U+D | N°14/2020

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Indice_Index 2020_anno VII_n.14

Editoriale_Editorial 6

E| Giuseppe Strappa La città rovesciata The overturned city

Riflessioni_Reflections R| Karl Kropf Usare il progetto per insegnare la morfologia urbana Using design as a tool to teach urban morphology

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Saggi e Progetti_Essays and Projects 1| Marco Trisciuoglio Nota sulle morfologie urbane transizionali come critica agli studi urbani in ambito cinese. La mappa tipologica di Hehua Tang a Nanchino Note on the transitional urban morphologies as a criticism of urban studies in the chinese context. The typological map on Nanjing Hehua Tang

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2| Luiza Santos, François Dufaux Le volte di Place Royale: le memorie archeologiche alla base delle trasformazioni morfologiche The vaults of Place Royale: the archaeological clues fueling morphological transformations

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3| Orazio Carpenzano, Giovanni Rocco Cellini, Angela Fiorelli, Filippo Lambertucci, Manuela Raitano Largo della Salara vecchia. Il progetto del margine nell’area archeologica centrale di Roma Largo della Salara vecchia. The project of the edge in the central archaeological area of Rome

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4| Michele Beccu Piazza, Museo, Stazione. Note sul progetto per la stazione metropolitana “C” Ipponio-Amba Aradam a Roma Square, Museum, Station. Project notes for the “C” line subway station Ipponio-Amba Aradam in Rome

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5| Giovanni Longobardi Sotto l’asfalto del Colosseo Under the asphalt of the Colosseum

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6| Renato Capozzi, Federica Visconti Una unità elementare nella Valle dei Templi di Agrigento An elementary unit in the Valley of Temples of Agrigento

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Studi e Ricerche_Studies and Research 1| Ludovico Romagni Il Mandracchio di San Benedetto del Tronto. Frammenti di storicità lungo la metropoli adriatica The Mandracchio of San Benedetto del Tronto. Fragments of historicity along the Adriatic metropolis

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2| Mariangela Turchiarulo Alessandria d’Egitto: la città come palinsesto. Per una lettura critica delle stratificazioni Alexandria of Egypt: the city as a palimpsest. For a critical reading of the stratifications

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3| Rosalba Belibani, Deborah C. Lefosse Verso una rigenerazione operante della città Towards an operating urban regeneration

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4| María Victoria Zardoya Loureda, Alessandro Masoni 500 anni dell’Avana: pretesto per una lettura storico-morfologica 500 years of Havana: pretext for a historical-morphological reading

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5| Marianna Sergio La semiotica della Cité du fer: sedimentazione di segni e costruzione di spazi The semiotics of the “Cité du fer”: sedimentation of signs and construction of spaces

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6| Paola Scala, Maria Pia Amore Equilibri instabili. Il progetto di recupero e rifunzionalizzazione di Palazzo Penne a Napoli Unstable balances. The project for the recovery and refunctionalisation of Palazzo Penne in Naples

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7| Ermelinda Di Chiara Il progetto come “modificazione dell’esistente” The project as “modification of the existing”

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Punti di vista_Viewpoints

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1| Paolo Carlotti Il progetto implicito nelle forme della città The implicit project in the urban form

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2| Loredana Ficarelli Ri-abitare un paese antico Reinhabit an ancient city

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3| Emanuele Palazzotto Alla base del processo: scientificità del progetto e attualità dei fondamenti teorici At the base of the process: scientific nature of the project and topicality of the theoretical foundations

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4| Giuseppe Rociola L’altra contemporaneità di Franco Purini. Il Complesso parrocchiale di San

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Giovanni Battista a Lecce The other contemporaneity of Franco Purini. The Parish complex of San Giovanni Battista in Lecce 5| Michele Montemurro Abitare tra terra e mare Living between land and sea

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6| Germano Germanò La cittadella di Gozo a Malta: rigenerare attraverso l’identità The Citadel of Gozo in Malta: regenerating through identity

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7| Claudia Sansò Forme dell’Islam. Moschee nei centri urbani occidentali Islam forms. Mosques in the western urban centers

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Recensioni e Notizie_Book Reviews & News R1| Antonello Russo, Elementare & Complesso. La città per isole. Grammatiche insediative per la città contemporanea (Giuseppe Arcidiacono) Elementary & Complex. The city by islands. Settlement grammars for the contemporary city, by Antonello Russo (Giuseppe Arcidiacono)

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R2| Isabella Daidone, Giancarlo De Carlo. Gli editoriali di Spazio e Società (Santo Giunta) Giancarlo De Carlo. The editorials of “Spazio e Società”, by Isabella Daidone (Santo Giunta)

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N1| Attilio Petruccioli Bibliotheca Orientalis Attilio Petruccioli Bibliotheca Orientalis Attilio Petruccioli

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N2| Matteo Ieva Giornata di studio: La ricerca di morfologia urbana in Italia. Tradizione e futuro Study day: Urban morphology research in Italy. Tradition and future

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urbanform and design Editoriale

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Giuseppe Strappa

DiAP, Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università degli Studi di Roma E-mail: giuseppe.strappa@uniroma1.it

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Roma non è stata, certo, la sola vittima di un consumo rapido e violento della parte più preziosa della città ereditata. La crisi del suo tessuto storico è stata tuttavia, in qualche modo, esemplare e i quesiti che il suo declino ha posto contengono, come spesso nella storia, un significato universale. Alcune considerazioni sulla città storica di Roma (sul modo, soprattutto, in cui la crisi provocata dalla pandemia ha posto nuovi problemi e qualche speranza) assumono, peraltro, un significato generale non solo perché la città è stata, da almeno un secolo, un importante luogo di sperimentazione in tema di interventi sul patrimonio storico, ma anche perché ha dato un rilevante contributo al pensiero sull’architettura della città moderna, quello dei Kahn, Venturi, Rowe, Muratori. Cosa sta cambiando, dunque, nella città storica, intendendo con questo termine non solo un patrimonio architettonico ed edilizio, ma un sistema di valori, funzioni e simboli inevitabilmente in trasformazione? Credo che il problema debba essere posto in una prospettiva ampia che consideri le fasi formative del tessuto della città, ponendo la questione nei suoi termini strutturali, che sono economici e politici. Nei tessuti sorti sulle rovine antiche e trasformate fino al XVIII secolo, l’abitazione e il negozio di proprietà costituivano un insieme organico: morfologico, edilizio, catastale. “Casa e bottega”, espressione tipicamente romana, indicava l’essenza della vita urbana, l’unità tra gli spazi dove si svolgeva la vita e quelli dove si intrecciavano gli scambi. Una solidarietà espressa dalle facciate, la parte più umana dei tessuti, regolate da geometrie condivise, che si stringevano con continuità intorno alla strada. Con la formazione dei primi capitali privati, che si sono affiancati alle grandi proprietà religiose e nobiliari, la città si è trasformata radicalmente. Si sono diffuse le case d’affitto e i condomini, mentre si andavano formando nuovi equilibri nella struttura urbana secondo un processo che alla fine del XIX secolo poteva dirsi, nelle linee generali, concluso. La città storica che abbiamo ereditato è, dunque, per la gran parte, moderna, dove l’abitazione si è staccata dalla bottega seguendo un processo di specializzazione e divisione del lavoro che ha investito ogni aspetto della vita degli aggregati edilizi. I percorsi continuavano a svolgere, tuttavia, ancora un ruolo di spazio condiviso, mentre le nuove funzioni di scambio assegnavano ad alcuni di questi il carattere nodale di strade commerciali. Questo processo di trasformazione continuo, che aveva permesso agli abitanti lo svolgersi di forme evolute di vita civile, è stato messo in crisi, tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, dall’irruzione di un consumo dei tessuti urbani parassitario e pervasivo dove l’industria del tempo libero andava assumendo forme e dimensioni non più sostenibili. E, con la struttura economica della città, si andava trasformando il suo tessuto sociale. Si trattava di una crisi inedita, legata non a processi ciclici di trasformazione interni alla struttura della città, ma al portato di fenomeni di internazionalizzazione economica le cui logiche risultavano in conflitto con i reali interessi degli abitanti. Parlare del fondamentale carattere dei tessuti storici come società di edifici, vero valore e grande lezione contemporanea del patrimonio edilizio ereditato, sembrava un curioso, nostalgico anacronismo. Nel redditizio supermarket

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Rome was certainly not the only victim of a rapid and violent consumption of the most precious part of the inherited city. The crisis of its historical fabric was however exemplary and the questions that its decline posed contain, as often in history, a universal meaning. Some considerations on the historic city of Rome (on the way, above all, in which the crisis caused by the pandemic has posed new problems and some hope) may be of general significance not only because the city has been, for at least a century, an important place of experimentation in terms of interventions on its historical heritage, but also because it has given a significant contribution to the thought on the architecture of the modern city, that of Kahn, Venturi, Rowe, Muratori. What is changing, therefore, in the historic city, meaning by this term not only an architectural and building heritage, but a system of values, functions and symbols inevitably in transformation? I believe that the problem has to be posed in a broad perspective that considers the formative phases of the city fabric, posing the question in its structural terms, which are economic and political. In the fabrics that arose out of the ancient ruins and transformed until the eighteenth century, the house and the commercial, constituted an organic whole. “House and shop”, a typically Roman expression, that indicated the essence of urban life, the unity between the living spaces and those where commercial exchanges were intertwined. A solidarity expressed by the facades, ordered by shared geometries. With the formation of the first private capitals, which joined the large religious and noble properties, the city was radically transformed. Rental houses and condominiums spread, while new balances were being formed in the structure of the city according to a process that at the end of the nineteenth century could be said, in general terms, to have been concluded. The historic city that we have inherited is, therefore, modern, where the house is detached from the shop following a process of specialization and division of labor that has affected every aspect of urban life. The routes of the city still continue to play, however, a role of shared space, while the new exchange functions assigned to some of them the nodal character of commercial streets. This process of continuous transformation was put into crisis, between the end of the twentieth and the beginning of the twenty-first century, by the advent of a parasitic and pervasive consumption where tourism and the leisure industry were

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.001

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The overturned city

La città rovesciata

| Giuseppe Strappa | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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taking on shapes and sizes that were no longer sustainable. Alongside the economic structure of the city, its social and building fabric were changing. It was an unprecedented crisis, linked not to the usual cyclical processes of transformation, but to the result of economic globalization phenomena whose logics conflicted with the real interests of the inhabitants. In the lucrative supermarket of the historic city, you could freely choose between monuments and fast food, enjoy picturesque views and museums, pubs and typical restaurants. Everything was made banal, everything homologated by the vanishing of the connections between things. The result was a sort of “heterotopia of disorientation”, so to speak, an overturned city, progressively emptied of its stable and continuous part, and filled with special activities in continuous transformation, isolated from the urban context, which inverted the very meaning of places. Even the resilience of its plastic/masonry fabrics was undermined by radical mutations. Evidence of this was the static decline of the residential buildings, subjected to unprecedented stresses caused by the incessant replacement of the walls, often load-bearing. The result of a wild liberalism and of market laws that the administrations never really wanted to control. The urban disaster of the historic central part of Rome was for years readily explained because of the times, as the needed changes that would avoid, in the inherited fabrics, the fate of dusty museums. I believe that designer architects have a significant responsibility in this process, not only for their substantial indifference to the problem, but also for the invention of ritual and seductive slogans that have ended up giving consent to the processes in action, surrendering to a condition accepted as inevitable. For years, they pretended to believe in a model, where the income produced by tourism was distributed within the residential fabric, giving them a new productive function. But what has happened is inevitable in any laissez faire economy: when the investment produces a high return compared to the capital employed, the initiative is controlled by large financial groups. In fact, this was seen wherever a series of accommodation facilities sprang up and, wherever, the inhabitants left their old houses. The few rules that should have regulated the phenomenon were of 2017 but seemed a century old: they concerned housing units where the owner had to rent a maximum of three free rooms, to accommodate travelers who visited the city. Then Covid arrived to empty accommodation facilities, spaces for entertainment and restaurants. Like a biblical disaster, activities that seemed destined for an unstoppable expansion came to a sudden halt, causing a huge economic and social phenomenon. I am writing in the past tense, as if a transformation cycle in our history has ended. I try to imagine that the forces and contingencies that have produced the evident failures have exhausted their thrust. But Covid is not the Sterling Angel that wiped out the causes of the disaster. We are, in fact, at a crossroads. While we are waiting for the tragedy to end, the tourist machine survives with government subsidies waiting for everything to start again as before. But the way of seeing things has changed. The pandemic forces us to look to the future in an uncertain, but also new way. The economic

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della città storica si poteva liberamente scegliere tra monumenti e fast food, consumare scorci pittoreschi e musei, frequentare birrerie e ristoranti tipici. Tutto veniva reso banale, tutto omologato dalla scomparsa dei nessi tra le cose. Ne derivava una sorta di eterotopia dello spaesamento, per così dire, una città ribaltata, progressivamente svuotata della sua parte stabile e continua, e colmata di attività speciali in continua trasformazione, isolate dal contesto urbano, che invertivano il senso stesso dei luoghi. La stessa resilienza dei suoi tessuti plastici e murari veniva messa in crisi da mutazioni improvvise e radicali. Ne era prova evidente la compromissione statica delle costruzioni abitative, sottoposte ad inedite sollecitazioni provocate dalle incessanti sostituzioni delle pareti murarie, spesso portanti. Risultato di un liberismo selvaggio e di leggi di mercato che le amministrazioni non hanno mai voluto realmente controllare, il naufragio urbano della parte storica centrale di Roma è stato per anni puntualmente spiegato come portato dei tempi, come la necessità di un cambiamento che avrebbe dovuto evitare ai tessuti ereditati il destino di polveroso museo. Credo che gli architetti progettisti, con non molte eccezioni, abbiano una responsabilità importante in questo processo, non solo per la loro sostanziale indifferenza al problema, ma anche per l’invenzione di slogan rituali e seducenti che hanno finito per organizzare il consenso ai processi in atto, la resa ad una condizione accettata come inevitabile. Per anni si è finto di credere in un modello di accoglienza diffusa, dove il reddito prodotto dal turismo fosse distribuito all’interno dei tessuti abitativi dando loro una nuova funzione produttiva. Ma è accaduto quello che è inevitabile in qualsiasi società liberista: o i presupposti economici sono deboli e le iniziative non decollano, o, quando l’investimento produce una rendita elevata rispetto ai capitali impiegati, l’iniziativa viene accentrata da società di gestione che fanno capo a gruppi finanziari. E, infatti, dovunque spuntavano catene di strutture ricettive, dovunque gli abitanti se ne andavano dalle vecchie case. Le poche norme che avrebbero dovuto regolare il fenomeno erano del 2017 ma sembravano vecchie di un secolo: riguardavano unità abitative dove il proprietario avrebbe dovuto dare in affitto al massimo tre stanze libere, ospitare i viaggiatori che visitavano la città. Solo le amministrazioni romane sembravano non accorgersi che alle famiglie si erano sostituite società di affari, che i lavori di trasformazione, per i quali non si richiedeva alcun cambiamento di destinazione d’uso né misure di sicurezza (bastava segnalare l’inizio dell’attività), cancellavano la struttura organica degli edifici lasciando inalterata la sola quinta di facciata. Quello che le normative pretendevano di tutelare, era in realtà un simulacro. E forse ha ragione Giorgio Agamben: davvero le case, le città erano “già bruciate, non sappiamo da quanto tempo, in un immenso rogo che abbiamo finto di non vedere”. Abbiamo cercato solo di mascherarne la rovina, fare in modo che tutto sembrasse intatto comportandoci come se nulla fosse successo (Agamben, 2020). Poi è arrivato il Covid a svuotare tutto, strutture ricettive, spazi per il divertimento, locali per la ristorazione. Come un disastro biblico, attività che sembravano destinate a un’espansione irrefrenabile si sono arrestate improvvisamente provocando un fenomeno economico e sociale di enormi dimensioni. Scrivo al passato, come se un ciclo di trasformazione della nostra storia si fosse concluso. Provo ad immaginare che le forze e le contingenze che hanno prodotto i guasti che sono sotto gli occhi di tutti abbiano esaurito la loro spinta. Ma il Covid non è l’Angelo Sterminatore che ha spazzato via le cause del disastro. In realtà siamo a un bivio. Mentre si è in attesa che la tragedia finisca, la macchina del turismo sopravvive con i sussidi governativi aspettando che tutto ricominci come prima, che il volano del divertimento riprenda a moltiplicare locali, ristoranti, appartamenti vacanza, tracimando nei non molti spazi ancora occupati dagli abitanti. Eppure è cambiato il modo di vedere le cose. La pandemia ci costringe a guardare al futuro in modo incerto, ma anche nuo-

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vo. Cominciando con i nessi economici che regolano i rapporti tra gli spazi del lavoro, del commercio, della cultura, divenuti spesso immateriali. Si scopre così la possibilità di un mondo diverso, dove l’abitazione può tornare ad essere anche un luogo di lavoro, i cittadini avranno più tempo libero e l’attenzione all’ambiente divenire, da consumato slogan che ha giustificato ogni scelta, risorsa economica. Forse è il momento di ripensare radicalmente la città, e in particolare il suo centro più antico, secondo nuovi piani. Riconsiderare la sua struttura economica, soprattutto, che non può essere basata sul consumo delle risorse dell’ambiente costruito. Il cambiamento, realisticamente, non può che partire da qui. È paradossale parlare di attenzione ai caratteri del tessuto, quando la sua economia è basata sulla sua stessa distruzione. Si presenta l’occasione, dunque, di progettare un diverso modello di ripresa, dove le giuste attese dell’industria del turismo, centrale nella vita economica di Roma e di molte città europee, abbiano una risposta razionale e non continuino a produrre disastri. Il progetto per la città ereditata, che a Roma potrebbe coincidere con il prossimo cambio nel governo della città, non dovrebbe riguardare solo l’emergenza. Dovrebbe essere un piano su tempi lunghi, contenere una visione (non solo un programma) capace di coinvolgere la politica e gli abitanti. Da molto tempo l’architettura, secondo un’idea falsa di contemporaneità, concentrata in una spettacolarizzazione dell’esistente nella quale l’apparenza esaurisce il significato delle cose, non propone idee generali, un pensiero unificante. Forse è il momento di un rovesciamento di prospettiva, di nuove sintesi che diano senso al molteplice dei progetti puntuali, al contingente delle soluzioni locali.

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links that regulate the relationships between the spaces of work, commerce, and culture have often become immaterial. Thus, we are discovering the possibility of a different world, where the home could also become a workplace again, citizens could have more free time, and attention to the environment could become, from a slogan that justified every choice, an economic resource. Perhaps it is time to radically rethink the city and its oldest center, reconsidering its economic structure, which cannot be based on the consumption of the resources of the built environment. The change, realistically, can only start from here. The opportunity arises to design a different recovery model, where the expectations of the tourism industry, central to the economic life of Rome and many European cities, a rational response are given. The project for the inherited city, which in Rome could coincide with the next change in the city government, should not only concern the emergency. It should be a long-term plan, containing a vision (not just a program) capable of involving politics and the inhabitants. For a long time, architecture, according to a false idea of contemporaneity, concentrated on the aestheticization of the existing, not proposing general ideas, a unifying thought. Perhaps it is time for new syntheses: to a great design, which has long been lacking in Rome,

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Fig. 1 - Roma di Anonimo fiorentino, seconda metà del XIV secolo. Rome by an Anonymous Florentine, second half of the XIV century.

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which governs the warp of the urban fabric, understands its complexity, and also gives meaning to exceptions. Of course, the ideal organicity of the Renaissance city (which was, in fact, “ideal”) is no longer possible, but this does not mean that the values of a beautiful and livable city are out of date. Therefore, it is necessary to invest resources to update the cultural use of historical heritage in contemporary terms. The administrations that have taken place in the government of the capital city have left us the bleak spectacle of abandoned forums, ancient monuments, historical spaces. The expanding demand for cultural consumption can be matched by a new offer in terms of quality and quantity, with intelligence and an understanding of the limit, also thinking of the many “minor” historic centers scattered throughout the territory from which the extraordinary charm of Rome diverts resources. But, above all, it is necessary to rethink the urban fabrics, the most consistent and fragile part of the city, according to an “ethical” model, where the house acquires a new role in the urban context and becomes a place where the inhabitants live and a productive asset, considering how smart working (which involved 94% of public administration employees in the most acute phase of the lockdown) will be the choice of many tertiary activities, Covid having only accelerated it. In this context, accommodation facilities should find new rational forms of organization, congruent with the role of special that must have a proportionate and congruent relationship with the base one (not with the potentially unlimited demand) and involve the peripheral areas, from which the concentration of supply in the central poles removes any prospect of development. In this context, architecture does not have the duty to prefigure the physical form of a different city, based on the interpretation of a transforming reality. Of course, the idea that historical fabrics can be transformed in a “necessary” way, congruent with the real needs of the inhabitants and also of the visitors, can only constitute a credible alternative if the problem is posed in the context of which studies and proposals are carried out. And we have never been under the illusion that the powers that brought the city to its current condition could support methods of reading and design that contain the hypothesis of a city on the scale of its inhabitants. However, the current conditions are completely new and the need for change is a widespread sentiment in every sector of civil society. Never before has architecture had the task, following the example of the moral commitment of the Modern Movement, to strongly propose alternatives. The proof of their necessity is that everywhere in Europe the inhabitants are beginning to revolt against the squandered conditions of their historical heritage whose protection coincides with the culture of a supportive and livable city.

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Un grande disegno, che manca da tempo a Roma, che governi l’ordito del suo tessuto, ne comprenda la complessità, dia senso anche alle deroghe. Certo, non è più possibile l’organicità ideale della città rinascimentale (che era, appunto, “ideale”) ma questo non significa che i valori di una città bella e vivibile siano inattuali. Occorre, dunque, investire risorse per aggiornare in termini contemporanei l’uso culturale del patrimonio storico. Le amministrazioni che si sono succedute nel governo della capitale ci hanno lasciato il desolante spettacolo di fori, monumenti antichi, spazi storici abbandonati o con sistemazioni che risalgono, nei casi migliori, al periodo tra le due guerre. Alla domanda di consumo culturale in espansione, può corrispondere una nuova offerta progettata, per qualità e quantità, con intelligenza e comprensione del limite, considerando anche i tanti centri “minori” sparsi nel territorio ai quali lo straordinario fascino di Roma toglie risorse. Ma, soprattutto, occorre ripensare i tessuti urbani, la parte più consistente e fragile della città, secondo un modello “etico”, dove la casa acquista un nuovo ruolo nel contesto urbano e diviene di nuovo luogo dove vivono gli abitanti, ma anche patrimonio produttivo. Un luogo di lavoro che tenga conto di come lo smart working (che ha coinvolto nella fase più acuta del lockdown il 94% dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni) sarà la scelta di molte attività terziarie, che il Covid ha solo accelerato. Un modello che potrebbe, riducendo il tempo del lavoro, umanizzare gli spazi aperti trasformandoli da luoghi riservati al consumo, a nuovi poli, luoghi dove converge la vita che fluisce nella città. Riscoprendo, magari, anche il senso della festa, secondo un uso solidale degli spazi pubblici che ha costituito nella storia della città, anche recente, una delle espressioni urbane più autenticamente condivise. In questo quadro, le strutture ricettive dovrebbero trovare nuove forme razionali di organizzazione, congruenti col ruolo di edilizia speciale che debbono possedere in qualsiasi tessuto che si trasformi in forme utili agli abitanti. Edilizia che deve avere un rapporto proporzionato e congruente con quella di base (non con la sola domanda, potenzialmente illimitata) e coinvolgere le aree periferiche, alle quali la concentrazione dell’offerta nei poli centrali sottrae ogni prospettiva di sviluppo. In questo quadro l’architettura ha non solo il dovere di disegnare spazi per una convivenza migliore, ma anche quello di prefigurare la forma fisica di una città diversa, basata sulla lettura di una realtà in divenire di cui le trasformazioni progettate sono l’ultima, critica fase. Certo, l’idea che i tessuti storici si possano trasformare in modo “necessario”, congruente con le esigenze reali di chi li abita ed anche di chi li visita, può costituire un’alternativa credibile solo se ci si pone il problema del contesto nel quale studi e proposte vengono effettuati. E non ci siamo mai illusi che i poteri che hanno portato la città alle condizioni attuali potessero sostenere metodi di lettura e progetto che contengono anche l’ipotesi di una città a dimensione degli abitanti. Ma le condizioni attuali sono del tutto inedite e la necessità del cambiamento è un sentimento diffuso ormai in ogni settore della società civile. Mai come in questo momento l’architettura ha avuto il compito, sull’esempio dell’impegno etico del Moderno, di proporre con forza alternative. La prova della loro necessità è che dovunque, in Europa, gli abitanti cominciano ad insorgere contro le condizioni di un patrimonio storico che si va dilapidando e la cui tutela non può che coincidere con la cultura di una città moderna, solidale e vivibile.

Riferimenti bibliografici_References Agamben G. (2020) Quando la casa brucia, Giometti e Antonello, Macerata.

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School of the Built Environment, Oxford Brookes University, United Kingdom E-mail: kkropf@brookes.ac.uk

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Il rapporto tra morfologia urbana e progetto è un problema di vecchia data, con cui ancora oggi abbiamo a che fare. Nel contesto italiano, va da sé – ma è bene ripeterlo –, la morfologia urbana si è sviluppata sotto forma di concetti, metodi e pratiche atti ad informare il progetto. È anche vero che la morfologia urbana si è sviluppata in un contesto accademico ed è stata applicata nell’insegnamento del progetto. Questo accade anche oggi, non solo in Italia, tanto che tipologia e morfologia rimangono una parte standard dei curricula di molte scuole di architettura, urbanistica e progettazione urbana. Per i curiosi, e per coloro che hanno una mentalità più filosofica, questo fatto solleva un’altra domanda. Se la morfologia è usata come strumento nell’insegnamento della progettazione, quali strumenti possiamo invece usare per insegnare la morfologia urbana? La risposta breve e apparentemente circolare è il progetto (fig. 1). La circolarità non è un paradosso se vista da diverse prospettive. Una è il principio del verum et factum convertuntur di Giambattista Vico. Un’altra è un’interpretazione che contiene la dimensione del tempo. Dal punto di vista di Vico, quello che possiamo conoscere è quello che abbiamo fatto. La logica della “convertibilità” parte dal fatto che il progetto fa già parte della morfologia urbana. Il progetto fa parte del processo di formazione e trasformazione studiato dalla morfologia urbana. E il progetto è l’atto specifico del “fare” che trasforma le idee nel tessuto fisico dell’ambiente costruito. Quindi, da un punto di vista logico, se la morfologia urbana è lo studio della forma urbana e la forma urbana è il prodotto di azioni progettuali, possiamo ottenere una comprensione della forma urbana “inversa” attraverso l’atto progettuale. Per il fine dell’insegnamento, i passi indietro sarebbero forse meglio enunciati come domande. Qual è la struttura complessiva del processo di formazione e trasformazione di cui il progetto fa parte? Quali sono i passaggi da e verso la progettazione e chi sono gli agenti nel processo di progettazione? Quali idee e informazioni sono necessarie per eseguire questo processo? In che modo un progettista ottiene queste informazioni? L’altra prospettiva primaria attraverso la quale può essere risolto il paradosso della circolarità del rapporto tra progetto e morfologia urbana è quella centrale all’insegnamento: il processo di apprendimento richiede tempo. La crescita della conoscenza e della comprensione avviene con ripetute alternanze tra “guardare” e “fare”, tra osservazione dei fenomeni e costruzione di ipotesi, generando idee e poi sperimentandole. La circolarità – nel tempo – è essenziale per il processo di apprendimento. A farci credere che il progetto possa essere utilizzato per insegnare la morfologia urbana, sta il fatto che la morfologia urbana sia utilizzata anche in discipline non progettuali come la geografia, l’archeologia, l’antropologia e la conservazione storica. In altre parole, il test per stabilire se il progetto è uno strumento appropriato sarebbe verificare l’insegnamento della morfologia urbana ai non progettisti. Ne è esempio il Design for Conservation module, che è una parte obbligatoria del corso post-laurea del Masters of Science course in Historic Conservation presso la Oxford Brookes University. Il background di quanti frequentano il corso è molto variegato: storia, inglese, archeologia, giornalismo, editoria, diritto e contabilità, solo per citarne alcuni.

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The question of the relationship between urban morphology and design is a long standing and ongoing one. In the context of Italy, it should go without saying – but bears repeating – that urban morphology was developed as a set of concepts, methods and practices, in order to inform design. It is also the case that urban morphology was developed within an academic context and applied in the teaching of design. This continues today, not just in Italy, such that typology and morphology remain a standard part of the curriculum in many schools of architecture, urbanism and urban design. For the curious, and more philosophically minded, this raises another question. If morphology is used as a tool in teaching design, what tools can we use to teach urban morphology? The short and seemingly circular answer is design (fig. 1). The circularity is not paradoxical when viewed from a number of different perspectives. One is Giambattista Vico’s principle of verum et factum convertuntur. Another is a view that incorporates the dimension of time. From Vico’s perspective, what we can know is what we have made. The logic of the “convertibility” starts with the fact that design is already a part of urban morphology. Design is part of the process of formation and transformation that is studied by urban morphology. And, design is the specific act of “making” that transforms ideas into the physical fabric of the built environment. So, the logic runs, if urban morphology is the study of the urban form and urban from is produced by acts of design, we can gain an understanding of urban form “backwards” through the act of design. As is appropriate to the task of teaching, the steps back are perhaps best stated as questions. What is the overall structure of the process of formation and transformation of which design is a part? What are the steps to and from design and who are the agents in the design process? What ideas and information are required to go through that process? How does a designer get that information? The other primary perspective from which the paradoxical circularity of the relationship between design and urban morphology can be resolved is one that is central to teaching: the process of learning takes time. The growth of knowledge and understanding occurs with repeating alternations between “looking” and “making”, between observation of phenomena and construction of hypotheses, generating ideas and then testing them. The circularity – in time – is essential to the process of learning.

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.002

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Riflessioni | Reflections

Using design as a tool to teach urban morphology

morfologia urbana

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Fig. 1 - La circolarità tra morfologia e progetto non è un paradosso ma un segno della “convertibilità” dei due secondo il verum-factum di Vico e della possibilità che l’uno informi l’altro in un processo di apprendimento nel tempo. The circularity between morphology and design is not a paradox but a sign of the ‘convertability’ of the two in accordance with Vico’s verum-factum and the potential for one to inform the other in a process of learning over time.

Putting pressure on the idea of using design to teach urban morphology is the fact that urban morphology is also used in non-design disciplines such as geography, archaeology, anthropology and historic conservation. Put another way, the test of whether design is an appropriate tool is if it works when teaching urban morphology to non-designers. An example of such a case is the Design for Conservation module, which is a required part of the post-graduate Masters of Science course in Historic Conservation at Oxford Brookes University. The background of people taking the course is very diverse: history, English, archaeology, journalism, publishing, law and accountancy to name a few. In very broad terms the module is about how new development can be accommodated in historic environments and the issues relating to the conservation of areas within settlements as opposed to individual buildings or artefacts. There are five main sub-sections to the module: Introduction, Analysis, Design Guidance, Design Critique and Design Proposal. Over the course of the module, the students undertake an individual project studying a place of their choice that is broken down into the same five sub-sections. Some illustrations from an example are shown in figures 2-4. A central aim of the module is to highlight the difference between describing the physical form and history of the built environment on the one hand and participating in its creation on the other: between “looking” and “making”. An analogy used in the introductory lecture is language: “listening” and “speaking”. Listening to and understanding language is one thing, it is another to put words together in order to speak or write. Typically it is easier for people to understand a foreign language as spoken by others than it is to speak. The analogy is an apt one. If we are to learn a language, we need to mentally construct or “generate” sentences and “test” them by speaking them out loud for others to interpret. There is an inherent risk that we might make a mistake – but it is by making mistakes and being corrected that we learn. As a learning exercise, the design proposal is a step toward adopting the “making” frame of mind and another opportunity for the students to try to “speak” the language of the built environment. Design involves formulating in ones head something that is “not there”. It may be composed of familiar elements but the specific combination in that particular place does not exist. It also involves seeing existing places not as settled and complete but as an opportunity for something different, for its potential. The act of designing is then an iterative process of generate and test, trying out possibilities and seeing if they work. That process involves alternating between the two general perspectives of “looking” and “making”. There is a common underlying logic to both points of view that is embodied in the design process as a whole. What this helps to teach about urban morphology, particularly to non-designers, is that the built environment is the result of an ongoing process involving many human decisions made as a response to particular conditions within a cultural context. And that the built environment is itself the product of learning. That insight, and the act of engaging in design, is a doorway into the larger subject of urban morphology. There are any number of directions one might take but to explore briefly, two further central concepts come to mind: the typological process and the compositional hierarchy of built form.

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Fig. 2 - Progetto del corso sulla città di Winchester (Emma Day): analisi di percorsi, di nodi e di paesaggi urbani. Project coursework on the town of Winchester by Emma Day: route, node and towscape analysis.

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In termini molto generali, il module riguarda sia il modo in cui nuove trasformazioni possono essere accolte in contesti storici, che le questioni relative alla conservazione delle aree interne agli insediamenti, rispetto ai singoli edifici o manufatti. Ci sono cinque sottosezioni principali del modulo: Introduction, Analysis, Design Guidance, Design Critique e Design Proposal. Nel corso del modulo, gli studenti maturano un progetto individuale studiando un luogo a loro scelta, suddiviso nelle medesime cinque sottosezioni. Alcune illustrazioni ne mostrano un esempio (figg. 2-4). Obiettivo centrale del module è, da un lato evidenziare la differenza tra descrivere la forma fisica e la storia dell’ambiente costruito, e dall’altro partecipare alla sua formazione: “guardare” e “fare”. Un’analogia utilizzata nella lezione introduttiva è il linguaggio: “ascoltare” e “parlare”. Ascoltare e comprendere la lingua è una cosa, un’altra è mettere insieme le parole per parlare o scrivere. In genere è più facile capire una lingua straniera parlata da altri che parlare. L’analogia sembra appropriata. Se vogliamo imparare una lingua, dobbiamo costruire mentalmente o “generare” frasi e “testarle” pronunciandole ad alta voce affinché gli altri le interpretino. C’è il rischio intrinseco che possiamo commettere un errore, ma è proprio commettendo errori ed essendo corretti che impariamo. Come esercizio di apprendimento, la proposta progettuale è un passo verso l’adozione dello stato d’animo del “fare” e un’altra opportunità per gli studenti di provare a “parlare” la lingua dell’ambiente costruito. Il progetto implica la formulazione nella propria mente di qualcosa che “non c’è”. Può essere composto da elementi familiari ma la combinazione specifica in quel particolare luogo non esiste. Ciò significa anche: vedere i luoghi esistenti non come stabili e completi ma come un’opportunità per qualcosa di diverso, per il suo poten-

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Fig. 3 - Progetto relativo alla città di Winchester (Emma Day), svolto nel Corso di progettazione: tessuto urbano e analisi del carattere dell’area. Project coursework on the town of Winchester by Emma Day: urban tissue and character area analysis.

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ziale. L’atto di progettare è quindi un processo iterativo di generazione e test, provando le possibilità e vedendo se funzionano. Questo processo implica l’alternanza tra le due prospettive generali del “guardare” e del “fare”. Esiste una logica sottostante comune a entrambi i punti di vista che è incorporata nel processo di progettazione nel suo complesso. Ciò che questo aiuta a insegnare sulla morfologia urbana, in particolare ai non progettisti, è che l’ambiente costruito è il risultato di un processo continuo che coinvolge molte decisioni umane prese come risposta a particolari condizioni all’interno di un contesto culturale. E che l’ambiente costruito è esso stesso il prodotto dell’apprendimento. Capire questo, insieme all’atto di impegnarsi nel progetto sono la chiave di accesso al tema più ampio della morfologia urbana. Sono molte le direzioni che si possono prendere, ma per esaminarle brevemente, vengono in mente due ulteriori concetti centrali: il processo tipologico e la gerarchia compositiva della forma costruita. Impegnando attivamente gli studenti nella progettazione, si fornisce loro un’esperienza diretta che può essere utilizzata come punto di riferimento per esaminare i concetti più complessi della morfologia urbana. L’esperienza può essere collocata nel contesto più ampio del processo tipologico. Il progetto può essere mostrato come un passaggio (o una serie di passaggi) di un più esteso processo. Un modo utile per illustrare il problema è individuare la fase in un diagramma del processo tipologico (fig. 5). Per quanto riguarda il progetto, ciò che il diagramma sottolinea è che le fonti per un dato progetto includono sia l’esperienza dell’uso e dell’interazione con forme esistenti, sia la gamma di tipi in uso, latenti e incarnati “in circolazione” in quel particolare tempo e luogo. Quindi, nell’insegnamento, piuttosto che proporre il progetto come una categoria astratta e un passaggio di una sequenza teorica, gli aspetti

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By getting the students to actively engage in design, they then have a direct experience that can be used as a point of reference for examining the more complex concepts of urban morphology. The experience can be situated in the wider context of the typological process. Design can be shown as a step (or set of steps) in the longer process. A useful way to illustrate the point is to locate the step in a diagram of the typological process (fig. 5). With respect to design, what the diagram emphasises is that the sources for any given design include both the experience of using and interacting with existing forms and the range of active, latent and embodied types “in circulation” in that particular time and place. So, in teaching, rather than presenting design as one of the abstract categories and a step in an abstract sequence, the aspects and process can be brought to life by animating them through the perspective of a design project. When presented as purely abstract concepts, the idea that urban form is the product of a social process that results in a multi-level hierarchical structure can be somewhat opaque, particularly to students new to the field. The hierarchical structure of built form is, however, one of the central urban morphological concepts that can be most forcefully illustrated through a design exercise (fig. 6). Any product of design in the built environment has both a specific location and an internal structure. Two of the central tasks of design are 1) to get the object to fit into

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Fig. 4 - Progetto relativo alla città di Winchester (Emma Day), svolto nel Corso di progettazione: analisi dell’uso del suolo. Project coursework on the town of Winchester by Emma Day: land use analysis.

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Fig. 6 - Schema della gerarchia compositiva della forma costruita che evidenzia come ogni elemento faccia parte di una composizione più ampia e sia esso stesso composto di parti. Diagram of the compositional hierarchy of built form, highlighting that any given element is part of a larger composition and itself composed of parts.

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Fig. 5 - Diagramma che identifica la posizione del progetto all’interno del processo tipologico. Diagram identifying the relative position of design within the typological process.

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del processo possono essere portati in vita animandoli attraverso la prospettiva di un programma progettuale. L’idea che la forma urbana sia il prodotto di un processo sociale che si traduce in una struttura gerarchica a più livelli, presentata sotto forma di concetti puramente astratti, potrebbe risultare alquanto vaga, in particolare per gli studenti meno esperti. La struttura gerarchica della forma costruita è, tuttavia, uno dei concetti centrali nella morfologia urbana che possono essere illustrati con maggiore forza attraverso un esercizio di progettazione (fig. 6). Qualsiasi prodotto progettato nell’ambiente costruito ha sia una posizione specifica che una struttura interna. Due dei compiti centrali del progetto sono: (i) far sì che l’oggetto si adatti e funzioni nella sua particolare posizione; e (ii) far lavorare insieme le parti interne per ottenere una struttura coerente in modo da assicurare che l’oggetto soddisfi gli obiettivi dell’intenzione originale. Una volta che lo studente acquisisce la cognizione che l’oggetto progettato è necessariamente parte di un insieme più grande e ha sue parti interne, si ha una base concreta per introdurre la gerarchia compositiva della forma costruita. Per concludere, si potrebbe dire che il rapporto tra morfologia urbana e progetto o, più in generale, tra guardare e fare non è una semplice dicotomia ma una sorta di gradiente. Ci sono passaggi intermedi tra i due o “gradi di produzione”. Andando oltre, si potrebbe aggiungere che esiste un terzo polo che media entrambi ed è il risultato della combinazione dei due: l’apprendimento. Quando facciamo, capiamo di più quando guardiamo con più attenzione, facciamo meglio.

and work in its particular location and 2) to get the internal parts to work together and create a coherent whole; all to ensure the object satisfies the aims of the original intention. Once the student sees that the object of design is necessarily part of something larger and has its own internal parts there is a tangible basis for introducing the compositional hierarchy of built form. To conclude, it might be said that the relationship between urban morphology and design or, more generally, between looking and making is not a simple dichotomy but a kind of gradient. There are intermediate steps between the two or “degrees of making”. Going further, it might be added that there is a third pole that both mediates and is a result of combining the two: learning. When we make, we understand more from looking and when we look more carefully, we are better at making.

Nota Testo originale inglese. Traduzione a cura di Nicola Scardigno.

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urbanform and design

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Nota sulle morfologie urbane transizionali come critica agli studi urbani in ambito cinese

Saggi e Progetti | Essays and Projects

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La mappa tipologica di Hehua Tang a Nanchino DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.003

Marco Trisciuoglio

“Transitional Morphologies” Res. Unit, Southeast University of Nanjing, Politecnico di Torino E-mail: marco.trisciuoglio@polito.it

Uno studio tipo-morfologico su una capitale cinese. La parte meridionale del centro di Nanchino come laboratorio sulle forme urbane transizionali

Note on the transitional urban morphologies as a criticism of urban studies in the chinese context. The typological map on Nanjing Hehua Tang

A typo-morphological study on a Chinese capital city. The Southern part of the Nanjing Inner City as a laboratory on transitional urban forms The Chinese city of nowadays seems not to be comparable, in its streets and buildings, with the same city in the first half of the 20th century as well as that city in history. Nowadays Nanjing, as it is described in the novel by ZHU Wen, What

Le città cinesi di oggi non sembrano paragonabili, nelle loro strade e nei loro edifici, con le città cinesi ancora esperibili nella prima metà del secolo XX, con i caratteri morfologici di lunga durata derivati dalla storia e chiaramente riconoscibili. La Nanchino di oggi, per come viene descritta nel romanzo di ZHU Wen Se non è amore vero, allora è spazzatura (什么 是 拉圾 ,什么 是 爱,, 2004), è così lontana dalla Nanchino descritta da YE Zhaoyan in Nanchino 1937. Una storia d’amore (一九 一九 三 七年 的 爱情 爱情, 1996), per non parlare della perdita oggi di quel senso degli spazi urbani e dei luoghi privati che si può ancora trovare leggendo le lettere di My Lady of the Chinese Courtyard, il romanzo epistolare di Elizabeth Cooper ambientato nel Jiangsu del 1914, o tuffandosi letteralmente nelle pagine caleidoscopiche del monumentale romanzo Il sogno della camera rossa (红楼梦), scritto secondo la tradizione da CAO Xueqin a metà XVIII secolo. In effetti, l’esercizio di una più attenta comprensione delle transizioni di una città, dal carattere urbano che era proprio dei secoli delle dinastie Ming e Qing al carattere di una città ridisegnata durante la breve Repubblica Cinese, poi trasformato ancora nel carattere di una città sottoposta ai processi di modernizzazione durante il “balzo in avanti” sino alla metamorfosi ormai compiuta nella metropoli complessa e “smart” dell’Asia di oggi, può essere utile per comprendere il terreno di gioco sul quale stanno decidendo il futuro di una città come Nanchino progettisti, urbanisti e stakeholders. L’unità di ricerca “Transitional Morphologies”, istituita ufficialmente nel 2018 tra Cina e Italia, tra la Southeast University di Nanchino e il Politecnico di Torino sta lavorando dal 2015 alla descrizione critica delle trasformazioni della forma urbana delle città cinesi, con l’individuazione delle principali cause economiche, sociali, culturali che inducono quelle trasformazioni. Questo obbiettivo di lavoro comporta due assi di ricerca principali: da un lato indagare, comprendere e descrivere le cause di quella transizione in quanto permutazione di forme urbane alle diverse scale, dall’altro lato di-mostrare come questi cambiamenti possano essere rappresentati su mappe. Allo stato attuale, la prima missione si sta sviluppando affrontando alcuni temi socio-economici che rappresentano novità di portata rilevante per la cultura cinese (come il mercato immobiliare o il ritorno ai diritti di proprietà), mentre la seconda missione viene condotta sulla mappatura della città, attraverso quegli strumenti descrittivi dei luoghi che fanno parte delle diverse tradizioni di studi morfologici urbani. In ragione sia del contesto accademico cinese, sia della scala alla quale ha operato il primo approccio di ricerca, lo strumento concettuale inizialmente adoperato è stato quello della fringe belt della tradizione conzeniana. In un secondo tempo, scendendo alla scala del manufatto edilizio e del tessuto urbano, gli strumenti epistemologici di scuola caniggiana si sono rivelati decisivi per affrontare criticamente l’analisi urbana dell’area di studio. In particolare, tracciare mappe tipologiche diventa un modo per mostrare l’intima struttura della città cinese e soprattutto il gioco di permanenze, varia-

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Abstract The aim of this paper is describing the epistemological background, the critical context and the scientific outcomes of some morphological studies on the urban fabrics of the Southern area of Nanjing (Jiangsu Province, China) driven by the “Transitional Morphologies” Joint Research Unit (based at Southeast University Nanjing and Politecnico di Torino). The Hehua Tang area is located at the interior of the ancient city’s walls, as part of Nanjing’s Precious Historical City Conservation Zone. Its urban fabric is made by small courtyard-houses (shacks and old and permanent building artifacts) and it is the subbject of some regeneration’s initiatives. The residents are local people belonging to the low-income working class and migrant workers. The social status of inhabitants is the focus of the debate between developers, government and scholars, together with the new questions of real-estate ownership in China, the stronglymarket-led urban regeneration in the fast capitalistic development of Chinese economy, and the role of urban heritage in policy strategies of the Chinese government. The joint research unit worked on a typological map of the entire area in order to use it to describe its development, to understand its vocations and to figure out future regenerating projects. The result is here shown for the first time in its complexity, describing the urban structure based upon layers (substrata) of the ancient Ming capital city, paying a specific attention to the critical aspects of this experiment into the field of studies upon the urban morphology of the Chinese cities, masterfully opened by Jeremy Whitehand and Kai GU fifteen years ago.

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Keywords: transitional morphologies, typological map, Chinese city, urban form, Italian morphological studies

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Fig. 1 - a. La forma urbana della capitale Nanchino durante la dinastia Ming [TransMo]; b. Consistenza della parte meridionale della Nanchino storica [HT 2017]; c. Lettura dello sviluppo della parte meridionale della Nanchino storica come “inner fringe belt” [JL 2017]; d. Planimetria dell’insediamento di Hehua Tang [HT 2017]. a. The urban form of Nanjing capital city during the Ming Dinasty [TransMo]; b. Consistence of the Southern part of historical Nanjing [HT 2017]; c. Reading of the development of the Southern part of historical Nanjing as an Inner Fring Belt [JL 2017]; d. Plan of the settlement of Hehua Tang [HT 2017].

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zioni e anche permutazioni nel tempo della forma della città. Ma è al tempo stesso uno straordinario tentativo di tornare a “falsificare” (alla maniera di Karl Popper) i principali strumenti concettuali di quell’eredità e dei suoi metodi, continuando a testare gli elementi di forza e di debolezza dell’approccio tipo-morfologico italiano di fronte a un nuovo fenomeno inesplorato com’è quello della natura fortemente dinamica delle città asiatiche contemporanee. In questo senso si è raccolta la sfida lanciata da GU Kai e XU Zhen sulle pagine di U+D urbanform and design (01/2014), allorché dichiararono le difficoltà e i problemi della ricerca morfologica e tipologica sulle città cinesi. Uno dei primi risultati è la mappa tipologica dell’area di Hehua Tang, nel settore meridionale della città vecchia di Nanchino, all’interno di quella cinta muraria di epoca Ming che la città ancora oggi conserva. Mostrare quella mappa, descrivendone i presupposti scientifici e i metodi che si sono utilizzati per tracciarla, è lo scopo dei paragrafi che seguono. Questa descrizione comporta, in quanto primo rapporto di sperimentazione di una ricerca sul campo, il riferimento ad alcuni aspetti critici che costituiscono i tre punti di un’agenda che sarà necessario trattare in una fase del lavoro a venire: a. il ruolo dell’idea di topografia nell’approccio conzeniano e in quello caniggiano, anche inteso nella capacità di individuare relazioni tra contesto naturale e insediamenti umani in Cina; b. la necessità di una riscrittura dell’idea di tipologia che, attraverso il paradigma della transizionalità, riscopra il ruolo giocato dalla linea del tempo nel permutare gli elementi invarianti del tipo (spingendo alla rivalutazione in Cina dell’idea di “analogia”, 类比, leibi); c. la rilevanza di un approfondimento delle basi che la tettonica può offrire all’approccio tipo-morfologico anche in Cina, a patto che si colgano le basi

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is Love, What is Garbage (什么是拉圾,什么是 爱, 2004), is so far from Nanjing itself as it was described by YE Zhaoyan in Nanjing 1937: A Love Story (一九三七年的爱情, 1996), not to speak about the loss of that feeling of urban spaces and of private places, that can be found reading the letters of My Lady of the Chinese Courtyard, the epistolary novel by Elizabeth Cooper (1914), or literally splashing into the kaleidoscopic (and multi characters) pages written, according to the tradition, by CAO Xueqin to create the monumental novel Dream of the Red Chamber, or The Story of the Stone, (红楼梦, mid XVIIIth century). The exercise of better understanding the transition from the Ming and Qing Dynasty urban character of a city to the character of a city redesigned during the short Republic of China period, transformed during the modernization processes of the “Leap forward” and became a smart and complex metropolis of nowadays Asia, can be useful to understand the playground on which we are deciding the future of that city as designers, planners, stakeholders. The “Transitional Morphologies” Joint Research Unit, officially established between China and Italy in 2018, between Southeast University in Nanjing and Politecnico di Torino, is working since 2015 on the critical description of the development of the urban form of Chinese cities and its main social, economical, cultural factors. This big challenge involves two main missions: investigating, understanding and describing the

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proprie di quella cultura insediativa (antropologicamente fondata su maglie di colonne lignee e non su murature continue in blocchi di pietra o laterizi).

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causes of that “transition” as metamorphosis on one hand and, on the other hand, showing how those changes can be represented on maps. Right now, the first mission is being developed overall facing some “new” socio-economic topics (such as real estate market or the coming back to property rights), the second mission has been driven until now on mapping the city through topographical tools that are part of the tradition of urban morphological studies (especially in the Italian cultural and scientific context). Due either to the Chinese academic context, or to the scale of the first research approach, the initial conceptual tool was the fringe belt, in the Conzenian tradition of studies. Later, going towards the building’s and urban fabric’s scale, the epistemological tools of the Caniggian school proved to be decisive for critically addressing the urban analysis of the area. Tracing typological maps becomes a way to show the intimate structure of the Chinese city and the play of permanencies, variations and also permutations in time. But it is at the same time an extraordinary attempt to finally “falsify” (in Karl Popper’s way) the main conceptual tools of that legacy and its methods, testing again and again the strength and weakness of the Italian typo-morphological approach in front of a new unexplored phenomenon such as the strongly dynamic nature of the contemporary Asian cities. In this sense, the “Transitional Morphologies” Joint Research Unit took up the challenge

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Fig. 2 - a. Mappe di Hehua Tang in quattro diversi periodi storici: Ming, Qing, 1931, 1936 (dalla Collezione on-line del Nanjing Urban Planning Bureau, Nanjing); b. Mappe di Hehua Tang in quattro diversi periodi storici: 1911, 1929, 1946, 1975 (dalla Collezione on-line del Nanjing Urban Planning Bureau, Nanjing); c. Dettaglio della mappa catastale di Nanchino compilata nel 1936 (da Academia Sinica Digital Centre, Taiwan); d. Hehua Tang nella foto aerea di Nanchino del 1929 e nella foto satellitare (fonte: Google Earth) del 2017; e. Vicolo condiviso che attraversa alcuni cortili di Hehua Tang (foto di Marco Trisciuoglio, 2016). a. Maps of Hehua Tang in four different historical periods: Ming, Qing, 1931, 1936 (from the on-line Collection of Nanjing Urban Planning Bureau, Nanjing); b. Maps of Hehua Tang in four different historical periods: 1911, 1929, 1946, 1975 (from the on-line Collection of Nanjing Urban Planning Bureau, Nanjing); c. Detail of the Cadastral plan of Nanjing compiled in 1936 (from Academia Sinica Digital Centre, Taiwan); d. Hehua Tang in the aerial photo of Nanjing in 1929 and in the satellite photo (source: Google Earth) in 2017; e. A shared alleys crossing some courtyards in Hehua Tang (photo by Marco Trisciuoglio, 2016).

Dalla forma urbana nanchinese alla enclave Hehua Tang “Nanchino è grande quanto Pechino se non di più, ma mi da l’impressione di un guscio vuoto al suo interno. Dentro il cerchio delle mura non c’è una città, bensì stagni, canneti, campi coltivati e qua e là villaggi isolati (…). Relativamente all’importanza del capoluogo, la popolazione è scarsa e gli stranieri sono scappati al tempo dell’avanzata nazionalista (…). A parte il senso di desolazione e la mancanza di qualsiasi conforto di tipo urbano, sia pure antiquato, debbo riconoscere che la scelta di Nanchino come luogo per ricostruire ex novo una capitale per la Cina è una scelta felice. La posizione se non altro è bella. Posta sul promontorio formato da un’ansa del fiume Yangtze, con delle amene colline alle spalle, la città potrebbe divenire – se ci fossero i fondi per ricostruirla – una capitale grandiosa e attraente”. Così Daniele Varè, ambasciatore italiano a Pechino descrive Nanchino nel 1927. In quell’anno Nanchino divenne per un decennio la capitale della Repubblica di Cina, rinnovando un ruolo di città capitale già ricoperto più volte dal secolo III al secolo XX. Era stata per circa cinquant’anni la capitale dell’Impero cinese all’inizio del periodo Ming (1368), diventando probabilmente la città più grande del mondo nel 1400, quando raggiunse quasi 500.000 abitanti: la capitale meridionale dell’impero (Nánjīng, 南京 significa “capitale del sud”) è stata un luogo cruciale per la civiltà cinese nel suo periodo culturalmente più importante, quello appunto contraddistinto dalla dinastia dei Ming. | Marco Trisciuoglio | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 3 - a. Foto aerea di Nanchino nel 1929; b. Immagine satellitare di Nanchino nel 1976 (da Nanjing Urban Planning Bureau, Nanjing); c. Immagine satellitare di Nanchino nel 2005 (fonte: Google Earth); d. Immagine satellitare di Nanchino nel 2017 (fonte: Google Earth, elaborata da JIANG Lei). a. Aerial photo of Nanjing in 1929; b. Satellite image of Nanjing in 1976 (from Nanjing Urban Planning Bureau, Nanjing); c. Satellite image of Nanjing in 2005 (source: Google Earth); d. Satellite image of Nanjing in 2017 (source: Google Earth, elaborated by JIANG Lei).

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Il ritratto che ne fa l’ambasciatore italiano mostra la completa decadenza della città, in quel momento lontana anche nella forma urbana dal glorioso passato di capitale, al punto che il presidente SUN Yatsen chiederà a un architetto americano, Henry Murphy, di riprogettare Nanchino da capo, come una nuova Capitale in stile “cinese/occidentale” secondo le regole del disegno urbano Beaux-Arts. Il triste e terribile episodio dell’invasione da parte dell’esercito giapponese nel 1937 determinerà tuttavia, con il cosiddetto “Massacro di Nanchino”, la brusca interruzione di quel progetto di una nuova, moderna ed elegante capitale. Situata nel Jiangsu, la provincia dell’estuario del fiume che gli occidentali chiamano Fiume Azzurro o anche Yangtze (mentre per i Cinesi è Changjiang), Nanchino è oggi una grande metropoli, al centro di un importante sistema tecnologico e produttivo, ma mantiene alcune caratteristiche morfologiche e molti manufatti che riecheggiano la sua storia urbana. La cerchia quasi completa delle mura urbane di epoca Ming è ancora oggi imponente e, insieme alla Montagna Viola (Zijin Shan) a nord-est, il grande lago Xuanwu a nord e lo stesso Yangtze a nord-ovest, ha determinato l’ordine morfologico dell’insediamento urbano, insieme alla posizione originaria della sua città proibita, stabilendo il ruolo principale di due grandi strade ortogonali, nord-sud ed est-ovest, e il loro punto d’incrocio in Xinjiekou, baricentro fisico, simbolico e oggi anche commerciale della città. La parte storica di Nanchino, quella intra muros, è divisa amministrativamente in tre distretti: Xuanwu, Qinhuai e Gulou. Qinhuai, il settore meridionale della Nanchino storica, può essere descritto come una inner fringe belt. È strutturato lungo una storica linea d’acqua, il fiume Qinhuai dal quale prende il nome, affluente dello Yangtze e vero e proprio corso d’acqua urbano, canale naviga-

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launched by GU Kai and XU Zhen on the pages of “Urbanform and Design” (01/2014), when they declared the issues and the problems of morphological and typological research on Chinese cities. One of the first outcomes of the research plan of the “Transitional Morphologies” Joint Research Unit is the typological map of Hehua Tang area, in the Southern sector of the old town of Nanjing, inside the still existing Ming city walls’ precinct. Showing this map, describing its scientific background and the applied methods in tracing it, is the aim of the following paragraphs. That description, as first report of an investigation experiment on field, involves the reference to some critical aspects that constitute the three points of an agenda that will need to be dealt with in a future work: a. the role of the idea of topography in the Conzenian and Caniggian approaches, also understood in the ability to identify relationships between the natural context and human settlements in China; b. the need for a rewriting of the idea of typology which, through the paradigm of transitionality, rediscovers the role played by the time line in permuting the invariant elements of types (leading to the re-evaluation in China of the idea of analogy, 类比, leibi); c. the importance of an in-depth study of the bases that tectonics may offer to the typemorphological approach also in China, provided that the foundations of that settlement culture

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From the urban form of Nanjing to the “en “enclave” Hehua Tang Daniele Varè, the Italian Ambassador at Beijing Nan(and well known English novelist), described Nan jing in 1927 as an abandoned place, that could have become great again. In that year Nanjing became, for a decade, the capital city of the Republic of China, renewing the role of capital city already played several times from the 3rd to the 20th century. Having been the city capital of the Chinese Empire at the beginning of the Ming Dinasty (1368) for around fifty years, becoming maybe the largest city in the world in 1400, with its almost 500.000 inhabitants, the southern capital city (Nanjing, 南京, means “south capital”) was a crucial place for the Chinese civilization in its most important flowering period. The portrait made by the Italian Ambassador shows a city, at the moment far, even in the urban form, from its glorious past of capital city, so that the President SUN Yat-sen will ask to an American architect, Henry Murphy, to re-design Nanjing in a new “Chinese/Western” style capital city (according to the Fine Arts rules in urban design). The sad and terrible episode of the invasion by Japanese army in 1937 will determine, with the so called “Nanjing massacre”, the break of that project of a new and elegant capital city.

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bile con piccole barche. Lungo le sue rive, durante il tardo periodo Ming e gli inizi della dinastia Qing, è cresciuto un tessuto urbano costituito da piccole case a corte, alte uno o due piani, che ha dato forma a una parte della città ancora riconoscibile oggi nella sua intima costituzione tipologica e nel suo assetto morfologico. Il forte limite meridionale quadrangolare dato dalle mura della città, con la presenza della massiccia porta sud Zhonghuamen, ha creato nel tempo, insieme alla curva del fiume Qinhuai, una sorta di figura urbana a farfalla, che racchiude una vera e propria enclave insediativa dalle caratteristiche persistentemente antiche. La città moderna ha eroso quei tessuti urbani rapidamente, anche se ancora non completamente. Alcune parti mantengono talune caratteristiche originarie, ma sono abitate come slums e diventano oggetto di progetti di riqualificazione che nella Cina odierna sollevano importanti discussioni a livello politico, gestionale e anche progettuale. È il caso di Hehua Tang, area da un lustro ormai al centro di ipotesi di rigenerazione e che perciò merita di essere descritta attraverso una mappa tipologica.

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are taken (anthropologically based on grids of wooden columns and not on continuous masonry in stones or bricks blocks).

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Fig. 4 - a. Hehua Tang e la sua decomposizione tipologica [HT 2017]; b. Indagine sulla “transizione” del tessuto urbano a Hehua Tang dal 1929 al 1978 e 2017 (parte nord) [HT 2017]. a. Hehua Tang and its typological decomposition [HT 2017]; b. Investigation on the urban fabric “transition” in Hehua Tang from 1929 to 1978 and 2017 (Northern side) [HT 2017].

Gli strumenti e le fonti per una mappa tipologica in Cina: problemi I principali strumenti e le principali fonti che sono necessari per poter tracciare una mappa tipologica nella tradizione italiana sono la cartografia storica, le restituzioni archeologiche, il rilievo architettonico e le mappe catastali. Come hanno scritto GU Kai e XU Zhen (2014), una delle principali difficoltà nell’approccio a “la ricostruzione in dettaglio dei cambiamenti degli scenari | Marco Trisciuoglio | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 5 - c. Indagine sulle transizioni morfologiche urbane in Hehua Tang dal 1929 al 1978 e 2017 [HT 2017]; d. Indagine sulla “transizione” del tessuto urbano a Hehua Tang dal 1929 al 1978 e 2017 (parte sud) [HT 2017]. c. Investigation on the urban morphologies transitions in Hehua Tang from 1929 to 1978 and 2017 [HT 2017]; 5. Investigation on the urban fabric “transition” in Hehua Tang from 1929 to 1978 and 2017 (Southern side) [HT 2017].

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urbani nelle città in Cina” sta nel fatto che la maggior parte delle mappe e dei piani storici cinesi mostrano tradizionalmente sistemi stradali e landmarks (e anche reti di canali d’acqua), mentre “vere e proprie planimetrie, che mostrino strade, trame e piani di edifici nel corso della storia sono rare in Cina”. È possibile utilizzare altre fonti (anche romanzi, poesie e memoriali) o le vecchie fotografie e i vecchi dipinti, ma il percorso verso una mappa tipologica congetturale diventa molto complicato e necessariamente mediato dall’interpretazione stessa di quei documenti. Il rilievo archeologico sta diventando oggi una pratica importante in Cina. Con il crescente interesse per il patrimonio culturale, determinato dall’attenzione al gusto occidentale per l’autentico (concetto in realtà estraneo al pensiero cinese) e con la spinta del settore del turismo, vi è stato un incremento per lo studio dell’archeologia con metodi moderni. Tuttavia è ancora una pratica molto giovane nel contesto culturale cinese, dove pure ha avuto anche grandi e leggendari maestri negli anni Trenta, nella coppia LIANG Sicheng e LIN Huiyin, così non esistono scavi archeologici sistematici nell’area meridionale di Nanchino. Il rilievo architettonico sul campo, condotto nel dettaglio e con precisione, mette direttamente in contatto lo studioso con la materialità degli edifici (il loro sistema costruttivo, il comportamento statico, i materiali utilizzati, la presenza di decorazioni e anche lo stato di degrado del manufatto stesso). Non solo: il rilievo diretto è una pratica che spesso consente il confronto spontaneo con gli abitanti e talvolta l’acquisizione, tramite quegli scambi con la popolazione, di conoscenze tramandate nel tempo rispetto agli usi e alla forma degli edifici stessi e dei loro spazi. Nel caso specifico di Hehua Tang, poi, oltre al rilievo sul posto, due documenti

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Located in Jiangsu, the province that hosts the estuary of the so called, by western geographers, “Blue River” or Yangtze (but for the Chinese it is Chángjiāng), Nanjing is nowadays an important metropolis, at the core of a relevant technologic and productive system, but maintains some features and physical elements of its urban history. The precinct of the Ming city walls is nowadays still impressive and, together with the Purple Mountain (Zijin Shan) at north-east, the big Xuanwu lake at north and the Yangtze river itself at northwest, determined the urban morphological order of the settlement, together with the original location of the inner imperial city and its “forbidden” part, establishing the main role of two orthogonal big roads, linking north-south and east-west, and their cross point, Xinjiekou, the physical, symbolic and today also commercial, centre of gravity of Nanjing. The historical part of Nanjing (the one inside the walls) is administratively divided into three districts: Xuanwu, Qinhuai and Gulou. Qinhuai, the southern sector of the historical Nanjing, can be described nowadays as an inner fringe belt. It is structured along an historical water line, the Qinhuai river, tributary of the Yangtze and real urban river, usable at human scale. Along its waterfronts, during the late Ming period and the early Qing, an urban fabric made by small courtyard-houses, one or two storeys tall, grew up, developing a part of the city recognizable in its intimate typological constitution and in its

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Fig. 6 - Un complesso di cortili a Hehua Tang (foto di JIANG Lei, 2015). A complex of courtyard houses in Hehua Tang (photo by JIANG Lei, 2015).

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The instruments and sources for a typological map in China: problems The main instruments/materials that are necessary in order to trace a typological map, in the Italian tradition of Muratori’s and Caniggia’s studies, are: historical maps, archaeological and architectural relief, cadastral maps. As GU Kai and XU Zhen wrote in their paper of 2014, one of the main difficulties in approaching “the reconstruction of detailed changes to the urban landscapes of cities in China” is the fact that most historical Chinese maps and plans traditionally show street systems and key landmarks (and also water canals’ networks), but “true

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di incredibile rarità per il contesto cinese sono stati particolarmente importanti. Si tratta della mappa catastale del 1936 e delle foto aeree del 1929, reperti eccezionali, probabilmente dovuti allo speciale ruolo di capitale rivestito dalla città di Nanchino in quegli anni. La mappa catastale è l’esito di un processo iniziatosi con l’istituzione del governo repubblicano nel 1912, quando agenzie di rilevamento e mappatura furono gradualmente inviate in tutto il paese in modo da tracciare le basi cartografiche per una moderna pianificazione urbana che dopo dieci o venti anni produsse i piani urbanistici su larga scala di molte importanti città: Shanghai, Pechino, Canton e la stessa Nanchino (la cui mappa urbana fu completata in una nitidissima cartografia finalmente pubblicata nel 1933). Le foto aeree del 1929 (tratte da un volo di rilievo che mostra la città così com’è stata descritta da Daniele Varè) possono essere confrontate, a loro volta, con le foto satellitari del 1978 (conservate in archivio presso il Nanjing Urban Planning Bureau) e quelle del 2005 e di oggi (reperite tramite il sito map.baidu.com, utilizzato come fonte diretta e confrontato criticamente con quanto si può ricavare da Google Earth).

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morphological patterns. The strong southern limit, given by the city walls, with their orthogonal layout on the western and eastern sides, and the presence of the massive South Gate Zhonghuamen, created in time, together with the curve of Qinhuai river, a sort of “butterfly”, that encloses a part of the city itself, a real enclave of ancient features settlements. The modern city has now eroded those urban fabrics quickly, but not completely. Some parts kept their original characteristics, but they are inhabited as slums and become the subject of regeneration projects, which in today’s China raise important discussions, on a political, managerial and project level. One of these cases was that of the Hehua Tang area, since five years at the core of urban regeneration hypothesis and debates.

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Fig. 7 - Catalogo dei tipi di edifici esistenti nell’area di Hehua Tang (a cura degli studenti SEU che hanno frequentato nel 2016 il Design Studio Morfologia urbana, tipologia architettonica, modelli di insediamento contemporaneo presso la Scuola di Architettura della Southeast University Nanjing). Catalogue of the building types existing in Hehua Tang Area (by SEU students’ team attending the Design Studio Urban morphology, architectural typology, Contemporary settlement patterns at the School of Architecture at Southeast University Nanjing, 2016).

Hehua Tang: il comportamento transizionale di una inner fringe belt A guardare la sequenza delle foto aeree, il tessuto urbano di Qinhuai, coerente e omogeneo, costituito da piccole case a corte, allineate lungo le strade e i corsi d’acqua, nel tempo risulta essere sostituito in alcune zone da edifici o complessi edilizi di diversa scala (piccole fabbriche e danwei o strutture di servizio sociale). | Marco Trisciuoglio | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 8 - La mappa tipologica dell’area di Hehua Tang ai giorni nostri, scala urbana [HT 2017]. The typological map of Hehua Tang Area nowadays, urban scale [HT 2017].

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Negli anni 2000 lo stesso settore urbano mostra un intervenuto ispessimento della trama di strade ad alta velocità e l’erosione del tessuto urbano originale a opera di tipi nuovi e diversi, come gli edifici residenziali multipiano degli anni Ottanta, costruiti in serie con regole insediative totalmente diverse. Nella mappa satellitare attuale, la metamorfosi per erosione del tessuto urbano nella parte meridionale di Nanchino entro le mura sembra essere stata quasi completata e rimangono solo pochi brani del pattern originario. Lo stato di fatto coincide con un recente momento di riscoperta di Qinhuai come luogo di possibili scenic areas, il cui valore misto (turistico popolare/educativo/commerciale) sembra supportare molte delle politiche di rigenerazione urbana attualmente in atto. I rapporti che in quel distretto si stabiliscono, in alcuni casi ormai molto celebrati in Cina, tra progetto urbano e mercato immobiliare rivelano una tendenza diffusa, anche nell’orizzonte del progressivo ritorno della società cinese alla proprietà privata dei lotti, verso pratiche di New Urbanism. La farfalla urbana di Qinhuai è evidentemente una inner fringe belt area, secondo l’accezione di M.R.G. Conzen: la linea delle mura della città è la tipica “fixation line”, per come è stata definita da Peter J. Larkman nel 1991 e c’è una seconda evidente “fixation line” che può essere ravvisata forse nello stesso fiume Qinhuai o meglio nel suo secondo ramo settentrionale che scorre diritto lungo Baixia Road. Fondamentalmente, la morfologia urbana di questa parte della città, che è quasi una vasta area quadrata, posta tra il Central Business District di Xinjiekou e la periferia sud fuori dalla cinta muraria urbana, sembra essere diversa da quella delle altre parti della città. Mostra infatti allo stesso tempo la progressiva erosione del pattern originale, fatto di case a corte, ma anche una forte resistenza morfologica. Tale resistenza è dovuta a una minore vocazione nel-

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ground plans showing streets, plots and building block plans are rare in China over history”. It is possible to use other sources such as: historical documentary records (even novels, poems and memorials), old photographs and paintings, but the path towards a conjectural typological map becomes very complicated and mediated by the interpretation of those documents. The archaeological relief is becoming nowadays an important practice in China. Together with the growing interest in cultural heritage, brought about by the Western culture of authenticity (foreign to Chinese thought), and the boost the tourism industry the interest in archaeology grow up, but it is still a very young practice in Chinese cultural context (where it had great and legendary masters in the Thirties in the couple of scholars LIANG Sicheng and LIN Huiyin). Systematic archaeological excavations still don’t exist in the Southern part of Nanjing. The sharp and detailed architectural relief on field put the scholar directly in touch with the materiality of the buildings (their construction system, structural behave, used materials, the presence of decorations and also the state of decay of the artefact itself) and it is a practice, that often allows spontaneous confrontation with the inhabitants and sometimes the acquisition of knowledge handed down over time with respect to the uses and shape of the buildings themselves and their spaces. In the specific case of Hehua Tang, in addition to the relief on the

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place, two documents of incredible rarity for the Chinese context were especially important and whose presence is probably due to the role of capital of the city of Nanjing: the cadastral map of 1936 and the aerial photos of 1929. The cadastral map is due to a process began with the establishment of the Republican government in 1912, when firstly surveying and mapping agencies were gradually sprawled around the country and after 10/20 years a large-scale urban plans based on cadastral survey of many important cities were prepared (Shanghai, Beijing, Guangzhou, Nanjing itself for example was completely mapped in a sharp and completed cartography published in 1933). The aerial photos of 1929 (taken from a survey’s flight and that shows the city as it was described by Daniele Varè) can be compared with satellite photo of 1976 (from Nanjing Urban Planning Bureau) and the aerial views of 2005 and of nowadays (through the site map.baidu.com used as source and compared with Google Earth).

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Fig. 10 - La mappa tipologica dell’area di Hehua Tang ai giorni nostri, settore B2, scala degli edifici [HT 2017]. The typological map of Hehua Tang Area nowadays, sector B2, buildings scale [HT 2017].

lo sviluppo delle consuete nuove forme d’insediamento indotte da processi economici e produttivi: Qinhuai dimostra di essere, se non un quartiere congelato, almeno un quartiere che sta cercando (e trovando) opportunità di rigenerazione proprio nel rispetto della sua natura morfologica. Da un lato è come una terra dimenticata ai piedi delle mura cittadine, dall’altro può diventare oggi un interessante punto di partenza per un progetto di rigenerazione urbana consapevole e così lo sta interpretando ad esempio il Design Institute della Southeast University di Nanchino. L’abbandono della proprietà privata da parte di proprietari terrieri e di piccoli proprietari familiari a favore della proprietà fondiaria statale e della proprietà fondiaria collettiva (verificatosi settant’anni fa), la questione del ruolo della registrazione anagrafica delle famiglie insediate (hukou urbano) e l’interazione tra nuovi diritti di usufrutto e nuovi diritti di proprietà nella gestione dei terreni per nuove costruzioni, sono i tre fattori principali che influenzano le condizioni urbane e l’ordine morfologico odierno della parte sud della Nanchino storica.

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Hehua Tang: transitional behave of an inner fringe belt The Qinhuai urban fabric, coherent and homogeneous, made by small courtyard-houses, aligned along the streets and the water canals shows that it has been replaced in some areas by buildings or building complexes of different scales (small factories and danwei or social service facilities). In the 2000s the same urban sector showed a thickening of the texture of high-speed roads and the erosion of the original urban fabric by new and different types, those of the multi-storey residential buildings of the Eighties, built in series with totally different settlement rules. In the satellite map of nowadays, the metamorphosis of the urban fabric in the southern inner part of Nanjing seems to have been completed and only a few “spots” of the original pattern remains. This state of affairs coincides with the recent moment of rediscovery of Qinhuai as a place of possible scenic areas, whose mixed popular tourist / educational / commercial role seems to support many of the urban regeneration policies currently underway. The relationships that are established, precisely in some notable cases of that district, between urban design and the real estate market are a subject of study and research that is proving to be a very fruitful and promising trend, even in the horizon of the progressive return of Chinese society to the private ownership of the plots. The urban butterfly of Qinhuai district is an inner fringe belt area, according to the M.R.G. Conzen’s approach: the line of the city wall is the typical “fixation line”, as defined by Peter J. Larkman in 1991, and there is another fixation line, maybe the Qinhuai river itself or, better, its second northern branch along Baixia Road. Fundamentally the urban morphology of this part of the city, that is almost a “squared zone”, placed between the Central Business District di Xinjiekou and the southern periphery outside of the city wall, seems to be different from the other part of the city: it shows at the same time the progressive erosion of the original courtyardhouses pattern, as well as its strong morphological resistance. The resistance is due to a minor vocation in developing new forms of settlement under economical and productive processes: Qinhuai district shows that it is, if not a frozen district, at least a district that is looking for (and finding) opportunities of regeneration just in the respect of its morphologic nature.

Fig. 9 - La mappa tipologica dell’area di Hehua Tang ai giorni nostri, settore B1, scala degli edifici [HT 2017]. The typological map of Hehua Tang Area nowadays, sector B1, buildings scale [HT 2017].

Variazioni e permanenze degli oggetti urbani Che cosa rimane e che cosa cambia nelle vicende che interessano la parte sud di Nanchino tra la foto aerea della fine degli anni Venti e oggi? Hehua Tang, pur conservando ancora l’atmosfera della città antica, si rivela un caso esemplare di morfologia urbana in transizione. Qui, in modo diverso rispetto al resto della inner fringe belt di Qinhuai (caratterizzata alla fine del XX secolo da una progressiva sostituzione del vecchio tessuto con uno più denso, costituito da edifici multipiano residenziali | Marco Trisciuoglio | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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On one hand Qinhuai is like a forgotten land at the feet of the city wall, on the other hand it may become today an interesting starting point for an aware urban regeneration design and so it is considered by the Design Institute of the Southeast University in Nanjing. The abandonment of private ownership by landlords and family smallholders in favour of the state land ownership and the collective land ownership (as it happened sixty years ago), the question of the support from household registration (urban hukou) and the interplay between new usufruct rights and new ownership rights in management of land for construction, these all are the three main factors influencing the urban conditions and the morphologic order of Southern inner Nanjing nowadays. Variations and permanencies of urban objects What does change and what doesn’t from the aerial photograph of late Twenties and nowadays? Hehua Tang, even if it still maintains the atmosphere of the old town, proves to be an exemplary case of urban morphology in transition. There, in a different way than in the rest of the inner fringe belt Qinhuai (characterized by a progressive replacement of the old fabric with a denser one of functionalist multi-storey residential buildings), a progressive fragmentation took place, probably induced by the construction of large traffic that made Hehua Tang an enclave of the old fabric, pushing towards its physiological disintegration. The typical porosity of the Chinese traditional block, that can be crossed by foot or with electric bikes, finds in Hehua Tang the place in which all the social value of this scenario can be found, but at the same time the breaking power of the new big traffic road works as a strong limit, that lets the enclave live on itself without any possibility to breath, expanding beyond the infrastructural axis. It is possible to check and show the transitional morphology of Hehua Tang by comparing the network and the hierarchy of streets in Hehua Tang in years 1929, 1976 and 2017. Watching the three maps, starting from the more recent one, it is possible to recognize the “enclave” with its urban fabric so different from the surroundings and to realize the role played by the big roads towards South (Zhongshan Lu) and towards West (Jiqing Lu) in suppressing the connection with the other sectors of the same area. At the same time what happened to the large historical garden west of Hehua Tang (Yuyuan garden, still visible in 1929), occupied by factories and workers’ houses in the era of modernization (as can be seen in the map taken from the 1976 photographs), is very relevant, then during our century it became an abandoned area which today is finally recovered with the reconstruction of the ancient garden. It is a transitional cycle that has a certain recurrence today in Chinese cities. What happened to the original urban fabric, in the same three chronological thresholds, is even more interesting. The map of 1929 shows a continuous and homogeneous urban fabric made by small traditional courtyards-houses. They are normally organized on two/three courtyards in sequence, following the co-living of three generations in the same complex, and they also are connected by community passages that cross private courtyards. The map of 1978 shows clearly the phenomenon of disintegration of that settlement system and the fragmentation of the original housing system: the need to locate urbanized population without family roots and the end of a society

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Fig. 11 - L’evoluzione dinamica “di transizione” delle case a corte tradizionali a causa dei cambiamenti nell’economia e nella società cinese [HT 2017]. The “transitional” dynamic evolution of the traditional courtyard-houses because of changes in Chinese economics and society [HT 2017].

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Fig. 12 - L’evidenza della tradizionale casa-cortile come “cellula edilizia” del tessuto urbano a Hehua Tang [HT 2017]. The evidence of the traditional courtyard-house as the “building cell” of the urban fabric in Hehua Tang [HT 2017].

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di stampo funzionalista), si coglie invece una progressiva frammentazione dei tessuti storici, avvenuta probabilmente a causa delle grandi infrastrutture che, circondando di traffico Hehua Tang, l’hanno ridotta a un’enclave del vecchio tessuto, spingendola verso una sua fisiologica disintegrazione. La porosità tipica del blocco tradizionale cinese, che può essere attraversato a piedi, in bicicletta o con cicli elettrici, trova in Hehua Tang il luogo in cui tutto il valore sociale di questo scenario può essere chiaro ed evidente, ma allo stesso tempo in cui il ruolo di rottura della nuova grande viabilità assume il carattere di un forte limite, che fa vivere l’enclave su se stessa, senza alcuna possibilità di respirare, espandendosi oltre gli assi infrastrutturali. È possibile verificare e mostrare la morfologia di transizione di Hehua Tang, confrontando la rete e la gerarchia delle strade negli anni 1929, 1978 e 2017. Guardando le tre mappe a ritroso, a partire da quella più recente e andando verso quella del 1929, è possibile riconoscere l’enclave con il suo tessuto urbano diverso dall’ambiente circostante e rendersi conto del ruolo svolto dalla grande strada in direzione nord-sud (Zhongshan Lu) e da quella che va da est verso ovest (Jiqing Lu) nel sopprimere il collegamento con gli altri settori della stessa area. Allo stesso tempo è molto rilevante quanto è accaduto al grande giardino storico a ovest di Hehua Tang (lo Yuyuan ancora visibile fino al 1929), occupato da fabbriche e case operaie nell’epoca della modernizzazione (come si può vedere nella mappa tratta dal 1976), poi diventato nei primi anni del nuovo secolo una zona abbandonata e oggi finalmente recuperato con la ricostruzione quasi filologica dell’antico assetto. La storia di quel giardino rappresenta un ciclo di transizione che ha una certa ricorrenza oggi nelle città cinesi. Ancora più interessante è quanto accaduto al tessuto urbano originario nelle

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stesse tre soglie temporali. La mappa del 1929 mostra un tessuto urbano continuo e omogeneo costituito da piccole case a corte. Queste sono tradizionalmente organizzate su due/tre cortili in sequenza, favorendo la convivenza di tre generazioni nello stesso complesso, e sono anche collegate da passaggi di comunità che attraversano cortili privati di nuclei famigliari differenti. La mappa del 1978 mostra chiaramente il fenomeno di disgregazione di quel sistema insediativo e la frammentazione del sistema abitativo originario. La necessità di collocare una popolazione urbanizzata priva di radici familiari e la contemporanea fine di una società basata, come quella tradizionale, sulla famiglia matriarcale, sono fattori che portano alla decostruzione del rapporto tra tipologia e famiglia e all’automatica necessità di demolire/ricostruire parzialmente (o di trasformare radicalmente) le tipologie edilizie, talvolta mantenendo le dimensioni delle cellule dei tessuti e le loro altezze, magari anche cercando di mantenere gli allineamenti lungo la trama delle strade. Negli anni Ottanta e Novanta, come mostra invece la mappa del 2017, la moderna tipologia di edifici residenziali alti cinque o sei piani si è insediata in maniera totalmente estranea rispetto al tessuto urbano originario. Quegli edifici hanno seguito altri criteri insediativi (come ad esempio l’asse eliotermico) e hanno perduto l’idea del cortile come spazio di relazione, utilizzando lo spazio tra una stecca urbana e l’altra come spazio funzionale di mero rimessaggio. La situazione mostrata nella mappa del 2017 è la condizione morfologica attuale che si ripete in maniera analoga nel resto del distretto di Qinhuai. Le imponenti mura cittadine con il fossato esterno pieno d’acqua e il reticolo dei vicoli di comunità appaiono alla fine come gli unici elementi di forte permanenza nel processo di transizione da una morfologia all’altra. Gli importanti monumenti della zona, come la grande porta urbana meridionale ((Zhonghuamen)) e quella che per gli occidentali fu la Pagoda di porcellana (nel contesto del tempio DaBao’ensi, DaBao’ensi, finalmente ricostruita nel 2015 con un linguaggio contemporaneo molto raffinato) sono solo oggetti a margine di quel paesaggio urbano e non intaccano gli elementi invarianti della morfologia urbana del sito.

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La tipologia tra sopralluogo, rilievi di edifici e uso dell’analogia

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Se la carta catastale del 1936 e la fotografia aerea del 1929 (insieme alle successive viste satellitari) sono le vere e preziose risorse per tracciare primi diagrammi di transizione, quel lavoro, condotto alla scala urbana, non rende conto dell’intima consistenza di Hehua Tang. Solo il rilievo diretto durante attente sessioni di misurazioni può far comprendere agli studiosi la costituzione del tessuto urbano e delle sue cellule. Il tessuto urbano originale di Hehua Tang mostra una ripetizione coerente della tradizionale casa a corte (siheyuan) in un’impressionante somiglianza con il tessuto urbano dell’antica città romana di Pompei in Italia, dove il tipo di casa a corte (domus) si ripete più e più volte, solo cambiando le dimensioni del tipo stesso e talvolta l’organizzazione interna degli spazi, ma rimanendo dentro un’alea di forte analogia con il tipo base. La casa a corte è un tipo introspettivo (con poche finestre verso la strada, proprio come la domus romana) e costituisce il principale luogo tradizionale di abitazione della famiglia. Per la gente comune ancora oggi il cortile è il luogo di molte attività: cucinare, coltivare ortaggi, lavare e stendere panni, tenere piccoli animali. Un tempo c’era una gerarchia tra i tre cortili della casa a corte in linea così che la prima delle tre corti, quella con accesso dalla strada, era anche il luogo di rappresentanza dedicato a ospitare e accogliere gli ospiti. A volte, a Hehua Tang, è ancora possibile vedere l’antica struttura in legno a pannelli che chiudeva i cortili interni con piccole finestre, creando una barriera trasparente tra il primo cortile e il primo edificio, una vera e propria facciata interna spesso decorata, dopo quella quasi anonima sulla strada, costituita invece da un muro cieco sul quale si trova una sola porta, appena impreziosita a volte dalla decorazione dell’architrave. Per riconoscere queste caratteristiche, oggi è possibile partire dallo studio

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Typology between buildings’ survey, reliefs and analogy If the cadastral map of 1936 and the aerial photograph of 1929 (together with the subsequent ones) are the real precious resources for tracing first transitional diagrams, that work made at the urban does not account for the intimate consistency of Hehua Tang. Only the direct relief during constant sessions of measurements can let scholars understand the constitution of the urban fabric, or its cells. It is also the opportunity to meet inhabitants and to know the intangible memories of the settlements and its changes in time. The original urban fabric of Hehua Tang shows a coherent repetition of the traditional courtyards-house (siheyuan) in an impressive similarity with the urban fabric of the ancient Roman town of Pompei in Italy, where the type of the courtyard-house (domus) is repeated again and again, just changing sizes of the type itself and of the internal distribution of spaces, but remaining in a range of similarity. As already mentioned, the courtyard-house is an introspective type (with few windows towards the street, like the Roman domus) and the main living place of the traditional family. For ordinary people today, the courtyard is the site of many activities: cooking, cultivating vegetables, washing and drying clothes, keeping small animals. Once there was a hierarchy among the three courtyards of the courtyards-house in line and the first one on the street was also the representative place, devoted to host and welcome guests. Sometime, also in Hehua Tang, it is possible to see the ancient wooden structure of panels that closed the internal courtyards with their small windows, creating a transparent barrier between the courtyard itself and the first building, a real internal facade after the almost anonymous one on the street (a blind wall on which a door just embellished by the decoration of the architrave). In order to recognize these features, nowadays it is possible to start from the study of the cells that are labelled as “historical heritage” and therefore protected and preserved. Then, once the grammar of ideal types has been learnt start-

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like the traditional one based on the matriarchal family, leads to the breakdown of the relationship between type and family and the need to partially demolish / rebuild or radically transform the building types, while maintaining the size of the tissue cells and their heights, even trying to maintain the alignments along the web of the streets. In the Eighties and Nineties, as the map of 2017 shows, the modern typology of residential buildings five/six multistoreys tall, is often totally unrelated to the original urban fabric. They follow other settlement criteria (such as, for example, the heliothermic axis) and have lost the idea of the courtyard as a space of relationship, using the space between one urban slat and the other as a functional storage space. The situation shown in map 2017 is the current situation that can be seen in the rest of the Qinhuai district. The imposing city walls with their outer moat full of water and the grid of community streets appear as the only elements of strong permanence in the process of transition from one morphology to another. The important monuments of the area, the great Southern Gate (Zhonggua gate) and the one that for Westerners is the “Porcelain Pagoda” (DaBao’ensi Temple, now finally rebuilt with a very refined contemporary language), are only part of the urban landscape and do not affect the invariant elements of urban morphology.

