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INCENTIVI PER I VIRTUOSI, DISINCENTIVI PER GLI ALTRI
Inutile dare soldi a tutti, anche a chi non vuole muoversi verso la transizione. Tanto meglio – ritiene il presidente della Sezione V.I. di Unrae – concedere incentivi, in modo strutturato e coerente all’obiettivo «decarbonizzazione», soltanto a chi ha interessi ambientali. Compresi quei piccoli trasportatori intenzionati a cambiare il camion, ma messi in difficoltà dagli strumenti digitali con cui presentare la domanda
Diamoci un obiettivo, definiamo un tempo per raggiungerlo e poi stanziamo quanto possibile per realizzarlo. E se qualcuno non intende adeguarsi, tanto vale creargli ostacoli normativi per costringerlo a operare una scelta. È questa la ricetta che Paolo Starace, presidente della Sezione Veicoli Industriali di Unrae, vorrebbe servire al nostro statico e vetusto mercato. Ma cerchiamo di capire con quali ingredienti e con quali tipologia di incentivi questa ricetta poteva diventare possibile.
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Come andrebbero gestiti gli incentivi all’acquisto da un punto di vista temporale?
Lo Stato dovrebbe individuare un obiettivo da raggiungere – per esempio, la decarbonizzazione – entro un determinato lasso di tempo e poi creare un percorso di sostegni garantiti lungo tutto questo arco temporale. Gli stop and go non vanno bene, per- o ché condizionano negativamente la motivazione all’investimento da parte delle aziende. Nel senso che eccitano la domanda nei periodi in cui c’è disponibilità di fondi, ma la deprimono quando svaniscono. E poi, l’allocazione delle risorse deve essere coerente con l’obiettivo posto. Mentre, se si valutano gli stanziamenti nell’ottica della decarbonizzazione, si fa fatica a giustificare il perché ancora oggi i contributi per l’acquisto di un camion LNG, alimentato con un combustibile di origine fossile, possano essere pari a quelli destinati all’acquisto di un veicolo elettrico a emissioni zero.
Visto che le risorse sono limitate, non converrebbe selezionare chi può beneficiarne?
Assolutamente. Se un’azienda, di fronte all’opportunità di ottenere contributi, sceglie di non rinnovare il parco veicolare, di fatto opera una scelta precisa. Non è condivisibile, ma è una sua scelta. Spesso, invece, anche aziende con parchi vetusti ricevono contributi. Quando al contrario chi avrebbe voglia di investire in tecnologia pulita rimane escluso dagli stanziamenti È assurdo!
Il riferimento è ai soldi pubblici spesi per tagliare le accise a tutti genericamente?
È un esempio. Ma il concetto, più in generale, è questo: disperdere risorse a favore di un’azienda che non intende cambiare i veicoli e tra tre anni farà fatica a circolare, è come vuotare una bottiglia d’acqua in mezzo a un deserto. Non serve a nulla. Sarebbe meglio versare una goccia alla volta dove c’è una piccola pianta in grado di sfruttare quell’acqua per crescere e generare frutti.
Contro queste imprese con veicoli vetusti potrebbe essere utile ricorrere a «disincentivi» normativi?
Nel corso degli ultimi anni non c’è stato alcun miglioramento: l’età media dei veicoli sopra le 16 ton è rimasta sempre intorno ai 14 anni. Quindi, se vogliamo rinnovare il parco servono anche misure coercitive. Serve, per esemplificare, stabilire divieti di circolazione o impedire di caricare 44 ton a quei veicoli che non dispongono di moderni sistemi di frenata
Una volta stanziate le risorse, è meglio accettare tutte le domande possibili e poi distribuire i soldi in proporzione oppure accogliere solo le domande finanziabili da individuare con un click day?
