settore – e per questo si impegna da vicepresidente per attuare sul portale dell’Albo la sezione in cui i committenti possono controllare la regolarità delle imprese – e, dall’altra, sulla crescita imprenditoriale di chi opera nel trasporto merci. Intuisce cioè che serve prossimità, suggerimenti e tanta formazione. Per la Fiap, come per altre realtà associative, diventa una missione, ma anche un’ancora di salvezza economica, resa necessaria dalla retromarcia ideologica della politica che, così come aveva contratto i tesseramenti partitici, allo stesso modo aveva tenuto lontano le imprese dall’aderire ad associazioni di categoria. Così, la formazione diventa uno dei servizi utilizzati per legare le aziende alle associazioni, ma anche uno degli strumenti finanziari che le tiene in vita. Fag-

Scritto

dal “nostro” Umberto Cutolo ed edito dalla Fiap, l’associazione di cui è stato per 25 anni segretario generale, «Silvio Faggi. L’amico degli autotrasportatori» è un libro che riesce ad appassionare, intrecciando le vicende di un uomo con quelle della storia ufficiale dell’autotrasporto. Un ritratto sincero, acuto, a tratti toccante gi coglie questo trapasso e vede un degno delfino in Alessandro Peron, un manager prestato all’autotrasporto e animato da tanta voglia di connotare anche un’associazione di categoria con un’organizzazione imprenditoriale. Di fare al proprio interno, cioè, quel passo che all’esterno si esortava tanti trasportatori a compiere.

Risalire Con Onest E Umorismo

Un momento di trapasso o, per meglio dire, l’ennesimo sforzo di un uomo che, venuto giù dalla montagna romagnola, aveva spesso dovuto risalire la china: quando venne allontanato (per la sua fede socialista) dalla Fita; quando venne ospitato in una Fiap che aveva perso pezzi a livello territoriale; quando vide la frattura in due della sua stessa associazione. E in questi sforzi traeva energia dalla passione, ma anche dall’onestà con cui si relazionava agli altri. Sì perché, Silvio Faggi, per mutuare un’espressione romanesca del segretario di Assotir, Claudio Donati, «non era uno che andava con la volpe sotto l’ascella». Al contrario era uno che a una volpe, che incrociava spesso uscendo dalla trattoria del suo paese natale (Àlfero), dava persino da mangiare dalle sue mani. Perché Faggi aveva imparato a trarre equilibrio dalla natura, sapeva curare sia animali a rischio estinzione (le api, oltre alle volpi), sia piante bisognose di innesti. Ma soprattutto sapeva sempre trovare un modo ironico per fronteggiare anche le difficoltà. L’ultima volta che l’ho sentito, quando contrastava a fatica quel «problema» – come chiamava la malattia – con cui dovette convivere gli ultimi anni della sua vita, conclusi la telefonata esortandolo a non mollare. Mi rispose: «Ho dato tanti soldi all’Inps e non vorrei lasciarglieli tutti». Mi strappò un sorriso che, seppure venato da qualche amarezza, dura ancora oggi.

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