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Una mappa tipologica transizionale

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L’intera mappa, disegnata a livello di dettaglio in scala 1:500, può essere letta come una mappa urbana, in relazione con la topografia del territorio circostante e con la griglia delle strade. Offre anche una buona comprensione di celle e spazi, mostrando i cortili nei loro rapporti con le strade, i passaggi interni e anche la posizione dei più importanti alberi (spesso nelle corti o agli incroci di alcune strade). Il risultato finale è un vivido ritratto del paesaggio urbano cinese in un gioco di invarianti e possibili permutazioni della tipologia. In uno studio pubblicato alla Tongji University nel 2014, LIU Diyu ha estratto le piante degli spazi urbani tradizionali cinesi e degli edifici da un famoso rotolo dipinto da ZHANG Zeduan durante la dinastia dei Song del nord (1085-1145), che rappresenta la celebrazione della festa Qinming lungo il fiume di Kaifeng. Il complesso di quelle piante mostra una morfologia urbana molto lontana nel tempo, ma anche molto vicina nella sua forma a quella descritta nella mappa tipologica di Hehua Tang. La mappa tipologica di Hehua Tang, tracciata nella tradizione italiana come mappa del tessuto urbano degli edifici di base, ha sviluppato uno studio analogico sul tessuto urbano a partire da sei tipologie di edifici: a. la tradizionale casa a corte di Nanchino (una sequenza di costruito e cortili sviluppati all’interno di un lotto stretto e profondo) e le sue configurazioni transitorie nel tempo; b. la casa a corte compatta (basata su un unico cortile principale a forma di I, L, U); c. l’edificio multipiano (basato su blocchi di ascensori e scale, in grado di servire più appartamenti); d. l’edificio industriale (manufatto fuori scala e alto, che mostra spesso un’obsolescenza funzionale); e. il negozio (piccole drogherie, ristorantini, piccoli locali per commercio al minuto informale lungo i vicoli, normalmente ricavati in un locale di un edificio esistente o in una superfetazione accostata a un edificio esistente); f. le integrazioni informali. Ma la mappa di Hehua Tang solleva una questione molto importante relativamente al tema della tettonica. La tradizione morfologica italiana e occidentale

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ing from notable examples, it’s possible to move towards the other cells, There it is possible to understand the often small architectural transformations, that become a radical typological permutation: a detached room, the occupation of a courtyard with ephemeral objects (or sometimes a tree), the demolition of a small building artifact, the closing of a door, the overstretching of a room, but almost never the occupation of the street (the real fundamental community space of Chinese urban culture). Taking pictures of façades and courts from the streets and also of the roofs (walking on the tall city walls), checking the sharpness of the cadastral map by measuring the main dimensions of buildings, taking notes also of the position of windows (if any) and doors, sketching the conjectural maps and volumes of each cell: all these practices, conducted in an exhaustive way, even applied to the modern and contemporary buildings in Hehua Tang, led to the drawing up of a typological map as an articulated and complex rendering of the results of the work carried out in the field. Over time, a catalogue of the types present in the area has been built (from the original courtyard houses to multi-storey functionalist residential buildings) and used to advance hypotheses or conjectures on the real typological consistency of the object that was being studied, even by resorting to processes of critical comparison based on analogy, in cases, indeed very rare, in which for any reason, it was not possible to directly access a place, to detect it in detail, to read the artifact in its entirety.

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delle cellule che vengono etichettate come “patrimonio storico” e che come tali sono protette e preservate. In un secondo tempo, una volta appresa la grammatica dei tipi ideali a partire da esempi notevoli, è possibile spostarsi verso le altre celle. Lì si possono comprendere e studiare trasformazioni architettoniche spesso minime, che però danno origine a una radicale permutazione tipologica: una stanza staccata dalla cellula confinante, l’occupazione di un cortile con oggetti effimeri (o talvolta un albero), la demolizione di un manufatto, la chiusura di una porta, l’estensione eccessiva di una stanza, ma quasi mai l’occupazione della strada (vero e proprio spazio di comunità, fondamentale per la cultura urbana cinese). Fotografare facciate e corti dalle strade e anche dei tetti (persino camminando sul percorso di ronda delle alte mura cittadine), controllare la precisione della mappa catastale, misurare le dimensioni principali degli edifici, prendere nota anche della posizione delle finestre (se presenti) e delle porte, abbozzare le mappe congetturali e i volumi di ogni cella: tutte queste azioni, condotte in modo esaustivo, applicandole persino agli edifici moderni e contemporanei di Hehua Tang, hanno portato a tracciare una mappa tipologica come restituzione articolata e complessa degli esiti del lavoro condotto sul campo. Nel corso del tempo è stato costruito un vero e proprio catalogo dei tipi presenti nella zona (dalle case a corte originali fino agli edifici funzionalisti residenziali multipiano) e lo si è utilizzato per avanzare ipotesi o congetture sulla reale consistenza tipologica dell’oggetto che si stava studiando, anche ricorrendo a processi di confronto critico basati sull’analogia, nei casi, invero molto rari, in cui per qualsiasi motivo, non fosse possibile accedere direttamente a un luogo, rilevarlo nel dettaglio, leggere il manufatto nella sua interezza.

A transitional typological map The entire map, drawn in detail at 1/500 scale, can be read as an urban map, in relation to the topography of the surrounding area and the grid of the streets. It also offers a good understanding of cells and spaces, showing the courtyards in their relation to the streets, the internal passages and also the position of the most important trees (often in courtyards or crossroads). The final result is a vivid portrait of the Chinese urban landscape in a game of invariants and possible permutations of typology. In a study published at Tongji University in 2014, LIU Diyu extracted plants of traditional Chinese urban spaces and buildings from the famous scroll painted by ZHANG Zeduan during the Northern Song Dynasty (1085-1145), which represents the celebration of the Qinming celebrations along the Kaifeng river. The complex of those plants shows an urban morphology very distant in time, but very close in its form to that described in Hehua Tang’s typological map. The typological map of Hehua Tang, traced in the Italian tradition as a basic buildings’ urban fabric map, developed an analogic investigation on urban fabric starting from six building types: a. the traditional Nanjing courtyard house (a sequence of buildings and courtyards developed inside a deep and narrow plot) and its transitional configurations in time; b. the compact courtyard house (based on a single main courtyard I, L, U shaped); c. the multi-storey building (based on elevator and stairs blocks, able to serve several flats); d. the industrial building (out of scale and high rise artefact, showing often a functional obsolescence); e. the shop (small groceries, small restaurants, small places for informal buildings along the alleys, normally created in one room of and old building or in an added one); f. the informal additions. The Hehua Tang map raises a very important

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opera generalmente sulle città mediterranee, costruite in pietra e mattoni, dove il ruolo della muratura è di notevole importanza. La città tradizionale cinese (e quella asiatica in generale) si basa invece sulla costruzione in legno e su uno specifico schema ordinato di file di pilastri/colonne lignei che costruiscono diaframmi, trasparenti ma percettivamente e idealmente invalicabili. Probabilmente, la mappa tipologica di una città cinese, almeno nei suoi tessuti tradizionali, dovrebbe essere tracciata per punti (maglie di pilastri) e non attraverso linee (setti murari): nell’ambito di questa ipotesi di ricerca sarà necessario effettuare anche nuove sperimentazioni grafiche. Per ora la mappa di Hehua Tang, nei suoi dettagli, ha scelto di mostrare murature molto sottili, non solo per evocare la leggerezza degli edifici lignei più antichi, ma anche per rivelare la scarsa attenzione alla solidità delle mura che, concettualmente, la città cinese dimostra rispetto a quella mediterranea. Nel suo essere una mappa transizionale, leggibile anche e soprattutto nel contesto delle dinamiche della forma urbana nel tempo, dai secoli trascorsi fino alla contemporaneità, la mappa di Hehua Tang vuole essere dichiaratamente anche uno strumento “operante”, utile per progettare ogni futuro possibile ordine della città e come tale è oggi utilizzata da chi lavora alla rigenerazione della medesima della città. Negli ultimi anni infatti un nuovo approccio alla progettazione della rigenerazione urbana in Cina, soprattutto a Nanchino, ha iniziato a basarsi in più di un caso su una prima fase di mappatura del contesto in modo tipologico. Sembra, questo, un primo risultato degli scambi scientifici tra Italia e Cina nell’ambito degli studi sulle morfologie urbane, improntati al trasferimento degli strumenti concettuali italiani nel complesso stesso della cultura urbana cinese, con alcune interazioni e influenze che sono senz’altro reciprocamente fruttuose nello sforzo di interpretare contesti urbani dal rapido sviluppo e dal continuo mutamento.

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(I riferimenti per le immagini a corredo del testo sono indicati tra parentesi quadre). Il lavoro che qui si presenta è un lavoro collettivo, condotto tra la Southeast University di Nanchino (东南大学 东南大学 d’ora in poi SEU) e il Politecnico di Torino (d’ora in poi PoliTo) e coordinato da BAO Li (Vice Preside della Scuola di Architettura presso SEU e già Direttrice del Dipartimento di Progettazione architettonica) e da Marco Trisciuoglio (Coordinatore del Dottorato Architettura. Storia e Progetto presso PoliTo e Guest Professor alla Scuola di Architettura presso SEU). Gli studi su Nanchino di Trisciuoglio sono legati all’incontro all’Harbin Insititute of Technology nel 2011, in occasione di un corso di dottorato e di un convegno internazionale sul patrimonio architettonico, con CHEN Wei, celebre storica dell’architettura e dell’urbanistica presso SEU, la quale aveva studiato le mura della città di Nanchino insieme a un noto collega dell’Università di Roma “Sapienza”, Luigi Gazzola, già autore in Italia del prezioso volume La casa della Fenice. La città e la casa nella cultura architettonica cinese (Diagonale, Roma 1999). Da quando, un anno dopo, la prima dottoranda CSC (China Scholarship Council) dell’area della progettazione architettonica presso il Politecnico di Torino, YU Wenwei, invitò Marco Trisciuoglio a Nanchino per tenere una conferenza presso la sua Alma Mater (la Southeast University), il libro di CHEN Wei e Gazzola sulle cinte murarie di quella città e di Roma ha preso a costituire un irrinunciabile punto di partenza per gli studi morfologici condotti da Trisciuoglio sul capoluogo del Jiangsu. Attorno ai temi della morfologia urbana e dell’urban design, a SEU si sono concentrati inizialmente un gruppo di docenti (oltre a BAO Li e Trisciuoglio: DENG Hao, WU Qingxiu, ZHANG Meiying), che hanno potuto contare sull’appoggio dei Presidi HAN Dongqing e ZHANG Tong, nonché, dal 2019, del Foreign Dean della neocostituita Architecture Internationalization Demonstration School, David Leatherbarrow. Negli anni 2013/2017 un’altra dottoranda CSC presso POliTo proveniente da SEU, JIANG Lei, ha lavorato su quella che lei stessa ha definito la inner fringe area di Nanchino. La sua dissertazione, pubblicata nel 2019 [JL 2017], era stata già a partire dal 2016 il punto di partenza delle ricerche tipo-morfologiche su Nanjing del gruppo di studio. Proprio JIANG Lei, a seguito di una serie di sopralluoghi e dopo la lettura attenta di alcuni documenti del governo locale, segnalò l’area di Hehua Tang come caso emblematico di tessuto originario in rapida trasformazione. L’unità di ricerca congiunta “Transitional Morphologies” nel frattempo costituitasi [TransMo], ha avviato una campagna di rilievo diretto su Hehua Tang a partire dal 2016, con gli studenti del Design Studio Urban morphology, architectural typology, Contemporary settlement patterns o presso la Scuola di Architettura di SEU (tenuto da allora in poi ogni anno da BAO Li e Marco Trisciuoglio), tracciando la prima versione della mappa tipologica. Nel 2017, poi, alcuni studenti, impegnati nella Design Unit Architecture and Urban economics (tenuto da Marco Trisciuoglio, Luigi Buzzacchi e altri a PoliTo) ha lavorato, nello stesso contesto dell’unità di ricerca congiunta, a una seconda versione della mappa, approfondendo la comprensione di Hehua Tang e ampliando i primi risultati ottenuti. Quattro studenti di architettura laureandi presso PoliTo (Emanuele Cavaglion, Giovanni Cavaglion, Zaira Colombo e Andrea Cosentino),

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Credits (The references for the images accompanying the text are indicated in square brackets). The work presented here is a collective work, conducted between the Southeast University of Nanjing (东南 大学 from now on SEU) and the Polytechnic of Turin (from now on PoliTo) and coordinated by BAO L. (Former Director of Architectural Design Department and now Vice Dean of the School of Architecture at SEU) and by M. Trisciuoglio (Coordinator of the PhD Program Architecture. History and Design at PoliTo and Distinguished Guest Professor at the School of Architecture at SEU). Trisciuoglio’s studies on Nanjing are linked to the meeting at the Harbin Institute of Technology in 2011, on the occasion of a PhD course and an international conference on architectural heritage, with CHEN W., a famous historian of architecture and urban planning at SEU, which had studied the walls of the city of Nanjing together with a well-known colleague of the University of Rome “Sapienza”, L. Gazzola (former author in Italy of the precious volume La casa della Fenice. La città e la casa nella cultura architettonica cinese [The Phoenix House. City and house in the Chinese architectural culture], Diagonale, Rome 1999). Since, a year later, the first CSC (China Scholarship Council) PhD student in the area of architectural design at PoliTo, YU W., invited Trisciuoglio in Nanjing to give a lecture at her Alma Mater (Southeast University), the book by CHEN W. and Gazzola on the walls of Nanjing and Rome has taken to constitute an indispensable starting point for the morphological studies conducted by Trisciuoglio on the capital of Jiangsu. A group of teachers initially concentrated on the themes of urban

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issue related to tectonics. The Italian and Western morphological tradition generally works on Mediterranean cities built of stone and bricks, where the role of masonry is significantly important. The traditional Chinese city (and also the Asian one) is instead based on wooden construction and on a specific ordered pattern of rows of wooden pillars/columns that build diaphragms, transparent but perceptually and ideally impassable. Probably the typological map of a Chinese city, at least in its traditional fabrics, should be made of points (pillars’ grids) and not lines (wall partitions) and towards this research hypothesis it will also be necessary to carry out graphic experiments. For now, the Hehua Tang map, in detail, shows very thin walls, not only to evoke the lightness of the oldest wooden buildings, but also to reveal the lack of attention to the solidity of the walls that, conceptually, the Chinese city has, compared to the Mediterranean one. In its being a transitional map, readable also and overall in the context of the dynamics of urban form in time line, from the past centuries to nowadays, Hehua Tang map admittedly is also an “operating” tool, useful to design the future possible order of the city and as such it is used by whom is working on the regeneration of the city. In the last years a new approach to urban regeneration design in China, overall in Nanjing, started being based in several cases on a first phase of mapping the context in a typological way. That looks like a first good results of the Italy-China scientific exchange in the field of urban morphologies, driven by the transfer of the Italian conceptual tools into the very complex of the fast developing and changing Chinese urban settlement culture, with some fruitful mutual interplay and influences, in an effort to interpret rapidly developing and constantly changing urban contexts.

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morphology and urban design (in addition to BAO L. and Trisciuoglio: DENG H., WU Q., ZHANG M.), who were able to count on the support of the Deans HAN D. and ZHANG T., as well as, since 2019, the Foreign Dean of the newly established Architecture Internationalization Demonstration School, D. Leatherbarrow. In the years 2013/2017 another CSC PhD student at PoliTo from SEU, JIANG L., worked on what she herself defined as the inner fringe area of Nanjing. Her dissertation, published in 2019, had already been the main starting point for typemorphological research on Nanjing since 2016 [JL 2017]. Just JIANG L., following a series of inspections and after careful reading of some local government documents, pointed out the Hehua Tang area as an important case study. The “Transitional Morphologies” Joint Research Unit in the meantime established has launched a direct survey campaign on Hehua Tang starting from 2016, with the students of the Design Studio Urban Morphology, architectural typology, contemporary settlement models at the SEU School of Architecture (yearly held by BAO L. and M. Trisciuoglio), tracing the first version of the typological map. In 2017, then, a team of PoliTo students, engaged in the Design Unit Architecture and Urban economics (held by M. Trisciuoglio with L. Buzzacchi and others) worked, in the same context of the Joint Research Unit, on a second version of the map, deepening the understanding Hehua Tang and expanding the first results obtained. Four Italian architecture students, graduating at PoliTo (E. Cavaglion, G. Cavaglion, Z. Colombo and A. Cosentino), thus tried to develop a synthesis of most of the materials collected by the research unit in previous years for their degree thesis: Hehua Tang. Reading of a historical Chinese district [HT 2017]. In 2018 some direct investigations, conducted by the Nanking team in Italian cities such as Como (studied by comparing the reality of the historic center with the typological map of Caniggia) and Venice (studied by comparing the reality of Campo Do Pozzi with the typological maps of Muratori), in addition to inspections in Bologna, Florence, Genoa and Turin (analysed respectively on the papers of P. L. Cervellati, G. Caniggia, E. Poleggi and A. Cavallari Murat), they also constituted a further methodological and experimental basis, useful for rigorously establishing the work done in Hehua Tang. In parallel, a PoliTo PhD Candidate, E. Pressacco, worked on a specific investigation of the real market in the areas surrounding Hehua Tang in her dissertation (Disposable Empties. Reading Economic Phenomena through Architecture) and a SEU PhD Candidate, DONG Y., worked on defining the idea of typological map as an investigation tool, useful for understanding the urban consistency of the southern part of Nanjing. This type of exchange was possible first thanks to a grant from my Department of Architecture and Design at PoliTo (Director Paolo Mellano) and then thanks to another grant from the Compagnia di San Paolo, which supported the Joint Project for the internationalization of Research between SEU and PoliTo in the years 2017 and 2018. After the official establishment (in June 2018) of the “Transitional Morphologies” Joint Research Unit, [TrasMo] partial contents of these studies were presented at the ISUF 2019 (Cyprus) and ISUF 2020 (Salt Lake City) international congresses. This memory derives in particular from the work presented by M. Trisciuoglio at the ISUF congress in Rome, Urban Substrata & City Regeneration. Morphological legacies and design tools (February 2020).

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hanno provato a elaborare una sintesi della maggior parte dei materiali raccolti dall’unità di ricerca, compilando la tesi di laurea Hehua Tang. Lettura di un quartiere storico cinese [HT 2017]. Nel 2018 alcune indagini dirette, condotte dalla squadra nanchinese in città italiane come Como (studiata confrontando la realtà del centro storico con la mappa tipologica di Caniggia) e come Venezia (studiata confrontando la realtà di Campo Do Pozzi con le mappe tipologiche di Muratori), oltre che attraverso sopralluoghi a Bologna, Firenze, Genova e Torino (analizzate rispettivamente sulle carte di Pier Luigi Cervellati, Gianfranco Caniggia, Ennio Poleggi e Augusto Cavallari Murat), hanno costituito una ulteriore base metodologica e sperimentale, utile per fondare in modo rigoroso il lavoro svolto a Hehua Tang. Parallelamente una dottoranda PoliTo, Elena Pressacco, ha lavorato a un’indagine specifica sul mercato immobiliare nelle aree circostanti Hehua Tang nella sua dissertazione Disposable Empties. Reading Economic Phenomena through Architecture e un dottorando SEU, DONG Yinan, ha lavorato alla definizione dell’idea di mappa tipologica come strumento di indagine, utile per comprendere la consistenza urbana della parte meridionale di Nanchino. Questo tipo di scambi sono stati possibili dapprima grazie a un contributo del Dipartimento di Architettura e Design a PoliTo (Direttore Paolo Mellano) e poi grazie a un finanziamento della Compagnia di San Paolo che ha sostenuto il Joint Project for the internationalization of Research tra SEU e PoliTo negli anni 2017 e 2018. Dopo l’istituzione ufficiale (nel giugno 2018), della “Transitional Morphologies” Joint Research Unit [TransMo], contenuti parziali di questi studi sono stati presentati in occasione dei congressi internazionali ISUF 2019 (Cipro) e ISUF 2020 (Salt Lake City). Questa memoria deriva in particolare dal lavoro presentato da Marco Trisciuoglio al congresso ISUF di Roma, Urban Substrata & City Regeneration. Morphological legacies and design tools (febbraio 2020).

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urbanform and design Le volte di Place Royale: le memorie

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DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.004

Luiza Santos

École d’architecture de l’Université Laval, Canada E-mail: luiza.santos.1@ulaval.ca

François Dufaux

École d’architecture de l’Université Laval, Canada E-mail: Francois.Dufaux@arc.ulaval.ca

The vaults of Place Royale: the archaeological clues fueling morphological transformations

Introduzione: mito, simbolo e morfologia

Keywords: vaults, archaeology, history of construction, morphogenesis, geomorphology

Place Royale è un luogo simbolico, sito di fondazione della città del Québec, e mitico per i restauri architettonici che restituiscono un’immagine parziale della città coloniale francese prima della conquista britannica del 1759. Il nucleo protourbano europeo (Vallières, 1999), occupato dal 1608, rappresenta l’origine dell’avventura coloniale francese in Nord America (Côté, 2001). Un’eredità particolarmente sentita dal dopoguerra, quando il governo federale ha promosso una nuova identità per il Canada. I canadesi francesi del Québec, non riconoscendosi in questa nuova identità, hanno rivendicato, dal 1950, l’origine francese del Québec. Si voleva modernizzare l’identità storica – una nazione francofona – rifiutando certe tradizioni – la religione cattolica e l’ideale rurale – nonché includere i valori socialdemocratici e l’evoluzione delle Società occidentali dopo il 1945. Il restauro di Place Royale è il simbolo di questa particolare identità. Il restauro del patrimonio ereditato commemora la matrice francese e segna l’espressione della rinascita nazionale nella decolonizzazione. L’architettura di Place Royale, in pietra, densa e urbana, è anche un simbolico contrappeso all’americanizzazione contemporanea della società del Québec e del Canada, materializzata nello sviluppo delle periferie. Innovazione e conservazione costituiscono binomio per le società in trasformazione. Questo testo descrive la formazione e la trasformazione dell’area di Place Royale attraverso lo studio della parte basamentale voltata di alcune abitazioni. La loro forma apre una nuova interpretazione sulla funzione degli edifici, sulla topografia del luogo e sulla lettura morfologica di quest’area urbana permettendoci non solo di rivedere le scelte di restauro, ma anche di guidare i futuri interventi a Place Royale a più di quarant’anni dai lavori iniziali.

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Il coinvolgimento emotivo di Place Royale

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Abstract The vaults are made of masonry arches; they remain an unusual architectural element in Canada. Their discovery in the historical core of Quebec City, specifically around Place Royale, raises questions and clues as to how their introduction not only transformed the way of building houses, but also changed the topography and the urban form. Massive structures are built to last and the earlier examples in Quebec City were built when the colony shifted from a commercial outpost to a settlement colony. Following a fire in 1682 destroying the first generation of residential houses largely built in wood, several vaults were assembled under the new stone houses of merchants. This article highlights the fact that the vaults’ location was closely linked to the original topography of the site, between a lower level and a higher level; allowing a direct access on one side and a protected one the other. The mapping of the vaults around Place Royale, based on of 18 archaeological reports and historical plans, reveals the extent of the groundwork. Archaeological evidence with historical process and architectural morphology sketch a more comprehensive understanding of the characteristics of the buildings and the urban scales of Place Royale. This article reports the first findings on an ongoing morphological analysis of Quebec City vernacular building tradition.

Una città coloniale

Place Royale’s emotional investment Place Royale has a symbolic value as the founding site of Quebec City, and a mythical one where the restored architecture partially reconstructs the French colonial city before the British conquest of 1759. This proto-urban European nucleus (Vallières, 1999), occupied since 1608, tells a chapter in the French colonial adventure in North America (Côté, 2001). In the post-war context, as the Canadian federal government developed a new National identity, historical sites were invested with heritage significance. French Canadians in Quebec, ambivalent about the redefinition of modern Canada, moved towards another national character. The mod-

Champlain sbarcò sul sito di Place Royale nell’estate del 1608. Nel momento di costruire l’Habitation du Québec (1608-09), Champlain propose un edificio su un poggio circondato da una palizzata. Un disegno del 1613 mette in evidenza la verticalità e la compattezza della forma. Il progetto mette in evidenza l’adattamento al clima nordico che sarà adottato nel corso dell’intero XVIII secolo nella Nuova Francia. Questa prima “casa”, incendiata nel 1629 da corsari inglesi, fu ricostruita nel 1632 con un nuovo edificio in pietra a forma di L, con due torrette alle estremità, come una corte con ulteriori ali che sarebbero state realizzate in seguito. Questa pratica di eseguire le costruzioni per fasi divenne comune nel periodo coloniale. La città del Québec si sviluppa dal 1666 e 1681, passando da 547 a 1345 abitanti. La popolazione si concentra attorno all’Habitation mentre la città alta accoglie le comunità religiose, il vescovo e la sua cattedrale e il governatore nello Château Saint-Louis iniziato da Champlain nel 1620.

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| Luiza Santos_François Dufaux | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

Introduction: myth, symbol and morphology

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archeologiche alla base delle trasformazioni morfologiche

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Fig. 1 - Localizzazione di Place Royale nel vecchio distretto a Quebec City, Canada. Fonte: Luiza Santos. Place Royale is located in the Old Quebec district in Quebec City, Canada. Source: Luiza Santos.

ernization of their historical definition – a francophone nation – included the rejection of certain traditional features – the Catholic faith and the rural ideal – and included social democratic values associated with the Welfare Stare after 1945. The restoration project of Place Royale contributed to the emergence of a new collective identity. The site commemorates the French origins, and the restored buildings illustrated a form of national renaissance in the context of decolonization. Furthermore, the dense urban architecture of Place Royale, built in stone, appears also as a symbolic counterweight to the contemporary Americanization of the Quebec and Canadian society, embodied by the development of the suburbs and light construction. We propose to explore the formation and transformation of Place Royale through the study of the vaulted basements of several houses. This built form opens a new interpretation about the functions of the buildings, the topography of the site and the morphological reading of this urban precinct. It allows us to review the restora restoration choices, but also to frame future repairs at Place Royale, more than 40 years after the initial works.

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Fig. 2 - La casa Champlain, 1613. Fonte: BAnQ. Champlain’s Habitation, 1613. Source: BAnQ.

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A colonial town Champlain landed on the Place Royale’s site in the summer of 1608. When the time came to build the Quebec “Habitation” (1608-09), Champlain proposed a building on a hillock surrounded by a palisade. A drawing of 1613 emphasizes the verticality and the compact built form. The design highlights the adaptation to the northern climate that will take place during the 17th century in New France. This first “house” was burnt down in 1629 by English privateers. It was rebuilt in 1632 with a second building, this time in stone with two turrets at the end of an L-shaped building, like a courtyard with additional wings to be constructed later. This became a common pattern of the colonial era; buildings were carried out in stages; a modest start would lead to a larger structure. Subsequently, the town of Quebec developed, passing from 547 to 1345 inhabitants between 1666 and 1681. The population concentrated around the Habitation while the upper town welcomed the religious communities, the bishop and his cathedral and the governor in the Château Saint-Louis initially built by Champlain in 1620. In 1682 a fire destroyed the lower town around Champlain’s second home. It was replaced in 1687 by the Church of Notre-Dame des Victoire, still standing, and the development of a square called “Place Royale”. It was after this fire that several houses in Place Royale were rebuilt with vaulted basements and streets were straightened and widened by ordinances.

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Fig. 3 - Place Royale nel 1759, Incisione di William Short. Fonte: Luiza Santos. Place Royale in 1759, Engraving by William Short, modified. Source: Luiza Santos.

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Nel 1682, un incendio devasta la città bassa intorno alla seconda casa di Champlain, che è sostituita nel 1687 dalla Chiesa di Nostra Signora delle Vittorie, ancora oggi presente, e dallo sviluppo del luogo denominato “Royale”. Fu dopo questo incendio che diverse case in Place Royale furono ricostruite su archi mentre, con delle ordinanze, furono raddrizzate e ampliate le strade. Ascesa e caduta del settore di Place Royale Conquista, ricostruzione ed espansione Prima della conquista del 1759, Québec era una piccola città commerciale di 8.000 abitanti raccolta attorno a Place Royale; era costruita in pietra, con edifici da 2 a 3 piani, spesso costituiti da diverse abitazioni dove convivevano mercanti, artigiani, braccianti e operai (Desloges, 1991). Nell’estate del 1759 fu oggetto di pesanti bombardamenti – da parte degli inglesi – i cui segni sono ancora evidenti nelle incisioni del Maggiore Short che conservano muri di case bruciate e la distruzione dei tetti. È solo nel 1791, con la riorganizzazione della colonia canadese, divisa tra l’Alto e il Basso Canada, che i britannici cominciarono a investire sulla città del Québec costruendo l’architettura ufficiale. Il governatore ricostruisce la cattedrale anglicana, il tribunale, le nuove fortificazioni e il castello Saint-Louis. Ogni edificio celebra la cultura della nuova élite politica e commerciale. Il Basso Canada è una colonia commerciale, secondo la tipologia di Anthony D. King e gli inglesi limitano i loro investimenti all’architettura istituzionale. Il blocco continentale (1806-1814) che taglia fuori la Gran Bretagna dalle sue

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Rise and fall of the Place Royale sector Conquest, reconstruction and expansion On the eve of the 1759 British conquest, Quebec was a small town of 8,000 inhabitants. The commercial lower town around Place Royale was densely built, in stone, row-like 2 to 3 storeys buildings, often made up of several dwellings where merchants and artisans, laborers and workers live together (Desloges, 1991). In the summer of 1759, the British bombarded heavily Quebec City lower town. The engravings made by Major Short show the walls of the burnt houses and the destroyed roofs. The cession of Canada in 1763 to the British Crown

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fonti di legname nell’Europa settentrionale, apre il mercato per le foreste del Nord America britannico. La fine delle guerre napoleoniche ha portato la crisi economica e nuovi coloni protestanti di lingua inglese nel Basso Canada, che per la loro numerosità hanno introdotto nuove tecniche e nuove forme nell’architettura popolare. È da questo momento (1815) che è possibile distinguere lo sviluppo su larga scala dell’architettura britannica in Québec. Termine ultimo per la ricerca sul restauro di Place Royale, dal regime francese (1608-1759) alla sua ricostruzione vernacolare (1760-1815).

marked a major political break, but resulted in little economic changes (Dechêne, 1974). Colonial trade shifted from French to British merchants. However, on a daily basis, the French tradition endured. The Quebec Act 1774, by maintaining French civil laws, preserved the structural conditions that frame urban and architectural development. The reconstruction of Quebec resumed the architectural tradition inherited and adapted under the French colonial period. Thus, the interiors retained their interconnecting rooms built following the methods and details, sometimes simplified, yet faithful to French building tradition. It was only after 1791, with the organization of the Canadian colony divided between Upper and Lower Canada that the British rulers began to invest in new buildings. Official edifices were designed and built: an Anglican cathedral, a courthouse, new fortifications, and rebuilt the Château Saint-Louis for the Governor. Each building bore witness to the culture of the new political and commercial elites. The continental blockade (1806-1814) cut Britain off from its timber sources in northern Europe, opening a market for the forests of British North America. The end of the Napoleonic wars led to an economic crisis which finally triggered the immigration of Protestant and English-speaking settlers in Lower Canada. They were numerous enough to bring new techniques that influenced the vernacular architecture. Thus, 1815 serves as a decisive date to distinguish the growing impact of British architecture in Quebec City. The year also served as a deadline for research for the restoration of Place Royale, from the French regime (1608-1759) to its vernacular reconstruction (1760-1815).

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A structural crisis: 1945-1970 After 1945, the Place Royal area faced the dis-

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Il Québec conosce una forte crescita nella prima metà del XIX secolo, rimanendo la città più importante del Canada tanto come primo porto quanto come centro commerciale e capitale politica. La città bassa intorno a Place Royale continua a svilupparsi per l’iniziativa privata dei vari mercanti, che costruiscono le loro banchine e magazzini sulla riva del fiume. Una crescita che si arresta solo dopo il 1860, quando il dragaggio del fiume San Lorenzo consente alle navi transatlantiche di raggiungere Montreal, che diviene così il primo porto del Canada. Poi il trasferimento del governo del Canada a Ottawa nel 1857 e la partenza della guarnigione britannica nel 1875 congelano Québec, oramai città secondaria del Canada, il cui governo, provinciale, si ritrova a gestire risorse limitate. È in questo contesto che Québec si reinventa come città storica, come “La vecchia capitale”. Lord Dufferin, governatore generale del Canada (1872-78) incoraggia la conservazione delle fortificazioni. Nel 1884, si completa il parlamento provinciale, ispirato al Louvre di Napoleone III, mentre l’armeria fu adornata con una facciata neogotica che mescolava prestiti francesi e britannici. Questo eclettismo simboleggia l’alleanza tra i due popoli fondatori – francese e inglese – siglata nella confederazione del 1867. Un compromesso che ispirerà l’architettura del governo federale per diversi decenni e la costruzione dell’Hôtel Château Frontenac, edificio simbolo della pittoresca vocazione turistica dal Québec. L’area intorno a Place Royale rimane tuttavia ignorata dal punto di vista storico e turistico. Il distretto portuale e commerciale conosce la specializzazione nei servizi finanziari e delle attività marittime, nonché la conseguente costruzione e addensamento di edifici. Nel 1910, l’incendio del Marché Champlain e l’istituzione della nuova stazione vicino alla Porte du Palais segna l’inizio di un nuovo declino. Il quartiere è trascurato e solo negli anni ’20 beneficia del primo riconoscimento per il patrimonio architettonico, sito intorno alla chiesa Notre-Dame des Victoires e alla piazza (Morisset, 2009).

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A maritime and commercial district Quebec experienced strong growth in the first half of the 19th century, remaining the most important city in Canada, both as the first port, a commercial centre and a political capital. The lower town surrounding the Place Royale area developed, following the private initiatives of the various merchants who build their quays and warehouses by backfilling the river. This growth stopped after 1860. The dredging of the St. Lawrence River enabled transatlantic ships to reach Montreal, which became the first port in Canada. The transfer of the Government of Canada to Ottawa in 1857, then the departure of the British garrison in 1875, stopped Quebec City. It became a secondary city in Canada, a confederation after 1867, seat of a provincial government with limited resources. It is in this context of crisis that Quebec City reinvented itself as a historic and heritage city; “The old capital”. Lord Dufferin, Governor General of Canada (1872-78) supported the preservation of the fortifications, an exceptional feature in the North American context. The area around Place Royale remained off the touristic interests. The lower-town enjoyed the growth of the financial services and maritime activities which lead to the construction of new buildings or the densification of existing ones. After 1910, the fire at the Champlain Market and the establishment of the new railway station far from the harbour marked the beginning of its decline. By the 1920s, Place Royale benefited from a first heritage recognition with Notre-Dame des Victoire church and the square itself (Morisset, 2009).

Un distretto marittimo e commerciale

La crisi strutturale: 1945-1970 Dal 1945 il quartiere è trascurato. Si spostano le attività portuali e la Laval University è trasferita in periferia. Il progetto di restauro comincia timidamente nel 1957 con la riqualificazione della Maison Chevalier su iniziativa di Gérard Morisset, che poi l’architetto André Robitaille – rientrato dalla Francia dove aveva studiato urbanistica e progetto a Saint-Malo, quando il centro storico, all’inizio degli anni Cinquanta, era in fase di ricostruzione – realizzerà nel 1957 (Robitaille, 1978). Nel 1963, le proposte di restauro di Robitaille per il quartiere intorno a Place Royale, portano a due nuovi progetti: la ricostruzione della Maison Fornel (1962) e il restauro della chiesa di Notre-Dame des Victoires (1967). Quando, tuttavia, vengono abbandonati diversi edifici intorno alla piazza e altri incendiati per spingere l’amministrazione ad intervenire. Solo nel luglio 1967, la legge su Place Royale annuncia un progetto di restauro urbano guidato dal Ministero degli affari culturali. Un progetto che riguardava i caratteri stilistici – le forme dell’architettura francese – (Deanovic, 1964), e che restituisce le forme urbane e architettoniche del regime francese (Faure, 1992). | Luiza Santos_François Dufaux | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 4 - Il vecchio settore di Quebec con il diverso raggio di percorrenza intorno a Place Royale. Fonte: Luiza Santos. In rosa sono rappresentate le volte attuali o che esistevano nell’area di Place Royale e dintorni. I punti rosa indicano le volte che sono state individuate ma che sono state demolite. I punti gialli rappresentano le volte presenti negli edifici speciali (il monastero delle Orsoline, l’Hôtel-Dieu de Québec, il vecchio seminario, la nuova caserma e il palazzo dell’intendente). I punti in verde (7) rappresentano gli edifici con volte nella zona della città alta. Old Quebec sector with the different walking radius around the Place Royale precinct. Source: Luiza Santos. The current vaults present or that existed in the area of Place Royale and its surroundings In pink are represented in pink. The pink dots indicate vaults that have been spotted but have been demolished. The yellow dots represent the vaults present in specialized buildings, that is to say the Ursuline monastery, the Hôtel-Dieu de Québec, the Old Seminary, the new barracks, and the intendant’s palace. The dots in green (7) represent buildings with vaults in the upper town area.

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Il progetto è diviso in tre fasi principali fino al 1984. Tra il 1967 e il 1974 si effettuano la ricerca archivistica e il rilievo degli edifici. Gli archeologi iniziano gli scavi e il Ministero degli Affari Culturali cerca di stabilire i termini dell’intervento. La proposta di Jacques Barbenchon è riassunta in pochi fogli: il progetto di un quartiere-museo a vocazione commemorativa e storica (Yoakim, 2019). I lavori iniziano nel 1972 sugli isolati piuttosto che sulle unità edilizie, con un intervento rapido e di ampia scala, che tuttavia causa conflitti tra funzionari e professionisti nonché problemi di gestione e di costi. Nel 1978, un incontro tra i funzionari, professionisti e accademici mette in discussione il “modus operandi” adottato, condannando il piano di “ripristino” del com’era e dov’era. Le volte: un elemento chiave nell’interpretazione dell’edificio Una consapevolezza critica La costruzione della volta richiese uno sforzo considerevole nel Québec coloniale del XVII secolo. L’abbondanza di spazio, la foresta e una popolazione molto modesta favoriscono piuttosto le costruzioni in legno, veloci e leggere. L’asprezza e l’isolamento dell’inverno, l’insicurezza delle popolazioni indigene e il fuoco al contrario favoriscono l’aggregato edilizio e la costruzione in muratura. In questo contesto, la scelta di costruire un caveau è un atto critico e fisicamente impegnativo. Si tratta di costruire una solida base per un clima in cui il gelo e il disgelo causano movimenti del suolo sconosciuti in Francia. Significa anche fornire uno spazio non combustibile al riparo dal rischio di incendio

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placement of port activities and the departure of Laval University to the suburbs. A restoration project began modestly in 1957 with the Chevalier house. Architect André Robitaille was carrying out the project. Returning from France, he had studied town planning and attended an internship in Saint-Malo where the historic centre was being rebuilt in the early 1950s (Robitaille, 1978). In 1963, Robitaille further proposed the restoration of the houses around Place Royale, which resulted in two projects, a reconstruction – Maison Fornel (1962) – and the restoration of the Notre-Dame des Victoires church (1967). At the same time, several surrounding buildings were abandoned, and others destroyed by fire putting pressure on the public authorities to get involved. In July 1967, the bill on Place Royale announced an urban restoration project under the responsibility of the Quebec’s Ministry of Cultural Affairs. On the one hand, the project intended a stylistic operation – the appearances of French architecture – (Deanovic, 1964), and the choice to recreate the urban and architectural form of the French Regime (Faure, 1992). The project evolved in three main phases until 1984. Between 1967-1974, an initial research in archives was carried out in parallel with buildings’ surveys. Archaeologists began excavations and the Ministry of Cultural Affairs sought to establish a restoration concept. Jacques Barbenchon’s proposal summarizes on a few pages the

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Fig. 5 - Tipi di volte presenti in Place Royale (1. a tutto sesto, 2. Arco a segmenti, 3. Arco ribassato, 4. Arco rialzato). Types of vaulted arches present at Place Royale (1. Semi-circular, 2. Segment arch, 3. Baskethandle, 4. Raised arch).

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The vaults: a key component for reading the building A critical awareness The construction of a vault required a considerable effort in the colonial outpost of Quebec City during the 17th century. The abundance of space, the endless forest and a very modest population favoured wooden construction, which were fast and light to build. The harshness and isolation of the winter, the insecurity with the indigenous inhabitants and the fire hazards pushed for the grouping of buildings and masonry construction. In this context, choosing to build a vault constituted a critical and demanding decision. It

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causato dal riscaldamento e dalle cucine. Infine, è un atto di fede nella permanenza dell’impresa coloniale. Una prima stanza a volta apparve nel 1647 per ospitare la cucina a nord della prima casa agostiniana dell’Hôtel-Dieu de Québec (1639-44). Questo edificio a volta, integrato durante la ricostruzione del Monastero tra il 1692-98, spiega la leggera inflessione nell’angolo tra le due ali, progettata per costruire un cortile interno e quadrato (Dufaux, Lachance, 2007, 2008). Una seconda serie di stanze a volta appare nella prima ala del Seminario del Québec tra il 1667 e il 1681. Le comunità religiose stabilite nella città alta di Québec scelgono la costruzione di volte in un seminterrato, semplificando lo scavo delle fondamenta al fine di garantire la connessione tra due livelli del terreno. L’incendio del 1682 devasta ancora la città bassa di Québec; 55 degli 85 edifici vengono distrutti. La ricostruzione fornisce l’occasione di emanare le prime ordinanze per l’allineamento stradale e per integrare le volte nella ricostruzione dell’edilizia domestica a Place Royale. Un inventario delle volte esistenti nel centro storico di Québec, tratto da varie fonti, identifica quelle associate alle istituzioni della città alta, agli edifici specializzati e quelle sotto la base della città bassa, intorno a Place Royale, dove è ancora possibile vedere la loro maggiore concentrazione.

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objective for a museum district with a commemorative and historical vocation (Yoakim, 2019). The restoration work began in 1972, carried on urban blocks rather than single houses, for a faster operation on a larger scale. This led to several conflicts between the civil servants and the professionals, including management problems and cost overrun. In 1978, a conference brought together several actors – civil servants, professionals and academics – which condemned “modus operandi” of the last decade. The event was important because it rejected the restoration ideal, that is to say to return to a previous state, which, as Viollet-le-Duc wrote, had never been.

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Fig. 6 - Morfogenesi delle volte e costruzioni delle cantine voltate, sulla base delle mappe d’uso del suolo di Robert Côté del 1984. Fonte: Luiza Santos. Morphogenesis of vaults and vaulted cellar constructions, based on 1984Robert Côté Morphological land-use maps. Source: Luiza Santos.

Una tipologia di volte Secondo fonti secondarie il metodo costruttivo delle volte non è mai stato descritto nei capitolati o nei contratti di costruzione, sebbene sia un elemento complesso per la muratura. Gli architetti impegnati nel restauro di Place Roya| Luiza Santos_François Dufaux | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 7 - Evoluzione della costruzione della volta nelle case coloniali urbane. Fonte: Luiza Santos. Evolution of the vault construction in the colonial urban houses. Source: Luiza Santos.

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Fig. 8 - Topografia di Place Royale secondo i dati estratti dai rapporti archeologici. Fonte: Luiza Santos. Topography of Place Royale according to data extracted from archaeological reports. Source: Luiza Santos.

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le sostengono che le volte siano state assemblate per mezzo di una centina di legno sulla quale adagiare le pietre di cava o le macerie su un letto di malta (Léonidoff, Côté & Huard, 1996). Il saper fare dei muratori si evince nella materializzazione degli spazi a volta. Ci sono diverse varianti a Place Royale: volte a costoloni, archi ribassati e archi semicircolari. Ognuno dei quali riflette le capacità e le esigenze del proprietario e delle famiglie. Così, le volte esistenti, in una cornice specializzata o di base, testimoniano il saper fare degli scalpellini; più piatta è la curva, maggiore è la padronanza della costruzione. Alcuni casi sarebbero stati assemblati “con giunti a secco” (Morisset & Noppen, 2015; Leonidoff, 1996). L’analisi della loro ubicazione suggerisce posizioni topografiche specifiche, dove, come negli edifici specializzati, la volta permette di effettuare il passaggio tra due livelli del terreno. La loro utilità L’introduzione delle volte, dopo l’incendio del 1682 a Place Royale, ha permesso di raggiungere alcuni obiettivi. Il primo è stato quello di garantire la protezione dagli incendi, quale elemento chiave per la protezione delle merci, al centro del commercio coloniale tra i prodotti dalla Francia e dal Canada, in particolare le pellicce (Lapointe, 1991). L’altro è quello delle cucine e cantine, fondamentali per lo stoccaggio di alcune derrate alimentari non conservate nei solai. La costruzione di fondazioni e di volte in muratura fornisce anche una solida base per la costruzione dei solai superiori in muratura. La posta in gioco è duplice; da un lato risolvere il problema del gelo e del disgelo – che spiega an-

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provided a solid foundation to a building dealing with a climate where freezing and thawing caused unknown construction movements compared to France. It also meant securing a fireproof space in front of fire hazards caused by heating and cooking. Finally, it was an act of faith about the future of the colonial enterprise. A first vaulted room appeared in 1647 for kitchen north of the first Augustinian house of the HôtelDieu de Québec (1639-44). This vaulted building would be later integrated when the Monastery was rebuilt between 1692-98, explaining a slight inflection in the angle between the two wings framing a square inner courtyard (Dufaux and Lachance, 2007, 2008). A second set of vaulted rooms appeared with the first wing of the Quebec Seminary (1667-1681). Thus, the religious communities established in Quebec City upper town selected vaults construction in half-basement floor, simplifying the excavation of the foundations. A fire of 1682 devastated Quebec City lower town; 55 of the 85 buildings were destroyed. The reconstruction offered an opportunity to issue the first street alignment ordinances and to enforced fireproof construction for domestic buildings around Place Royale. An inventory of existing vaults in Quebec City historic centre, made out of various sources, identifies those associated with upper town institutions and specialized buildings and those built in the lower town basic buildings. There is a clear

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Fig. 9 - Sezione della volta della Maison Milot. Fonte: Luiza Santos. Section through the vault of Maison Milot. Source: Luiza Santos.

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Fig. 10 - Pianta di Place Royale. Ipotesi di topografia storica. Fonte: Luiza Santos. Plan of Place Royale, a hypothesis of historical topography is in pink. Source: Luiza Santos.

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Their purpose The introduction of the vaults after the fire of 1682 at Place Royale met three objectives. The first was to ensure protection of property following successive fires; their construction then becomes a key element in order to protect the goods at the heart of the colonial trade between products from France and those from Canada, in par-

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che perché in Canada siano sopravvissuti così pochi edifici anteriori al 1650 – dall’altro occorre consentire la sopraelevazione degli edifici quando le esigenze e le risorse lo richiedono. Questa pratica è dunque introdotta rapidamente nel XVIII secolo a Place Royale e continua nel XIX secolo negli edifici speciali, come ad esempio il Séminaire du Québec o il Monastero delle Orsoline. Il rapporto costruttivo tra i seminterrati voltati e il resto dell’edificio è inversamente proporzionale. Entrambi garantiscono l’equilibrio dei carichi della volta, anche mediante la compressione continua sulla struttura della volta (Léonidoff, 1996), che consente l’aggiunta di carichi in eccesso al telaio durante il sollevamento. Ad un terzo livello, le volte rispondono alle norme di ricostruzione, che miravano a proteggere la città. Quelle del giugno 1727, sulla costruzione di case in materiali incombustibili, consigliano di realizzare i soffitti delle cantine “in pietra a volta, per evitare il marcire delle parti dei solai superiori” (Castelli, 1975).

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concentration surrounding Place Royale. A typology of vaults According to secondary sources, the building method for vaults was never been described in specifications or construction contracts, although it required complex masonry skills. The architects engaged in the restoration of Place Royale maintain that the vaults were assembled by means of a wooden arch to which the quarry stones or rubble were placed on a bed of mortar (Léonidoff, Côté & Huard, 1996). The know-how of the masons is revealed in the materialization of the vaulted spaces. There are several types at Place Royale: ribbed vaults, flattop arches and semi-circular one. Each is a testament to the resources and needs of the building owner and his family. Thus, the existing vaults, in specialized or basic buildings, testify to the know-how of the stonemasons; the flatter the cradle, the greater the mastery of construction. Some cases would have been assembled “with dry joints” (Morisset & Noppen, 2015; Leonidoff, 1996).

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Fig. 11 - Pianta delle volte, estratto dalla proposta del 1971 per Place Royale di Jean Cimon. Programmazione d’uso degli spazi voltati: mini-teatri, song box, ristoranti, bar, discoteca, museo + accoglienza turistica. Plan of the vaults, extract from the 1971 proposal for Place Royale by Jean Cimon. Programming of the vaults: mini-theaters, song box, restaurants, bar, nightclub, museum + tourist reception.

Il periodo di costruzione La chiave per la costruzione delle volte sta nel fatto che i muratori hanno realizzato muri molto spessi, tra 0,8 m e 1,5 m nel caso delle case, arrivando fino a 2,5 m di spessore nella costruzione della nuova caserma, avvicinando i moli per limitare la portata degli archi. Ciò ha notevolmente contribuito alla riduzione del calcolo del carico. Questo saper fare, in muratura, si è sviluppato dal 1683 (Maison Milot), per 93 anni, con la costruzione di 28 volte a Place Royale e si estingue sotto il regime inglese, intorno al 1787. Le mappe allegate mostrano la costruzione delle volte nel periodo francese. | Luiza Santos_François Dufaux | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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ticular furs (Lapointe, 1991). There were also the case of kitchens and cellars for the storage of certain foodstuffs that were not stored in the attics. The construction of masonry foundations and vaults also provided a solid foundation for the construction of the upper masonry floors. The stake was twofold; on the one hand to deal with the freeze and thaw which explains why so few buildings prior to 1650 had survived in Canada, on the other hand to allow the raising of buildings when the needs and resources require. This practice was quickly observed in the 18th century around Place Royale and continued in the 19th century in specialized buildings such as the Quebec Seminary or the Ursulines’ Monastery. The constructive relationship between the vaulted basements and the rest of the building was inversely proportional. Both the building ensured the balance of the loads of the vault, among other things by the continuous compression on the structure of the vault (Léonidoff, 1996), that the latter allow the addition of excess loads of additional floors added latter. On a third level, the vaults responded to the reconstruction ordinances aiming to protect the city. Those of June 1727, on the construction of houses in fireproof materials, advised to make the ceilings of the cellars “in vaulted stone, in order to avoid rotting of the parts of the floors placed above” (Castelli, 1975).

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Fig. 12 - Pianta delle volte di Place Royale (1971). Disegno di base di André Robitaille. Identificazione delle volte e della forma. Luiza Santos. Plan of the vaults of Place Royale from 1971. background drawing by André Robitaille. Identification of the vaults and shape. Luiza Santos.

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La mappa del 1715 identifica le volte più antiche, quelle costruite tra il 1678 e il 1715 e distribuite intorno a Place Royale. Dove, sul lato nord, si nota una maggiore concentrazione di volte, 8 su 11. Dal 1723 al 1753 si costruiscono una dozzina di nuove volte, sia sotto Place Royale che a sud di questa. Le nuove volte si trovano tra rue Petit Champlain e la costa, precisamente tra due livelli topografici separati dall’equivalente di un piano. Ciò a conferma della costante crescita della popolazione e della concentrazione di attività commerciali e residenziali (Desloges, 1991). Il bombardamento britannico nell’estate del 1759 lascia la zona in rovina. Diverse volte che hanno resistito sottolineano la loro funzione quale spazio protettivo. LeMoine riferisce che “c’erano sette caveau perforati o bruciati; quello di M. Perrault, il giovane, quello di M. Tachet, M. Turpin, M. Benjamin de la Mordic, Jehaune, Marauda. Giudicando dalla costernazione. C’erano 167 case bruciate” (LeMoine, 1875). La mappa del 1765 mostra la scomparsa di alcune volte, nonché l’occasionalità della loro ricostruzione. In 26 anni, dal 1761 al 1787, furono costruite solo 5 volte. Fu la fine della costruzione di cantine, come telaio di base, nell’area. La graduale scomparsa delle volte come forma architettonica, dopo la conquista britannica, testimonia la perdita di questo saper fare, ma anche una serie di cambiamenti negli investimenti immobiliari tra cui il passaggio dall’architettura plastico-muraria, di ispirazione francese, alla cultura costruttiva più leggera ed elastico-lignea, tipica dall’Inghilterra e delle colonie americane. Alcuni esempi di volte, ancora esistenti nell’area di Place Royale, sono stati restituiti da varie fonti, tra segnalazioni archeologiche e archivi. L’ordine cronologico permette di osservare la varietà delle soluzioni architettoniche adattate al contesto specifico di ogni casa. La volta deve corrisponde-

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Construction periods The key to the construction of the vaults lies in the fact that the masons built thick walls (between 0.8m and 1.5m, up to 2.5m, new barracks) by bringing the piers closer to limit the range of the arches. This greatly contributed to the reduction of the load calculation. This masonry know-how developed from 1683 (Maison Milot), Over a period of 93 years, with the construction of 28 vaults at Place Royale while the last one recorded were built around 1787. The maps above show the construction of vaults during the French colonial era. The 1715 map identifies the oldest vaults, built in 37 years, between 1678 and 1715. These were distributed around the Place Royale. Note the concentration of vaults in 8 of the 11 vaulted houses on the north side of Place Royale. From 1723 to 1753, a dozen new vaults were built both under Place Royale and to its southern side in 30 years. The new vaults were located between rue Petit Champlain and the riverfront, precisely between two topographic levels separated by the equivalent of one floor. This confirms the constant growth of the merchant population and the concentration of commercial and residential activity (Desloges, 1991). The British bombardment in the summer of 1759 left the area in ruins, as Short’s engravings show. Several vaults resisted underlining their role as a protected space, but others were also destroyed. “There were seven vaults that were punctured or burnt: that of M. Perrault, the youngster, that of M. Tachet, of M. Turpin, of M. Benjamin de la Mordic, Jehaune, Marauda. Judge from consternation. There were 167 houses burned down” (Lemoine, 1875). The 1765 map shows the loss of some vaults, and the rarity of their reconstruction. Only 5 vaults were built in 26 years, from 1761 to 1787. It was the end of the construction of vaulted cellars in the area at the level of the basement (The Kings’ Wharf building, south of Place Royale, has in its 1823 plans basement vaults in one half of the building. The architecture resumes the way of constructing military buildings and is part of

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re al catasto, adattarsi alla topografia del sito, adeguarsi in altezza e ai vincoli costruttivi. Sono espressioni delle capacità degli occupanti e della destinazione d’uso. Alcune di queste servono da laboratori di botti, sartorie, pelliccerie e oreficerie, mentre altre sono destinate ad usi più commerciali – cottura e conservazione – nonché all’utilizzo domestico.

the projects around Quebec City new citadel. The building burn in 1950). The gradual disappearance of vaults as an architectural form after the British conquest testifies about the collapse of know-how in construction, but also to a set of changes in real estate investment including the transition from massive masonry architecture of French inspiration towards a lighter construction tradition coming from England and the American colonies. Some examples of the vaults still existing in the Place Royale area have been outlined from various sources between archaeological reports and archives. The chronological order makes it possible to observe the variety of architectural solutions adapted to the specific context of each house. The vault had to follow the property lines, fit into the site topography, and adjust in terms of height and constructive constraints.

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Sul piano architettonico, la costruzione e l’ubicazione delle volte garantiscono accessibilità e funzione. Solitamente sono servite, da un lato, da un accesso a livello del suolo, mentre dall’altro la loro presenza è rivelata da prese d’aria, che forniscono l’aeroilluminazione naturale. Oggi, la maggior parte di questi scantinati è murata o sotto il livello stradale. Ciò conferma come l’attuale livello delle strade sia mediamente innalzato tra 60 e 150 cm rispetto a quello del XVIII secolo. Ridisegnando il profilo delle strade per liberare le finestre del seminterrato, si è scoperto il livello originario della strada. Questo fenomeno di sedimentazione è una realtà storica comune. Durante il restauro di Place Royale, utilizzando diversi nuclei e analisi dendrocronologiche, alcuni scavi archeologici (1961-1999) sono riusciti a documentare le variazioni del livello del suolo. Gli 82 rapporti di archeologia pubblicati tra il 1962 e il 2001 sono stati utilizzati per comprendere l’impatto urbano di questa sedimentazione. Questi rapporti indicano le variazioni di livello e documentano con precisione la presenza dei vecchi strati. La mappatura di queste informazioni consente di formulare un’ipotesi di variazioni di livello in Place Royale. La volta della Milot House, situata in Notre Dame Street, secondo i registri archeologici è alta 4,5 m (14 piedi). Data la topografia più ripida a questo livello (Gagnon, 1970), i moli, ancorati più profondamente nel terreno per raggiungere la roccia, giustificano la loro imponente altezza rispetto alle altre volte. La figura 8 illustra la notevole differenza tra l’interno originario (con le fondamenta in nero) rispetto a quello attuale del pavimento, che è 3,1 metri sotto la sommità della culla. Le relazioni archeologiche e la comprensione dei principi costruttivi e morfologici delle fondamenta e delle volte delle case, suggerisce che la ricostruzione del 1685 sia stata un’occasione per raddrizzare le strade e allineare gli edifici, in pianta e in altezza. L’ubicazione delle volte corrisponde ad una variazione dei livelli del terreno, eseguita al fine di semplificare lo scavo. Questa osservazione ci consente di formulare un’ipotesi sulla topografia iniziale e di comprendere la portata del livellamento del terreno, compresa quella della Place Royale con il piazzale antistante la chiesa. La rue Notre-Dame, da Place Royale alla Côte de la Montagne è sollevata e appiattita grazie alle volte delle case vicine. Così come la Rue St-Pierre è senza dubbio sopraelevata rispetto al livello della costa naturale. Il sito dell’Habitation de Champlain era più ripido di quello che vediamo ora ed in linea con una logica militare.

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Construction of vaults: impact at the urban and the architectural scales At the building scale, vaults ensured their access and storage purpose. Generally, they were served on one side by ground-level accesses, while on the other side, their presence was revealed by air vents, which provide natural light and ventilation. Today, most of these basements’ windows are either walled up or below street level. This confirms that the current streets’ level raised on average between 60 to 150 cm compared to the 18th century level. By redrawing the profile of the streets to clear the basement windows, we encounter the level of the original roadway. This phenomenon of sedimentation is a common historical feature. During the restoration of Place Royale, archaeological excavations (1961-1999) documented the variations in soil level using different cores and dendrochronology analyses. The 82 archaeological reports published between 1962-2001 were assembled to understand the urban impact of this sedimentation. These reports indicate the variations in levels and establish the presence of old layers with precision. The mapping of this information makes it possible to propose a hypothesis of the levels’ changes across Place Royale. The site section allows to visualize the modificamodifications of the slope towards the river through Place Royale. The steep drop was partly softened by the introduction of the arches and the straightening of the streets and the levelling of the Square. The 1686 ordinances aimed to align houses by regulating street widths, but also to prohibit overflows of houses on the public right of way. The construction of the vaults further straightened, backfilled and flattened the streets around Place Royale, giving a broader meaning to the Street Alignment Ordinance and shaped the urban composition of this sector of Quebec. The vault present under Place Royale, an extension of the Fornel house built in 1735, allows the levelling of the square itself. The vaults of the Barbel house, just north of Fornel, which measure 2 floors show that the original drop was between 6 and 8 m. The vault of the Milot House, located on Notre Dame Street, is according to archaeological records, 4.5 m (14 feet) high. Given the steeper topography at this level (Gagnon, 1970), the piers are more deeply anchored in the ground in order to reach the rock, justifying its impressive height compared to the other vaults. The drawing on the left illustrates the remarkable difference between the original interior (with the foundation in pink) compared to the present one with a floor

L’impatto, a livello urbano e architettonico, della costruzione delle volte

Discussione e conclusioni Il progetto di restauro 1967-1996 Il progetto di restauro urbano, è avviato nel 1967, con una fase di ricerca archivistica e una campagna di rilievi architettonici, quando gli incendi distruggono parte del patrimonio edilizio che si intendeva ripristinare. Il progetto era diviso, sin dal suo inizio, tra il desiderio di onorare le origini francesi del Québec, e le logiche del “rinnovo urbano” (Berthold, 2012). Si proponeva di costruire un ambiente di vita moderno nel contesto storico. Un documentario prodotto nel 1974 dalla NFB mette proprio in relazione la ricostruzione del centro storico di Varsavia con i restauri in corso in Québec (Régnier, 1974). L’operazione ha la sua logica economica legata alle potenzialità turistiche che so| Luiza Santos_François Dufaux | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 13 - Pianta delle volte esistenti e distrutte con la topografia attuale. Luiza Santos. Plan of existing and lost vaults with the current topography. Luiza Santos.

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Fig. 14 - Place Royale. Foto dall’alto della collina. Place Royale. Photo from the top of the hill.

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vrasta l’obiettivo di attualizzare il tessuto residenziale. Ciò è stato aspramente dichiarato, in un colloquio del 1978, e in particolare dal sociologo Fernand Dumont, che ha paragonato l’operazione a “un campo di concentramento per la cultura” (Berthold, 2012). Negli anni ’80 sono stati effettuati diversi studi storici non finalizzati al progetto architettonico. Studi ampiamente messi in discussione col trasferimento degli immobili restaurati ad un ente pubblico, Sodec e gli altri edifici espropriati a una cooperativa “Le petit Champlain”. Tutta la documentazione del progetto, raccolta dal Ministero degli Affari Culturali, è stata poi trasferita agli Archivi Nazionali del Québec (ANQ) nel 1996, in quanto ritenuti documenti inattivi. Sodec sta effettuando alcuni lavori, tra cui un centro di interpretazione, inaugurato nel 1999 e chiuso nel 2016. Oggi Sodec, dopo 40 anni, deve affrontare la sfida di importanti lavori di manutenzione. La ricerca sulle volte pone nuovi interrogativi sulla natura del restauro effettuato tra il 1970 e il 1985. L’elevazione delle strade danneggia le condizioni fisiche delle cantine, comprese quelle con volte, ma modifica anche la natura dei piani terra. Per Sodec è in gioco la vocazione turistica e commerciale di Place Royale. Uno studio pubblicato nel 2003 esplora come trasformare i piani terra in modo da integrare le finestre senza alcuna logica storica (Noppen, 2003). Tuttavia, abbassando il livello delle strade a quello settecentesco, ci si accorge che i piani terra erano accessibili da un portico e a pochi passi dalla strada. Questi spazi non erano mai stati negozi o botteghe artigiane, ma abitazioni, dove, a volte, una stanza poteva fungere da ufficio per le transazioni commerciali. Questo spiega perché esigenze di vendita abbandonano il sito di Place Royale alla fine del XVIII secolo per le banchine, dove i prodotti agricoli venivano venduti.

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3.1 meters below the top of the vaulted ceiling. The intersection of archaeological reports with an understanding of the constructive and morphological principles for foundations and vaults, suggests that the reconstruction of 1685 opened an opportunity to straighten the streets and align the buildings, in plan and in height. The location of the vaults corresponds to a change in the ground levels, in order to simplify the excavation. This original topography makes it possible to see the extent of the ground levelling, including the creation of the Place Royale with the square in front of the church. The rue Notre-Dame, from the Place Royale to the Côte de la Montagne was raised and flattened thanks to the vaults of the neighbouring houses of both sides. Rue St-Pierre was undoubtedly also elevated above the level of the natural coastline. The site of the Habitation de Champlain (in the centre of the black drawing) was steeper than what we see now, consistent with a military logic invisible today. Discussion and conclusions 1967-1996 restoration project The urban restoration project, started in 1967, struggled from its inception, between the desire to commemorate the historical legacy, like a monument to Quebec’s French origins, and the logic of “urban renewal” (Berthold, 2012) which proposes to improve the living environment of-

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Le case restaurate pretendono di essere quelle di una famiglia fondatrice. Lo storico Desloges ha osservato, nel 1991, che Place Royale era un quartiere per affitti, vale a dire che le case erano composte da più abitazioni distribuite sui piani, dove il proprietario mercantile conservava il piano terra e le volte. Nel corso dei lavori, diverse porte secondarie che davano accesso all’alloggio sono state, arbitrariamente e ingiustificatamente a nostro avviso, rimosse o sostituite da finestre. Contestualmente, l’interesse per le volte si è concentrato sulla loro riconversione commerciale. L’obiettivo era soprattutto quello di rievocare la vita notturna parigina del dopoguerra quale evento turistico. La ricerca critica, la scarsa integrazione tra conoscenze storiche e archeologiche e gli interventi di restauro, evidenziano l’impatto delle scelte contemporanee. Nel 1979, un rapporto archeologico di tutti gli scavi effettuati a Place Royale rivela che su 35 siti scavati o sondati, sono stati pubblicati solo 18 rapporti di scavo, di cui tre riguardanti la seconda dimora di Champlain (Picard, 1979). Secondo lo stesso rapporto, l’archeologia è l’area del sapere che ha maggiormente contribuito al progetto di restauro. Per questo i vecchi livelli delle cantine e le vecchie strutture in muratura sono stati nella maggior parte dei casi sondati, a volte anche fornendo nuove informazioni che nessun documento storico evidenziava (Picard, 1979). I documenti rappresentano spesso volte esistenti, ma non indicano quelle che un tempo esistevano sul telaio di base (come illustrano le mappe). Dopo nove anni di scavi archeologici, non è stata ancora fatta alcuna sintesi sui reperti e sulle planimetrie complessive dei resti, né redatta una cronologia (Picard, 1979). Una delle preoccupazioni del restauro è stata quella di presentare una sorta di catalogo dell’architettura francese, in cui ogni casa è un caso a sé, da documentare. Le caratteristiche morfologiche dell’architettura non vengono mai confrontate in modo trasversale per comprendere soluzioni ricorrenti e soluzioni eccezionali. Le sfide del presente

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Place Royale è un progetto di restauro stilistico (Deanovic, 1964) nella sua forma urbana e architettonica com’era sotto il regime francese (Faure, 1992), incluso nel 1985 nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO per la presenza di Place Royale, riconosciuta come il luogo della Nuova Francia (Côté, 2001). Un progetto che non ha risolto il rapporto tra la vocazione commemorativa, destinata al turismo, e lo sviluppo di un quartiere residenziale (Dufaux, 2018). Tuttavia i lavori di manutenzione programmati da Sodec per i prossimi dieci anni sono un’opportunità per correggere gli errori degli anni ’70. Lo studio della morfologia permette di comprendere meglio le logiche costruttive, ma anche le funzioni residenziali e commerciali, oltre che a rivelare, attraverso l’allineamento delle strade, in pianta e in sezione, il momento fondante dell’urbanistica della Nuova Francia. Questa lettura permette di comprendere le logiche interne alle discipline dell’architettura e dell’urbanistica, di vedere il patrimonio costruito come espressione di logiche economiche, culturali e politiche. La scelta di favorire il regime francese, ovvero il periodo di transizione tra la conquista del 1759 e l’arrivo degli immigrati britannici dopo il 1815, corrisponde a una fase storica che non riflette l’interruzione nel modo di costruire e vivere in Place Royale o nel Québec del passato. Continuità e cambiamento si sono gradualmente giustapposti nel corso del XIX secolo, quando le culture costruttive francesi, britanniche e poi americane convivono osmoticamente e si trasformano. La morfologia offre sfumature della cultura, classe sociale, condizioni economiche e un quadro politico lasciato dagli abitanti del Québec nei diversi modi di vivere insieme.

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fering modern comfort in a historical context. A documentary produced in 1974 by the NFB precisely compares the reconstruction of the historic centre of Warsaw and the restorations underway in Quebec (Régnier, 1974). The commemoration found its economic logic through the tourist potential and supplanted the goal to provide an heritage site inhabited by residents. This was bitterly denounced in a 1978 colloquium, notably the sociologist Fernand Dumont who compared the operation to “a concentration camp for culture” (Berthold, 2012; Dumont, 1978). In the 1980s, several historical studies were carried out without influencing the architectural project. During the same years, the restored properties were ceded to a public agency, Sodec (Sodec: société de développement des entreprises culturelles. Sodec is a provincial agency responsible for the funding cultural activities as publishing, the music industry, the cinema and television production. The heritage maintenance of Place Royale remains a marginal commitment, both financially and for its cultural contribution) and the other buildings expropriated to “Le Petit Champlain” cooperative. All the documentation gathered by the Ministry of Cultural Affairs was transferred to Archives Nationales du Québec (ANQ) in 1996, as an admission that the documents were now inactive records. Sodec supervised various maintenance works and further ordered an interpretation centre, inaugurated in 1999 and closed in 2016. The research and findings about the vaults bring a set of new observations about the restoration project. From a methodological point of view, the archaeological findings, the historical research and the architectural analysis rarely coincided and exchanged during the different phases of Place Royal project until today. The morphological analysis provides a framework that integrates the parallel documentation of these three main disciplines, which support a revised understanding of Place Royal architectural legacy. The introduction of vaulted basement in the urban houses, notably after the 1682 fire, testified about the long-term commitment of the colonial development. It required skilled labour and support a preference for dense urban form and sturdy buildings. This description fits the definition of settlement colony developed by Anthony D. King (King, 1985). The structures were intended to be “mixed uses” buildings with commercial storage, residential accommodation for the owner and tenants, sheltering different social classes. The restored houses claimed to be the home of founding families. The historian Desloges observed in 1991 that Place Royale was a tenants’ district. The houses were made up of several dwellings distributed over different floors, the merchant owner keeping the ground level and the vaults. During the restoration, several secondary doors giving access to the upper floor’s accommodations were removed or replaced by windows. This decision is historically inaccurate and a morphological non-sense. The vault location provided an opportunity for adaptation and changes on the site topography; levelling streets and open spaces, extending the urban area while improving the defensive quality of the upper town. The streets current level harms the physical condition of the cellars, including those with vaults, but also changes the nature of the ground floors. The tourist and commercial vocation of Place Royale is a recurring concern for Sodec. A study published in 2003 explores how to transform

Nota Testo originale inglese. Traduzione a cura di Paolo Carlotti. | Luiza Santos_François Dufaux | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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the ground floors in order to integrate displaywindows for shops without any historical evidence. (Noppen, 2003). However, by lowering the streets’ level to that of 18th century one, we understand that the ground floors were accessible by few steps and a stoop. The ground-level spaces were never built to house stores or shops, but homes, where a room could serve as an office for commercial transactions. Place Royale was not intended for a market square, and the later location of a proper market at the end of the 18th century by the dock appears the sensible decision. The fading of vault construction during the first decades of the British rule suggests converging explanations. First, it matches King colonial typology: Lower Canada became a commercial colony where short-sighted investments aimed for a quick return which favour light construction. Second, it explains the disconnection between storage, commercial and residential space, which lead to the introduction of specialised building types, notably warehouses. At the urban scale, the spatial segregation fit the class and ethnic division introduced by the British colonial order. Finally, it provides a clue about the preservation of Place Royale precinct. The small plots, the narrow streets and the mature buildings over three to four storeys, made transformation and expansion of larger structures, like warehouses, more difficult than in other part of the Lower town. Theses morphological limitations preserved an historical built form regardless of the political changes and the economic developments.

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Riferimenti bibliografici_References

The challenges of the present In 1985, the historic district of Old Quebec was included on the UNESCO World Heritage List. This status owes much to the presence of the Place Royale precinct, acknowledged as the founding establishment of New France (Côté, 2001). The balance between the commemorative vocation intended for tourism and the development of an inhabited and lively district remains unsettled (Dufaux, 2020). The maintenance work planned by Sodec opens an opportunity to revise previous restoration decision. The morphological analysis provides a better understanding of the constructive logic, but also the residential and commercial functions. In addition, it reveals a founding moment in urban planning in New France through the alignment of streets, in plan and in section. This initial analysis discerns the nature of architectural transformations; the built heritage is rarely a mere illustration of economic, cultural and political logics. The choice to favour the French regime, or the transitional period between the conquest of 1759 and 1815, sets and historical timeline blind to the architectural transformations affecting the houses and the life around Place Royale. The evolution of the building types requires additional explorations. Above all, there is a need to shift the scope of architectural research, moving from an emphasis on distinctive building features linked to a monumental celebration to an understanding of the common morphological patterns that define a building tradition. Continuity and changes gradually juxtaposed during the 19th century, where French, British and later American construction cultures coexisted, exchanged and transformed. The morphological analysis opens up a nuanced narrative where culture, social class, economic conditions and political framework left several ways for Quebec City inhabitants to live together. This is what this heritage to restore should allow us to pursue.

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urbanform and design

Il progetto del margine nell’area archeologica centrale di Roma

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Largo della Salara vecchia

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DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.005

Orazio Carpenzano1, Giovanni Rocco Cellini2, Angela Fiorelli3, Filippo Lambertucci4, Manuela Raitano5. DiAP, Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università degli Studi di Roma E-mail: 1orazio.carpenzano@uniroma1.it, 2giovannirocco.cellini@uniroma1.it, 3 angela.fiorelli@uniroma1.it, 4filippo.lambertucci@uniroma1.it, 5manuela.raitano@uniroma1.it

Dalla Via Sacra a Via dell’Impero

Largo della Salara vecchia. The project of the edge in the central archaeological area of Rome

From Via Sacra to Via dell’Impero Responsibilities for the great demolition of the Via dell’Impero are commonly attributed to the fascist intervention, guilty of having erased an entire Renaissance urban fabric with a drastic “axe cut”. Part of these responsibilities, however, can be attributed, further back in time, to a series of urban policies on infrastructural scale, dating back to the post-unification period, which determined the premises for the radical transforma-

Le responsabilità del grande sventramento di Via dell’Impero sono comunemente ascritte al piccone demolitore mussoliniano, colpevole di aver cancellato, con un drastico “taglio di accetta”, interi tessuti urbani rinascimentali. Eppure parte di queste responsabilità vanno fatte risalire più indietro nel tempo, a una serie di politiche urbane di scala infrastrutturale risalenti al periodo post-unitario, che hanno determinato le premesse della radicale trasformazione di età fascista. Tra queste, l’apertura di Via Cavour è senza dubbio quella che ha innescato le maggiori conseguenze: la lunga strada, che istituiva un collegamento diretto tra l’area dei fori – cuore archeologico romano – e la prima stazione Termini, disegnata da Salvatore Bianchi, rappresentò infatti il punto di partenza di un processo di scardinamento del quartiere Alessandrino che culminerà poi, per mano di Mussolini, nella sua totale demolizione a servizio della creazione del nuovo asse Piazza Venezia-Colosseo: un asse che doveva esprimere tanto la grandezza retorica della Roma Antica quanto celebrare l’esegesi della moderna città Capitale. Il discusso intervento di Via dell’Impero si pone pertanto in coerenza con quelli che erano stati, cinquanta anni prima, gli obiettivi generali della neonata città Capitale, che possono essere così riassunti: “Liberare i monumenti, circondarli di giardini e vegetazione e collegarli con moderni viali rappresenta la sintesi della filosofia d’intervento sulle aree archeologiche romane all’inizio del secolo scorso. A ben vedere il ventennio mussoliniano, che inciderà in modo violentissimo sull’area dei fori, introduce all’interno di questa stessa visione una torsione retorica e monumentale di matrice ideologica, ma non si pone in discontinuità rispetto alla scarsa considerazione nei confronti dell’edilizia storica e dei suoi valori urbani. Nasce così Via dell’Impero, poi Via dei Fori Imperiali, attraverso una delle operazioni di sottrazione più ingenti che la storia di una città ricordi” (MIBACT, 2019). Dal punto di vista urbano, sovrapponendo ai fori una nuova assialità, tracciata per così dire “a tavolino”, si mirava a celebrare la propaganda fascista della “romanità” e a risolvere un problema di vecchia data, il collegamento nordsud della città (Rossi, 2019). Il nuovo progetto doveva rievocare quel netto margine urbano che in epoca romana, attraverso l’antico e possente muro della Suburra, interrompeva la fitta densità del tessuto minuto per aprirsi alla città degli imperatori; allo stesso tempo, doveva delineare un nuovo asse viario, in coerenza con la città dell’automobile dell’epoca moderna: una strada nuova che avesse per frons scenae il Colosseo. A questa nuova strada monumentale, realizzata da Mussolini nel 1932 in tempi rapidissimi, si deve la completa distruzione dei tessuti sovrastanti il foro di Traiano. Di questi rimarrà, come unica testimonianza, il segno a terra della via Alessandrina; una traccia poco comprensibile una volta privata delle quinte stradali che vi si affacciavano, al punto che ciò che ne resta è oggi in via demolizione. La linea retta di Via dell’Impero, poi Via dei Fori Imperiali, taglia dunque a metà un’Urbe disvelata: una sequenza paratattica di recinti procede verso l’Anfiteatro Flavio giustapponendo i segni della città antica in una tensione di rovine e di architetture sedimentate nel tempo. “È difficile cogliere – scrive

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Abstract The paper aims to illustrate a project, developed by a group of professors and doctoral students of the Department of Architecture and Design of the La Sapienza University of Rome, located in the archaeological area of Rome, precisely at the entrance to the Roman-Palatine forum, near the temple of Antoninus and Faustina (today the church of San Lorenzo in Miranda), a place called Largo della Salara Vecchia, currently defined by an irregular plan and by the presence of some small service volumes. Given the peculiarities of the context, which induce interesting reflections on the theme of the coexistence of different historical eras in the city, in April 2019 the “Colosseum Archaeological Park Authority” entrusted Sapienza with a study for the reorganization of the entrance to the Roman Forum and Palatine Hill, from Largo della Salara Vecchia. The request was to redevelop this important access point, providing a new polarity equipped with facilities for visitors: a real gateway to the Archaeological Park system, with the aim of overcoming the current condition, characterized by scattered volumes that do not interact with each other. It was immediately clear that a new intervention had to be designed with a unitary architectural feature, capable of bringing together the various traces and morphologies accumulated over the centuries in this very peculiar place. The work is a spin-off of a broader university research on the forum area, coordinated by Orazio Carpenzano, in which the idea of re-establishing an overall unity in the forum prevails, while today is very difficult to recognize. The new visitor center is part of the programmatic framework of this research.

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Keywords: Roman forum, visitor center, historical heritage, archeology, contemporary project

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Fig. 1 - Comparazione tra l’area archeologica centrale di Roma prima dello sventramento di Via dell’Impero ed oggi. Giacitura dei principali assi urbani. Comparison between the central archaeological area of Rome before the demolition of Via dell’Impero and today. Location of the main urban axes.

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Fig. 2 - Lo sbancamento della collina Velia per l’apertura di Via dell’Impero. Foto d’epoca. Excavation of the Velia hill for the opening of Via dell’Impero. Original photos.

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Gianugo Polesello – un ordine geometrico preesistente nell’insieme di questi complessi (fori e sistemi di fori). La collocazione dei singoli volumi richiama quasi la compiutezza che lega la quantità delle singole architetture alla dimensione di un luogo tramutato e reso “altro” da quelle operazioni di aggiunte, di costipamenti, di dilatazioni. […] Morfologie di questo tipo rappresentano micro-città” (Polesello, Ajroldi, 1987). Di queste micro-città, a nostro avviso, Via dei Fori Imperiali costituisce l’ennesimo accidente succedutosi nel corso del tempo, ormai consolidatosi come fatto urbano sedimentato. Sembra pertanto oggi sempre più ragionevole, come suggeriva Cesare Brandi (a discapito dell’opinione di Leonardo Benevolo e di Adriano La Regina), accettare questa strada come una presenza data, una modificazione avvenuta con la quale la città contemporanea deve necessariamente misurarsi. D’altro canto, afferma Brandi, essa rappresenta uno dei tanti viali prospettici disassati, non nuovo a Roma, e un collegamento urbano unanimemente assimilato: “[…] non si deve ferire la Roma viva per recuperare i frammenti di quella morta” (Brandi, 1983). Assumendo come premessa operativa l’opinione di Brandi, ci si interroga dunque sul perché la Roma dei fori debba ancora oggi presentarsi come una costellazione di lacerti “morti”, e su come si possa piuttosto intervenire sul cuore archeologico della città conservando la percezione dei segni di entrambi gli strati: i segni della memoria, tipici dell’archeologia, nonché il segno contemporaneo della nuova strada. Questo obiettivo non è semplice, poiché Via dei Fori Imperiali ha provocato un’innegabile difficoltà di comprensione dei processi formativi dei luoghi che attraversa. L’architettura e l’archeologia, che ne costituiscono i margini, sembrano infatti essere più uno sfondo “risultante” che un reale sistema prossemico e narrativo dello spazio urbano. Entrando nello specifico, ciò che oggi riconosciamo come linea di margine tra

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tion of the fascist era. Among these, the opening of Via Cavour is undoubtedly the one that triggered the greatest consequences: the long road, which established a direct connection between the area of the Forum – the Roman archaeological heart – and the first Termini station, designed by Salvatore Bianchi, represents the starting point of a process that will culminate, according to Mussolini’s project, in the total demolition of the Alessandrino district, canceled for the construction of the new Piazza Venezia-Colosseum axis: an axis that had to express both the rhetorical grandeur of ancient Rome and the celebration of the exegesis of the modern capital. The discussed intervention of Via dell’Impero is therefore consistent with the general objectives of the new capital, established fifty years earlier: “Isolating the monuments, surrounding them with gardens and vegetation and connecting them with modern avenues represents the synthesis of the philosophy of intervention on archaeological areas from the beginning of the last century. In this perspective, the twenty-year power of Mussolini, which will have a very violent impact on the area of the Forum, introduces a rhetoric and monumental ideological matrix within this same vision, but does not appear as a discontinuity with respect to the lack of consideration for the historical building and its urban values. Thus, Via dell’Impero was born, then Via dei Fori Imperiali, through one of the largest operations of subtraction that the history of a city

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Fig. 3 - Le demolizioni del Quartiere Alessandrino e il Colosseo. Foto d’epoca. Demolitions of the Alessandrino district and the Colosseum. Original photos.