C’è un problema di metodo e uno di disponibilità dei fondi. Rispetto al
L’allocazionedelle risorsedeveessere coerenteconl’obiettivo «decarbonizzazione». Invece,sifafaticaa giustificareilperché ancoraoggiicontributi perl’acquistodiun camionLNG,alimentato concombustibilefossile, possanoessereparia quellidestinatiall’acquisto diunveicoloelettricoa emissionizero metodo entra in gioco la procedura utilizzata per accedere ai fondi, che prevede una presentazione digitale delle domande. Ora, questo strumento sarà pure semplice da usare, ma non è molto democratico. Tant’è che i fortunati che riescono ad accedere ai fondi, nella stragrande maggioranza dei casi risultano aziende strutturate, realtà che hanno qualcuno a cui affidare il compito di presentare la domanda e di elaborarla in tempi rapidi. I piccoli padroncini, che non hanno capacità o tempo per utilizzare lo strumento digitale, rimangono tagliati fuori. E questo è un problema perché, se è giusto mettere fuori mercato chi non vuole rinnovare il camion, non lo è invece rispetto a piccole realtà che avrebbero interesse a innovare, ma non riescono ad accedere a quei contributi decisivi per loro finanze.
I contributi non potrebbero passare direttamente dalla concessionaria?
È un’ipotesi che stiamo valutando, replicando quanto avviene nel mondo dell’auto, dove non è l’utente finale a preoccuparsi di fare la richiesta, ma è il concessionario che accede al contributo e presenta al cliente il prezzo netto. Nel B2B, però, diventa complicato e soprattutto richiede certezza. Perché come concessionario o come costruttore non posso rischiare di vendere un camion a un prezzo decurtato dall’incentivo e poi non riuscire a ottenerlo. Inoltre, a beneficiare del contributo è l’azienda che acquista, non il concessionario, e questo potrebbe generare ulteriori complicazioni.
È utile la legge Sabatini?
È uno strumento importante, che lo Stato ha concesso per periodi limitati, ma lo ha sempre rifinanziato.
E così gli ha fornito un positivo carattere strutturale. In più, oggi potrebbe rilevarsi più che mai utile per le aziende per fronteggiare l’incremento dei tassi di interesse. Senza considerare che si può cumulare con altri tipi di contributo. Quindi consente di usufruire da un lato dell’incentivo per l’acquisto e, dall’altro, di uno sconto sugli interessi, in quanto quasi sempre i beni strumentali sono acquistati tramite finanziamento.
L’Italia non incentiva molto i veicoli elettrici, contrariamente a quanto fanno altri paesi. Questo diverso trattamento può generare conseguenze?
Un proverbio straniero dice: «Put one’s money where one’s mouth is» Ovvero, «i soldi vanno messi dove metti la bocca». Quindi, se dici che dobbiamo andare verso la decarbonizzazione è lì che devi investire. In altri Paesi lo fanno, in Italia questa coerenza non esiste. Parliamo tanto di elettromobilità, ma poi gli ordini di camion elettrici sopra le 16 ton immatricolati dall’intero mercato sono stati 16 nel 2021 e 19 nel 2022. In un anno tre unità in più: questa è la velocità della transizione.
Se in veste di ministro dei Trasporti avesse 500 milioni da spendere, quali acquisti andrebbe a incentivare?
Il politico è portato a scegliere con una logica di breve periodo. Alloca risorse in un‘area perché sa che lì raccoglierà più consenso e voti rispetto ad altre. La logica industriale, invece, agisce ispirata da coerenza. Personalmente creerei un fondo ad hoc per la transizione ecologica dei veicoli da trasporto merci. E ci metterei la gran parte dei fondi a disposizione. Poi adotterei misure finalizzate a limitare l’utilizzo dei vecchi mezzi, dagli Euro 5 in giù. D’altra parte, se non cominciamo a mettere soldi in questa transizione, la capacità competitiva dei nostri operatori potrebbe diminuire nel tempo. Se domani, per esempio, per entrare in alcune città ci sarà bisogno di camion elettrici, i nostri trasportatori si troveranno in difficoltà, in quanto ne saranno sprovvisti, contrariamente ai loro concorrenti europei, non hanno beneficiato di agevolazioni. Quindi, lo Stato deve comprendere che se non sostiene il rinnovamento, difficilmente un’azienda riuscirà a sostenere l’investimento necessario per riconvertire la flotta. Per la semplice ragione che al momento attuale il conto economico di questi veicoli è ancora deficitario. E non parliamo soltanto di veicoli, ma anche delle infrastrutture di ricarica. Nel Pnrr, in proposito, si parla genericamente di colonnine, ma non si dice dove realizzarle, a quali tipologie di veicoli destinarle, di quale potenza debbono essere, con quale energia alimentarle. Siamo al punto di partenza: con la decarbonizzazione – come dicono i mega trend – incrementerà sempre di più la domanda di energia della società, ma se non ci poniamo il problema di come produrla, rischiamo di rallentarla. A riprova di ciò negli anni abbiamo aumentato il ricorso al carbone per produrre energia. Questo è il paradosso! Con tutto ciò dobbiamo accompagnarli con soluzioni ponte, quali i biocarburanti, per fare in modo che quanto prospettato possa effettivamente accadere.