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città e foro è in realtà, molto spesso, un margine di scavo; un limite che poco ha a che fare, quindi, con i processi formativi della struttura urbana antica, ma che allo stesso tempo si allinea a un vettore urbano contemporaneo (l’asse stradale mussoliniano). Ciò rende necessario, prima di tutto, riconoscere i caratteri e le nuove gerarchie che Via dei Fori Imperiali sovrappone al precedente assetto urbano. Ma è anche necessario capire quale ruolo giocano le architetture preesistenti, poste oggi lungo un “limite di scavo” che segna, a volte in modo casuale, il passaggio tra la città moderna e quella archeologica. Vanno pertanto fatte tre constatazioni preliminari, imprescindibili per una corretta lettura di questa parte di città. La prima riguarda il ribaltamento semantico che il nuovo asse attua su quello antico, la Via Sacra. La nuova via mussoliniana soppianta la direttrice generatrice distributiva e di accesso all’area centrale di Roma Antica, alterando radicalmente la percezione dei luoghi. Quella via che un tempo, dall’Arco di Tito, arrivava al Campo Vaccino, fino poi alle pendici del Campidoglio, ha costituito per secoli la linea visiva e compositiva di una successione di episodi che su di essa affacciavano (Cederna, 1981). La Basilica di Massenzio, il Tempio del Divo Romolo, poi ingresso alla Basilica dei Santi Cosma e Damiano, il Tempio di Antonino e Faustina, ora Chiesa di San Lorenzo in Miranda, la Curia Iulia, la Chiesa dei Santi Luca e Martina, hanno tutti il fronte rivolto alla Via Sacra. Il nuovo assetto novecentesco obbliga invece questi manufatti a trasformarsi in architetture bifronti, a rivolgere il loro retro verso via dei Fori Imperiali. Questo profondo mutamento è fondamento preliminare per il progetto da noi sviluppato. La seconda constatazione riguarda il fatto che l’abbattimento dei tessuti rinascimentali, e il relativo scavo alla quota archeologica, danno l’avvio ad un pro-

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remembers”(MIBACT, 2019). From an urban point of view, by superimposing a new axiality to the Fora, designed in the abstract “at the drawing board”, Mussolini wanted to celebrate the “imperial” fascist propaganda and solve an old problem, the north-south connection of the city (Rossi, 2019). The new project had to evoke that clear urban margin which in Roman times, through the ancient and mighty walls of the Suburra, interrupted a dense urban fabric to open up to the city of emperors; at the same time it could be used as a new road, to satisfy the mobility needs of the city, typical of the modern era: a new road with the Colosseum as a frons scenae. This new monumental road, built by Mussolini in 1932 in a very short time, was responsible for the complete destruction of the neighborhoods set above the Forum of Trajan. The trace on the ground of the preexisting via Alessandrina will remain as the only testimony; an incomprehensible trace, deprived of its façades, to the point that today it is being demolished. The straight line of Via dell’Impero, named after the Second World War Via dei Fori Imperiali, therefore cuts an “unveiled” city in two: a paratactic sequence of enclosures proceeds towards the Flavian Amphitheater, juxtaposing the signs of the ancient city in a tension of ruins and architectures over the time. “It is difficult to understand – writes Gianugo Polesello – the pre-existing geometric order in the ensemble of

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Fig. 4 - La bi-frontalità delle principali architetture tra la Via Sacra e Via dei Fori Imperiali. The bi-frontality of the main architectures between the Via Sacra and Via dei Fori Imperiali.

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Fig. 5 - Il Progetto di Leonardo Benevolo, Vittorio Gregotti, Francesco Scoppola del 1988. The Project by Leonardo Benevolo, Vittorio Gregotti, Francesco Scoppola, from 1988.

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cesso di sottrazione che prescinde da un disegno di insieme e che confluisce nella creazione di un grande vuoto interrato dai margini indecisi e sfrangiati; un margine che nulla ha a che vedere con la definizione delle “aree di bordo” proposte da Benevolo, Gregotti e Scoppola nel progetto del grande parco archeologico del 1985, che affermano: “[…] il criterio dominante deve essere la leggibilità del tessuto antico, quali che siano le vicende della sua liberazione da considerare archiviate. Se è così, i margini della zona […] devono essere preferibilmente comandati dal disegno degli spazi antichi, i quali sono soprattutto recinti contigui e comunicanti, terrazzamenti delle colline, invasi parziali e percettivamente limitati” (Benevolo, 1985). Questo processo di sottrazione, che continua ancora oggi progressivamente, non è coordinato da un progetto urbano capace di restituire l’unità dei luoghi, pur nella complessità spaziale dell’assetto morfologico e delle sedimentazioni successive. Le conseguenze sono ben descritte nella relazione del MIBACT: “Oggi la questione sta assumendo connotati macroscopici che hanno finito per consolidare l’immagine dell’area come di un immenso e permanente cantiere. Dal momento che l’unico esito tangibile del lungo dibattito sul Progetto Fori degli anni Ottanta è stata, nei quasi tre decenni di sostanziale silenzio sul tema, la ripresa degli scavi e l’estensione dell’area archeologica dei Fori Imperiali a discapito delle sistemazioni a verde del ventennio, si può concludere che a sottrazione si è “aggiunta” sottrazione, in una progressiva e inesorabile erosione e de-formazione (nel senso della perdita di ogni forma compiuta) degli spazi urbani” (MIBACT, 2019). In terzo luogo, si assume che, nel nuovo disegno della città archeologica, l’innesto di Via Cavour con Via dell’Impero comporta la determinazione di un nodo infrastrutturale e percettivo ad oggi ancora irrisolto. Non è un caso che

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these complexes (Fora and systems of Fora). The positioning of the individual volumes recalls the completeness that links the quantity of the individual architectures to the dimension of a place transformed and made “other” by operations of addition, densification, expansion. […] Morphologies of this type represent micro-cities” (Polesello, Ajroldi, 1987). Among these microcities, in our opinion, Via dei Fori Imperiali is yet another accident, now consolidated as a structured urban fact. It therefore seems reasonable today, as suggested by Cesare Brandi (to the detriment of the opinion of Leonardo Benevolo and Adriano La Regina), to accept this street as a given presence, as a modification that took place definitively, with which the contemporary city must necessarily measure itself. On the other hand – says Brandi – it also represents one of the many misaligned prospective avenues, not new to Rome, and an urban connection now assimilated in the common perception: “[...] we must not hurt the alive Rome to recover the fragments of the dead one” (Brandi, 1983). According to Brandi’s opinion as operational premise, we therefore ask ourselves why the archeological core of Rome should still be presented as a constellation of “dead” fragments, and how we can rather intervene on it, manteining the perception of the signs of both layers: the signs of memory, typical of archeology, as well as the contemporary sign of the new road. This objective is not simple, since Via dei Fori Imperiali

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Fig. 6 - Il Progetto Fori di Raffaele Panella del 2013. The Project by Raffaele Panella, from 2013.

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qui fu collocata l’area di concorso per il Palazzo del Littorio, unico edificio ex novo concesso nel grande contesto del cuore archeologico, e che qui poi prenderà idealmente forma il Danteum di Terragni. È proprio su questo difficile nodo, su cui insiste il Tempio della Pace (unico foro ancora solo parzialmente scavato) che si inserisce il progetto per il nuovo centro visitatori e ingresso al Foro Romano e Palatino nel Parco Archeologico del Colosseo.

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caused an undeniable difficulty in understanding the formative processes of the places it passes through: the architecture and archeology, which constitute its margins, seem to be more a “resulting” background than a real proxemic and narrative system of urban spaces. Specifically, what we recognize today as the margin between the city and the forum is an excavation margin; a limit that does not concern with the formative processes of the ancient urban structure; but a limit that, at the same time, aligns itself with a contemporary urban vector (Mussolini’s road). This makes it necessary, first of all, to recognize the characters and the new hierarchies that via dei Fori Imperiali has superimposed on the previous urban layout. But it is also necessary to understand what role the pre-existing architectures can play, placed as they are on an “excavation limit” which marks, sometimes by chance, the passage between the modern city and the archaeological one. Three preliminary observations can therefore be made, which are essential for a correct interpretation of this part of the city. The first concerns the semantic reversal that the new axis implements on the pre-existent one, the Via Sacra. The new Mussolini’s street replaces the ancient axis of distribution and access to the central area of Ancient Rome, radically altering its perception. The street that once, from the Arco di Tito, reached Campo Vaccino, up to the slopes of the Campidoglio Hill, had been for cen-

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Fig. 7 - La giacitura dei Fori e il disegno della città contemporanea. Principali assialità di progetto. The position of the Forums and the design of the contemporary city. Main axialities of the project.

Il progetto di ricerca Il progetto del nuovo centro visitatori nel Parco Archeologico del Colosseo si colloca a valle di una lunga famiglia di studi urbani che l’hanno preceduto, molti dei quali condotti in seno all’Università “Sapienza”. L’area centrale archeologica di Roma, infatti, seppure massima espressione della “grande bellezza” dell’urbs aeterna, non rimanda l’immagine di una città in fieri, quanto piuttosto l’immagine di una città ferita, da rimarginare. Un corpo irrisolto che è stato fatto oggetto, dagli anni Ottanta in poi, di numerose ricerche. Dal progetto Città politica - città culturale di Carlo Aymonino del 1983, al grande Parco Archeologico Fori Romani - Appia Antica ipotizzato da Benevolo e La Regina, all’ambito strategico del Piano Regolatore del 2008, per approdare alle prefigurazioni del Prix de Rome 2016, una serie di proposte sono state avanzate senza che però alcuna giungesse a compimento. Tra tutti, ricordiamo qui il lavoro di Raffaele Panella che in fasi distinte (1985, 1988, 2000, 2013) si è occupato del tema, e che fa da sfondo all’esperienza intrapresa nel 2017 dalla ricerca d’Ateneo dal titolo “Colosseum. Square and | O. Carpenzano_G.R. Cellini_A. Fiorelli_F. Lambertucci_M. Raitano | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 8 - Planimetria generale del nuovo Centro Visitatori e della piazza antistante. General plan of the new Visitor Center and its front square.

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museum. Walking through history at the time of the Global Tour”, condotta dal Dipartimento di Architettura e Progetto di Sapienza Università di Roma e coordinata da Orazio Carpenzano. A fronte delle vicende succedutesi nel trentennio precedente e delle differenti proposte avanzate, negli obiettivi di questa ricerca prevale l’idea di un parco attrezzato in cui lo spazio pubblico diviene obiettivo primo e dispositivo connettivo in grado di restituire, nella giustapposizione delle diverse emergenze archeologiche e nella stratificazione dei differenti periodi storici, un’unità d’insieme tanto percettiva quanto infrastrutturale. A ciò consegue un disegno architettonico che tiene conto del riordino delle gerarchie di flussi e della coerenza materica delle superfici, un nuovo assetto tematico e diversificato degli spazi espositivi dedicati e dei servizi ad essi connessi, nonché dei nodi di scambio tra la città contemporanea e il piano archeologico. In accordo alle premesse di Raffaele Panella, Via dei Fori Imperiali viene quindi conservata non tanto nelle sue fattezze, quanto nell’essenza di grande “nastro” urbano, come vettore direzionale visivo e linea di collegamento fisico. Un’infrastruttura narrativa che non tocca le rovine, ma le sorvola; una promenade architecturale o per meglio dire archéologique, che conduce il visitatore ad esplorare la città nella verticalità delle sue memorie sedimentate. Una verticalità articolata anche dalla presenza della nuova stazione della Metro “C”, che deve necessariamente dialogare e interagire con la quota urbana, nella tutela e valorizzazione del patrimonio storico preesistente. La bi-frontalità dei manufatti antichi che affacciavano in origine sulla Via Sacra e che ora rivolgono su Via dell’Impero quella che un tempo fu la loro schiena (Basilica di Massenzio, Tempio di Romolo, Tempio di Antonino e Faustina) rappresenta, come già detto, l’esito di una radicale trasformazione di senso

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turies the visual and compositional axis of a sequence of architectural episodes that overlooked it (Cederna, 1981). The Basilica of Maxentius, the Temple of the Divine Romulus, then the entrance to the Basilica of Saints Cosma and Damiano, the Temple of Antonino and Faustina (today the Church of San Lorenzo in Miranda), the Curia Iulia, the Church of Saints Luca and Martina, all have a front facing the Via Sacra. The new twentieth-century road instead forced these artifacts to transform themselves into “two-faced” architectures, showing their backs to via dei Fori Imperiali. This radical change is the preliminary basis for the project we have developed. The second observation concerns the fact that the demolition of the Renaissance urban fabrics, and the related archaeological excavation, started a process of subtraction independent from a plan, which led to the creation of a large underground void characterized by undecided and frayed edges; these edges have nothing to do with the definition of “border areas” proposed by Benevolo, Gregotti and Scoppola in the project for the large archaeological park in 1985, who stated: “[...] the dominant criterion must be the readability of the ancient fabric, whatever the events of this liberation are to be considered archived. In this case, the edges of the [...] area must preferably be controlled by the design of the ancient spaces, which are mainly contiguous and communicating enclosures, hills terraced, partial and perceptually limited reservoirs” (Be-

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e di forma che, sebbene non ancora risolta, non può che definirsi acquisita. Un’operazione di ri-definizione dei margini diviene pertanto prioritaria per la determinazione di un nuovo fronte urbano ad oggi frastagliato e incompiuto. Il disegno di una nuova piazza in corrispondenza dell’innesto di Via Cavour permetterebbe di far riaffiorare l’antico Templum Pacis, l’unico Foro ancora sepolto, e di risolvere il nodo infrastrutturale tra il grande viale dell’Esquilino e il rettilineo Piazza Venezia-Colosseo. Panella immaginava qui, infatti, una doppia piazza sovrapposta, l’una archeologica, l’altra urbana, a copertura del grande scavo, dialogante attraverso una superficie porosa che per mezzo di grandi vuoti zenitali lasciava alla sorpresa del visitatore la percezione di un mondo sommerso (Panella, 2013). Da questo principio spaziale nascono interessanti corollari, come la possibilità di convogliare l’uscita della Metro “C” anche in corrispondenza del Tempio della Pace. Il nostro lavoro quindi, in accordo con le premesse stabilite da Panella, si fa portatore dell’idea di un parco archeologico attrezzato attraversato dalla strada-viadotto, all’interno del quale un sistema museale diffuso diviene tema centrale di valorizzazione per il cuore archeologico romano. A tal fine il gruppo di progettazione ha lavorato parallelamente a quattro ambiti strategici distinti: - lo spazio anulare intorno all’Anfiteatro Flavio, la Domus Aurea e la Meta Sudans; - i resti del Ludus Magnus e la connessione con il sistema paesaggistico del Celio; - l’Arco di Costantino, la relativa piazza e l’innesto con Via di San Gregorio e il Palatino; - la Velia, la Via dei Fori Imperiali e la riqualificazione di Villa Silvestri Rivaldi. L’esperienza della progettazione del nuovo centro visitatori e ingresso al Foro Romano e Palatino ha pertanto fatto parte dello studio condotto sull’ultimo di questi ambiti, collocandosi all’interno delle premesse stabilite nel masterplan generale della ricerca, che è strumento di verifica di una strategia adottata per le diverse scale.

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Entrando più nel dettaglio, il Progetto di fattibilità tecnica ed economica per la riqualificazione di Largo della Salara Vecchia e dell’ingresso al Foro Romano è stato elaborato nell’ambito della cosiddetta “terza missione”, nascendo da una collaborazione virtuosa dell’Università con altri attori della Pubblica Amministrazione e del mondo professionale. Nello specifico, l’Ente “Parco Archeologico del Colosseo”, nella figura del suo direttore Alfonsina Russo e del RUP Nicola Saraceno, ha affidato al Dipartimento di Architettura e Progetto di Sapienza Università di Roma la progettazione del nuovo ingresso al Foro Romano; mentre allo studio professionale “Spin” di Roma è stata commissionata la progettazione di Largo della Salara Vecchia, lo spazio aperto che connette Via dei Fori Imperiali con la sovrastante Via in Miranda. Il progetto del nuovo ingresso al Foro Romano è stato condotto da un team di docenti e dottori di ricerca del dipartimento assegnatario, coordinato dal direttore Orazio Carpenzano e composto dagli autori di questo testo; altre figure specialiste nel campo dell’ingegneria e dell’archeologia hanno infine coadiuvato il gruppo di lavoro. La riqualificazione del punto di accesso al Foro Romano da Largo Salara Vecchia, e l’innesto di una nuova polarità attrezzata di spazi per la biglietteria, il controllo e i servizi al pubblico, nasce dall’esigenza da parte dell’Amministrazione di dotare il Parco Archeologico del Colosseo di un centro visitatori in corrispondenza di Largo Corrado Ricci e al contempo di emendarne l’attuale condizione frammentata con una sistemazione dal carattere architettonico più unitario. Attualmente, infatti, ai piedi della Chiesa di San Lorenzo in Miranda (e quindi del Tempio di Antonino e Faustina) sussiste un piccolo manufatto adibito a biglietteria che tuttavia, data la sua qualità di architettura provvisionale, non riesce a funzionare come dispositivo né significante, né ordinatore, per questo luogo. Alle spalle della biglietteria, un muro di altezza irregolare

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The research The project for the new Visitor Center was born after a long family of urban planning studies that preceded it, many of which were held within the Sapienza University. The central archaeological area of Rome, in fact, despite being the maximum expression of the “great beauty” of the eternal urbs, does not reflect the image of a city in fieri,, but rather the image of a wounded city, to be healed. An unsolved urban body that has been the subject of numerous researches since the 1980s. From the projects of Carlo Aymonino in 1983, to the great Archaeological Park of the Roman Forum-Appia Antica hypothesized by Benevolo and La Regina, from the strategic context of the 2008 General Plan, to the drawings of the Prix de Rome, held in 2016, a lot of proposals have been made, but none of them have been realized. Among all, we recall here the work of Raffaele Panella who in distinct phases (1985, 1988, 2000, 2013) addressed the subject, and which constitutes the background of the experience undertaken in 2017 by a research entitled “Colosseum. Square and museum. Walking through history at the time of the Global Tour”, held by the Department of Architecture and Projects of the Sapienza University of Rome and guided by Orazio Carpenzano. The objective of this research was to establish a new urban park in which public spaces would become a connective structure capable of restoring, through the combination of the various archaeological layers and in coherence with the textures of the surfaces, the overall unity of the place, both perceptive than infrastructural. The result is an architectural project that reorganizes the hierarchies of flows giving them a new diversified structure, through new exhibition spaces, new visitors ser-

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nevolo, 1985). This process of subtraction, which still continues progressively today, is not guided by an urban project capable of restoring the unity of the places, despite the spatial complexity of the morphological order of Forum and its subsequent sedimentations. The consequences are well described in the MIBACT report: “Today the issue is assuming macroscopic connotations that produce a common image of the area as an immense and permanent construction site. The only tangible outcome of the long debate on the Forum projects of the 1980s has been, in almost three decades of substantial silence, the resumption of excavations and the extension of the archaeological areas, to detriment of the green areas designed in fascist era, at the point that nowadays subtraction has been “added” to subtraction, in a progressive and inexorable erosion and de-formation (in the sense of loss of form) of urban spaces” (MIBACT, 2019). Thirdly, it is assumed that, in the new structure of the archaeological city, the grafting of Via Cavour with Via dell’Impero has determined the creation of an infrastructural and perceptive node that is still unsolved today. It is no coincidence that this was the area of the competition for the Palazzo del Littorio, the only new building previously planned in the context of the archaeological core of the city, and that still it’s here that the Terragni’s Danteum would ideally be located. It was precisely on this difficult urban node, on which the Tempio della Pace once stood (the only forum still partially excavated), that we had to graft the project for the new visitor center and entrance to Roman Forum and Palatine Hill, in Colosseum Archaeological Park.

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Fig. 9 - Modello del manufatto. Model of the building.

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Fig. 10 - Pianta e sezione trasversale. Plan and cross section.

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separa il “dentro” dal “fuori” e costituisce, al momento attuale, la soglia di accesso al parco. Addossati lungo il lato interno del muro, i servizi igienici e un piccolo bookshop sono dislocati in volumi indipendenti e disconnessi tra loro. L’insieme appare quindi disomogeneo, né vi si riconosce, al momento, quella qualità rappresentativa che dovrebbe avere un luogo che accoglie il passaggio del visitatore nel suo transito dalla Roma contemporanea alla Roma antica. L’operazione progettuale in questione costituisce, quindi, uno degli obiettivi che l’Ente “Parco Archeologico del Colosseo” si è posto dopo essere stato recentemente riformato. Il Parco Archeologico del Colosseo, infatti, costituitosi nel 2017, è l’esito di una riforma del MiBACT avviata nell’anno 2014, che ha previsto il riassetto, in una cornice istituzionale unitaria, dell’area del Foro Romano, del Palatino, dell’Anfiteatro Flavio, della Domus Aurea, dell’Arco di Costantino e della Meta Sudans nella valle del Colosseo. L’ente parco discende dunque da una riorganizzazione più ampia della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale che si è scissa rispettivamente nella Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma e nel Parco Archeologico del Colosseo, reso autonomo nella gestione e nella tutela, e capace di interfacciarsi direttamente con il Comune di Roma (Rif. D.M.2017). Stando all’art. 101 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, in quanto “Parco Archeologico” il nuovo ente autonomo amministra “un ambito territoriale caratterizzato da importati evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto” (Rif. D.L.2004). Nello specifico, il Parco Archeologico del Colosseo custodisce infatti alcune tra le più importanti testimonianze della storia della civiltà occidentale, dalla fine dell’età del bronzo all’età contemporanea. La sua gestione si deve pertanto confrontare e integrare con la città contemporanea di Roma,

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vices and new nodes of exchange between the contemporary city and the archaeological level. According to Raffaele Panella’s statements, Via dei Fori Imperiali is therefore preserved as a large urban “ribbon”, as a visual directional vector and physical connection line. A narrative infrastructure that does not touch the Roman ruins, but looks at them; an architectural boardwalk, or rather archéologique, which leads the visitor to discover the city and its sedimented memories. To this walk is added the new Metro “C” project, which must necessarily dialogue and interact in the protection and enhancement of the pre-existing historical heritage. The bi-frontality of the ancient artifacts that originally faced the Via Sacra and now show their backs towards Via dell’Impero (Basilica of Maxentius, Temple of Romulus, Temple of Antoninus and Faustina) represents, as already mentioned, a radical transformation which, although not yet resolved, can be defined as acquired. The redefinition of the borders thus becomes a priority for the determination of a new urban front which today appears unclear and unfinished. The project of a new square at the intersection of Via Cavour would allow the ancient Templum Pacis to re-emerge, the only forum still buried, also solving the infrastructural node between Viale dell’Esquilino and Piazza Venezia-Colosseo axis. Here Panella imagined, in fact, a superimposed double square, one archaeological, the other urban, to cover the great excavation;

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the two squares communicated through a porous surface which, by means of large zenithal voids, allowed the perception of an underground world. (Panella, 2013). Interesting corollaries arise from this spatial principle, such as the possibility of conveying the exit of Metro “C” also in correspondence with the Temple of Peace. Our work therefore, in compliance with the premises established by Panella, brings the idea of an equipped archaeological park crossed by the bordwalk-viaduct, within which a widespread museum system becomes the central theme of the enhancement of the Roman archaeological site. To this aim, the design group worked in parallel on four distinct strategic areas: - the annular space around the Flavian Amphitheater, the Domus Aurea and the Meta Sudans; - the ruins of the Ludus Magnus and the connection with the Celio landscape system; - the Arch of Constantine, its square and the connection with Via di San Gregorio and the Palatine Hill; - the Velia Hill, the Via dei Fori Imperiali system and the redevelopment of Villa Silvestri Rivaldi. The project for the new visitor center and entrance to the Roman Forum and Palatine Hill was therefore part of the study conducted on the last of these areas; it was developed within the frame established in the general research masterplan, a strategic instrument capable to manage different design scales.

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Fig. 12 - Prefigurazioni di progetto. Project prefigurations.

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per migliorare la fruibilità del comparto, sia in termini di quantità dei visitatori sia di qualità dei servizi offerti. Per questa ragione, il nuovo ente autonomo ha sentito la necessità di ridefinire la logistica dell’intero ambito museale – e quindi dell’area del parco – introducendo importanti criteri di efficienza e di gestione per la regolazione dei flussi turistici e la fruibilità dell’area. In questo quadro si colloca da un lato l’introduzione del biglietto unico di ingresso dei visitatori, dall’altro la volontà di intervenire in modo più strutturale, introducendo nuovi dispositivi architettonici da intendersi come “nuove porte”, elementi di filtro e di servizio tra lo spazio urbano e lo spazio archeologico.

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The Archaeological Park of the Colosseum Going into detail, the technical and economic feasibility project for the redevelopment of Largo della Salara Vecchia and the entrance to the Roman Forum was developed as a part of the so-called “third mission”, starting from a virtuous collaboration of Sapienza University with Public Administration and professionals. Specifically, the head of the “Archaeological Park of the Colosseum”, Alfonsina Russo, and the RUP Nicola Saraceno, entrusted the design of the new entrance to the Roman Forum to the Department of Architecture and Project of Sapienza University of Rome; while the “Spin” professional studio was called to design Largo della Salara Vecchia, the open space that connects Via dei Fori Imperiali with Via in Miranda. The project for the new entrance to the Roman Forum was led by a team of professors and PhDs from the Department, coordinated by the director Orazio Carpenzano and composed by the authors of this paper; other specialists in the field of engineering and archeology finally assisted the working group. The redevelopment of the access point to the Roman Forum from Largo Salara Vecchia, and the insertion of a new polarity equipped with spaces for ticketing, control and services to the public, comes from the need on the part of the Administration to equip the Archaeological Park of the Colosseum of a visitor center in correspondence of Largo Corrado Ricci and, at the same time, to amend its current fragmented condition, giving to this place a more unitary architectural character. Currently, in fact, at the foot of the Church of San Lorenzo in Miranda (and therefore of the Temple of Antoninus and Faustina) there is a small building used as a ticket office which, given its quality of provisional architecture, cannot give order and significance to the place. Behind the ticket office, a wall of irregular height separates the “inside” from the “outside” and constitutes, at the present time, the entrance to the park. Leaning along the inner side of the wall, the toilets and a small bookshop are located in

Fig. 11 - Stato di fatto. Current situation of site.

Il nuovo centro visitatori e l’ingresso al Foro Romano e Palatino La piazza generatasi dall’intersezione di Via Cavour e Via dei Fori Imperiali, ora Largo Corrado Ricci, con graduale pendenza scende verso l’ingresso ai fori nei pressi di Via Salara Vecchia. Qui, una lieve scalinata urbana compensa la differenza di quote per connettersi alla Basilica dei Santi Cosma e Damiano, mentre la pavimentazione ritmica riprende il disegno delle antiche vasche del Templum Pacis. Per noi l’edificio, che diviene accesso principale al Parco Archeologico del Colosseo, deve rispondere a tre prioritarie necessità: risignificare il terminale prospettico di via Cavour; operare sul margine di scavo definendo il recinto archeologico; in ultimo – coerentemente alla direzione data dalla Basilica Emilia e dalla Via Sacra su cui si attesta l’attuale pianta dell’invaso – delineare un nuovo basamento per San Lorenzo in Miranda, ovviando definitivamente al | O. Carpenzano_G.R. Cellini_A. Fiorelli_F. Lambertucci_M. Raitano | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Nota Gli esiti della ricerca sono attualmente in corso di pubblicazione in due volumi editi da Quodlibet, collana Diap Print Progetti, a cura di O. Carpenzano e F. Lambertucci, dai titoli “Il Colosseo. La piazza, il museo e la città. Il progetto” e “Il Colosseo. La piazza, il museo e la città. Argomenti”. La ricerca ha prodotto un progetto, accompagnato da una serie di riflessioni critiche che, seppur pubblicate nel vol.2, hanno costituito le premesse teoriche del progetto. Il gruppo di progettazione era così composto: O. Carpenzano (coord.), F. Lambertucci, P. Posocco, M. Raitano, con L. Porqueddu, P. Marcoaldi, F. Balducci, A. Fiorelli, S. Leoni, E. Marchese, I. Romano; hanno inoltre

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independent and disconnected volumes. The whole therefore appears heterogeneous, nor is it recognizable, at the moment, that representative quality that a place that welcomes the passage of visitors from contemporary Rome to ancient Rome should have. The design operation is therefore in line with the objectives that the “Colosseum Archaeological Park” has set itself after being recently reformed. The Archaeological Park of the Colosseum, in fact, established in 2017, is the result of a reform of the MiBACT launched in 2014, which provided for the reorganization, in a unitary institutional framework, of the area of the Roman Forum, the Palatine, the Flavian Amphitheater, the Domus Aurea, the Arch of Constantine and the Meta Sudans, in the Colosseum valley. The Park authority therefore derives from a broader reorganization of the Special Superintendency for the Colosseum and the Central Archaeological Area which split into the Special Superintendency of Archeology, Fine Arts and Landscape of Rome and the Archaeological Park of the Colosseum, capable of interfacing indipendently with the Municipality of Rome (Ref. DM2017). According to art. 101 of the Code of Cultural Heritage and Landscape, as an “Archaeological Park” the new autonomous Authority administers “a territorial area characterized by important archaeological evidence and the coexistence of historical, landscape or environmental values, equipped as an open-air museum” (Ref. DL2004). Specifically, the Colosseum Archaeological Park holds some of the most important testimonies of the history of Western civilization, from the end of the Bronze Age to the contemporary age. Its management must therefore be compared and integrated with the contemporary city of Rome, to improve the use of the area, both in terms of number of visitors then in terms of quality of services. For this reason, the new autonomous institution felt the need to redefine the logistics of the entire museum area – and therefore of the park area – by introducing important efficiency and management criteria for regulating flows of tourists. In this context, on the one hand, a single ticket for visitors was provided; on the other hand, it was decided to intervene in a more structural way, introducing new architectural devices playing the role of “new urban doors”, filter and service elements between contemporary spaces and archaeological spaces.

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ribaltamento di fronte avvenuto con la realizzazione di Via dell’Impero. Il margine informe dello stato attuale, i cui dispositivi funzionali costituiscono lacerti privi di significato che si aggiungono figurativamente, quasi senza soluzione di continuità, alla pluralità dei frammenti dell’archeologia, viene ricomposto per confrontarsi dialetticamente e valorizzare entrambe le istanze dell’antico e del contemporaneo, in una sintesi tale per cui il nuovo intervento architettonico misura le antiche preesistenze, e diviene per esse una significativa interfaccia con lo spazio urbano. Nel sistema complesso dei margini dell’intera Via dei Fori Imperiali, la parte che coincide con il nuovo centro visitatori trasforma il limite in una vera e propria soglia urbana, capace di determinare differenti esperienze percettive nel procedere dal dentro al fuori e viceversa. La scelta, pertanto, è stata quella di progettare un “edificio-sostruzione”, disegnato intrecciando le linee generatrici dell’impianto dell’antico Tempio di Antonino e Faustina e del Tempio della Pace, la cui direttrice è ben visibile grazie alla ricostruzione delle colonne in anastilosi. L’architettura che ne scaturisce definisce una nuova “porta urbana” tra la città contemporanea e la città antica. Essa è un manufatto murario, un piano/diaframma che ordina, in una confluenza di episodi, le sagome dei contesti, ripiegandosi in uno spazio intimo e sospeso. Nello specifico, il progetto si compone di tre elementi. Essi sono, dall’esterno all’interno, il “muro stratificato”, vera e propria interfaccia tra il parco e la città; il “corpo-basamento”, che ospita le principali funzioni; il “giardino segreto” dal quale si accede infine alla rampa che conduce alla quota archeologica. Le tre architetture, o temi narrativi, slittano l’una sull’altra come elementi autonomi ma strutturanti di una stessa composizione. Su di esse l’azione del passaggio attua una graduale perdita di materia. Il dispositivo murario, quinta urbana bifronte, è l’elemento primario: è un “muro-portale” che si fa edificio assecondando la tradizione romana ed esponendo la materica stratificazione del palinsesto urbano. Due tagli sulla superficie compatta inquadrano uno l’accesso alle biglietterie, l’altro una finestra-mirador sulla Via Sacra. La sua superficie opaca, caratterizzata da un trattamento in conglomerato cementizio a differenti granulometrie, offre un fondale su cui si proietta l’ombra delle colonne erette del Tempio della Pace; è un muro-recinto da cui si erge il volume della Chiesa di San Lorenzo in Miranda che, sul lato di Via dei Fori Imperiali, trova così un altro modo di arrivare al suolo. Il “corpo-basamento” è il blocco stesso che alloggia i servizi. Il manufatto si cela dietro il “muro stratificato” come un parallelepipedo dalle ampie superfici vetrate. All’interno ospita l’area di bigliettazione e controllo, una zona di ristorazione, servizi e un bookshop bookshop. Infine, il “giardino segreto”, racchiuso tra le fondazioni di San Lorenzo in Miranda e il nuovo manufatto, crea un ambito più intimo e privato, disegnato da un’ un’enfilade di stanze a cielo aperto. All’interno di questo spazio una sequenza di recinti, segnati dal ritmo del pergolato, incornicia le preesistenze vegetali e termina in una vasca d’acqua “a sfioro” nella quale si specchia una statua di Venere, già presente nell’area. Ne consegue un’architettura scarna e concisa, capace di mediare lo iato tra la Via dei Fori Imperiali, di cui ribatte la giacitura, e le preesistenze monumentali posizionate alle sue spalle, arretrate lungo quello che era il margine meridionale del Templum Pacis. Attraverso il ricorso all’archetipo del “muro abitato”, il nuovo centro visitatori svela le differenti geometrie e le diverse gerarchie che hanno ordinato questo luogo, nel lungo processo costitutivo che l’ha portato dall’età imperiale ai giorni nostri.

The new Visitor Center and the entrance to the Roman Forum and Palatine Hill The square generated by the intersection between Via Cavour and Via dei Fori Imperiali, now Largo Corrado Ricci, gradually slopes towards the entrance to the forums, near Largo della Salara Vecchia. Here a slight urban stair compensates the difference in height connecting the Basilica of Santi Cosma e Damiano, while the design of the pavement traces the position of the underlying ruins of Templum Pacis. For us, the building, which becomes the main access to the Archaeological Park of the Colosseum, must respond to three priority: to redefine the perspective from Via Cavour; to operate on the excavation edge by defining the archaeological enclosure; lastly – according with the direction given by Basilica Aemilia and Via Sacra – to provide a new base for San Lorenzo in Miranda, definitively solving the reversal of the front, occurred with the construction of Via dell’Impero. The shapeless actual margins, whose functional volumes constitute meaningless fragments

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Fig. 13 - Il Giardino Segreto. The Secret Garden.

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Fig. 14 - La nuova porta archeologica. The new archaeological gate.

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contribuito numerosi esperti esterni al DiAP: E. Cristallini, M. Gras, F. Faccioli, S. Martone, C. Panella, C. Pavolini, R. Rea, A. Russo, F. Scoppola et al. Il progetto del nuovo ingresso al Foro Romano è stato commissionato dall’Ente “Parco Archeologico del Colosseo”: A. Russo (direttrice Ente Parco), con N. Saraceno (Responsabile Unico del Procedimento), A. D’Alessio, G. Giovannetti (archeologi). Progetto del centro visitatori: O. Carpenzano (direttore Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma), F. Lambertucci, M. Raitano, G. R. Cellini, A. Fiorelli, con S. Leoni, P. Marcoaldi e A. Parisella; strutture: V. Gattulli (Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Sapienza Università di Roma). Progetto della piazza antistante: N. Cau e C. Montefoschi (Studio “Spin”, Roma).

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added, almost without solution of continuity, to the plurality of archeological fragments, are recomposed to confront each other dialectically, enhancing both the instances of the ancient and the contemporary. The new architectural intervention measures the ancient pre-existing structures, and becomes for them a significant interface with the urban space. In the complex system of the margins of the entire Via dei Fori Imperiali, the part that coincides with the new visitor center transforms the limit into a real temporal threshold, capable of determining different spatial and perceptual experiences in proceeding from inside to outside and vice versa. The choice, therefore, was to design a sort “pedestal building”, designed by intertwining the generating lines of the ancient Temple of Antoninus and Faustina and the Temple of Peace, whose direction is clearly visible thanks to the anastylosis of the columns. The resulting architecture defines a new “urban gateway” between the contemporary city and the ancient city. It is a masonry artifact, a materic surface that orders, in a confluence of episodes, the shapes of the contexts, creating an intimate and suspended space. Specifically, the project consists of three main elements. They are, from the outside to the inside, the “layered wall”, a real interface between the park and the city; the “main body”, which houses services for visitors; the “secret garden” from which you finally access the ramp that leads to the archaeological level. These three architectures – that correspond to three narrative themes – slide over each other as autonomous elements but structuring parts of the same composition. The action of passing by implements a gradual loss of matter. The wall is the primary element of the composition: it is a “gateway wall” that becomes a building, following the Roman tradition and exposing the materic layering of the time. Two cuts on the compact surface frame one the access to the ticket offices, the other a window that looks towards Via Sacra. Its opaque surface, characterized by a conglomerate treatment with different grain sizes, offers a backdrop on which the shadow of the erected columns of the Temple of Peace is projected; it is a wall-enclosure from which the volume of the Church of San Lorenzo in Miranda rises; thus this monument, on the side of Via dei Fori Imperiali, finally finds another way to touch the ground. ser The “main body” is the block that houses the services. The artifact is hidden behind the “layered wall”; it is a volume with large glass surfaces. Inside it houses the ticketing and control area, a catering area, toilets and bookshop. Finally, the “secret garden”, enclosed between the foundations of San Lorenzo in Miranda and the new building, creates a more intimate and private atmosphere, designed by an enfilade of open patios. Within this space, a sequence of enclosures, marked by the rhythm of the pergola, frames the pre-existing vegetation and ends in a small water surface in which a statue of Venus is reflected. The result is a simple and concise architecture, capable of mediating the hiatus between Via dei Fori Imperiali, whose position it follows, and the monumental pre-existing structures positioned behind it, set back along the southern edge of the Templum Pacis. Through the use of the archetype of the “inhabited wall”, the new visitor center reveals the different geometries and the different hierarchies that have ordered this place, in the long constitutive process that brought it from the imperial age to the present day.

Riferimenti bibliografici_References Sull’area archeologica centrale di Roma: Aymonino C. (1990) Progettare Roma Capitale, Laterza, Roma. Basso Peressut L., Caliari P.F. (2017) Piranesi Prix De Rome. Progetti per la nuova via dei Fori Imperiali, Aiòn, Firenze. Benevolo L. (1985) Roma. Studio per la sistemazione dell’area archeologica centrale, De Luca Editore, Roma. Brandi C. (1983) “Gli scavi nei Fori: non sono d’accordo”, in Corriere della Sera, 18 marzo (https:// rometheimperialfora19952010.files.wordpress.com/2014/11/brandi-1983-1.pdf), accesso 10 settembre 2020. Cederna A. (1981) “Dal piccone del regime la Roma imperiale”, in Storia illustrata, n. 287, Milano, pp. 68-82. MIBACT (2019) Riqualificazione di Largo della Salara Vecchia e realizzazione di un centro servizi presso l’ingresso al Foro Romano. Studio di fattibilità delle alternative progettuali, Relazione tecnica e di inquadramento urbano, RUP Arch. Nicola Saraceno, Roma. Palombi D. (2016) I Fori prima dei Fori. Storia urbana dei quartieri di Roma antica cancellati per la realizzazione dei Fori imperiali, Espera, Roma. Panella R. (1989) Roma città e Foro. Questioni di progettazione del centro archeologico e monumentale della città, Officina, Roma. Panella R. (2013) Roma la città dei Fori. Progetto di sistemazione dell’area archeologica tra piazza | O. Carpenzano_G.R. Cellini_A. Fiorelli_F. Lambertucci_M. Raitano | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 15 - Prospetti. Rilievo stato di fatto (sopra) e progetto del muro attrezzato (sotto). Elevations. State of the art (above) and project of the equipped wall (below).

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Venezia e il Colosseo, Prospettive, Roma. Rea R. (2002) Rota Colisei. La valle del Colosseo attraverso i secoli secoli, Electa, Milano. Rossi P.O. (2019) “Via dell’Impero e l’asse Nord-Sud di Roma”, Lectio Magistralis, Sapienza Università di Roma, Facoltà di Architettura, sede di Valle Giulia, 14 novembre.

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Sul dibattito relativo al progetto contemporaneo nell’antico: Andriani C. (2010) Il patrimonio e l’abitare l’abitare, Donzelli, Roma. progetto, Cocco G.B., Giannattasio C. (2017) Misurare innestare comporre. Architetture storiche e progetto Pisa University Press, Pisa. Manacorda D. (2010) “Archeologia tra ricerca, tutela e valorizzazione”, in Il capitale culturale. Studies on the value of cultural heritage, n.1, pp.131-141. Manacorda D. (2014) L’Italia agli italiani. Istruzioni e ostruzioni per il patrimonio culturale, Edipuglia, Bari. Manacorda D. (2018) “Il patrimonio culturale tra politica e società”, in DigitCult. Scientific Journal on Digital Cultures, vol.3. Polesello G., Panzarin F. (1987) “Mercato a Bibione”, in Ajroldi G. (a cura di) (1987) Dieci progetti come occasione di studio: architetture di Carlo Aymonino, Guido Canella, Paul Chemetov, Costantino Dardi, Vittorio De Feo, Vittorio Gregotti, Gianugo Polesello, Alberto Samonà, Luciano Semerani, Alvaro Siza Vieira, Officina, Roma, p. 41. Raitano M. (2020) La città storica un tempo era nuova. Cinque considerazioni, Lettera Ventidue, Siracusa. Ricci A. (2006) Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Donzelli editore, Roma. Rif. D.L. (2004) Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. Rif. D.M. (2017) Decreto Ministeriale 12 gennaio 2017, “Adeguamento delle Soprintendenze Speciali agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura, ai sensi dell’articolo 1 comma 432, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e dell’articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”. Settis S. (2017) Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili, Einaudi, Torino, 2017. Venezia F. (2011) Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento, Electa, Milano. Volpe G. (2015) Patrimonio al futuro: un manifesto per i beni culturali e il paesaggio, Electa, Milano, 2015.

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O. Carpenzano_G.R. Cellini_A. Fiorelli_F. Lambertucci_M. Raitano | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

Note the results of the research are currently being published in two volumes by Quodlibet, Diap Print Progetti series, edited by O. Carpenzano and F. Lambertucci, with the titles “Il Colosseo. The square, the museum and the city. The project” and “The Colosseum. The square, the museum and the city. Topics”. The research produced a project, accompanied by a series of critical reflections which, although published in vol. 2, formed the theoretical premises of the project. The design group was made up as follows: O. Carpenzano (coordinator), F. Lambertucci, P. Posocco, M. Raitano, with L. Porqueddu, P. Marcoaldi, F. Balducci, A. Fiorelli, S. Leoni, E. Marchese, I. Romano; Furthermore, numerous external experts contributed to the research: E. Cristallini, M. Gras, F. Faccioli, S. Martone, C. Panella, C. Pavolini, R. Rea, A. Russo, F. Scoppola et al. Il progetto del nuovo ingresso al Foro Romano was commissioned by the “Colosseum Archaeological Park”: A. Russo (head of the Park Authority), with N. Saraceno (RUP), A. D’Alessio, G. Giovannetti (archaeologists). Visitor center project: O. Carpenzano (director of the Department of Architecture and Design, Sapienza University of Rome), F. Lambertucci, M. Raitano, G.R. Cellini, A. Fiorelli, with S. Leoni, P. Marcoaldi and A. Parisella; structures: V. Gattulli (Department of Structural and Geotechnical Engineering, Sapienza University of Rome). Square project: N. Cau and C. Montefoschi, Studio “Spin”, Rome.

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urbanform and design

Note sul progetto per la stazione metropolitana “C” Ipponio-Amba Aradam a Roma

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Piazza, Museo, Stazione

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DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.006

Michele Beccu

Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Roma 3 E-mail: michele.beccu@uniroma3.it

Luoghi della connessione. Alcune questioni di metodo

Square, Museum, Station. Project notes for the “C” line subway station Ipponio-Amba Aradam in Rome

Connection places. Methodological suggestions The idea of public space has lost its centrality in urban planning and in the development of contemporary urban design: perhaps the term “crisis” is not appropriate, but there is certainly a weakening of theory and design practice around its specific themes. Collective spaces are not thought as “self-sufficient” spaces, they rather depend on programmes conceived for something else, such as urban infrastructure and transport works, suburban redevelopment plans and urban regeneration. There are no specific reflections, projects or resources dedicated to col-

L’idea di spazio pubblico ha perso la sua centralità nella programmazione urbanistica e nello sviluppo del progetto urbano contemporaneo: forse il termine “crisi” non è adeguato, ma certamente si riscontra un affievolimento della riflessione teorica e della pratica progettuale attorno alle sue specifiche tematiche. Gli spazi collettivi propriamente detti non sono pensati autonomamente, come spazi “in sé”, ma dipendono da programmi concepiti per altro, come sono le opere di infrastrutturazione urbana e dei trasporti, i piani di riqualificazione delle periferie e di rigenerazione urbana. Ai luoghi collettivi non sono dedicate apposite riflessioni, progetti, risorse: come se immaginare la città pubblica non fosse più un problema delle nostre amministrazioni, dei progettisti, della cultura contemporanea. Questi spazi sono trattati come frammenti “residuali” della programmazione urbanistica più generale; relegati in un ruolo marginale, non sono capaci di rappresentare compiutamente lo spazio collettivo, né di accogliere degnamente la scena urbana. Nella città contemporanea, tuttavia, appare una fenomenologia del tutto peculiare di luoghi della connessione, una articolata varietà di spazi dalla morfologia quasi mai coerente e intellegibile. Questi spazi, ineluttabilmente condizionati dalle funzioni del collegare e del connettere, appaiono per loro natura allungati, senza centro, inadatti a prefigurare uno spazio per la sosta e la vita di relazione, e tantomeno capaci di costruire quegli spazi fisici dove la vita collettiva possa riconoscersi. Questi cambiamenti sono destinati ad incidere profondamente sul carattere della forma urbana. Una crescente importanza stanno assumendo le infrastrutture dedicate alla connessione e alla mobilità. Queste si arricchiscono di nuove valenze urbane, nuove “servitù”, ad esse si chiede di svolgere nuovi ruoli nelle città in trasformazione. Queste attrezzature, nate per connettere e rilegare diverse parti della città, sono diventate inevitabilmente luoghi dell’attesa, dello svago, del commercio e del relax. Nello specifico, le stazioni metropolitane e ferroviarie hanno da tempo smesso di assolvere semplicemente la funzione trasportista, per caratterizzarsi sempre più come “luoghi del transito”, in senso più vasto. Dove per transito si intende l’attesa, la sosta, la fruizione dei servizi commerciali, lo scambio tra diversi modi del trasporto pubblico e privato. Il concentrarsi di più funzioni, in queste nuove specie di luoghi, avviene sempre più nel segno della stratificazione e dell’integrazione. Questo fa sì che tali organismi architettonici siano altamente specializzati; in essi, spazio pubblico, offerta commerciale, aspetti espositivi e complessità impiantistica convivono in un unico manufatto. Nell’esperienza progettuale e realizzativa delle stazioni della diramazione della Metropolitana B1 (Costi, Conforti, 2015) a Roma, sono state fornite alcune risposte “possibili” all’insieme di problemi rappresentati dalla necessità di allocare una serie di attività, servizi e connessioni al di sotto della quota stradale. Oltre le forme e i linguaggi adottati, queste risposte si caratterizzano per alcuni aspetti metodologici unificanti: una sorta di decalogo progettuale da meditare in ordine alla realizzazione di nuove stazioni. Il primo aspetto è rappresentato dalla volontà di opporsi alla realizzazione di ipertrofiche vo-

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| Michele Beccu | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Abstract The meaning of public space in the contemporary city has profoundly changed. This is no longer a value “in itself”, but it is subordinate to other programs. This fact changes the character of the public space and its morphology. It is therefore necessary to reflect on the new forms that public space assumes, and to search for a new and adequate repertoire for these forms. For example, in cities, the forms of contemporary mobility become an opportunity for spaces and places for socializing. Crossing, descending, connecting and stopping are actions that need adequate space. The case of the Amba Aradam-Ipponio Metro C station makes use of some previous experiences in terms of new spatiality. This project is an example of a possible integration and mutual enrichment between mobility, permanence and use of the material signs of history. In this project, in its variants, it seems that the architectural project and the archaeological excavation follow and modify each other, according to an adaptive process. Is there a “new nature” for the architectural project? Certainly the project goes beyond the forms and aporias of contemporary complexity, it “chases” the excavation, becomes a ductile and adaptive tool to accommodate the incessant spatial and content variations of the context. In this project, therefore, urban space, square, archaeological museum, and mobility equipment intertwine, and re-tie the threads of a dialogue with a marginal and little-known context.

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Keywords: Architectural design, infrastructure, museum, public space, archeology

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Fig. 1 - Primi studi progettuali. Disegno dell’autore, 2016. First project studies. Drawing by the author, 2016.

Fig. 2 - Vista dell’interno della scatola cementizia della stazione. In primo piano, il corridoio di distribuzione delle celle. Inside view of the station’s cement box. In the foreground, the cell distribution corridor.

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lumetrie fuori terra, spesso caratterizzate da tecnologie del ferro e del vetro, non sempre adeguate alla sensibile fragilità dei contesti. Si parte, cioè, da una drastica riduzione delle volumetrie di fuoriuscita delle nuove stazioni. Il secondo aspetto, consiste nella volontà di accorciare la distanza tra la città e l’infrastruttura, raccordando i flussi pedonali con le strutture di discesa attraverso la realizzazione di piccole piazze ribassate, che diventano dei nuovi luoghi urbani, punti di raccolta e di riordino dei percorsi provenienti dall’intorno urbano. Un terzo principio è quello volto ad attutire il senso di estraneità e di oppressione generato dal percorrere lunghe e anguste discenderie per raggiungere le banchine sottostanti, accorciando tali percorsi, e, ove possibile, rischiarandoli con la luce naturale. Ricavare piccole piazze urbane, caratterizzate dalla presenza di giardini in copertura e ridurre l’impatto delle attrezzature in superficie, diventano, dunque, un obiettivo di lavoro ormai largamente condiviso nella progettazione di tali nuove infrastrutture. Il tema dello scavo caratterizza i tre progetti delle stazioni di Libia, Annibaliano e Conca d’Oro (Montuori, 2014). La necessità di sottopassare il fiume Aniene, ha suggerito nella stazione “Libia” l’idea di scavare una grande scatola interrata, a 40 metri di profondità, dove era vitale poter convogliare verso il basso la luce naturale. Dispositivi luminosi e vetrate indirizzano la luce in profondità, amplificandone l’effetto di rischiaramento attraverso il potere riflettente dei materiali, kerlite bianca e rete metallica. In superficie, niente è visibile se non un’incastellatura di vetro e acciaio che cattura la luce dall’alto e la proietta verso la grande cavità ribassata. In piazza Annibaliano, in presenza di complessi monumentali come il mausoleo di Santa Costanza, la chiesa di Sant’Agnese, la Basilica costantiniana, il tema primario non era solo quello di progettare una stazione, ma quello di convogliare in modo efficace i flussi ad una quota più bassa. Un sistema di scale e rampe raggiunge gradualmente una piazza scavata di forma ovoidale, interpreta la topografia del luogo. La forma di questa piazza è apparentabile alle antiche cavità che introducevano alle catacombe della zona est di Roma, come le “piazzuole” di accesso al complesso di San Sebastiano e alle sue cavità sepolcrali. Da qui si dipartono le discenderie di stazione. Anche il grande muro che delimita la piazza – trattato con un sistema di blocchi cementizi gettati in opera – con le sue concavità rimanda in modo analogico alle curvature e alle convessità proprie del paesaggio urbano del quartiere Trieste. Lo stesso procedimento di scavo è presente nella stazione “Conca d’Oro”, la cui forma è più allungata e direzionata, con “oculi” centrali di luce che richiamano le architetture antiche: in particolare, santuari e templi dell’area flegrea.

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Scavi e ritrovamenti nel contesto urbano di Viale Ipponio In contesti particolarmente complessi e stratificati, come è la città di Roma, la realizzazione di nuove linee metropolitane si presenta irta di difficoltà, di cui la principale è l’intrecciarsi dei lavori di scavo con gli strati archeologici sottostanti. Ma questa azione riserva anche straordinarie opportunità, che si trasformano in occasioni di architettura. Nelle opere di scavo, innumerevoli sono le interferenze con le fondazioni degli edifici esistenti, con le reti di urbanizzazione primaria, largamente inconosciute, con le caratteristiche della costituzione geologica e con la presenza di corsi d’acqua da sottopassare. Inoltre, naturalmente, occorre fare i conti con un sostrato archeologico fertilissimo, con la presenza di strutture antiche e reperti di straordinaria importanza. Nel corso dei lavori di realizzazione della stazione “Ipponio-Amba Aradam” della linea Metro C, in capo all’omonimo Consorzio (Astaldi, Vianini Lavori, Hitachi, Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi, Consorzio Cooperativa Costruzioni) su Viale Ipponio, durante la campagna di scavi effettuati di concerto con la Direzione Operativa Scientifica degli scavi della Soprintendenza Archeologica di Roma, viene rinvenuta nell’autunno-inverno 2015-16 una importante struttura edilizia (Gigliotti, 2019), formata da celle murarie organizzate su un percorso di distribuzione. Che si tratti di una struttura di una certa importanza, è confermato dall’attribuzione della Soprintendenza Archeologica, che

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lective places: as if imagining the public city was no longer a problem for our administrations, designers and contemporary culture. These spaces are treated as “residual” fragments of the more general urban planning; relegated to a marginal role, they are not able to fully represent the collective space, nor to properly welcome the urban scene. However, the connection places of the contemporary city have a very particular phenomenology as they are an articulated variety of spaces with an almost never coherent and intelligible morphology. By their nature, inevitably affected by their connecting functions, these spaces look like wide spaces without a centre, being unsuitable for rest and social life, and unable to become physical spaces where community can recognise itself. These changes are meant to deeply influence the character of the urban form. Infrastructures dedicated to connection and mobility are increasing in importance. Enriched with new urban values, new “easements”, they are asked to play new roles in the changing cities. These facilities, created to connect and bind different parts of the city, have inevitably become waiting, leisure, retail and relax places. In particular, metro and railway stations have ceased to just perform a mere mobility function and have rather extended their “transit role”. A transit place is here intended as a place for waiting, taking a break, shopping, changing public and private transport. The concentration

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Excavations and findings in the urban context of Viale Ipponio The city of Rome is a very complex and stratified context, therefore the construction of new

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propende da subito verso l’ipotesi che ci si trovi in presenza di una caserma romana, un castrum militare risalente al II sec. d.C.: con molta probabilità un acquartieramento delle milizie di Adriano. Il complesso, in ottimo stato di conservazione, è affiorato a 9 m di profondità, ed è parte di un più vasto sistema di attrezzature militari, con tratti di forte originalità. Ai lati di un lungo corridoio centrale si aprono 39 ambienti quadrangolari, abbastanza regolari. Alcuni di questi conservano i pavimenti in mosaico a disegno geometrico con tesserine bianche e nere; alle pareti, sono presenti intonaci affrescati. Il rinvenimento di vasellame di ottima fattura e di elementi di arredo fanno pensare a una struttura di eccellenza nel rango militare. Si ipotizza che la caserma potesse essere destinata a una sorta di “guardia scelta” dell’Imperatore Adriano. In effetti, nella tratta di linea metropolitana “C”, tra Via La Spezia e Largo Amba Aradam, caratterizzata da profondi strati di riporto interessati da antiche preesistenze, la competente Soprintendenza aveva disposto che tutte le opere di scavo fossero eseguite a cielo aperto, in modo da non danneggiare eventuali tracce dell’antico, e aveva prescritto – per cautela – l’abbassamento delle gallerie di linea al disotto dello strato fertile, all’incirca a 30 m di profondità. Il rinvenimento di tale struttura conferma, quindi, la presenza di numerose strutture antiche in quel sito, in particolare, ville patrizie, giardini, orti che digradavano verso il Tevere. La scoperta conferma anche che tutta l’area delle pendici meridionali del Celio era interessata dalla presenza di numerose attrezzature militari: castra e caserme di equitum singularium furono scoperte a S. Giovanni in Laterano, S. Stefano Rotondo, Via Tasso e Villa Celimontana. La presenza di ritrovamenti così importanti fa sì che la Soprintendenza competente disponga una ridefinizione del progetto architettonico della stazione Amba Aradam, già in uno stadio avanzato della sua costruzione. Per la prima volta, nelle dichiarazioni dell’allora Soprintendente Francesco Prosperetti si auspica la realizzazione di un organismo architettonico-funzionale in cui le attrezzature di stazione convivano con le strutture antiche, recuperate e ricollocate esattamente nella stessa posizione in cui sono state rinvenute. Si creano così le premesse per la realizzazione di una vera e propria “stazione archeologica”. Un accordo molto complesso tra la Soprintendenza Archeologica, il Consorzio dei costruttori e la Stazione appaltante prevede la rimozione delle murature, la loro conservazione, il restauro scientifico e una idonea musealizzazione all’interno di una struttura integrata alla stazione della metropolitana. Da subito, il progetto di questa stazione attribuisce un alto valore al confronto con il contesto fisico adiacente e con le preesistenze ambientali e monumentali. Grazie al ribassamento dell’accesso in stazione, sarà possibile non solo rimettere in luce l’antica caserma, ma anche ripristinare un rapporto con lo spalto verde che costeggia – in quel tratto – le Mura aureliane, e riscoprire il piede di un tratto di mura da sempre interrato. La realizzazione di una stazione di tale complessità comporta l’ascolto attento del contesto ambientale, delle memorie, dei reperti esistenti e la loro traduzione in una forma che “metta ordine” tra i vari aspetti, accordando le esigenze della mobilità con la funzione museale, e ritrovando un “pezzo di città pubblica” alla dimensione del quartiere. La parte museale sarà visibile dall’atrio di stazione, che manterrà la sua autonomia: una piccola stazione della metropolitana consegnerà così alla città un nuovo spazio pubblico, restituendo centralità a un contesto urbano appartato e silenzioso.

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of many functions, in these new kind of places, occurs more and more in the name of stratification and integration, making these architectural compositions highly specialised: public space, commercial offer, exhibition aspects and plant engineering complexity coexist in a single building. In the design and construction experience of the B1 subway stations of Rome (Costi, Conforti, 2015), some “possible” answers have been given to the issues concerning the need to include some activities, services and connections under the road level. Beyond the adopted forms and languages, these answers share the same methodology, as a sort of design guide for the construction of new stations. The first methodological aspect is the will not to create hypertrophic above-ground volumes, often made of iron and glass technologies which are unsuitable in fragile contexts, starting from a drastic reduction in the volumes of the new stations. The second aspect is that of shortening the distance between city and infrastructure, connecting pedestrian flows with drop-offs through small lowered squares, which become new urban places, points of collection and reorganization of the routes coming from the urban surroundings. A third principle is to reduce the sense of alienation and oppression generated by long, narrow drop-offs to reach the underground platforms, shortening these paths and, where possible, illuminating them with natural light. The creation of small urban squares with roof gardens and the reduction of the impact of the surface facilities become a widely shared work objective in the design of such new infrastructures. The excavation subject characterizes the three projects of the stations Libia, Annibaliano and Conca d’Oro (Montuori, 2014). The need to underpass the Aniene river suggested the idea of excavating a large underground box at 40 metres depth by Libia station with the aim to channel natural light downwards. Luminous and glazed devices direct the light in depth, while materials such as white kerlite and wire mesh amplify the lightening effect. Nothing is visible on surface, except for a glass and steel frame that captures the light from above and projects it towards the large lowered cavity. In Piazza Annibaliano, before some monumental complexes such as the mausoleum of Santa Costanza, the church of Sant’Agnese, the Constantinian Basilica, the main theme was not only to design a station, but to convey the flows to a lower level. A system of stairs and ramps gradually reaches a dug-out ovoid square, interpreting the topography of the place. The shape of this square remembers the ancient cavities leading to the east Roman catacombs, such as the “piazzuole” (small laybys) once giving access to the San Sebastiano complex and its burial cavities. The drop-offs to the station depart from here. Even the large wall delimiting the square – treated with a system of cast on site concrete blocks – with its concavity analogically recalls the curves and convexity of the Trieste district urban landscape. The same excavation system has been adopted in the “Conca d’Oro” station, whose shape is more extended and directional with central light “oculi” recalling ancient architectures, such as sanctuaries and temples of the Phlegrean area.

Il Primo progetto di Variante. La Stazione-Museo, connessione e narrazione Il progetto che corrisponde a questa fase dei ritrovamenti è quello denominato “Variante 1”. La sua redazione è affidata allo studio ABDR Architetti Associati, sulla base di un confronto concorrenziale riservato indetto dal “Consorzio Metro C”. Dinanzi alla novità rappresentata dal ritrovamento, si pone subito come obbiettivo l’integrazione tra il manufatto di stazione e quello che sarà poi denominato il “Museo dei Castra Hadriani”. Per la Soprintendenza era infatti decisivo individuare una “soluzione tecnica funzionale alla conservazione in loco del complesso archeologico”, che deve essere tutelato e integrato | Michele Beccu | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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underground lines is a matter with many difficulties, the main one being the several excavation works and the archaeological layers below. However, this matter also reserves extraordinary opportunities turning into architectural solutions. During the excavation works, there always are interferences with the foundations of existing buildings, the mostly unknown primary urbanisation networks, the geological constitution and the presence of watercourses to underpass. So we have to deal with a very rich archaeological substratum with the presence of extraordinary important ancient structures and findings. During the construction of the “Ipponio-Amba Aradam” station on line C, under the responsibility of the Metro C Consortium (Astaldi, Vianini Lavori, Hitachi, Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi, Consorzio Cooperativa Costruzioni) on Viale Ipponio, during the excavation campaign carried out together with the Superintendence of Rome, the Scientific Operations Management for the Archaeological excavations, an important building of wall cells organised on a distribution route, was found in autumn-winter 2015-16 (Gigliotti, 2019). The Superintendence has immediately confirmed the importance of the found building supposing it should be a Roman military castrum dating back to the 2nd century A.D.: it was probably a military camp of Hadrian’s militia. The complex, in an excellent condition, emerged at a depth of 9 m and is part of a larger system of authentic military equipment. At the sides of a long central corridor there are 39 quite regular quadrangular rooms. Some of these rooms preserved the mosaic floors with geometric design and black and white tiles; on the walls, there are frescoed plasters. The discovery of excellent pottery and furnishing elements suggest an excellence structure of the military rank, a sort of “elite guard” of Emperor Hadrian. On the “C” subway line between Via La Spezia and Largo Amba Aradam, characterised by deep excavation layers due to ancient pre-existences, the Superintendence had actually provided for open-air excavation works, not to damage any ancient traces, and also prescribed – as a precautionary measure – the lowering of the line tunnels below the fertile layer, at around 30 m depth. The discovery of this structure therefore confirms the presence of several ancient structures on that site, in particular patrician villas, gardens, vegetable gardens sloping down towards the Tiber. The discovery also confirms that the whole area of the Celio southern drop-offs was affected by the presence of many military buildings: castra and barracks of equitum singularium were discovered at S. Giovanni in Laterano, S. Stefano Rotondo, Via Tasso and Villa Celimontana. The presence of such important discoveries brought the Superintendence to ask for an architectural redesign of the Amba Aradam station, that already was at an advanced stage of construction. For the first time, Francesco Prosperetti, the Superintendent at that time, declared the need to build an architectural-functional structure where the station and the ancient findings should live together, where the findings would be recovered and relocated in the same position in which they were found. These were the first steps for the construction of a real “archaeological station”. A very complex agreement between the Archaeological Superintendence, the Builders’ Consortium and the client provides for the removal of the masonry, its conservation, scientific restoration and appropriate musealization within a structure integrated with

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all’interno delle strutture della nuova Stazione, rendendone così agevole la fruizione. Il progetto redatto dal Consorzio, al contrario, inseriva i ritrovamenti archeologici direttamente nello spazio della stazione, replicando una condizione già sperimentata nella pregevole realizzazione della stazione San Giovanni. Qui è stata realizzata una suggestiva stratificazione di allestimenti e reperti, leggibile attraverso una immersione nella profondità dello spazio della stazione (Lambertucci, Farris, Grimaldi, 2017). La nuova soluzione – auspicata con forza da tutti i soggetti istituzionali – prevede, invece, la separazione spaziale, funzionale e gestionale tra lo spazio dedicato alla musealizzazione dei reperti e la stazione metropolitana. Soluzione particolarmente ardua, perché condizionata dalla rigidezza del manufatto cementizio già esistente. Da tempo, infatti, la realizzazione delle stazioni metropolitane comincia, attraverso un atto fondativo semplice ed essenziale, la costruzione di una scatola in c.a. interrata che sarà poi intersecata dalle gallerie di corsa dei treni, scavate autonomamente dalle grandi frese meccaniche TBM (Tunel Boring Machine). Questa scatola cementizia coincide con l’area operativa di cantiere. Al suo interno, per successivi scavi, si ricavano i vari livelli necessari a ospitare le discenderie, gli atrii e le attrezzature di servizio necessarie al funzionamento della stazione. Inizialmente questa scatola, necessaria, innanzitutto, a contenere la spinta del terreno, è controventata da grandi puntoni metallici. Successivamente, man mano che si realizzano gli orizzontamenti e le altre strutture portanti, la scatola si irrigidisce e si stabilizza. Il progetto si confronta con un vasto spazio urbano, e forma una piazza pubblica che connette tra loro le vicine attrezzature sportive, le Mura aureliane e il tessuto abitativo circostante. In superficie quasi nulla è visibile, se non una sistemazione pavimentata articolata su due quote: la quota stradale, posta a +32,85 metri e una ipogea, alla quota +24,38 metri, da cui si accede all’atrio della Stazione Metro e del Museo dei Castra Hadriani. La “piazza ipogea” è il luogo centrale del progetto; da qui si accede direttamente al Museo e alla stazione. Dallo spazio ipogeo si costeggia anche il giardino inclinato posto davanti al tratto di Mura aureliane frontistante. Ricavato da uno scavo in pendenza, esso è profondo circa 5,5 metri in prossimità delle Mura e 7,5 metri in corrispondenza dell’ingresso al Museo. Tale inclinazione è necessaria a rispettare la presenza dell’antico collettore dell’Acqua Marciana. La piazza in superficie, una forma rettangolare allungata, è innestata sulla confluenza tra via dei Laterani e via Farsalo. Dalla piazza si dipartono tre accessi alla quota inferiore. Due di questi sono orientati verso San Giovanni, il terzo è prospiciente le Mura. Adiacente a questa discenderia, è posto lo scalone di accesso all’area archeologico-museale e al giardino inclinato: dal pianerottolo intermedio, si diparte un belvedere lineare parallelo alla parete muraria, da dove è possibile osservare le Mura in modo ravvicinato. Le strutture del Museo e della stazione godono di una forte continuità visiva, grazie alle grandi vetrate che separano lo spazio interno. Il progetto si arricchisce di un valore inedito: il ripristino della connessione visiva e funzionale trasversale tra il recente ritrovamento delle caserme e il tratto di Mura frontistante, attraverso un vasto scavo che riporta in luce la preesistente quota archeologica, per un tratto limitato, ma significativo. Qui i “Castra Hadriani” e le Mura ritrovano – in modo rinnovato – un diretto rapporto spaziale, creando una concatenazione di spazi che forma un’unica grande area archeologica nel cuore di uno storico quartiere di Roma; un inedito spazio urbano è così restituito alla città. La comprensione e l’allestimento dell’assetto antico, nel nuovo progetto, avviene innanzitutto con la ricostruzione in anastilosi della caserma del “Castrum Hadriani”. Alla conclusione dei lavori di scavo, le strutture murarie sono state asportate e conservate in ambiente controllato, all’interno di container climatizzati. A struttura ultimata, queste saranno rimontate in situ con estremo rigore filologico, rispettando la giacitura e le quote relative, rievocando quindi lo scenario antico. La sequenza di stanze sarà direttamente visibile e fruibile dalla balconata interna che affaccia sui reperti. Lungo il muro di fondo si alternano ricostruzioni storiche e suggestioni immateriali, elementi fi-

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the subway station. The project for this station has immediately enhanced the adjacent physical context and the environmental and monumental pre-existing buildings. Thanks to the lowering of the station access, it will be possible not only to highlight the old barracks, but also to restore the relationship with the green rampart running along the Aurelian Walls and to rediscover the footprint of a section of wall that has always been underground. Building such a complex station means to carefully listen to the environmental context, to the existing memories and findings, and to translate them into a “reordering” shape of the various aspects, matching the needs of mobility and the museum function, turning a “piece of the public city” into a neighbourhood. The museum will be visible from the station atrium, which will stay autonomous: a small subway station will thus give the city a new public space, giving back centrality to a secluded and quiet urban context.

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Fig. 4 - Prima Variante. Vista della Piazza ipogea con gli ingressi alla Stazione Ipponio-Amba Aradam e al Museo. First variant. View of the Underground Square with the entrances to the Ipponio-Amba Aradam Station and the Museum.

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sici e proiezioni virtuali. Gli elementi del racconto – ricostruzione materiale e virtuale – si svolgono sia nella parte esterna della piazza-giardino ribassata che nella grande aula interna della struttura museale. Questa ricostruzione dell’unità spaziale ed architettonica degli elementi antichi è il principale dato concettuale del progetto: la sua valorizzazione va di pari passo con la creazione di una così importante infrastruttura di trasporto, che gli vive accanto. La connessione urbana si unisce alla ricostruzione evocativa di un preciso ambito storico.

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The First Variant of the project. The StationMuseum, connections and narration The project of the finding phase is the one called “Variant 1”. It was drawn up by ABDR Architetti Associati on the basis of a private competition called for by the “Consorzio Metro C”. After the discovery, the core aim was that of integrating the station building with the future “Castra Hadriani Museum”. The Superintendence wanted to identify a “technical solution functional to the conservation on site of the archaeological complex” to be protected and integrated within the structures of the new station, thus making it easy to use. On the contrary, the project drawn up by the Consorzio provided for the inclusion of the archaeological findings directly into the station area, in a very similar way to the refined San Giovanni station, where an evocative stratification of installations and findings has been created and is readable through an immersion in the depths of the station space (Lambertucci, Farris, Grimaldi, 2017). The new solution – strongly supported by all institutional bodies – envisages the spatial, functional and managerial separation between the space dedicated to the museum and the subway station. A particularly difficult solution because of the rigidity of the existing concrete structure. The construction of subway stations has begun from a simple and essential groundwork for quite some time. An underground reinforced concrete box later crossed by the train tunnels created through TBMs (Tunnel Boring Machines). This concrete box coincides with the site operating area. For further excavation steps, this underground box internally includes the different levels for drop-offs, halls and station facilities. The box is first braced by metal struts in order to limit earth pressure. Once the horizontal structures and the load-bearing structure are created, the box becomes stiff and steady. The project is confronted with a vast urban space and creates a public square connecting the nearby sport facilities, the Aurelian Walls and the surrounding residential area. Almost nothing is visible on surface, except for a paving on two levels: the street level, at +32.85 m and a hypogeal underground square, at +24.38 m, giving access to the Subway station entrance and the Castra Hadriani Museum. The “hypogea square” is the core of the project, giving direct access to the Museum and the station. From the hypogeal area it is possible to walk along the sloping garden facing the Aurelian Walls. Found from a sloping excavation, the garden is about

Fig. 3 - Prima Variante. Planimetria generale alla quota stradale. Sistema degli accessi e rapporto con lo spalto verde davanti alle Mura. First variant. General plan at road level. Access system and relationship with the green rampart in front of the walls.

Nuovi ritrovamenti: il progetto insegue lo scavo Come detto precedentemente, l’azione di scavo prosegue per approfondimenti successivi, restando all’interno della grande scatola cementizia. Nella campagna di scavi dell’autunno-inverno 2017-18, diretti dalle dott.sse Rossella Rea, prima, Simona Morretta, poi, (Mibact, 2018) vengono effettuati dei rinvenimenti, annunciati con grande rilevanza mediatica, e destinati ancora una volta a modificare il cronoprogramma dei lavori – e conseguentemente – del progetto architettonico. Sono portati alla luce, infatti, due nuovi ambienti appartenenti allo stesso complesso militare, di vitale importanza per comprenderne l’articolazione funzionale e spaziale. Le due ali, disposte simmetricamente ad una quota inferiore di 12 metri, quindi 3 metri circa al disotto della struttura delle celle, costituiscono due annessi differenti per qualità: uno più tecnico-funzionale, l’altro più lussuoso e di rappresentanza. La prima è un’area di servizio, con pavimentazioni in opus spicatum, canaline di scolo, vasche per la raccolta dell’acqua e altre attrezzature idrauliche. L’altro annes| Michele Beccu | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 5 - Prima Variante. Pianta al livello della Piazza Ipogea di accesso. A sinistra il museo dei “Castra” e a destra l’atrio di stazione. First variant. Plan at the level of the Underground Square. On the left the “Castra” museum and on the right the atrium.

5.5 metres deep near the Walls and 7.5 metres at the Museum entrance. This inclination is necessary to respect the presence of the ancient Acqua Marciana manifold. The surface square, a long rectangular shape, is connected with Via dei Laterani and Via Farsalo. From the square there are three entrances at the lower level. Two of them are oriented towards San Giovanni, the third faces the Walls. Adjacent to this slope, there is the staircase leading to the archaeological museum area and to the garden: at the stairlanding, there is a close view-point on the Walls from a linear parallel belvedere. The Museum and station structures enjoy a strong visual continuity thanks to the wide windows separating the interior area. The project thus increases in value thanks to the re-establishment of the visual and functional transversal connection between the recently discovered barracks and the facing Walls, through a vast excavation bringing to light the pre-existing archaeological site for a limited but significant section. Here the “Castra Hadriani” and the Walls are re-joined in a new way creating spaces in a single large archaeological area in the heart of a historic district of Rome; a new urban area thus given back to the city. The understanding and setting up of the ancient layout, in the new project, takes place first of all with the anastylosis reconstruction of the “Castrum Hadriani” barracks. At the end of the excavation works, the wall structures were removed and preserved in a controlled environment inside air-conditioned containers. Once the structure has been completed, they will be reassembled in situ with extreme philological rigour, respecting the position and relative heights, thus evoking the ancient scenario. The sequence of the rooms will be directly visible and accessible from the internal balcony overlooking the findings. Historical reconstructions and immaterial suggestions, physical elements and virtual projections alternate along the back wall. The narrative elements – material and virtual reconstruction – take place both in the external part of the lowered garden-square and in the large internal hall of the museum. This reconstruction of the spatial and architectural unity of the ancient elements is the main idea of the project: its enhancement goes hand in hand with the creation of such an important transport infrastructure, which lives alongside it. The urban connection is combined with the evocative reconstruction of a particular historical context.

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Fig. 6 - Prima Variante. Vista dell’allestimento dell’interno museale con il rimontaggio delle strutture del “Castra Hadriani”. First variant. View of the interior layout of the museum with the reassembly of the “Castra Hadriani” structures.

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so è invece una lussuosa abitazione, o spazio di rappresentanza, una vera e propria domus,, da subito censita come ipotetica “Casa del Comandante” della struttura militare adiacente. Questo appare come un edificio rettangolare di circa 300 mq, posto in prossimità della paratia nord, limite dello scavo. Si accede ad essa attraversando un’ampia area all’aperto, attraverso pochi gradini che immettono in un corridoio pavimentato in opus spicatum. Il complesso è formato da 14 ambienti disposti attorno ad un cortile centrale con fontana e vasche, anch’esso pavimentato nella stessa maniera. I pavimenti sono realizzati in opus sectile a quadrati di marmo bianco e ardesia grigia, e sono di buona fattura, mentre quelli di altri ambienti sono a mosaico (anche figurato), con motivi geometrici di straordinaria eleganza. Le pareti sono decorate con intonaci dipinti a motivi lineari. Uno degli ambienti doveva essere riscaldato, vista la presenza di suspensurae, tramite un’intercapedine che celava un ipocausto. Il complesso mostra traccia di rifacimenti e ristrutturazioni, dettate da adeguamenti funzionali e necessità pratiche. Questa parte della caserma era dotata di una scala di collegamento con il livello superiore, dove si trovava il dormitorio dei soldati. La Soprintendenza esclude che potesse trattarsi di una abitazione privata, vista la prossimità con un edificio militare di proprietà imperiale, per cui l’ipotesi più accreditata è che potesse trattarsi dell’abitazione del Comandante della caserma soprastante. La rilevanza e la quantità di questi ulteriori rinvenimenti hanno naturalmente reso necessaria una rivisitazione globale del progetto architettonico “Variante 1”, e dato l’avvio ad una seconda Variante che preveda una organica soluzione di ricollocamento di “tutte” le strutture antiche rinvenute, mantenendo la divisione funzionale tra la Stazione della metropolitana, la nuova sistemazione dell’intera area museale, della “piazza ipogea” di accesso a entrambe. Allo

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Michele Beccu | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

New findings: the project chases the excavation As mentioned above, the excavation action continues for further investigation while remaining inside the large cement box. In the autumnwinter 2017-18 excavation campaign, directed by Dr. Rossella Rea and Simona Morretta (Mibact, 2018), excavations were carried out and announced with great media importance, once again aimed to modify the time schedule of the works and – consequently – of the architectural project. Two new rooms belonging to the same military complex are brought to light and are very important to understand the complex functional and spatial articulation. The two wings, arranged symmetrically at a lower elevation of 12 metres, about 3 metres below the structure of the cells, constitute two different annexes in terms of quality: the one more technical and functional, the other more luxurious and representative. The first is a service area, with “opus spicatum” flooring, drainage channels, water collection tanks and other hydraulic equipment.

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Fig. 7 - Seconda Variante. Vista della nuova sistemazione urbana: La piazza alla quota stradale, le due piazze ipogee, il rapporto con le Mura Aureliane. Second variant. View of the new urban layout: the square at road level, the two underground squares, the relationship with the Aurelian Walls.

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Fig. 8 - Vista generale della nuova Piazza Ipogea. Rappresentazioni multimediali evocano il rapporto con le Mura Aureliane. General view of the new Underground Square. Multimedia representations evoke the relationship with the Aurelian Walls.

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The Second Variant of the project. A system of places The project of “Variant 2” is therefore increased in extension and complexity of the levels, accepting the need to put together the three elements of the new urban planning: Square, Museum, Station. Among these elements, the new underground square, located at +26.50 m, plays the main distributive and spatial role. Both museum and metro underground levels are accessible from the square, from where it is possible to enjoy the sight of the garden and part of the facing walls. The underground square is reachable from Piazzale Ipponio open space, at +32.80 m, through a staircase enclosed by multifaceted volumes overlooking downwards. The museum and the subway station are accessible from the two opposite sides of the lowered square, to the west and to the east, respectively. In the middle, a view from a large glazed balcony shows the reconstruction of the upper barracks and the excavations below. The accesses from the street level are articulated in different ways: the entrances from San Giovanni are located at Via dei Laterani and Via Farsalo while the entrance on Viale Ipponio, facing the Aure-

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stesso tempo, il progetto dovrà garantire l’attuabilità della successiva “Fase II”, volta al ripristino della relazione visiva con le Mura aureliane, attraverso l’abbassamento della porzione di terreno compresa tra la nuova stazione e le Mura. Nel suo modificarsi e adattarsi, nel suo estendersi e stratificarsi, nel suo “inseguire” quasi lo scavo archeologico che si svolge in sincrono con la costruzione del manufatto, il progetto mostra qui una “nuova natura”: la capacità di adattarsi a condizioni nuove, di aderire a una realtà in continuo movimento.

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The other annex is instead a luxurious dwelling, or representative place, a real “domus”, which has been immediately listed as a hypothetical “Commander’s House” of the adjacent military structure. This looks like a rectangular building of about 300 square metres, located near the north piling, at the border of the excavation. Access is granted through a large open-air area by a few stairs leading to a corridor paved in “opus spicatum”. The complex consists of 14 rooms arranged around a central courtyard with fountain and basins, paved the same way. The floors are well-made of “opus sectile” with squares of white marble and grey slate, while those in other rooms are mosaic (also illustrated), with extraordinarily elegant geometric patterns. The walls are decorated by plaster painted with linear motifs. One of the rooms had to be heated, given the presence of suspensurae, through a cavity that concealed a hypocaust. The complex shows signs of renovations for functional adaptations and practical needs. This part of the barracks was provided with a staircase to the upper level, where the soldiers’ dormitory was located. The Superintendence excludes that it could have been a private dwelling, given its proximity to an imperial military building, so the most reliable hypothesis is that it could have been the Commander’s residence. The importance and quantity of these further discoveries have naturally made it necessary to completely review the “Variant 1” architectural project, and have given the start to a second Variant in order to provide an organic solution for the relocation of “all” the found ancient structures, to keep the functional separation among the subway station, the new arrangement of the entire museum area and the access underground square. At the same time, the project has to guarantee the feasibility of the subsequent Phase II, aimed at restoring the visual relationship with the Aurelian Walls by lowering the portion of land between them and the new station. In its modification and adaptation, in its extension and stratification, in its almost “chasing” the archaeological excavation that takes place simultaneously with the building construction, the project shows a “new nature”, a new ability to adapt itself to new conditions and to join a constantly evolving reality.

Il Secondo progetto di Variante. Un sistema di luoghi Il progetto della “Variante 2” dunque si amplia come estensione superficiale, e si riarticola come complessità di livelli, accogliendo la necessità di mettere a sistema i tre elementi costitutivi della nuova sistemazione urbana: la Piazza, il Museo, la Stazione. Di questi, la nuova piazza ipogea, posta alla quota + 26,50 metri, è quella che svolge il ruolo distributivo e spaziale preponderante. Attraverso questa si raggiungono i livelli interrati del museo e della metropolitana e da lì si gode della vista del giardino e della parte di Mura frontistante. Dallo spazio aperto di piazzale Ipponio, posto alla quota +32,80 metri, si discende alla piazza ipogea, attraverso una scala racchiusa da volumetrie sfaccettate che si protendono verso il basso. Sui due fronti opposti della piazza ribassata si accede all’area museale, verso ovest, e alla stazione metropolitana, verso est. Al centro, un grande balcone vetrato permette di ammirare, in tutta la sua estensione, la ricostruzione della caserma superiore e degli scavi sottostanti. Gli accessi dalla quota stradale sono articolati in modo differente: gli ingressi da San Giovanni sono collocati da Via dei Laterani e da Via Farsalo mentre | Michele Beccu | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 9 - Seconda Variante. Pianta alla quota della Piazza Ipogea e mezzanino di affaccio sulla stazione della Metropolitana. Second variant. Plan at the level of the Underground Square and mezzanine overlooking the Metro station.

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Fig. 10 - Vista interna Del Museo “Castra Hadriani” con la passerella di distribuzione e traguardo visivo sulla Piazza Ipogea. Interior view of the «Castra Hadriani» Museum with the distribution walkway and visual finish line on Piazza Ipogea.

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l’ingresso su Viale Ipponio, prospiciente le Mura aureliane, realizza il collegamento con la piazza ipogea. Il nuovo progetto di Variante si differenzia dalla versione precedente essenzialmente per tre aspetti. Uno è rappresentato dall’introduzione di un lungo spazio di distribuzione intermedio, il cosiddetto “mezzanino”, posto alla quota +26,60 metri e +27,15 metri. Questo ripiano collega la quota stradale con i livelli sottostanti del Museo e della metropolitana; tramite esso si accede a tutta l’area museale, visibile peraltro attraverso la lunga vetrata che lo costeggia. Nella parte terminale, il mezzanino si affaccia in doppia altezza sul nuovo atrio della metropolitana. Un altro aspetto è l’incremento degli spazi a cielo aperto: la piazza ipogea è accresciuta nelle dimensioni, e si forma una nuova piazza di forma triangolare, posta alla quota +23,30 metri, che costituisce un pozzo d’aria e di luce sull’atrio di stazione. Infine, la nuova articolazione del Museo risulta notevolmente accresciuta e arricchita dall’integrazione dei nuovi ritrovamenti, collegati tra loro da un nuovo percorso di visita. Il Museo, inquadrato dalle grandi vetrate intervallate dai pilastri prospicienti la piazza, è visibile dall’esterno e visitabile dall’interno, oltrepassando lo spazio dell’atrio dove si trovano la biglietteria, la caffetteria e i servizi. La metropolitana si distribuisce a partire dal nuovo livello interrato, l’atrio est, posto in direzione San Giovanni, dove si trova lo snodo dei percorsi e l’accesso all’area dei tornelli, posti alla quota +23,30 metri. La piazza ipogea, posta a quota +26,60 metri, è formata da un rettangolo di 30 metri di lunghezza per 16 di larghezza. Da questo spazio si traguarda direttamente sulla sottostante quota del sito archeologico e da qui si prosegue verso l’ingresso al Museo, posto sul lato corto della piazza. Nel lato verso San Giovanni è posto l’ingresso alla metropolitana, raggiungibile oltrepassando

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lian Walls, links the street with the underground square. The new Variant of the project essentially differs from the previous one in three aspects. The one is the inclusion of a long halfway space, the “mezzanine” floor, placed at +26.60 m and +27.15 m. This floor links the street level with the below levels (Museum and Subway station); it gives access to the entire museum area, which can be seen through the long window alongside. At the end, the mezzanine floor overlooks the new atrium of the subway station. Another aspect is the increase in open-air spaces: the underground square has increased in size thus creating a new triangular-shaped square, at +23.3 0m, which constitutes an air and light well on the station atrium. Finally, the new Museum layout has been considerably improved thanks to the addition of new findings on a new guided tour. The Museum, framed by large windows interspersed with pillars facing the square, is visible from the outside and can be visited from the inside, passing through the space in the atrium where ticket office, cafeteria and services are located. The subway station area starts from the new underground level, the eastern atrium, located in the San Giovanni direction, where there are the junction of the routes and the access to the turnstiles area, at +23.30 m. The underground square, at +26.60 m, consists of a 30 metres long and 16 metres wide rectangle. The archaeological site below is directly vis-

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Some conclusive considerations

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il livello museale che, in questa porzione, si innalza a quota +27,15 metri. La distribuzione ai livelli di stazione avviene attraverso un blocco di scale fisse e mobili. La piazza ipogea rappresenta uno spazio calmo e arioso, sottratto al frastuono urbano: sui lati lunghi si fronteggiano le vetrate aperte verso il nuovo spazio archeologico e la balconata affacciata sulla nuova sistemazione a giardino. Un parapetto istoriato racconta la storia di quel tratto di Mura che, in una fase successiva, demolita la fascia superiore della paratia, saranno integralmente visibili, fino al loro piede. L’ulteriore spazio ribassato, posto a ridosso dei campi della “Romulea”, consente l’ingresso dal versante nord per i flussi provenienti dall’ospedale San Giovanni. Questa piccola piazza è dotata di un doppio sistema di scale fisse e scale mobili protette da una pensilina che costituisce un elemento di riconoscibilità visiva a distanza. La pavimentazione, alla quota stradale, sarà in travertino, mentre i livelli delle due piazze ipogee saranno pavimentati in basaltina. La nuova area archeologico-museale sarà dotata di tutti i servizi di accoglienza e biglietteria necessari alla visita. Dall’atrio i gruppi di visitatori potranno percorrere una passerella di visita posta alla quota +26,20 metri che correrà lungo il perimetro dell’intero sito archeologico, consentendo una visione ravvicinata della caserma ricostruita. L’opzione ricostruttiva e la cura scientifica degli allestimenti saranno di stretta pertinenza della Soprintendenza. Questa prevede la ricostruzione dei ritrovamenti nella posizione originaria ed alla quota antica, riproponendo rigorosamente tecniche di posa e materiali compatibili. L’allestimento consente una visita approfondita del sito: una passerella sospesa ripercorre l’antico corridoio di distribuzione e permette la fruizione dall’alto delle murature ricostruite. La passerella è dotata di piccole piazzuole attrezzate con panche per la sosta, la fruizione di proiezioni didattiche e di informazione storica. Tutto il sito è rischiarato dall’alto da grandi lucernai che traforano la copertura e corredano la piazza soprastante. Il percorso lambisce anche un grande muro trasversale; qui è aperto un varco che metteva in comunicazione la caserma con il giardino esterno, che digradava verso la parte bassa del sito. Qui è collocata una sala polifunzionale destinata a momenti di informazione collettiva, proiezioni ed illustrazione della storia del luogo. Il percorso si conclude con una pedana posta alla quota +22,50 metri, allestita con teche espositive. Da qui si accede alla corte interna del museo stesso. Nella parte terminale del percorso si raggiunge la cosiddetta “Casa del Comandante”. La passerella ripercorre in quota il corridoio di distribuzione della domus e termina con una piccola piattaforma. All’interno, sarà anche ricostruita una porzione del soffitto affrescato di uno degli ambienti principali. Il percorso museale si conclude con una scala che risale alla quota superiore, raggiungendo l’atrio principale. Al lato opposto del fabbricato si trova l’atrio di stazione, posto alla quota +23,30 metri, dotato dei sistemi di tornelli in ingresso e in uscita che conducono alle banchine dei treni. Percorrendo il mezzanino e le discenderie di stazione si possono godere viste e scorci dell’area museale di grande suggestione, sia nella direzione longitudinale della sequenza scavo-stazione, sia nella direzione trasversale della ricostruzione dei “Castra” verso le Mura. Questi traguardi arricchiscono la qualità degli spazi interni; il ruolo dell’infrastruttura risulta grandemente esaltato dalla caratterizzazione e la messa in valore di un inedito e prezioso sito archeologico.

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ible from this area and the Museum entrance is located on the short side of the square. On the side towards San Giovanni there is the entrance to the subway, which can be reached by crossing the museum level which, in this portion, rises up at a +27.15 m height. The station levels are accessible through a block of stairs and escalators. The underground square is a calm and airy space, far from urban noise: on the long sides there are windows facing the new archaeological area and the balcony overlooking the new garden. A historiated parapet depicts the story of that part of the Walls, which will be fully visible, right up to their base, once the upper part of the bulkhead has been demolished. The further lowered space, close to the “Romulea” fields, allows the northern entrance for the flows from the San Giovanni hospital. This small square is provided with a double system of stairs and escalators protected by a projecting roof, visually recognizable from a distance. The paving at street level will be in travertine, while the levels of the two underground squares will be paved in basaltine. The new archaeological-museum area will be provided with all the necessary reception and ticket office services for the visit. From the atrium, visitors shall walk along a walkway at +26.20 m which will run along the perimeter of the entire archaeological site, allowing a closeup view of the refurbished barracks. The refurbishment option and the exhibition layout will be managed by the Superintendence. The Superintendence will refurbish the findings relocating them in their original position and altitude, through rigorously compatible laying techniques and materials. The layout allows an in-depth visit of the site: a suspended walkway retraces the ancient corridor and allows the use of the reconstructed masonry from above. The walkway has small lay-bys with benches for rest, educational projections and historical information. The whole site is illuminated from above by large skylights piercing the roof and finishing the square above. The path also touches a large diagonal wall; here is passage that once connected the barracks and the sloping down garden towards the lower part of the site. A multipurpose room for information, projections and illustration of the site history will be located at this point. The path ends on a platform with display cases at +22.50 m. From here it is also accessible the inner courtyard of the museum, while at the end of the route there is the so-called “Commander’s House”. The walkway runs along the corridor of the “domus” at height and ends with a small platform. Inside one of the main rooms, a portion of frescoed ceiling will also be refurbished. The museum itinerary ends with a staircase going up to the upper level, reaching the main atrium. On the opposite side of the building there is the station atrium, located at +23.30 m, provided with entrance and exit turnstiles leading to the train platforms. Charming views and glimpses of the museum area are enjoyable while walking along the mezzanine and the station drop-offs, both in the longitudinal direction of the excavation-station sequence and in the transversal direction of the “Castra” reconstruction towards the Walls. These goals develop the quality of the interior spaces; the role of the infrastructure is greatly improved by the enhancement of an original and precious archaeological site.

Alcune considerazioni conclusive Scegliamo qui di interrompere la documentazione delle infinite varianti, prescrizioni e modificazioni che il progetto della stazione Amba Aradam-Ipponio ha subito. Il progetto, privato della seconda piazza ipogea e di alcune uscite accessorie, è stato approvato come progettazione definitiva da parte di Roma Capitale nel giugno 2020, sia come manufatto di stazione, sia nelle sue sistemazioni esterne. Attualmente è stato dato l’avvio alla progettazione esecutiva che dovrà concludersi entro il corrente anno 2020. Dopo le fasi approvative, | Michele Beccu | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Here we choose to stop the documentation of the infinite variants, prescriptions and modifications that the Amba Aradam-Ipponio station project has undergone. The project, deprived of the second underground square and some accessory exits, was approved as final design by Roma Capitale in June 2020, both as a station building and its external accommodation. The executive design has now been started and should be completed by the end of the current year 2020. Construction should begin after the approval phases; the scheduled date for the opening of the station is 2024. The contract provides for the construction of the entire station infrastructure and the museum layout, except for the multimedia equipment which will be only prearranged by the construction company. It seems appropriate to underline how the design of the Amba Aradam-Ipponio station reconfirms the specificity and singularity of the “Rome case”, where an unrepeatable singularity of places and opportunities for discovery is constantly confronted with the urgent need to modernise and expand the mobility networks and the unavoidable improvement of the Capital’s civil structures. Going beyond the external forms and aporiae of a too much celebrated contemporary complexity, the described project, in its modifications, in its “chasing the excavation” and adaptive and ductile nature, shows a distinctive feature of the contemporary architecture. The ability of “mediating” (Cacciari, 1984), of taking a step backwards from the absoluteness of the architectural shape, and of acting as a mediating device able to embrace the constant spatial and material variations of the context. Being at the service of the place and matching all different functions require a great technical and design complexity, within which, however, the threads of the story of a hitherto marginal and little-known context are reconnected.

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dovrebbe iniziare la realizzazione; la data prevista per l’apertura della stazione è il 2024. L’appalto prevede la realizzazione di tutta l’infrastruttura di stazione e della sistemazione museale, a meno della dotazione multimediale di cui l’impresa eseguirà solo le predisposizioni. Pare opportuno sottolineare come la vicenda progettuale della stazione Amba Aradam-Ipponio riconfermi la specificità e la singolarità del “caso Roma”, dove una irripetibile singolarità di luoghi e occasioni di scoperta si confronta incessantemente con le urgenze della modernizzazione e dell’ampliamento delle reti della mobilità e dell’indifferibile miglioramento degli assetti civili della Capitale. Andando oltre le forme esteriori e le aporie di una complessità contemporanea fin troppo celebrata, il progetto descritto, nelle sue vicende trasformative, nell’ “inseguire lo scavo”, nel farsi strumento adattivo e duttile, mostra un tratto distintivo del progetto contemporaneo. Quello di dotarsi di una attenta “capacità mediativa” (Cacciari, 1984), di fare un passo indietro rispetto all’assolutezza della forma architettonica e di porsi come dispositivo di mediazione, capace di accogliere le incessanti variazioni spaziali e materiali del contesto. Porsi al servizio del luogo, armonizzare le diverse funzioni comporta una grande complessità tecnica e progettuale, al cui interno però si riannodano i fili del racconto di un contesto fino ad oggi marginale e poco noto.

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Riferimenti bibliografici_References References

Cacciari M. (1984) “Un Ordine che esclude la Legge”, in Casabella, 498/9, gennaio-febbraio 1984, pp. 14-15. Costi D., Conforti C. (2015) ABDR temi, opere e progetti. Themes, works and projects, Documenti di Architettura 195, Electa architettura, Milano. Farris A., Grimaldi A., Lambertucci F. (2019) Archeologia per chi va in metro. La nuova stazione di San Giovanni a Roma, DIAP Print, Quodlibet, Roma-Macerata. Gigliotti G. (2019) “La metro di Roma che viaggia nel tempo”, in Il Giornale dell’Arte, numero 400, settembre. Mibact (2018) La Casa del Comandante. Una straordinaria scoperta archeologica nei cantieri della Metro C di Roma (https://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito) Montuori L. (2014) “La Stazione Annibaliano della Linea B1 della Metropolitana di Roma”, in L’industria delle Costruzioni, rivista tecnica dell’Ance, vol. 436, marzo-aprile, p. 56-65. Sitografia_Web References https://metrocspa.it/stazione/amba-aradamipponio/ https://roma.repubblica.it/cronaca/2016/12/31/news/metro_c_roma_fermata_amba_aradan_ con_vista_sulla_storia_ok_al_museo_degli_scavi-155166871/ https://www.architetti.com/scavi-metro-c-roma-emerge-una-caserma-romana.html https://www.abdr.it https://www.architetti.com/metro-c-roma-amba-aradam-stazione-archeologica-architetto-paolo-desideri.html https://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_1579681854.html

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urbanform and design Sotto l’asfalto del Colosseo

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Keywords: Colosseum, Public space, Urban design, Monumental space

Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Roma 3 E-mail: giovanni.longobardi@uniroma3.it

La cerimonia odierna, compiuta presso Santa Francesca Romana, è significativa e beneaugurante. Possiate voi portare dovunque la letizia, la serenità, la prosperità: e raccogliere sul vostro cammino il frutto delle buone opere compiute. Amate la disciplina di voi stessi e delle vostre macchine, così che nel vostro muovervi, talora frettoloso, vediate realizzato in voi il voto liturgico: Iter prosperum, tempusque tranquillum. Sempre l’entusiasmo nel cuore in pace con Dio: sempre la tranquillità del lavoro e l’amore del prossimo. Fiat, fiat; così sia, così sia. Discorso del Santo Padre Giovanni XXIII agli automobilisti in occasione della festività della Celeste Patrona Santa Francesca Romana. Mercoledì, 9 marzo 1960 (vatican.va)

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Non sarà sfuggita, al papa buono buono, la coincidenza dell’ottativo Fiat con il marchio della casa automobilistica che in quegli anni stava cambiando l’assetto industriale e la vita del paese (la Nuova 500 è del 1957). La chiesa di Santa Maria Nova al Foro Romano è a un passo dal Colosseo. Francesca Romana Bussa de’ Leoni vi fu sepolta nel 1440, nel luogo dove nel 1425 aveva istituito le Oblate della Congregazione benedettina di Monte Oliveto. A costruire il link per cui la chiosa del discorso di papa Giovanni appare oggi come una precoce quanto bonaria pubblicità occulta fu un papa precedente, Pio XI, quando nell’anno santo 1925 elesse santa Francesca Romana a protettrice degli automobilisti. Si diceva che la santa avesse parlato per tutta la vita con il proprio angelo custode e che possedesse anche il dono dell’ubiquità. Per questi motivi divenne patrona di autisti e guidatori dei mezzi di spostamento rapido, perché bisognosi di accompagnamento, assistenza e protezione. A partire da allora, davanti al Colosseo il 9 marzo di ogni anno, festa di Francesca Romana, si svolge la benedizione rituale delle auto, una cerimonia che nella seconda parte del Novecento assunse le dimensioni dell’adunata di massa e che riflette un legame speciale tra l’Anfiteatro Flavio, la motorizzazione e i molti fenomeni della modernità che le sono connessi. Consideriamo così questo prologo alla stregua di un emblema dei numerosi vincoli che la storia urbana più recente ha posato intorno al monumento simbolo delle antichità romane.

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“Today’s ceremony, being held at Santa Francesca Romana, is significant and auspicious. May you bring joy, serenity, prosperity everywhere: and reap on your path the fruit of the good works you have accomplished. Love the discipline of yourselves and your machines, so that in your movement, sometimes hurried, you see the liturgical vow fulfilled in you: Iter prosperum, tempusque tranquillum. Always enthusiasm in your heart at peace with God: always the tranquility of work and love of neighbor. Fiat, fiat; so be it, so be it”. Address of the Holy Father John XXIII to motorists on the occasion of the feast of the Celestial Patron Saint Francesca Romana. Wednesday, March 9, 1960 (vatican.va)

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Abstract Paradoxical as it is, even now, an important building constituent of the Colosseum is still largely under the asphalt. It is the so-called area of the great travertines, a ring surrounding the building with a thickness of 17.50 meters, paved with large slabs and marked by 136 perimeter stela about 1.90 meters high, also travertine, upon which, in all probability, with wooden barriers the crowds entering and exiting were directed. In 2017 a working group of the Department of Architecture of Roma Tre University drew up a plan Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo, which identified in the reconstitution of the weave of urban paths that connected the amphitheater to the inhabited city and in the new configuration of the spaces adjacent to the monument the main tools to overcome the current decay of its urban values.

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.007

Scenario etnotopografico

The coincidence would not have have been lost on the good pope of the optative Fiat and the brand of the car manufacturer that was changing the country’s life and industrial structure in those years (the Nuova 500 was from 1957). The church of Santa Maria Nova al Foro Romano is but a few steps from the Colosseum. Francesca Romana Bussa de’ Leoni was buried there in 1440, where, in 1425, she had founded the Oblates of the Benedictine Congregation of Monte Oliveto. It was a previous pope, Pius XI, who constituted the link for which the remark in Pope John’s speech today seems an early and good-

Fino al giorno prima del distanziamento sociale imposto a seguito dell’emergenza Covid-19, lo spazio urbano che circonda il Colosseo è stato uno dei luoghi più frequentati del pianeta, caso d’elezione di tutti gli splendori e le miserie del travolgente processo democratico che ha reso lo spazio turistico contemporaneo libero e virtualmente senza confini. Superata la calma apparente della difficile fase pandemica, la quotidianità dell’area sta rapidamente recuperando lo status non esaltante dei grandi complessi archeologici sub specie italica – e capitolina in particolare. Lungi dal voler ripetere qui i vieti preconcetti giornalistici sul turismo “di rapina” (ma chi rapina chi? bisognerebbe chiedersi), si tratta invece di interpretare un fenomeno estremamente

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natured covert advertisement, when he elected Saint Frances Romana as the protector of motorists in the holy year 1925. It was said that the saint conversed all her life with her guardian angel and also possessed the gift of ubiquity. Thus she became the patron saint of drivers and drivers of fast-moving vehicles, because they were in need of accompaniment, assistance and protection. Since then, the ritual blessing of cars takes place in front of the Colosseum on March 9 of each year, the feast of Francesca Romana, a ceremony that in the second half of the twentieth century assumed the dimensions of a mass gathering and reflects a special link between the Flavian Amphitheater, motorization and the many phenomena of modernity connected with it. So we consider this prologue like an emblem of the numerous constraints that more recent urban history has laid at the feet of the monument, symbol of Roman antiquities.

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Ethno-topographical scenario Until the day prior to the social distancing imposed due to the Covid-19 emergency, the urban space surrounding the Colosseum was one of the most popular sites on the planet, point of choice of all the splendors and miseries of the overwhelming democratic process that made the contemporary space of tourism free and virtually without borders. Once overcome the apparent calm of the difficult pandemic phase, the everyday life of the area is rapidly acquiring the not so exalted status of the great archaeological complexes sub specie italica – and Capitoline in particular. Far from wanting to repeat here the journalistic preconceived bans on “robbery” tourism (but who robs whom, we should ask), but rather pose the question of interpreting an extremely complex phenomenon, where ethnographic themes, urban history and form, longterm design and vision intersect. The “normality” of the Colosseum can therefore be described as that of a besieged site, where each actor gives his own involuntary contribution to a monstrous and hostile whole. Selfie, skip the line, horse-carriages, tourist menu, umbrella if it’s raining, fan if it’s warms, centurions at alternating times, flashing cars of traffic wardens, police and carabinieri constantly moving among the disoriented crowd, barriers of new, old and ancient, anti-tank barriers, armored vehicles, leather heads in assault gear who chat amicably with tourists in the meantime – camouflage now is just another color. Over everything, in cadenced rhythm, an amplified voice reminiscent of Vittorio De Sica’s The Last Judgment dispenses instructions creating an atmosphere of totalitarian dystopia. Let’s freeze this image that everyone knows: we need to understand what is the physical substratum of such an amazing eclipse of public space, in which the inhabitants of Rome no longer have the right of citizenship and for whom the Colosseum is now only the name of a unpleasant and chaotic station of the B Metro from which to reach the center – and we begin to record some results of the contemporary use of the Colosseum: here is the colportage phenomenon of modern space (Kolportagephänomen des Raumes) that Walter Benjamin had observed in Paris (Benjamin, 1982). The site is a valley, a compluvium between the heights of the Palatine, Celio and Opium; the Campidoglio is only a little farther off, beyond the modest rise of the Velia, excavated in the 1930s to open the way towards Piazza Venezia. In this natural basin, Nero had posed the

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Fig. 1 - In alto: benedizione dei veicoli in occasione della festa di Santa Francesca Romana, 9 marzo 1935; in basso: il Colosseo ripreso dal campanile di Santa Francesca Romana. Foto Anderson, metà del sec. XIX. Above: blessing of vehicles for the feast of Santa Francesca Romana, March 9, 1935; below: The Colosseum seen from the bell tower of Santa Francesca Romana. Photo Anderson, mid-century XIX.

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complesso, dove si incrociano temi etnografici, di storia e forma urbana, di progetto e visione di lungo periodo. La “normalità” del Colosseo, dunque, si può descrivere come quella di un luogo assediato, dove ciascun attore dà il proprio involontario contributo a un insieme mostruoso e ostile. Selfie, Selfie, skip the line line, botticelle, menù turistico, ombrello se piove, ventaglio se scalda, centurioni a tempi alternati, automobili lampeggianti di vigili urbani, polizia e carabinieri in costante spostamento tra la folla disorientata, transenne di nuova, vecchia e stravecchia generazione, barriere anticarro, blindati, teste di cuoio in tenuta da assalto che nel frattempo chiacchierano amichevolmente con i turisti – il camouflage è ormai un colore come un altro. Sopra il tutto, a ritmo cadenzato, una voce amplificata che ricorda Il giudizio universale di Vittorio De Sica propala istruzioni creando un’atmosfera da distopia totalitaria. Fermiamo questa immagine che tutti conoscono: bisogna cercare di capire qual è il sostrato fisico di una tale stupefacente eclissi dello spazio pubblico, in cui gli abitanti propri di Roma non hanno più diritto di cittadinanza e per i quali Colosseo è ormai solo il nome di una scomoda e caotica fermata della Metro B da cui raggiungere il centro – e iniziamo a registrare alcuni esiti dell’uso contemporaneo del Colosseo: qui è la dozzinalizzazione dello spazio moderno che Walter Benjamin aveva osservato a Parigi (Benjamin, 1982). Il luogo è una valle, un compluvio tra le alture del Palatino, del Celio e dell’Oppio; il Campidoglio è poco più lontano, di là dalla modesta altura della Velia, sbancata negli anni 30 per aprirsi la strada verso Piazza Venezia. In questa conca naturale, Nerone aveva posto lo Stagnum della Domus Aurea, specchio d’acqua circondato da un quadriportico che venne poi integralmente occupato dalla costruzione dell’Anfiteatro Flavio. L’edificio è ingombrante, a dir poco, e

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Fig. 2 - La Vespa, 1952. Foto di David Lees. The Vespa, 1952. Photo by David Lees.

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Fig. 3 - Lo snodo via dell’Impero, via di San Gregorio nel 1936. The intersection via dell’Impero and via di San Gregorio in 1936.

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Stagnum of the Domus Aurea, a mirror of water surrounded by a quadriporticus which was later entirely occupied by the structure of the Flavian Amphitheater. The building is bulky, to say the least, and all the routes that will innervate the urban space over time along the valley floor lines will be forced into a narrow passage that just touch the building. Then, with the progress in the speed of movement and even before the era of motorization, all the interventions in the valley have strove to make this passage more fluid and smooth. The space will end up being shaped exclusively by the rounded form of the roadways and by its implacable radii of curvature, functional for cars but hostile for pedestrians, and fatally favored by the elusive shape of the monument. The process was consolidated in the fascist era with the inauguration of the Via del Mare, and after the war a futuristic euphoria still lingers in the traffic that caresses the arches of the national historical icon; an oxymoron that would like to absolve the economic boom and the myth of the automobile with the nefarious effects on the environment by the country’s modernization. Yet, the bizarre coupling affirms itself, and has its own visual fortune that penetrates the imagination not only for Romans: there is no maiden voyage of a new family car that is not immortalized by the ritual photo with the arches in the background; and then car and motorcycle rallies, tourist buses, public blessings of taxis, Atac buses and trams: anything that moves on wheels, rubber or otherwise, reserved for itself an instant of glory in the shade of the amphitheater. The energy crisis of the early 70s marks a turnaround, the first limits and closures intervene under the pretext of the harm caused by smog. With the compulsory pedestrian Sundays, in which Italians seem to joyfully pour out onto the street for the first time, the idea is reaffirmed that the space of a large city can also be occupied by bodies free to move on their own legs; voices, and the water flowing from the fountains, can be heard once more. Yet, even though it seems centuries have passed since the traffic was divided into the two opposing lanes on the sides of the Arch of Constantine, the valley of the Colosseum today remains essentially the one traced by the steering wheel during the twentieth century: the pedestrian space has expanded, the usage has changed, but not the form, in the absence of operative planning that has layered provisional upon provisional. Paradoxical as it is, even now, an important building constituent of the Colosseum is still largely under the asphalt. It is the so-called area of the great travertines, a ring surrounding the building with a thickness of 17.50 meters (as if a mineralized aura) paved with large slabs and marked by 136 perimeter stela about 1.90 meters high, also travertine, upon which, in all probability, with wooden barriers the crowds entering and exiting were directed.

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Monumentality and civil space The history of the Colosseum as an artifact is long and full of vicissitudes that have witnessed a continuous succession of use, forgetfulness and projects. Born as a great civil construction it retained its original function for almost five centuries, at least until 523, the date of the last documented spectacle (Rea, 2002). Then abandoned, used as a fortress, as an inexhaustible quarry of marble and travertine for the construction of papal Rome, a project to be turned into a spinning mill by Domenico Fontana, projects

tutti i percorsi che nel tempo innerveranno lo spazio urbano lungo le linee di fondovalle saranno forzati a uno stretto passaggio che ne lambisce la costruzio costruzione. Poi, con il progredire della velocità degli spostamenti e anche prima dell’era della motorizzazione, tutti gli interventi di sistemazione della valle si sono adoperati per rendere questo passaggio più fluido e scorrevole. Lo spazio finirà per essere disegnato esclusivamente dalle forme stondate della carrabilità stradale e dai suoi raggi di curvatura implacabili, funzionali all’automobile ma nemici del pedone, e fatalmente agevolati dalla forma sfuggente del monumento. Il processo si consolida nel ventennio con l’apertura della via del Mare, e nel dopoguerra resiste ancora un’ebbrezza futurista nel traffico che accarezza le arcate dell’icona storica nazionale; un ossimoro che vorrebbe assolvere il boom economico e il mito dell’automobile dai nefasti effetti collaterali sull’ambiente della modernizzazione del paese. Eppure, la bizzarra accoppiata si afferma, e ha una sua fortuna visiva che penetra nell’immaginario non solo dei romani: non c’è viaggio inaugurale di nuova utilitaria che non sia immortalato dalla foto rituale con i fornici di sfondo; e poi auto e motoraduni, torpedoni in visita, pubbliche benedizioni di taxi, autobus e tram Atac: tutto ciò che si muove su ruota, gommata o no, ha riservato per sé un momento di gloria all’ombra dell’anfiteatro. La crisi energetica nei primi anni ’70 segna un’inversione di tendenza, intervengono le prime limitazioni e chiusure con il pretesto dei danni provocati dallo smog. Con le forzate domeniche pedonali, in cui gli italiani sembrano riversarsi gioiosamente in strada per la prima volta, si riafferma l’idea che lo spazio di una grande città possa essere frequentato anche da corpi liberi di muoversi sulle proprie gambe; si sentono di nuovo le voci, e l’acqua che scorre dalle fontane. Eppure, anche se sembrano passati secoli da quando il traffico si divideva nei due sensi di marcia ai lati dell’Arco di Costantino, la valle del

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Fig. 5 - Giuseppe Gatteschi, disegno ricostruttivo dell’anello dei grandi travertini, 1913. Giuseppe Gatteschi, reconstructive drawing of the ring of the great travertines, 1913.

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Colosseo resta oggi sostanzialmente quella tracciata dal volante nel corso del Novecento: lo spazio pedonale si è ampliato, gli usi sono cambiati, ma non la forma, in un’assenza di progettualità operante che ha stratificato provvisorio su provvisorio. È paradossale, ma ancora oggi una componente edilizia importante del Colosseo è ancora in buona parte sotto la stesa di asfalto. Si tratta dell’area cosiddetta dei grandi travertini travertini, un anello che circondava l’edificio per uno spessore di 17,50 metri (quasi un’ un’aura mineralizzata) pavimentato a grandi lastre e segnato da 136 stele perimetrali alte circa 1,90 metri, anch’esse in travertino, su cui con ogni probabilità venivano gestite con transenne in legno le folle in ingresso e in uscita. Monumentalità e spazio civile La storia del Colosseo come manufatto è lunga e ricca di vicissitudini che hanno visto un continuo susseguirsi di usi, oblii e progetti. Nato come grande architettura civile, conserva la sua funzione d’origine per quasi cinque secoli, almeno fino al 523, data dell’ultimo spettacolo documentato (Rea, 2002). Poi l’abbandono, l’uso come fortezza, cava inesauribile di marmo e travertino per la costruzione della Roma papale, un progetto per la trasformazione in filanda dovuto a Domenico Fontana, progetti per la conversione in tempio cristiano, di Bernini, poi di Carlo Fontana, nella temperie controriformista che lo ricordava soprattutto come luogo di martirio (Panella, 1985). Poi di nuovo cava per la costruzione del Porto di Ripetta, e siamo così nel Settecento, all’alba della felice riscoperta dell’antico in cui il Colosseo assumerà una posizione centrale. A Roma, se il Pantheon è il luogo della continuità – un edificio sacro usato

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for its conversion into a Christian temple, by Bernini, then by Carlo Fontana, in the counterreformist climate that memorialized it above all as a place of martyrdom (Panella, 1985). Once more a quarry for the construction of the Port of Ripetta, and so we come to the eighteenth century, at the dawn of the happy rediscovery of the ancient in which the Colosseum will assume a central position. In Rome, if the Pantheon is the site of continuity – a sacred building so used uninterruptedly for 20 centuries – the Colosseum is rather an architecture of relevance, perhaps the most sensitive to the gaze that contemporaries turn towards the ancient and to which their vision of the world converges: a constantly updated mirror of extraordinary symbolic force, in which ideologies, aspirations, failures, contradictions are reflected. In more recent centuries the prevailing view is that of heritage. At the beginning, as Françoise Choay has pointed out correctly, cultural heritage has a constitutively public, collective and civil character, because it is made with the heritage of the assets of the crown and clergy made available to the French nation by the Revolution, with an eminently educational aim, to highlight the sense of belonging and regain possession of objects that are an integral part of one’s history (Choay, 1992). But as a national phenomenon, heritage has, at the same time, assumed an exquisitely political function, as an instrument of government and representation of power (Guzzo, 1993), at the same time feeding an elitist prejudice that would like to confine cultural phenomena to a higher sphere, separated from the everyday life of social and urban events; and, indeed, from these they should be strenuously defended. In Rome, the Colosseum and Forums are constantly at the center of this polarization – is as fertile as problematic – between the courtly and the popular, between the place of ordinary life and solemn rites, between the military parade and the Sunday stroll. Not surprisingly, it is Napoleon Bonaparte who inaugurates a new itinerary for this area, with the Campidoglio Gardens, extending from the Tabularium to the Circus Maximus and the valley of the Colosseum. The conception of this monumental system was perfectly in keeping with what has been defined as the system of luxury. “Luxury delineates an area in the city where to manifestly display the money lavished by the king or prince, and which is therefore a social area. On the one hand, the ostentation of wealth, which defines the very space of its exercise, gives rise to what may be called a monumental network. On the other hand, that is, outside the aforementioned space, is everything that the eighteenth century considered disorder. [...] The distinction between monumentalism and particularism constitutes, so to speak, an archaeology of the separation between public space and private space” (Teyssot, 2000). Later, in the same area chosen by Bonaparte, strongly characterized by the imposing nonChristian ruins, the Rome of 1870 will achieve its public image as a secular capital (Cellini, 2017). But the city of excavations (Sanfilippo, 1993), so laboriously brought back from the burial and abandonment of papal Rome, can not resist the needs of rapid mobility of the twentieth century, and that great void – experienced more as an impediment than a resource – is crossed by large thoroughfares for accessibility to the center. Private traffic – in Teyssot’s terms mentioned above – bursts into the public sphere, at the same compromising its monumental dimensions, its link

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Fig. 4 - Resti dell’area dei grandi travertini fotografati nel 1913. Ruins of the area of the great travertines photographed in 1913.

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Fig. 6 - Sovrapposizione dello Stagnum della Domus Aurea (da Carandini, 2012) alla planimetria di progetto del Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (2017). Overlapping of the Stagnum of the Domus Aurea (from Carandini, 2012) to the project plan of the Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (2017).

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A program-project for “the piazzas” of the ColColosseum In 2017, an interdisciplinary work group of the Department of Architecture at Roma Tre, appointed by the Archaeological Superintendence of Rome, drafted the Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (Layout plan for the monumental archaeological area of the Colosseum - Roma Tre et al., 2017). The objectives of the task included the reorganization of facilities, accesses and visitor flow, improvement the use and knowledge of the monuments and sites of archaeological interest and to ensure the architectural quality of the area via the definition of guidelines for the realization of subsequent design competitions. Considerations on the complex nature of the context led the group to establish the work with a broad territorial vision and the necessary historical depth to define an overall framework in which to situate the modifying interventions. The Plan was thus organized into a first section of thematic studies used as a reference: ancient history and more recent ones regarding the construction of the capital; the analysis of the features and the conflicts recorded in the inhabited city, constructed between the nineteenth and twentieth centuries; the untapped potentials of the heritage of disused public assets; the possible reorganization of accessibility in harmony with the planned

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come tale ininterrottamente per 20 secoli –, il Colosseo è piuttosto un’architettura dell’ dell’attualità, quella forse più sensibile allo sguardo che i contemporanei rivolgono all’antico e sulla quale fanno convergere la propria visione del mondo: uno specchio costantemente aggiornato dalla straordinaria forza simbolica, nel quale si riflettono ideologie, aspirazioni, fallimenti, contraddizioni. Nei secoli più recenti lo sguardo prevalente è quello patrimoniale. Da principio, come ha ben messo in luce Françoise Choay, il patrimonio culturale ha costitutivamente un carattere pubblico, collettivo e civile, perché si forma con l’eredità dei beni della corona e del clero che la Rivoluzione mette a disposizione della Nazione francese, con un fine eminentemente educativo, per marcare il senso di appartenenza e rientrare in possesso di oggetti che fanno parte integrante della propria storia (Choay, 1992). Ma in quanto fenomeno nazionale, il patrimonio ha assunto nello stesso tempo una funzione squisitamente politica, di strumento di governo e di rappresentazione del potere (Guzzo, 1993), alimentando parallelamente un pregiudizio elitario che vorrebbe i fenomeni culturali confinati in una sfera più elevata, separata dalla quotidianità dei fatti sociali e urbani; e che, anzi, da questi andrebbero strenuamente difesi. A Roma, Colosseo e Fori sono costantemente al centro di questa polarizzazione – fertile quanto problematica – tra l’aulico e il popolare, tra il luogo della vita ordinaria e il rito solenne, tra la parata militare e la passeggiata domenicale. È Napoleone Bonaparte, non a caso, che inaugura un nuovo corso per quest’area, con il Giardino del Campidoglio, esteso dal Tabularium al Circo Massimo e alla valle del Colosseo. La concezione di questo sistema monumentale era perfettamente aderente a ciò che è stato definito sistema del lusso. “Il lusso isola nella città un’area che ha il compito di mettere in mostra il denaro profuso dal re o dal principe, e che è dunque

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with the living city, and its original civil function.

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Fig. 7 - Intorno al Colosseo, 2017. Around the Colosseum, 2017.

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Fig. 8 - Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (2017), schema generale. Layout plan of the monumental archaeological area of the Colosseum (2017), general plan.

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un’area sociale. Da un lato, l’ostentazione del fasto, che definisce lo spazio stesso del proprio esercizio, dando luogo a quella che si potrebbe definire una rete monumentale. Dall’altro, al di fuori cioè dal suddetto spazio, tutto ciò che il Settecento considerava disordine. […] La distinzione tra monumentalismo e particolarismo costituisce per così dire un’archeologia della partizione tra spazio pubblico e spazio privato” (Teyssot, 2000). Più tardi, sulla stessa area prescelta da Bonaparte, fortemente segnata dagli imponenti ruderi non-cristiani, la Roma del 1870 centrerà la propria immagine pubblica di capitale laica (Cellini, 2017). Ma la città degli scavi (Sanfilippo, 1993), così faticosamente sottratta agli interri e all’abbandono della Roma papale, non resiste alle esigenze di rapida mobilità del Novecento, e quel grande vuoto – vissuto più come un impedimento che come una risorsa – viene attraversato da grandi arterie di scorrimento per l’accessibilità del centro. Il traffico privato – nei termini di Teyssot prima richiamati – irrompe nella sfera pubblica, compromettendone al contempo la dimensione monumentale, il legame con la città vivente e l’originaria funzione civile. Un programma-progetto per “le piazze” del Colosseo Nel 2017 un gruppo di lavoro interdisciplinare del Dipartimento di Architettura di Roma Tre ha redatto il Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (Roma Tre et al., 2017) su incarico della Soprintendenza Archeologica di Roma. Gli obiettivi del lavoro hanno riguardato la riorganizzazione delle attrezzature, degli accessi e dei flussi di visitatori, per migliorare la fruizione e la conoscenza dei monumenti e dei siti di interesse archeologico e per assicurare

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interventions on the urban transport system; the dynamics of visitor flow. A second section illustrates the objectives and strategies relating to the area of the Colosseum and the network of urban routes that connect it to the inhabited city. Eleven project and specification sheets contain guidelines for the proposed interventions. In addition, two specific contributions highlight the effects of implementing the Plan on the transformations of the organization of visitor flow and on the socio-economic system. The plan of the transformations described below, with the relative illustrations, is one of the planning effects of the Layout Plan and – of the project sheets mentioned – refers to the one that modifies the areas in the immediate vicinity of the monument. It may seem too trivial, but what is missing more than anything else around the Colosseum is space. Monumental space, space for the six million annual visitors who visit it and for their daily management, space to reestablish a network of urban itineraries that today makes the valley an unnavigable valley. The most famous building of the ancient world in fact is not visible in its entire dimension and structural consistency: as mentioned before, in fact, the ring of the great travertines, which in ancient times surrounded the amphitheater, still lies largely below via Celio Vibenna and the tract of street that connects via dei Fori Imperiali to via Labicana. From the re-emergence of this vital space, the Plan intends to once more begin

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la qualità architettonica dell’area attraverso la definizione di linee guida per lo svolgimento di successivi concorsi di progettazione. Le riflessioni sulla natura complessa del contesto che precedono hanno portato il gruppo a impostare il lavoro con un’ampia visione territoriale e con la necessaria profondità storica per definire una cornice d’insieme dove collocare gli interventi di trasformazione. Il Piano è stato così organizzato in una prima sezione di approfondimenti tematici assunti come riferimento: la storia antica e quella più recente legata alla costruzione della città capitale; l’analisi dei caratteri e dei conflitti registrati nella città abitata, edificata tra Ottocento e Novecento; le potenzialità inespresse del patrimonio di beni pubblici dismessi; la possibile riorganizzazione dell’accessibilità in sintonia con gli interventi programmati sul sistema dei trasporti urbani; le dinamiche dei flussi di visitatori. In una seconda sezione sono invece illustrati gli obiettivi e le strategie riferite all’area del Colosseo e alla trama di percorsi urbani che lo connettono alla città abitata. Undici schede progettuali contengono le linee guida per gli interventi proposti. Inoltre, due contributi specifici evidenziano le ricadute delle trasformazioni in attuazione del Piano sull’organizzazione dei flussi di visitatori e sul sistema socioeconomico. Il programma delle trasformazioni descritto qui di seguito, con le relative illustrazioni, è uno dei risultati progettuali del Piano di assetto e – tra le schede a cui si è accennato – si riferisce a quella che riconfigura le aree nelle immediate adiacenze del monumento. Può sembrare fin troppo banale, ma ciò che più di ogni altra cosa manca intorno al Colosseo è proprio lo spazio. Spazio monumentale, spazio per i sei milioni di visitatori annui che lo visitano e per la loro gestione quotidiana, spazio per riannodare una rete di percorrenze urbane che oggi fa della valle un vallo invalicabile. L’edificio più noto del mondo antico in realtà non è visibile nella sua intera dimensione e consistenza edilizia: come

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to give the Colosseum a renewed role of civil architecture. A layout plan, by its nature, cannot and does not intend to suggest pre-established forms, but it is important to take note: the re-emergence or reconstitution of the entire ring of great travertines shifts the theme of what happens around the Colosseum by 17.5 meters. Outside the ring, if a process of progressive and substantial mitigation of motorized traffic is accepted, inevitable will be a similar, progressive abandonment of the curvilinear forms, of materials, objects, figurative and landscape displays that marked the motorization phase. In antiquity, the Colosseum was surrounded by a tri or quadri-porticus, that is, it was inserted inside a space which we can imagine with good probability and approximation as rectangular, as rectangular was the Neronian water mirror which it substituted. The complex urban events that have determined the current surrounding conditions make restoration unthinkable. However, in the abstract, the rectangle retains its narrative usefulness in defining the transformative potential of this space, since the four sides of the reservoir must connect with quite different situations in topography as well as in formative history. Therefore, despite the impossibility of pre-establishing forms, and on the difficult terrain of a non-prescriptive prefiguration, in the Plan the idea of a virtually rectangular space, with rectilinear and sharp edges, remains, which allows us to imagine an articu-

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Fig. 8 - Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (2017), il complesso degli interventi di ridisegno e riconnessione degli spazi pubblici. Layout plan of the monumental archaeological area of the Colosseum (2017), the complex of redesign and reconnecting public spaces.

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Fig. 9 - Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (2017), programmaprogetto delle nuove piazze (quota urbana). Layout plan of the monumental archaeological area of the Colosseum (2017), program-project of the new piazzas (urban level).

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Fig. 10 - Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (2017), programmaprogetto delle nuove piazze (quota del monumento). Layout plan of the monumental archaeological area of the Colosseum (2017), program-project of the new piazzas (monument level).

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già accennato infatti, l’anello dei grandi travertini travertini, che circondava in antico l’anfiteatro, giace ancora in buona parte al di sotto di via Celio Vibenna e del tratto di strada che congiunge via dei Fori Imperiali a via Labicana. Dalla riemersione di questo spazio vitale il Piano di assetto intende ripartire per ridare al Colosseo un ruolo rinnovato di architettura civile. civile Un piano di assetto, per sua natura, non può e non intende suggerire forme precostituite, ma è necessario prendere atto di questo dato: la riemersione/ricostituzione dell’intero anello dei grandi travertini sposta di 17,50 metri più in là il tema di ciò che accade intorno al Colosseo. Oltre l’anello, se si accetta un processo di progressiva e sostanziale mitigazione del traffico veicolare, appare inevitabile un analogo, progressivo abbandono delle forme curvilinee, dei materiali, dell’oggettistica, degli apparati figurativi e paesaggistici che hanno segnato la fase della motorizzazione. In antico, il Colosseo era circondato da un tri o quadri-portico, era cioè inserito all’interno di un invaso che con buona probabilità e approssimazione possiamo immaginare di forma rettangolare, come rettangolare era lo specchio d’acqua neroniano di cui ha preso il posto. Le complesse vicende urbane che hanno determinato le attuali condizioni al contorno ne rendono impensabile un recupero. Tuttavia, in astratto, il rettangolo conserva una sua utilità narrativa nel definire le potenzialità trasformative di questo spazio, in quanto i quattro lati dell’invaso devono raccordarsi con situazioni affatto diverse sia per topografia, sia per storia formativa. Perciò, pur nell’impossibilità di precostituire forme, e sul difficile terreno di una prefigurazione non prescrittiva, nel Piano di assetto l’idea di un invaso virtualmente rettangolare, dai bordi rettilinei e spigolosi, resta, e consente di immaginare un sistema articolato di spazi civici dialoganti con la città abitata. Il lato nord è in realtà un grande pezzo di città incompiuta, esito di numerose

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lated system of spaces civic that dialogue with the inhabited city. The north side is actually a large piece of an incomplete city, the result of numerous unfinished urban operations, a portion of compact Umbertine fabric badly connected both with the minute texture of the paths of the Rione Monti and with the green spaces and archaeological remains of Colle Oppio (Caudo, 2020). Furthermore it is the side most damaged by the insertion of the metro station and the excavation of the Velia to make way for via dei Fori, not corrected by Antonio Muñoz’s palliatives. Here the theme is essentially that of harmonizing the function of viewing the Colosseum (it is the place from close range in which the full scale of the complete building is most appreciated) with the necessary reconnection of the heights and network of historical routes, in the line inaugurated in 2001 with the belvedere bridge designed by Francesco Cellini. The east side marks the border of the most populated neighborhood in the area – memory of the east-west transit axis – of the Colosseum which features a narrow sidewalk, moreover permanently occupied by bar tables. On this front, the potential for decisive mitigation of motorized traffic, which has already begun on via dei Fori, is perhaps the most evident and immediate. The urban space that could be recovered from the reduction of the motor lanes is comparable, in width and length, to that of Piazza Navona, and with the possibility of creating a large staircase

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operazioni urbane incomplete, un brano di tessuto umbertino compatto mal connesso sia con la trama minuta dei percorsi del Rione Monti sia con gli spazi verdi e i resti archeologici del Colle Oppio (Caudo, 2020). È inoltre il fronte più guastato dall’inserimento della stazione della metropolitana e dal taglio della Velia per l’apertura di via dei Fori, non sanato dai palliativi di Antonio Muñoz. Qui il tema è essenzialmente quello di armonizzare la funzione di affaccio sul Colosseo (è il luogo da cui più si apprezza, da una distanza ravvicinatissima, il fuori scala dell’edificio completo) con la necessaria riconnessione delle quote e della rete delle percorrenze storiche, nella linea inaugurata nel 2001 con il ponte belvedere progettato da Francesco Cellini. Il lato est segna il margine del quartiere più popolato dell’area – memoria dell’asse di passaggio est-ovest –, che si presenta sul Colosseo con un marciapiedi angusto, per di più stabilmente occupato da tavoli da bar. Su questo versante le potenzialità della decisa mitigazione del traffico veicolare, già iniziata su via dei Fori, sono forse le più evidenti e immediate. Lo spazio urbano che si potrebbe recuperare dalla riduzione delle carreggiate è confrontabile, in larghezza e lunghezza, con quello di piazza Navona, con la possibilità di realizzare una grande scalinata (potrebbe essere la più grande di Roma e ospitare migliaia di persone) per raccordare le due quote, e un passaggio di collegamento con il Ludus Magnus. Al di sotto di due terrazze laterali, vi sarebbe ancora spazio per accogliere servizi e attrezzature. Il lato sud ha una evidente vocazione di paesaggio. Anche in questo caso, l’incisione operata dal passaggio di via Celio Vibenna ha compromesso la continuità del declivio che raccorda il Celio e il ripiano imponente del Claudium con il bacino del Colosseo. Riducendo la carreggiata stradale, e confinandola sul lato a monte, c’è spazio per ricostruire la continuità del pendio ricoprendo in galleria la strada, che manterrebbe le stesse quote di quella attuale, e riproponendo una condizione analoga a quella primo-novecentesca, con la vegetazione che fa ombra fin sulla piazza del Colosseo. Al di sotto di questa pendice ricostruita potrebbe ancora trovare realizzazione il progettato centro servizi, ma all’interno di una dimensione paesaggistica che, se visualizzata a scala geografica, mostra questo intervento nodale come la punta più avanzata in città del grande cuneo verde del parco dell’Appia. Il lato ovest è quello che oggi più soffre i disagi funzionali dovuti alla pressione turistica e alla sovrapposizione dei flussi di provenienza (metro, bus su via di San Gregorio-arco di Costantino) con quelli di accesso al monumento e all’area del Palatino. Accanto alla necessaria redistribuzione dei carichi, degli accessi e delle provenienze da attuarsi a scala più vasta e su piani diversi e concomitan concomitanti (trasporti pubblici, politiche urbane, redistribuzione di funzioni, riutilizzo di patrimoni immobiliari), la realizzazione della recinzione sul filo del terzo anello “mancante” consentirebbe di posizionare diversamente gli ingressi al Colosseo, acquisendo all’interno del monumento uno spazio vitale di compensazione. Il riutilizzo dei “grottoni” al di sotto del tempio di Venere e Roma aprirebbe il fronte opposto al Colosseo (oggi caratterizzato da una cancellata continua) con un podio leggermente rialzato che amplierebbe lo spazio pubblico fruibile. Infine, una riconfigurazione della pavimentazione eliminerebbe ostacoli e recinti rendendo lo spazio della piazza aperto, fluido e adeguato alla sua funzione civile.

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(it would be the largest in Rome, accommodating thousands of people) to connect the two heights, and a connecting passage to the Ludus Magnus. Below two side terraces, there would still be space to house services and facilities. The south side has an obvious call to landscape. Also in this case, the cut made by the passage of via Celio Vibenna has compromised the continuity of the slope that connects the Celio and the imposing ledge of the Claudium with the basin of the Colosseum. By limiting the roadway, confining it on the uphill side, there is space to reconstruct the continuity of the slope by inserting the road in a tunnel, maintaining the same level as the current one, and re-proposing a condition similar to the early-twentieth century, with vegetation that would provide shade all the way to the piazza of the Colosseum. Below this reconstructed slope, the planned service center could still be built, but within the dimensions of a landscape which, viewed on a geographical scale, show this nodal intervention as the most advanced point in the city of an enormous green wedge of the Appia park. The west side is the one that today suffers most from functional inconveniences due to tourist pressure and the overlapping of the flux (metro, buses on Via di San Gregorio-Arco di Costantino) with those of access to the monument and to the Palatine area. Alongside the necessary redistribution of loads, accesses and sources to be implemented on a larger scale and on different

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Fig. 11 - Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (2017): a. veduta della piazza allo sperone Stern; b. veduta della gradinata verso via di San Giovanni in Laterano. Layout plan of the monumental archaeological area of the Colosseum (2017): a. view of the square at the Stern spur; b. view of the steps facing Via di San Giovanni in Laterano.

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Conclusioni Con un linguaggio descrittivo, e per certi versi astratto, il programma di trasformazione delle aree adiacenti il Colosseo è fondamentalmente un progetto di suolo, esito di una rilettura della morfologia del sito, passante per una revisione profonda della fase modernista che ha visto il monumento come sfondo di flussi di traffico veicolare (l’asfalto come parte per il tutto). L’obiettivo centrale è quello di evitare di ridurre il rapporto tra persona e monumento a una visita circoscritta e monodirezionale, riconducendolo alla molteplicità e alla variabilità delle prospettive proprie della città abitata. Il quadro teorico di riferimento dell’approccio seguito è quello di una ricerca ventennale condotta da chi scrive sui temi del rapporto tra progetto di architettura, archeologia e città, i cui capitoli salienti sono riportati in bibliografia. Ci si riferisce, in altri | Giovanni Longobardi | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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termini, a una visione che considera i luoghi patrimoniali non come monumenti isolabili, come la tradizione e la prassi della tutela obbligano in qualche modo a fare, ma come componenti del territorio tra altre: quindi introdotte in contesti fisici, socioeconomici, istituzionali e culturali che contribuiscono dinamicamente a determinarne le modalità di esistenza. Questa complessità comporta anche la difficoltà di progettare azioni fortemente radicate nel presente e nel quotidiano, che prevedano un graduale rientro dei luoghi più antichi della memoria urbana all’interno del territorio abitato.

and concurrent levels (public transport, urban policies, redistribution of functions, reuse of real estate assets), the construction of a wire fence on the third “missing” ring would allow the entrances to the Colosseum to be positioned differently, acquiring a vital compensatory space within the monument. The reuse of the “grottoni” below the temple of Venus and Rome would open the opposite face to the Colosseum (today characterized by a continuous fence) with a slightly raised podium that would enlarge the usable public space. Finally, a reconfiguration of the paving would eliminate obstacles and fences rendering the space of the square open, fluid and adequate for its civil functions. Conclusions With descriptive and somewhat abstract language, the transformation program of the areas adjacent to the Colosseum is basically a land project, the result of a reinterpretation of the morphology of the site, progressing onto a profound revision of the modernist phase which saw the monument as background to vehicular traffic flows (the asphalt as a part of the whole). The central objective is to avoid limiting the confined and unidirectional relationship between person and monument, restoring the multiplicity and variability of perspectives of the inhabited city. The theoretical reference framework for the approach followed is that of a twentyyear research conducted by the writer on the relationships between architectural design, archaeology, and the city, the salient chapters of which are reported in the bibliography. It refers, in other words, to a vision that considers patrimonial sites not as detachable monuments, as the tradition and conservation practices oblige us somehow to do, but as components of the territory among the others: therefore introduced into physical socioeconomic, institutional and cultural contexts, which dynamically contribute to determining the modalities of their existence. This complexity also entails the difficulty of planning actions strongly rooted in the here and now, and which provide for a gradual return of the more ancient sites of urban memory within the inhabited territory.

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Riferimenti bibliografici_References

Fig. 12 - Piano di assetto dell’area archeologica monumentale del Colosseo (2017), veduta della piazza tra la metro B e l’arco di Costantino. Sulla destra i “grottoni”. Sullo sfondo la ricostituzione del pendio del Celio con l’interramento di via Celio Vibenna. Layout plan of the monumental archaeological area of the Colosseum (2017), view of the piazza between metro B and the arch of Constantine. On the right, the “grottoni” and, in the background, the reconstruction of the Celio hillside with the landfill of via Celio Vibenna.

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urbanform and design Una unità elementare nella Valle dei

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_____ Premise “[…] the Europeans meet always the truth in the dialogue with their past. Past, for us, means not only a legacy or a cultural tradition but a basic anthropological condition. If we ignored our his-

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Renato Capozzi

DiARC, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli E-mail: renato.capozzi@unina.it

Federica Visconti

DiARC, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli E-mail: federica.visconti@unina.it

Premessa […] gli europei incontrano sempre la verità nel dialogo con il proprio passato. Per noi il passato non significa solo un’eredità o una tradizione culturale, ma una condizione antropologica di fondo. Se ignorassimo la nostra storia potremmo solo penetrare nel nostro passato in maniera archeologica. Il passato diventerebbe per noi una forma di vita distinta. (Agamben, 2013)

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Partendo dalla messa in questione di questa riflessione proposta da Giorgio Agamben, il saggio intende presentare una attività didattica e di ricerca avente ad oggetto la città archeologica di Agrigento. L’occasione didattica è quella della partecipazione al coordinamento nazionale dei Laboratori di Progettazione di prima annualità IncipitLab promosso dalla Università di Palermo che ha assunto come luogo del progetto un’area che, nella Valle dei Templi dell’antica Akragas,, fronteggia il Tempio di Zeus Olympeion. La città di Agrigento è stata studiata nella sua stratificazione temporale e spaziale, osservandola però sincronicamente, a partire dall’idea che essa sia il punto di accumulazione fisica e reale, nel presente, del tempo lungo di una storia millenaria: attraverso i consolidati strumenti della analisi urbana sono state indagate le forme della città greca, di quella ellenistico-romana, della città sviluppatasi sulla Rupe Atenea a partire dal Medioevo sino alle recenti espansioni che talvolta assumono i caratteri della dispersione insediativa. A partire quindi dal “riconoscimento” delle forme della città, il progetto ha affrontato il tema della costruzione di una “unità elementare” che sia teoricamente ripetibile ma dotata di una sua finitezza, proponendo in tal senso una idea di città che sostituisse all’isolato della città compatta la “parte elementare”, magari intervallata da brani di natura (Neri, 2014). Il riferimento esplicito è a teorie e sperimentazioni che propongono, come alternativa alle forme della città della storia in cui il rapporto tra tipologia edilizia e morfologia urbana è quello basato sull’isolato e la strada è il luogo di affaccio privilegiato degli edifici, una ripresa di alcuni principi del “progetto incompiuto” della città moderna fondato invece su una unità minima più complessa, dal punto di vista morfologico e tipologico, oltre che talvolta funzionale, costituita da più oggetti architettonici in relazione reciproca tra loro. La parte elementare, come l’isolato, rappresenta anch’essa, in una ipotesi di costruzione della città, una unità ripetibile ma il suo carattere di finitezza formale implica una ipotesi di ripetizione che dia valore allo spazio “tra le cose” attraverso intervalli naturali che rendano chiara la compiutezza di ciascuna parte. Il vuoto, all’interno della “parte” e tra le parti, assume un ruolo non più residuale ma strutturante la forma della città. Il progetto vuole realizzare una di queste “parti elementari” – qui solo teoricamente ripetibile – e ambisce, quindi, alla costruzione di una agorà/foro che sia capace di tenere insieme il “modo della delimitazione”, sui lati lunghi, con quello dell’apertura, sui lati corti ma, ad una scala più ampia, di stabilire relazioni a distanza con il Tempio di Zeus e con quello di Ercole, in una sorta di triangolazione di natura topologica (fig. 1).

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Abstract The essay proposes a reflection on a possible way of the contemporary inhabiting based on the idea of the elementary unit as formally defined part that, in its finitude, opens itself to the possibility not so much of an enlargement in continuity but of a repetition, if interposed by natural gaps, within an hypothesis of “city by islands” or “archipelago-city”. This idea was developed through a didactic activity of two Architectural Design studios in the Department of Architecture of Federico II University of Naples. The pretext of this work is the participation of the two studios to the national network of the first-year Laboratories of Architectural Design IncipitLab, promoted by the University of Palermo, that proposed, in a partially different way if related to the previous academic years, a comparison not on the same theme but on a shared place. The study-area is the Valle dei Templi of the ancient Akragas – the Greek name of the ancient Agrigento – whose characteristics were investigated through codified tools of urban analysis, widening the gaze to the territory where the valley is an absolute singularity, moreover exactly in the dialogue with the modern city on the Girgenti hill and, above all, with an exceptional landscape condition that not even the insensitive man hand was able to completely cancelled. The project-area is a squared platform, with a side of sixty meters, in a strict relationship to the west with the ruins of the Temple of Zeus, to the north with the traces of the insulae and to the south with the Temple of Hercules. Here the theme of the construction of an “elementary unit” has been tackled, a kind of agora/forum able to join the “way of delimitation” and that of openness, establishing, at a wider scale, a relation at distance with the huge archaeological artefacts in a sort of triangulation of topological type. A work that, even if not intervening in the living body of the city, represents a reasoning on the urban forms used by “analogy”.

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.008

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Keywords: archaeology, analogy, elementary part, Agrigento

Templi di Agrigento

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Fig. 1 - L’unità elementare e la relazione con i templi. Schizzo di Renato Capozzi. The elementary unit and the relationship with the Temples. Sketch by Renato Capozzi.

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Il lavoro che si intende presentare dunque non interviene nel corpo vivo della città ma prova a riportare vita in quella archeologica e, soprattutto, costituisce un ragionamento sulle forme dell’urbano utilizzate secondo “analogia” ricordando, ancora con Agamben, che “l’analogia è il dispositivo che, in ogni antinomia e aporia, mostra la loro logica inconciliabilità e, allo stesso tempo, rende possibile non tanto la loro composizione ma il loro spostamento in avanti e la loro trasformazione” (Agamben, 2004). Architettura e archeologia Intervenire con il progetto contemporaneo all’interno di un’area archeologica, richiede di rendere esplicita la posizione teorica di riferimento relativa al rapporto tra queste due discipline. La relazione, sempre più stringente e a volte conflittuale, tra architettura e archeologia rende necessaria una riflessione sull’archè quale comune radice condivisa dai due saperi (Capozzi, 2011a; 2020). L’architettura costruisce l’archè attraverso la tèchne e contemporaneamente, nel suo definirsi, rimanda all’origine come fondamento. L’origine diviene dunque scaturigine di nuovi assetti formali, di nuovi costrutti, di nuovi spazi in vista e rivolti all’abitare dell’uomo. L’archeologia, dell’archè, indaga e discute l’evoluzione, la stratificazione, la costituzione, la ragione: la conoscenza dell’origine si applica alla sua restituzione, al chiarimento per l’oggi degli antichi assetti, accertati o ipotizzati per analogia con altri, delle modificazioni occorse nel tempo. Le due discipline, pur condividendo la medesima radice, hanno quindi finalità differenti: la prima si rivolge all’origine per rifondarla ogni volta, la seconda la descrive con acribia e rigore scientifico. Ambedue

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tory, we could only go deeply in our past in an archaeological manner. The past would become a distinct form of life for us” (Agamben, 2013). This reflection proposed by Giorgio Agamben will be discussed in this essay presenting a research and didactic activity that interested the archaeological city of Agrigento. The participation to the national network of the first-year Architectural Design studios IncipitLab promoted by the University of Palermo has been the occasion in order to select, as place for the project, in the Valle dei Templi of the ancient Akragas, an area facing the Temple of Zeus Olympeion. The city of Agrigento has been studied in its temporal and spatial stratification, however observing it synchronically considering the city as the real and physical point of accumulation, in the present, of the long time of a millenary history: using codified tools of urban analysis, the form of the Greek city, of that Roman-Hellenistic, of the city developed on the in the Medieval age up to the recent settlements that sometimes assume the characters of the widespread city were investigated. Therefore, starting with the “recognition” of the city forms, the project tackled the theme of the construction of an elementary unit, repeatable but having an own finitude, thus proposing an idea of city able to replace the block of the compact city with the “elementary part”, perhaps interspersed by natural gaps (Neri, 2014). The explicit reference is to theories and urban pro-

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jects that propose a revival of some principles of the “unfinished project” of the Modern city, as an alternative to the forms of the historical city where the relationship between building typology and urban morphology is clearly based on the block and the street is the privileged overlooking place for the buildings. The modern city is based on a more complex, from the morphological and typological point of view, as well as sometimes functional, minimum unit consisting of several architectural objects in reciprocal relationship. The elementary part, like the block, also represents, in a hypothesis of urban construction, a repeatable unit but its feature of formal finiteness implies a hypothesis of repetition that gives value to the space “between the things” through natural intervals that make clear the completeness of each part. The void, within the “part” and between the parts, assumes a role that is no longer residual but structuring the form of the city. The project aims to realize one of these “elementary parts” – here only theoretically repeatable – and to build an agora/forum able to join the “way of delimitation”, along the long sides, and that of openness, along the short sides, but, at a wider scale, establishing a relation at distance with the Temples of Zeus and Hercules in a sort of triangulation of topological type (Fig. 1). Thus, the work described in the essay is not in the living body of the city but aspires to bring again the life in the archaeological city and, above all, represents a reasoning on the urban forms used by “analogy”, following again Agamben that stated «The analogy is the device that, in every antinomy and aporia, shows their logical irreconcilability and, at the same time, makes possible not so much their composition but their moving forward and transformation» (Agamben, 2004).

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Fig. 3 - Agrigento e il suo patrimonio archeologico. Schwarzplan. Agrigento and its archaeological heritage. Figure-background plan.

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sviluppano – su quell’inizio e su quell’inaugurare – una conoscenza. L’architettura conosce attraverso il progetto e quindi la trasformazione dell’esistente riassunto come materia dell’operare, l’archeologia conosce attraverso la descrizione e la catalogazione di ciò che disvela. Entrambe usano, per la descrizione della realtà che indagano, il disegno come strumento essenziale di indagine. Il disegno è, nelle due discipline, la modalità inquirente del reale per trasformalo o per descriverlo. Trasformazione e descrizione potrebbero utilmente qualificare queste due discipline nei loro autonomi modi di procedere nel campo della conoscenza. Quando l’oggetto di osservazione su cui esse si appuntano, al di là del senso originario dell’archè, è proprio la rovina, la testimonianza antica a noi pervenuta o disvelata o anche solo tramandata, le due modalità conoscitive si incrociano e si intersecano essendo l’una il presupposto dell’altra ma anche l’una la spiegazione o anticipazione dell’altra. Non si può, infatti, intervenire sulle vestigia antiche senza una fondata conoscenza archeologica così come non si può ipotizzare un assetto formale quasi illeggibile senza l’esperienza della tradizione architettonica e non si possono rendere visibili talune spazialità corrispondenti ad alcune tracce senza l’apparizione del nuovo. Non si può, in altri termini, riconoscere un ordine preesistente senza fondarne un altro, in accordo o in contrasto col precedente, messo in tal modo in valore. Non si può proseguire nella conoscenza della natura delle forme senza passare attraverso un’anatomia delle forme del passato, della lezione che esse incorporano, delle regole che sottendono. Come diceva Pavese “lo stupore vero è fatto di memoria non di novità”. Nulla si dà ex nihilo, l’architettura costruisce sulla sua tradizione le ragioni del suo incessante rinnovamento, dà valore alle antiche vestigia se è capace di (ri)-metterle in gioco, se riesce a ricomprenderle in nove sed antique sintassi correlative di tipo analogico. L’architettura ha

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Architecture and archaeology Working through the contemporary project in an archaeological area requires to make explicit the theoretical position related to the relationship between these two disciplines. The relationship, increasingly strict and sometimes conflicting, between architecture and archaeology makes necessary a reflection on the arché as common root of the two forms of knowledge (Capozzi, 2011a; 2020). Architecture builds the archè through the tèchne and, in the same moment, through its definition, refers to it as a fundamental. The origin becomes source of new formal assets, of new constructions, of new spaces for the human inhabiting. Archaeology investigates the evolution of arché, its stratification, constitution and reason: the knowledge of the origin is finalised to its restitution, to clarify today the ancient arrangements of the modifications over the time, ascertained or supposed in analogy with others. The two disciplines, even if sharing the same root, have, thus, different goals: the first turns to the origin in order to found it every time, the second describes it with accuracy and scientific rigor. Both develop – from that origin and inaugurating – a knowledge. Architecture knows through the project and, thus, the transformation of the existing, reassumed as work material, archaeology knows through description and cataloguing of what it unveils. Both the disciplines use, for the description of the reality they investigate, the drawing as an essential tool of investigation. The drawing is, in the two disciplines, the investigative modality of reality in order to transform or to describe it. Transformation and description could usefully

Fig. 2 - Agrigento e il suo territorio. Straßenbau. Agrigento and its surroundings. Straßenbau.

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bisogno dell’archeologia per il suo rinnovamento e l’archeologia ha bisogno dell’architettura per spiegare il senso delle tracce che disvela.

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La fondazione di Ἀκράγας da parte di coloni della vicina Gela, a sua volta fondata dai cretesi o rodesi, risale al 581 a.C. (Carratelli, 1993). L’impianto ippodameo si colloca su un altopiano in prossimità della costa, stretto tra la rupe Atenea e il colle di Girgenti a nord e la collina dei templi a sud e prospettante sui due fiumi Akragas e Hypsas che, nel loro congiungersi verso il mare, definivano la forma del porto. In antichità durante la dominazione cartaginese, il periodo ellenistico e sino alla conquista romana nel 210 a.C., la città raggiuse un grande sviluppo fisico e demografico sino a presentare una popolazione di 200.000 abitanti, circoscritta da una murazione sviluppata su un perimetro di dodici chilometri: Pindaro la cantò come la “città la più bella fra quante son albergo per gli uomini”. Alla dominazione araba corrispose l’arroccamento sul colle di Girgenti che diede vita all’insediamento medioevale e moderno sviluppatosi sul crinale. La valle dei templi fu occupata in età tardo antica e alto medioevale da necropoli e catacombe cristiane e poi successivamente divenne luogo di produzione ceramica e di spoliatura e cavazione per la costruzione della città di Girgenti. La cosiddetta collina dei templi a sud, sul ciglio dell’altopiano, presentava una teoria di templi e edifici poli-cultuali connessi dalla via sacra: essa è caratterizzata dalla successione, da ovest a est, di sei manufatti religiosi di differente ruolo e consistenza posti in serie a presidiare il salto di quota verso la costa sul limite meridionale della città. Il tempio di Efesto, in stile dorico esastilo, costruito su un preesistente tempio risalente al VI sec. a.C., separato dalla collina e dal santuario delle divinità ctonie dal giardino della Kolymbetra,, rappresenta il limite occidentale della sequenza cui segue il complesso del tempio dei Dioscuri – per alcuni in realtà dedicato a Demetra e Persefone – posto sul ciglio della depressione del giardino dove si articola in numerosi manufatti e aree a carattere votivo, incluso un altare circolare, poste in relazione alla porta V. Ad est della porta si trova il cosiddetto tempio di Zeus, ridotto allo stato di rovina quasi irriconoscibile per essere stato usato come cava di materiali da costruzione (cava ( gigantum) e, peraltro, mai ultimato: si tratta di uno dei più grandi templi dorici d’Occidente costruito per glorificare la vittoria delle città greche di Sicilia su Cartagine del 480 a.C.. Il maestoso tempio era caratterizzato da un immenso crepidoma su cui si ergeva un inedito tempio pseudo-periptero con sette semicolonne sul fronte e quattordici sui lati lunghi collegate da un recinto murario ad accogliere i Telamoni. A dette semicolonne corrispondevano all’interno altrettanti pilastri fronteggianti una cella tripartita scoperta – come nel tempio di Apollo a Didima (Didymaion)) – con doppio antis per una altezza complessiva di ben diciotto metri. Verso est si collocava un amplissimo altare-ara posto in senso ortogonale alla direzione del tempio. Leggermente ruotato e discosto dall’altare e dal tempio di Zeus si colloca il tempio di Eracle, il più antico e meridionale dei templi greci di Akragas, un esastilo molto allungato fuori dal rapporto canonico (colonne sul fronte lungo = 2 x numero di colonne sul fronte corto +1). Ad est del tempio si dispone un altare monumentale e, ancora più a est, si trovano i resti di un tempio arcaico. Ancora verso est, paralleli e a una distanza progressivamente crescente, vi sono il tempio della Concordia (dei Dioscuri?) esastilo in rapporto canonico e, infine, il tempio di Giunone ancora esastilo con all’esterno, verso oriente, un ulteriore altare per i riti all’aperto. A nord del tempio di Zeus, in corrispondenza delle ultime propaggini delle insulae del tessuto alessandrino, si colloca in direzione N-S il ginnasium di età romana sotto Augusto, parzialmente cancellato dalla costruzione nel VII secolo d.C. di tre edifici adibiti a magazzini. Come è evidente tutta la storia degli insediamenti umani, dall’antichità fino alla età moderna, racconta, in quest’area, di una stretta relazione tra le forme urbane e la forma del suolo: già Polibio, che visitò Akragas nel II sec a.C., raccontava di una città in una condizione straordinaria tra il mare e le colline,

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La valle dei templi di Akragas e la città di Agrigento

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qualify these two disciplines in their autonomous ways of proceeding in the field of knowledge. When the object of observation on which the disciplines focus their interest, beyond the original sense of the archè, is precisely the ruin, the ancient testimony that has come down to us, unveiled or even just handed down, the two knowledge modalities cross and intersect, being one the presupposition of the other but also one the explanation or anticipation of the other. In fact, it is not possible to intervene on the ancient ruins without a well-founded archaeological knowledge, as well as it is not possible to hypothesize an almost illegible formal structure without the experience of the architectural tradition and it is not possible to make visible a certain, corresponding to some traces, spatiality without the appearance of the new. In other words, it is not possible to recognize a pre-existing order without founding another order, in continuity or in contrast with the previous that, thus, is put in value. It is not possible to go on in the knowledge of the nature of forms without going through an anatomy of the forms of the past, of the lesson they incorporate, of the underlying rules. As Pavese said, “the true amazement is made of memory, not of novelty”. Nothing is given ex nihilo,, architecture builds the reasons for its innihilo cessant renewal on its tradition, gives value to the ancient vestiges if it is able to (re)-put them into play, if it is able to include them in nove sed antique correlative syntaxes of analogical type. Architecture needs archaeology for its renewal and archaeology needs architecture to explain the meaning of the traces that unveils. Akragas and Agrigento: La Valle dei Templi and the city The foundation of Ἀκράγας by colons of the near Gela, in turn founded by the Cretans or Rhodians, dates back to 581 BC (Carratelli, 1993). The Hippodamian fabric is located on a plateau near the coast, between the rupe Atenea and the Girgenti hill to the north and the hill of the temples to the south and overlooking the two rivers Akragas and Hypsas that, in their joining towards the sea, defined the form of the port. In the ancient time, during the Carthaginian domination, the Hellenistic period and until the Roman conquest in 210 BC, the city reached a great physical and demographic development, up to have a population of 200,000 inhabitants, circumscribed by a city-wall developed on a perimeter of twelve kilometres: Pindaro sang it as the “most beautiful city among all that are inhabited by men”. During the Arab domination, the fortified construction on the Girgenti hill gave life to the medieval and modern settlement that was developed on the ridge. The valley of the temples was occupied, in the late-ancient and early medieval times, by Christian necropolis and catacombs and later became a place for ceramic production and for quarrying for the construction of the city of Girgenti. The so-called hill of temples, to the south on the edge of the plateau, presented a theory of temples and polycultic buildings connected by the sacred route: it is characterized by the succession, from the west to the east, of six religious artefacts of different role and consistency placed in series to guard the slope towards the coast on the southern edge of the city. The temple of Hephaestus, in hexastyle Doric style, built on a pre-existing temple dating back to the sixth century BC, separated from the hill and from the sanctuary of the chthonic divinities by the garden of Kolymbetra, represents the western limit of the sequence followed by

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Fig. 4 - L’unità elementare e la relazione con il tempio di Zeus. Schizzo di Renato Capozzi. The elementary unit and the relationship with the Temple of Zeus. Sketch by Renato Capozzi.

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circondata da fiumi e impreziosita da straordinarie architetture opportunamente “collocate” rispetto alla natura dei luoghi (Di Chiara, 2020). Questo rapporto è evidente e determinante soprattutto per gli edifici monumentali mentre la parte residenziale, nel periodo di massima espansione della città – il quartiere ellenistico-romano, la cui conoscenza archeologica è ancora molto da approfondire –, andrà ad occupare l’area in più dolce declivio da nord a sud stretta da tra i due versanti rocciosi dove sorgono i templi, a sud, e dove si insedierà la città medioevale, a nord (fig. 2). Le città antiche, greche prima e soprattutto romane poi, sono caratterizzate da un rapporto interscalare che lega la forma della casa a quella della parte elementare – l’insula – fino a definire la generale forma urbis, la “figura” complessiva dell’insediamento sul suo piano di appoggio che emerge con chiarezza dal disegno dello Schwarzplan (fig. 3). Ad Agrigento, il quartiere ellenistico romano è un sistema fondato su πλατεῖαι e στενωποί, strade nei due orientamenti della griglia ortogonale, che definiscono insule strette e allungate nella direzione nord-sud con la consueta dimensione stretta – circa 35 metri – che si riscontra anche altrove – a Napoli e a Pompei per esempio – e che è ragione della forma della casa antica (Visconti, 2017). Dal punto di vista della spazialità urbana, come rilevabile in un ipotetico Rotblauplan – disegno analitico che individua in rosso gli spazi dell’internità e in blu quelli dell’esternità – (Schröder, 2015) che ricostruisca, accanto a quella esistente in superficie, le forme della antica città oggi ctonia, Akragas sarebbe una città compatta e densa come lo è, più a nord, la Girgenti medioevale tuttavia molto diversa è la forma della città. All’impianto dotato di ordine geometrico della città antica – nella quale il rapporto tra morfologia urbana e tipologia edilizia delle case a peristilio determina la porosità del tessuto – fa da contrappunto una città in cui la forma generale è invece

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the complex of the temple of the Dioscuri – for some indeed dedicated to Demeter and Persephone – located on the edge of the depression of the garden where it is articulates in numerous artefacts and votive areas, including a circular altar, placed in relation to the gate V. To the east of the gate, there is the so-called temple of Zeus, today in an almost unrecognizable state of ruin for having been used as a quarry for building materials (cava gigantum)) and, moreover, never completed: it is one of the hugest Doric temples of West, built to glorify the victory of the Greek cities of Sicily over Carthage in 480 BC. The majestic temple was characterized by an immense crepidoma on which an unprecedented pseudoperipteral temple stood, with seven semi-columns on the front and fourteen on the long sides connected by a wall enclosure that welcomed the Telamons. The same number of pillars correspond to these semi-columns to the interior, facing an uncovered tripartite cell – as in the temple of Apollo in Didima (Didymaion) – with double antis of eighteen meters height. To the east, a very large altar was placed orthogonal to the direction of the temple. Somewhat rotated and away from the altar and the temple of Zeus, the temple of Heracles is, the most ancient and southern of the Greek temples of Akragas, a very elongated hexastyle temple outside the canonical ratio (columns on the long side = 2 x number of columns on the short side +1). To the east of the temple there is a monumental altar and,

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Fig. 5 - Planivolumetrico della unità insediativa con la casa collettiva. Disegno degli studenti del Laboratorio di Progettazione architettonica 2 (prof. F. Visconti con archh. E. Di Chiara, R. Esposito, F. Solaro) del Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura F. Aiello, G. Siano, G. Sperto. General plan of the settlement unit with the collective house. Drawing of the students F. Aiello, G. Siano, G. Sperto, Architectural Design Studio 2, Bachelor in Architecture, prof. F. Visconti with archh. E. Di Chiara, R. Esposito, F. Solaro.

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Fig. 6 - La relazione tra la casa collettiva e il Tempio di Zeus. Disegno degli studenti del Laboratorio di Progettazione architettonica 2 (prof. F. Visconti con archh. E. Di Chiara, R. Esposito, F. Solaro) del Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura S. Adinolfi e L. Checchi. The relationship between the collective house and the Temple of Zeus. Drawing of the students S. Adinolfi and L. Checchi, Architectural Design Studio 2, Bachelor in Architecture, prof. F. Visconti with archh. E. Di Chiara, R. Esposito, F. Solaro.

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determinata dalla condizione di insediamento in relazione al crinale con le caratteristiche forme tortuose dello Straßenbau a seguire le curve di livello. Le forme della città contemporanea sembrano invece incapaci sia di darsi un ordine geometrico che di relazionarsi alle forme della natura e si riducono a lottizzazioni su grandi isolati nei quali realizzare il massimo indice di sfruttamento fondiario o a configurazioni tipiche della dispersione insediativa. Nell’area prescelta dal coordinamento nazionale dei Laboratori di Progettazione di prima annualità IncipitLab, IncipitLab l’esercizio progettuale guarda, da un lato, proprio alla lezione della città antica ma, dall’altro, anche ad alcune teorie (Neri, 2014) seguendo le quali le forme insediative contemporanee dovrebbero poter stabilire un rinnovato rapporto con l’aperto naturale assumendo, d’altro canto, una finitezza formale in grado di opporsi alla condizione “informale” del nostro tempo. Unità insediativa L’area prescelta per l’esercizio progettuale da proporre agli studenti è quella di uno spalto quadrangolare di circa 60 metri di lato in stretta relazione a ovest con i resti del tempio di Zeus, a nord con le tracce delle insulae e, a sud, con il tempio di Eracle. Un’area attualmente già ampiamente artificializzata da interventi sostruttivi per ricavare dei locali di deposito e dove quindi non vi sono chiare evidenze archeologiche. Una vera e propria zolla che, nel regolarizzare e orizzontare il piano di campagna, misura sui quattro lati le differenze di quota o gli allineamenti con le aree e le presenze limitrofe e innanzitutto con il percorso che la limita a sud mettendola in relazione con il tempio di Eracle

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Fig. 7 - Pianta della unità insediativa. Disegno degli studenti del Laboratorio di Progettazione architettonica 2 (prof. F. Visconti con archh. E. Di Chiara, R. Esposito, F. Solaro) del Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura A. Lerusce e L. Marinelli. Plan of the settlement unit. Drawing of the students A. Lerusce and L. Marinelli, Architectural Design Studio 2, Bachelor in Architecture, prof. F. Visconti with archh. E. Di Chiara, R. Esposito, F. Solaro. even further to the east, there are the remains of an archaic temple. Still towards the east, parallel and at a progressively increasing distance, there are the temple of Concordia (of the Dioscuri?), hexastyle in canonical ratio, and, finally, the temple of Juno, still a hexastyle with to the east a further altar for the outdoors rites. To the north of the temple of Zeus, near the last traces of the insulae of the Alexandrian fabric, the Roman age gymnasium of the Augustus age is located in the N-S direction, partially cancelled by the construction, in the 7th century AD, of three buildings used as warehouses. It is evident that the whole history of human settlements, from antiquity to the modern age in this area, is related to a close relationship between urban forms and the shape of the ground: even Polybius, who visited Akragas in the second century BC, told of a city in an extraordinary condition between the sea and the hills, surrounded by rivers and embellished by extraordinary architectures appropriately “placed” with respect to the nature of the places (Di Chiara, 2020). This relationship is evident and decisive, above all, for the monumental buildings while the residential part, in the period of maximum expansion of the city – the Hellenistic-Roman quarter, whose archaeological knowledge is still much to be developed –, will occupy the area more gently sloping from north to south, narrow between the two rocky slopes where the temples rise, to the south, and where the medieval city will set-

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Fig. 8 - Vista a volo d’uccello della unità insediativa nella Valle dei Templi. Disegno degli studenti del Lab. di Progettazione architettonica 2 del Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura L. Sole e L. Marano, prof. F. Visconti con archh. E. Di Chiara, R. Esposito, F. Solaro. Perspective view of the settlement unit in the Valley of Temples. Drawing of the students L. Sole and L. Marano, Architectural Design Studio 2, Bachelor in Architecture, prof. F. Visconti with archh. E. Di Chiara, R. Esposito, F. Solaro.

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Fig. 9 - Planivolumetrico della unità insediativa con i ripari. Disegno degli studenti del Laboratorio di Composizione architettonica e urbana 1 (prof. R. Capozzi con archh. C. Sansò e N. Campanile) del Corso di Laurea in Architettura a ciclo unico A. Longobardi, P. Petillo. F. Tafuri. General plan of the settlement unit with the shelters. Drawing of the students A. Longobardi, P. Petillo, F. Tafuri, Urban and Architectural Composition Studio 1, single-cycle study course in Architecture, prof. R. Capozzi with archh. C. Sansò and N. Campanile.

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tle, to the north (fig. 2). The ancient cities, first the Greek and then, above all, the Roman, offer an inter-scalar relationship that links the shape of the house to that of its elementary part – the insula – up to the general forma Urbis, the general “figure” of the settlement on its background that emerges clearly from the drawing of the Schwarzplan (Fig. 3). In Agrigento, the Hellenistic-Roman district is a system based on πλατεῖαι and στενωποί, streets in the two directions of the orthogonal grid, which define narrow and elongated insulae in the north-south direction with the usual narrow dimension – about 35 meters – which is also elsewhere – in Naples and in Pompeii for example – and that is related to the form and the measurements of the ancient house (Visconti, 2017). From the point of view of urban spatiality, as can be seen in a hypothetical Rotblauplan – analytical drawing that identifies the spaces of interiority in red and those of exteriority in blue – (Schröder, 2015) defining not only the forms of the existing city but also of the today chthonic ancient city, Akragas could be a compact and dense city as it is, further north, the medieval Girgenti, however the form of the two city is very different. The geometric order of the ancient city – where the relationship between urban morphology and building typology of the peristyle houses determines the porosity of the fabric – is counterpointed by a city in which the general form is instead determined by the condition of settlement in relation to the ridge with the characteristic winding forms of the Straßenbau following the contour lines. On the other hand, the forms of the contemporary city seem unable to give themselves a geometric order or to relate to the forms of nature and are reduced to subdivisions of large blocks where the aim is to achieve the maximum index of land exploitation or to typical sprawl configurations. In the project-area chosen by the national network of the first-year Laboratories of Architectural Design IncipitLab, the design-task looks, on one hand, precisely at the lesson of the ancient city but, on the other hand, also at some theories (Neri, 2014) following which the contemporary settlement forms should be able to establish a renewed relationship with the natural openness assuming, at the same time, a formal finitude capable of opposing the settlement dispersion of our time.

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The settlement unit The area for the students’ project is a squared platform, with a side of sixty meters, in a strict relationship to the west with the ruins of the Temple of Zeus, to the north with the traces of the insulae and to the south with the Temple of Hercules. It is an area today almost completely artificial for the construction of a basement for warehouses and car parks thus, probably, free of archaeological remains. A real “plate” that, regularising and making horizontal the support plane, measures the differences in height on the four sides and the alignments with the conterminous areas and presences and first of all with the path that limited it to the south connecting it with the Temple of Hercules linked to the Temple of Zeus by a pedestrian bridge recently built with a questionable position after an architectural competition. The path parallel to the Temple of Zeus turns 90 degrees south, suddenly lowering in altitude and crossing a further diagonal path. The theme assumed to design this huge platform, has been the development of an elementary settlement unit able to define a further and autonomous polarity between the Temples

connesso al tempio di Zeus da un ponte pedonale recentemente realizzato a seguito di un concorso con una discutibile giacitura. Il percorso parallelo al tempio di Zeus piega di 90° verso sud abbassandosi repentinamente di quota e incrocia un ulteriore cammino diagonale. Il tema che è stato assunto per questa grande piattaforma è consistito nell’individuazione e messa a punto di una unità insediativa elementare che definisse una ulteriore e autonoma polarità tra il tempio di Zeus, quello di Eracle e le ultime propaggini dell’impianto ellenistico in prossimità del ginnasio (fig. 4). La forma generale dell’unità – potenzialmente ripetibile se intervallata da brani di natura ma non ampliabile data la sua finitezza – è data dal perimetro dello spalto. Tale figura concisa a sua volta viene tripartita in senso E-O a definire – mediante la proiezione del naos del tempio ed in riferimento con la grande ara – una ideale cella, assumendo la quota più bassa rinvenibile sul margine settentrionale, scoperta e incassata nel suolo che ne fissa l’ordine e la gerarchia dispositiva. Questo spazio centrale – come una sorta di agorà/foro – viene misurato da due portici emergenti, mediate il prolungamento delle strade provenienti da nord, e definito da ulteriori parti: a nord emergenti dal suolo e a sud collimanti con la quota del percorso secondo la proporzione A-2A-A. Tale unità ad ovest rappresenta una sostruzione dell’ara mentre a est si apre a registrare l’acclività del suolo regolarizzando le isoipse (fig. 5). L’unità inoltre, nel suo condensare un principio insediativo definito da unità finite, allude al principio compositivo della zolla teorizzato da Salvatore Bisogni riferibile alla costruzione di una unità distinta dalla natura che compone tra loro manufatti civili secondo un principio di giustapposizione o polare (Bisogni, 2011). La presenza della zolla modifica l’attuale spalto specializzandolo, erodendolo e, mediante alcune sue emergenze come i due portici paralleli e un manufatto più alto che si confronta

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Fig. 10 - Vista a volo d’uccello della unità insediativa nella Valle dei Templi. Disegno degli studenti del Lab. di Composizione architettonica e urbana del Corso di Laurea in quinquennale a ciclo unico M. Imbriani, A. Piccolo, D. Tolochnyy, prof. R. Capozzi with archh. C. Sansò and N. Campanile. Perspective view of the settlement unit in the Valley of Temples. Drawing of the students M. Imbriani, A. Piccolo, D. Tolochnyy, Urban and Architectural Composition Studio 1, single-cycle study course in Architecture, prof. R. Capozzi with archh. C. Sansò and N. Campanile.

of Zeus and Hercules and the last offshoots of the Hellenistic fabric near the gymnasium (fig. 4). The general form of the unit – potentially repeatable if interspersed with pieces of nature but not enlargeable due to its finiteness – is given by the perimeter of the platform. This succinct figure, in turn tripartite in the W-E direction defines – through the projection of the naos of the temple and with reference with the huge altar – an ideal uncovered cell, embedded in the ground that assumes the lowest level on the northern edge and fixes the general order and the hierarchy of the composition. This central space – as a sort of agora/forum – is measured by two emerging porticos through the extension of the streets coming to the north and defined by further parts: emerging from the ground to the north and collimating with the level of the path to the south in the proportion A-2A-A. This unit is a kind of substructure of the altar to the west while to the east it opens to register the acclivity of the ground regularizing the contour lines (fig. 5). Moreover, the unit alludes to the composition principle of the “plate” theorized by Salvatore Bisogni in condensing a settlement norm in defined parts that can be referred to the construction of an artificial unit opposed to the Nature that composes civil artefacts following a polar principle or of juxtaposition (Bisogni, 2011). The presence of the “plate” modifies the existing platform specializing it, eroding it. It makes more available the platform through the emerging parallel porticos and a higher artefact with the theoretical height of the Temple of Zeus and with the mirrored alignment of that of Heracles. Moreover, the “plate” is inhabited by some artefacts called to establish precise and selected relationships at distance and, lastly, makes possible the overlooking in the wide interior space (fig. 6). At the same time, the soil is again made artificial and constituted a further polarity in the sequence of the temples: the unit tries to take root on the ground and to accommodate and coordinate reactions and tensions that are established between the temples, the altar, the insulae and the landscape as a whole through measurements, alignments and positions. The “plate” as a whole aims to emblematize and synthesize, as in a metonymic synecdoche, the founding elements of the urban condition: tracks and fabrics, singularities and recurrences, ways of inhabiting, monuments, open spaces, places of representation, places of observation and resignification of the landscape.