Latrazioneelettricapresentatante problematiche.Senepuòprevedereunagraduale introduzione,intempimedi,nellalogistica urbana…Perilcontoterzi,doveprevalgono iveicolipiùpesanti,leemissionizero sono un obiettivotecnologicamenteancoraassailontano.
Piùpraticabilisembranoicarburantiabassissimo impattoambientale e100%carbon neutral, comei biofuel eilbiometano role «delusione» e «rammarico») è venuto dalla sezione di Federauto, l’associazione dei concessionari, che segue il mercato di Trucks&Van. Il vice presidente dell’organismo, Massimo Artusi, ha commentato la legge di Bilancio per il 2023 e il relativo decreto Milleproroghe affermando in sostanza che hanno ignorato i veicoli commerciali. A cosa si riferisce? «A tre circostanze», risponde, «la prima è la mancata proroga dei termini di tempo per accedere agli incentivi già approvati. A causa della mancanza di materie prime e semiconduttori causata dalla pandemia, produttori e concessionari sono costretti a ritardare le consegne dei veicoli: tagliare fuori dall’incentivo imprese che hanno già anticipato il 20% della spesa (per talune imprese già dal 2021), confidando nel sostegno dello Stato è un fatto molto antipatico e che non genera tranquillità e certezze La seconda è il mancato rinnovo del credito d’imposta per i beni strumentali – soprattutto tradizionali (ma anche innovativi) – che negli ultimi anni hanno facilitato lo svecchiamento del parco dei veicoli commerciali (cruciale per il paese). L’unica misura di sostegno agli investimenti che è sopravvissuta è la Nuova Sabatini, che è di fatto un credito agevolato limitato alle imprese PMI, tagliando fuori così proprio le imprese più strutturate e più disposte a rinnovare i propri mezzi. La terza è che l’unico tonnellate impiegati nella logistica urbana e regionale – non è stato modificato e sono rimasti in vigore quei vincoli che ne hanno decretato il visibile fallimento, rappresentato da risorse non spese pari a 9 milioni sui 10 disponibili. Continuità e certezze sono i pilastri per una economia che deve crescere, che ha bisogno di crescere, senza strappi»
Sembra che il governo sia quanto meno distratto nei confronti di un settore importante come quello dell’autotrasporto…
Credo che l’esecutivo si sia trovato costretto a preparare la legge di Bilancio in brevissimo tempo e, dunque, non tutte le considerazioni sul nostro settore hanno potuto essere oggetto di confronto approfondito tra i vari ministeri: non dimentichiamo quanto conta il parere del MEF che ha la responsabilità di valutare le voci di spesa. L’intenzione del governo per quanto riguarda l’autotrasporto e il trasporto merci, comunque, diventerà chiara con i prossimi provvedimenti relativi al settore, nei quali ci auguriamo che possano essere recuperate le misure di cui abbiamo già segnalato la mancanza - e le sue conseguenze negative – ai competenti organi di governo. Mi riferisco – relativamente all’autotrasporto – alle risorse pari a 25 milioni di euro del Fondo Investimenti del 2022, di cui si sta attendendo ormai da molti mesi il decreto ministeriale di attuazione e ai 300 mezzi pesanti a zero emissioni e infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici all’interno della rete stradale SNIT non a pedaggio).
Nel campo dell’automotive c’è una diversa attenzione tra il comparto dell’auto privata e quello dell’autotrasporto merci. Sarà che delle prime ne circolano 40 milioni e di veicoli commerciali – tra leggeri e pesanti – ce ne sono in giro solo 4 milioni?