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Fig. 11 - Collage con architetture miesiane su incisione del 1845. Disegno degli studenti del Laboratorio di Composizione architettonica e urbana 1 (prof. R. Capozzi con archh. C. Sansò e N. Campanile) del Corso di Laurea in Architettura a ciclo unico M. Imbriani, A. Piccolo, D. Tolochnyy. Collage with Mies’ building on engraving of 1845. Drawing of the students R. Iacolare, V. Pagliuca, F. Tafuri, Urban and Architectural Composition Studio 1, single-cycle study course in Architecture, prof. R. Capozzi with archh. C. Sansò and N. Campanile.

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con l’altezza teorica del tempio di Zeus e assumendo la giacitura specchiata di quello di Eracle, rende ancora praticabile il piano di imposta dello spalto, lo fa abitare da alcune presenze chiamate a statuire precise e selezionate relazioni a distanza ed, infine, consente l’affaccio nel grande invaso interno (Fig. 7). Al tempo stesso, ri-artificializzando il suolo e nel costituire una ulteriore polarità nella sequenza dei templi, l’unità tenta, attraverso le misure, gli allineamenti e le giaciture che desume dalle presenze archeologiche che la contornano, di radicarsi nel luogo assegnato e di accogliere e coordinare le reazioni e le tensioni a distanza che si stabiliscono tra i templi, l’ara, le insule e il paesaggio. La zolla, nel suo complesso, vuole infine emblematizzare e sintetizzare, come in una sinèddoche metonimica, gli elementi costituenti della condizione urbana: tracciati, tessuti, ricorrenze e singolarità, modi dell’abitare, monumenti, spazi aperti, luoghi di rappresentazione, luoghi di osservazione e ri-significazione del paesaggio. Tessuti e ripari L’unità insediativa elementare, come annunciato in premessa, è dunque capace di comporre il “modo della delimitazione” e il “modo dell’apertura” accogliendo, con la sua definizione formale e nella sua articolazione in parti, alcune destinazioni compatibili con il parco archeologico e operabili ai fini didattici: in questo modo la “parte” assume la complessità morfologica della città ordinando intorno a un vuoto centrale, occupato da elementi primari, un principio germinale di tessuto. Nelle due fasce a nord e a sud dell’agorà/foro, a emblematizzare il tessuto, si dispone una doppia teoria di case a patio di

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Fabrics and shelters The elementary settlement unit, as anticipated in the premise, is, thus, able to compose the “way of delimitation” and the “way of openness” accomplishing, in its formal definition and articulation in parts, some possible function related to the archaeological park and useful for the didactic experiment: in this way the “part” assumes the morphological complexity of the city ordering around a central void, occupied by primary elements, a germinal principle of fabric. In the two bands, to the north and south of the agora/forum, a double theory of patio-houses is placed: the houses are quadrangular (15x15 metres) with equal measurements and depth. The typology of the houses to the north is that of house with pastas in Olinto, with L shape, while the typology of the houses to the south is mostly that of italic domus that has a single body and a single overlooking, following the evolutionary scheme by Gianfranco Caniggia. The entrance to the houses, that are for the archaeologists en-

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forma quadrangolare (15x15 metri) e di misure e profondità costanti. Quelle a nord declinano il tipo della casa a pastas di Olinto di forma a L mentre quelle a sud prevalentemente quello della domus italica isorientata a corpo unico secondo lo schema evolutivo proposto da Gianfranco Caniggia. Gli ingressi alle abitazioni, destinate agli archeologi impegnati nella ricerca e nelle campagne di scavi nel sito, avvengono attraverso i percorsi N-S derivanti dal tracciato della città antica volendone in qualche modo rappresentare una riassunzione. Le coperture delle case a sud possono essere eventualmente rese praticabili e sistemate a giardino sino all’affaccio sull’invaso centrale protetto dal portico emergente. A partire da tale schema gli studenti hanno poi, mediante la selezione di alcuni referenti (la casa ad L di Ludwig Mies van der Rohe e quella ampliabile di Hilberseimer, la Ash Street House di Philip Johnson o la casa-padiglione progettata da Eduard Ludwig per la Expo di Bruxelles), proposto alcuni adattamenti e variazioni tese a sondare questa modalità specifica dell’abitare privato (fig. 7). Una modalità avita in cui la selezione attraverso un recinto di una determinata porzione del suolo rende la casa come un luogo/dispositivo di osservazione su/di questa “stanza incielata”, per riprendere una nota espressione di Gio Ponti, ricavata per escavazione. La casa non ha aperture dirette all’esterno a meno dell’uscio e definisce, in relazione alla sua parte scoperta, la disposizione degli ambienti e, attraverso il tetto e il sistema chiamato a sorreggerlo, i modi della sua costruzione. La serrata ripetizione di queste unità è sinteticamente rappresentata e riassunta nello spazio scoperto e incassato dell’agorà mediante i due portici che eccedono la contenuta altezza delle case e misurano lo iato dello spazio condiviso e pubblico in cui confluiscono i percorsi e che, da oriente, si può raggiugere mediante un sistema di rampe collocate ai lati della lama delle residenze collettive destinate a studenti o turisti. Questo manufatto allungato (10x37 metri) di altezza consistente ma conforme (16 metri) accoglie al piano terra – definito sovente da un portico a tutt’altezza – spazi collettivi, ristoro, info-point, bookshop, biglietterie e servizi e, ai piani sovrastanti, il sistema delle residenze studentesche o per turisti servite da un sistema a ballatoio; al piano attico una grande terrazza osservatorio è il luogo ove poter scorgere, da una posizione privilegiata e senza occlusioni, la valle, la sequenza dei templi, il mare e la collina di Girgenti con la città moderna (fig. 8). Anche per questo secondo esercizio – il progetto della casa collettiva – volto a sperimentare i modi possibili di questo abitare insieme e i sistemi di rappresentazione dei caratteri architettonici, gli studenti si sono avvalsi di alcuni referenti (Case a ballatoio di Luigi Cosenza in alcuni quartieri della periferia napoletana, La casa degli scapoli di Adalberto Libera al Tuscolano, il Padiglione svizzero a Parigi di Le Corbusier, la casa-albergo di Luigi Moretti a Milano, l’edificio a ballatoio di Giancarlo De Carlo per il Quartiere Fratelli di Dio a Sesto S. Giovanni) definendo, di volta in volta, anche i sistemi di raccordo tra lo spazio pubblico cavato dell’agorà e il piano inclinato quasi-naturale su cui la casa collettiva si installa. L’edificio, in qualche modo, monumentalizza questa condizione collettiva dell’abitare attraverso la sua singolarità, le dimensioni, l’altezza e la mixitè d’uso e rappresenta il dispositivo di ingresso allo spazio pubblico vero e proprio da cui è possibile risalire alla quota dei tetti, andare verso il ginnasio, contemplare ed eventualmente raggiungere il tempio di Zeus, entrare nello spazio, scoperto ma definito da un carattere di internità, e, allo stesso tempo, scorgere e traguardare la silhouette della collina di Girgenti posta a distanza. Questo spazio oblungo nel rapporto di 1 a 2,5 (60x24 metri) è presidiato da un riparo, da un novello Bouleterion, disponibile a molti usi: di riunione o anche di mero transito, espositivi, ricreativi. L’archetipo del riparo (Capozzi, 2012) che determina, nel suo sviluppo e specializzazione, il tipo ad Aula (Capozzi, 2011b) richiama alla primordiale condizione di possibilità trascendentale di un abitare collettivo indiviso, aperto alla natura e attraversabile con lo sguardo attraverso la selezione e la composizione tettonica di pochi e semplici elementi a partire da alcune figure regolari e ordinanti come il quadrato, il cerchio, il triangolo equilatero, la forma allungata. Il riparo contrapposto all’edificio collettivo – in alcuni schemi contrappuntato da un altro riparo differente per forma – vuole sostanziare un prodomo, un primordiale modo di esperire l’abitare pubblico (fig. 9). Nel suo

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gaged in the research and the excavation campaign on site, are through the N-S paths that follow the fabric of the ancient city of which they aspire to represent the re-assumption. The roof of the houses to the south could be make possibly viable and gardened accommodated up to the overlooking through the central space protected by the emerging portico. The students worked developing this scheme, through the selection of some references (“L” House by Ludwig Mies van der Rohe and the expandable house by Hilberseimer, the Ash Street House by Philip Johnson or the pavilion-house designed by Eduard Ludwig for Brussels Expo) then they proposed some adaptations and variations aimed to investigate this specific modality of the private inhabiting (fig. 7). An ancient modality in which the selection of a part of the ground through an enclosure makes the house a place/device of observation on/of this “room with a sky” – stanza incielata using the words by Gio Ponti – built through excavation. The house has not direct openings to the exterior except the door and defines, in relationship with its uncovered area, the disposition of the rooms and, through the roof and the system that support it, the ways of its construction. The close repetition of these units is synthetically represented and resumed in the uncovered and imbedded in the ground space through the two porticos that exceed the low height of the houses and measures the hiatus of the shared and public space where the paths arrived and that, to the west: this space is reachable with ramps placed laterally to the collective building for students or tourists. This elongated artefact (10x37 metres) of a coherent even if relevant height (16 metres) accommodates on the ground floor – often defined by a high portico – collective space, refreshment, info-point, bookshop, ticket-office and services and, on the other floors, the student or tourist house with a corridor typology; a large terrace-observatory is the place, on the attic floor, to look at the valley, the sequence of temples, the sea and the Girgenti hill with the modern city from a prime location and without obstacles (fig. 8). Again for this second didactic exercise – the collective house – for the experimentation of possible ways of this “inhabiting together” and the systems of representation of the architectural features, the students made use of references (corridor houses by Luigi Cosenza in the Neapolitan periphery, the bachelors’ house by Adalberto Libera in the Tuscolano district, the Swiss Pavilion in Paris by Le Corbusier, the hotel-house by Luigi Moretti in Milano, the corridor building by Giancarlo De Carlo in the Fratelli di Dio district in Sesto S. Giovanni) defining, time to time, also the system of connection between the public space of the agora and the incline almost natural on which the collective house is placed. The building, in some ways, makes monumental this collective condition of inhabiting through its singularity, dimensions, height and mixed use and represents the entrance device for the public space from which it is possible go up to the roof level, go through the gymnasium, contemplate and possibly reach the Temple of Zeus, go into the uncovered interior space and, at the same time, see and sight the silhouette of the Girgenti hill placed at a distance. This oblong space in the 1 to 2.5 ratio (60x24 meters) is handled by a shelter, by a new Bouleterion, available for many uses: for meetings, exhibition and recreation or even for mere transit. The shelter as archetype (Capozzi, 2012) that determines, in its development and specialization, the Hall-type (Capozzi, 2011b) recalls the

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primordial condition of a transcendental possibility of an undivided collective inhabiting, open to nature and crossable with the gaze through the selection and tectonic composition of a few simple elements starting from some regular and ordering figures such as the square, the circle, the equilateral triangle, the elongated form. The shelter, opposed to the collective building – in some schemes counterpointed by another shelter different in shape –, wants to substantiate a forerunner, a primordial way of experiencing public inhabiting (fig. 9). In its relationship with the natural, near or distant, or artificial condition, the combination of elements – support surface, pillars or columns, walls, beams, roof – can define different and combined spatial gradations: horizontally from open to closed – or in other words from the portico to the enclosure – and vertically from covered to uncovered – in other words from the roof to the truss. In this sense, the following triple combinations of pairs can be defined: open-covered; open-half covered; open-uncovered/semi-open-covered; half open-uncovered; half open-half covered/closedcovered; closed-half covered; closed-uncovered (fig. 10). These are ways of defining the margins of the interior space to which adequate elements can be associated to define its consistency or state of existence: the pillars for the open, the roof for the covered, the walls for the closed, the beams for the uncovered, the holes in the roof for the half-covered. A classification that indicates the selection of the forms and also allows to analyse and classify the exempla as “given forms”: the closed-half covered Pantheon, the half open-half covered Temple of Zeus, the opencovered Telesterion of Megalopolis and so on ... Also for the shelter, in the different shapes and spatial conditions assigned, the students selected some references by form (from the shelter in the wood by Asplund or from Heinrich Tessenow’s Festhalle in Rügen to Mies van der Rohe’s 50x50 house or to the dipteral Palestra of Limbiate by Antonio Monestiroli, up to the chapel of Andrew Bermann for the quadrangular shelters, or, for the triangular shape, to the Strukture by Baukunst group or, for the circular shape, to the 360visitor centre by E2A). The shelter represents in this way the monument and the reference of this elementary unit (fig. 11) that investigates the different ways of inhabiting, the repetition and the singularity, and thus becomes eponym, epitome, hypostasis and emblematic sample of the urban condition.

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rapporto con l’esterno naturale, in presenza o distante, o artificiale che sia la combinazione degli elementi – piano di posa, sostegni, muri, travi, copertura – può presentare differenti e combinate gradazioni spaziali che vanno, in senso orizzontale, dall’aperto al chiuso o se si vuole dal portico al recinto e, in senso verticale, dal coperto allo scoperto o se si vuole dal tetto alla travatura. In tal senso si possono presentare le seguenti combinazioni terne di coppie: aperto-coperto; aperto-semicoperto; aperto-scoperto/semiaperto-coperto; semiaperto-scoperto; semiaperto-semicoperto/chiuso-coperto; chiuso-semicoperto; chiuso-scoperto (fig. 10). Si tratta di modalità di definire i margini dello spazio interno cui associare adeguati elementi chiamati a definirne la consistenza o lo stato di esistenza: i pilastri per l’aperto, il tetto per il coperto, i muri per il chiuso, le travi per lo scoperto, le forature del tetto per il semicoperto. Una classificazione che indice la selezione delle forme e che consente anche di analizzare e classificare exempla, forme date, come ad esempio il Pantheon chiuso-semicoperto, il tempio di Zeus semiaperto-semicoperto, il Telesterion di Megalopolis aperto-coperto e così via… Anche per il riparo, nelle differenti forme e condizioni spaziali assegnate, gli studenti hanno selezionato alcuni riferimenti in ragione delle forme (dal riparo nel bosco di Asplund o dalla Festhalle di Rügen di Heinrich Tessenow alla casa 50x50 di Mies van der Rohe o alla Palestra diptera di Limbiate di Antonio Monestiroli, sino alla cappella di Andrew Bermann per i quadrangoli, o, per il triangolo, alla Strukture del gruppo Baukunst o, per la forma circolare, al 360visitor center di E2A). Il riparo rappresenta così il monumento di riferimento di questa unità elementare (fig. 11) che sonda i diversi modi dell’abitare, la ripetizione e la singolarità, e diviene per questo eponimo, epitome, ipostasi e campione emblematico della condizione urbana.

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urbanform and design Il Mandracchio di San Benedetto del

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The Mandracchio of San Benedetto del Tronto. Fragments of historicity along the Adriatic metropolis

Frammenti di storicità lungo la metropoli adriatica DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.009

Ludovico Romagni

Scuola di Architettura e Design “E. Vittoria”, Univ. degli Studi di Camerino, sede di Ascoli Piceno E-mail: ludovico.romagni@unicam.it

The history of San Benedetto del Tronto and its transformations is common to many of the locations of the “Adriatic city”; a continuous metropolis that, with a few interruptions, climbs up from the Gargano Peninsula to the delta of the river Po, creating very strong relationships between the hinterland and the river valleys that penetrate the Apennines. First, the transformation of the production economy into a market economy changed its settlement characteristics. Then, the economic and employment crisis put its very existence at risk. Today, seventy years later, its attractivity based exclusively on the sandy coast has come to an end. The “modern” tourism industry must be able to abandon the logic of permanence and temporality to welcome an integrated plan of urban regeneration. In this way, traces of the first historic centers can play a conscious role, even if situated in no “breathtaking” locations or with no extraordinary architectural features. These are the places that are perpetually suspended between crisis and recovery, fear and hope. Nonetheless, they are rich in experience and have a large resource heritage that the eyes of the architect can grasp to tell their story, investigate their raison d’etre and imagine their destiny by adopting a “secular attitude”, with no celebratory excesses, and neither ideological nor environmental prejudices (Cao, 2014).

La storia di San Benedetto del Tronto e delle sue trasformazioni racconta di una vicenda comune a molte delle località della “città adriatica”, una metropoli continua che, con poche interruzioni, dal Gargano sale su fino al delta del Po creando fortissime relazioni tra l’entroterra e le valli fluviali che si addentrano negli Appennini. Prima la trasformazione dell’economia di produzione in economia di mercato ne ha modificato i connotati insediativi, poi la crisi economica e occupazionale ne ha messo a rischio l’esistenza stessa. Oggi, dopo settanta anni, esaurita la carica attrattiva fondata esclusivamente sulla oramai ridotta lingua sabbiosa costiera, l’industria turistica “moderna” deve saper uscire definitivamente dalla logica della stanzialità e temporalità ed entrare nel vivo di un programma integrato di rigenerazione urbana dove anche le tracce dei nuclei storici fondativi, seppur privi di localizzazioni “mozzafiato” o qualità architettoniche straordinarie, possano giocare un ruolo consapevole. Luoghi perennemente sospesi tra crisi e rilancio, tra paura e speranza, eppure ricchi di un importante credito di esperienze e di un ampio patrimonio di risorse che gli occhi dell’architetto, raccontandone la storia, indagando le ragioni e immaginandone il destino con atteggiamento “laico”, senza eccessi celebrativi, ma neppure pregiudizi ideologici o ambientali deve sapere cogliere (Cao, 2014). Le recenti dinamiche del turismo di massa testimoniano come lo svago non vada esercitato necessariamente in un “altrove”, in uno spazio di finzione prodotto dalla fabbrica della vacanza. Luigi Coccia afferma che “in una nuova concezione del turismo la meta finale perde di valore e ad essa si sostituiscono le tappe, punti di stazione che contribuiscono a mettere in luce le varietà dei luoghi lungo l’attraversamento del territorio. Lo spazio dell’attraversamento rinnova la sua straordinaria importanza nella incessante risignificazione della forma del territorio e i vari punti di stazionamento sono ancora i luoghi della contaminazione e della ibridazione impresse nelle forme del costruito, che continuano a restituire in un’immagine quel confronto-scontro tra stanzialismo e nomadismo” (Coccia, 2012). Turismo significa evasione dalla quotidianità ma anche presa d’atto dello stato dei luoghi; è un indispensabile strumento di perlustrazione e quindi di appropriazione del territorio. L’itinerario del viaggio, le tappe successive, guidano l’osservatore verso una sequenza di immagini che si succedono lungo lo spostamento; nell’incedere, lo sguardo distratto della percezione dinamica costruisce un montaggio che non coglie il tutto ma attua una semplificazione degli elementi concentrando l’attenzione su alcuni e tralasciandone altri. Attraversando questa parte della metropoli adriatica difficilmente lo sguardo si sofferma sulle urbanizzazioni del turismo balneare realizzate negli anni ’50-’70 del secolo scorso, eredità consistente del fervore edilizio sul quale si è fondata la crescita miracolosa dell’Italia; si presentano come un “cluster” continuo dove solo alcuni interventi, opere di architetti prestigiosi, si distinguono dai moltissimi altri scaturiti esclusivamente da logiche speculative di mercato. Una sequenza infinita di episodi incompleti di “città sparsa”, dove la vitalità ciclica del turismo si sovrappone alle pratiche degli abitanti in transito. Nel tanto, nel troppo, nel tutto che si è costruito assistiamo alla necessità di elaborare nuove strategie di intervento architettonico e urbano derivate

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Keywords: tourism, history, typology, perception, landscape

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Abstract Tourism in the territories of the middle Adriatic still gravitates around the coastal strip; nonetheless, it begins to assume an exploratory essence. It is also directed towards authentic places different from the fictional space of the leisure industry. Territories and urban areas, previously abandoned or forgotten, inspire a new interest as guardians of an identity which challenges the building market homologation and speculative logic of the territory. Historic villages, convents, abandoned urban areas where a connection with outdated productive specificities is still present, are transformed into attractors of the tourist phenomenon where it is possible to experiment new architectural and urban strategies aimed at enhancing the specific qualities of local places.

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San Benedetto del Tronto e le sue trasformazioni L’urbanizzazione della zona litoranea che affaccia sul mare Adriatico coincide con la fase storica in cui l’abitato di San Benedetto supera la mura castellane e la popolazione comincia a vivere l’area della Marina, quella stessa area che per secoli si era limitata ad osservare dal Castello e non aveva mai utilizzato per paura dei pirati che con i loro legni minacciavano l’incolumità dei pescatori e compivano scorribande depredando e saccheggiando tutto quello che trovavano sul mare e lungo le spiagge. Dalla fondazione del paese, la popolazione sambenedettese aveva abitato esclusivamente all’interno delle mura castellane; solo a metà del 1600 con l’edificazione del sobborgo delle “Case Nuove”, si avvia lo sviluppo insediativo al di fuori del Castello nell’area a Nord del paese fortificato e successivamente, sul finire del XVIII secolo, inizia a prendere forma il quartiere Marina, già borgo S. Antonio, nella parte bassa del territorio comunale. Il piccolo borgo protetto dalle mura del Castello si apre verso la spiaggia tra-

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The recent dynamics of mass tourism has testified that leisure should not necessarily be exercised “elsewhere” – in a fictional space produced by the holiday industry. Luigi Coccia reports that “in a new conception of tourism the destination loses its value, and is replaced by stages, stations that contribute to highlight the variety of places while visiting the territory. The traveled area renews its extraordinary importance in a continuous new-meaning given to the shape of the territory. The various stopping places are still subject to contamination and hybridization, imprinted in the forms of the built. These forms still provide a feeling of confrontation-clash between sedentism and nomadism” (Coccia, 2012). Tourism means escaping from daily life but also acknowledging the state of places. It is an important tool of discovery and, hence, of appropriation of the territory. The journey itinerary and the following stages guide the observer towards a sequence of images that follow one another along the journey itself. While walking, the distracted passer-by gets a dynamic perception of the flowing of the images without capturing the whole integrity of the landscape, but grasps the surrounding elements by focusing on some details while overlooking others. When visiting this part of the Adriatic metropolis, it is hard to let gazes linger on the seaside tourism urbanization of the 1950s-70s. It is a consistent legacy of the building fervor on which the miraculous growth of Italy is based. It appears as a cluster, where only a few interventions of prestigious architects distinguished themselves from others who followed market speculative logics. There is an infinite sequence of incomplete episodes of “scattered cities”, where the cyclical vitality of tourism overlaps the practices of the inhabitants. Too much was built and there is the need to elaborate new architectural and urban intervention strategies derived from the comparison with the existing buildings. It is necessary to give back value to desolate and banal territories, characterized by a very disappointing built fabric, unfinished works and historical ruins. That is an urban scenario that Marc Augè (Augè, 2004) describes as a continuous construction site, where both the contemporaneity of the construction and the historical time of destruction, the ruins of yesterday but, above all, the rubble of today, coexist in a simultaneous and conflicting way. The city is seen as the place of rubble praising, where time must necessarily be an “indispensable project matter” (Di Domenico, 2014). Over time, the changing stories of a city must be accumulated, overwritten and errors must be exploited together with lack, fragments, inconveniences, while seizing the opportunities to enhance the residual space. This is a space “in between”, a pervasive fluid of the junk-space (Mastrigli, 2001) of post-modernity. The project rehabilitates abandoned spaces, often rich in memories, which are met along the way and, by occasionally finding yourself in an empty space, introduces new polarities and relationships. “The project applied to the territories of tourism, hence, assumes a circumstantial value, aiming to capture signs and traces which are to be critically reinterpreted in the formation of new spaces. At the same time, it also shows a relational quality by operating through the construction of connections, links between elements often located in extended spatial contexts” (Coccia, 2012). Even if it still gravitates around the coast, tourism assumes an exploratory essence and leans towards authentic places by transcending the atopic dimension which distinguishes the cur-

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dal confronto con ciò che esiste, col già stato, per ridare valore a quei suoli desolati, banali, caratterizzati da realizzazioni molto deludenti, da opere incompiute e rovine storiche. Uno scenario urbano che Marc Augè (Augè, 2004) descrive come un cantiere continuo in cui convivono, in maniera simultanea e conflittuale, sia la contemporaneità della costruzione che il tempo storico della distruzione, le rovine di ieri ma soprattutto le macerie di oggi. La città come il luogo dell’elogio della maceria dove il tempo deve necessariamente essere “materia irrinunciabile del progetto” (Di Domenico, 2014) su cui accumulare, sovrascrivere il testo mutevole della città, sfruttare l’errore, la mancanza, il frammento, l’inconveniente cogliendo le opportunità di valorizzazione dello spazio residuale, dello spazio “tra”, del fluido pervasivo dello junkspace (Mastrigli, 2001) della postmodernità. ll progetto riabilita spazi abbandonati, spesso ricchi di memoria, che si incontrano lungo il cammino e, agendo occasionalmente sullo spazio vuoto, introduce nuove polarità e relazioni “il progetto applicato ai territori del turismo assume dunque una valenza indiziaria, puntando a cogliere segni e tracce da reinterpretare criticamente nella conformazione di nuovi spazi; nel contempo esso mostra anche una qualità relazionale operando attraverso la costruzione di nessi, legami tra elementi spesso dislocati in contesti spaziali estesi” (Coccia, 2012). Pur continuando a gravitare sulla fascia costiera, il turismo assume una essenza esplorativa e si indirizza verso quei luoghi autentici capaci di superare la dimensione atopica che contraddistingue le attuali forme degli insediamenti ad esso dedicati. Oltre a valorizzare i punti riconosciuti e celebrati, le strategie progettuali operano anche sullo spazio dell’attraversamento esplicitandosi come infrastruttura del turismo, ossia come costruzione architettonica del percorso che in molti casi si traduce nella risignificazione, e dunque nel riuso, di alcuni tracciati viari, di piste dismesse, di parti urbane abbandonate. Rileggere e ricollocare questi spazi tra le architetture ereditate dal turismo balneare di massa in un discorso più esteso, dove tutti gli elementi che compongono il panorama modificato dei litorali contemporanei possano giocare un ruolo consapevole, costituisce un’opportunità inedita per intercettare le tante potenzialità di rigenerazione offerte dai luoghi già costruiti. È un esercizio progettuale che deve fondarsi su una conoscenza profonda del territorio per leggere e interpretare le sedimentazioni storiche che concorrono a determinare la forma dei luoghi. In questa stratificazione di segni l’attenzione si rivolge a tracciati viari o parti urbane storicizzate che in passato hanno avuto un ruolo fondativo nella costruzione degli insediamenti e che oggi, per effetto di un declassamento, hanno indebolito il ruolo. Il progetto ha quindi l’obiettivo di selezionare le parti strategiche e, riconoscendone un valore, ricercare relazioni e dispositivi progettuali in grado di reinserirli in una nuova condizione di uso. Esplorando questi luoghi si scopre un paesaggio dimenticato, tagliato fuori dagli itinerari più consueti e dalla velocità della bidirezionalità infrastrutturale.

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Fig. 1 - Vista del castello di S. Benedetto (sec. XVII). Fonte: Elaborato del Piano attuativo di riqualificazione e salvaguardia del patrimonio edilizio. View of the castle of S. Benedetto (17th century). Source: Elaboration of the implementation plan for the redevelopment and safeguard of the building heritage.

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Fig. 2 - S. Benedetto in una acquaforte dell’800. Fonte: Elaborato del Piano attuativo di riqualificazione e salvaguardia del patrimonio edilizio. S. Benedetto in an etching from the 19th century. Source: Elaboration of the implementation plan for the redevelopment and safeguard of the building heritage.

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sformandosi progressivamente in “borgo di mare” non solo occupando i territori lungo la linea di costa ma anche cogliendo le nuove prospettive sociali e produttive offerte da questo cambiamento. A seguito di queste trasformazioni San Benedetto cesserà di essere un semplice presidio strategico conteso tra antichi domini e, da semplice aggregato abitativo, inizierà ad assumere una propria fisionomia che continuerà a svilupparsi nei secoli successivi fino a farla diventare una delle città più importanti del medio Adriatico. Sul finire del XVII secolo, nelle vicinanze della piccola chiesa che si trovava direttamente sulla spiaggia, si realizzano i primi fabbricati, atterrati e magazzini che formeranno il primo nucleo del Mandracchio cui successivamente si aggiungeranno anche degli edifici ad uso abitativo. La denominazione Mandracchio deriva dal latino mandraculum, diminutivo di mandra termine che indicava un senso di ricetto, ricettacolo. Nel linguaggio marinaro veniva utilizzato per descrivere uno “specchio d’acqua limitato e ben riparato, simile ad una piccola darsena, ricavato in un porto e destinato al ricovero di imbarcazioni di piccole dimensioni”. La marina sambenedettese che prende forma al di sotto del Castello (fig.1), nel XVIII secolo, si espande e nei due secoli successivi diventa il centro di San Benedetto sia dal punto di vista sociale che economico ed amministrativo. La battaglia di Lepanto (1571) rappresenta una tappa fondamentale nello sviluppo di San Benedetto e di tutti i paesi costieri; dopo quell’evento drammatico i Castelli rivieraschi si aprono verso il litorale e verso le spiagge divenute più sicure. La cittadinanza inizia a costruire i primi atterrati e i primi magazzini al di sotto della strada Corsale o Aprutina, chiamata anche Lauretana, attuale SS16 (fig. 2). Alla fine del XVII secolo, la maggiore sicurezza delle spiagge ed il lento ritirarsi

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rent forms of settlements dedicated to tourism itself. In addition to enhancing well-known and celebrated places, the project strategies also operate on the traveled space, expressing themselves as a tourism infrastructure; i.e., as an architectural construction of the path which, in many cases, conveys new meanings. Therefore, they imply the reuse of some road routes, of abandoned tracks, or of abandoned urban parts. It is vital to re-consider an relocate these spaces among the architectures inherited from mass seaside tourism in a more extensive framework, where all elements that make up the modified panorama of contemporary coasts can play a conscious role. This represents an unprecedented opportunity to identify the many regeneration potentialities offered by the places already built. It is a design exercise which shall be based on a deep knowledge of the territory in order to read and interpret the historical sedimentations that contribute to establish the shape of the places. In this stratification of signs, the attention is turned to road layouts or historicized urban area which, in the past, had a founding role in the construction of settlements and which today, due to downgrading, have weakened their role. The project, therefore, aims to select strategic parts and, by acknowledging their value, to search for relationships and design tools capable of giving them a new use. When exploring these places, one discovers a forgotten landscape, cut off from the more usual itineraries and from the

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Fig. 3 (pagina a fianco) - S. Benedetto, catasto napoleonico (1812). Fonte: archivio di stato di Ascoli Piceno. (next page) S. Benedict, Napoleonic cadastre (1812). Source: Ascoli Piceno state archive.

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speed of infrastructural bi-directionality.

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del mare rendono disponibili nuove terre da poter utilizzare per attività agricole e per nuove abitazioni. La vicinanza all’approdo, luogo di lavoro, offre una comodità a coloro che erano impegnati nei mestieri di mare con un progressivo spostamento della popolazione verso la marina nonostante la pesca fosse ancora una attività minore e tesa principalmente a soddisfare il fabbisogno familiare o locale. Il quartiere Mandracchio Mandracchio,, meglio noto come i pajarà (Merlini, 2020), inizia a formarsi tra la fine del ’600 e l’inizio del ’700, con la costruzione dei primi magazzini nell’area dove da circa un secolo, in assoluto isolamento – e per questo affidata ad un eremita – sorgeva la chiesa dedicata alla Madonna della Vittoria e del mare. In questo periodo, il quartiere marina, ormai prosciugato dagli acquitrini, viene utilizzato per scopi agricoli definendo un tessuto poderale caratterizzato dalle colture di vigneti, agrumeti e uliveti. Sul finire del XVIII secolo, nel 1790, l’architetto camerale Luigi Paglialunga, fermano, fu incaricato dalla “Congregazione del Buon Governo” di redigere un nuovo piano regolatore che andasse a programmare lo sviluppo urbano della Marina fino ad allora avvenuto in modo caotico e senza nessuna pianificazione. L’architetto Paglialunga, a parte la demolizione di qualche edificio, mantiene inalterato il quartiere Mandracchio caratterizzato dall’allineamento irregolare delle “pisce” (case di terra mista a pagliaccio) trasversale alla linea di costa e prevede uno sviluppo edilizio verso Nord; definisce una tessitura urbana regolare e orientata in senso ortogonale, e quindi opposto rispetto al primo insediamento (il Mandracchio), basata sul reticolo poderale definito dalle colture esistenti (fig. 3). Fino al periodo napoleonico, ed anche negli anni immediatamente successivi, l’edificazione nella parte bassa della città fu molto ridotta; oltre alla presenza Ludovico Romagni | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

San Benedetto del Tronto and its transformations The urbanization of the coastal area overlooking the Adriatic Sea coincides with the historical phase in which the inhabited area of San Benedetto went beyond the castle walls and the population began to live in the Marina area. That was the same area that for centuries was only gazed from the Castle without being used for fear of the pirates who threatened the safety of the fishermen. With their raids, pirates plundered everything they could find on the sea and along the beaches. Since the foundation of the village, the population of San Benedetto had lived exclusively within the castle walls. Only in the mid-1600s, with the construction of the suburb of “Case Nuove”, did the settlement development begin outside the Castle. The settlement developed in an area located in the north of the fortified village and afterwards, at the end of the 18th century, the Marina neighborhood, formerly St. Antonio village, started to be formed in the lower part of the municipal area. The small village protected by the castle walls opened towards the beach and gradually transformed itself into a “seaside village” not only occupying the territories along the coast line, but also grasping the new social and productive perspectives offered by this change. Following these

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Fig. 4 - Nucleo storico di San Benedetto. Elaborazione grafica di Simone Porfiri. Historical nucleus of San Benedetto. Graphic elaboration by Simone Porfiri.

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di alcune locande situate lungo la strada Lauretana, nell’area risultano presenti ancora numerosi appezzamenti di terreno censiti al catasto come orti urbani. Negli ultimi decenni dell’’800 si inizia a costruire anche su queste porzioni agricole lungo le direttrici principali definite dal piano. Queste nuove costruzioni si presentano con un discreto valore architettonico e vengono edificate seguendo le norme indicate nel regolamento di ornato pubblico che nel frattempo era entrato in vigore. Va osservato che intorno alla metà dell’’800 la linea di costa si attestava, in maniera orientativa, col sedime dell’attuale statale adriatica. Il suo progressivo e imponente arretramento portò, negli anni immediatamente successivi, all’utilizzo delle terre lasciate libere dal ritirarsi delle acque del mare con la costruzione di numerosi edifici nella zona al di sotto del limite definito dal piano Paglialunga determinando una forte espansione e crescita del quartiere Marina. Un’area pianeggiante, nel tempo sempre più ampia, piena di vita, di attività commerciali, e più popolata dell’antico Castello che, nella seconda metà dell’’800 determinò l’esigenza di prevedere un radicale intervento urbanistico. Con lungimiranza si iniziano ad affrontare i problemi della zona bassa del paese partendo dagli allagamenti che sistematicamente flagellavano l’area; si prevede quindi di rialzare e livellare tutto il quartiere eliminando l’annoso problema delle acque ristagnanti. Nel 1863, dopo l’inaugurazione della ferrovia adriatica Ancona-Pescara, si crea la necessità di migliorare la rete viaria riqualificando i percorsi esistenti o creandone dei nuovi. Si realizzò, attraverso alcune demolizioni, una unica strada accorpando due preesistenti dando una nuova prospettiva alla via principale che dal Castello portava verso l’approdo. Tra la fine dell’’800 e i primi decenni del ’900 si attuano una serie di interventi mirati a risanare e abbellire la zona ad Est della ferrovia dove si stava svi-

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transformations, San Benedetto ceased to be a simple strategic garrison contested between ancient dominions and, from a simple housing aggregate, it began to have its own physiognomy that it developed in the following centuries, until it became one of the most important cities in the middle Adriatic. At the end of the seventeenth century, near the small church located directly on the beach, the first houses made of earth and straw, and the first warehouses were built to form the first settlement of Mandracchio. Later, buildings for residential use were also added to this complex. The name Mandracchio comes from the Latin mandraculum, diminutive of mandra, which meant reception, receptacle. In marine language it was used to describe a “limited and well-sheltered water area, similar to a small dock, built in a port and intended for sheltering small boats” . In the 18th century, the Marina of San Benedetto was formed below the Castle (fig. 1). It then expanded and in the following two centuries it became the center of San Benedetto from both a social, economic, and administrative point of view. The battle of Lepanto (1571) was a fundamental stage in the development of San Benedetto and of all the coastal villages. After this dramatic event, the coastal castles opened up towards the coast and the beaches, which had become safer. The citizens began to build the first buildings of earth and straw, and the first warehouses below the Corsale or Aprutina (also called Lauretana) road, now SS16 (fig. 2). At the end of the seventeenth century, the greater safety of the beaches and the slow retreat of the sea made new land available that could be used for agricultural activities and new homes. The proximity to the landing place, which was a place of work, was an advantage for the seaworkers. A progressive shift of the population towards the Marina took place, despite the fact that fishing was still a minor activity and mainly aimed at satisfying families or local needs. The Mandracchio district, better known as pajarà (Merlini, 2020), began to take shape between the end of the 17th century and the beginning of the 18th century, with the construction of the first warehouses. These were located in an area where a church dedicated to the Madonna della Vittoria e del mare (Virgin of the Victory and of the sea) had been erected for over a century. It was the only existing building, thus under the custody of a hermit. In this period, the marine district, now covered with marshes, was used for agricultural purposes and defined a farm fabric characterized by the cultivation of vineyards, citrus groves and olive groves. At the end of the eighteenth century, in 1790, the architect Luigi Paglialunga from Fermo was commissioned by the “Congregazione del Buon Governo” (“Congregation of the Good Government”) to draw a new town-planning scheme for the urban development of the Marina which, up to then, had been developed chaotically and without any planning. The architect Paglialunga, apart from the demolition of some buildings, kept the Mandracchio area unchanged. This area was characterized by an irregular alignment of the “pisce” (houses made of earth mixed with straw), which was transversal to the coastline and planned a building development towards the North. He defined a regular urban texture orthogonal to the first settlement (the Mandracchio), based on the farm network of the existing crops (fig. 3). Up to the Napoleonic period, and also during the

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Fig. 5 - Via Laberinto di San Benedetto. Fonte: piano regolatore generale, ing. Onorati 1935, Archivio di Stato di Ascoli Piceno. Via Laberinto di San Benedetto. Source: general master plan, Mr Onorati, engineer, 1935, Ascoli Piceno state archive

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Fig. 6 - Ricostruzione dello stato attuale dei prospetti lungo Via del Laberinto e via Fratelli Bandiera di San Benedetto. Elaborazione grafica di Simone Porfiri. Reconstruction of the current state of elevations along Via del Laberinto and via Fratelli Bandiera di San Benedetto. Graphic elaboration by Simone Porfiri. following years, the buildings in the lower part of the city were very few. In addition to the presence of some lodging houses located along the Lauretana road, in the area there were still many plots of land registered as urban gardens in the cadastre. In the last decades of the 19th century, constructions were erected in these agricultural portions along the main lines defined by the plan. These new constructions had a discrete architectural value and were built in compliance with the rules indicated in the public decoration regulation which, in the meantime, had entered into force. It should be noted that around the middle of the 19th century, the coastline stood, indicatively, at the level of the current Adriatic state road. Its progressive and impressive retreat led, in the years immediately following, to the use of the lands left free by the retreat of the sea waters. These lands were used to erect numerous buildings in the area below the boundaries defined by the Paglialunga plan. This led to a strong expansion and growth of the Marina area. It was a flat area which became larger over time. It was full of life and of commercial activities, more populated than the ancient Castle. This, in the second half of the 19th century, caused to plan a radical urban intervention. With farsightedness, the problems of the lower part of the village were tackled by starting from the floods that systematically plagued the area. The whole area was leveled and raised in order to eliminate the age-old problem of stagnant water. In 1863, after the opening of the Ancona-Pescara

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luppando l’industria turistica. Vengono concesse le prime aree per edificare i villini liberty sul litorale, si realizzano i giardini pubblici, lo stabilimento bagni, e contemporaneamente si inizia a riprogrammare anche il centro cittadino; al posto della vecchia pescheria e del mattatoio comunale viene costruita, nel 1873, una grande caserma militare. Sempre nello stesso periodo si costruiscono le scuole elementari della Marina e si inizia a pensare ad una nuova viabilità con la programmazione di una circonvallazione cittadina. Nella piazzetta centrale antistante la caserma, all’inizio degli anni ’30 del Novecento, viene realizzato il nuovo mercato al minuto del pesce che rimarrà in esercizio fino al 1987. Anche nella parte Nord del paese, nelle vicinanze della stazione ferroviaria, si procede alla bonifica di alcune aree dove si erano concentrati detriti e materiali di risulta e si realizzano una serie di edifici secondo quanto predisposto da un nuovo piano regolatore che, oltre a prevedere un consistente sviluppo edilizio, definiva nell’ampio spazio per la lavorazione delle funi (funai), la realizzazione di una piazza e la costruzione del primo campo sportivo di San Benedetto. Questo nuovo sviluppo edilizio impone, nel corso degli anni, anche la realizzazione di nuovi collegamenti tra le due parti del paese separate dalla ferrovia mediante la realizzazione di una serie di sottopassi pedonali. Intorno al 1920 si iniziano a realizzare le prime strutture esclusivamente ricettive, e successivamente si dà il via ai lavori di realizzazione del nuovo lungomare che ancora oggi conferisce a San Benedetto l’identità di città a vocazione turistica. Successivamente, con altri interventi, si completa l’urbanizzazione dell’attuale centro storico e San Benedetto assume la conformazione urbana attuale. (fig. 4) Ludovico Romagni | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

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Fig. 7 - La casa bassa e la casa cielo-terra. Elaborazione grafica ing. Stefano Novelli, in Cavezzi, 2001. The low house and the two-storey house. Graphic design Stefano Novelli, in Cavezzi, 2001.

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Fig. 8 - Scenari urbani: confronto tra via Fratelli Bandiera all’inizio del XIX e oggi. Fonte: piano regolatore generale, ing. Onorati 1935, Archivio di Stato di Ascoli Piceno. Urban scenarios: comparison between via Fratelli Bandiera at the beginning of the 19th century and today. Source: general plan, Onorati 1935, Ascoli Piceno state archive.

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The Mandracchio The oldest part of the historic center is the Mandracchio.. It initially consisted essentially of shelters for boats and warehouses with materials used by fishermen, caulkers and all the workers of the port. Later, some of the people of San Benedetto obtained permission from the authorities of the city of Fermo to build small and modest houses. These constructions were set randomly on the territory of the Marina and did not follow any urban planning. They were concentrated in the area in front of the castle, transverse to the coast line. These buildings occupied an area of a few square meters and were generally made up of a single floor. They were called “low houses”. Later, buildings were made of several levels and “two-story houses” began to be built. Their completely random diffusion formed terraced aggregations with a tangle of alleys; a sort of labyrinth which gave the name of the main street of Mandracchio: the Via del Laberinto (fig. 5). Buildings were often built with poor materials. The last example, made of earth and straw, was demolished in 1934. They were constructions which neither complied with hygienic requirements nor had an adequate sewer system. This degradation condition determined, both in the

La parte più antica del nucleo storico, il Mandracchio, inizialmente è formato essenzialmente da ripari per le imbarcazioni e da magazzini per i materiali utilizzati dai pescatori, dai calafati e da tutti i lavoratori della marina; successivamente alcuni sambenedettesi iniziano ad ottenere dalle autorità della città di Fermo il permesso per costruirvi delle piccole e modeste abitazioni. Queste costruzioni si insediano in maniera casuale sul territorio della marina senza nessuna pianificazione urbanistica, concentrandosi nell’area antistante il castello con un andamento trasversale rispetto alla linea di costa. Questi edifici hanno una superficie di pochi metri quadrati e sono generalmente costituiti dal solo piano e denominati “case basse”; successivamente iniziano ad essere realizzati edifici su più livelli “casa a schiera elementare ad atrio”. La loro diffusione completamente casuale definisce delle aggregazioni a schiera che formano un groviglio di vicoli, una sorta di labirinto da cui il nome della principale via del Mandracchio: la via del Laberinto (fig. 5). Edifici costruiti spesso con materiali poveri il cui ultimo esempio realizzato in terra e paglia sarà demolito nel 1934; sono costruzioni prive di ogni requisito igienico e di una adeguata rete fognaria. Questa condizione di degrado determina, sia nelle amministrazioni che nella popolazione, il desiderio di migliorare le condizioni di vita e la qualità dell’intero sistema urbano. Nel 1939 iniziano i primi interventi di trasformazione il più importante dei quali portò alla demolizione di una trentina di edifici per permettere l’apertura di una nuova via più ampia che fungesse anche da luogo di incontro. Molti altri progetti di trasformazione e di risanamento furono previsti ma lo scoppio della seconda guerra mondiale ne bloccò la realizzazione; paradossalmente, l’evento bellico ha impedito l’attuazione degli interventi programmati preservando la ra-

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Il Mandracchio

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Adriatic railway line, there was the need to improve the road network by redeveloping the existing routes or creating new ones. Through some demolitions, a single road was built, merging two pre-existing ones, and giving a new perspective to the main road that led from the Castle to the landing place. Between the end of the 19th century and the first decades of the 20th century, a number of interventions were carried out with the aim to restore and beautifying the area located in the east side of the railway, where the tourism industry was developing. The first areas for the construction of the Art Nouveau villas on the coast were granted; public gardens and the first bathing establishment were built. At the same time, the city center was also re-planned. Instead of the old fish shop and the municipal slaughterhouse, large military barracks were built in 1873. In the same period, the elementary schools of the Marina were built, and the idea of a new road network arouse with the planning of a city ring road. In the central square in front of the barracks, at the beginning of the 1930s, the new fish retail market was built. The market remained in operation until 1987. Also in the northern part of the country, near the railway station, some areas full of debris and waste materials had been cleaned up, and a series of buildings were built according to the provisions of a new town-planning scheme. This not only set out a consistent building development, but it also provided for the production of ropes (funai), the realization of a square and the construction of the first San Benedetto sports field. Over the years, the new building development also required the creation of new connections between the two parts of the town separated by the railway. Therefore, a series of pedestrian underpasses were built. Around 1920, the first receptive structures began to be built, and afterwards the new waterfront promenade, which still gives to San Benedetto the conformation of a city with a tourist vocation. Later, with other interventions, the urbanization of the current historic center was completed, and San Benedetto acquired the current urban conformation (fig. 4).

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local administrations and in the population, the desire to improve their living conditions and the quality of the entire urban system. In 1939, the first transformation began, the most important of which was the demolition of about thirty buildings in order to allow the opening of a new wider street that also served as a meeting place. Many other transformations and rehabilitation projects were planned, but the outbreak of the Second World War blocked their realization. Paradoxically, the war prevented the implementation of the planned interventions and the radical modification of the urban layout of Mandracchio. In this way, a part of the city built has been given back to its population, according to the ethnographic aspects which are still representative of the ancient maritime civilization of San Benedetto (fig. 6).

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The low house The low house represents the typical maritime house of the Marche coast (Novelli, 2001). This particular type of house, defined and classified on the basis of its morphological and dimensional characteristics, is more or less equally widespread throughout the coast and is often the predominant type in the seaside villages that developed between the end of the 17th and the 19th centuries. These are generally small houses, with a space element of about 3.50 x 8.00 mt., with only the ground floor. They are usually a studio apartment; the bathroom, where present, is characterized by a hole placed on the wall which is directly connected with a drainage channel (open air) of wastewater, and runs alongside the houses. They are not provided with running water, and the lighting is obtained through an only window on the facade. They are built with poor materials, and often have a floor made of simple beaten earth. Following the raising of the road surface carried out in the second half of the 19th century to solve the problem of stagnant water, many of these houses had the internal floor at a lower level than the level of the road across from them. Afterwards, in a second building phase, they became two-story houses with a series of variants based on the position of the staircase, or on their planimetric development in relation to the urban fabric in which they were inserted.

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Fig. 9 - Abaco degli elementi tecno-morfologici ricorrenti. Elaborazione grafica Ludovico Romagni. Abacus of recurring techno-morphological elements. Graphic elaboration by Ludovico Romagni.

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La casa bassa

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dicale modifica dell’impianto urbano del Mandracchio e riconsegnandoci, oggi, una parte di città costruita secondo gli aspetti etnografici ancora rappresentativi della antica civiltà marinara sambenedettese (fig. 6).

La casa bassa rappresenta la tipica abitazione marinara della costa marchigiana (Novelli, 2001). Questo particolare tipo di abitazione, definito e classificato in base alle sue caratteristiche morfologiche e dimensionali è più o meno equamente diffuso su tutto il litorale e rappresenta spesso la tipologia predominante nei borghi marinari che si sono sviluppati tra la fine del XVII e il XIX secolo. Si tratta di abitazioni generalmente di piccole dimensioni, aventi un modulo di circa 3,50 x 8,00 m con la presenza del solo piano terra e solitamente costituite da un solo monolocale; il bagno, dove presente, è caratterizzato da un foro posto sul muro e direttamente collegato con un canale di scorrimento (a cielo aperto) delle acque reflue che costeggia le abitazioni. Prive di acqua corrente, l’illuminazione si ottiene mediante l’unica finestra presente sulla facciata. Costruite con materiali poveri, spesso presentano un pavimento realizzato con semplice terra battuta. A seguito dell’operazione di innalzamento del piano stradale effettuato nella seconda metà dell’’800 per risolvere il problema dell’acqua stagnante, molte di queste abitazioni presentano il pavimento interno ad una quota più bassa rispetto al livello della strada antistante. Successivamente, in una seconda fase edificatoria, queste abitazioni assumono una tipologia a due piani con una serie di varianti in base alla posizione della scala o al loro sviluppo planimetrico in rapporto al tessuto urbanistico in cui sono inserite.

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The two-story house The houses with two or more floors arranged in a block or in a row, despite being high-rise, did not differ much from the low house as regards the socio-housing functions. Given the precarious economic conditions, these houses were often inhabited by several families who shared the little space available. In the period between the end of the 19th century and the beginning of the 20th century, this condition determined a considerable high population density in the lower part of the city. An almost inevitable feature of this type of housing was the dormer window (the cataract). It was built on the roof and it allowed the illumination and ventilation of the top floor and the relative attic, which could be accessed by a ladder. Afterwards, toilets were improved and the simple hole in the wall was replaced by an equally simple hole in the floor which was also directly connected to the external sewer. The hole was made in a small room built close to the perimeter wall, or on balconies. These houses were initially built on two floors and were raised over the years. Some ended up reaching four floors (fig. 7).

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Fig. 10 - Analisi urbana delle aree del Mandracchio e del piano “Paglialunga” di San Benedetto. Elaborazione grafica di Ludovico Romagni. Urban analysis of the areas of Mandracchio and of the ‘Paglialunga’ plan of San Benedetto. Graphic elaboration by Ludovico Romagni.

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La casa cielo-terra (casa a schiera elementare ad atrio)

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Le case a due o più piani disposte a blocco o a schiera, pur avendo uno sviluppo in altezza, non si scostano di molto dalla casa bassa per funzioni socioabitative. Viste le precarie condizioni economiche, queste abitazioni venivano spesso utilizzate da più nuclei familiari che dividevano il poco spazio a disposizione. Nel periodo tra la fine dell’’800 e l’inizio del ’900, tale condizione ha determinato nei quartieri della parte bassa della città una notevole densità abitativa. Caratteristica quasi immancabile in questo tipo di abitazioni è l’abbaino (la cataratta); realizzato sul tetto permetteva di illuminare ed areare l’ultimo piano e la relativa soffitta alla quale si accedeva mediante scale a pioli. Successivamente vengono migliorati i servizi igienici ed il semplice foro sulla parete viene sostituito con un altrettanto semplice buco sul pavimento anch’esso collegato direttamente alla fognatura esterna e ricavato all’interno di una piccola stanzetta realizzata a ridosso del muro perimetrale o ricavata sui balconi. Queste case inizialmente realizzate a due piani vengono nel corso degli anni sopraelevate fino a raggiungere anche i quattro piani (fig. 7).

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Slow perceptions Walking through the narrow streets of this part of the city, the eye captures the deep relations that exist between geography and architectural forms, tracing the building of the places to a specific exploration of the area (fig. 8). Within this logic, what at a quick sight appears casually displaced in space – a fragment of a historicized city surrounded by buildings and generic residential spaces – is actually part of a general design which shows the founding role of the ancient urban system. This was the primary element in the construction of the territory and of the city, as well as a privileged viewpoint. The difference in size of the built area and the cross-cutting texture of the small portion of the city that insinuates in an anomalous way into the geometric fabric of the subsequent urban expansion, gives back its distinguishable identity to the place. The exception of the perpendicular ground and the tapered shape of the urban structure define a path that goes from the high orography of the Castle to the state road until the railway, and then to the port. Along this tangle of paths, the slow motion allows the eyes to adjust and the mind to meditate on what it observes to finally grasp the details (fig. 9). Interstitial spaces and slight openings, unused or abandoned portions of buildings are offered as opportunities for a cross-cutting project which tells the story of the ancient maritime civilization of San Benedetto. The passing-by confers centrality to the tourist, a sort of wanderer who prefers secondary streets to mass tourism routes; a conscious traveler in

Percezioni lente Percorrendo le strade strette di questa parte di città lo sguardo cattura le profonde relazioni che intercorrono tra geografia e forma architettonica riconducendo la costruzione dei luoghi ad una specifica esplorazione del sito (fig. 8). All’interno di questa logica, ciò che ad una vista frettolosa appare casualmente dislocato nello spazio, un frammento di città storicizzata circondato da edifici e da spazi residenziali generici, rientra in un disegno generale da cui si evince

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search of a new experience towards architectural itineraries and itineraries which reveal the identity of places. The re-evaluation of the human being and the enhancement of the territory are essential prerequisites for a re-examination of the tourism phenomenon which inevitably involves a contemporary sense of dwelling. In this urban environment, the practices of free time are intertwined with those of everyday life. So the spaces visited by tourists are often integrated with those lived by the inhabitants. As Simonicca claims, “it is a matter of analyzing tourism as a non-superstructural coordinate, hinged, instead, on daily life” (Simonicca, 2004) and, I would add, rooted in the specificity of local contexts. Reflecting on the territories of tourism, hence, means continuing to think of the territorialization of urban phenomena and of new ways of interpreting the forms of settlements in the geographic dimension that hosts them. Many of the coastal cities are confronted with the need of requalifying entire parts of the building fabric close to the beach or the port. This is necessary not only because they suffer from a progressive loss of attraction as tourist reception basins, but also because their footprint offers a repertoire of spatial solutions which today needs to be modified. This is necessary in order to contemplate different and differentiated re-uses for the diversification and testing of a requalification project involving architecture and urban space (fig. 10). Observing and reflecting on the current settlement dimension of the coasts – without considering tourism and other mobility experiences as secondary in the articulation of the inhabited space – implies rediscovering the experimental nature of architecture and urban design. Places should be imagined by unveiling the uninhibited relationship between temporary and transitory living and, hence, by considering a new way of dwelling that is not necessarily permanent. It is necessary to re-interpret and relocate new elements as fragments of historicity between the spaces and architectures inherited from mass seaside tourism. It is also necessary to develop a broad approach which embraces the entire modified outlook of contemporary coasts. These would be unprecedented opportunities to identify the many regeneration potentials offered by the places already built.

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il ruolo fondativo dell’antico sistema urbano, elemento primario nella costruzione del territorio e della città nonché punto di vista privilegiato da cui indirizzare lo sguardo. Lo scarto di misura del costruito e la tessitura trasversale di questa piccola porzione di città che si insinua in maniera anomala nel tessuto geometrico delle espansioni urbane successive restituisce, per differenza, l’identità ancora riconoscibile del luogo. L’eccezione del sedime perpendicolare e la forma affusolata dell’impianto definiscono un percorso che dall’orografia alta del Castello attraversa la statale prolungandosi fino alla ferrovia e al porto. Lungo questo groviglio di tracciati la percezione lenta consente allo sguardo di adattarsi per meditare le cose osservate e coglierne i dettagli (fig. 9). Spazi interstiziali e lievi aperture, porzioni di costruito non utilizzate o abbandonate si offrono come occasioni per il progetto di un taglio trasversale che racconta la storia della antica civiltà marinara sambenedettese. L’attraversamento conferisce centralità al turista, una sorta di flaner che preferisce alle vie del turismo di massa le strade secondarie, un viaggiatore consapevole alla ricerca di una esperienza nuova verso itinerari dell’identità architettonica e produttiva dei luoghi. La rivalutazione dell’essere umano e la valorizzazione del territorio sono i presupposti imprescindibili per un ripensamento del fenomeno turistico che coinvolge inevitabilmente il senso contemporaneo dell’abitare. In questo ambito urbano le pratiche del tempo libero si intrecciano con quelle del vivere quotidiano e così gli spazi usati dai turisti sono spesso integrati con quelli usati dagli abitanti. Come giustamente sostiene Simonicca, “si tratta di analizzare il turismo quale coordinata non sovrastrutturale, ma incardinata nel vivere quotidiano” (Simonicca, 2004) e, aggiungerei, radicata alla specificità dei contesti locali. Riflettere sui territori del turismo significa dunque continuacontinuare a ragionare sulla territorializzazione dei fenomeni urbani e sui nuovi modi di interpretare le forme degli insediamenti nella dimensione geografica che riquale accoglie. Molte delle città costiere si confrontano con la necessità di riqua porlificare intere parti del loro tessuto edilizio a ridosso della spiaggia o del por to non solo perché subiscono la progressiva perdita di attrazione come bacini di accoglienza turistica, ma perché la loro impronta propone un repertorio di soluzioni spaziali che oggi reclama di essere modificato per includervi ri-usi differenti e differenziati mirati a rappresentare un motivo di diversificazione e di sperimentazione del progetto di riqualificazione dell’architettura e dello spa spazio urbano (fig. 10). Osservare e riflettere sulla dimensione insediativa attuale dei litorali considerando il turismo e le altre mobilità come componenti affatto secondarie nell’articolazione dello spazio abitato, richiede all’architettura e al progetto urbano di ricalibrare il loro carattere più sperimentale, di impegnare la loro capacità di immaginare i luoghi svelando un rapporto disinibito con il temporaneo, con il transitorio e dunque con le nuove modalità di un abitare non necessariamente stanziale. Rileggere e ricollocare nuovi elementi, come i frammenti di storicità, tra gli spazi e le architetture ereditate dal turismo balne balneare di massa all’interno di un discorso ampio che abbraccia tutto il panorama modificato dei litorali contemporanei è un’occasione inedita per intercettare le tante potenzialità di rigenerazione offerte dai luoghi già costruiti. Riferimenti bibliografici_References

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U+D Alexandria of Egypt: the city as a palimpsest. For a critical reading of the stratifications

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DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.010

Mariangela Turchiarulo

DICAR Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura, Politecnico di Bari E-mail: mariangela.turchiarulo@poliba.it

Il fondamento geografico della città ellenistica. La città e il mare: la città come “isola” “Ma essa si cela dietro quel che sembra ai non iniziati un comunissimo porticciolo del Mediterraneo. Ancor oggi adempie svogliatamente al ruolo di seconda capitale dell’Egitto, e di unico sollievo per chi risiede al Cairo, vero specchio ustorio a cavallo dei deserti. Essa si affaccia infatti su un mare di sogno, le cui onde omeriche avanzano e recedono sospinte dalle fresche brezze provenienti da Rodi e dal mare Egeo. Approdare ad Alessandria è come fare un salto nel vuoto, poiché non s’avverte soltanto la sonante città greca che s’erge dinanzi a noi, ma anche il suo manto desertico che s’allunga sino al cuore dell’Africa. È il luogo ideale per drammatici addii, decisioni irrevocabili, pensieri ultimi; ci si sente sospinti al limite estremo, al termine della parabola” (Foster, 2014). La geografia dei luoghi offre un modello di riferimento per la forma urbana. La città sul mare è una città lineare, aperta ad una crescita potenzialmente infinita. È una “città-isola”, uno spazio di passaggio che si sviluppa lungo le direttrici di transito su cui viaggiano persone e merci; in grado di governare e controllare lo spazio geografico circostante grazie alle infrastrutture portuali e viarie che ne rappresentano la sua essenza (Ravagnati, 2008). Geografia e geometria costruiscono la città di Alessandria d’Egitto, sin dall’epoca ellenistica, nell’angolo ovest del delta nilotico, su un lembo di terreno sabbioso che separa il Mar Mediterraneo dal lago Mareotide. Strabone, parlando di questa città, a forma di clamide macedone, scrive: “Essa è irrigata da due mari: l’uno al Nord, cioè il mare d’Egitto, parte del Mediterraneo; l’altro al Sud, che si chiama lago o palude Mareotide”. Il limite meridionale dell’antica città era costeggiato da un canale navigabile che proveniva da sud-est, dal Nilo: esso, poi la attraversava, verso il suo limite occidentale, piegando bruscamente verso nord, per sfociare nel Kibotos (scatola), piccolo golfo all’interno del porto Eunostos; la maglia viaria minore, ortogonale al mare, era impostata sui tracciati di dodici fiumi e, ancora oggi, struttura la città moderna. Alessandria vive di una continua tensione tra il rigore euclideo dell’impianto ippodameo ad assi incrociati e l’orografia naturale del suolo: le colline artificiali, i canali navigabili, l’articolato sistema portuale, naturale e artificiale, marittimo, lacustre e fluviale; il complesso sistema di approvvigionamento idrico della città, fatto di canali sotterranei e cisterne. Mare, fiumi, canali e lago sono gli elementi geografici che determinano, sin dalle origini, la forma urbis di quella che fu la principale città portuale del Mediterraneo e che oggi, nella quasi totale mancanza di spazi aperti, riesce a riconquistare il rapporto con il paesaggio dell’acqua e quello agrario solo nelle frange periurbane. La struttura urbana, compatta e aperta, presenta una potenziale espansione lineare infinita, parallela alla costa. La città di Alessandria, nell’avvicendarsi dei secoli, cresce secondo una logica rizomatica. La sua storia urbana, pur nel suo sviluppo processuale, si manifesta secondo due modalità evolutive complementari, generatrici di un “catalogo di forme”: come stratificazione orizzontale di città nel tempo che affondano le loro radici in una forma archetipica, quella ellenistica, che si conserva come fossile mineralizzato, memoria

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Abstract This paper collects the results of a study, soon to be published, which investigates the characters of the Hellenistic-Roman city of Alexandria in Egypt, as an archaeological substratum of the contemporary city, through three types of approach: philological-chronological, archaeological-compositional, geographical-topographical. This research intends to offer a contribution to the recovery of that cultural heritage, typical of the Mediterranean basin, to which the Hellenistic city also belongs, an archetype that cannot be ignored for the understanding of the characteristics of today’s urban fabrics and for the design of the future, in this geographic-cultural area. The Hellenistic city expresses the spirit of rationality of the Greeks, clearly evident in the architectural organism as much as in the city organism: every single part contributes to forming unity, in a close relationship of static, functional and expressive necessity. This is the paradigm of the Doric order; this is the principle that guides the urban planning of the Hellenistic period. A historical moment in which science changes the city and the very idea of the city: it no longer corresponds to that of the old polis, small, closed, spontaneous, disorderly, but geoto that of a modern city, dominated by order geo metric, which can, “multiplying in series”, extend to infinity. The urban model, typical of the Aegean area, marked by Hellenic rationalism, was overcome by Alexandria in Egypt through the characters of the Rhodes school. We are faced with the first modification imposed on the simplicity of the Hellenic tradition; the first lesson of complexity in the urban landscape and monumental grandeur in architecture. Alexandria proposes a polycentric model structured by pre-existing settlements: a new urbanity, the trace of which is recognizable in the subsequent stratifications, based on the relationship between urban morphology and physical geography. The shape of the city becomes a rational, geometric transfiguration, relying on the construction of a regular grid, able to adapt, from time to time, to the identity conditions of the place. Therefore, even if there is a rigid formal order imposed from the outside, the geographical and topographical characters always manage to leave an imprint that indissolubly binds the city, like the single building, to the specificity of the place, in a constant dialogue with history.

Per una lettura critica delle stratificazioni

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Keywords: Alexandria of Egypt, Greco-Roman city, Hellenistic city, urban geography, topographic studies, stratifications

Alessandria d’Egitto: la città come palinsesto

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The geographical foundation of the Hellenistic city. The city and the sea: the city as an “island” “But it hides behind what appears to the uninitiated as a very common Mediterranean port. Even today it listlessly fulfills its role as the second capital of Egypt, and the only relief for those who reside in Cairo, a true burning mirror astride the deserts. In fact, it overlooks a sea of dreams, whose Homeric waves advance and recede driven by the cool breezes coming from Rhodes and the Aegean Sea. Landing in Alexandria is like taking a leap into the void, since we not only feel the resounding Greek city that stands before us, but also its desert mantle that stretches to the heart of Africa. It is the ideal place for dramatic farewells, irrevocable decisions, final thoughts; one feels pushed to the extreme limit, at the end of the parable” (Foster, 2014). The geography of places offers a reference model for the urban form. The city by the sea is a linear city, open to potentially infinite growth. It is an “island city”, a passage space that develops along the transit routes on which people and goods travel; able to govern and control the surrounding geographical space thanks to the port and road infrastructures that represent its essence (Ravagnati, 2008). Geography and geometry have built the city of Alexandria in Egypt, since the Hellenistic era, in the west corner of the Nilotic delta, on a strip of sandy soil that separates the Mediterranean Sea from the Mareotide lake. Strabo, speaking of this city, shaped like a Macedonian chlamys, writes: “It is irrigated by two seas: one in the North, that is, the Sea of Egypt, part of the Mediterranean; the other in the South, which is called a Mareotide lake or swamp”. The southern limit of the ancient city was bordered by a navigable channel that came from the south-east, from the Nile: it then crossed it, towards its western limit, bending sharply to the north, to flow into the Kibotos (box), a small gulf inside the Eunostos port; the minor road network, orthogonal to the sea, was set on the paths of twelve rivers and, still today, structures the modern city. Alexandria lives in a continuous tension between the Euclidean rigor of the hippodamus structure with crossed axes and the natural orography of the soil: the artificial hills, the navigable canals, the articulated port system, natural and artificial, maritime, lake and river; the city’s complex water supply system, made up of underground channels and cisterns. Sea, rivers, canals and lake are the geographical elements that determine, from the beginning, the forma urbis of what was the main port city in the Mediterranean and which today, in the almost total lack of open spaces, manages to regain the relationship with the water landscape and the agricultural one only in the peri-urban fringes. The compact and open urban structure has a potential infinite linear expansion, parallel to the coast. The city of Alexandria, over the centuries, grows according to a rhizomatic logic. Its urban history, despite its procedural development, manifests itself according to two complementary evolutionary modes, generating a “catalog of forms”: as a horizontal stratification of cities over time that have their roots in an archetypal form, the Hellenistic one, which it preserves as a mineralized fossil, geological memory of the urban sediment; as an addition of juxtaposed parts that follow, in their aggregation, the geometric perfection of the isthmus, transforming an island (that of Pharos) into a peninsula (known today as the promontory of Ras el-Tin). Thus, the city

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Fig. 1 - Le città ellenistiche di Alessandria d’Egitto, Mileto e Priene (elaborazione infografica originale, Politecnico di Bari, 2007). The Hellenistic cities of Alexandria, Miletus and Priene (original infographic elaboration, Politecnico di Bari, 2007).

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geologica del sedimento urbano; come addizione di parti giustapposte che seguono, nel loro aggregarsi, la perfezione geometrica dell’istmo, trasformando un’isola (quella di Pharos), ), in una penisola (nota oggi come promontorio di Ras el-Tin). Così alla città di fondazione pianificata da Deinokrates, si affianca, ad est (con quindici insulae), insulae), quella romana; alla cinquecentesca città turcoottomana, che va ad occupare la penisola di Ras el-Tin, si “aggancia” perpendicolarmente, nell’Ottocento, la città europea, la cui rotazione asseconda evidentemente la morfologia dell’istmo, ricalcando l’antico tracciato viario di fondazione. Allo spirito ellenistico si fondono gli apporti tecnici e materiali della cultura occidentale, all’indomani della rivoluzione industriale, importati dagli esuli europei impiegati a corte da Muhammad ‘Ali. (Turchiarulo, 2012) I nuovi materiali (primo tra tutti, il cemento armato), le nuove tecniche costruttive, i nuovi tipi edilizi d’importazione modificano la morfologia del tessuto urbano, adeguandolo ad un nuovo modus vivendi. Il tessuto turcoottomano subisce importanti sventramenti per dar posto a nuovi spazi di relazione (le piazze) estranei al contesto autoctono; la stessa moschea, prima incastonata simbioticamente nell’irregolare tessuto medievale, si trasforma in pietra miliare nello skyline urbano, conquista la sua autonomia tridimensionale, diventa monumentale, perché l’accessibilità veicolare è un’esigenza che appartiene alla città moderna; la città storica acquista lotti dal mare per dotarsi di una passeggiata e di un fronte rivolto all’orizzonte. (Turchiarulo, 2012) Esso unifica una città fatta di parti, una città un tempo fortificata che ora apre il suo sguardo al Mediterraneo, recando, sotto lo “strato” di matrice europea, l’impronta di quello ellenistico-romano. Come un’araba fenice, rinasce dalle proprie ceneri: la città di epoca moderna trova, dunque, in quella ellenistica, la sua anticipazione; reca l’impronta della misura delle 18 enormi insulae, di

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44 x 88 m, e del relativo tipo ad òikos e a peristilio, della Via Canopica e della via del Sema. La struttura della città mediterranea, in molti casi, si consolida sul “riuso” di tracce archeologiche lasciate da remoti insediamenti; si costruisce sui resti di antichi edifici, di materiali sedimentati, attraverso un processo di continue stratificazioni, giustapposizioni e trasformazioni che si adattano alla topografia del luogo. L’analisi scientifica della sua realtà fisica, condotta con preciso rigore filologico, probabilmente, da sola, non è sempre sufficiente a rivelare completamente l’anima della città, a spiegare le ragioni della sua configurazione passata e recente. È il caso di Alessandria, città mosaico, cosmopolita e globale, che trova nell’eterogeneità il cuore pulsante della sua evoluzione e trasformazione urbana. Crogiolo di culture e razze, crocevia di destini e passioni rivela la sua enigmatica anima caleidoscopica, proprio nella sua dimensione immaginifica (Martí Arís, 2007). È una città che trova l’etimo della sua forma nella volontà di modellare la natura e di imporle un ordine: l’architetto Deinokrates propose ad Alessandro Magno di scolpire il monte Athos in forma umana, ponendogli in una mano una città e nell’altra un lago. (Russo, 2004) Si tratta di un mito che ben simboleggia il significato, il valore e l’essenza del paesaggio: il rapporto arcaico tra ambiente naturale e trasformazione antropica, tra natura ed artificio. È proprio in seguito a questo bizzarro ed utopico progetto che il conquistatore macedone volle affidare all’architetto il piano di fondazione della nuova città (Turchiarulo, 2016).

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Studi di topografia alessandrina: le fonti

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Alexandrian topography studies: the sources The main harbor city of Egypt was founded by Alexander the Great, during his trip to the Siwa oasis, to listen to the oracle of Zeus Ammon (Bonacasa, 2005), immediately after his conquest of Egypt. Alexander – says Plutarch – followed

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La principale città portuale dell’Egitto fu fondata da Alessandro Magno, durante il suo viaggio all’oasi Siwa, per ascoltare l’oracolo di Zeus Ammone (Bonacasa, 2005), subito dopo la sua conquista dell’Egitto. Alessandro – racconta Plutarco – seguì le preziose indicazioni di Omero, collocandola nell’angolo Ovest del delta nilotico, su un lembo di terreno sabbioso che separa il Mar Mediterraneo dal lago Mareotide (Stefanini, 1950): “Levatosi presto, egli se ne andò verso Pharos che allora era un’isola un po’ al di sopra del ramo canopico e che oggi è legata al continente da un ponte. Quando vide i vantaggi di questo sito […], affermò che Omero, ammirabile in tutte le cose, era anche il più abile degli architetti: diede così l’ordine di disegnare la pianta della città. Non essendoci della terra bianca, si disegnò il tracciato con della farina sulla terra nera […] improvvisamente uno stormo di uccelli di fiume e di lago, di tutte le specie e di tutte le taglie, si abbatterono sul luogo, simili ad un nuvolo, e non lasciarono la minima traccia di farina; Alessandro fu colpito da questo prodigio; pertanto, gli indovini lo rassicurarono dicendogli che la città che avrebbe costruito, sarebbe stata molto ricca e capace di nutrire uomini diversi” (Martin, 1956). E così fu. La complessità del paesaggio urbano di Alessandria può essere assunta quale emblematica lezione di integrazione culturale tra Oriente ed Occidente, tra “vecchio” e “nuovo” che trova nella scienza e nello sviluppo delle tecniche il germe del cambiamento, tanto in epoca ellenistica, quanto in epoca moderna; nelle differenze e nella storia la genesi di ogni sviluppo futuro. La nuova città reca, indelebile, la traccia del suo sostrato. La struttura urbana aperta e la potenziale espansione infinita, il gusto per il colossale e le importanti applicazioni tecnologiche, sono le caratteristiche peculiari della città ellenistica. Basti ricordare, appunto, l’impianto ippodameo ad assi incrociati; il Faro, Settima Meraviglia del Mondo, opera altamente tecnologica per il sistema degli specchi parabolici; l’Eptastadion, imponente opera di ingegneria che collegava l’isola di Pharos alla terraferma; il complesso sistema di approvvigionamento idrico della città. Nonostante tutto, l’Ellenismo viene spesso relegato all’ombra del periodo classico. Invece, è sul finire del IV sec. a.C. che si assiste ad una vera e propria rivoluzione scientifica che anticipa, di circa duemila anni, quella galileiana del XVII sec. È la scienza che cambia la città e l’idea stessa di città: essa non corrisponde più a quella della vecchia polis,

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of foundation planned by Deinokrates is flanked, to the east (with fifteen insulae), by the Roman one; to the nineteenth century, the European city, whose rotation evidently follows the morphology of the isthmus, following the ancient road layout of foundation. The Hellenistic spirit blends the technical and material contributions of Western culture, in the aftermath of the industrial revolution, imported by the European exiles employed by Muhammad ‘Ali at court (Turchiarulo, 2012). The new materials (first of all, reinforced concrete), new construction techniques, new imported building types modify the morphology of the urban fabric, adapting it to a new modus vivendi. The Turkish-Ottoman fabric undergoes major demolitions to give way to new spaces of relationship (the squares) extraneous to the autochthonous context; the mosque itself, first symbiotically embedded in the irregular medieval fabric, becomes a milestone in the urban skyline, gains its three-dimensional autonomy, becomes monumental, because vehicular accessibility is a requirement that belongs to the modern city; the historic city buys lots from the sea to equip itself with a promenade and a front facing the horizon (Turchiarulo, 2012). It unifies a city made up of parts, a once fortified city that now opens its gaze to the Mediterranean, bearing, under the “layer” of European origin, the imprint of the Hellenistic-Roman one. Like a phoenix, it is reborn from its own ashes: the city of the modern era therefore finds its anticipation in the Hellenistic one; it bears the imprint of the size of the 18 enormous insulae, 44 x 88 m, and of the related òikos and peristyle type, of the Via Canopica and the Via del Sema. The structure of the Mediterranean city, in many cases, is consolidated on the “reuse” of archaeological traces left by remote settlements; it is built on the remains of ancient buildings, of sedimented materials, through a process of continuous stratifications, juxtapositions and transformations that adapt to the topography of the place. The scientific analysis of its physical reality, conducted with precise philological rigor, probably alone, is not always sufficient to fully reveal the soul of the city,, to explain the reasons for its past and recent configuration. This is the case of Alexandria, a mosaic, cosmopolitan and global city, which finds the beating heart of its urban evolution and transformation in heterogeneity. Crucible of cultures and races races, crossroads of destinies and passions reveals its enigmatic kaleidoscopic soul, precisely in its imaginative dimension (Martí Arís, 2007). It is a city that finds the etymology of its form in the desire to model nature and to impose an order on it: the architect Deinokrates proposed to Alexander the Great to sculpt Mount Athos in human form, placing it in his hand a city and a lake in the other (Russo, 2004). This is a myth that well symbolizes the meaning, value and essence of the landscape: the archaic relationship between the natural environment and anthropogenic transformation, between nature and artifice. It is precisely following this bizarre and utopian project that the Macedonian conqueror wanted to entrust the architect with the foundation plan for the new city (Turchiarulo, 2016).

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Fig. 2 - Alessandria d’Egitto: pianta della città greco-romana redatta sulla base delle carte di el-Falaki, P. M. Fraser, A. Adriani, G. Günter, W. Hoepfner, aggiornata dai rilievi delle diverse missioni archeologiche. In nero sono rappresentati gli edifici ellenistici, in rosso quelli romani (elaborazione infografica originale); a. limite della città ellenistica secondo G. Gunter; b. limite della città ellenistica secondo M. Turchiarulo; c. limite della città ellenistica secondo A. Adriani e W. Hoepfner. Alexandria of Egypt: plan of the Greco-Roman city drawn up on the basis of el-Falaki maps, P. M. Fraser, A. Adriani, G. Günter, W. Hoepfner, updated by the surveys of the various archaeological missions. Hellenistic buildings are in black, Roman ones in red (original infographic elaboration); a. limit of the Hellenistic city according to G. Gunter; b. limit of the Hellenistic city according to M. Turchiarulo; c. limit of the Hellenistic city according to A. Adriani and W. Hoepfner. Homer’s precious indications, placing it in the western corner of the Nilotic delta, on a strip of sandy ground that separates the Mediterranean Sea from the Mareotide lake (Stefanini, 1950): “He got up early, he went towards Pharos which was then an island a little above the canopic branch and which today is linked to the continent by a bridge. When he saw the advantages of this site [...], he stated that Homer, admirable in all things, was also the most skilled of architects: thus he gave the order to draw the city plan. Since there was no white earth, the route was drawn with flour on the black earth [...] suddenly a flock of river and lake birds, of all species and sizes, fell on the place, similar to a cloud, and they left no trace of flour; Alexander was struck by this prodigy; therefore, the fortune-tellers reassured him by telling him that the city he would build would be very rich and capable of feeding different men” (Martin, 1956). And so, it was. The complexity of the urban landscape of Alexandria can be taken as an emblematic lesson of cultural integration between East and West, between “old” and “new” which finds the seed of change in science and in the development of techniques, both in the Hellenistic era and in modern era; in the differences and in the history the genesis of every future development. The new city indelibly bears the trace of its substratum. The open urban structure and the potential infinite expansion, the taste for the colos-

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piccola, chiusa, spontanea, disordinata, ma a quella di una città moderna, dominata dall’ordine geometrico, che può, “moltiplicandosi in serie”, estendersi all’infinito, in un contesto nel quale il modello da naturale (come lo era nel periodo classico), diventa astratto (nel periodo ellenistico, dominato dal pensiero Euclideo). Per la conoscenza della città ellenistica di Alessandria sono risultate fondamentali, innanzitutto, le fonti antiche: sicuramente Strabone, con la sua testimonianza de visu contenuta nel XVII libro di Geografia; Diodoro che descrive la forma e la posizione della città, la grande strada longitudinale ed i quartieri reali; Polibio, per le notizie sulla reggia, lo stadio, l’ippodromo ed il Thesmophòrion; Cesare e l’autore del Bellum alexandrinum, per il Faro, la Reggia, l’approvvigionamento idrico; Giuseppe Flavio e Filone ebreo, per i quartieri ebraici, la Reggia, l’Eptastadion, lo Stratòpedon, Nikòpolis; Achille Tazio, per la famosa descrizione dei due assi principali colonnati ed il pedìon presso il tòpos Alexandrou; Ammiano Marcellino, per il Serapeum, il Bruchium e le mura; Rufino ed Aftonio per il Serapeum. Le fonti letterarie suddette sono quelle prevalentemente utilizzate per la redazione delle diverse carte topografiche di Alessandria, soprattutto nelle prime formulazioni, dalle quali è possibile talvolta rilevare una descrizione, non solo dell’ubicazione, ma anche dei caratteri di alcuni singoli edifici. Altre fonti di riferimento, fondamentali per questo studio, sono stati i rapporti delle missioni di scavo italiane, francesi e tedesche, dal 1886 al 1998. Numerose sono le carte redatte da diversi autori nel tentativo di ricostruire la pianta della città ellenistica, talvolta distinguendola da quella romana. I primi tentativi, precedenti alla missione di scavo seguita da Mahmud el-Falaki, si fondano esclusivamente sulle fonti letterarie, tra le quali fondamentale risulta Mariangela Turchiarulo | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

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essere il XVII libro di Geografia di Strabone. Gli studiosi successivi integrano, di volta in volta, i riferimenti delle scoperte archeologiche. Molte carte sono contenute nei volumi di Adriani (1963-1966) e di Tkaczow (1993). Gli studi di topografia alessandrina si basano sulla ricostruzione pubblicata nel 1872, dell’astronomo Mahmud el-Falaki, in seguito agli scavi ordinati dal Kedive Ismail. Tale carta, sebbene sia riferita all’Alessandria romana, viene di solito assunta come pianta tipo della grande città ellenistica di schema ippodameo. Criticata da Hogarth, Botti, Noack, Breccia, nelle loro elaborazioni successive, la rete stradale falakiana continua ad essere più volte confermata ed arricchita di nuovi tracciati dai ritrovamenti archeologici. Questi documentano, tra l’altro, che il lastricato delle strade – che rappresenta un’evidenza archeologica – disegnate dall’astronomo, poggia su resti di edifici distrutti di età ellenistica. Sicuramente, in alcuni punti, i tracciati delle due città coincidevano. (Bernard, 1966) Il primo che se ne allontana è il Breccia che semplifica la rete stradale e limita la città nella sua estensione orientale, rifiutando la posizione della R1, proposta da el-Falaki, come dato di scavo. La prima schematica pianta del Breccia è pubblicata in Alexandrea ad Aegyptum, sovrapposta alla città moderna; la seconda è quella che compare sull’Enciclopedia italiana. Di contro, il Noack, in Saggi 1898-1899 a Basilea,, reputa attendibile la pianta di el-Falaki; definisce di età tarda (adrianea o successiva) la rete stradale che sorge sulle rovine ellenistiche poste a 4-5 m di profondità, direttamente sulla roccia; individua due fasi di costruzione relative al periodo ellenistico e due relative a quello romano; sostiene che nella prima età romana erano ancora in piedi edifici della tarda età ellenistica; conferma la posizione della strada R1, individuata da el-Falaki, attribuendole, però, una sezione non più di 14 m ma di 19,85 m; aggiunge altre due strade longitudinali denominate Lα ed L5; sostiene che le strade romane erano a più livelli; ammette una generale corrispondenza tra strade romane ed ellenistiche, in virtù dell’allineamento delle rispettive rovine. Nel 1933, il ritrovamento di rovine ellenistiche nei quartieri reali diede nuovi impulsi alla ricerca: nel 1934, Adriani pubblicò Saggio di una pianta archeologica,, limitata al settore Basilea, in cui sovrappose alla città moderna il tracciato di el-Falaki; ancora, nel 1935, per la prima volta in forma di lessico, Calderini pubblicò notizie topografiche, relative ad Alessandria, in Dizionario dei nomi geografici e topografici dell’Egitto greco-romano (Adriani, 1963). Da questo momento in poi, si approfondiscono controversi studi che riguardano dell’ il dimensionamento dell’insula base e che trovano un riferimento importante nella ricerca di Hoepfner.

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sal and the important technological applications, are the peculiar characteristics of the Hellenistic city. Let’s to think, in fact, the hippodamus system with crossed axes; the Lighthouse, the Seventh Wonder of the World, a highly technological work for the system of parabolic mirrors; the Heptastadion, an impressive engineering work that connected the island of Pharos to the mainland; the city’s complex water supply system. Despite everything, Hellenism is often relegated to the shadow of the classical period. Instead, it is at the end of the fourth century B.C. that we are witnessing a real scientific revolution that anticipates, by about two thousand years, the Galilean one of the seventeenth century. It is science that changes the city and the very idea of the city: it no longer corresponds to that of the old polis, small, closed, spontaneous, disordered, but to that of a modern city, dominated by the geometric order, which can, “Multiplying in series”, extending to infinity, in a context in which the model from natural (as it was in the classical period), becomes abstract (in the Hellenistic period, dominated by Euclidean thought). For the knowledge of the Hellenistic city of Alexandria, first of all, the ancient sources were fundamental: surely Strabo, with his testimony de visu contained in the XVII book of Geography; Diodorus describing the shape and position of the city, the great longitudinal street and the royal quarters; Polybius, for news on the palace, the stadium, the hippodrome and the Thesmophòrion; Cesare and the author of the Bellum Alexandrinum, for the Lighthouse, the Palace, the water supply; Josephus Flavius and Jewish Philo, for the Jewish quarters, the Royal Palace, the Eptastadion, the Stratòpedon, Nikòpolis; Achille Tazio, for the famous description of the two main colonnaded axes and the pedìon at the topos Alexandrou; Ammiano Marcellino, for the Serapeum, the Bruchium and the walls; Rufino and Aftonio for the Serapeum. The aforementioned literary sources are those mainly used for the preparation of the various topographical maps of Alexandria, especially in the first formulations, from which it is sometimes possible to detect a description, not only of the location, but also of the characters of some individual buildings. Other sources of reference, fundamental for this study, were the reports of the Italian, French and German excavation missions, from 1886 to 1998. There are numerous papers drawn up by various authors in an attempt to reconstruct the plan of the Hellenistic city, sometimes distinguishing it from the Roman one. The first attempts, prior to the excavation mission followed by Mahmud elFalaki, are based exclusively on literary sources, among which Strabo’s 17th book of Geography is fundamental. Subsequent scholars integrate, from time to time, the references of the archaeological discoveries. Many papers are contained in the volumes of Adriani (1963-1966) and Tkaczow (1993). The Alexandrian topography studies are based on the reconstruction published in 1872 by the astronomer Mahmud el-Falaki, following the excavations ordered by Kedive Ismail. This map, although it refers to Roman Alexandria, is usually assumed as a typical plan of the great Hellenistic city with a Hippodamian scheme. Criticized by Hogarth, Botti, Noack, Breccia, in their subsequent elaborations, the Falakian road network continues to be repeatedly confirmed and enriched with new tracks from archaeological finds. These document, among other things, that the pavement of the streets – which repre-

Il disegno urbano della città ellenistica di Alessandria d’Egitto Il modello urbanistico tipico dell’area egea, improntato al razionalismo ellenico, viene superato da Alessandria d’Egitto attraverso i caratteri della scuola di Rodi (Coppa, 1968). Secondo Bernard, ci si trova davanti alla prima modificazione imposta alla semplicità della tradizione ellenica; la prima lezione di complessità nel paesaggio urbano e di grandezza monumentale nell’architettura (Bernard, 1966). Lo schema lineare proposto dall’architetto Deinokrates di Rodi nel 331 a.C., (rielaborato successivamente dal più giovane Deinochares), con la sovrintendenza di Kleomenes di Naucrati (Bonacasa, 2005), adotta la maniera ionica (Bernard, 1966) che trova la sua espressione più antica e completa in Mileto, ovvero nei principi ippodamei del V sec. a.C. Ma Alessandria supera l’impostazione radiocentrica di Mileto (come già era accaduto a Priene) (Coppa, 1968). Infatti essa propone un modello policentrico strutturato dagli insediamenti preesistenti: il piccolo villaggio egizio di Rhakotis (che diventa sede della grande opera religiosa della nuova città, il culto di Serapide); l’antico insediamento di Canope (oggi Aboukir), lì dove una volta sfociava il Nilo; l’isola di Pharos, (nota oggi come promontorio di Ras el-Tin) originariamente legata alla città dalla diga Eptastadio (1,2 km circa) (Foster, 2014). L’espressione di questa nuova urbanità, propria di una città che non è solo colonia greco-macedonica, ma città cosmopolita, caratterizzata da una plura| Mariangela Turchiarulo | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 3 - La città turco-ottomana. A sinistra: perimetrazione del nucleo insediativo di popolazione autoctona, turco e magrebino. A destra: deformazione dell’assetto originario dell’impianto pianificato (elaborazione infografica originale, Politecnico di Bari, 2007). Turkish-Ottoman city. To left: perimeter of the settlement nucleus of Turkish and Maghreb indigenous population. To right: deformation of the original layout of the planned plant (original infographic elaboration, Politecnico di Bari, 2007). sents archaeological evidence – designed by the astronomer, rests on the remains of destroyed buildings from the Hellenistic period. Certainly, in some places, the paths of the two cities coincided (Bernard, 1966). The first that moves away from it is the Breach which simplifies the road network and limits the city in its eastern extension, rejecting the position of the R1, proposed by el-Falaki, as excavation data. The first schematic map of the Breccia is published in Alexandrea ad Aegyptum, superimposed on the modern city; the second is the one that appears in the Italian Encyclopedia. On the other hand, Noack, in Saggi 1898-1899 in Basel, believes the el-Falaki plant to be reliable; he defines the road network that rises on the Hellenistic ruins placed at a depth of 4-5 m, directly on the rock, from the late period (Hadrian or later); identifies two construction phases relating to the Hellenistic period and two relating to the Roman one; he claims that in the early Roman period buildings from the late Hellenistic period were still standing; confirms the position of the R1 road, identified by el-Falaki, attributing, however, a section of no more than 14 m but of 19.85 m; adds two other longitudinal roads called Lα and L5; argues that the Roman roads were on several levels; admits a general correspondence between Roman and Hellenistic roads, by virtue of the alignment of the respective ruins. In 1933, the discovery of Hellenistic ruins in the royal quarters gave new impulses to research: in

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lità dei centri, viene formalizzata dall’insediamento, per comunità differenti, (Coppa, 1968) articolato in cinque quartieri: il quartiere in prossimità della Reggia, occupato dalla popolazione giudaica; il nucleo occidentale intorno a Rhakotis, abitato da indigeni; Neapolis, nella parte orientale, sede dei palazzi reali che si estendono per un quarto, un terzo della superficie totale (Stefanini, 1950). La distribuzione degli edifici realizzati dopo la fondazione, ma già previsti da Deinokrates, evidenzia i nuclei principali: l’l’Arsinoeion, il Museo, la Biblioteca, individuano l’agorà e la zona portuale; il Tempio di Serapide, il Dikasterion, il Ginnasio sottolineano la direzione longitudinale della Via Canopica; il Serapeum e lo stadio individuano l’insediamento di Rhakotis (Coppa, 1968). L’ubicazione dell’agorà e dell’Acropoli è sconosciuta: per la prima si suppone che si sia trovata nei pressi dell’attuale centro della città (Fraser, 1972). Martin ricorda che Erdmann ha cercato invano l’agorà all’intersezione tra i due assi perpendicolari, lì dove i Romani eressero un Tetrapilo: mai nella pianta ortogonale ellenistica, l’agorà coincide con un centro geometrico e mai un tetrapilo romano prende il posto di un’agorà greca. Martin accetta l’ipotesi del Noack di una doppia piazza, una mercantile, annessa ai porti, dove sorgeva l’Emporium con i Neoria e gli Apostaseis (ai piedi dell’Eptastadio) ed una pubblica più interna, in relazione con gli organismi politici e religiosi, come nel caso del Pireo, di Cnido e Alicarnasso (Bernard, 1966). Secondo Fraser, l’Acropoli sicuramente si trovava nell’area dei Palazzi reali, come si deduce dalla Lettera di Aristea del II sec. a.C. (Fraser, 1972). La regolarità del tracciato viario e delle insulae non presenta novità di rilievo. La pianta “a reticolato”, che utilizza la divisione per strigas o sulla base di quadrati, è tipica delle città greche del IV sec. a.C. (si pensi a Priene, Palarios, Mariangela Turchiarulo | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

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The urban design of the Hellenistic city of Alexandria in Egypt The typical urban model of the Aegean area, marked by Hellenic rationalism, is overcome by Alexandria in Egypt through the characters of the Rhodes school (Coppa, 1968). According to Bernard, we are faced with the first modification imposed on the simplicity of the Hellenic tradition; the first lesson of complexity in the urban landscape and monumental grandeur in architecture (Bernard, 1966). The linear scheme proposed by the architect Deinokrates of Rhodes in 331 BC, (later reworked by the younger Deinochares), with the superintendence of Kleomenes of Naucrati (Bonacasa, 2005), adopts the Ionic manner (Bernard, 1966) which finds its expression oldest and most complete in Miletus, or in the Hippodamian princes of the fifth century. B.C. But Alexandria overcomes the radiocentric approach of Miletus (as had already happened in Priene) (Coppa, 1968). In fact, it proposes a polycentric model structured by the pre-existing settlements: the small Egyptian village of Rhakotis (which becomes the seat of the great religious work of the new city, the cult of Serapis); the ancient settlement of Canope (today Aboukir), where the Nile once flowed; the island of Pharos, (known today as the promontory of Ras el-Tin) originally linked to the city by the Heptastadio dam (about 1.2 km) (Foster, 2014). The expression of this new urbanity, typical of a city that is not only a Greek-Macedonian colony, but a cosmopolitan city, characterized by a plurality of centers, is formalized by the settlement, for different communities, (Coppa, 1968) divided into five neighborhoods: the neighborhood near the Palace, occupied by the Jewish population; the western core around Rhakotis, inhabited by indigenous people; Neapolis, in the eastern part, home to the royal palaces which extend for a quarter, a third of the total area (Stefanini, 1950). The distribution of the buildings built after the foundation, but already foreseen by Deinokrates, highlights the main nuclei: the Arsinoeion, the Museum, the Library, identify the agora and the port area; the Temple of Serapis, the Dikasterion, the Gymnasium underline the longitudinal direction of the Via Canopica; the Serapeum and the stadium identify the settlement of Rhakotis (Coppa, 1968). The location of the agora and the Acropolis is unknown: the first is supposed to have been located near the current city center (Fraser, 1972). Martin recalls that Erdmann searched in vain for the agora at the intersection between the two perpendicular axes, where the Romans erected a Tetrapyle: never in the Hellenistic orthogonal plan does the agora coincide with a geometric center and never a Roman tetrapyle takes the place of a Greek agora. Martin accepts the Noack hypothesis of a double square, a commercial one, annexed to the ports, where the Emporium with the Neoria and the Apostaseis stood

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Magnesia al Meandro, Coo, Solunto, Olbia) come, pure, di quelle ellenistiche (Lipari, Alessandria d’Egitto, Tebtunis) e di numerose città siriane (Dura Europo, Antiochia, Damasco). (Castagnoli, 1954) Il confronto con altre città ellenistiche che adottano sempre lo schema per strigas, come Seleucia sul Tigri, Antiochia sull’Oronte e Tolemaide in Libia, palesa una forte sproporzione dell’impianto di Alessandria che apparirebbe l’unica fondazione ellenistica di simili rapporti. Strabone, infatti, ne indica la lunghezza in 30 stadi (km 5,350 circa) e la larghezza in 7-8 stadi (km 1,245-1,420 circa) (Caruso, 1983). La carta topografica di Hoepfner utilizza come modulo elementare quello di 22 x 22 m. L’insula è data, in realtà, da multipli di questo modulo e misura 44 x 88 m. I lati sono dunque sempre nel rapporto di 2:1; la maglia all’interno del tessuto risulta costituita da 18 insulae: essa misura 304 x 273 m. (Orru, 2002) Se le ipotesi di Hoepfner fossero corrette, si conterebbero 50 quartieri residenziali, ciascuno di 144 case: una città dunque abitata da circa 100.000 persone (Günter, 1996). Ciò che è singolare, rispetto ai piani coevi, oltre al suddetto salto di scala, è la zonizzazione evidenziata da alcune direttrici: la Via Canopica separa l’area dei porti da quella meridionale, destinata alle zone residenziali; le due comunità insediate sull’isola di Pharos e a Rhakotis impongono una linea ideale di demarcazione tra Nord e Sud, tra il Mediterraneo ed il lago Mareotide, confermata dalle diga dell’Eptastadio e dalle direttrici verso il Serapeion (Coppa, 1968). L’origine di tutto il sistema di lottizzazione è costituito da una matrice lineare continua,, policentrica, la grande plateia, che costituisce il principale asse longitudinale della città (la Via Canopica), ai lati del quale si allineano, secondo una distribuzione a nastro, le aree pubbliche. Esse costituiscono una sorta di diaframma che separa la zona della reggia a Nord, dall’area residenziale a Sud; un sistema nastriforme che si interrompe ad Est, lì dove troveranno posto gli insediamenti israeliti e romani. Lo sviluppo della città avviene ovviamente verso Est, prolungando l’unica direttrice possibile, quella longitudinale appunto, essendo la città costretta, in tutte le altre direzioni, su un lembo di terreno sabbioso (nell’angolo Ovest del Delta nilotico), da fattori naturali: il mare a Nord e ad Ovest, il Nilo e il lago Mareotide a Sud (Caruso, 1983). La Via Canopica assume la stessa funzione della grande strada colonnata di Palmyra, delle strade di Erode e Tiberio ad Antiochia, o della strada chiamata “Retta” dell’antica Damasco; similitudini che evocano anche l’antico porto di Tessalonica. Si tratta di esempi ellenistici in cui il grande boulevard taglia in due la città, correndo parallelamente all’area del porto, nella parte più alta. Il senso dell’effetto che la Via Canopica aveva sugli abitanti può essere evocato con la famosa descrizione di Achille Tazio (Bejor, 1999). Il pronunciato orientamento Est-Ovest della città è compensato, in direzione Nord-Sud, da una nuova successione che si articola dal Lago Mareotide sino ai porti, attraverso il teatro, il Serapeum, il Paneion, i canali. Un’altra ampia strada colonnata, la Via del Sema (larga 100 piedi come la Canopica), taglia in due la città, estendendosi dal Lago Mareotide al Grande Porto, in corrispondenza di una depressione (Hass, 1997). Queste importanti direttrici articolano la struttura interna del piano: viene riproposta la tipologia tradizionale che definisce una nuova scala dell’insula ed una diversa gerarchia della maglia viaria minore (Coppa, 1968) esposta perpendicolarmente al mare, alla fresca brezza dei venti etesii; l’orientamento dei grandi assi (l’uno ortogonale alla costa, l’altro parallelo), dettato da ragioni climatiche, cerca di evitare da Sud a Nord il soffio ardente del Camsin (Martin, 1956). In particolare, le dodici strade trasversali coinciderebbero con i dodici fiumi preesistenti di cui parla lo Pseudo Callistene (Adriani, 1963-1966). All’interno della maglia ippodamea, così individuata, si colloca l’abitato alessandrino. La sua completa scomparsa, come anche la mancanza di fonti letterarie (eccezion fatta per la Reggia), costituisce una grossa perdita, se si pensa all’importanza che riveste l’abitato greco-romano di Olinto, Priene, Delo, Pompei, Ercolano ed Ostia. Non mancano tuttavia dati archeologici e riferimenti indiretti. Tra questi, si evidenziano soprattutto le necropoli alessandrine di età

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1934, Adriani published “Saggio di una archeologica plan”, limited to the Basel sector, in which the el-Falaki route was superimposed on the modern city; again, in 1935, for the first time in the form of a lexicon, Calderini published topographical information, relating to Alexandria, in the Dictionary of the Geographical and Topographical Names of Greco-Roman Egypt. (Adriani, 1963) From this moment on, controversial studies concerning the dimensioning of the base insula are being studied in depth and which find an important reference in Hoepfner’s research.

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(at the foot of the Heptastadio) and a more internal public square, in relation with the political and religious, as in the case of Piraeus, of Cnidus and Halicarnassus (Bernard, 1966). According to Fraser, the Acropolis was certainly located in the area of the royal palaces, as can be deduced from the Letter of Aristea of the second century. B.C. (Fraser, 1972) The regularity of the road layout and of the insulae presents no significant changes. The “reticulated” plan, which uses the division by strigas or on the basis of squares, is typical of the Greek cities of the fourth century B.C. (think of Priene, Palarios, Magnesia al Meandro, Coo, Solunto, Olbia) as well as of the Hellenistic ones (Lipari, Alexandria of Egypt, Tebtunis) and of numerous Syrian cities (Dura Europo, Antiochia, Damascus) (Castagnoli, 1954). The comparison with other Hellenistic cities that always adopt the scheme for strigas, such as Seleucia on the Tigris, Antioch on the Orontes and Ptolemais in Libya, reveals a strong disproportion of the Alexandria plant which would appear to be the only Hellenistic foundation of similar relationships. Strabo, in fact, indicates its length in 30 stadiums (about 5.350 km) and its width in 7-8 stadiums (about 1.245-1.420 km) (Caruso, 1983). Hoepfner’s topographic map uses the 22 x 22 m module as a basic one. The insula is actually given by multiples of this module and measures 44 x 88 m. The sides are therefore always in the ratio of 2:1; the mesh within the fabric is made up of 18 insulae: it measures 304 x 273 m. (Orru, 2002). If Hoepfner’s hypotheses were correct, there would be 50 residential districts, each with 144 houses: a city therefore inhabited by about 100,000 people (Günter, 1996). What is singular, compared to the contemporary floors, in addition to the aforementioned jump in scale, is the zoning highlighted by some lines: the Via Canopica separates the port area from the southern one, intended for residential areas; the two communities settled on the island of Pharos and in Rhakotis impose an ideal dividing line between North and South, between the Mediterranean and the Mareotide lake, confirmed by the Heptastadio dam and by the lines towards the Serapeion (Coppa, 1968). The origin of the whole subdivision system is constituted by a continuous, polycentric linear matrix, the great plateia, which constitutes the main longitudinal axis of the city (the Via Canopica), on the sides of which they line up, according to a ribbon distribution, public areas. They constitute a sort of diaphragm that separates the palace area to the north from the residential area to the south; a ribbon-like system that is interrupted in the East, where the Israelite and Roman settlements will find their place. The development of the city obviously takes place towards the East, extending the only possible direction, the longitudinal one, being the city forced, in all other directions, on a strip of sandy ground (in the west corner of the Nilotic Delta), by natural factors: the sea to the north and west, the Nile and the Mareotide lake to the south (Caruso, 1983). The Via Canopica assumes the same function as the great colonnaded road of Palmyra, the streets of Herod and Tiberius in Antioch, or the road called “Retta” in ancient Damascus; similarities that also evoke the ancient port of Thessalonica. These are Hellenistic examples in which the large boulevard cuts the city in two, running parallel to the port area, in the highest part. The sense of the effect that the Via Canopica had on the inhabitants can be evoked with the famous

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ellenistica che sicuramente riproducono, semplificandole, le forme dell’architettura domestica, con le due disposizioni ad òikos ed a peristilio (Adriani, 1963-1966). Oltre a tali due tipologie sono da ricordare esempi di abitazioni più modeste ad atrio o a pozzo di luce centrale, intorno a cui si distribuivano i pochi vani dell’abitazione (dal carattere più egizianeggiante che ellenistico) ad uno o più piani. Il Bellum Alexandrino documenta l’esistenza di case-torri e il diffuso uso di coperture voltate negli edifici del tardo ellenismo. Molti sono i resti di pavimenti a mosaico, che sebbene spesso non consentano di restituire la pianta della dimora, denunciano chiaramente le affinità con l’architettura funeraria (Adriani, 1963-1966). Secondo Finocchi, le abitazioni erano originariamente basse: ad uno o due piani. I successivi problemi demografici e di inurbamento portarono al sorgere di abitazioni a più piani e appartamenti sul modello delle insulae romane. Infatti dell’epoca romana (III sec. d.C.) sono le seguenti indicazioni date per favorire la consegna di una lettera ad Ermopoli (oggi el-Ashmunein) che simboleggia la situazione edilizia ed urbanistica nel medio Egitto, in quell’epoca: “Dalla porta della Luna vai avanti come se tu andassi ai granai […] alla prima dopo le terme gira a sinistra […] e vai ad occidente. Scendi i gradini, poi risali […] e, lasciate a destra le mura del tempio, vedrai una casa di sette piani. Sopra alla portineria c’è una statua della Fortuna, e di fronte un cestaio: informati qui o dal portiere e ti diranno dove andare. Grida per annunciarti” (Finocchi, 2002). Questa città, a forma di clamide macedonica (Stefanini, 1950; Bernard, 1966), centro di irradiazione dell’ellenismo, probabilmente non fu fondata per essere la capitale del Paese, visto che la sede del governo rimase a Menfi sino a quando Tolomeo si assicurò stabilmente il possesso dell’Egitto (Milne, 1963). Il disegno del paesaggio urbano di Alessandria può essere infatti meglio compreso, secondo Haas, se considerato alla luce della funzione di porto della città (Hass, 1997): sicuramente Alessandro Magno, quando scelse il sito, sapeva che sul Delta del Nilo non esistevano porti in grado di accogliere una grande flotta. Infatti, prima di tutto, la fondazione era legata a motivi commerciali (più che militari), cosicché essa potesse prendere il posto di Tiro in Fenicia, distrutta dal fondatore. In virtù di questa funzione portuale della città, l’Eptastadio, imponente diga che collegava l’isola di Pharos alla terraferma, colmando una distanza di 1200 m circa, non è solo un’imponente opera di ingegneria, ma una soluzione architettonica altamente caratterizzante della città e del suo potenziale sviluppo economico (Finocchi, 2002). Esso divide il porto in due parti: il Grande porto ad Est e l’Eunostos ad Ovest. Tuttavia, l’artificiale porto Kibotos, in posizione arretrata rispetto all’Eunostos,, sembra aver rivestito un ruolo più importante rispetto al secondo. Il canale navigabile che alimentava Alessandria proveniva da Sud-Est, fiancheggiava tutto il limite meridionale dell’abitato, ripiegava bruscamente verso Nord, attraversando la città nel limite occidentale, e riversava le sue acque proprio nel Kibotos (Rocchetti, 1959). Nella pianta del Grande Porto orientale, come dell’Eunostos, si riconosce una pianta fenicia utilizzata da Alessandro Magno per motivi militari: quando l’isola di Pharos viene collegata alla terraferma con l’Eptastadio, diventa evidente l’analogia con i porti fenici di Sidon e Tiro. L’architetto Deinokrates adottò, quindi, per Alessandria l’esempio greco-ippodameo come nelle città di Mileto e Priene. Al contrario, il Kibotos, con la sua forma rettangolare o quadrata, non ha eguali nei porti del mondo greco, romano o fenicio. Secondo el Fakharani, esso segue il tipo faraonico adottato più volte in Egitto, sia sul Mediterraneo che sul lago. Questa teoria potrebbe trovare riscontro nella scoperta dell’ingegner Jondet; nella seconda metà di questo secolo, egli ha individuato un porto sommerso che si estende verso Est, dal limite occidentale dell’isola di Pharos. Lo attribuisce al nuovo Regno Faraonico, e non più all’età omerica, proprio come Weil che lo fa risalire ai Cretesi (el Fakharani, 1991; Jondet, 1996).

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Sistema metrico di riferimento

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description by Achille Tazio (Bejor, 1999). The pronounced East-West orientation of the city is compensated, in a North-South direction, by a new succession that is articulated from the Mareotide Lake to the ports, through the theater, the Serapeum, the Paneion,, the canals. Another wide colonnaded street, the Via del Sema (100 feet wide like the Canopica), cuts the city in two, extending from Lake Mareotide to the Great Port, at a depression (Hass, 1997). These important guidelines articulate the internal structure of the floor: the traditional typology is proposed which defines a new scale of the insula and a different hierarchy of the minor road network (Coppa, 1968) exposed perpendicularly to the sea, to the cool breeze of the Etesian winds; the orientation of the great axes (one perpendicular to the coast, the other parallel to the coast itself), dictated by climatic reasons, tries to avoid the burning breath of the Camsin from South to North (Martin, 1956). In particular, the twelve cross roads would coincide with the twelve pre-existing rivers of which Pseudo Callistene speaks (Adriani, 1963-1966). Within the hippodamean tissue, thus identified, there is the Alexandrian town. Its complete disappearance, as well as the lack of literary sources (except for the Royal Palace), constitutes a great loss, if one thinks of the importance of the Greek-Roman settlement of Olinto, Priene, Delo, Pompeii, Herculaneum and Host. However, there is no lack of archaeological data and in-

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Fig. 4 - Alessandria d’Egitto: ortofoto, con sovrapposizione dei tracciati della maglia ellenistica, e vista del waterfront (elaborazione infografica originale). Alexandria of Egypt: orthophoto, with the overlapping of the Hellenistic grid, and waterfront view (original infographic elaboration).

Ripercorrendo i contraddittori studi di metrologia, fondati prevalentemente sulle fonti latine e greche, oltre che sulla misurazione di edifici e su modelli metrici diversi, si può concludere quanto sia difficile, se non impossibile, stabilire in maniera univoca e precisa il sistema metrico di riferimento adottato dall’architetto Deinokrates per la pianificazione della città ellenistica. La difficoltà non nasce solo dal dover individuare il piede utilizzato (quello attico, piuttosto che quello alessandrino) quanto dal capire l’identità tra le diverse denominazioni (il piede alessandrino uguale a quello egizio, fileterio, tolemaico?); ed ancora, a complicare una corretta valutazione, si aggiunge il diverso valore associato ad un medesimo piede. I dati relativi ai rilevi, e quelli forniti da Hoepfner per la determinazione dell’insula, sono stati trasformati utilizzando i diversi valori che autori come Lehmann-Haupt, Segré, von Gerkan, Dinsmoor, Broneer attribuiscono al piede alessandrino (Fornaro, 2005). Il minor grado di approssimazione lo fornisce proprio il piede che deriva dal cubito alessandrino, pari a 52,5 cm (di cui si ha documentazione certa, in quanto riportato sulla tavola di Leptis Magna), la cui misura, tra l’altro, coincide proprio con quella usata da Erone di Alessandria: uno tra gli autori più antichi che si sono interessati a problemi di metrologia. Egli considerava il miglio di 1575 m, lo stadio di 210 m, il cubito di 52,5 ed il piede di 35 cm (Docci, Maestri, 2008).

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La pianta disegnata da el-Falaki descrive l’estensione della città nel periodo tardo-romano. La descrizione di Strabone parla di una città lunga 30 stadi, durante il tardo ellenismo. Come già ha osservato Adriani (Adriani, 1963-1966), questa misura individua il limite est della città: esso cadrebbe proprio in corrispondenza del nuovo muro di età romana (e, cioè, subito dopo le necropoli del primo ellenismo), solo se lo stadio venisse assunto pari a 165 m; cadrebbe oltre se lo stadio venisse assunto pari a quello alessandrino, di circa 185 m. Ed ancora si ripropone il problema: questi valori, attribuiti da Adriani allo stadio, che attendibilità hanno se allo stesso stadio alessandrino vengono associate misure diverse? Quanto vale dunque lo stadio alessandrino? Flavio Giuseppe, nel Bellum Judaicum, parlando della proiezione della luce del Faro, associa alla distanza di 300 stadi la misura di 48 km, verificata da Lucio Russo attraverso delle formule che considerano il raggio della terra e la distanza di un punto dall’orizzonte (Russo, 2004). Da ciò deriverebbe: 48000 m : 300 = 160 m = 1 stadio 160 m : 600 piedi tolemaici = 0,26 m = 1 piede tolemaico Questa deduzione avvicinerebbe il sistema metrico di riferimento adottato ad Alessandria più a quello usato da Eratostene (cui viene attribuito per i computi geografici e astronomici, uno stadio di 157,50 m e di un piede di 26,25), che non alle misure definite “alessandrine” (stadio 210 m, piede 35 cm). In questo modo, i 30 stadi di Strabone individuerebbero un’estensione più prossima a quella della città tardo-romana disegnata da el-Falaki, che è lunga circa 5090 m. Da cui deriverebbe: 5090 : 30 = 169 m = 1 stadio 169 m : 600 piedi tolemaici = 0,28 m = 1 piede tolemaico E quindi: 210 m x 30 stadi = 6300 m 157,50 m x 30 stadi = 4725 m Di fatto, però, le verifiche metriche condotte su diversi rilievi di scavo indicano come unità di riferimento il cubito alessandrino (pari a 52,5 cm), poiché fornisce l’approssimazione minore.

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Il limite orientale della città nel “primo periodo ellenistico”: analisi critica alle piante redatte da Adriani, Hoepfner e Günter

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Adriani e Hoepfner ipotizzano il limite Est della città, nella sua prima fase di espansione, all’incirca all’altezza di quella strada trasversale che el-Falaki definisce R’4. Nell’elaborazione di Günter, detto limite si sposta verso sinistra: la città di fondazione si restringe notevolmente sino alla R’2, per tagliare fuori dal recinto tutte le necropoli del periodo ellenistico che, appunto, solitamente si collocano fuori le mura. L’estensione di queste ultime, tra l’altro, non è individuata nelle carte di Adriani ed Hoepfner; in quella di Günter, le aree corrispondenti sono individuate con una rotazione non corretta. Infatti, dal confronto e dalla sovrapposizione delle piante di questi autori con la carta redatta dal Fraser, si evidenzia la reale posizione delle necropoli di età ellenistica ad Est della città. Risulta che: - Adriani ed Hoepfner hanno escluso dal primo recinto solo le necropoli di Hadra ed Ibrahmiya ed hanno incluso la necropoli di Chatbi e la tomba di Alabastro; - addirittura nell’insula ove si ubica la tomba di alabastro, Hoepfner ipotizza uno dei cinquanta quartieri residenziali in cui divide l’intera città (al culmine della sua espansione); - Günter ha ristretto ulteriormente l’estensione del recinto verso Est, per escludere anche la necropoli di Chatbi e, addirittura, la tomba di Alabastro. Nella monografia curata da Bonacasa, Un inedito di Achille Adriani sulla Tomba di Alessandro, si raccolgono, postumo, tutti gli studi di Adriani sull’argomento: questi smonta la teoria comunemente accettata che collocava il Sema

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direct references. Among these, the Alexandrian necropolises of the Hellenistic period are particularly noteworthy, which certainly reproduce, by simplifying them, the forms of domestic architecture, with the two layouts ad òikos and peristyle (Adriani, 1963-1966). In addition to these two types, there are examples of more modest houses with an atrium or a central light well, around which the few rooms of the house (with a more Egyptian-like than Hellenistic character) were distributed on one or more floors. The Bellum Alexandrino documents the existence of tower-houses and the widespread use of vaulted roofs in late Hellenistic buildings. There are many remains of mosaic floors, which although often do not allow the plan of the house to be restored, clearly denounce the affinities with funerary architecture. (Adriani, 1963-1966) According to Finocchi, the houses were originally low: one or two floors. Subsequent demographic and urbanization problems led to the rise of multi-storey houses and apartments on the model of the Roman insulae insulae. In fact, from the Roman era (III century AD) the following indications are given to favor the delivery of a letter to Ermopoli (today el-Ashmunein) which symbolizes the building and urban situation in Middle Egypt at that time: “From the door della Luna go on as if you were going to the granaries […] at the first one after the baths, turn left […] and go west. Go down the steps, then go up […] and, leaving the temple walls on the right, you will see a seven-story house. Above the concierge there is a statue of Fortune, and in front of a basket maker: inquire here or at the concierge and they will tell you where to go. Shout to announce you” (Fennel, 2002). This city, shaped like a Macedonian chlamys (Stefanini, 1950; Bernard, 1966), center of radiation of Hellenism, was probably not founded to be the capital of the country, given that the seat of government remained in Memphis until Ptolemy firmly secured the possession of Egypt (Milne, 1963). According to Haas, the drawing of the urban landscape of Alexandria can in fact be better understood if considered in the light of the city’s port function (Hass, 1997): certainly, Alexander the Great, when he chose the site, knew that there were no ports on the Nile Delta able to accommodate a large fleet. In fact, first of all, the foundation was linked to commercial (rather than military) reasons, so that it could take the place of Tire in Phenicia, destroyed by the founder. By virtue of this port function of the city, the Heptastadio, an imposing dam that connected the island of Pharos to the mainland, bridging a distance of about 1200 m, is not only an impressive engineering work, but a highly characteristic architectural solution of the city and its potential economic development (Finocchi, 2002). It divides the port into two parts: the Great Port to the East and the Eunostos to the West. However, the artificial port Kibotos, set back from the Eunostos, seems to have played a more important role than the latter. The navigable canal that fed Alexandria came from the south-east, flanked the entire southern limit of the town, folded sharply to the north, crossing the city at the western limit, and poured its waters right into the Kibotos (Rocchetti, 1959). In the plan of the Great Eastern Port, like Eunostos, we recognize a Phoenician plant used by Alexander the Great for military reasons: when the island of Pharos is connected to the mainland with the Heptastadio, the analogy with the

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Il limite orientale della città nel periodo “straboniano-adrianeo”

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Conclusioni

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La città contemporanea di Alessandria d’Egitto si consolida, nella sua complessità, sul “riuso” delle tracce archeologiche della città greco-romana, attraverso un processo di continue stratificazioni, giustapposizioni e trasformazioni. Tracce e segni sovrapposti, interrotti, talvolta cancellati, costruiscono lo spessore del sottosuolo come stratificazione, stratificazione o forse, meglio, come palinsesto (Corboz, 1995): come manoscritto antico, raschiato via dalla pergamena e sostituito da un nuovo testo, nelle cui interlinee rimane possibile la lettura, anche parziale, del vecchio sottostante. L’architettura delle stratificazioni si trasforma, così, in “struttura assente” che permane nel cambiamento: è materia di progetto, in quanto capace di generare il tracciato archetipico e persistente della città in trasformazione. La presente ricerca, di cui questo saggio rappresenta un estratto, si pone come obiettivo quello di offrire uno strumento di lettura critica degli attuali fenomeni urbani, a partire dal disvelamento dei caratteri di questa profonda e significante ossatura portante. Il metodo di indagine si fonda, non solo, sulla reinterpretazione delle fonti consolidate, ma anche su un approccio compositivo in grado di decodificare i processi morfogenetici della struttura urbana nel tempo. In particolare, l’elaborazione di una nuova carta topografica della città di fondazione ellenistica rivela, innanzitutto, i caratteri della “forma insulare” del sito che, a sua volta, si adegua alle regole della rappresentazione geometrica ed architettonica; consente, inoltre, di ristabilire una corretta e, soprattutto, razionale cronologia e dimensione dell’espansione urbana. La metodologia impiegata, dunque, segue parallelamente tre tipi di approccio: filologico-cronologico, archeologico-compositivo, geografico-topografico. Lo studio, di prossima pubblicazione, è stato catalogato in una serie di schede in fieri che scompongono la topografia di Alessandria in siti notevoli e aree tematiche d’interesse, puntualmente accompagnate dal riferimento alle fonti analizzate. La voce “Ritrovamenti archeologici”, l’antologia delle fonti e della critica, la bibliografia essenziale, le fonti iconografiche, le immagini allegate, i link web consultati, corredano ogni scheda e consentono di avere un quadro d’unione, sicuramente non ancora esaustivo, ma fondamentale per successive riflessioni critiche. Esse sono state elaborate per analogia o confronto tra le numerose interpretazioni filologiche e la verità dell’evidenza archeologica. Si è verificato come quest’ultima, spesso, mette in crisi le ricostruzioni cartografiche fondate prevalentemente sullo studio delle numerose fonti letterarie esistenti. Da queste, comunque, non è possibile prescindere visto che la storia geologica di Alessandria (terremoti, abbassamento del livello del suolo, accumularsi di sabbie e detriti) e la rinascita, dal XIX sec. in poi, hanno cancellato gran parte delle tracce dell’antica metropoli.

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The eastern limit of the city in the “early Hellenistic period”: critical analysis of the plans by Adriani, Hoepfner and Günter Adriani and Hoepfner hypothesize the eastern limit of the city, in its first phase of expansion, approximately at the height of that cross road that el-Falaki defines R’4. In Günter’s elaboration, such a limit moves to the left: the city of foundation narrows considerably up to R’2, to cut out of the enclosure all the necropolises of the Hellenistic period which, in fact, usually are located outside the walls. The extent of the latter, among other things, is not identified in the papers of Adriani and Hoepfner; in Günter’s, the corresponding areas are identified with an incorrect rotation. In fact, by comparing and superimposing the plans of these authors with the map drawn up by Fraser, the real position of the Hellenistic necropolis east of the city is highlighted. It seems that: - Adriani and Hoepfner excluded from the first enclosure only the necropolis of Hadra and Ibrahmiya and included the necropolis of Chatbi and the tomb of Alabaster; - even in the insula where the alabaster tomb is located, Hoepfner hypothesizes one of the fifty residential districts in which it divides the entire city (at the height of its expansion); - Günter further narrowed the extension of the enclosure towards the east, to also exclude the necropolis of Chatbi and even the tomb of Alabaster. In the monograph edited by Bonacasa, “An unpublished work by Achille Adriani on the Tomb of Alexander”, all of Adriani’s studies on the subject are collected posthumously: he dismantles the commonly accepted theory that placed Alexander’s Sema in Kôm el Dikka. Adriani comes to formulate the hypothesis according to which the Sema (built by Ptolemy I) was to be identified precisely with the few remains of the Tomb of Alabaster, in a peribulum of the palace complex: it also received the remains of Alexander’s successors. The set of Ptolemy burials took the name of Ptolemaion and could be found in or near Sema, always in the area of the palaces, therefore within the city enclosure (Bonacasa, 2005). These considerations have led to place the alleged eastern limit, during the first phase of Hellenism, in a position between that supposed by Günter and that hypothesized by Adriani and Hoepfner; that is, such as to exclude all Hellenistic necropolises from the city enclosure, except the alabaster tomb, probably the site of Alexander’s Sema, around which the royal necropolis, the Ptolemaion, was located. And again, for these reasons, three insulae between R’2 and R’3, north of Via Canopica, desig-

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di Alessandro a Kôm el Dikka. Adriani giunge a formulare l’ipotesi secondo la quale il Sema (costruito da Tolomeo I) fosse da identificarsi proprio con i pochi resti della Tomba di Alabastro, in un peribolo del complesso della Reggia: accolse anche le spoglie dei successori di Alessandro. L’insieme delle sepolture dei Tolomei, prendeva il nome di Ptolemaion e poteva trovarsi nel Sema o nei pressi, comunque sempre nell’area dei palazzi, quindi all’interno del recinto della città (Bonacasa, 2005). Queste considerazioni hanno indotto a collocare il presunto limite orientale, durante la prima fase dell’ellenismo, in una posizione compresa tra quella supposta da Günter e quella ipotizzata da Adriani ed Hoepfner; tale, cioè, da escludere dal recinto della città tutte le necropoli ellenistiche, tranne la tomba di alabastro, probabile luogo del Sema di Alessandro, nell’intorno del quale trovava posto la necropoli reale, il Ptolemaion. Ed ancora, per questi motivi, tre insulae comprese tra la R’2 e la R’3, a Nord della Via Canopica, designate da Hopfner per un uso abitativo, saltano per essere inglobate nell’area della Reggia. Per cui, nel periodo tardo romano le insulae di 144 case ciascuna, non sono più cinquanta, come sostiene Hoepfner (Günter, 1966), ma quarantasette.

Phoenician ports of Sidon and Tire. The architect Deinokrates therefore adopted the Greek-Hippodamian example for Alexandria as in the cities of Miletus and Priene. On the contrary, the Kibotos, with its rectangular or square shape, has no equal in the ports of the Greek, Roman or Phoenician world. According to el Fakharani, it follows the pharaonic type adopted several times in Egypt, both on the Mediterranean and on the lake. This theory could be reflected in the discovery of the engineer Jondet; in the second half of this century, he identified a submerged port extending eastward from the western limit of the island of Pharos. He attributes it to the new Pharaonic Kingdom, and no longer to the Homeric age, just like Weil who traces it back to the Cretans (el Fakharani, 1991), (Jondet, 1996).

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nated by Hopfner for residential use, jump to be incorporated into the area of the Palace. Thus, in the late Roman period the insulae of 144 houses each, are no longer fifty, as Hoepfner argues (Günter, 1966), but forty-seven.

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Conclusions The contemporary city of Alexandria in Egypt, is consolidated – in its complexity – on the “reuse” of the archaeological traces of the Greek-Roman city, through a process of continuous stratifications, juxtapositions and transformations. Overlapping, interrupted, sometimes erased traces and signs build the thickness of the subsoil as a stratification, or perhaps, better, as a palimpsest (Corboz, 1995): as an ancient manuscript, scraped off the parchment and replaced by a new text, in whose spacing remains even partial reading of the old underlying is possible. The architecture of the stratifications is thus transformed into an “absent structure” that persists in the change: it is a matter of design, as it is capable of generating the archetypal and persistent layout of the city in transformation. The present research, of which this essay represents an excerpt, aims to offer a critical reading tool of current urban phenomena, starting from the unveiling of the characteristics of this profound and significant supporting framework. The method of investigation is based not only on the reinterpretation of consolidated sources, but also on a compositional approach capable of decoding the morphogenetic processes of the urban structure over time. In particular, the elaboration of a new topographic map of the city of Hellenistic foundation reveals, first of all, the characteristics of the “island shape” of the site which, in turn, adapts to the rules of geometric and architectural representation; it also allows to re-establish a correct and, above all, rational chronology and dimension of the urban expansion. The methodology used follows three types of parallel approach: philological-chronological, archaeological-compositional, geographictopographical. The study, forthcoming, has been cataloged in a series of works in progress that break down the topography of Alexandria into notable sites and thematic areas of interest, promptly accompanied by references to the sources analyzed. The item “Archaeological finds”, the anthology of sources and criticism, the essential bibliography, the iconographic sources, the attached images, the web links consulted, accompany each file and allow you to have a picture of union, certainly not yet exhaustive, but fundamental for subsequent critical reflections. They were elaborated by analogy or comparison between the numerous philological interpretations and the truth of the archaeological evidence. It has happened that the latter often undermines cartographic reconstructions based mainly on the study of the numerous existing literary sources. However, it is not possible to ignore these as the geological history of Alexandria (earthquakes, lowering of the ground level, accumulation of sand and debris) and the rebirth, from the nineteenth century onwards, they have erased most of the traces of the ancient metropolis.

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urbanform and design

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U+D Towards an operating urban regeneration

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.011

Rosalba Belibani

DiAP, Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università degli Studi di Roma E-mail: rosalba.belibani@uniroma1.it

Deborah C. Lefosse

DiAP, Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università degli Studi di Roma E-mail: deborah.lefosse@uniroma1.it

Introduzione

Introduction In the name of regeneration, the study on the historical city and the deep linkage between city and architecture is renewed. Urban areas are never static, they expand, contract or change in response to economic and social pressures. The contemporary city no longer undergoes the major productive and demographic changes that caused its primary development, but it is called to manage gradual spatial and sectoral adaptations resulting from economic activity and population movements. While the recent economic recession led governments and businesses to invest increasingly less in the city as a resource for all of us, not just for a few, and technology requires smart cities that are homologated in

Nel segno della rigenerazione si rinnova lo studio della città storica e del legame profondo che intercorre tra città e architettura. Le aree urbane non sono mai statiche, si espandono, si contraggono o si modificano in risposta a pressioni economiche e sociali. La città contemporanea non subisce più i grandi cambiamenti produttivi e demografici che ne hanno determinato l’assetto primario, ma è chiamata a gestire graduali adattamenti spaziali e settoriali derivanti dall’attività economica e dai movimenti della popolazione. Mentre la recente recessione economica porta governi e imprese a investire sempre meno nella città come risorsa per tutti e non solo per pochi e la tecnologia esige smart city omologate nell’immagine e nel pensiero costruttivo, profonde contraddizioni interne deteriorano i sistemi socio-spaziali e i luoghi non sono più bussole per il singolo e la collettività. Da anni ormai al centro dell’agenda politica in Europa e nel mondo, il tema della “rigenerazione urbana” non implica solo il confronto con la storia che plasma il paesaggio locale, ma contempla obiettivi globali di inclusione sociale, rilancio economico, consumo di suolo e sostenibilità ambientale. Rigenerare significa attivare dinamiche di crescita plurivalenti e multiscalari, in cui l’architettura è un mezzo per migliorare la qualità di vita dei cittadini, rafforzando l’urbanità come senso di appartenenza al luogo e spirito di coesione nella comunità. Il progetto si fa più ardito quando si colloca in un contesto storico lasciato al degrado, crogiuolo di popoli diversi e testimonianze di civiltà, punto nevralgico nell’assetto metropolitano che reclama una revisione completa e complessa del rapporto tra progetto architettonico e morfologia urbana. È il caso del quartiere San Lorenzo (fig. 1) in Roma che, formatosi sul finire dell’Ottocento come tessuto spontaneo ad alta densità, si connota per la serialità di tipologie edilizie di base specializzate nei piani terra con attività artigianali e commerciali, di cui ora rimane solo un’eco lontana. La prolungata assenza di un’azione programmatica, i bombardamenti e i tentativi di recupero solo puntuali, l’ingombrante infrastruttura che ha sovrascritto reti di livello metropolitane, insieme a un sentimento di insicurezza sociale, hanno reso questo distretto centrale un’isola intra moenia, riconosciuta un tempo per la presenza del patrimonio archeologico-monumentale (Mura Aureliane, Porta Maggiore, una villa romana in Via De Lollis), riconoscibile oggi per la mixité antropologico-culturale. Gli ultimi interventi progettuali, già realizzati o previsti, palesano un’incongruenza con l’ambiente costruito e la difficoltà di confrontarsi con l’eredità di un contesto tanto chiaro nei contorni della sua identità collettiva, quanto fragile nei limiti delle sue attuali potenzialità di trasformazione. Questo studio nasce, dunque, per definire linee guida e strategie che qualificano il progetto contemporaneo quando si innesta in un tessuto consolidato per vivificarlo, ponendo in discussione esiti e metodi ricorrenti. Affidandosi alle teorie di scuola romana, al carattere analitico della lettura e quello sintetico del progetto applicati al caso di studio, si perviene a una rigenerazione operante che vuol dire trovare ordine in ogni traccia per ricomporre la narrazione urbana, aggiornare l’ambiente costruito con nuovi segni, continuare un processo civile ispirando buoni comportamenti sociali. L’intento finale è quello di orientare la pianificazione verso la morfologia urbana come valido strumento per rendere le città più vivibili, le comunità più resilienti.

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Abstract In the name of regeneration, the study on the historical city and the deep linkage between city and architecture is renewed. For years at the heart of the political agenda in Europe and worldwide, “urban regeneration” not only implies a comparison with history, but also global objectives of social inclusion, economic upturn, environmental sustainability. A design project is more difficult when placed in a historical context left to decay, a melting pot of different people and a crucial point in the metropolitan layout that calls for a complete and complex renew of the relation between architectural design and urban morphology. This is the case of the San Lorenzo district in Rome, an urban island intra moenia once was recognised for its archaeological-monumental heritage that is now recognisable for its anthropological-cultural mixité. This article aims to define guidelines and strategies that qualify design when it fits into a consolidated urban fabric, highlighting the role of morphology as an analytical prerequisite for interpreting the built landscape and a synthetic one for configuring new spaces as a natural evolution of reality. The challenge of contemporary design lies both in understanding and respecting the inner logic of a specific city neighbourhood and in making it unique and operating within a more complex and cross-scale system. Regenerating does not mean generating again, but knowing how to continue creating unity, continuity and vitality of the urban organism.

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Keywords: urban morphology, reading and designing, operating regeneration

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Verso una rigenerazione operante della città

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terms of image and constructive thinking, internal contradictions are damaging socio-spatial systems and places which are no longer landmarks for individuals and communities. For years at the heart of the political agenda in Europe and worldwide, “urban regeneration” not only implies a comparison with history, but also global objectives of social inclusion, economic upturn, environmental sustainability. Regenerating means activating multi-value and multi-scale growth dynamics, in which architecture is a tool to improve the quality of city life, strengthening urbanity as a sense of belonging to the site and a spirit of cohesion in the community. A design project is more difficult when placed in a historical context left to decay, a melting pot of different people and a crucial point in the metropolitan layout that calls for a complete and complex renew of the relation between architectural design and urban morphology. This is the case of the San Lorenzo district in Rome (fig. 1): built at the end of the nineteenth century as a high-density spontaneous urban fabric, it is featured by a series of basic building types specialised on the ground floor with craft and commercial activities of which only their echo remains. A prolonged absence of planning actions, bombings and attempts to recover partially, heavy infrastructure overwriting metropolitan networks together with social insecurity turned this central district into an urban island intra moenia once was recognised for its archaeological-monumental heritage (Aurelian Walls, Porta Maggiore, a roman domus in Via De Lollis) that is now recognisable for its anthropological-cultural mixité. The latest design projects, completed or planned, reveal an inconsistency with the built environment and difficulty of dealing with the legacy of a context that is as clear in its collective identity as fragile within the limits of its current transformative potential. This article aims to define guidelines and strategies that qualify design when it fits into a consolidated urban fabric to vitalise it, challenging recurring results and methods. Through the Roman school theories, the analytical character of reading and the synthetic one of design applied to the case study, we provide an operating regeneration that means finding order in every trace to recompose the urban history, updating the built environment with new signs, continue a civil process by inspiring better social behaviour. The final purpose is to orient city-makers and planning towards urban morphology as a valid tool able to make cities more liveable, communities more resilient.

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Fig. 1 - Quartiere San Lorenzo, Roma. San Lorenzo district, Rome.

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Rigenerare il pensiero

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La crescente attenzione verso la morfologia urbana e il suo quadro teoricopratico, ne ha evidenziato il ruolo chiave in varie discipline sia come strumento per conoscere la ratio tangibile e intangibile della città, sia come metodologia di insegnamento per indirizzare in maniera sistematica il progetto urbano ad affrontare sfide sempre più ardue e urgenti. La maggior parte della letteratura esistente si concentra sull’analisi dell’habitat urbano, mentre sono ancora pochi i contributi che trattano la rigenerazione nelle città storiche con un approccio morfologico. Questa situazione riflette il ruolo poco rilevante della morfologia urbana fuori dall’ambiente accademico e in particolare tra progettisti e pianificatori cui spettano decisioni importanti sul futuro della città. Il concetto di “rigenerazione urbana” implica politiche e progetti di intervento per migliorare ambiti urbani abbandonati, non qualificati o in stato di degrado socio-economico, spaziale e ambientale. Questa nozione ha iniziato a prendere piede alla fine degli anni ’60 con programmi politici che affrontavano la deprivazione sociale nelle aree urbane (McCarthy, 2007). Oggi si è evoluta in un approccio olistico per promuovere l’attività economica, ripristinare la socialità attraverso l’inclusione, recuperare gli ecosistemi urbani ristabilendo un equilibrio tra uomo e ambiente (Couch et al., 2003). La rigenerazione urbana si basa sul presupposto che i problemi economici e sociali non sono a-spaziali e il carattere di un luogo può aggravarli o risolverli, per questo investe sull’urbe per innovare la civitas. La riqualificazione della città fisica può innescare sviluppo e miglioramento in molti settori contemporaneamente: favorire la crescita economica, diminuire inequità sociale e culturale, rafforzare la coesione comunitaria e il capitale sociale, limitare il cambiamento climatico (Jones e

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Regeneration the thought The growing attention to Urban Morphology and related theoretical-practical framework highlights its key role in various disciplines both as a tool to know the tangible and intangible ratio in a city and as teaching methods to systematically to address urban planning in facing tough and urgent challenges. Most of the existing literature focuses on urban habitat analysis, while there are still few contributions dealing with regeneration in historical cities via morphological approach. This reflects the relatively significant role played by urban morphology outside academia, especially among designers and urban planners who decide the city’s future. The concept of “urban regeneration” involves policies and projects to improve abandoned, unqualified or socioeconomically, spatially and environmentally degraded urban areas. This concept began to take hold in the late 1960s with policy programmes addressing social deprivation in urban areas

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Fig. 3 - Porta Tiburtina lungo le Mura Aureliane. Porta Tiburtina along the Aurelian Walls.

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Evans, 2013; Flint e Raco, 2012). La natura multidimensionale della rigenerazione urbana evidenzia responsabilità e possibilità del progetto urbano di costruire civiltà agendo sulla città come contesto e prodotto della società, entro cui essa opera, si manifesta, si riconosce. L’apporto congiunto di più discipline diviene, allora, necessario per gestire la complessità urbana quando l’obiettivo finale è la sostenibilità in tutte le sue declinazioni. Ma la natura omnicomprensiva della rigenerazione urbana costituisce anche il suo maggiore limite: la difficoltà delle sfide previste insieme alla necessità di soddisfare interessi plurimi hanno prodotto esiti parziali e incongruenti volti a privilegiare ora le persone ora gli affari (Tallon, 2010). Per tutte queste ragioni prima di rigenerare la città occorre rigenerare il pensiero sulla città. In ciò diventa paradigmatica la ricerca condotta da Muratori a partire dagli anni Trenta quale prodromo di un approccio morfologico alla pianificazione urbana per tradurre l’analisi in progetto (Maretto, 2012). I concetti chiave di città organica, storia operante, progetto come convergenza di teoria e pratica forniscono una guida metodologica per riformare pensiero e azione sulla città. Nel termine “rigenerazione” è insita una vitalità che anticipa il senso della città come organismo unitario e molteplice nelle sue parti vincolate da legami di necessità e gerarchia. In quanto organismo, la città è anche un processo che si costruisce nel tempo coinvolgendo architettura, tipologia, morfologia e storia: il carattere della città è sviluppo del suo piano, espressione del suo paesaggio, traccia del suo tessuto, vita sociale e tradizione (Muratori, 1980). La verità storica si svela leggendo la realtà come sequenze successive in un percorso elettivo per ricomporre frammenti di modernità (Muratori, 1950). In quest’ottica la città è fonte storiografica e civica, le sue vicende si leggono nelle trasformazioni dell’architettura, si scrivono col design. Nel segno della forma urbana che muta natu-

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(McCarthy, 2007). Today it has evolved into a holistic approach to promote economic activity, to restore social inclusion, to recover urban ecosystems by re-establishing the man-nature balance (Couch et al., 2003). The notion of urban regeneration is based on the assumption that economic and social problems are not a-spatial, and the character of a location can worsen or solve them, this is why it invests in urbe to innovate civitas. Upgrading a physical city encourages development and improvement in many sectors simultaneously: fostering economic growth, decreasing social and cultural inequity, strengthening community cohesion and social capital, limiting climate change (Jones and Evans, 2013; Flint and Raco, 2012). The multidimensional nature of urban regeneration shows responsibility and possibility of the urban design in building civilisation and taking action in an urban context where society works, expresses and identifies itself. The joint contribution of several disciplines becomes necessary to manage urban complexity when the final goal is sustainability in all areas. But the all-embracing nature of urban regeneration is also its greatest limitation: difficult challenges along with the need to satisfy multiple interests have produced partial and incongruent outcomes favouring people or business alternatively (Tallon, 2010). For all these reasons, before urban regenerating, we need to regenerate thinking about the city. To do this, since the 1930s the Muratori’s research becomes paradigmatic as

Fig. 4 - Basilica di San Lorenzo Fuori le Mura, antistante il cimitero del Verano. Church of San Lorenzo Fuori le Mura, in front of the Verano Monumental Cemetery.

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Fig. 2 - Processo formativo del rione San Lorenzo (a. 1850; b. 1870; c. 1900; d. 1962; e. 2000; f. 2020). San Lorenzo’s formative process (a. 1850; b. 1870; c. 1900; d. 1962; e. 2000; f. 2020).

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Fig. 5 - Percorsi di formazione, pattern regolare, Tangenziale Est. Formative paths, square pattern, Tangenziale Est.

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Fig. 6 - Bombardamenti (1943). Bombing (1943).

a forerunner of the morphological approach to translate analysis into urban planning (Maretto, 2012). The key concepts of organic city, operating history, design as a union between theory and practice provide a methodological guide for reforming urban thought and action. “Regeneration” includes a vitality that anticipates the sense of the city as a unitary and multi-faceted organism in which all elements are connected to each other by mutual and hierarchal relations. As an organism, a city is also a process built up over time involving architecture, typology, morphology, and history: a city is development of its urban plan, expression of its landscape, trace of its fabric, social life and civilisation (Muratori, 1980). The historical truth is shown in reading reality as following sequences in an elective path to recompose fragments of modernity (Muratori, 1950). From this viewpoint, the city is a historiographical and civic source, its events can be read in changing architecture, written by design. Urban form naturally turns into new shapes according to social needs and times, the operating history links analysis, reading and design (Muratori, 1963). The formative process pervading urban space is the cultural foundation that forms and informs design by reinterpreting the linkage between theory and practice. Architecture is conceived as a science of design able to recover past values and discover the present ones (Maretto, 2012). At the core of urban regeneration, there is not only a matter of research methodol-

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ralmente in nuove configurazioni secondo esigenze e tempi della società, la storia operante raccorda analisi, lettura progetto (Muratori, 1963). La logica processuale che pervade lo spazio urbano costituisce il programma culturale che forma e informa il progetto reinterpretando il legame tra teoria e pratica. L’architettura è concepita come scienza del design con il potere di recuperare valori del passato e di scoprire valori del presente (Maretto, 2012). Alla base della rigenerazione urbana non c’è solo una questione di metodologia di ricerca ma piuttosto la necessità di stabilire quella collaborazione tra processi storici e progettuali che la renderebbero operante. Altro tema associato alla rigenerazione urbana è la sua applicazione entro città storiche. Il problema della conservazione del paesaggio storico come opposto alla tutela del singolo edificio, pone in discussione l’approccio storicista della scuola morfologica italiana. Come sottolinea Whitehand, la sola conoscenza dei caratteri storici dell’ambiente costruito non è sufficiente a garantire un’evoluzione coerente della sua passata eredità in forme e significati nuovi. La morfologia urbana aiuta a guardare avanti attraverso sequenze storiche: ciò assicura permanenza e continuità alle possibili trasformazioni future quando esse sono guidate dalla comprensione dei processi che compongono e trasformano la città negli elementi fisici e nelle loro interrelazioni (Strappa, 2020). Tuttavia, la storia dei paesaggi culturali è spesso segnata da traumi, eventi naturali o antropici, che ne interrompono lo sviluppo lineare, ciò rende più difficile sia interpretare quel contesto sia intervenire per ricostruirne gli equilibri originari. In tal senso le discipline di progetto si dividono tra linee di ricerca conservative o innovative. Da un lato, la rigenerazione dello spazio urbano mira a preservare il valore del luogo contemplando solo opere necessarie con il minimo impatto formale e funzionale; dall’altro, nella lotta tra civiltà locale e universale (Ricoeur, 1961) Rosalba Belibani_ Deborah C. Lefosse | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

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Fig. 7 - Edificio bombardato in Via dei Sabelli (1943-2020). Bombed building in Via dei Sabelli (1943-2020).

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l’architettura tende alla globalizzazione imponendo un immaginario stilistico che poco e male dialoga con il patrimonio esistente. Il processo di rigenerazione esprime un bisogno che si traduce in opportunità per risolvere questioni insolute e dare al luogo un senso ancora sconosciuto (Neglia, 2020). In molti paesi europei la rigenerazione urbana esisteva già prima delle politiche comunitarie dirette allo stesso scopo: è il caso di Francia, Gran Bretagna, Irlanda e Spagna, le cui metropoli hanno proposto nuovi modelli di riqualificazione volti principalmente a sanare irregolarità edificatorie o a reinventare comparti industriali in disuso. In questi casi, il successo delle pratiche migliori è dovuto alla realizzazione di forme partecipative e alla disponibilità di strumenti finanziari istituzionali che hanno permesso il monitoraggio di ogni intervento e della relativa sostenibilità sociale (Colantonio e Dixon, 2011). In Italia, il confronto con l’eredità millenaria dei centri storici, il degrado delle periferie, la disumanizzazione dello spazio pubblico, sono solo alcune delle questioni più rilevanti che rivendicano attenzione e soluzione. La rigenerazione urbana contemporanea cerca nel dinamismo socio-economico e ambientale una visione globale che non corrisponde agli esiti sinora raggiunti, ecco perché morfologia urbana e sostenibilità sono fondamentali per raggiungere risultati efficaci, coerenti e durevoli. In questa direzione alcuni studi recenti stanno sperimentando l’integrazione tra benefici ecosistemici e morfologia urbana, ambiente naturale e costruito (Marcus et al., 2020), ma ulteriori passi in avanti possono essere compiuti.

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ogy but rather the need to establish a collaboration between historical and design processes that make it operating regeneration. Another issue related to urban regeneration is its application within historical centres. The problem of the historical landscape preservation as opposed to the idea of protecting individual building questions the historicist approach of the Italian Morphological School. As stated by Whitehand, mere awareness of historical features in the built environment is not sufficient to ensure a coherent evolution of its past heritage into new forms and meanings. Urban Morphology helps to look ahead through historical processes: this guarantees permanence and continuity to possible future changes when they are guided by understanding of the processes that make up and transform the city in physical elements and their interrelations (Strappa, 2020). However, cultural landscapes are often marked by trauma, natural or anthropogenic events, which interrupt their linear development: this makes it more difficult for both interpreting them and operating to reconstruct an original balance. To do this effectively, design disciplines are divided between conservative or innovative approaches. On the one hand, urban regenerating aims to preserve the local value admitting just necessary works with a minimum formal and functional impact; on the other hand, in the struggle between local and universal civilisation (Ricoeur, 1961), architecture tends to globalisation by imposing

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Fig. 8 - Pastificio Cerere oggi riconvertito in museo. FPastificio Cerere now converted into a museum.

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Analizzare una città storica significa leggerne substrata e network che ci scompongono e ricompongono in un negoziare continuo di identità e forma. L’anatomia di un organismo urbano deve essere studiata e compresa attraverso le tracce dei tessuti edilizi e sociali e la loro interazione con il paesaggio (Muratori, 1950). Il quartiere San Lorenzo è emblematico per la sua capacità di sintetizzare in un unico comparto urbano le fasi più significative dell’evoluzione di Roma, di seguito esplorata mediante analisi storico-morfologica, tipologica e socio-culturale. Il distretto di San Lorenzo, sorto tra le mura Aureliane e l’omonima basilica, riflette la formazione recente della quasi totalità dell’ambiente costruito romano al di fuori del centro storico (fig. 2): la sua origine si attesta sul finire del sec. XIX con i primi insediamenti spontanei comparsi tra terreni agricoli, orti e vigneti. La costruzione del cimitero monumentale del Verano (1859-1878), l’inaugurazione della ferrovia Roma-Tivoli (1879), le nuove fabbriche insieme allo scalo merci hanno attirato qui operai e artigiani da tutta Italia: la vocazione popolare del quartiere nasce in quegli anni per rimanere visibile ancora oggi (Pazzaglini, 1994). In seguito alla proclamazione di Roma capitale, uno straordinario fermento edificatorio invade l’intera città avviandone un notevole sviluppo urbanistico. In assenza di strumenti di piano (la prima pianificazione ufficiale risale al 1909, ad opera di Sanjust), l’area si configura per completamento di lotti disposti lungo il percorso matrice di Via Tiburtina che collega le due principali polarità, le mura antiche con Porta Tiburtina (fig. 3) e la Basilica di San Lorenzo (fig. 4) con il cimitero del Verano. Per soddisfare la crescente domanda di casa, il quartiere si popola rapidamente con tipologie ad alta densità (case a schiera e a ballatoio), standard abitativi minimi e scarsa qualità costruttiva. Nei primi decenni del ’900, pur senza regolamenti edilizi, il quartiere assume un pattern regolare, percorsi d’impianto e di collegamento si evolvoinnestano tra loro in sequenze variamente ortogonali (fig. 5). Le schiere evolvo no in orizzontale come linee continue specializzate nei piani terra con attività efartigianali o commerciali e in verticale aumentando il numero dei piani per ef fetto della plurifamiliarizzazione (Strappa, 1995). Edifici in linea e a ballatoio completano gli isolati annodandosi su se stessi in forma di blocchi con una o più corti centrali, mentre servizi comuni (cucine e bagni) compaiono puntual puntualmente come estensione di spazi domestici spesso ridotti a un modulo monofa monofamiliare e multifunzione. Negli stessi anni l’ambiente costruito si arricchisce di edifici specialistici (scuole, chiese) e produttivi (fabbriche) rendendo anche il tessuto sociale più compatto all’insegna di un reciproco assistenzialismo. Gli equilibri interni apparentemente stabili vengono interrotti dalla guerra che im impone condizioni di vita ancora più precarie. Tra i due conflitti mondiali l’indu l’industria bellica implementa il trasporto pensante e San Lorenzo diventa un nodo di scambio e transizione centrale all’interno della città. Il 19 luglio del 1943 Roma subisce l’attacco delle forze aree americane, San Lorenzo è il primo quar quartiere a essere bombardato (fig. 6) con perdite enormi in termini di vittime e patrimonio costruito (Piccioni, 1984). Il vuoto sociale e urbano lasciato dalle bombe è testimoniato ancora oggi da un esiguo gruppo di edifici rimasti in sospeso come allora (fig. 7). La Liberazione del 1944 pone in evidenza un duplice dinamismo: da un lato, la maggior parte dei residenti e delle attività produttive si trasferisce altrove; dall’altro, il tessuto costruito rimasto intatto si densifica tra nuovi immigrati in cerca di fortuna e studenti fuori sede che si concentrano qui per prossimità alla prima università di Roma (Sapienza), combinando così molteplici realtà sociali. La seconda metà del sec. XX si caratterizza per una ripresa edilizia ed economica piuttosto lenta, sfavorita dall’esclusione al Piano Regolatore del 1962 e dai suoi meccanismi di investimento che non contemplano la necessità di risanare un rione lacerato dalla guerra, a meno di sovrascriverlo con uno nuovo layer infrastrutturale. La Tangenziale Est (1963-75) domina dall’alto l’ambiente urbano e lo distingue affermandosi come nuovo landmark. Il carattere residenziale e proletario del quartiere non si rinnova nell’urbanistica ma nel segno dell’arte. Una generale rinascita culturale si realizza attraverso sperimentazioni artistiche che si manifestano entro nuovi edifici o preesistenze industriali rifunzionalizzate (Fonderie Bastianelli, Pastificio

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a stylistic imaginary that has no dialogue with the existing heritage. A regenerative process translates a need into an opportunity for resolving unanswered issues as well as making a still unknown sense of place (Neglia, 2020). In many European countries, urban regeneration already existed before Community policies towards the same purpose: this is the case of France, Great Britain, Ireland and Spain, whose metropolises proposed new urban upgrading models designed mainly to remedy building deficiencies or recover former industrial fabrics. Their best practices are due to the implementation of co-design processes and institutional funds that allowed monitoring each intervention and its social sustainability (Colantonio and Dixon, 2011). In Italy, comparing with the millenarian legacy of historical centres, degradation of suburbs, dehumanised public space, are just some of the most relevant issues that demand attention and solution. Through socio-economic and environmental dynamics, contemporary urban regeneration tries to reach a global vision that does not correspond to gained results: this is why urban morphology and sustainability are fundamental to achieve effective, coherent and long-term solutions. In this direction, recent studies are experiencing the integration between ecosystem services and urban morphology (Marcus et al., 2020), but further advances are required.

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Il caso di San Lorenzo, tra lettura e analisi

The case of San Lorenzo, reading and analysis Analysing a historical city means reading its substrata and networks, they are disassembled and recomposed in a continuous negotiation of identity and form. The anatomy of an urban organism must be studied and understood through its building traces and social fabric, and through their interaction with nature and landscape (Muratori, 1950). San Lorenzo district is emblematic for the ability to synthesise the most significant phases of the spatial evolution of Rome in one urban sector to be explored through historicalmorphological, typological and socio-cultural analysis. Built between the Aurelian Walls and the homonymous basilica, this neighbourhood reflects the recent formative process of almost the entire Roman capital outside the historical core (fig. 2): its origin is dated around the end of the 19th century with the first spontaneous settlements that appeared among farmlands, vegetable gardens and vineyards. Construction of the Verano Monumental Cemetery (1859-1878), inauguration of the Rome-Tivoli railway (1879), new industrial factories along with a cargo terminal attracted workers and craftsmen from all across Italy: the district’s popular character arose in those years to remain visible even nowadays (Pazzaglini, 1994). Following the proclamation of Rome as the Italian capital, an extraordinary building activity involved the whole city launching a significant urban development. In the absence of planning tools (the first official urban planning by Sanjust dates back to 1909), the city district was configured by filling up the plots along the Via Tiburtina matrix path which linked the two major polarities, the ancient Walls with Porta Tiburtina (fig. 3) and the Church of San Lorenzo (fig. 4) with the Verano Cemetery. To meet the growing demand for housing, the neighbourhood was quickly populated with high-density building types (terraced houses and balconies houses), minimum living standards and poor construction quality. In the early decades of the 20th century, even without building regulations, the neighbourhood was structured on a regular pattern created by orthogonal pathways (fig.

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Fig. 9 - Edilizia di base e specialistica (tessuti e tipologie). Basic and specialised buildings (urban fabrics and types).

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Cerere, fig. 8), foriere di valori da condividere verso una comune ripartenza. Tipologie abitative isolate (villini e palazzine) sottolineano la nuova presenza di esponenti del settore terziario che ben si integrano tra i ceti sociali esistenti e nell’economia locale. L’immagine odierna del quartiere ricorda un’isola urbana, compressa tra limiti di strutture fisiche ingombranti ma sospesa tra ideali sociali e culturali immutati nel tempo che ne definiscono la forte identità civile, unica in tutta Roma. Proprio la dimensione sociale di San Lorenzo merita un ulteriore approfondimento. La storia mostra come esso sia nato per la presenza e la volontà di migranti provenienti dalla campagna romana o dal Centro/ Sud Italia. La pluralità di origini e tradizioni diverse ha cementato i rapporti umani potenziando il senso di inclusione all’interno della comunità. L’analisi demografica condotta sul tessuto sociale conferma il persistere di una cultura eterogenea che oggi si estende oltre i confini nazionali includendo tre etnie prevalenti: Filippini (50%); Bengalesi (27%); Romeni (23%). Nonostante i numeri rivelino una diminuzione della popolazione locale rispetto a qualche decennio fa, qui la città trova uno sfondo sinergico per compiere la sua funzione sociale favorendo scambi, conoscenze e opportunità tra target differenti tra loro: giovani (19-25 anni); studenti universitari (20-30 anni); lavoratori (20-65 anni); over 65 anni. Alla mixité sociale non corrisponde un’offerta funzionale altrettanto varia per soddisfare adeguatamente la domanda di ogni età e cultura. Lo spazio urbano si modifica conformandosi alle esigenze dei suoi abitanti e al loro modo personale di utilizzarlo. Così, alcuni luoghi sono più frequentati di altri o in essi predomina un certo target: gli abitanti storici si riconoscono tra luoghi di culto, mercati rionali e parchi pubblici; giovani e studenti si ritrovano in piazza, nelle biblioteche e nei locali notturni; spazi verdi e architetture storiche coniugano le necessità dei più, con ciò rappresentano una risorsa unifican-

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5). Terraced houses evolved horizontally as continuous in-line houses specialised on the ground floors with craft and commercial activities and vertically increasing the number of floors due to multi-familiarisation process (Strappa, 1995). Inline houses and balconies houses completed the city blocks with one or more inner courtyards, while common services (kitchens and bathrooms) were located punctually as an extension of domestic spaces reduced to a single-family and multifunctional room. During the same years, the urban fabric was enriched with specialised buildings (schools, churches) and productive buildings (further factories) making society more compact thanks to the mutual aid. An apparently stable balance seemed reached but it was interrupted by war which imposed even more precarious living conditions. Between the two world wars, military industry implemented heavy transport and San Lorenzo became a central exchange and transition hub. Rome was attacked by American air forces on 19 July 1943, San Lorenzo was the first neighbourhood to be bombed (fig. 6) with enormous losses in terms of victims and built heritage (Piccioni, 1984). The social and urban emptiness is emphasised today by a small group of buildings left as were after the bombing (fig. 7). The War’s end (1944) highlighted a double dynamism: on one side, most of the inhabitants and productive activities moved elsewhere; on the other side, the undamaged urban fabric densified due to new immigrants and non-resident students who were concentrated in proximity to the first university of Rome (Sapienza), combining multiple social realities. The second half of the 20th century was marked by a quite slow rebuilding and economic recovery: the district was not included in the 1962 Master Plan and related investments did not involve this war-torn neighbourhood unless it was overwritten with a new infrastructure layer. Tangenziale Est (high-speed highway, 1963-75) dominated the urban environment and established a new landmark in the district. The typical residential and proletarian character was not renewed in urban planning but in the name of art. A general cultural revival was achieved through artistic experimentation occurring within new buildings or re-functionalised industrial existing structures (Fonderie Bastianelli, Pastificio Cerere, fig. 8), where new community values arose to inspire towards a common restart. Isolated building types (low-density apartment houses) underlined the presence of dwellers from the tertiary sector, who were well integrated into local society and economy. The present-day San Lorenzo district is an urban island compressed between bulky physical infrastructures and its cultural and civil identity, unique in Rome. The social dimension of San Lorenzo deserves deep insight. History shows it was built due to the presence and will of migrants coming from the Roman countryside or Central/Southern Italy. A plurality of different origins and traditions cemented human relationships enhancing the sense of social inclusion. Demographic analysis confirms today the persistence of a heterogeneous culture that overcomes national borders including three main ethnic groups: Filipinos (50%); Bengalis (27%); Romanians (23%). Although a decrease of the local population compared to a few decades ago, a special synergy is here in order to fulfil the urban function of promoting exchanges, knowledge and opportunities among different targets: young people (19-25 years); university students (20-30 years); workers (20-65 years); over 65s. The social mixité is not satisfied by a functional

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Fig. 10 - Ambiti di intervento (progetto di rigenerazione urbana). Project areas (urban regeneration).

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Fig. 11 - Strategie progettuali a livello metropolitano (sistema delle percorrenze). Design strategies at metropolitan level (route system), included in the MSc.

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te e identitaria. Dall’analisi morfo-tipologica, invece, emergono analogie e difdif ferenze rispetto alle soluzioni sincroniche adottate nel resto di Roma. Alcuni caratteri dell’impianto planimetrico si confermano simili: tracciati regolari che rievocano la scacchiera ottocentesca, dimensioni simili dei lotti, sezioni stradastrada li ridotte tipiche dei quartieri ad alta densità, presenza minima di verde, servizi ed elementi di decoro urbano. L’edilizia di base è caratterizzata da poche tipo tipologie: tipo a ballatoio, isolato a blocco con corte interna, edifici in linea (spesso realizzati come opere pubbliche o su iniziativa di cooperative popolari), villini isolati (fig. 9). Le facciate neoclassiche si omologano a gran parte del tessuto romano ma celano qui uno spazio domestico alquanto diverso: la superficie del lotto è quasi completamente occupata dall’edificato che sacrifica spazi condominiali e corti interne; gli alloggi hanno dimensioni minime e si compongono generalmente di due o tre stanze; i vani di servizio (scale) sono pochi e arrivano a servire fino a trenta appartamenti per tipo. San Lorenzo svela una delle tante contraddizioni di una città storica: l’immagine uniforma lo spazio urbano ma tradisce le differenze sociali. L’edilizia, pubblica o privata, rispecchia le coscienze di costruttori e progettisti che adattano tipi noti alla destinazione popolare del quartiere, garantendo più abitazioni a scapito della qualità abitativa. Verso un progetto operante Il processo formativo del rione San Lorenzo è indicativo delle criticità che il progetto si trova a gestire in un solo comparto, interrotto in molte delle sue fasi costruttive e limitato da discontinuità esterne e interne al tessuto urbano. Le centralità metropolitane (Policlinico Umberto I, Biblioteca Nazionale,

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offer to adequately meet the demand of all ages and cultures. Urban space changes according to the needs of inhabitants and their personal way of using it. Thus, some places are more popular than others or a certain target group prevails: old inhabitants go to church, the street market and public parks; young people and students meet in squares, libraries, cafés and clubs; green spaces and historical architecture match the needs of most people, thereby representing a unifying and identifying resource. Morpho-typological analysis shows analogies and differences in comparison to the synchronic solutions adopted in other Roman districts. Analogous features are confirmed in the urban fabric: regular paths evoke the 19th century square pattern, plots are similar in size, as typical of high-density neighbourhoods there are narrow streets, minimal greenery, services and urban decoration. The basic building types comprise: balconies houses, city blocks with inner courtyards, in-line houses (built at the public initiative or cooperative one), low-density apartment houses and urban villas (fig. 9). The neoclassical facades are typical of the Roman districts but they conceal here a rather different domestic space: plots are almost completely occupied by buildings that reduce internal courtyards; apartments are small consisting mostly of two or three rooms; stairwells are few and shared by several apartments, up to thirty for each type. San Lorenzo reveals one of the many contradictions in historical cities: a

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Towards an operating design San Lorenzo’s formative process suggests many critical issues which design is called to manage, in addition to its interrupted building phases and external or internal gaps in the urban fabric. Metropolitan polarities (Umberto I Polyclinic, National Library, Sapienza University, Verano Cemetery) limiting this neighbourhood interrupt continuity with the surroundings. Likewise, several infrastructure boundaries (Aurelian Walls, Tangenziale Est, Termini Station) contribute to the district’s isolation. Yet, its central position makes it a hub of exchanges, passages and connections to service of the main urban directions. Design project is also faced with a powerful but fragile historical and social heritage: while nurturing cultural exchange, a prevalence of temporary inhabitants (students, workers, migrants) weakens the social fabric that is struggling to be stable maintaining low income; the local economy is based on the value of real estate which holds back development of the tertiary sector as well as the potential recovery of the existing architectural heritage; the specialised urban fabric reduced the use of public space, hindering the flow dynamics. Therefore, district weaknesses lie in cross-scale systems: at the metropolitan level, they mainly concern connections; at the local level, they involve non-permeable barriers, buildings and open spaces subject to morphological, typological and functional unevenness. Many of these vulnerabilities are concentrated in four areas chosen as design areas to be enhanced (fig. 10): Area B7 is a large urban void occupied by disused production structures obstructing the perspective towards the Aurelian Walls; in Area C4 there is a concentration of infrastructural flows, knots and railway services that express the incommunicability towards the south-western city; Area C10 is an enclosed block that constitutes an urban barrier to and from the university district, the existing activities cause its own degradation; Area C11 includes the eastern zone on the edge of Verano Cemetery, it is unqualified among privatised sport facilities, spontaneous parking and abandoned buildings; within the consolidated fabric the bombed buildings are still unresolved, the empty spaces declare both the absence of their structures and the lack of previous urban recovery policies, while the historical and architectural value demonstrates their great potential. The multiple dimensions already explored via analysis become a fundamental reference in the design process inspired by evolutionary spatial matrices that looks for the general by acting on the particular. In order to define an operating design project, the concept of urban organism must be evoked: a city works if each part is operative and effective. Thus, the design guiding criteria refer to organic forms and mutual relations: unity, continuity, vitality, sustainability. The secret of the linkage, between architecture and city or environment and society, lies in their interrelationships. The primary objective of urban regeneration is to restore those material and immaterial relationships able to transform space into place, improve built and social fabric, increase its attractiveness and make it alive. But the operating attribute also implies a project efficiency that is the way to translate theory into practice through specific strategies.

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Università Sapienza, cimitero del Verano) che lambiscono il quartiere ne interrompono la continuità con l’immediato interno. Allo stesso modo, i confini fisici marcatamente segnati dalle infrastrutture (Mura Aureliane, Tangenziale Est, Stazione Termini) contribuiscono al suo isolamento. Eppure la posizione centrale lo rende un nodo di scambio, di passaggio e di connessione a servizio delle principali direzionalità urbane. Il progetto deve confrontarsi anche con una potente ma frangibile eredità storica e sociale: la prevalenza di abitanti temporanei (studenti, lavoratori, migranti) pur alimentando l’interscambio culturale indebolisce il tessuto sociale che fatica a stabilizzarsi mantenendo una bassa redditività; l’economia locale è dominata dalla proprietà immobiliare che frena il settore terziario nonché il recupero del patrimonio architettonico esistente; le estese aree a uso specialistico riducono la fruibilità dello spazi comuni ostacolando la dinamica dei flussi. Le debolezze del rione si rivelano, dunque, in sistemi multiscalari che a livello metropolitano interessano soprattutto collegamenti, a livello locale riguardano margini non permeabili, edifici e spazi aperti caratterizzati da disomogeneità morfologica, tipologica e funzionale. Tali fragilità si concentrano in quattro aree scelte come ambiti d’intervento da valorizzare (fig. 10): l’Ambito B7 è un vuoto urbano di dimensioni rilevanti oggi occupato da strutture produttive dismesse che occludono la prospettiva verso le Mura Aureliane; nell’Ambito C4 si concentrano flussi e nodi infrastrutturali, aree di servizio alla ferrovia che concretizzano l’incomunicabilità del quartiere verso il fronte sud-occidentale della città; l’Ambito C10 è un intero isolato intercluso che costituisce una barriera urbana da e verso la città universitaria, le attività che attualmente lo occupano sono causa del suo stesso degrado; l’Ambito C11 include la fascia orientale al limite con il cimitero del Verano che rimane disarticolata tra funzioni sportive privatizzate, parcheggi spontanei e fabbricati abbandonati; entro il tessuto consolidato gli edifici bombardati sono presenze ancora irrisolte, il vuoto dichiara sia l’assenza delle strutture murarie abbattute sia la mancanza di politiche di recupero urbano, mentre il pregio storico-architettonico ne dimostra la grande potenzialità. La dimensione plurima già inclusa nella fase analitica diventa riferimento fondamentale in un progetto di matrice evolutiva che guarda al generale agendo sul particolare. Affinché il progetto possa dirsi operante occorre rievocare il concetto di organismo urbano: l’intero funziona se ogni singola parte è operativa ed efficace. Così, i criteri che guidano l’azione progettuale sono riferiti a forme organiche e interdipendenti tra loro: unità, continuità, vitalità, sostenibilità Il segreto del legame tra architettura e città, ambiente e società sta nel bilità. legame stesso. Obiettivo primario della rigenerazione urbana è ricomporre quelle relazioni materiali e immateriali che trasformano lo spazio in luogo, migliorano il tessuto fisico e sociale, aumentano la sua forza attrattiva e lo rendono vivo. Ma l’attributo operante sottintende anche l’efficienza del progetto, cioè il modo di tradurre la teoria in pratica attraverso specifiche strategie. A livello metropolitano il sistema delle percorrenze è rivisitato a misura d’uomo nella compresenza di natura, storia e sostenibilità: un parco lineare cinge le Mura Aureliane e ristabilisce la continuità ecologica con le essenze naturali del Verano; due nuove infrastrutture verdi (ciclabile e tranviaria) attraversano il quartiere e lo congiungono alle aree urbane adiacenti; per limitare gli effetti dell’inquinamento atmosferico, acustico e visivo, l’alta velocità della Tangenziale è ridotta deviando parte dei flussi carrabili e riconvertendone una fascia in spazi verdi attrezzati per la mobilità lenta (fig. 11). A livello di quartiere, gli ambiti selezionati sono rivitalizzati con analoga logica unitaria e organica: a loro interno accolgono nuove funzioni pubbliche che si protendono tra gli interstizi del tessuto costruito creando inedite relazioni socio-spaziali. In particolare, l’Ambito B7 permette la visuale verso il parco archeologico lineare e lo valorizza grazie a un sistema di piazze che conforma il lotto insieme a strutture leggere destinate a start-up e spazi di coworking, come volano di micro-economie locali nel rispetto della tradizione cooperativa; nell’Ambito C4 l’originale uso infrastrutturale viene mantenuto ma integrato con un polo fieristico per riabilitare gli edifici dismessi e dare valore anche alla prospiciente area di Porta Maggiore; i limiti nell’accessibilità all’Ambito C10 sono superati da percorsi trasversali e longitudinali che permettono la diretta corrispondenza con

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common image unifies urban space but hides social differences. Social housing reflects the consciences of designers who adapted well-known building types to a popular neighbourhood, providing more houses at the expense of liveability.

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l’area universitaria, mentre nuove funzioni culturali si attestano in un complesso lineare volto a ricompattare la quinta urbana; l’Ambito C11 è ripensato come un sistema continuo di impianti sportivi indoor (complesso natatorio) e outdoor, si conferma l’identità storicamente produttiva e commerciale della zona con piccole botteghe artigiane allocate in riammodernate preesistenze; per esaltare la memoria e la resilienza di San Lorenzo, gli edifici bombardati vengono idealmente collegati e inseriti all’interno di un tracciato storico visibile come shared space che assegna nuovi usi e significati allo spazio pubblico anche entro gli stretti vicoli di questo rione.