Che ci sia maggiore attenzione all’auto privata è vero, ma non credo dipenda solo dal numero dei veicoli circolanti, quanto a quello delle persone che li possiedono. Al di là di questa considerazione l’intento è – e deve essere – prioritariamente di svecchiare il parco per ridurre l’inquinamento e avere mezzi più sicuri sulle nostre strade. Oggi l’attenzione è stata spostata sui climalteranti ma la questione degli inquinanti resta e va parimenti affrontata. Per questo, ripeto, l’eliminazione di mezzi obsoleti deve essere una assoluta priorità.
Resta il fatto che l’incentivazione per il rinnovo dei veicoli commerciali – leggeri e pesanti – sia ancora confusa per non dire caotica. Non sarebbe più utile, comodo e comprensibile, unificare gli incentivi per renderli più accessibili?
Unificare tutto non credo che sia possibile: non si possono far confluire in un’unica voce gli incentivi nazionali e quelli locali, così come appare com- plesso unificare i fondi per il Conto Terzi con quelli per il Conto Proprio. Ma certamente sarebbe bene programmare l’intervento centrale in maniera chiara, con competenze istituzionali e operative uniformi per i prossimi anni, con flussi finanziari continui e una rapida erogazione dei rimborsi. Sarebbe il modo migliore per consentire alle imprese di affrontare la transizione programmando gli investimenti nel tempo. Uno degli elementi che ancor oggi frenano il ricambio dei mezzi è l’incertezza del futuro. Perché un imprenditore dovrebbe sborsare – con un supporto pubblico esitante e tardivo – decine di migliaia di euro per acquistare veicoli ai quali magari dopo pochi anni sarà impedito di circolare o verranno imposte pesanti limitazioni?
Lei si riferisce al fatto che la transizione alla mobilità green, secondo le scadenze previste (o che potrebbero essere previste) dai regolamenti UE sulla CO2 sono troppo ravvicinate e troppo vincolanti, soprattutto per i veicoli pesanti?
La sostenibilità è, ovviamente, un obiettivo irrinunciabile e condiviso. Il problema sono i tempi e i modi per raggiungere tale obiettivo. La trazione elettrica presenta ancora tante problematiche (a cominciare dalla neutralità della sua produzione e dall’impatto dei suoi equipaggiamenti) e chiederne l’introduzione a breve e a qualunque prezzo è solo un atteggiamento ideologico. Se ne può prevedere una graduale introduzione, in tempi medi, nella logistica urbana, ma con un forte sostegno pubblico che tenga anche conto della diffusione di questa tipologia di veicoli nel conto proprio, che rappresenta un comparto non sempre economicamente florido. Per il conto terzi, dove prevalgono i veicoli più pesanti, le emissioni zero sono un obiettivo tecnologicamente ancora assai lontano.
Più praticabili sembrano i carburanti a bassissimo impatto ambientale e 100% carbon neutral, come i biofuel e il biometano (questa filiera inciderebbe positivamente anche sulla politica energetica nazionale), che sono prodotti nella logica dell’economia circolare e si appoggiano a reti di distribuzione già esistenti e dunque meriterebbero di essere incentivati se si vuole davvero abbattere i livelli di CO2. Al riguardo andrebbero modificati i parametri dei CAM (criteri ambientali minimi) premiando in maniera radicalmente maggiore questo tipo di alimentazioni. Del resto, gli stesi organismi di vertice dell’Unione europea - Parlamento, Consiglio e Commissione – lo scorso ottobre hanno raggiunto un accordo sui limiti alle emissioni delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri che entro il 2030 dovranno ridurre le emissioni di CO2 rispettivamente del 55% e del 50% rispetto ai livelli del 2021. Per ora non ci sono accordi sui mezzi pesanti, ma nel 2026 scatterà una clausola di revisione per valutare la situazione anche alla luce degli ultimi sviluppi della tecnologia. Sarebbe una buona occasione per ragionare –almeno per i pesanti – su carburanti meno impattanti che garantiscano – a bassissimo costo ambientale – la transizione alle ancora lontane emissioni zero.