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La rigenerazione urbana è una visione e un’azione completa e integrata che ambisce a risolvere i problemi della città realizzando un miglioramento duraturo delle condizioni economiche, fisiche, sociali e ambientali nelle aree strategiche in cui interviene. Ripercorre i processi che formano e trasformano l’ambiente costruito è fonte di conoscenza delle discipline di progetto, infatti, la morfologia urbana è presupposto ineludibile per configurare nuovi spazi come naturale evoluzione dell’esistente. La lettura dello spazio urbano nei vincoli latenti del passato guida il progetto verso architetture possibili, perché coerenti con il luogo e in equilibrio nel tempo. La sfida del progetto contemporaneo risiede tanto nel comprendere e nel rispettare le logiche intrinseche a uno specifico brano di città quanto nel renderlo unico e operante all’interno di un sistema più complesso e interscalare. Rigenerare non vuol dire rendere di nuovo, ma saper rendere ancora l’unità, la continuità e la vitalità dell’organismo urbano.

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Conclusioni

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Gli elaborati grafici (Figg. 2-5-9-10-11) sono tratti dalla tesi di laurea “Progettazione e Riqualificazione del Quartiere San Lorenzo” di L. Cecchetti, F. Cuppoletti, E. Dubini, F. Lucci, G. Mece, Relatore Prof. Rosalba Belibani”.

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At the metropolitan level, urban connections are revisited on a human scale in coexistence of nature, history and sustainability: a linear park embraces the Aurelian Walls restoring ecological continuity with opposite natural areas in Verano Cemetery; two new green infrastructures (cycle path and tramway) cross the district and connect it to adjacent urban areas; in order to limit air, noise and visual pollution caused by Tangenziale Est bypass, high-speed is reduced by diverting part of the vehicle flows and partially converting the bypass infrastructure into green spaces equipped for slow mobility (fig. 11). At the district level, the selected areas are designed with a similar unitary and organic logic which include new public functions extending towards the urban surroundings and creating unprecedented socio-spatial relations. In particular, Area B7 includes a system of squares that allows a view towards the linear archaeological park and shapes urban space together with flexible structures intended for start-ups and coworking labs, as hubs of micro-economies in respect of the local cooperative tradition. In Area C4, the original infrastructural use is maintained but integrated with an exhibition pavilion to rehabilitate the existing buildings and add value to the close area of Porta Maggiore. The accessibility gap to Area C10 is bridged by transversal and longitudinal paths enabling a direct connection to the university area, while new cultural functions are designed in a linear building aimed to unify the urban front. Area C11 is organised into indoor (swimming pool) and outdoor sport facilities, whereas the traditionally productive and commercial identity of this area is confirmed through craft shops located in renewed existing buildings. To enhance memory and resilience of the district, the bombed-out buildings are ideally connected by a historical path made visible as a shared space that provides new uses and meanings to public space even in the local narrow streets. Conclusions Urban regeneration is a complete and integrated vision and action that aims to solve the city’s problems by achieving a lasting improvement in economic, physical, social, and environmental conditions within the strategic areas where it is applied. Retracing the processes forming and transforming the built environment is a source of knowledge of design disciplines, in fact, urban morphology is an inevitable prerequisite for configuring new spaces as a natural evolution of reality. Reading the urban space through its past guides the design project towards possible architectures, because they are consistent with a place and in balance over time. The challenge of contemporary design lies both in understanding and respecting the inner logic of a specific city neighbourhood and in making it unique and operating within a more complex and cross-scale system. Regenerating does not mean generating again, but knowing how to continue creating unity, continuity and vitality of the urban organism. Note Graphics (Figg. 2-5-9-10-11) drawn from the MSc. thesis project titled “Design and Regeneratio n of San Lorenzo District” by L. Cecchetti, F. Cuppoletti, E. Dubini, F. Lucci, G. Mece, Supervisor Prof. R. Belibani”.

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urbanform and design 500 anni dell’Avana: pretesto per una

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_____ Introduction Havana, the capital of Cuba, just celebrated its first 500 years. According to the tradition, the foundation took place on the 16th of November of 1519, when the settlers gathered in an area of the present Plaza de Armas, where they celebrated their first mass and the first cabildo. The city was born together with its port, overlooking the famous bay and since then it has kept intact its original tertiary vocation. Havana never had an indisputable and multifunctional “Plaza Mayor” as the rest of the continent. The life inside the wall polarized around five main squares, whose roles were defined by the bond each of them established with the various powers. Such a distinctly polycentric nature similarly defined the way the city grew outside

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María Victoria Zardoya Loureda

Universidad Tecnológica de La Habana “José Antonio Echeverría”, CUJAE E-mail: mvzardoya@arquitectura.cujae.edu.cu

Alessandro Masoni

Construction manager per Havana Club Internacional, La Habana, Cuba E-mail: arch.alessandromasoni@gmail.com

Introduzione L’Avana ha appena compiuto i suoi primi 500 anni. Secondo la tradizione, la fondazione avvenne il 16 di novembre nell’anno 1519, quando i coloni si riunirono in un’area della attuale Plaza de Armas, dove celebrarono la loro prima messa e il primo cabildo.. La città nacque con il suo porto, affacciato sulla famosa baia e da allora ha mantenuto intatta la sua originaria vocazione terziaria. L’Avana non ebbe mai una “Plaza Mayor” incontestabile e polifunzionale come nel resto del continente. La vita all’interno del recinto murario si organizzò polarizzandosi intorno a 5 piazze principali, i cui ruoli andarono definendosi in relazione al vincolo che ciascuna di esse contraeva con i vari poteri. Ne derivò un’indole spiccatamente policentrica che in modo analogo definì la sua crescita fuori dal recinto murario. La città crebbe per gestazione di nuovi nuclei urbani che si andarono sommando a quelli esistenti e non per anelli periferici a corona di un singolo centro. L’Avana non possiede una polarità univoca e pertanto nel determinare i suoi centri è necessario definirne le relazioni di dipendenza. Questa caratteristica modalità di sviluppo dell’organismo costruito fu fortemente condizionata dalla presenza e dalle direzionalità delle antiche vie di comunicazione che dalla città dell’Avana si dipartivano verso le sue aree rurali tributarie. Questi antichi cammini costituirono gli assi strutturanti dell’occupazione del territorio, irradiandosi come le dita di una mano verso sud, verso sud-ovest ed in direzione ovest lungo la costa. Il protagonismo di questi elementi viari giunge con forte evidenza fino ad oggi e le sue tracce possono leggersi chiaramente nel paesaggio cittadino. Il ruolo fondamentale che queste arterie detengono nella conformazione urbana è enfatizzato dalla presenza di ininterrotti porticati che ne risaltano il ruolo di spazi pubblici e di connettori. Queste gallerie, imposte dai regolamenti edilizi del XIX secolo, sono andate definendo nel tempo un carattere talmente trascendente della città da farla designare poeticamente come “la città delle colonne” (Carpentier, 1982). Nella storia urbana dell’Avana il pragmatismo di adattarsi alle condizioni geografiche e climatiche, andò convergendo ed interagendo con le regolamentazioni che normarono il suo sviluppo. Le “Leggi delle Indie” promulgate nel 1573 come “Ordinanze di scoperta, colonizzazione e pacificazione delle Indie” ebbero un ruolo vitale per correggere la spontaneità dello sviluppo urbano. Ne seguirono poi numerose normative, fino ad arrivare alle regolamentazioni edilizie del XIX secolo, che furono specifiche per L’Avana e che definirono in modo essenziale la forma in cui la città si è sviluppata fino ad oggi. (Zardoya Loureda, 2012). Questo corpo legislativo promuoveva le proporzioni classiche, la bellezza e il decoro. Pensava in termini di visioni integrali e inclusive, con forte valore collettivo. Non aspirava a singole facciate indipendenti ma prefigurava una immagine unitaria per gli organismi edilizi a scala urbana. L’Avana è cresciuta con un ritmo scandito dalle pressioni demografiche e dalle fluttuazioni economiche, con momenti di impulso favoriti dal desiderio di modernizzazione e di prestigio di governatori e presidenti, che si concretavano in grandi piani urbani, molto spesso attuati solo in parte. Più volte la città è

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Abstract One of the most remarkable features of Havana is that it possesses a singular harmony between coherence and variety. Havana is the happy fusion of many urban organisms, each of them distinguishable and recognizable by its own characteristics, and this defines its variety. At the same time, the correspondence between the urban morphology and the architectural typologies of each area gives it a distinctly organic essence. Some of these characteristics of coherence, some stand out for clarity: the urban grid, which adapts pragmatically to the local context; the arcades, ubiquitous throughout the city; the homogeneity of its urban skyline, for which rare exceptions confirm the norm. This article aims to identify the main agents and processes that triggered and moderated the growth of the Cuban capital during the different historical phases of its development, and to analyze, with the help of graphics, how each of them had an impact on the evolution of the city. Urban expansion has combined an intuitive practical sense for making cities, based on tradition and experience, with various foreign academic influences. Growth was also marked by demographic impulses and speculative interests, regulated by urban norms, which had a predominant role in ordering and defining the urban form. Finally, the singular dynamics of the last 60 years, gives a particular interest to the analysis of how Havana has come to the present day.

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.012

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Keywords: Havana, 500 years, urban morphology, typology, urban grid, polycentric

lettura storico-morfologica

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Fig. 1 - Vista della città de L’Avana verso l’entrata della Baia. View of the city of Havana towards the entrance of the Bay.

the walls. The town developed by gestation of new urban cores that went adding themselves to the existing ones, and did not crown a main single centre with peripheral rings. Havana does not have an unambiguous polarity and therefore in determining its centres it is necessary to define their relations of dependence. The presence and the directions of the ancient routes that departed from Havana towards its tributary rural areas, strongly conditioned the peculiar way the urban body developed. These ancient paths formed the structural axes of its expansion, radiating like fingers to the south, south-west and west along the coast. The leading role of these linear elements remains vigorous until today and their traces can be clearly read in the city landscape. The uninterrupted arcades highlight the fundamental role that these thoroughfares hold in the urban structure, emphasizing their function as public spaces and connectors. These galleries, imposed by 19th century building regulations, gained over time such a transcendent role that Habana was poetically addressed as “the city of columns” (Carpentier, 1982). In the urban history of Havana the pragmatism of adapting to geographical and climatic conditions, converged and interacted with the regulations that moderated its development. The “Laws of the Indies” promulgated in 1573 as “Ordinances of discovery, colonization and pacification of the Indies” played a vital role in correcting the initial spontaneity of the urban development, while the building regulations of the nineteenth century, essentially defined the form in which the city has developed to date (Zardoya Loureda, 2012). These legislations promoted classical proportions, beauty and decorum. They aspired to an integral and inclusive vision for the city, with a strong collective value and never limited its actions to define individual independent buildings or facades, but envisioned a unitary image for the urban-scale building bodies. Havana has grown at a pace marked by demographic pressures and economic fluctuations, with moments of impulsion fostered by the desire of modernisation and prestige of some governors and presidents, which reflected in major urban plans, very often only partially implemented. Several times the city has emerged unharmed by projects that proposed large demolitions and therefore it grew without stratifications, reaching the present days without suffering great losses to its original urban form. Technological changes in city mobility also played an important role in the development of the city. The coming of the animal-drawn urban “ferrocarril” in 1859, then the shift to the electric tramway in 1900 (González Sanchez, 2018), and finally the proliferation in the use of cars, extended the ancient streets and added new ones, reiterating the importance of the road network in the spontaneous or planned birth of new settlements. Collectors as well as connectors, these linear elements worked over time as branches from which isolated but interconnected communities sprouted defining, the poles between which the urban fabric went thickening. These linear elements extending through the city structure, are the places where concentrated, and still concentrates, the important public buildings, the commerce, the services and the polarities in general. The city grew always respecting its most peculiar original character: the use of the grid. Grids occupied the space piece by piece, accommodating themselves to the pre-existences. The grid is

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Fig. 2 - Visualizzazione sincronica dei nuclei da cui si è sviluppata la città. Si possono identificare con chiarezza sette nuclei generatori (uno non visibile nel grafico) che, nelle varie fasi, hanno definito le polarità dalle quali si è irradiato lo sviluppo dei differenti brani di tessuto urbano. In grigio chiaro la traccia della città odierna. Synchronous visualization of the nuclei from which the city developed. We can clearly identify seven generating nuclei (one not visible in the map) that, in the various phases of growth, defined the polarities from which sprouted the development of the different parts of the urban fabric. In light grey the trace of today’s city.

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uscita illesa da progetti che proponevano demolizioni di varia portata e per questo è cresciuta senza stratificazioni, arrivando fino all’oggi senza aver sofferto grandi perdite alla sua forma originale. Anche i cambi tecnologici della mobilità ebbero un ruolo importante per lo sviluppo dell’organismo cittadino. L’arrivo del ferrocarril urbano con trazione animale nel 1859, il passaggio alla tramvia elettrica nel 1900 (González Sanchez, 2018) e successivamente la proliferazione dell’uso dell’auto, prolungarono le traiettorie ereditate dalle antiche vie e ne aggiunsero delle nuove, reiterando l’importanza della rete di connessione stradale nell’apparizione, spontanea o pianificata, dei poli di insediamento che ampliarono la città. Collettori oltre che connettori, questi elementi lineari funzionarono nel tempo come ramificazioni dalle quali germogliarono stanziamenti isolati ma interconnessi, che definirono i nuclei tra i quali si andò compattando il tessuto urbano. Questi estesi elementi lineari di strutturazione delle maglie edificate sono i luoghi dove si concentrarono e tutt’ora si concentrano le polarità, il commercio, i servizi e gli edifici pubblici di rilievo. L’Avana andò costruendosi per brani, accomodandosi alle preesistenze, ma rispettò sempre il suo più peculiare carattere originario: l’uso della griglia reticolare. Seppur con differenti orientamenti e dimensioni la griglia è una costante della città dell’Avana, così ostinata da ignorare spesso le condizionanti topografiche, cosi flessibile da accomodarsi nei più svariati lacerti di terreno e cosi indifferente da estendersi fino a scontrarsi con l’esistente. Fu una regola che ebbe scarse eccezioni ed il paesaggio urbano si presenta e si vive tutt’oggi come un mosaico di reticoli ortogonali che orientano e ordinano lo spazio in modo cartesiano. L’Avana permette di distinguere tre principali macro-zone di omogeneità tipo-

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logica. Le zone compatte, che corrispondono agli insediamenti di età coloniale, seguono la tradizione spagnola con edifici a patio che si addensano dentro il lotto condividendo delle pareti chiamate medianeras e presentano facciate comuni perlopiù continue per ciascun isolato, con un ritmo regolare di pieni e vuoti (Zardoya Loureda, 2010). Le zone semi-compatte corrispondono allo sviluppo del XX secolo e sono quelle che indubbiamente predominano da un punto di vista quantitativo. La riduzione della densità sia all’interno dell’isolato che alla scala urbana, si originò da una volontà di migliorare l’igiene delle nuove aree e si rifletté nelle regolamentazioni edilizie e sanitarie. Queste sancivano l’obbligatorietà di una viabilità più amplia, di costruzioni libere nel lotto, separate le une dalle altre da corridoi laterali e di almeno un 33% di superficie scoperta in ogni lotto edificato oltre il limite della città storica consolidata (Ordenanzas Sanitarias, 1906). La maggiore o minore densità delle zone semi-compatte variò a seconda del rango della lottizzazione, con giardini, portali e distanze dai confini, più o meno ampli a seconda delle possibilità economiche e della disciplina con cui si adempieva a quanto regolamentato. La terza macro-area tipologica è quella cosiddetta “zona aperta”, che corrisponde all’applicazione dei precetti dei CIAM e che proliferò dopo il trionfo della Rivoluzione nel 1959, destinandosi soprattutto alla costruzione di edilizia popolare. Questi nuovi complessi bandirono la griglia e il lotto tradizionale per edificare blocchi di appartamenti isolati con un profilo poco variabile e in generale con altezze fino ai 6 piani, arretrati dalla viabilità, fluttuanti in grandi spazi concepiti come spazi di relazione, parcheggi o aree verdi. L’ubicazione di questo tipo di urbanizzazioni in aree disperse nel territorio, non modificò in forma sostanziale il corpo della città. Alla ricerca di maggiore equità, la Rivoluzione dette priorità allo sviluppo ur-

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a constant of Havana, although with different orientations and dimensions. It is so stubborn as to often ignore the topographical conditions, so flexible as to accommodate in the most varied fragments of land and so indifferent as to extend itself until colliding with what’s existing. It was a rule that had few exceptions and the urban landscape is a mosaic of orthogonal matrixes orientating and ordering the space in a Cartesian way. Havana shows three main typological macrozones of homogeneity. The compact areas, which correspond to colonial age settlements. They follow the Spanish tradition of patio buildings packed within the lot, that share walls named “medianeras”, and have mostly continuous common facades for each block with a regular rhythm of solid and hollows (Zardoya Loureda, 2010). The semi-compact areas correspond to the urban development of the 20th century and are undoubtedly predominating from a quantitative point of view. The reduction of the density both inside the block and at the urban scale originated from a desire to improve the hygiene of the new areas and reflected in building and sanitary regulations. These enshrined the obligation of wider roads, of detached housing in the lot, separated from each other by side corridors and at least of a 33% of uncovered surface in each plot built beyond the limit of the historical city (Ordenanzas Sanitarias, 1906). The greater or lesser density of the semi-compact zones varied according to the rank of the area. Gardens, por-

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Fig. 3 - Visualizzazione di alcune gradazioni tipiche di densità urbana. Si mantiene la scala e si allineano le griglie, si legge da sinistra. Primi due settori: Zona Compatta il tessuto dell’Avana Vecchia e quello di Centro Avana; Secondi due settori: Zona Semi-compatta, il Vedado, si rinnova la griglia con nuovi parametri di igiene, verde e decoro urbano, seguono tre esempi in base al rango, dall’alto, Marianao, Miramar ed un settore tipico di Playa; il “Country Club” eccezionale rinuncia alla griglia, ed in basso la Zona Aperta, Alamar e la città dei CIAM. Estratti di mappa utilizzati di proprietà di: Google, Image © 2020 Maxar Technologies; utilizzabili in conformità con i “Termini di servizio” e le “Attribution Guidelines” di Google. Visualization of some typical grades of urban density. Scale is the same but grids are aligned. Should be read from the left. First two sectors: Compact Zone the fabric of Old Havana and that of Central Havana; Second two sectors: Semi-compact Zone, the Vedado, renews the grid with new parameters of hygiene, green and urban decorum; following three examples based on the rank, from above, Marianao, Miramar and a typical sector of Playa; the exception of the “Country Club” that gives up the grid. At the bottom the “open” area: Alamar and the city of CIAM. Map extracts used by: Google, Image 2020 Maxar Technologies; usable in accordance with the “Terms of Service” and the “Attribution Guidelines” of Google.

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bano del resto del paese e all’interno della capitale essa cercò di bilanciare la distribuzione di servizi e di opportunità tra le zone centrali e quelle periferiche. Queste scelte frenarono repentinamente il processo di lottizzazione di nuovi reparti, cosi come la costruzione delle torri nelle zone centrali. Una lettura storico-morfologica permette di rilevare le costanti dello sviluppo che, viste in un’ottica progettuale, sono lezioni materializzate nel corpo della città. L’Avana è indubbiamente unica nel contesto regionale, non essendo stata violentata né da aggressivi piani di sviluppo né da grandi gentrificazioni. È un organismo formalmente sano, scevro da intrusioni rilevanti e che gode di una straordinaria simbiosi tra unità e varietà. Il commercio e la difesa Ogni mappa che rappresenta L’Avana è chiaramente riconoscibile per la sua caratteristica baia, ragione stessa della colonizzazione dell’isola e punto cardinale della dominazione spagnola delle Americhe (Leuchsenring, 1964). Il porto dell’Avana era strategico come scalo della flotta della corona prima di intraprendere la traversata oceanica verso la madre patria in quanto la baia sbocca convenientemente sulla rotta navale del “nuovo canale delle Bahamas”, scoperto nel 1517 e che accelerò drasticamente le comunicazioni navali tra i due mondi. Lo sviluppo urbano iniziale fu il risultato di tentativi pragmatici per installarsi nell’area costiera prossima alla baia e per adeguarsi alle condizioni naturali del sito. A differenza di altre parti dell’America latina, non erano presenti forme di urbanizzazione precolombiane e quando infine i coloni stabilirono l’attuale ubicazione, l’edificato si sviluppò partendo da una piazza

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tals and distances from the borders were wider or narrower depending on the economic possibilities and the discipline with which regulations were followed. The third typological macro-area is the so-called “open” area, which corresponds to the application of the precepts of the CIAM. This typology proliferated after the triumph of the Revolution in 1959 and was mainly devoted to the construction of social housing. These new areas banned the grid as well as the traditional lot, and built apartment blocks with a scarcely variable profile, generally up to 6 floors, stepped back from the road, and fluctuating in large spaces devised as social spaces, parking lots or green areas. These types of urbanizations were located dispersedly in the urban territory and did not substantially modified the body of the city. The Revolution gave priority to urban development in the rest of the country in order to achieve a greater equality. Within the capital, it sought to balance the distribution of services and opportunities between central and peripheral areas. These political choices abruptly halted the allotment of new departments, and the construction of towers in the central areas. An historical-morphological study allows detecting the constants of development that, seen with designing intent, are embodied lessons for the city. Havana is undoubtedly unique in the regional context, not compromised neither by aggressive development plans nor by great gentrifications. Havana is a healthy organism from a formal point of view, free from significant intrusions and with an extraordinary symbiosis between coherence and variety.

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Fig. 4 - Visualizzazione dell’area insediativa originale e del suo sviluppo iniziale. Nella seconda immagine si possono notare le fortificazioni e la muraglia con le due porte ed i percorsi che si dipartono da esse. La griglia ordinatrice della città antica si definì per aggiustamenti e correzioni e non si generò né da una pianificazione previa né dalla sovrapposizione a una più antica preesistenza precolombiana. Le quattro vie principali sono: San Lazaro a nord, che percorre la costa e unisce i fortilizi, Zanja la successiva verso sud, che fiancheggiava l’acquedotto, Reina, che si rettificò per unire il campo marzio con il forte del Principe e in basso Monte, che insieme alle altre garantiva la fornitura dei prodotti agricoli. In grigio chiaro la traccia della città odierna. Visualization of the original settlement area and its initial development. As can be seen in the second image, the fortifications and the wall with the two doors and the paths that depart from them. The ordering grid of the ancient city was defined by adjustments and corrections and did not generate neither by prior planning nor by overlapping with an older pre-Columbian pre-existence. The four main roads are: San Lazaro to the north, which runs along the coast and joins the forts, Zanja the next to the south, which flanked the aqueduct, Reina, who rectified to join the Martial Camp with the fort of the Prince and below Monte, which, together with the others, guaranteed the supply of agricultural products. In light grey the trace of today’s city.

Trade and defence Each map representing Havana is clearly recognizable by its bay, the very reason of the colonization of the island and the cardinal point of the Spanish domination in the Americas (Leuchsenring, 1964). The port of Havana was the strategic port of call for the Spanish fleet before undertaking the ocean crossing to the homeland. The bay conveniently faced the naval route of the “new channel of the Bahamas”, discovered in 1517, which dramatically accelerated naval communications between the two worlds. The urban development started as a pragmatic attempt to settle in the coastal area near the bay and to adapt to the natural conditions. Unlike other parts of Latin America, there were no preColumbian forms of urbanization. When the settlers finally established the current location, the community developed around a square using a layout that borrowed the experiences of the Hispanic cities of foundation and that fulfilled, as much as possible, the royal instructions. There were adjustments and rectifications and the settlers tried to conform the typologies they knew to the place, to the available materials and to the impact of tropical weather. A first unitary urban project of Havana, was in 1603, when Cristobal de Rodas draw up the guidelines for the future development, picketing paths and alignments in order to correct existing irregularities and to set up the future constructions. The buildings had to adapt to an orthogonal grid layout that, although imperfect, reflected the will of order of a town that acquired the title of city in 1592 and the one of capital of the country in 1607. The urban morphology was firstly conditioned by the basic needs for infrastructures that could guarantee the subsistence of the settlers in terms of food and water supply and in terms of

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e da tracciati regolatori che mutuavano le esperienze delle città di fondazione ispaniche e che adempivano, per quanto possibile, le istruzioni reali. Si susseguirono numerosi aggiustamenti e rettificazioni dell’impianto, e si adeguarono al luogo le tipologie conosciute, per assecondare i materiali a disposizione e l’impatto del clima tropicale. Un primo progetto per definire una visione urbana unitaria dell’Avana, si ha nel 1603, quando Cristobal de Rodas predispose le direttrici del futuro sviluppo dell’edificato, picchettando tracciati e allineamenti per correggere le irregolarità esistenti e impostare le costruzioni future. Gli edifici dovevano adeguarsi a una disposizione a griglia ortogonale che, sebbene imperfetta, rifletteva la volontà di ordine propria di un insediamento che aveva acquisito nel 1592 il titolo di città e nel 1607, per il suo crescente valore fu elevato a capitale del paese. La morfologia urbana, in questo primo momento di sviluppo fu condizionata soprattutto dalle necessità basiche di infrastrutturazione, per garantire la difesa dei commerci e per l’approvvigionamento idrico e alimentare dei coloni. La “Zanja real”, terminata nel 1592, fu il primo gran acquedotto costruito dagli spagnoli nelle Americhe. Contemporaneamente all’acquedotto si eressero le fortezze a difesa della comunità e del porto, e si definì la linea di protezione costiera formata dai vari torrioni. Si progettò e si iniziò la realizzazione della muraglia, che durò quasi cent’anni. Questa non servì mai veramente a contenere il limite fisico dell’edificato ma le sue porte furono determinanti nel definire l’origine e la convergenza di tutti i cammini fuori dalle mura. La traccia dell’acquedotto e delle vie che si dipartivano verso la campagna, sono ancora oggi presenti e visibili nel corpo e nella toponomastica della città. Nella prima metà del XVIII secolo l’area dentro le mura si saturò. La costrizione

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the defence of the port and its trades. The “Zanja real”, finished in 1592, was the first large-scale aqueduct built by the Spaniards in the Americas. Meanwhile the fortresses and the coastal protection line, formed by several donjons, were built to defend the settlement and the bay. At the same time, it was planned and began the construction of the wall, which lasted almost a hundred years. The wall never really contained the physical limits of the city, but it is notable how its doors were decisive in defining the origin and convergence of all the paths outside the fortified city. The traces of the aqueduct and the thoroughfares that departed towards the countryside are still present and visible in the body and the toponymical of the city. In the first half of the 18th century, the area inside the walls got saturated. The cramped space within the wall meant that those who could afford it, began to build in height, in some cases even reaching the third floor, while those with limited means began to occupy the outer territories. The first settlements outside the wall arose aside the main roads connecting with the tributary rural areas. Both the morphological and the typological characteristics of the walled city were faithfully replicated in the outside areas although there were no similar conditions to affect them. The very same urban grid and the patio-buildings with “medianeras” grew up to the very same height of three floors.

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Fig. 5 - Esemplificazione della Zona Compatta. Nella foto, L’Avana Vecchia, calle Teniente Rey e vista del campidoglio. Schematizzazione di due isolati dell’Avana Vecchia. L’isolato è compatto e gli edifici hanno pareti condivise e per questo motivo presentano facciate continue ed unitarie. Le corti sono principalmente laterali e permettono la ventilazione delle aree più interne. Il rapporto con la strada è mediato solo dal marciapiede o da portici nel caso di vie principali. Il profilo predominante è tra 2 e 4 piani. C’è pochissimo verde pubblico e solo nelle piazze/parchi. Example of the Compact Zone. In the photo, Old Havana, Calle Teniente Rey and view of the capitol. Schematization of two blocks of Old Havana. The block is compact and the buildings have shared walls and for this reason have continuous and unitary facades. The courts are mainly lateral and allow ventilation of the interior areas. The relationship with the road is mediated only by the sidewalk or by arcades in the case of main streets. The predominant profile is between 2 and 4 floors. There is very little public green and only in squares/parks.

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Fig. 6 - Visualizzazione dello sviluppo urbano nel XIX secolo. Si può notare il passaggio da una città murata a una città più estesa che già presenta lo sviluppo di vari altri nuclei che determineranno polarità urbane: il Cerro a sud e il Vedado a nord. La calzada di Monte dà vita al Cerro, zona di villeggiatura delle famiglie abbienti. Nascono altri assi trasversali di unione tra gli antichi cammini. Visualization of urban development in the nineteenth century. We can see the passage from a walled city to a more extensive city that already has the development of various other nuclei that will determine urban polarities: the Cerro to the south and the Vedado to the north. The Calzada del Monte is what gives life to the Cerro, a holiday area for wealthy families. Other transversal axes of union between the ancient paths are born.

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della muraglia fece sì che chi poteva permetterselo iniziò a costruire in altezza, raggiungendo in alcuni casi anche i 3 piani, mentre chi aveva mezzi più limitati iniziò a occupare i territori esterni, con i primi stanziamenti che sorsero proprio ai lati delle principali vie di connessione con le zone rurali tributarie. Qui, nonostante non sussistessero le stesse condizionanti, si replicarono fedelmente sia le caratteristiche morfologiche che tipologiche della città murata: la griglia urbana e l’edificato a corte con medianeras che nel tempo andò crescendo in altezza fino a raggiungere anch’esso i tre piani. Nel 1762 L’Avana fu presa dagli inglesi per 11 mesi. Quando la Spagna recuperò il suo importante possedimento, dette grande impulso alle costruzioni militari, erigendo il più completo sistema difensivo dell’America latina. A ciò si sommarono azioni di miglioramento urbano, causa ed effetto di un ulteriore sviluppo nelle aree fuori le mura dove a quest’epoca ormai già viveva la metà della popolazione (de las Cuevas Toraya, 2001, p. 41). Si ripavimentarono molte vie e si costruirono ponti che facilitarono le connessioni tra la città e le zone limitrofe. Per ragioni difensive si conservò una fascia di rispetto nell’immediato intorno della muraglia, area che si dedicò a zona di ricreazione e svago per la comunità, vocazione questa che si è mantenuta pressoché inalterata fino all’oggi. Regolamentazioni, igiene e modernizzazione Nel XIX secolo si consolidò lo sviluppo della città fuori le mura. Gli spazi interstiziali della rete definita dalle principali vie di connessione extra-urbane, fino ad allora utilizzati per l’agricoltura e l’allevamento, iniziarono a lottizzarsi ed urbanizzarsi a ritmo sempre più incalzante. La struttura viaria funzionava

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The British took Havana in 1762 for 11 months. When Spain recovered its important possession, it gave great impulse to military constructions, building the most complete defensive system in Latin America. Several actions of improvement were cause and effect of further urban development in areas outside the walls, where half of the population already lived at this time (de las Cuevas Toraya, 2001, p. 41). Many streets were paved and bridges were built to facilitate connections between the city and the surrounding areas. A buffer zone was maintained in the immediate external surrounding of the wall for defensive reasons. It was devoted to the recreation and leisure of the population; this vocation has remained almost unaltered until today. Regulations, hygiene and modernisation In the 19th century, the city consolidated the development outside the walls. The interstitial spaces of the network generated by the main streets outside the city changed, from being used for agriculture and breeding, into urbanized areas at an increasingly fast pace. The road infrastructure served as a catalyst to generate new isolated but interconnected urban nuclei. The wealthiest families began to settle in an area located south-west of the ancient city, called “el Cerro”, where they sought rest from the chaos of the city, building villas in contact with nature. In this period the growth was accompanied and defined by a desire for modernization that re-

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da catalizzatrice per generare nuovi nuclei urbani isolati ma interconnessi. Le famiglie più facoltose iniziarono a stabilirsi in una zona situata a sud-ovest della città antica, nominata “el Cerro”, dove cercavano riposo dal caos cittadino nelle loro ville costruite a contatto con la natura. La crescita fu accompagnata e definita in questo periodo da una volontà di modernizzazione che si rifletteva nelle nuove regolamentazioni e che si dirigeva indifferentemente tanto alle zone interne che esterne alle mura, sancendo legalmente ciò che nella pratica era già realtà: L’Avana non era più soltanto l’insediamento dentro le mura. Nel 1863 iniziò la demolizione della muraglia, ormai da tempo inutile ostacolo alla crescita dell’edificato. Dalla demolizione di questa grande infrastruttura nacque una nuova area urbana centrale, unico vero atto di stratificazione che sia possibile annoverare nella storia della città. Per questa area furono lasciate libere due frange lottizzate da nord a sud che furono acquistate per costruire grandi edifici porticati che occupavano ampie porzioni delle parcelle o finanche l’intero blocco. Questo creò una “grana” molto diversa da quella fuori e dentro le mura. Il reparto “Las Murallas” divenne un ring con edifici monumentali ed edifici pubblici, commerciali, culturali, uffici e hotels, che assunsero un protagonismo crescente nella vita della società dell’Avana. In questo stesso periodo si condussero numerose azioni di miglioramento e modifica urbana che sono giunte pressoché inalterate fino ad oggi, come la prolungazione e la ridefinizione di due dei principali viali del tempo, quello che oggi è il “Prado” ed il “Paseo de Tacòn”, lacerto di uno dei percorsi fondanti dell’espansione extra-muraria. A differenza della città murata, nella quale i poli di accentramento erano le piazze, nella città esterna gli spazi urbani più importanti furono le matrici viarie lineari: le cosiddette calzadas. Con il termi-

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flected in the new regulations and that directed both to the areas inside and outside the walls. These legally established what was already reality in practice: Havana was not only the city within the walls. In 1863, the demolition of the wall began. It was since long time just a useless obstacle to urban growth. The demolition of this large infrastructure gave rise to a new central urban area, the only true act of urban stratification that can be counted in the history of the city. Two fringes were left free from north to south. They were purchased to build great arcade buildings that occupied large portions of the plots or even the entire block. This created a different urban “grain” from the ones outside and inside the walls. The department “Las Murallas” became a “ring” which assumed a growing role in the life of Havana’s society, hosting monumental, public, commercial or cultural buildings, offices and hotels. In this same period, numerous actions of urban improvement and modification were carried out, and those reached almost unchanged until today. The main examples, are the extension and redefinition of two main avenues of the time: what today is the “Prado” and the so-called “Paseo de Tacòn”, part of one of the founding paths of the expansion outside the walls. Unlike the walled city, in which the poles of centralization were the squares, in the outer city, the most important urban spaces were the so-called “calzadas”. In Cuba, the term calzada refers to impor-

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Fig. 7 - Foto storica dell’area detta “Reparto Muralla”, urbanizzata in seguito alla demolizione delle mura nel 1863. Si possono vedere in primo piano il “Parque Fraternidad”, antico campo marzio ed il Campidoglio, mentre sullo sfondo il “Paseo del Prado” e la bocca della baia. Lo schema visualizza in nero il tessuto consolidato all’epoca della demolizione ed in grigio le costruzioni successive, tutte costruzioni di grande valore architettonico, tra cui lo stesso Campidoglio ed il Gran Teatro dell’Avana. Fonte della foto: fondo del Ministerio de Obras Publicas, processata por Juan de las Cuevas Toraya. Historical photo of the area called “Reparto Muralla”, urbanized following the demolition of the walls in 1863. You can see in the foreground the “Parque Fraternidad”, ancient Martial Camp and the Capitol, while in the background the “Paseo del Prado” and the mouth of the bay. The scheme shows the consolidated fabric at the time of the demolition in black, and in grey the subsequent buildings, all of great architectural value, including the Capitol and the Grand Theatre of Havana. Photo source: Fund of the Ministerio de Obras Publicas, processed by Juan de las Cuevas Toraya.

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Fig. 8 - Esemplificazione della Zona Semicompatta. Nella foto, il Vedado, incrocio tra Avenida de los Presidentes (calle G) e Linea (calle 9). Schematizzazione di due isolati del Vedado. L’isolato è frammentato. Gli edifici sono separati, almeno da un corridoio laterale, tuttavia gli allineamenti regolamentati definiscono la continuità visiva della linea di facciata dell’isolato. Il rapporto dell’edificio con la strada varia a seconda del rango economico di ogni settore. Il portale privato, il giardino e il marciapiede, che può essere alberato o meno, mediano il rapporto con la strada. Sono urbanizzazioni punteggiate da piazze-parco delle dimensioni di un isolato. Il profilo varia da 2 a 4 piani e in aree specifiche ci sono torri isolate fino a 20 piani. Example of the Semi-compact Zone. In the photo, the Vedado, intersection of Avenida de los Presidentes (calle G) and Linea (calle 9). Schematization of two blocks of the Vedado. The block is fragmented. The buildings are detached, with at least a side corridor, however the regulated alignments define the visual continuity of the facade line of the block. The relationship of the building with the street varies according to the economic rank of each sector. The private portal, the garden and the sidewalk, which can be tree-lined or not, mediate the relationship with the road. They are urbanizations dotted with park squares the size of a block. The profile varies from 2 to 4 floors and in specific areas there are isolated towers reaching up to 20 floors.

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ne calzadas si designano a Cuba le strade importanti, pavimentate, destinate al traffico pedonale e veicolare. Queste furono originalmente le parti urbanizzate di quegli stessi cammini che dalle porte della muraglia connettevano con la campagna, con i suoi eremi, le sue fattorie e le prime fabbriche di zucchero. In seguito altre vie, che interconnettevano o prolungavano quegli antichi tragitti acquisirono col tempo la stessa categoria di importanza. La prima via ferrata del regno spagnolo si costruì a L’Avana nel 1837 (Mariano, 1852). Ciò diede impulso a una nuova fase di sviluppo, che introdusse il fattore produttivo nella trama della capitale. Nacquero depositi e magazzini per i quali la ferrovia eliminava le difficolta di connessione e di trasporto delle merci pesanti tra le zone di produzione, la città e il porto. Cuba iniziava le esportazioni di zucchero e il volano economico si ancorò alla vocazione terziaria stimolando ulteriormente la crescita urbana. In breve si passò a meccanizzare anche il trasporto delle persone e L’Avana inaugurò nel 1859 il primo tranvia. Anche se al principio questo ferrocarril urbano era mosso dalla sola forza animale, costituì di per sé un nuovo stimolo al potere generativo delle antiche vie extraurbane. Questi connettori estesero le loro aree di influenza, facilitando il raggiungimento di zone più distanti, che non tardarono a presentare i primi germogli di nuove urbanizzazioni. Ciò che oggi è il “Vedado” ne è esempio emblematico, un centro relativamente lontano dalla città storica, si originò grazie alla connessione tranviaria e in poco tempo produsse una centralità viva e tutt’ora stimolante nel corpo dell’Avana. Il Vedado nacque come suburbio essenzialmente residenziale e definì una modalità inedita di relazione fra edificato, viabilità e vegetazione urbana. Il suo disegno ripropose la griglia propria della città antica ma riprogettandola meticolosamente sulla base dei nuovi precetti igienisti che si andavano af-

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tant, paved, pedestrian and vehicular roads. These streets were originally the urbanized parts of those same routes that from the gates of the wall connected the city with its countryside, with its hermitages, its farms and the first sugar factories. Later on, other routes interconnected or extended those ancient paths, acquiring over time the same category of importance. The first railway of the Spanish kingdom was built in Havana in 1837 (Mariano, 1852). This fostered a new phase of urban development, which introduced the productive factor in the plot of the capital. The railway eliminated the difficulties of connection and transportation of heavy goods between the production areas, the city warehouses and workshops and the harbour. Cuba began exporting sugar and the economic flywheel anchored itself to the tertiary vocation, further stimulating urban development. In a short period, also the transportation of people got mechanized and Havana inaugurated the first tramway in 1859. Even if at the beginning this urban “ferrocarril” was powered by animal force, it constituted a new incentive to the generating force of the ancient suburban roads. Thanks to the new extended areas of influence of these connectors, soon new urbanizations sprouted in further away areas. What today is the “Vedado” is an emblematic example: an area relatively far from the historic city, originated thanks to the tram connection and shortly produced a lively and still stimulating centrality

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fermando. La reticola perfetta del Vedado, di 100m x 100m, girata a 45 gradi rispetto al nord e allineata alla linea di costa, fu tracciata e infrastrutturata prima ancora che nascesse l’insediamento abitativo e si espanse in breve fino a scontrarsi con le preesistenze. Questa esperienza dimostrò nei fatti la sua validità e quella della nuova normativa che si stava sviluppando, la quale produsse inoltre una concezione innovativa di spazio pubblico, riservando nel tessuto urbano numerosi tasselli vuoti progettati come piazze alberate. Quasi fossero cortili a scala urbana, questi “parchi” definivano e continuano a definire, luoghi intimi di vita sociale in contro-tono rispetto alla frenesia delle vie principali. Questa modalità di spazio pubblico si replicò in molte altre urbanizzazioni successive, anche se in generale con declinazioni più modeste. Questo spirito modernizzatore che aspirava a una L’Avana coerente ma con criteri di igiene e di decoro aggiornati fu lo stesso che generò nel 1861 le “Ordinanze di costruzione per la città dell’Avana e dei paesi del suo circondario municipale” edite ufficialmente nel 1866, che rimasero valide fino al 1963 e che costituirono il più importante regolamento edilizio e urbano cubano di ogni tempo (Ordenanzas, 1866). Questo corpo di leggi fissò i limiti ufficiali della città, le procedure regolamentarie per la costruzione, l’obbligatorietà degli allineamenti, la classificazione delle strade in quattro ordini in relazione alla larghezza, le altezze accettate in base all’ordine delle strade, ma soprattutto determinò due dei caratteri maggiormente distintivi dell’Avana: i porticati ininterrotti delle sue strade principali, e la continuità omogenea di fasce orizzontali, praticamente infinite, di cornici, balconi e parapetti (Zardoya Loureda, 2012). L’obbligatorietà dei porticati pubblici si stabiliva per le vie di primo e secondo ordine, che corrispondevano a tutte le vie più antiche e consolidate della città e che con questa nuova definizione progettuale sancivano ulteriormente il loro valore e la loro trascendenza urbana.

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Speculazione e crescita

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Speculation and growth The nation gained the independence from the Spanish rule in 1902 so that at the beginning of the new century the new Republic of Cuba was born. The number of the inhabitants of the capital multiplied as well as its houses, reflecting the historical and political changes of the country and giving impulse to a new phase of development (de las Cuevas Toraya, 2001). Perhaps the most important manifestation of this moment is the construction of the “malecón” habanero. The city outside the walls used to turn its back to the coast in order to face the old city, but the construction of this great promenade opened up the city to the ocean and the horizon. The “malecón”, with its facades, the uninterrupted arcades, the natural convergence in it of all the different pieces of the city that here finally gathered, was and still is, the ultimate social place of Havana and the synthesis of its passionate relationship with the sea, of its openness to the world and of its beauty. In the first decade of the century, the electric tramway and the rise of car mobility accompanied and enhanced the great explosion of construction. Along the consolidated southward and westward directions, new urbanizations were

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Col nuovo secolo la nazione conquista l’indipendenza dal dominio spagnolo e nel 1902 nasce la nuova Repubblica di Cuba. La capitale, che vedeva ormai moltiplicati i suoi abitanti e le sue abitazioni, rifletté il cambio storico e politico del paese e dette impulso ad una nuova fase di sviluppo (de las Cuevas Toraya, 2001). La traccia forse più importante di questo momento è il malecón habanero. La città fuori le mura voltò le spalle alla costa per orientarsi verso la città vecchia, ma la costruzione di questo grande lungomare la fece finalmente aprire verso l’oceano e verso l’orizzonte. Il malecón, con le sue facciate, l’ininterrotto porticato, lo sfociare naturale sul litorale dei differenti brani di città che ivi confluiscono e si raccolgono, fu ed è luogo sociale per eccellenza dell’Avana, sintesi del suo rapporto appassionato con il mare, della sua apertura verso il mondo e della sua bellezza. Nel primo decennio del secolo, la grande esplosione costruttiva fu accompagnata e potenziata dalla tranvia elettrica e dal sorgere della mobilità automobilistica. Lungo le consolidate direttrici sud e ovest nacquero nuove urbanizzazioni e altre ne sorsero ad occupare gli interstizi fra i vari centri di espansione. Queste parcellizzazioni crescevano omogenee grazie alle imposizioni regolamentarie che ne determinavano i parametri edilizi e al contempo facevano rinvigorire e crescere i grandi assi viari porticati che definivano le “facciate urbane” di questi nuovi quartieri. Nonostante le varie iniziative fossero dirette e costruite da attori differenti e promosse dal puro istinto speculativo, non si crearono mai incongruità nel corpo della città. Alcuni preferivano orientare le proprie lottizzazioni secondo gli assi delle direttrici viarie, altri rispetto al mare o ad altre preesistenze. Ciò produceva incontri o scontri, a seconda del caso, fra le varie maglie con differente angolo, ma il tutto era riassorbito dalla logica globale del patchwork. Questo carattere unitario è in larga misura il risultato dell’applicazione di ordinanze edilizie semplici ed efficaci per le quali ogni frammento possiede una logica interna omogenea e la saldatura fra i vari frammenti avviene con elementi di grande forza e chiarezza formale, tali da

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in the body of the city. Vedado developed as an essentially residential suburb that defined an unprecedented relationship between the built environment, the roads and the urban vegetation. Its layout re-proposed the urban grid of the ancient city but redesigned it meticulously with the new forthcoming hygienic precepts. The perfect grid of the Vedado, 100m x 100m, aligned 45 degrees from the north following the coastline, was traced and infrastructured before the settlement was born and fastly expanded to clash with the pre-existences. This experience of urban development demonstrated in practice its validity and that of the newly developed legislation. It also produced an innovative concept of public space, reserving numerous empty blocks, designed as tree-lined squares, in the urban fabric. As if they were urban-scale courtyards, these “parks” defined and continue to define, intimate places in contrast with the frenetic public life of the main streets. This kind of public space replicated in many other urbanizations, even if in general with more modest declinations. This modernizing spirit aspired to a coherent Havana with updated criteria of hygiene and decorum. It was the same spirit that generated in 1861 the “Ordinances of construction for the city of Havana and the towns of its municipal district” published officially in 1866 and valid until 1963, which constituted the most important Cuban building and urban regulations of all times (Ordenanzas, 1866). This body of laws set the official limits of the city, set the regulatory procedures for the construction, the mandatory alignments, the classification of the roads in four orders in relation to width and the building heights according to the order of roads. Above all, it determined two of the most distinctive features of Havana, the uninterrupted arcades of its main roads, and the homogeneous continuity of horizontal, practically endless frames, balconies and parapets (Zardoya Loureda, 2012). The mandatory nature of the continuous public arcades was established for streets of the first and second order, that corresponded to all the most ancient and consolidated streets of the city. This new design definition sanctioned their value and their urban transcendence.

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La crisi del ’29 affossò l’economia cubana che non riuscì a riprendersi se non dopo la seconda guerra mondiale. L’aumento dei prezzi dello zucchero favorì lo sviluppo economico del paese e questo a sua volta sostenne la nascita di una industria leggera e pulita. Cuba era una nazione estremamente all’avanguardia per l’epoca e l’effetto del balzo tecnologico del dopoguerra si fece sentire in modo incisivo, aprendo a possibilità di sviluppo fino ad allora inedite. Lo sviluppo delle infrastrutture urbane migliorò radicalmente la connessione tra i vari quartieri, con il resto dell’isola e in generale di Cuba con il mondo. Con il boom dell’aviazione civile assunse importanza l’aeroporto José Martí e questo a sua volte indusse l’ampliamento della viabilità che lo connetteva alla città, stimolando la nascita di nuove urbanizzazioni che addensarono gli interstizi tra i centri già esistenti. Questo processo di crescita dell’organismo si attuò di forma sostanzialmente coerente: la griglia continuò imperterrita a dettare il modello di sviluppo dei nuovi brani di tessuto cittadino, nei quali inoltre si ricalcò l’uso delle varie declinazioni tipologiche tipiche delle zone semi-compatte. Dal 1950 si sospese il servizio dei tram, scalzato dall’uso dei mezzi a motore. Nacquero le prime autostrade ed alcuni ampli viali urbani di comunicazione per gli autobus e per le numerose auto che già circolavano nella capitale. Si rimodellarono e si prolungarono tratti di strade importanti verso sud e verso ovest, accorciando ulteriormente le distanze tra il centro e le nuove lottizzazioni. Il traffico, sempre più intenso sulla direttrice cittadina est-ovest esigeva collegamenti più efficienti per attraversare il fiume Almendares. Si optò per lo scavo di un tunnel che passasse sotto al fiume, piuttosto che per quella di un ponte. Questo collegamento in continuità fu così efficace che ne seguì la costruzione del tunnel che attraversava la baia del porto. Fu così che, alla fine degli anni Cinquanta, si aprì un nuovo orizzonte per lo sviluppo cittadino: “La Habana del Este”, tutta quell’area ad est della baia che fino al momento, grazie alle peculiarità topografiche del territorio, si era salvata dalla speculazione edilizia. Le regolamentazioni subirono anch’esse l’impatto dei tempi e dei cambi tecnologici. L’impulso delle costruzioni verso l’alto stimolò nel 1952 il decreto legge “sulla proprietà orizzontale” che permetteva di vendere separatamente gli appartamenti dei condomìni (Valladares, 1954). Dopo l’approvazione di questa legge furono erette, una dopo l’altra, le famose torri che identificano la sagoma del Vedado più vicino alla costa, dedicate ad uffici, appartamenti di alto livello e soprattutto nuovi hotel per un

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Tecnologia e infrastrutturazione

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born and others arose to occupy the gaps between the various centres of expansion. These allotments grew homogeneously thanks to the regulatory impositions that determined the building parameters. At the same time these new neighbourhoods invigorate and made grow the large arcade streets that defined their “urban facades”. Although the various initiatives were directed and built by different actors and promoted by pure speculative instinct, they never created inconsistencies in the body of the city. Some preferred to orient their urbanizations according to the axes of the roads, others to the sea, and others to pre-existences. Depending on the case this produced encounters or clashes between the various meshes with different angles, but everything got reabsorbed in the global logic of the “patchwork”. The unitary character of the city is largely the result of the application of simple and effective building regulations, thanks to which, each fragment has an homogeneous internal logic and the welding between the various fragments is forged through elements of great strength and formal clarity, so to make the contrasts full of life and design inspirations. The strength of this aggregational logic shows even more its effectiveness in the ability to annex antithetical visions such as the urbanization of the Country Club in 1914. A lotting for extremely wealthy people emerged in an area far west of the city, with wide and sinuous streets, and with irregular plots of evident Anglo-Saxon origin in sizes never used before in Havana. Epigones arose in various areas of the city, always perfectly reabsorbed into the urban fabric. In the late 1920s the French urban planner J. C. N. Forestier designed and directed several transformations aimed to organize the spontaneous growth of the city and to give a new image to Havana. He aimed at emphasizing its seafronts, highlighting the main centres of the city, enhancing its rich landscapes and intertwining them through a network of wide avenues, with an undisputable Parisian taste. The Forestier Plan was above all a plan of “Beautification and Expansion of Havana” and not a real masterplan that defined new design rules for the city. Once Forestier’s projects were completed with their unquestionable architectural and urban value, thanks to the fact that the largest demolitions were not carried out, Havana returned untroubled to its former development.

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rendere i contrasti pieni di vita e di stimoli progettuali. La forza di questa logica aggregativa dimostra ancor più la sua efficacia nella capacità di annettere visioni antitetiche come ad esempio quella del Country Club del 1914. All’estremo ovest della città emerse, con strade larghe e sinuose, una lottizzazione per persone estremamente facoltose, con parcelle irregolari di dimensioni mai utilizzate prima a L’Avana e di evidente discendenza anglosassone. Ne sorsero epigoni in varie aree, ma sempre perfettamente riaccolti nel tessuto urbano. Le trasformazioni progettate alla fine degli anni ’20, sotto la direzione dell’urbanista francese J.C.N. Forestier, si prefiggevano di organizzare la crescita spontanea dell’edificato e dare una nuova immagine a L’Avana enfatizzandone i suoi fronti marittimi, mettendo in luce i principali centri della città, valorizzandone i ricchi paesaggi e intrecciandoli attraverso una rete di ampi viali, dall’indubbio sapore parigino. Il Piano Forestier fu soprattutto un piano di “Abbellimento ed Espansione dell’Avana” e non un vero piano regolatore che definisse nuove regole di progettazione. Grazie al fatto che non si attuarono le demolizioni più ingenti, una volta terminate le realizzazioni, di indiscutibile valore architettonico e urbano, L’Avana tornò a seguire il suo sviluppo lineare.

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Technology and infrastructure The crisis of ’29 collapsed the Cuban economy, which failed to recover until after World War II. The rise in sugar prices favoured the economic development of the country and this in turn supported the emergence of a light and clean industry. Cuba was an extremely avant-garde nation at the time. The effects of the post-war period technological leap reverberated incisively, leading to unprecedented possibilities of development. The growth of urban infrastructure radically improved the connections between the different areas of the city, with the rest of the island and in general of Cuba with the world. With the boom in civil aviation, the José Martí airport raise to importance and this induced the expansion of the roads connecting the terminals to the city and stimulated the birth of new urbanizations that further thickened the gaps between the already existing centres. This process of how the urban organism grew kept being substantially coherent: the grid continued undeterred to dictate the development model of the new pieces of urban fabric, using the different ty-

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turismo in crescita in modo vertiginoso. Queste variazioni tipologiche misero alla prova la griglia ortogonale progettata a tavolino del Vedado, ma questa si dimostrò incredibilmente flessibile e resiliente, riuscendo ad accomodare queste anomalie tipologiche non previste al momento della sua concezione in modo così efficace da uscirne valorizzata anziché traumatizzata. Negli anni cinquanta si era già sostanzialmente concretizzata quella che già da tempo era chiamata “la grande Avana” ossia quella conurbazione di nuclei nati indipendentemente che funzionava ormai di forma integrata e che costituiva il corpo unico della Capitale del paese. Si progettò e si creò un nuovo centro amministrativo che materializzò una proposta reiterata da tempo, tanto dagli urbanisti cubani quanto dal piano Forestier, una grande piazza civica fiancheggiata da importanti edifici destinati ai ministeri che sorgeva in uno dei lacerti più focali, preservato fino ad allora dalla presenza di un piccolo eremo. Questo nuovo centro sarebbe in breve diventato la “Plaza de la Revolución” fulcro della capitale del nuovo Stato rivoluzionario.

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pological variations of the semi-compact zones. Since 1950, the trams were suspended, undermined by the use of motor vehicles. In this time the first highways were built as well as wide urban avenues for buses and for the numerous cars that were already circulating in the capital. Important roads were remodelled and extended to the south and the west, further shortening the distances between the centre and the new allotments. More efficient connections to cross the Almendares river were necessary to solve the increasing traffic burden on the east-west city route. Decision was made to build a tunnel under the river, rather than a bridge. This type of connection was so effective that boosted the construction of the tunnel that crossed the bay of the port. Hence, at the end of the fifties, a new horizon for the development of the city opened up: “La Habana del Este”, the whole area, east of the bay, which until now had survived the speculative greed thanks to the topographical peculiarities of its territory. Regulations also accommodated the technological changes of the time. The upward stroke of the construction induced the decree-law “on horizontal property” in 1952, which allowed to sell the condominiums apartments for separate (Valladares, 1954). After the approval of this law, the famous towers that identify the shape of the Vedado closest to the coast went up one after the other: offices, high-level apartments and especially new hotels for the booming tour-

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Fig. 9 - Foto dell’attuale “calzada” Reina, uno dei quattro antichi cammini di fuori le mura. Queste quattro vie che connettevano la città alle zone rurali hanno mantenuto pressoché inalterato il loro tracciato originale ed il ruolo strutturante e connettivo per il tessuto urbano. Con i regolamenti del 1866 queste “calzadas” furono dotate per normativa di porticati continui che, come si può osservare, si estendono a perdita d’occhio e ricoprono un fondamentale ruolo di spazio pubblico lineare. Photo of the current “calzada” Reina, one of the four ancient streets outside the walls. These four streets that connected the city to rural areas have maintained almost unchanged their original layout and their structural and connective role for the urban fabric. With the regulations of 1866, these “calzadas” were by legislation endowed with continuous arcades, and since then, cover a fundamental role of linear public spaces.

Equità e pianificazione Le trasformazioni politiche e sociali avvenute dopo il 1959 finalizzarono l’attività edilizia eminentemente alla costruzione di centri educativi, sportivi e ricreativi, e al soddisfacimento dei bisogni abitativi delle classi meno abbienti attraverso grandi complessi residenziali, come quelli che si svilupparono ad est della baia ed altri che andarono saturando spazi interstiziali. Questi interventi architettonici, alcuni di assoluto valore, definirono nuove polarità nonostante marcassero una decisa rottura con le forme tipologiche e morfologiche | María Victoria Zardoya Loureda_ Alessandro Masoni | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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ism industry. These new typologies tested the design of the orthogonal grid, but this proved itself so incredibly flexible and resilient to be able to accommodate these not foreseen anomalies, to resulting enhanced rather than traumatized. In the 1950s, what had long been called “The Great Havana” finally concretized, namely the conurbation of independently formed centres, which now functioned together and constituted the body of the Capital of the country. A new administrative centre was designed and created materializing a proposal reiterated for a long time, by both Cuban urban planners and the Forestier plan. A large civic square was built in one of the focal fragments of the city, preserved until then by the presence of a small hermitage. This new square, flanked by important buildings intended for the ministries, would soon become the “Plaza de la Revolución” fulcrum of the capital of the new revolutionary state.

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Conclusione L’Avana è unica per molti aspetti: sociali, urbanistici, politici, storici e culturali. La città è cresciuta senza grandi discontinuità, in modo organicamente policentrico. La sua urbanistica si è preservata dall’invasione dell’auto. Si stima che Cuba abbia un tasso di auto di circa 40 unità per 1000 abitanti, contro le più di 600 della media Europea e le più di 800 degli Stati Uniti (fonti: energy.gov; acea.be; wikipedia.org), e sebbene la maggior parte di queste siano concentrate nella capitale, essa possiede a tutt’oggi una dimensione a misura d’uomo, pedonale, disponibile ad accogliere un trasporto pubblico efficiente. La trama urbana è facilitatrice di relazioni ed interazioni sociali, accogliente, comprensibile, sicura e di facile orientamento. Dal 1950 al 2020 L’Avana ha avuto un tasso di crescita demografica in spiccata controtendenza con quello regionale ed internazionale. Le capitali dei paesi

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Equality and planning The political and social transformations that took place after 1959 focused mainly on the construction of educational, sports and recreational facilities, and large residential complexes for the needs of the less well-off classes. Those arose to the east of the bay and in the interstitial spaces of the urban fabric. These architectural interventions, some of absolute value, defined new polarities despite marking a decisive break with the typological and morphological forms of the consolidated city. The precepts of rationalist urbanism were the new reference. Important centres for medical research and universities were built to assume immediate international significance. With the revolution also began a process to redefine the urban areas that generated the new “Plan Director” of Havana in 1963. This plan delimited for the first time the extension of the capital, until then formed by six independent municipalities without a central urban authority. At the beginning of the 70s, there was the main expansion that Havana had after the Revolution, a landscape project with cultural and recreational facilities, consisting of three large parks south of the city, the Lenin Park, the National Botanical Garden and the National Zoological Garden. These interventions had the great merit of incisively improving and consolidating the city “fringe belt”. This process continued in other forms in the mid-1980s, when even the construction of social housing stop producing “open” urbanizations and turned to “site-specific” projects filling the interstitial urban voids. This new methodology produced a better integration with the city and defined new centralities. The process of consolidating the “fringe belt”, sub-product of the capitalistic speculation, is perhaps what has better avoided the emergence of the so-called informal neighbourhoods on a large scale, which surround most of the Latin American capitals but are practically non-existent in Havana. The economic crisis that hit Cuba after the disintegration of the former socialist block, paralyzed most of the social constructions and the state ability to maintain in good health its great building assets. This has unfortunately led to an “informalization” of the formal city, which has generated unpleasant changes and additions to the urban fabric and to the building bodies such as to compromise their structural, as well as their morphological and typological integrity. The Cuban State was at this stage in the need of giving priority to the development of tourism and to the construction of hotels and infrastructures for new business relationships. This was

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della città consolidata, per rifarsi in alternativa ai precetti dell’urbanismo razionalista. Nacquero importanti poli di ricerca medica ed universitari che assunsero immediata rilevanza internazionale. Iniziò con la rivoluzione anche un processo di definizione urbana che generò il nuovo “Plan Director” dell’Avana nel 1963. Strumento questo che delimitò per la prima volta l’estensione della capitale, allora formata da sei comuni indipendenti senza un’autorità municipale centrale. All’inizio degli anni ’70 ci fu la principale espansione che L’Avana ebbe dopo la Rivoluzione, un complesso paesaggistico con finalità culturali e ricreative costituito da tre grandi parchi a sud della città, il Parco Lenin, l’Orto Botanico Nazionale e il Giardino Zoologico Nazionale. Interventi che ebbero il grande merito di migliorare e consolidare incisivamente la fringe belt cittadina. Questo processo continuò in altre forme a metà degli anni Ottanta, quando anche la costruzione di alloggi sociali smise di generare lottizzazioni “aperte” e si orientò a riempire i vuoti urbani interstiziali con progetti site-specific che producevano una migliore integrazione con la città e definivano nuove centralità. Il processo di consolidamento degli spazi sfrangiati, sub-prodotto della speculazione capitalista, è forse ciò che maggiormente ha evitato di veder sorgere i cosiddetti quartieri informali su larga scala, che circondano la maggior parte delle capitali latinoamericane e che invece sono praticamente inesistenti a L’Avana. La crisi economica che ha colpito Cuba dopo la disintegrazione dell’ex campo socialista ha paralizzato la maggior parte delle costruzioni sociali e la capacità dello Stato di mantenere in buona salute il grande patrimonio edilizio esistente. Ciò ha portato purtroppo a un’informalizzazione della città formale, che ha generato incresciose modifiche e superfetazioni al tessuto urbano e agli organismi edilizi tali da comprometterne l’integrità strutturale oltre che quella morfologica e tipologica. Lo Stato cubano si trovò in questa fase nella necessità di dare priorità allo sviluppo del turismo e alla creazione di alberghi ed infrastrutture per i nuovi rapporti commerciali. Questo costituì la principale strategia di salvataggio di un’economia profondamente compromessa da un embargo lungo ormai 60 anni. Lo sviluppo del turismo ebbe l’indiscusso merito di dare un impulso ancora maggiore al recupero e alla preservazione del patrimonio storico costruito. Il centro storico dell’Avana e il suo sistema di fortificazioni furono dichiarati Patrimonio Mondiale UNESCO nel 1982. È indubbio però che il valore patrimoniale della città vada oltre la parte più antica, estendendosi a vaste aree che dal punto di vista morfo-tipologico sono arrivate ai giorni nostri con elevati gradi di integrità e autenticità. D’altro canto la necessità di nuove infrastrutture terziarie ha aperto alle dinamiche ormai globalizzate di sviluppo urbano, che potrebbero mettere oggi a repentaglio un tessuto che ha il grande pregio di aver conservato la sua caratteristica coerenza per 500 anni. Conforta, in questo contesto, rilevare nei regolamenti urbanistici approvati per settori come L’Avana Vecchia e il Vedado, e nei documenti che statuiscono la visione del futuro della città, la consapevolezza del valore e del rischio che corrono queste aree in un processo di cambio sicuramente inevitabile.

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latinoamericani hanno visto moltiplicarsi enormemente le loro popolazioni mentre quella dell’Avana è a malapena raddoppiata. Un parallelo eclatante può esservi con Bogotà, passata da 630.000 abitanti a circa 9 milioni, mentre L’Avana è passata da 1.140.000 a 2.140.000 (fonte: worldpopulationreview. com/macrotrends.net). Allo stesso modo il suo perimetro si è esteso poco o nulla e la città è cresciuta nei suoi tanti interstizi con pochissimi episodi di sostituzione. La storia quasi anomala di uno sviluppo cosi omogeneo, ha avuto la fortuna di preservare con un alto livello di originalità e genuinità le caratteristiche morfo-tipologiche dell’Avana, e questo la rende “un testo sulla storia urbana e architettonica” (Duany, 2010, p. XX) suscettibile di offrire un esempio alternativo ed una pietra di paragone preziosa, alle molte esperienze urbanistiche regionali ed internazionali degli ultimi decenni. Il “Piano generale di ordinamento territoriale e urbano dell’Avana in vista del 2030” è uno strumento elaborato recentemente dal governo che pone gli obiettivi e solleva le sfide per lo sviluppo sostenibile della città futura (Consejo General, Consejo de la Administración Provincial La Habana, 2013-2030). Una lettura storica, morfologica e tipologica dell’Avana è imprescindibile se, come dichiara questo nuovo strumento programmatico, gli obiettivi specifici sono quelli di mantenere integra la dimensione socioculturale, contenere la crescita della capitale facendo città sulla città stessa, valorizzare e moltiplicare in modo sostenibile le risorse disponibili, garantire la sostenibilità ambientale dello sviluppo e completare la pianificazione con una gestione politica efficiente. Comprendere approfonditamente come la città si sia formata e consolidata nei processi di gestazione e sviluppo delle sue polarità, del suo tessuto e delle sue connettività per identificarne i tratti di unicità, è fondamentale per adempiere all’obiettivo di conseguire una progettazione consapevole e coerente dei futuri nuovi brani urbani e ancor di più per preservare L’Avana futura contro alcuni degli errori commessi da altre capitali della regione. Questo contributo vuol essere uno stimolo e uno spunto di approfondimento per una lettura del corpo urbano che sia al tempo stesso conoscitiva e progettuale, e che incoraggi una visione dell’Avana proiettata verso un futuro creativo, inclusivo e diversificato, con una mobilità facile, una città verde, equa, abitabile e sicura, con alloggi e servizi dignitosi per tutti. Una metropoli contemporanea che riesca a preservare il suo attuale equilibrio tra coerenza e diversità per non perdere il suo straordinario fascino sospeso nel tempo.

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Conclusion Havana is indubitably unique, from a social, urban, political, historical and cultural point of view. The city grew without great discontinuities, in an organically polycentric way. Its urban body has been preserved from the invasion of cars. Cuba has an estimated rate of about 40 cars per 1000 inhabitants, compared to the more than 600 of the European Union and more than 800 of the United States (sources: energy. gov; acea.be; wikipedia.org), and although most of these are concentrated in the capital, it still has a human dimension, walkable, available to accommodate an efficient public transport. The urban form facilitates social relationships and interactions; it is welcoming, straightforward, easy-to-navigate, and safe. From 1950 to 2020, Havana population grew in sharp contrast with the regional and international contexts. While the capitals of Latin American countries saw an enormous increase in their populations, Havana barely doubled. A striking parallel can be found with Bogota, passing from 630,000 inhabitants to about 9 million, while Havana has gone from 1,140,000 to 2,140,000 (source: worldpopulationreview.com/ macrotrends.net). Similarly, its perimeter has extended little or nothing and the city has grown in its many interstices with very few episodes of gentrification. Such an unusual history of urban development had the fortune to preserve with a high level of authenticity and integrity the original morphotypological characteristics of Havana. This makes it “a text on urban and architectural history” (Duany, 2010, p. XX) likely to be used as a valuable example and a touchstone for the many regional and international urban experiences of recent decades. The “General Plan for Havana’s Urban Planning for 2030” is a recently developed government tool that sets the goals and define the challenges for the sustainable development of the future of the city (Consejo General, Consejo de la Administración Provincial La Habana, 20132030). A historical, morphological and typological investigation of Havana is of essence if, as this new programmatic instrument declares, the specific objectives are to maintain its whole socio-cultural dimension, contain the growth of the city by building the city upon itself, enhance and multiply the available resources, ensure the

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the main strategy of rescuing an economy deeply compromised by a 60-years embargo. The development of tourism had the undisputed merit of giving an even greater focus to the recovery and preservation of the built historical heritage. The historic centre of Havana and its fortification system became UNESCO World Heritage Site in 1982. However, there is no doubt that the heritage value of the city goes beyond its oldest part, extending to vast areas that from the morphotypological point of view have reached today with high degrees of integrity and authenticity. On the other side, the need for new tertiary infrastructure has opened up to the now globalized dynamics of urban development, which could jeopardize a fabric that has the great advantage of having maintained its characteristic coherence for 500 years. It is comforting though, in this context, to see how planning regulations approved for sectors such as Old Havana and Vedado, and in the “General Plan of Land and Urban Planning of Havana in view of 2030”, are aware of the value and the risk for these areas in an inevitable process of change.

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environmental sustainability and complete the planning with an efficient political management. The thorough understanding of how the city developed and consolidated its nuclei and of the uniqueness of its fabric and connectors, are key tools for achieving the goals of a sustainable, aware and coherent design for the future parts of Havana, in order to preserve them against some of the mistakes occurred in other capitals of the region. This contribution hopefully may be an inducement and a starting point for an interpretation of the urban body aimed both to knowledge and to design, helping the future Havana towards being a creative city, inclusive and diversified, with an easy urban mobility, green and above all, fair, liveable and safe, with decent housing and services for everybody. A city that is able to preserve its current balance between coherence and diversity so not to lose its extraordinary charm suspended in time.

Fig. 10 - Visualizzazione dello sviluppo urbano fino ai giorni nostri. Si può notare come la città inizialmente si estende sulle direttrici ovest e sud e in seguito va addensandosi riempiendo gli interstizi urbani. Anche se non compresa per esteso nella mappa, si noti come la baia costituisca un elemento invalicabile che ostacolo la crescita a ovest fino alla costruzione del tunnel alla fine degli anni ’50. La città odierna presenta una forma consolidate ed è notevole l’assenza di quartieri periferici informali. Visualization of urban development to the present day. It’s visible how the city initially extends along the west and south directions and then goes deeper filling the urban gaps. Although not fully included in the map, note that the bay is an insurmountable element that hinders the growth to the west until the construction of the tunnel in the late 1950s. Today’s city has a well-established form and it is notable the absence of informal suburbs.

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urbanform and design La semiotica della Cité du fer:

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DiARC, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli E-mail: marianna.sergio@unina.it

Introduzione Segno fisico e mutazione semantica, la città industriale interpreta il continuo evolversi dei “fatti urbani” (Rossi, 1966) per effetto del consolidamento di estreme tesi sulla decadenza dello spazio fisico e dell’abitare urbano, definite da un processo di dismissione che ha caratterizzato la storia dei grandi complessi siderurgici europei. Una realtà lunatica e mutevole ha interessato la cultura progettuale dell’architettura della produzione, legandosi alla molteplicità di sostrati e di dinamiche – economiche, politiche e sociali – che ne hanno trasformato la forma fisica e la struttura sociale in paesaggi dell’abbandono e hanno determinato “una realtà più complessa (in quanto simultanea), instabile (in quanto dinamica) e molteplice (in quanto ormai diversa ed irregolare)” (Gausa, 2008). Contrapponendosi alla tradizionale articolazione dei rapporti gerarchici che caratterizzano lo studio della città storica, la lettura semiotica della città di Seraing, uno fra i principali centri siderurgici e metallurgici della provincia di Liegi, non si riduce alla mera lettura e produzione di segni, bensì essa si spinge alla comprensione del significato degli stessi, interrogandosi sulla loro reale consistenza, sulla loro forma e sulla loro identità. Nel considerare il territorio della città un palinsesto (Corboz, 1985), sovraccarico di tracce e di letture passate, la ricerca sul caso studio di Seraing propone una nuova e diversa rilettura che, non esprimendosi in una semplice successione di avvenimenti cronologici, cerca di mettere in luce gli elementi ambedue caratteristici e critici (fig. 1). Questo approccio mira a discernere e superare la tradizionale nozione di città industriale attraverso un modello interpretativo che comprende l’organizzazione dei paradigmi architettonici e dell’insieme urbano, riferendosi alla ricerca semiotica come ad “uno strumento di pensiero utile e inevitabile in quanto ci permette di pensare a cose non familiari in termini di cose familiari” (Eco, 2015).

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La Mosa: un segno ab origine

Introduction Physical sign and semantic mutation, the industrial city interprets the continuous evolution of “urban facts” (Rossi, 1966). As a result of the consolidation of extreme theses about the decadence of physical space and urban living, it is de-

“La Mosa, che in epoca preistorica scorreva fino ai bordi, sembrava incapace di rassegnarsi a rinunciare a una qualsiasi parte per l’insediamento umano. Essa giaceva lì placida e inviava in tutte le direzioni una moltitudine di bracci che circondavano ampie zone paludose e incolte. […] Vista dall’alto, la valle appariva come un arcipelago, da dove emergono con i loro boschi vergini isolotti destinati a generare un giorno la città” (Kuth, 2018). Il primo fondamentale segno ad incidere il materiale di supporto della città di Seraing è rappresentato dalla Mosa, il cui percorso mette in luce la potenza dell’elemento naturale e costituisce “il ground zero o il livello che conteneva le condizioni necessarie per la creazione di luoghi in cui vivere” (Occhiuto, 2014), datando nel V millennio a.C. i primi insediamenti urbani nell’area di confluenza con la Légia. La riflessione sul fiume nella sua consistenza fisica di segno e nella sua valenza metafisica di simbolo si riversa nelle differenti fasi dello sviluppo di una città

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Abstract The city represents the place of the complexity: a constantly changing entity and heterogeneous reality where accumulations, fragments, heterotopia, layers refute a vision limited to the visible image of its buildings and reflect a perspective linked to its construction over time and a plurality of substrates – social, economic and political. In this perspective, the contribution investigates the case of the city of Seraing, a fundamental center of steel production in Belgium, where the decline of mines, first, and steel, then, has had a great impact on the population and the physiognomy of the city. Past and present do not stop reconfiguring themselves in the traces and signs of the city: they highlight the industrial identity of Seraing and outline the phenomena that have defined the construction of the spaces as they are shown today. The study of transformations is articulated in a redrawing and comparison of the main historical maps with the contemporary orthophotos – Carte de Ferraris, Carte du dépôt de la guerre, Orthophotos WalOnMap – in order to trace both the consistency of the urban fabrics and the character of the permanences: in fact, the observation of these elements shows how the physiognomy of the city is inextricably linked to the growth of industry, while the three specificities – the river, the forest and the railway – remain almost unchanged over time and are recognizable ab origine. Therefore, the reading of the natural and artificial changes of the territory generates an interconnected system of signs aimed to describe, regulate and reflect on the dynamics in progress, as well as on the criticality of the place. A procedure of simultaneous decomposition and recomposition allows the comprehension of the characters of the place and considers the levels of the city not as diachronic superimpositions, but as synchronic twines.

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.013

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Keywords: dismantling, industrial city, signs, urban structure

sedimentazione di segni e costruzione di spazi

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Fig. 1 - La polisemia del paesaggio industriale di Seraing, elaborazione grafica dell’autore. The polysemy of the industrial landscape of Seraing, graphic elaboration by the author.

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Fig. 2 - Il Palais de Seraing sulla Mosa, Illustrazione n° 44, in Commission de l’Enseignement de la Saison Liégeoise, Liège et l’Occident, publ. avec le corcours de la Commission de l’Enseignement de la Saison liégeoise 1958, éditions de l’A. S. B. L. Le Grand Liège, 1958. The Palais of Seraing on the Meuse, Illustration n°44, in Commission de l’Enseignement de la Saison Liégeoise, Liège et l’Occident, publ. avec le corcours de la Commission de l’Enseignement de la Saison liégeoise 1958, éditions de l’A. S. B. L. Le Grand Liège, 1958. fined by a process of decommissioning that has characterized the history of the great European steelworks. A moody and mutable reality has affected the design culture of production architecture, linking itself to the multiplicity of substrates and dynamics - economic, political and social - which have transformed its physical form and social structure into landscapes of abandonment and have led to “a more complex (as simultaneous), unstable (as dynamic) and multiple (as different and irregular) reality” (Gausa, 2008). In contrast to the traditional articulation of hierarchical relationships that characterize the study of the historical city, the semiotic reading of the city of Seraing, one of the main iron and steel and metallurgical centers of the province of Liège, is not reduced to a mere reading and production of signs, but it is led to the understanding of their meaning, questioning their real consistency, their form and their identity. Considering the territory of the city as a palimpsest (Corboz, 1985), overloaded with traces and past readings, the research on the case study of Seraing proposes a new and different re-reading which tries to highlight both characteristic and critical elements, not expressing itself in a simple succession of chronological events (fig. 1). This approach aims to discern and overcome the traditional notion of the industrial city through an interpretative model that includes the organization of architectural paradigms and the urban

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che permane solidamente incastonata nel paesaggio acquatico quale sede estiva per i principi-vescovi, prima, e uno dei principali nuclei produttivi della siderurgia belga, poi. In questa prospettiva, la Mosa costruisce e decostruisce la pratica scrittoria della storia di Seraing: come un ineluttabile grafo o una tipologia particolare di punta ne penetra il corpo vivo e ne incide la superficie, innestando contemporaneamente un nuovo frammento di testo (Derrida, 2018) attraverso lo sviluppo della moderna industria siderurgica, la dismissione degli impianti industriali e l’occasione progettuale di rivitalizzazione del waterfront (fig. 2). Dall’osservazione delle carte storiche e del materiale iconografico è possibile evidenziare che la modellazione dell’intera Vallée Séresiénne si contraddistingue per la formazione di un arcipelago di bracci d’acqua e punti di convergenza, segni adattati gradualmente alle esigenze della produzione industriale e della navigazione dei suoi canali. Durante il periodo di maggiore sviluppo della siderurgia, il corso del fiume è sottoposto a differenti operazioni di ridisegno al fine di rettificarne e regolarne il flusso a causa di inondazioni e disastri verificatisi, in particolar modo, alla fine dell’Ottocento (fig. 3). Questa semplificazione del sistema fluviale crea solchi trasparenti e segni d’acqua capaci di suggerire e di tracciare le linee guida per la composizione del tessuto urbano, regolato dalla posizione dello châteaux dei principi-vescovi ai piedi del versante nord-occidentale e dalla suddivisione dei terreni sulla base di uno schema di percorsi perpendicolare a quello principale del fiume. Contestualmente matrice e motrice, la Mosa raffigura ancora oggi la forza che attiva il processo produttivo e che tiene insieme tutti gli elementi dell’organismo urbano nonostante l’attuale condizione di abbandono dell’area e la conseguente perdita di valore (Sergio, 2020). Marianna Sergio | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

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The Meuse: a sign ab origine “The Meuse, which in prehistoric times flowed to its edges, seemed unable to resign itself to give up any part for the human settlement. It laid there placidly and sent in all directions a multitude of branches that surrounded large swampy and uncultivated areas. [...] Seen from above, the valley looked like an archipelago, from where they emerged with their virgin forests islets destined to one day generate the city” (Kuth, 2018). The first fundamental sign to engrave the supporting material of the city of Seraing is represented by the Meuse, whose path highlights the power of the natural element and constitutes “ground zero or the level that contained the necessary conditions for the creation of places in which to live” (Occhiuto, 2014), dating back to the 5th millennium BC the first urban settlements in the confluence with the Légia. The reflection on the river in its physical consistency as a sign and in its metaphysical value as a symbol pours into the different phases of the development of a city that remains solidly embedded in the aquatic landscape as a summer residence for the prince-bishops, first, and one of the main production center of the Belgian iron and steel industry, then. In this perspective, the

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Le “dinamiche della Mosa” (Suttor, 2006), legate alla trasmutazione dell’ambientazione bucolica nella sublime devastazione degli hauts-forneaux e dei cumuli di scorie, descrivono un sistema in pericolo che, tuttavia, offre la possibilità di nuove configurazioni e mette in luce la capacità di questo organismo di invertire la situazione odierna. Asse principale e privilegiato, il lungofiume rappresenta il luogo dove convergono le forze dinamiche del paesaggio industriale e dove è possibile formulare strategie di ricovero e di racconto di aree industriali dismesse. Il fiume considerato il segno ab origine della città si pone alla base della reinterpretazione del palinsesto culturale, sociale ed ecologico e sviluppa “un’idea di progetto costruito a partire dal discorso sul contesto” (Gregotti, 1990).

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system, referring to the semiotic research as “a useful and inevitable tool of thought as it allows us to think about unfamiliar things in terms of familiar things” (Eco, 2015).

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Fig. 3 - Ridisegno dell’evoluzione e della rettificazione del corso della Mosa dal 1775 al 2018, basato sull’osservazione delle cartografie storiche, elaborazione grafica dell’autore. Redrawing of the evolution and rectification of the course of the Meuse from 1775 to 2018, based on the observation of historical cartographies, graphic elaboration by the author.

La città e i segni La lettura morfologica del caso studio esplora un campo di indagine attraverso cui risulta possibile comprenderne la natura complessa e contraddittoria della città industriale, la quale si lega ad un sistema di relazioni che investono lo spazio urbano e i suoi cambiamenti simultanei. In quest’ottica, la costruzione nel tempo della città di Seraing non si riferisce unicamente all’immagine visibile della sua architettura e all’insieme dei suoi edifici (Rossi, 1966), bensì indaga come veramente si sia modellata la struttura urbana “sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda” (Calvino, 2016), interpretandone la particolare morfologia del contesto fluviale e il ruolo delle permanenze industriali. Ad una prima analisi, la fisionomia di Seraing non riproduce i caratteri di una tipica città di fondazione, interamente controllata e | Marianna Sergio | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 4 - Formazione della città. Ridisegno dei tre elementi fondamentali sulle carte storiche e sull’ortofoto, elaborazione grafica dell’autore. Formation of the city. Redrawing of the three fundamental elements on the historical maps and the orthophotos, graphic elaboration by the author.

Meuse constructs and de-constructs the scriptural practice of the history of Seraing: like an ineluctable graph or a particular type of tip penetrates its living body and engraves its surface, simultaneously grafting a new fragment of text (Derrida, 2018) through the development of the modern iron and steel industry, the dismantling of industrial plants and the design opportunity to revitalize the waterfront (fig. 2). The observation of the historical maps and iconographic material shows that the modelling of the entire Vallée Séresiénne is characterized by the formation of an archipelago of waterways and points of convergence. These signs have been gradually adapted to the industrial production needs and the navigation of its canals. During the period of greatest development in the iron and steel industry, the course of the river underwent various redesign operations in order to rectify and regulate its flow due to floods and disasters that occurred, in particular, at the end of the 19th century. The simplification of the river system creates transparent furrows and water marks capable of suggesting and tracing the guidelines for the composition of the urban fabric, regulated by the position of the châteaux of the prince-bishops at the foot of the north-western side and by the subdivision of the land on the basis of a scheme of routes perpendicular to the main one of the river (fig. 3). At the same time matrix and driving force, the Meuse still represents today the strenght that activates the production process and that holds together all the elements of the urban organism despite the current condition of abandonment of the area and the consequent loss of value (Sergio, 2020). The “dynamics of the Meuse” (Suttor, 2006), linked to the transmutation of the bucolic setting into the sublime devastation of hauts-forneaux and slag heaps, describes a system in danger which, however, offers the possibility of new configurations and highlights the ability of this organism to reverse the current situation. Main and privileged axis, the waterfront represents the place where the dynamic forces of the industrial landscape converge into and where it is possible to formulate strategies for the recovery and the narration of abandoned industrial areas. The river is considered the sign ab origine of the city and it is at the base of the reinterpretation of the cultural, social and ecological palimpsest. It develops “an idea of a project built from the discourse on the context” (Gregotti, 1990).

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Fig. 5 - Formazione della città. Ridisegno sulla trasformazione e sull’intensificazione del tessuto abitativo e infrastrutturale, elaborazione grafica dell’autore. Formation of the city. Redrawing on the transformation and intensification of the housing and infrastructures, graphic elaboration by the author.

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progettata nella crescita e nella forma regolare. Altresì, essa si configura come una città spontanea, disordinata ma organica, con un’origine rurale legata ai campi e allo château dei principi-vescovi lungo le rive della Mosa. La metodologia di studio impiegata nel lavoro di ricerca si articola in una comparazione di due carte storiche – la Carte de Ferraris (1770-78) e la Carte du dépôt de la guerre (1865-80) – e di una recente ortofoto – l’l’Orthophotos WalOnMap (2016) – al fine di comprendere e interpretare la successione dei cambiamenti crescenti fin nei suoi elementi. Determinata dallo sviluppo dei diversi e antichi nuclei insediativi di cui si compone – la stessa Seraing, Jemeppe, Ougrée e Boncelles – la forma della città si definisce attorno alle sue permanenze e rilegge gli elementi del suo paesaggio come “tempo incarnato in spazio” (Berque, 1996). Tali elementi – il fiume, il bosco e la ferrovia (linea 125 e linea 125A a partire dalla seconda metà dell’Ottocento) – restano segni riconoscibili ab origine nonostante subiscano alcune piccole variazioni (fig. 4). Il nucleo di origine del centro storico, individuato nel Fond de Seraing e collocato in prossimità dello Château Cockerill, evidenzia in una visione d’insieme più ampia uno sviluppo generale dell’area riferito al percorso della Mosa e alle lottizzazioni dei campi, che rappresentano le matrici dei tracciati e dei percorsi. Successivamente al boom industriale, l’espansione della città subisce una crescita intensa ed una duplice trasformazione come evidente dalle carte storiche: il paesaggio rurale viene colpito sia in superficie dalla struttura capillare delle infrastrutture sia nel sottosuolo dal lavoro industriale, che scava lunghe gallerie e si appropria di vaste aree. Dalla lettura dell’ortofoto contemporanea è possibile evidenziare l’assoluta perdita del carattere bucolico dell’area, nonostante l’invariata presenza del bosco sottostante che avvolge l’intero agglomerato urbano. L’assetto dei collegamenti segue le principali vie di comuni-

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The city and the signs The morphological reading of the case study explores a field of investigation through which it is possible to understand the complex and contradictory nature of the industrial city, which is linked to a system of relationships that affect the urban space and its simultaneous changes. From this point of view, the construction over time of the city of Seraing does not only refer to the visible image of its architecture and all its buildings (Rossi, 1966), but it also investigates how the urban structure “under this dense envelope of signs, what it contains or hides” (Calvino, 2016), interpreting the particular morphology of the river context and the role of industrial permanence. At a first analysis, the physiognomy of Seraing does not reproduce the characteristics of a typical city of foundation, entirely controlled and designed in its growth and regular form. It is also a spontaneous city, disordered but organic, with a rural origin linked to the fields and the château of the prince-bishops along the banks

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Fig. 6 - Altoforno B, foto dell’autore. Haut-forneau B, photo by the author.

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cazione già tracciate sulla arta del Ferraris, infittendosi di nuovi percorsi sulla base dei precedenti lotti agricoli ed estendendo gli agglomerati edilizi (fig. 5). Questi non si concentrano più solo nella parte centrale e del lungofiume, ma si portano dal fondo valle verso l’area collinare in una logica di case unifamiliari, anziché di maisons ouvrières. La condizione della struttura urbana è influenzata sia da un’insufficienza di aree edificabili, che si verifica nel tempo a causa dello sviluppo delle attività industriali, sia da una ricerca di migliori qualità della vita. La rapidità della crescita, difatti, ha portato ad una concezione della città quale “mero agglomerato industriale” (De Saint-Moulin, 1967), creando una fisionomia particolare dell’area dove il tenore di vita degli abitanti sale unitamente alle curve di livello e dove la tipologia abitativa segue questo cambiamento: nella zona bassa si delinea un tessuto edilizio compatto, caratterizzato da una lottizzazione gotica con unità con facciata principale su strada e spazi verdi all’interno dell’isolato, mentre nella zona alta la tipologia pavillionaire con forme libere e giardino in facciata. La città e i segni della sua società policentrica hanno innescato, in questo modo, un vero e proprio processo di sovrapposizione e di condensazione, in cui entrambi i sistemi infrastrutturale ed edilizio si intensificano anche nelle aree immediatamente adiacenti ai nuclei industriali, creando una fitta rete di percorsi ed edifici.

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of the Meuse. The methodology used in the research work is divided into a comparison of two historical maps – the Carte de Ferraris (1770-78) and the Carte du dépôt de la guerre (1865-80) – and a recent orthophoto – the Orthophotos WalOnMap (2016) – in order to understand and interpret the succession of the increasing changes down to its ultimate elements. The shape of the city is defined around its permanences and reinterprets the elements of its landscape as “time embodied in space” (Berque, 1996) and it is determined by the development of the various ancient settlements of which it is composed – the same Seraing, Jemeppe, Ougrée and Boncelles. These elements – the river, the forest and the railway (line 125 and line 125A from the second half of the 19th century) – remain recognizable signs ab origine, although they have gone through some minor variations (fig. 4). The center of origin of the old town, identified in the Fond de Seraing and located near the Château Cockerill, shows in a wider overall view a general development of the area referred to the Meuse path and the allotment of fields, which represent the matrixes of the layouts and routes. After the industrial boom, the expansion of the city underwent an intense growth and a dual transformation, as it is evident from the historical maps. The rural landscape is affected both on the surface by the capillary structure of the infrastructures and underground by industrial

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Fig. 7 - Le rive della Mosa, foto dell’autore. The banks of the Meuse, photo by the author.

La metamorfosi semantica delle rovine industriali L’epilogo dell’attività industriale, determinato dal declino del colosso internazionale di ArcelorMittal, inscrive un’ulteriore e particolare incisione sul | Marianna Sergio | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 8 - Sovrastrutture, foto dell’autore. Superstructures, photo by the author.

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Fig. 9 - Rovine, foto dell’autore. Ruins, photo by the author.

work, which digs long tunnels and appropriates wide areas. In the reading of the contemporary orthophotos, it is substantiated the absolute loss of the bucolic character of the area, despite the unchanged presence of the underlying forest that envelops the entire urban agglomeration. The layout of the connections follows the main communication routes already traced on the Ferraris Map, increasing of new routes based on the previous agricultural parcels and extending the building agglomerations (fig. 5). These are no longer concentrated only in the central part and along the riverside but are taken from the bottom of the valley towards the hilly area in a logic of single-family houses, instead of maisons ouvrières. The condition of the urban structure is influenced by a lack of building areas, which has occurred over time due to the development of industrial activities, and by a search for better quality of life. The rapidity of growth, in fact, has led to a conception of the city as a “mere industrial agglomeration” (De Saint-Moulin, 1967), creating a particular physiognomy of the area where the inhabitants’ standard of living rises together with the level curves and where the type of housing follows this change: in the lower area a compact building fabric is delineated, characterized by a Gothic allotment with units with a main façade on the street and green spaces inside the block, while in the upper area there is the pavillionaire type with free forms and a garden on the

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paesaggio apparentemente spento della città, sprigionando un fascino paradossale legato alla dismissione e alla metamorfosi del patrimonio (fig. 6). I ruderi dei monumenti-macchina, pur trasformando gli spazi monofunzionali dell’industria in vuoti di senso ordinati secondo sequenze di spazi inutilizzati, costituiscono un nuovo segno materiale, un representamen, capace di dare origine ad “un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato” (Pierce, 1966) nello sguardo e nella coscienza di colui che da osservatore esterno ne rielabora il significato. La condizione, sublime e pittoresca di crateri in eruzione (Hugo, 2012), che avvolge interamente la città di Seraing, attiva un processo di decostruzione dei segni dell’industria siderurgica consapevole della propria storicità (fig. 7). Alienare la città da questa idea connessa ai suoi monumenti-macchina e “affidata ai suoi principi insediativi, alla loro stratificazione, alla permanenza e alla sovrapposizione delle trame dei suoi tessuti, sradicarla dalle sue relazioni con la geografia del paesaggio […] significa renderla puro passato e impresa turistica” (Gregotti, 2011). Ne consegue che la relazione segnica instaurata con la rovina industriale non si limita alla mera contemplazione della sua memoria e della sua consistenza fisica, bensì sposta l’asse semantico verso un attivo processo di creazione di nuovi significati attraverso cui la stessa rovina “non riproduce integralmente alcun passato e allude intellettualmente a una molteplicità di passati, in qualche modo doppiamente metonimico” (Augé, 2004), offrendo la sua duplice natura metaforica e metamorfica di funzionalità perduta e di attualità massiccia. Trasposizione della condizione contemporanea di dismissione delle architetture della produzione, la rovina industriale viene concepita come potente “fisionomia allegorica” (Benjamin 1963), generata dalla crisi e dal collasso del sistema economico cui è ancorata. Non un artifiMarianna Sergio | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

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cio retorico, ma un elemento indispensabile di rilettura delle stratificazioni e di decodificazione delle relazioni intessute nello spazio, la rovina incorpora il passato nel flusso del presente e introduce “un modello di architettura come processo” (Linazasoro, 2010). Vestigia di una memoria collettiva e di una civiltà che sembra appartenere ad un passato lontano, i resti del patrimonio industriale – gli stabilimenti Cockerill di Seraing, la Cockerill-Sambre, il Terril Perron Ouest e gli hauts-forneaux – creano dei recinti inaccessibili attorno ai quali si plasma la struttura urbana di un organismo estremamente compatto, tenuto insieme dal passaggio, ad un layer sopraelevato, di una rete di tubi e di nastri per il trasporto dei materiali e spezzato dall’andamento verticale degli altiforni (fig. 8). Questi futuristici campanili dominano le prospettive dei quartieri della città, stabilendo nuovi punti cardinali e innalzandosi come potenti landmarks sulle rive della Mosa (Sergio, 2020). L’azione di rilettura affida a questi caratteristici monumenti di archeologia industriale un ruolo chiave nella valorizzazione della storia e dell’identità territoriale di Seraing: essi delineano un attivo processo di creazione di rinnovati segni e significati a partire dalla propria condizione di “forme in cerca di funzione, [che] come paguri in cerca di un guscio vuoto” (Koolhaas, 2006) risultano essere capaci di ispirare nuove visioni progettuali e di consolidare la propria vocazione e memoria attraverso una dialettica del ricordo e dell’oblio. Le rovine industriali sull’acqua, che comprendono i residui di infrastrutture, di monumenti-macchina e di terrils,, anche se diverse per forma, sfruttamento e grandezza, hanno la caratteristica comune di essere luoghi indecisi in cui l’attività umana è sospesa (Clément, 2006) e, al contempo, decisi nell’esprimere l’intrinseca capacità del patrimonio, materiale e immateriale, di riflettere e ricordare (fig. 9).

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Conclusioni

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La semiotica della città di Seraing mira ad una ricognizione dei caratteri del territorio e delle sue potenzialità in una logica di osservazione dei segni e di reinterpretazione dei suoi elementi identitari. Dall’intersezione dei cambiamenti naturali e artificiali del territorio, la comprensione e la rilettura di questi segni indagano “un livello estremamente semplice, quasi astratto del senso” (Volli, 2005) che mette in tensione diversi elementi per raggiungere nuovi equilibri e che attiva processi di risignificazione di frammenti di storia e di forme di città. La vocazione industriale di Seraing si esprime nella sedimentazione di tracce e nella costruzione di spazi attraverso cui forti sono gli echi della rapidità dei cambiamenti, superando una visione schematica della realtà e riscoprendo l’indeterminatezza di una visione polisemica. In questa prospettiva, la condizione contemporanea di abbandono e di dismissione richiede nuove logiche trasversali di relazione e di interazione tra diversi termini e livelli, trasformando la città industriale in uno spazio multidimensionale e multifunzionale nel quale si dispongono variabili principali e secondarie, layers ed eterotopie, legate fra loro da una sinergia di relazioni e di segni. Luogo della complessità e delle contraddizioni, la città di Seraing ritraccia i segni del proprio passato attraverso un procedimento di scomposizione e ricomposizione delle tracce del passato, che non cancellano quelle che le hanno precedute, né, a loro volta, possono essere cancellate (De Carlo, 1982). Questa specifica caratterizzazione definisce una particolare tipologia di scrittura urbana e progettuale che, declinata secondo gli assi della memoria e dell’interazione tra uomo e natura, sviluppa una “percezione simultanea di molteplici livelli di significazione [che] richiede sforzi ed esitazioni da parte dell’osservatore, ma rende la sua percezione più viva” (Venturi, 1966) poiché basata su di un’idea di architettura per intrecci sincronici e interconnessi di segni e significati, nonché di funzioni e programmi capaci di interagire fra di loro fino a sovrapporre e a mescolare nuovi usi e nuove istanze.

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The semantic metamorphosis of the industrial ruins The epilogue of industrial activity, determined by the decline of the international colossus of ArcelorMittal, inscribes a further and particular engraving on the apparently extinct landscape of the city, unleashing a paradoxical fascination linked to the disuse and metamorphosis of the heritage (fig. 6). The ruins of the monuments-machine, while transforming the single-functional spaces of industry into hole of meaning ordered according to sequences of unused spaces, constitute a new material sign, a representamen, capable of giving rise to “an equivalent sign, or perhaps a more developed sign” (Pierce, 1966) in the gaze and conscience of the one who, as an external observer, re-elaborates its meaning (fig. 7). The condition, sublime and picturesque of erupting craters (Hugo, 2012), that entirely envelops the city of Seraing, activates a process of deconstruction of the signs of the steel industry aware of its historicity. In order to alienate the city from this idea connected to its machine-monuments and “entrusted to its settlement principles, to their stratification, to the permanence and overlapping of the textures of its fabrics, to eradicate it from its relations with the geography of the landscape [...] means to make it pure past and tourist enterprise” (Gregotti, 2011). It follows that the relationship of signs established with industrial ruin is not limited to the mere contemplation of its memory and physical consistency, but it shifts the semantic axis towards an active process of creating new meanings through which the ruin itself “does not fully reproduce any past and intellectually alludes to a multiplicity of pasts, in some way doubly metonymic” (Augé, 2004), offering its dual metaphorical and metamorphic nature of lost functionality and massive topicality. Transposition of the contemporary condition of dismantling the architecture of production, the industrial ruin is conceived as a powerful “allegorical physiognomy” (Benjamin 1963), generated by the crisis and collapse of the economic system to which it is anchored. Not a rhetorical artifice, but an indispensable element for reinterpreting stratifications and decoding relationships woven into space, the ruin incorporates the past into the flow of the present and introduces “a model of architecture as a process” (Linazasoro, 2010). Vestiges of a collective memory and a civilization that seems to belong to a distant past, the remains of the industrial heritage - the Cockerill factories in Seraing, the Cockerill-Sambre, the Terril Perron Ouest and the hauts-forneaux – create inaccessible enclosures around which the urban structure is shaped and the blocks of working-class houses are distributed. An extremely compact organism held together by the passage, to an elevated layer, of a network of pipes and belts for the transport of materials and broken up by the vertical course of the blast furnaces (fig. 8). These futuristic bell towers dominate the perspectives of the city’s neighborhoods, establishing new cardinal points and rising like

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façade. Thus, the city and the signs of its polycentric society have triggered a real process of overlapping and condensation, in which both infrastructural and building systems intensify themselves even in the areas immediately adjacent to the industrial nuclei, creating a dense network of paths and buildings.

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powerful landmarks on the banks of the Meuse (Sergio, 2020). The re-reading entrusts these characteristic monuments of industrial archaeology with a key role in the enhancement of the history and the territorial identity of Seraing: they outline an active process of creation of renewed signs and meanings starting from their conditions of “forms in search of function, [that] like hermit crabs in search of an empty shell” (Koolhaas, 2006) are able to inspire new design visions and to consolidate their vocation and memory through a dialectic of memory and oblivion. The industrial ruins on the water, which include the remains of infrastructure, machine-monuments and terrils, although different in form, exploitation and size, have the common characteristic of being undecided places where human activity is suspended (Clément, 2006) and, at the same time, determined to express the intrinsic capacity of heritage, both material and immaterial, to reflect and remember (fig. 9).

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Conclusions The semiotics of the city of Seraing aims at a reconnaissance of the characteristics of the territory and its potentiality in a logic of observation of signs and reinterpretation of its identity elements. From the intersection of the natural and artificial changes of the territory, the comprehension and re-reading of these signs investigate “an extremely simple, almost abstract level of meaning” (Volli, 2005) which puts various elements into tension in order to reach new equilibriums and activates processes of re-signification of fragments of history and forms of the city. The industrial vocation of Seraing is expressed in the sedimentation of traces and the construction of spaces through which there are strong echoes of the rapidity of changes, overcoming a schematic vision of reality and rediscovering indeterminacy of a polysemic vision. In this perspective, the contemporary condition of abandonment and disuse requires new transversal logics of relation and interaction between different terms and levels, transforming the industrial city into a multidimensional and multifunctional space in which main and secondary variables, layers and heterotopias are arranged, linked together by a synergy of relations and signs. Place of complexity and contradictions, the city of Seraing retraces the signs of its history through a process of decomposition and re-composition of the traces of the past, which do not erase those that preceded them, nor, in turn, can they be erased (De Carlo, 1982). This specific characterization defines a particular type of urban and design writing which, declined according to the axes of memory and interaction between mankind and nature, develops a “simultaneous perception of multiple levels of signification [which] requires efforts and hesitations on the part of the observer, but makes his perception more alive” (Venturi, 1966) because it is based on an idea of architecture for synchronic and interconnected twines of signs and meanings, as well as functions and programs capable of interacting with each other to the point of superimposing and mixing new uses and new instances.

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urbanform and design Equilibri instabili

U+D Unstable balances. The project for the recovery and refunctionalisation of Palazzo Penne in Naples

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.014

Paola Scala

DiARC, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli E-mail: paola.scala@unina.it

Maria Pia Amore

DiARC, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli E-mail: mariapia.amore@unina.it

Premessa: le ragioni del progetto

Introduction: the reasons behind the project When, in 2015, we were asked to participate in the consulting and support group of the Campa-

Quando nel 2015 ci è stato chiesto di partecipare al gruppo di consulenza e supporto per la redazione del progetto preliminare di Palazzo Penne, raro esempio di architettura civile del periodo durazzesco e significativa testimo testimonianza, nelle parti ancora esistenti, del primo Rinascimento a Napoli, forse non ci siamo resi conto che questa esperienza avrebbe portato a interrogarci sul senso e sul significato del nostro specifico contributo come progettisti archiarchi tettonici nell’ambito di un consesso che vedeva, giustamente, coinvolti colleghi di Rilievo, di Restauro, colleghi strutturisti e impiantisti – competenze messe a disposizione dal Diarc, da Urbaneco (centro interdipartimentale di ricerca), dal Distretto Tecnologico Stress e dal Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università del Sannio. Crediamo che, in fondo, nella mente di tutti aleg aleggiasse l’idea che il nostro coinvolgimento potesse/dovesse essere limitato alla sola realizzazione di un nuovo corpo scala e di una nuova ascensore, necessarie per “adeguare” dal punto di vista distributivo l’edificio alla nuova destinazione prod’uso. L’edificio infatti è stato individuato dalla Regione Campania, l’ente pro prietario, come sede della “Casa dell’Architettura”, ovvero una delle strutture sul territorio destinate ad implementare la conoscenza e la qualità dell’archidell’archi tettura e del design previste dalla Legge regionale 11 novembre 2019, n. 19. Più lavoravamo al progetto, partecipando attivamente alle fasi di rilievo e di conoscenza dello stesso, più ci rendevamo conto che quello che in realtà stavamo costruendo era la nostra “immagine” di Palazzo Penne, non più solo e soltanto, “raro esempio di architettura quattrocentesca”, ma leggendario Palazzo del Diavolo costruito in una notte, Casa dei Padri Somaschi, dimora di Teodoro Monticelli e luogo d’incontro dell’intellighenzia napoletana, poi residenza collettiva per gli sfollati del terremoto e, infine, inaccessibile giardino segreto…quindi un “palinsesto” (per usare un termine caro ai colleghi di Restauro) non solo di segni fisici, ma soprattutto di storie: una narrazione complessa che aspettava un seguito. Palazzo Penne sorge sul limite inferiore del Centro Antico di Napoli, Patrimonio dell’UNESCO. Il lungo corpo di fabbrica accessibile dalla Piazzetta Teodoro Monticelli si sviluppa a ovest per tutta la lunghezza del Pennino Santa Barbara e si salda ad est con la Chiesa dei S.S. Demetrio e Bonifacio, in origine parte del complesso e attualmente di proprietà dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. La costruzione del Palazzo viene attribuita ad Antonio Baboccio da Piperno ed è datata dal Celano al 1380. L’iscrizione sul portale di ingresso indica il 1406 come anno di conclusione della costruzione. Inizialmente il Palazzo sembra fosse caratterizzato dal padiglione di ingresso che, presumibilmente, introduceva al primo cortile sul quale prospettava una scala aperta che portava al loggiato. L’edificio doveva presentare una forma a “L” con il lato lungo disposto lungo i gradoni di Santa Barbara. Dalle fonti storiche sembra che la famiglia Penne abbia mantenuto la proprietà del Palazzo fino alla metà del Cinquecento, vendendolo nel 1562 alla famiglia Rocco del Seggio di Montagna e poi ai Capano. È nel 1685 che il Palazzo, acquistato dai padri Somaschi, viene investito da una serie di trasformazioni che ne altereranno profondamente la struttura, tra cui la costruzione dell’edificio del noviziato. Nel 1709 Giovan Bat-

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Abstract In 2009, OMA’s project for the refunctionalisation of the “Fondaco dei Tedeschi” in Venice sparked a huge debate. The project was accused of being the emblem of an architectural culture insensitive to the values of the past, an expression of reasons and economic processes that sacrifice architecture on the altar of globalisation. The issue is in itself very complex and involves many aspects, first of all that of a difficult balance between the reasons of those involved in restoration and those who, within the historical city, support the legitimacy and necessity of contemporary architectural design. And if, on the one hand, the former accuse the “new” of being often insensitive to the values of history testified to by the architecture of the past, understood as a palimpsest of signs, on the other, the latter fear that the preservation of these same values may result in a lack of attention to the cultural and social demands of the contemporary world, respect for which is a necessary condition (though perhaps not sufficient) for an architectural asset to be returned to the city, understood not as a pool of experts and authorised workers but as a community capable of recognising itself in it. conThe aim of this article is to try and make a con tribution to this debate by reporting on the concon Arsultancy that DiARC, i.e. the Department of Ar chitecture of Naples, has developed to support the restoration and refunctionalisation project for Palazzo Penne, a historic 15th century building which takes place in the heart of the Ancient Centre of Naples. The project represented an important opportunity for shared reflection on the theme of the recovery and “regeneration” of and in the historic city, a process implemented through continuous steps, from the urban reading to the detail of some significant elements, aimed at the “recomposition” of the different instances, within a unified vision of the building, considered as part of the urban, cultural, social and economic structure of the district to which it belongs.

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Keywords: re-functionalization, urban reconnections, old-new

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Il progetto di recupero e rifunzionalizzazione di Palazzo Penne a Napoli

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Fig. 1 - Il prospetto quattrocentesco su Piazzetta Teodoro Monticelli, foto di Sara Smarrazzo, 2018. The fifteenth-century facade on Piazzetta Teodoro Monticelli, © Sara Smarrazzo, 2018.

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Fig. 2 - Riconnessioni urbane: Palazzo Penne come cerniera tra il Centro Antico e la “città bassa”. Urban reconnections: Palazzo Penne as a “link” between the Ancient Center and the “lower city”.

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tista Nauclerio viene incaricato di demolire le strutture poste nell’angolo nordorientale della proprietà per la costruzione della nuova chiesa dei SS. Demetrio e Bonifacio, realizzando, inoltre, in un angusto spazio trapezoidale, un corpo scala che collega il nuovo edificio a torre, la chiesa e l’antico Palazzo, fino al terzo livello aggiunto dai Somaschi per ospitare cucina e refettorio. L’immobile è di proprietà dei padri Somaschi fino al 1806, anno in cui è stato acquistato da Teodoro Monticelli che lo ha abitato fino al 1845, anno della sua morte. Successivamente occupato dagli sfollati, rispettivamente nel dopoguerra e nel post terremoto, il Palazzo versa da decenni in uno stato di degrado e abbandono – che qualcuno si diverte a imputare all’ancora vivida collera di Belzebù: nonostante sia da tempo inaccessibile e per lo più celato dalla sua struttura e posizione urbana, l’edificio intesse ancora profonde relazioni con la città e i suoi abitanti – che ne chiedono a gran voce l’apertura e l’accesso al giardino. Relazioni interrotte, o meglio sospese, che l’edificio lascia intuire mostrando solo due delle sue numerose facce: il bellissimo prospetto quattrocentesco su piazzetta Teodoro Monticelli (fig. 1), attualmente unico ingresso al Palazzo, e il lungo prospetto, fortemente compromesso, sui gradini del Pendino Santa Barbara con le antiche cantine, poi botteghe, oggi dismesse. Tuttavia, la piccola facciata su Teodoro Monticelli nasconde, come un piccolo scrigno, la bellezza e l’ampiezza degli ambienti raccontati da Pasolini nel “Decamerone”, mentre i locali chiusi sul Pendino determinano ancora la stessa condizione di abbandono della strada raccontata da Curzio Malaparte nella “Pelle” e fissata nei fotogrammi delle “Quattro giornate”. Incastrato tra le quote parallele, ma altimetricamente sfalsate, di via Banchi Nuovi e via Sedile di Porto e l’ortogonale Pennino Santa Barbara, il Palazzo costituisce un potenziale e privilegiato nodo di connessione tra la “città bassa” e il tessuto cardo-decumano della città antica (fig. 2).

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nia Region’s technical office for the drafting of the preliminary and then final design of Palazzo Penne, a rare example of civil architecture of the durazzesco period and a significant testimony, in the still existing parts, of the early Renaissance in Naples, perhaps we did not realise that this experience would lead us to question the meaning and significance of our specific contribution as ICAR 14 in a meeting that rightly involved colleagues dealing with surveys and restoration, as well as structural and plant engineering colleagues - expertise provided by Diarc, Urbaneco (interdepartmental research centre), the Stress Technology District and the Industrial Engineering Department of the University of Sannio. We believe that, deep down, in everyone’s mind there was the idea that our involvement could/ should be limited only to the construction of a new staircase and a new lift, necessary to “adapt” the building layout to its new use. The building was in fact identified by the Campania Region, the owner, as the headquarters of the “Casa dell’Architettura” (“House of Architecture”), one of the structures in the area intended to implement the knowledge and quality of architecture and design provided for by Regional Law no. 19 of 11 November 2019 on the “promotion of quality in Architecture”. The more we worked on the project, taking an active part in the survey and research phases, the more we realised that what we were actually building was the “analogous image” of Palazzo

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Ed eccola, l’immagine analoga! Palazzo Penne è un “Palazzo Spuntatore”, un elemento che connette fisicamente due parti di città diverse e allo stesso tempo diventa luogo di incontro e spazio pubblico. Per chi non fosse napoletano è necessario chiarire che i “palazzi spuntatori”, tipologia ricorrente nella città partenopea fortemente segnata da un’articolata geografia, sono edifici nati per connettere quote differenti che spesso finiscono per mettere in relazione “quartieri” diversi. Uno dei più famosi palazzi spuntatori è quello delle scale a San Potito costruito nel 1867, dentro la cortina edilizia di via Pessina, per connettere la quota del Museo archeologico con la parte alta del quartiere Avvocata. Un bellissimo libro della metà del Novecento (Incoronato, 1950) racconta di come questo luogo fosse diventato, negli anni successivi al conflitto mondiale, una sorta di rifugio per gli sfollati e di come si fosse trasformato in un microcosmo e in una metafora della Napoli del dopoguerra, dove l’importanza e il potere dei suoi occupanti era misurato dal livello del pianerottolo occupato. Il Palazzo spuntatore, dunque, non è solo una tipologia edilizia, ma un’immagine “analoga” della città, capace di raccontarne aspetti materiali, il rapporto di reciprocità tra architettura e geografia, ma anche immateriali, una struttura di relazioni spaziali e sociali che si intrecciano in una sequenza verticale complessa. Non a caso la “scala napoletana” è, da sempre, icona della città porosa: non un semplice elemento dell’architettura ma un intero mondo. Questo carattere urbano, connesso alla complessità spaziale di un edificio costruito per parti e aggiunte diverse, rimanda all’immagine “esheriana” di uno spazio topologico che cambia e si contraddice continuamente. Nelle pagine del Centro Antico (Pane, 1971) si rintraccia la memoria e la vocazione del Palazzo ad essere un luogo ampiamente vissuto dal quartiere: negli scatti degli anni ’70 il portale è aperto e ospita il mercato rionale, mentre nella piccola piazzetta antistante, la Banca dell’Acqua, oggi imprigionata in una struttura di protezione, è ancora funzionante. Sono circa vent’anni che Palazzo Penne è chiuso e inaccessibile: fino agli anni ’90 era una sorta di condominio popolare, dimora di numerose famiglie. Di quest’epoca, che ha lasciato numerose impronte sul corpo martoriato dell’edificio, rimane quale testimone solo l’ultima inquilina. Fu lei che, insieme a Alda Croce e Marta Herling, nel 2009, denunciò e fermò alcuni lavori in una proprietà aliena che stavano occupando abusivamente parte del giardino. Numerosi sono stati gli appelli di intellettuali – oltre le due scrittrici citate anche Mario De Cunzo e lo stesso Giorgio Napolitano – e di comuni cittadini, sostenuti dalla Municipalità, che hanno cercato di tenere sempre accesa l’attenzione sul destino del Palazzo: per quanto inesorabilmente serrato Palazzo Penne è ancora parte integrante della vita del quartiere che ne aspetta il recupero e la riapertura. Dunque, attraverso il ridisegno, l’analisi e lo studio avevamo costruito la nostra “immagine analoga” di Palazzo Penne e, grazie a questa, una già articolata domanda di progetto, riassumibile con il topos del rapporto antico-nuovo, aveva trovato un’ulteriore specificazione nella dimensione territoriale, urbana e sociale: il progetto di recupero e rifunzionalizzazione dell’edificio si era tradotto nella possibilità non solo di rendere Palazzo Penne un nuovo accesso al Centro Antico ma anche di ripensarlo come un “luogo comune” (Amirante, 2018), un hub fisico, sociale e culturale della vita del quartiere e nuova possibile icona della città. “The imagination is the principal faculty that makes it possible to extract from reality patterns or images that can be manipulated and transformed. The imagination is thus the principal lever of a dialectical relationship with reality, and the role of architecture has always been “conceptualizing an unrelated, diverse reality through the use of images, metaphors, analogies, models, signs, symbols and allegories” (Ungers, 1976).

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Penne, no longer “unique and rare example of 15th century architecture”, but Palazzo del Diavolo, Home of Somaschi Fathers, Home of Teodoro Monticelli and meeting place of the Neapolitan intelligentsia, then collective residence for the evacuees of the earthquake and, finally, secret garden, inexorably closed to the public and to the neighbourhood… so a “palimpsest” (to use a term dear to colleagues of restoration) not only of physical signs, but above all of stories: a complex narrative that awaited a sequel. Palazzo Penne stands on the lower limit of the Ancient Centre of Naples, a UNESCO World Heritage Site. The long building, accessible from Piazzetta Teodoro Monticelli, develops to the west along the entire length of the Pendino Santa Barbara and welds to the east with the Church of the Saints Demetrio e Bonifacio, originally part of the complex and currently owned by the University of Naples Federico II. Probably the building was built by Antonio Baboccio da Piperno, Celano datas the starting point of the construction in 1380. According to the inscription on the main portal indicates, the building was finished in 1406. Initially, the building was characterized by the entrance pavilion which presumably introduced to the first courtyard on which an open staircase arrives at the loggia. Probably The building had an “L” shape with the long side running along the Gradoni di Santa Barbara. According to historical sources, the Penne family was the owner of the Palazzo until the mid-sixteenth century, when they sold it, in 1562, to an other family, the Rocco del Seggio di Montagna, and then, to the Capano family. In 1685 the Palazzo was purchased by the Somascan Fathers, and they started many transformations profoundly altererin the original structure, including the construction of the novitiate building. In 1709 Giovan Battista Nauclerio was commissioned to demolish the structures located in the north-eastern corner of the property, so to build the new church of SS. Demetrio and Bonifacio; he also created, in a narrow trapezoidal space, a monumental staircase connecting the new tower building, the church and the ancient palace, up to the third level added by the Somascans to host the kitchen and refecrefectory. The property was owned by the Somascan fathers until 1806, the year in which it was pur pur-chased by Teodoro Monticelli who lived there un until 1845, the year of his death. After being occupied by displaced people, respectively in the post-war and after the earthquake, the Palace has been in a state of decay and abandonment – which some people enjoy attributing to the still vivid anger of Beelzebub. Despite the fact that it has long been inexorably inaccessible and mostly hidden by its urban structure and position, the Palace still weaves deep relations with the city and its inhabitants – who clamour for its opening and access to the garden. Relationships interrupted, or rather suspended, which the building reveals by showing only two of its many faces: the beautiful 15th century façade on Piazzetta Teodoro Monticelli (fig. 1), currently the only entrance to the Palace, and the long, heavily compromised façade on the steps of the Pendino Santa Barbara with its ancient cellars, then shops, abandoned. However, the small facade on Teodoro Monticelli hides, like a small casket, the beauty and breadth of the rooms narrated by Pasolini in the “Decameron”, while the closed rooms on the Pendino Santa Barbara determine a condition of abandonment of the street narrated by Curzio Malaparte in “The Skin” and fixed in the frames of the “Four Days”. Set between the parallel, yet altimetrical-

Il progetto Durante il lavoro di consulenza, dunque, il progetto di restauro di Palazzo Penne si è tradotto in un progetto urbano, costruito intorno al tema della “accessibilità” e della possibilità di trasformare l’edificio in un luogo simbolo | Paola Scala_ Maria Pia Amore | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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ly offset, via Banchi Nuovi and via Sedile di Porto and the orthogonal Pennino Santa Barbara, the Palace is a potential and privileged junction between the “lower town” and the cardo-decuman fabric of the ancient city (fig. 2). And here it is: the analogue image! Palazzo Penne is a so-called “Palazzo Spuntatore” (“Connection Palace”), an element that physically connects two different parts of the city and at the same time becomes a meeting place and public space. For those who are not Neapolitan, it is necessary to clarify that the so-called “Palazzi Spuntatori”, a frequent type of building in the Neapolitan city strongly marked by an articulated geography, are buildings born to connect different parts of the city that often end up connecting different urban “areas”. One of the most famous “Palazzi Spuntatori” is that of the stairs in San Potito built in 1867, inside the continuous facade of via Pessina, which connects a part of the Archaeological Museum with the upper part of the Avvocata quarter. In a beautiful book of 1950, Luigi Incoronato (1950) tells how this place had become, in the years following the war, a sort of refuge for displaced people, transformed into a microcosm and a metaphor of post-war Naples, where the importance and power of its occu occupants was measured by the level of the occupied landing. Therefore, the “Palazzo Spuntatore” is not only a building typology, but an “analogous” image of the city, capable of recounting its mate material aspects, the reciprocal relationship between architecture and geography, but also immaterial, a structure of spatial and social relations that intertwine in a complex vertical sequence. It is no coincidence that the “Neapolitan staircase” has always been an icon of the porous city, not a simple element of architecture but an entire world. This urban character, connected with the spatial complexity of a building built in different parts and additions, refers to the Hesherian image of a topological space that is constantly changing and contradicting itself. In the pages of “Il Centro antico di Napoli” (Pane, 1971) you can find the memory and the vocation of the Palace to be a place widely lived by the neighbourhood: in the shots of the 70s the portal is open and hosts the local market, while in the small square in front of it, the “Banca dell’Acqua” (“Water Bank”), today imprisoned in a protective structure, is still working. For about twenty years Palazzo Penne has been closed to the inhabitants of the neighbourhood. Until the 90s it was a sort of popular condominium, where many families lived. Of this period, which has left several imprints on the battered body of the building, only the last tenant remains as a witness. It was she who, together with Alda Croce and Marta Herling, in 2009 denounced and stopped some work on a third-party property that was illegally occupying part of the garden. There have been numerous appeals by intellectuals, in addition to the two mentioned writers, also Mario De Cunzo and Giorgio Napolitano himself, and by ordinary citizens supported by the Municipality, who have tried to keep the attention on the Palace live. Although inexorably closed, the Palace is still an integral part of the life of the neighbourhood that awaits its recovery and reopening. So we had found our “critical vision”, our “analogous image” through which an already articulated demand for the project, which can be summed up with the topic of the old-new relationship, had found a further specification in the territorial, urban and social dimension. The project of recovery and refunctionalisation of the building had translated into the possibility

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della città e del quartiere. I tre corpi che compongono la struttura (fig. 3) – il padiglione settecentesco, il corpo lungo quattrocentesco e in fine la “torretta” dei pardi Somaschi – costituiscono tre volumi indipendenti tenuti insieme dalla scala di Nauclerio, un dispositivo spaziale di straordinaria bellezza, costruito nel ’600 per collegare ciò che restava del Palazzo Quattrocentesco, che ospitava la casa e il Collegio dei Somaschi, con la nuova Chiesa di San Demetrio e Bonifacio anch’essa progettata dal Nauclerio. Un nuovo corpo scala che “sfrutta sapientemente lo spazio a cuneo di risulta tra il diverso allineamento della chiesa con quello del palazzo, (e rappresenta) una soluzione di grande impegno progettuale, perché risolve non solo i collegamenti verticali, a piani sfalsati, tra i diversi corpi edilizi della casa religiosa e del Collegio dei Somaschi, ma inventa un accesso nuovo per la fabbrica religiosa” (Colletta, 2004). La complessa struttura formale e tipologica dell’edificio, palesata e in parte chiarita dal rilievo metrico, trova ragioni nella lunga e complessa storia della fabbrica di cui si è detto. Dal punto di vista distributivo il progetto di recupero costruisce ed esalta le connessioni tra i tre diversi corpi, integrando il sistema dei dispositivi spaziali in modo da poter coniugare la funzione di attraversamento pubblico dell’edificio con altre più direttamente connesse alla nuova destinazione d’uso di casa dell’Architettura e del Design (fig. 4). Un nuovo corpo scala è posizionato nella seconda campata dell’edificio lungo a partire dalla parte inferiore del Pendino, quella più prossima a via Sedile di Porto, a definire il nuovo accesso dalla “città bassa” (fig. 5). Il nuovo sistema di collegamento verticale, concepito con una struttura in acciaio indipendente dalla muratura, rende omaggio alla scala del Nauclerio reinterpretandone la geometria e la giacitura: la pianta pressoché quadrata dell’invaso svuotato dell’unica campata che permette di collegare tutti i livelli del corpo lungo, viene come deformata dall’inserimento, necessario, dell’ascensore, riproponendo uno spazio virtualmente trapezoidale. Il perimetro della nuova scala, quello di un trapezio rettangolo, vincolata da un pesante sistema strutturale celato con un preciso gioco di controparti e controsoffitti atti anche all’alloggiamento degli impianti, si affianca su tre lati alla preesistenza, lasciando il quarto libero: una soluzione, calibrata al centimetro che risolve nodi tecnici e tecnologici senza compromettere “l’immagine” di una scala che si snoda in un gioco di pieni e vuoti, per passare continuamente da una matericità pesante a una estremamente leggera. La struttura di collegamento verticale, prossima come si è detto a via Sedile di Porto, consente di risalire alla quota del giardino dalla quale è possibile – attraversando il piano terra del Palazzo, dedicato ad esposizioni permanenti e passando per un piccolo atrio, riconfigurato con elementi calibrati per migliorarne l’accessibilità – uscire alla quota superiore di Via Teodoro Monticelli (fig. 6). Il giardino di Palazzo Penne è, come accennato, uno dei luoghi più diffusi nell’immaginario di un quartiere che, in realtà, non lo conosce. Riguardo al giardino non esiste una documentazione appropriata circa la configurazione originale: si racconta (Borrelli, 2000) di un bellissimo agrumeto e di meravigliosi giochi d’acqua che avrebbero dovuto adornare uno spazio presumibilmente molto più grande di quello attuale. Nella carta del duca di Noja il disegno delle aiuole appare simile a quello oggi esistente; nei muretti di contenimento, pietre di tufo si mischiano a frammenti di antichi capitelli che forse rappresentavano la decorazione degli ultimi due archi della sequenza del piano basamentale crollati in seguito ad un terremoto. Oggi, quest’area rimane uno dei pochi luoghi “verdi” del Centro Storico potenzialmente accessibili: il progetto ne prevede la riapertura al quartiere attraverso percorsi dedicati, indipendenti da altre funzioni. La quota del giardino è leggermente rialzata rispetto a quella del corridoio coperto e l’ingresso allo spazio esterno è consentito da alcuni gradini che segnano il bordo del grande arco centrale della sequenza dei cinque, oggi murati, dell’antico camminamento. Per superare questa barriera senza interrompere il ritmo degli archi e per consentire anche un accesso pubblico che non interferisca con le altre funzioni dell’edificio, il progetto prevede la realizzazione di una passerella di acciaio che dal primo arco, attraverso una lieve pendenza, consente di arrivare al giardino supe-

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not only of making Palazzo Penne a new access to the Ancient Centre but also of rethinking it as a “commonplace” (Amirante, 2018) , a physical, social and cultural hub of life in the neighbourhood and a possible new icon of the city. “The imagination is the principal faculty that makes it possible to extract from reality patterns or images that can be manipulated and transformed. The imagination is thus the principal lever of a dialietical relationship with reality, and the role of architecture has always been “conceptualizing an unrelated, diverse reality through the use of images, metaphors, analogies, models, signs, symbols and allegories” (Ungers, 1976).

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Fig. 3 - I tre corpi di Palazzo Penne: il padiglione settecentesco, il corpo lungo quattrocentesco e la “torretta” dei pardi Somaschi. The three bodies of Palazzo Penne: the eighteenth-century pavilion, the fifteenth-century long body and the “tower” of the Somaschi pardi.

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Fig. 4 - Sezione longitudinale: il nuovo corpo scale come sistema di riconnessione architettonico e urbano e la sala conferenze. Longitudinal section: the new staircase, as an architectural and urban reconnection system, and the conference room.

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rando il vuoto della vanella. Nel giardino è localizzata una piccola area ristoro realizzata negli ambienti della parte basamentale del Torrino; al posto di un corpo abusivo demolito si prevede la realizzazione di un’area di sosta nella quale evocare l’eco degli antichi giochi d’acqua. L’ipotesi di rifunzionalizzazione dell’edificio nasce da uno studio attento delle potenzialità degli ambienti teso a individuare una soluzione distributiva finalizzata ad esaltarne le diverse spazialità. Il complesso è stato ri-organizzato tenendo conto della struttura scomponibile in tre corpi che consente una relativa indipendenza dei flussi di accesso, resa ovviamente più efficace dai nuovi interventi e, in particolare, dalla nuova scala che si pone esattamente al lato opposto di quella esistente. La parte basamentale dell’edificio, che corre lungo i Gradoni di Santa Barbara, viene letta come una struttura “svincolata” caratterizzata da tre ampi spazi direttamente accessibili dall’esterno da destinare ad attività temporanee, gestite da associazioni connesse all’architettura che ne faranno richiesta: così il progetto di recupero investe non solo il Palazzo ma l’intera strada (fig. 7, fig. 8). I tre piani dell’edificio fuori terra accessibili da Piazzetta Teodoro Monticelli rappresentano la vera e propria “Casa dell’Architettura e del Design”. Superata la quattrocentesca facciata di ingresso ci si trova nello spazio al di sotto della volta catalana oltre il quel si accede al primo cortile: qui una nuova rampa in acciaio consente l’accesso ai locali del bookshop connessi a quelli destinati all’allestimento di piccole mostre permanenti, soggette ad un accesso controllato, così come la restante sequenza degli ambienti quattrocenteschi – dove gli interventi mirano sostanzialmente a esaltare le spazialità originali. Elemento di connessione di tutti gli spazi al piano terra è il cortile coperto, semanticamente il cuore dell’edificio quattrocentesco. Il corridoio è scandito da una

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The Project During the consultancy work, therefore, the Palazzo Penne restoration project has resulted in an urban project, built around the theme of “accessibility” and the possibility of transforming the building into a symbol of the city and the neighbourhood. The three parts that make up the structure (fig. 3) – the 18th century pavilion, the 15th century long body and finally the “turret” of the Somaschi Fathers – constitute three independent volumes held together by the Nauclerio staircase, a spatial element of extraordinary beauty, built in the 17th century to connect what remained of the 15th century Palace, which hosted the house and College of Somaschi, with the new Church of San Demetrio and Bonifacio, also designed by the Nauclerio. A staircase body that skilfully exploits the resulting wedge-shaped space between the different alignment of the church and the building must be considered a solution of great design commitment, because it not only solves the vertical connections, with staggered planes, between the different building bodies, but also invents a new access to the church (Colletta, 2004). The complex formal and typological structure of the building, revealed and partly clarified by the metric relief, finds its roots in the long and complex history of the building. From the layout point of view, the renovation project builds and enhances the connections between the three different parts, integrating the system of spatial elements so as to combine the building’s public crossing function with others more directly connected to its new use as a house for Architecture (fig. 4). A new staircase is positioned in the second span of the long body starting from the lower part of the Pendino, the one closest to via Sedile di Porto, to define the new access from the “lower town” (fig 5). The new vertical connection system, conceived with a steel structure independent of the masonry, pays tribute to the Nauclerio staircase, reinterpreting its geometry and position: the almost square plan of the empty space of the single span connecting all the levels of the long body is deformed by the necessary insertion of the lift, proposing a virtually trapezoidal space. The perimeter of the new staircase, that of a rectangular trapezoid, fixed by a heavy structural system concealed by a precise interplay of counterparts and false ceilings also suitable for housing the systems, is flanked on three sides by the pre-existing structure, leaving the fourth one free: a solution, designed up to the finest detail, that solves technical and technological issues without compromising the “image” of a staircase that unwinds in a play of solids and voids to continuously pass from a heavy materiality to an extremely light one. The connecting structure makes it possible to go up to the level of the garden from which it is possible – by crossing the ground floor of the Palace,

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Fig. 5 - Planimetria quota -8.00 e -6.50: il nuovo ingresso sul Pendino Santa Barbara e la riapertura delle antiche botteghe. Plan at altitude -8.00 and -6.50: the new entrance on the Pendino Santa Barbara and the reopening of the old shops.

Fig. 7 - La nuova sala conferenze tra le antiche mura di Palazzo Penne. The new conference hall within the ancient walls of Palazzo Penne.

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Fig. 6 - Planimetria quota -0.50, in sequenza: l’ingresso da Piazzetta Teodoro Monticelli, la nuova pedana nel primo cortile, il nodo d’ingresso riconfigurato, la passerella sulla vanella, il giardino e il corridoio quattrocentesco. Plan at -0.50 elevation, in sequence: the entrance from Piazzetta Teodoro Monticelli, the new platform in the first courtyard, the reconfigured entrance node, the walkway over the vanella, the garden and the fifteenth-century corridor.

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sequenza di cinque archi, come si è detto, oggi murati: il progetto prevede la riapertura di quattro dei cinque archi. L’ipotesi avanzata per il recupero della facciata principale sul giardino ha come presupposto la conservazione del palinsesto. L’ultimo livello dell’edificio è quello che dal punto di vista distributivo presenta le maggiori modificazioni. Trasformazioni recenti hanno già portato alla sostituzione del solaio di copertura e all’abbattimento di parte delle murature interne. In questi ambienti il progetto inserisce una sala conferenze di novantotto posti e una saletta di supporto di circa trenta. La disposizione e l’architettura di questi nuovi ambienti gioca, consapevolmente, sia dal punto di vista materico che da quello distributivo, sul contrasto antico-nuovo. Dall’ultimo pianerottolo intermedio della scala di Nauclerio viene recuperata una rampa ortogonale, rinvenuta durante la fase di rilievo, che consente di rendere indipendenti gli accessi alle due sale. Una scatola incastrata all’interno della spazialità dell’ambiente originario ospita la sala maggiore con undici file di sedute separate in due blocchi da un corridoio centrale: le pareti vetrate, all’occorrenza oscurate da una tenda avvolgibile nascosta nel controsoffitto interno alla sala, consentono di traguardare la scatola per percepire l’unitarietà dello spazio modificato; un unico rivestimento in legno massello per il pavimento e il controsoffitto acuisce la percezione di essere dentro uno spazio “ricavato”. A sottolineare la sensazione di un corpo aggiunto e vincolato alla preesistenza contribuisce una sequenza di piani più o meno inclinati che media il difficile gioco di quote che caratterizza il progetto del terzo livello, fino alla configurazione, interna alla sala, di una vera e propria gradonata che assicura una migliore visibilità alle file posteriori (fig. 9).

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dedicated to permanent exhibitions, and passing through a small lobby, redesigned with specific elements to improve accessibility – to exit at the upper level of Via Teodoro Monticelli. The garden of Palazzo Penne is, as we have said, one of the most widespread places in the imagination of a neighbourhood that, in reality, does not know it. As far as the garden is concerned, there is no appropriate documentation about its original configuration. Gennaro Borrelli’s book (2000) talks about a beautiful citrus grove and wonderful water features that should have adorned the original garden, presumably much larger than the present one. In the Duke of Noja’s map, the design of the flowerbeds appears similar to the today’s one; in the containment walls, tuff stones are mixed with fragments of ancient capitals that perhaps represented the decoration of the last two arches in the sequence of the basement floor collapsed after an earthquake. Today, this area remains one of the few potentially accessible “green” places in the Historic Centre and therefore the project envisages its reopening to the neighbourhood through dedicated paths independent from other functions. The garden is at a slightly higher level than the covered corridor and access to the green area is permitted by a few entrance steps that mark the edge of the large central arch of the sequence of five arches of the covered courtyard. To overcome this barrier without interrupting the sequence and also to allow public access that does not interfere with

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Antico-nuovo: un nuovo equilibrio

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Nel nostro lavoro di consulenza al progetto di Palazzo Penne, che consisteva principalmente nel mediare le esigenze legate alla nuova destinazione funzionale, in materia di accessibilità e sicurezza, con i caratteri e le spazialità dell’antica fabbrica e anche nel trovare risposte congruenti con la normativa urbanistica e con le prescrizioni della Soprintendenza, abbiamo provato a ridefinire i confini della nostra azione in un campo, quello del recupero e della rifunzionalizzazione degli edifici storici, che attualmente e sempre più spesso, sembra escludere a priori il progetto architettonico. Per quanto misurati e ben calibrati i nostri interventi non sono stati “silenziosi”, al contrario: lo studio quasi maniacale di alcuni dettagli, la volontà di limitare quanto più possibile l’uso del vetro, preferendo invece l’espressa “denuncia” della presenza di alcuni elementi, come il nuovo corpo scala e l’ascensore esterno che collega i piani sfalsati della torretta, sono espressioni della volontà di costruire per il Palazzo una nuova immagine sintetica e unitaria. Sia chiaro, non si è cercato di sovrapporre in maniera autoreferenziale la propria firma sull’edificio esistente cancellandone carattere e identità, ma di provare ad usare questa occasione per attivare e condividere con altri (nella fattispecie i colleghi delle altre discipline coinvolti nella consulenza) una riflessione sul ruolo e sul significato che può assumere oggi il progetto di architettura in un intervento di recupero di un edificio storico, nell’ambito di un’azione che è esito di un profondo processo di conoscenza ma anche di una capacità visionaria, di un’attitudine a “inventare immagini” che è propria della nostra disciplina. Non vi è dubbio che il rapporto antico-nuovo sia stato, da sempre, uno dei temi più interessanti e prolifici con il quale l’architettura, e in particolare l’architettura del Bel Paese, abbia dovuto confrontarsi. Franco Purini, in uno scritto in cui difende il progetto del Fondaco dei Tedeschi a Venezia, firmato OMA, sottolinea come, fin dalla nascita delle scuole di Architettura, la ricerca architettonica italiana abbia lavorato nella consapevolezza che “il carattere delle città italiane è nel loro essere ambienti stratificati e plurali, ambienti armoniosi governati da opportune dissimmetrie, da accorti disassamenti, da architetture molto diverse tra di loro ma capaci di convivere creando uno spazio complesso e dinamico” (Purini, 2012). Nello stesso scritto l’architetto romano, richiamando una tradizione che oggi può apparirci scontata ma che forse, opportunamente ricordata e riletta, può segnalarci nuove strade da percorrere, fa riferimento ad Ernesto Nathan Rogers e a un’idea di continuità critica tra antico e nuovo che non si traduce in mimesi nel linguaggio ma nella capacità di leggere e interpretare il luogo traducendone caratteri e contraddizioni in una nuova forma. Non è questa la sede per sottolineare quanto la figura di Rogers abbia rappresentato il punto di riferimento teorico di gran parte della cultura architettonica del Dopoguerra, contribuendo alla formazione di gran parte dei suoi protagonisti tra cui Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Giorgio Grassi e Giancarlo De Carlo. Quello che invece occorre sottolineare è che proprio nel dopoguerra, l’Italia diventa portavoce di un progetto capace di costruire un’identità dell’architettura, basata su un rapporto critico tra antico e nuovo in cui, parafrasando ancora Purini, “senza dubbio vince (o dovrebbe vincere) il nuovo”. Lontano dall’essere una rivendicazione disciplinare (ICAR14 contro ICAR19), la citazione serve a sottolineare il fatto che condizione necessaria e sufficiente alla sopravvivenza della città storica sia la possibilità di far convergere in questo contesto anche i flussi materiali e immateriale della contemporaneità al fine di evitarne la musealizzazione. In questo, forse, il riferimento alla strada aperta dal progetto del Fondaco firmato OMA, al di là dell’esito formale (peraltro ai nostri occhi perfettamente riuscito) può rappresentare una possibile strada per riprendere, ripensare e reinventare un pensiero progettante per un “passato esistente” (Laparelli Pastellini, 2012). Il progetto di OMA lavora alla costruzione di una nuova “immagine” che sia rappresentazione attuale della città di Venezia. Riguardo al tema dell’immaginazione o del mondo come rappresentazione Ungers scrive: “in ogni uomo

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the other functions of the building, the project envisages the construction of a steel walkway that leads to the green area from the first arch through a slight slope. In the garden there is a small refreshment area created in the basement of the Torrino, while instead of a demolished squatter’s building, a rest area is planned to evoke the echoes of ancient water features. The hypothesis of building refunctionalisation is the result of a careful study of the potential of the rooms in order to identify a possible layout aimed at enhancing the different spaces. The complex has been re-organised taking into account the structure which can be divided into three bodies to allow for relative independence of access flows, obviously made more effective by the new interventions and, in particular, by the new staircase on the opposite side of the existing one. The basement of the building, which runs along the Gradoni di Santa Barbara, is considered as a “detached” structure characterised by three large spaces directly accessible from the outside to be used for temporary activities managed by architecture-related associations that will request them. In this way the recovery project involves not only the Palazzo Penne but the entire street (fig. 7, fig. 8). The three floors of the building above ground accessible from Piazzetta Teodoro Monticelli represent the real House of Architecture and Design. After the 15th century entrance facade we find ourselves in the space below the Catalan vault beyond which we enter the first courtyard: here a new steel ramp allows access to the bookshop premises connected with those used for small permanent exhibitions, subject to controlled access, as well as the remaining sequence of 15th century rooms – where the interventions are essentially aimed at enhancing the original spaces. The connecting element of all the spaces on the ground floor is the covered courtyard, semantically the heart of the 15th century building. The corridor is marked by a sequence of five arches now walled in: the project envisages the reopening of four of them. The hypothesis put forward for the recovery of the main façade over the garden is based on the palimpsest preservation. The last level of the building is the one with the greatest changes in terms of layout. Recent transformations have already led to the replacement of the roof slab and the demolition of part of the internal walls. In these rooms the project includes a ninety-eight-seat conference room and a smaller room with about thirty seats. The layout and architecture of these new rooms consciously plays on the contrast between old and new, both in terms of materials and distribution. From the last intermediate landing of the Nauclerio staircase, an orthogonal ramp, found during the survey phase, is recovered to make the accesses to the two rooms independent. A box embedded within the spatiality of the original room houses the main hall with eleven rows of seats separated in two blocks by a central corridor: the glass walls, if necessary obscured by a roller blind hidden in the false ceiling inside the hall, allow looking at the box to perceive the unity of the modified space; a single solid wood covering for the floor and the false ceiling heightens the perception of being inside a “carved out” space. To underline the sensation of an added body bound to the pre-existing one there is a sequence of more or less inclined planes that mediates the difficult play of heights that characterises the project of the third level, up to the configuration, inside the hall, of a real staircase that ensures better visibility from the

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rear rows (fig. 9).

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Conclusioni Il lavoro di supporto al progetto di Palazzo Penne è stato un lavoro complesso che ha coinvolto, come si è detto, numerose discipline. Nel confronto con i nostri colleghi di restauro, con i quali abbiamo ovviamente condiviso questa esperienza di lavoro e ricerca, a un certo punto, è apparso evidente l’esistenza di due punti di vista diversi e necessariamente complementari, per un cor-

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Old-New: a new balance In our consulting work on the Palazzo Penne project, which consisted mainly in mediating the needs linked to the new functional destination, in terms of accessibility, comfort and safety with the existing one, but also in finding answers consistent with the urban planning regulations and the prescriptions of the supervision authority, we tried to redefine the boundaries of our action in a field, that of the recovery and refunctionalisation of historic buildings – which currently more and more often seems to exclude architectural design beforehand. Although measured and well-studied, our interventions have not been “silent”, on the contrary: the almost maniacal study of certain details, the desire to limit the use of glass as much as possible, preferring instead the expressed “declaration” of the presence of certain elements, such as the new staircase body and the external lift connecting the staggered floors of the turret, are expressions of the desire to build a new synthetic and unified image for the building. Let it be clear, there was no attempt to superimpose one’s signature on the existing building in a self-referential manner, by erasing its character and identity, but rather to try to use this opportunity to activate and share with others (in this case colleagues from other disciplines involved in the consultancy) a reflection on the role and meaning that the architectural project can take on today in an intervention to renovate a historic building – in the context of an action that is the result of a deep process of knowledge but also of a visionary ability, of an attitude to invent images that is proper to our discipline. There is no doubt that the old-new relationship has always been one of the most interesting and prolific themes with which architecture, and in particular the architecture of the Bel Paese, has had to deal with. Franco Purini, in a paper written to defend the project for the Fondaco dei Tedeschi in Venice, signed by OMA, underlines how, since the birth of the schools of Architecture, Italian architectural research worked in the awareness that “the character of Italian cities is in their to be stratified and plural environments, harmonious environments governed by appropriate dissymmetries, by careful misalignments, by very different architectures but capable of coexisting creating a complex and dynamic space” (Purini, 2012). In the same article the Roman architect, recalling a tradition that today may seem obvious to us but which perhaps, appropriately remembered and re-read, can help us to find new research paths, refers to Ernesto Nathan Rogers and to the idea of critical continuity between old and new that it does not translate into mimesis in language but in the ability to read and interpret the place by translating its characters and contradictions into a new form. This is not the place to underline how much the figure of Rogers represented the theoretical reference point for much of the architectural culture of the post-war period, contributing to the formation of most of its protagonists including Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Giorgio Grassi and Giancarlo De Carlo. What needs to be emphasised is that in the post-war period Italy became the representative for a project capable of building an identity for Italian architecture, based on a critical relationship between old and new in which, paraphrasing Purini again, “in the relationship between old and new, the new undoubtedly wins (or should win)”. Far from being a disciplinary claim (ICAR14 versus ICAR 18), the quotation serves to underline

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vi è il forte bisogno di crearsi una realtà che corrisponda alla sua capacità di rappresentazione, nella quale gli oggetti mantengano un significato, non per il fatto che essi sono sperimentabili e misurabili, bensì grazie all’immagine che essi comunicano… Il progettare per immagini rappresentative rende possibile il passaggio dal pensiero pragmatico al pensiero creativo, dallo spazio metrico dei numeri allo spazio visionario dei sistemi coerenti. Si tratta di un procedimento del pensiero che si basa più su valori qualitativi e non quantitativi, che si concentra più sulla sintesi che sull’analisi” (Ungers, 1982). Il tema dell’immaginazione è uno dei “ponti” che connette il lavoro e la ricerca del maestro tedesco a quello che, negli stessi anni, viene portato avanti da Aldo Rossi attraverso il meccanismo dell’analogia, il processo che traduce nell’invenzione di un “immagine”, esito dell’accostamento e dell’assemblaggio di elementi significativi, l’idea di progetto fissandone il carattere. L’immagine analoga è dunque allo stesso tempo “strumento conoscitivo e procedimento progettuale” (Bonfanti, 1979). Ma oltre al dialogo con Rossi, Ungers è stato, negli anni ’70, maestro di Rem Koolhaas con il quale ha sviluppato alcuni progetti e alcune esperienze di ricerca in cui la questione del ruolo dell’immagine all’interno del processo di progettazione è stata determinante. In progetti come quello per il concorso per la Roosevelt Island Competition o in attività di ricerca come quelle rappresentate in The City in the City: Berlin: A Green Archipelago è evidente che entrambi condividono l’idea dell’immagine come qualcosa che precede la soluzione progettuale e rappresenta ciò che sta dietro al progetto. La differenza di approccio fra i due è segnata dal contenuto che ciascuno legge nell’immagine. Laddove Ungers cerca (e in questo è certamente più vicino ad Aldo Rossi) di fissare attraverso l’immagine il “tema” o la “figura” di progetto, Koolhaas individua negli elementi dell’architettura le figure per creare “falsi eventi” che, innestandosi sulla realtà, determinano uno slittamento del suo significato originale. Partendo da presupposti e ipotesi in comune gli esiti del processo progettuale risultano differenti. Mentre in Rossi e Ungers il progetto, attraverso la costruzione di una nuova immagine sintetica punta a definire un’ipotesi che costruisce una realtà alternativa e probabilmente migliore di quella esistente, in Koolhaas l’immagine costruita per “innesti”, ha come obiettivo quello di svelare tutte le contraddizioni del contesto nel quale si inserisce. Nel caso del progetto del Fondaco, l’inserimento delle scale mobili, della copertura di “miesiana memoria” e della terrazza all’ultimo livello come materiali “dichiaratamente estranei” al corpo originale della struttura, nella quale per altro vengono evidenziate tutte le “cicatrici” dovute alle passate trasformazioni, non ha l’obiettivo di restituire alla città l’antica fabbrica, “preservandone” i valori di eccezionalità ma quello di svelare, senza ipocrisia, la vera natura di Venezia e quella delle sue contraddizioni. Forse è questa una delle ragione per cui uno dei pochi progetti di “restauro” realizzati in Italia da un “architetto”, il Fondaco dei Tedeschi di OMA, ha scatenato così tante polemiche nell’ambito del dibattito architettonico: l’intervento ha dimostrato, con evidente drammaticità e altrettanta violenza, la necessità del progetto di architettura di tornare a riflettere sul proprio ruolo dentro il “recinto” della città storica, un ruolo che non può prescindere dai valori del palinsesto ma neanche dalle dinamiche culturali, sociali ed economiche in atto. Obiettivo del progetto è quello di “not moralizing or interpreting (art-ficing) the reality, but intensifing it. Starting point: an uncompromising acceptance of reality…working methods isolating, annexing. Facts are more interesting than commentariees and guesses” (Lootsaama, 1999).

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Fig. 7 - Il prospetto sul Pendino Santa Barbara: stato di fatto e progetto. The facade on the Pendino Santa Barbara: current status and project.

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retto approccio al tema. Per noi il Palazzo del Diavolo, come lo indica la tradizione popolare, è apparso da subito “più rilevante per il ruolo che ha avuto nel tempo […] che per la sua autenticità architettonica” (Laparelli Pastellini, 2012). E questa consapevolezza ci ha consentito di lavorare per provare a reinventare il significato dell’edificio rispetto al quartiere attraverso una serie di “innesti” che, nel loro essere dichiaratamente contemporanei, creassero due percorsi indipendenti, uno pubblico e uno privato, e consentissero all’intervento di non essere limitato al solo edificio ma di investire anche lo spazio dello slargo davanti alla facciata principale e, soprattutto, quello dei gradoni di Santa Barbara. Non sta a noi dire se l’ipotesi di progetto sviluppata possa segnare anche solo un piccolo avanzamento nella riflessione sul tema. A noi, forse, spetta solo sottolineare l’aspetto metodologico dell’approccio e la grande ricchezza che quest’esperienza ci ha restituito in termini di ricerca, consentendoci di sperimentare attraverso il “lavoro sul campo”, la costruzione di ipotesi e connessioni tra teorie apparentemente distanti e di approfondire e reinventare (almeno per noi) il significato di alcuni “termini del progetto urbano”. Prima di tutto quello di “visione critica”, che non significa solo capacità di leggere e salvaguardare i valori architettonici, storici, artistici e ambientali di un “bene culturale” ma anche e soprattutto il coraggio di sintetizzarli in una nuova immagine capace di reggere il peso e il “senso” di una nuova vita. Un’“immagine analoga”, ci piacerebbe dire, dove l’analogia è un “collage”, un montaggio che non punta a fissare e preservare solo i caratteri fisici dell’edificio, ma diventa espressione di una “memoria collettiva” capace di tenere insieme passato, presente ma soprattutto futuro. La memoria – “facoltà della mente umana di conservare, ridestare in sé e riconoscere nozioni ed esperienze del passato”

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the fact that a necessary and sufficient condition for the survival of the historic city is the possibility of allowing the material and immaterial flows of the contemporary world to flow into this context in order to avoid musealization. In this, perhaps, the reference to the Fondaco project signed by OMA, beyond the formal outcome (which is perfectly successful in our eyes) can represent a possible way to resume, rethink and reinvent a design thought for a “past existing” (Ippolito Pastellini Laparelli, 2012). OMA’s project works on the construction of a new “image” that is a current representation of the city of Venice. About the theme of imagination or the world as representation Ungers writes: “in every man there is a strong need to create a reality that corresponds to his capacity for representation, in which objects maintain a meaning, not because they are experimentable and miserable, but thanks to the image that they communicate … Designing through representative images makes it possible to move from pragmatic to creative thinking, from the metric space of numbers to the visionary space of coherent systems. It is a thought process based more on qualitative rather than quantitative values, which focuses more on synthesis than on analysis” (Ungers, 1982). Words that make us think of Aldo Rossi’s “analogous architectures”, and “images” that, through the juxtaposition and assembly of significant elements of an architecture, fix its “character” (Rossi, 1967) and thus pose themselves at the same time as a cognitive tool and design process (Bonfanti, 1979). In addition to his dialogue with Rossi, Ungers was, in the 1970s, Rem Koolhaas’teacher with whom he developed a number of projects and research experiences in which the question of the role of the image within the design process was crucial. In projects such as the Roosevelt Island Competition or in research activities such as those represented in The City in the City: Berlin: A Green Archipelago it is clear that they both share the idea of image as something that precedes the design solution and represents what lies behind the project. The difference in approach between the two is marked by the content that each reads in the image. Where Ungers tries (and in this he is certainly closer to Aldo Rossi) to fix the “theme” or “figure” of the project through the image, KoolKoolhaas identifies in the elements of architecture the figures to create “false events” which, by grafting themselves onto reality, cause a shift in their origi original meaning. Starting from common assumptions and hypotheses, the outcomes of the design process are different. While in Rossi and Ungers the project, through the construction of a new synthetic image, aims to define a hypothesis that constructs an alternative (and probably better) reality, in Koolhaas the image built by “grafts”, aims to reveal all the contradictions of the context in which it is inserted. In the case of the Fondaco project, the insertion of the escalators, the roof of “Miesian memory” and the terrace on the top level as materials “admittedly foreign” to the original body of the structure, in which all the “scars” are highlighted Due to past transformations, it does not aim to restore the old factory to the city, “preserving” its exceptional values, but rather to reveal, without hypocrisy, the true nature of Venice and that of its contradictions. Perhaps this is one of the reasons why one of the few “restoration” projects carried out in Italy by an “architect”, OMA’s Fondaco dei Tedeschi, has sparked so much controversy in the architectural debate; because it has demonstrated, with obvious drama and as much violence, the need for

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(De Mauro, 1999) – è ascritta, come ci è stato insegnato, tra gli strumenti del progetto architettonico ed è ciò che, in qualche modo, tende a stabilire un dialogo tra le pratiche di trasformazione del patrimonio e il ruolo che il progetto assume in tale ambito. A un’architettura densa di significato, d’intrecci, di spazialità, di temporalità è chiesto di durare nel tempo, paradossalmente preservandosi (necessariamente) e trasformandosi (inevitabilmente).

the architectural project to return to reflect on its role within the “enclosure” of the historic city, a role that cannot ignore the palimpsest values but also the cultural, social and economic dynamics in progress. The objective of the project is “not moralizing or interpreting (art-ficing) the reality, but intensifying it. Starting point: an uncompromising acceptance of reality... working methods isolating, annexing. Facts are more interesting than commentaries and guesses” (Lootsaama, 1999).

Nota Il lavoro è l’esito di 3 diverse convenzioni. Le prime stipulate nel 2015 con il DiARC e con UrbanEco vedevano come responsabile scientifico rispettivamente la Prof. Renata Picone, ordinario di Restauro e il prof. Massimiliano Campi, ordinario di Rilievo. L’ultima stipulata nel 2019 individua come responsabile scientifico la Prof. Paola Scala.

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Conclusions Our work of supporting the Palazzo Penne project was a complex and it involved, as said, many disciplines. In comparison with our restoration colleagues, at a certain point, it was evident the existence of two different and, necessarily complementary, points of view for a correct approach to the topic. According to us the Palazzo del Diavolo, as popular tradition indicates Palazzo Penne, immediately appeared “more relevant for the role it has played over time […] than for Pastel its architectural authenticity” (Laparelli Pastellini, 2012). And this awareness has allowed us to work to try to re-invent the meaning of the build building with respect to the neighborhood through a series of “grafts” (fig. 10) which, in their being independ admittedly contemporary, create two independent paths, one public and one a private one, and allowed the intervention not to be limited only to the building but also to invest the space of the widening in front of the main facade (fig. 11) and, above all, that of the steps of Santa Barbara. We can not say if thee project hypothesis developed can mark even a small advance in reflection on the topic “old-new”. Perhaps our task is to underline the methodological aspect of the approach and the great richness that this experience has returned to us in terms of research, allowing us to experiment through “field work”, the construction of hypotheses and connections between theories apparently distant and to deepen and reinvent (at least for us) the meaning of some “terms of the urban project”. Firdt of all the concept of a “critical vision” that not only means the ability to read and safeguard the architectural, historical, artistic and environmental values of a “cultural asset” but also and above all the courage to synthesise them into a new image capable of bearing the weight and “meaning” of a new life. An “analogous image”, we would like to say, where the analogy does not aim at fixing and preserving only the physical characters of the building, but becomes the expression of a “collective memory” capable of holding together past, present and above all future. Memory – “the human mind’s faculty to preserve, awaken in itself and recognise notions and experiences of the past” (De Mauro, 1999) – is ascribed, as we have been taught, among the tools of architectural design and is what, in some way, tends to establish a dialogue between the practices of heritage transformation and the role that the project takes on in this field. An architecture dense with meaning, interweaving, spatiality and temporality is asked to last over time, paradoxically preserving itself (necessarily) and transforming itself (inevitably). Note The work is the result of 3 different agreements. The first two agreements, stipulated in 2015 with DiARC and with UrbanEco, have as scientific directors respectively Prof. Renata Picone (full professor of Restoration) and Prof. Massimiliano Campi (full professor of Relief). The last one stipulated in 2019 with Prof. Paola Scala as scientific director.

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urbanform and design Il progetto come “modificazione

U+D The project as “modification of the existing”

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_____ Introduction “Modification, belonging, context, identity, specificity, are a group of words that seem to presuppose a pre-existing reality to be conserved by transforming it, handing down its memory with the traces in turn based on the previous traces, a reality that appears in physical form of a ge-

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Ermelinda Di Chiara

DiAP, Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università degli Studi di Roma E-mail: ermelinda.dichiara@uniroma1.it

Introduzione Modificazione, appartenenza, contesto, identità, specificità, sono un gruppo di vocaboli che sembrano presupporre una preesistente realtà da conservare trasformandola, tramandandone la memoria con le tracce a loro volta fondate sulla base delle tracce precedenti, una realtà cioè che appare nella forma fisica di una geografia il cui culto conoscitivo e la cui interpretazione forniscono il materiale portante del progetto. (Gregotti, 1991)

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Nel suo volume Dentro l’architettura, l’architettura, Vittorio Gregotti approfondisce le riflesrifles sioni iniziate con il doppio numero della rivista Casabella, intitolato Architettura come modificazione,, relativamente al ruolo dell’architettura e del progettista nella trasformazione della città e del territorio. Gregotti pone l’attenzione sulla “modificazione dell’esistente” (Gregotti, 1984) rimarcando l’importanza di que questa operazione/azione in un contesto costruito dove l’istaurarsi di nuove regole può compromettere o preservare gli equilibri sedimentati della preesistenza. Condividendo queste premesse, questo saggio intende indagare il tema della modificazione di parti della città storica e il ruolo che la questione svolge nell’attuale dibattito progettuale. La riflessione viene condotta a partire dalla lettura dei caratteri morfologici e tipologici, nonché spaziali, della città storica italiana per dimostrare come, a partire dalla conoscenza degli aspetti portanti del contesto di riferimento, si possa intervenire “per costruire una realtà nuova, che sappia interpretare i valori e le aspirazioni del nostro tempo” (Monestiroli, 2017). La riflessione individua un punto di vista teorico e analitico in grado di riconoscere i caratteri tipo-morfologici e spaziali della città storica di Venezia e un punto di vista operativo attraverso la proposta di un’ipotesi progettuale avente come oggetto l’ampliamento del noto “palazzo non finito” Ca’ Venier dei Leoni a Venezia, attuale sede della Peggy Guggenheim Collection. La ricerca indaga una possibile modalità di intervento in relazione al tema del rapporto tra tessuti consolidati e costruzione del nuovo e, nello specifico, tenta di declinare il tema con l’obiettivo, attraverso la “modificazione” indotta, di “fare città”, “una città nella quale il nuovo possa convivere senza fratture con la memoria del passato [...]” (Linazasoro, 2015).

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Abstract Starting from a study elaborated within the Departments of Architecture of the University of Naples and Spatial Design of the University of Aachen, this essay proposes a reflection on one possible way of intervening in the historical city and on an artefact to which the historical documentary value of monumentum or primary element is recognised (Rossi, 1966). Specifically, the historical city object of interest is the city of Venice, whose structure has been investigated using consolidated urban analysis tools – Straßenbau and Schwarzplan – and the most recent spatial analysis tool – Rotblauplan – in order to understand its urban form, and therefore its space, and then reflect on its possible transformation by virtue of design action (Arís, 2016). The monumentum is the famous “unfinished palace” Venier dei Leoni, located in the Dorsoduro district, on the banks of the Grand Canal, whose incompleteness represents an interesting opportunity to investigate the theme of “building in the built” (De Fusco, 1988). A theme which, in this case, takes on complex connotations since it is not only a question of intervention concerning an artefact of great value, but also in a historical city as difficult to interpret as Venice. The reading and the resulting design outcome (The spatiality of the Italian cities. The Peggy Guggenheim museum in Venice) represents an attempt to intervene in the existing heritage with the awareness of the need for a transformation made possible by an analytical reading of both the historical fabric and the artefact aimed at protecting their formal and figural identity. Construction and fabric are taken as the very material of action, giving them new perspectives in line with contemporary needs but, at the same time, critically reconsidering the lesson of history and the syntactical orders that the typological legacy contains.

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.015

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Keywords: architecture, city, modification, Venice

dell’esistente”

Intervenire nella città storica La città è un sistema di relazioni tra forme: un insieme di rapporti, tra la tipologia edilizia e la morfologia urbana, tra il posizionamento dei monumenti e i tessuti, tra la generalità del piano e le qualità, spaziali e formali, dei singoli luoghi che la costituiscono. Questo sistema di relazioni è evidente nella “città storica”, la quale si struttura per lo più attraverso la formazione di tessuti densi e compatti e riconosce nell’isolato urbano il suo elemento fondativo. In questa ricchezza di valori riconosciuti alla città storica risiede la motivazione per la quale si è indotti ad assumere un atteggiamento di cautela dinnanzi alla possibilità di intervenire nei contesti storici. D’altronde, l’azione progettuale | Ermelinda Di Chiara | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 1 - Aerofotogrammetria della città storica di Venezia. Aerophotogrammetry of the historical city of Venice.

ography whose cognitive cult and interpretation provide the supporting material for the project” (Gregotti, 1991). In his volume Dentro l’architettura, Vittorio Gregotti examines in depth the reflections that began with the double issue of Casabella magazine, entitled Architettura come modificazione, on the role of architecture and the architect in the transformation of the city and its territory. Gregotti focuses on the “modification of the existing” (Gregotti, 1984) underlining the importance of this work/action in a built context where the establishment of new rules can compromise or preserve the settled balances of pre-existence. Sharing these premises, this essay aims to investigate the theme of modification of parts of the historical city and the role that this issue plays in the current design debate. This reflection is conducted starting from a reading of the morphological and typological, as well as spatial, characters of the Italian historical city in order to demonstrate how, starting from the knowledge of the main aspects of the reference context, it’s possible to intervene “to build a new reality, which knows how to interpret the values and aspirations of our time” (Monestiroli, 2017). The reflection selects a theoretical and analytical point of view capable of recognizing the typemorphological and spatial characteristics of the historical city of Venice and an operational point of view through the illustration of a design hypothesis having as its object the extension of the famous “unfinished palace” Ca’ Venier dei Leoni in Venice, the current location of the Peggy Guggenheim Collection. The research investigates a possible mode of intervention in relation to the theme of the relationship between consolidated fabrics and the construction of the new and, specifically, attempts to decline the theme with the objective, through induced “modification”, of “making a city”, “a city in which the new can coexist without fractures with the memory of the past [...]” (Linazasoro, 2015).

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Fig. 2 - Veduta di Venezia di Jacopo de’ Barbari (1500). Fonte: http://cartography. veniceprojectcenter.org/. Veduta di Venezia by Jacopo de’ Barbari (1500). Source: http://cartography.veniceprojectcenter.org/

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comporta delle scelte, ma “saper fare delle scelte non è una caratteristica diffusa tra i contemporanei” (Linazasoro, 2016). Come è noto, la vexata quaestio di “intervenire nella città storica” è da sempre al centro di molti studi urbani e ha visto sovente contrapporsi, sia sul piano teorico sia su quello metodologico, le specificità disciplinari del restauro e della progettazione architettonica ed urbana laddove si tratta di intervenire su un manufatto preesistente. Contrapposizione nata tra “chi guarda all’opera come “documento”, il cui valore può ridursi a quello testimoniale, e chi invece, fondandosi su un giudizio di natura formale, ambisce a costruire – o ricostruire – un “monumento” che, come la radice latina del termine ci dice, ha il compito di ricordare, il passato, e ammonire, per il futuro” (Capozzi e Visconti, 2019). La tradizione disciplinare del restauro guarda all’opera come “documento”, come “testimonianza”. Nel timore di danni irreparabili a un “patrimonio irriproducibile”, si interviene quasi sempre mediante una operazione di “restauro conservativo”, confutando una possibile coesistenza fra antico e nuovo. L’assunto del “restauro conservativo” appare tuttavia, nelle sue forme estreme, difficilmente proponibile da un punto di vista pratico ma, soprattutto, storicamente contradditorio, poiché le città storiche italiane, sono tali proprio per essere materia in divenire, esito di un secolare processo di stratificazioni. Un secondo tipo d’intervento si basa sulla specificità della soluzione “caso per caso” (Annoni, 1946). Questo orientamento rinuncia a trovare una generalità e ritiene che le soluzioni progettuali debbano essere ogni volta diverse con il rischio, più volte palesatosi, di arrivare alla costruzione di “oggetti” che – per dirla con Vittorio Gregotti (2008) – “hanno ridotto l’architettura a «design» ingrandito” piuttosto che architetture riassuntive di una storia millenaria che si intende proseguire (De Fusco, 1992; Visconti, 2020).

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Intervening in the historical city The city is a system of relationships between forms: a set of relationships, between building typology and urban morphology, between the positioning of the monuments and fabrics, between the generality of the plan and the spatial and formal qualities of the individual places that make it up. This system of relations is evident in the “historical city”, which is mostly structured through the formation of dense and compact fabrics and recognizes in the urban block the element at the base of its formation. Contained within this richness of values recognized as the historical city lies the reason for which one is induced to take a cautious attitude towards the possibility of intervening in historical contexts. After all, design action involves choices, but “knowing how to make choices isn’t a widespread characteristic among contemporaries” (Linazasoro, 2016). As is well known, the vexata quaestio of “intervening in the historical city” has always been at the centre of many urban studies and has often seen the disciplinary specificities of restoration and architectural and urban design in the case of intervening on a pre-existing building, both on a theoretical and methodological level. This contrast has been created between “those who look at the work as a “document”, whose value can be reduced to a testimonial value, and those who, on the other hand, on the basis of a formal judgment, aspire to build – or reconstruct

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Fig. 3 - Pianta topografica della città di Venezia di Ludovico Ughi (1729). Fonte: http:// cartography.veniceprojectcenter.org/ Pianta topografica della città di Venezia by Ludovico Ughi (1729). Source: http://cartography. veniceprojectcenter.org/

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Fig. 4 - Planimetria della città di Venezia di Bernardo e Gaetano Combatti (1846). Fonte: http:// cartography.veniceprojectcenter.org/ Planimetria della città di Venezia by Bernardo and Gaetano Combatti (1846). Source: http:// cartography.veniceprojectcenter.org/

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Venice. Reading of a city The foundation of the city of Venice dates back to the year “421 on the 25th of March in the middle of Holy Monday, [the day on which] this Illustrious and Eccelsa Città Christiana, and magnificent was given as its beginning by finding the hora il Cielo in singular disposition”, as reported in the Chronicon Altinate (XI century), one of the oldest and most ancient sources ever received. Over the centuries, the historical city has profoundly transformed its original structure – of which only a few traces have survived –, but it still preserves the extraordinary authenticity of its structural and formal configuration, representing the most shining example of an “ancient urban area closed in an enclosure coinciding with the entire city” (Samonà, 1978) (fig.1). This peculiarity, after all, is particularly evident if one observes the “geography of places” (Moccia, 2017) of Venice, from which emerges a character of absolute exceptionality compared to other historical Italian cities. Carlos Martí Arís (2016) states that “the study of historical experience shows us how cities have never been built by turning their backs on nature, but in open dialogue with it [...]. If there is something perma-

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Posizione diversa è assunta dalla tradizione disciplinare della composizione architettonica e urbana, la quale deve interpretare i caratteri della preesistenza, ma intraprendere, anche, quell’ operazione di “modificazione” che consente di aggiungere nuovi valori al costruito. Il problema della città storica e la possibilità di intervenire sulla sua forma, da questo punto di vista, non rientra né nella cultura del restauro né in quella dell’urbanistica. Fa parte, piuttosto, di quella cultura che si pone l’obiettivo di trasformare i “fatti urbani” (Rossi, 1966) a partire dalla conoscenza analitica della forma della città e del territorio. La cultura del progetto, quindi, non assume come fine ultimo il “congelamento musealizzante” dei “fatti urbani” o delle “aree residenza” e il conseguente abbandono fisico al degrado, ma ritiene necessario comprendere i caratteri tipo-morfologici e spaziali della città storica per intervenire con un’azione progettuale che rappresenti, con pari dignità, i valori del tempo presente.

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– a “monument” that, as the Latin root of the term tells us, has the task of remembering the past, and admonishing for the future” (Capozzi and Visconti, 2019). The disciplinary tradition of restoration looks at the work as a “document”, as a “testimony”. Due to the fear of irreparable damage to an “irreproducible heritage”, intervention is almost always carried out through a “conservative restoration” operation, disputing a possible coexistence between old and new. The assumption of “conservative restoration” appears, however, in its extreme forms, difficult to propose from a practical point of view but, above all, historically contradictory, since the historical Italian cities are such precisely because they are a matter in progress, the result of centuries-old processes of stratification (De Fusco, 1992). A second type of intervention is based on the specificity of the “case by case” solution (Annoni, 1946). This orientation renounces finding a generality and believes that design solutions must be different each time with the risk, repeatedly revealed, of arriving at the construction of “objects” that – as Vittorio Gregotti (2008) states – “have reduced architecture to an enlarged «design»” rather than architectures summarising a millenary history that is intended to continue (De Fusco, 1992; Visconti, 2020). A different position is taken by the disciplinary tradition of architectural and urban composition, which must interpret the characteristics of pre-existence, but also undertake that operation of “modification” that allows new values to be added to the built environment. The problem of the historical city and the possibility of intervening in its shape, from this point of view, is not part of the culture of restoration or urban planning. Rather, it is part of the culture that aims to transform “urban facts” (Rossi, 1966) starting from the analytical knowledge of the form of the city and the territory. The culture of the project, therefore, doesn’t assume as its ultimate goal the “musealizing freezing” of “urban facts” or “residence areas” and the consequent physical abandonment to degradation, but considers it necessary to understand the type-morphological and spatial characteristics of the historical city in order to intervene with a design action that represents, with equal dignity, the values of the present time.

Venezia. Lettura di una città La fondazione della città di Venezia risale all’anno “421 il giorno 25 del mese di Marzo nel mezzo giorno del Lunedì Santo, [giorno in cui] a questa Illustrissima et Eccelsa Città Christiana, e maravigliosa fù dato principio ritrovandosi all’hora il Cielo in singolare dispositione”, così come riporta il Chronicon Altinate (XI secolo), una delle fonti più antiche e mai pervenute. Nel corso dei secoli la città storica trasforma profondamente la sua struttura originaria – di cui solo poche tracce ci sono pervenute –, ma conserva sempre la straordinaria autenticità della sua configurazione strutturale e formale, rap| Ermelinda Di Chiara | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Palazzo Venier dei Leoni. L’isolato di San Vio e la sua evoluzione

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nent in the city that transcends any vicissitude or transformation, it is the presence of places that, while fully urban, show a strong link with geography [...]”. From this point of view, the example of the lagoon city is absolutely fitting as it is not possible to understand the Serenissima without framing it in the singular landscape dominated by the lagoon on which it stands. The city of Venice therefore rises in an absolutely singular place as it is characterised by a substantially flat artificial plan, separated and divided by the “more particularly urban space” (Mancuso, 2009), that is to say the Grand Canal, and the canals. These “lagoon routes” are an integral part of the formal structure of the city, which is characterised by a dense and compact fabric, where the only points of discontinuity are the spaces occupied by the “campi” and Piazza S. Marco – the only Venetian square, excluding Piazzale Roma which serves as a car terminal. This particular formal structure, therefore, highlights a close relationship between urban morphology and building typology, for which the Straßenbau – from the German “street construction” – and the Schwarzplan – from the German “black plane” – constitute the negative of each other. The route or the system of the lagoon city, “the public part par excellence of every city” (Monestiroli, 1979), allows to establish the shape and size of the blocks. Specifically, the routes make it possible to establish a general rule of subdivision of the soil into elementary parts that correspond to “different ways of possible aggregations of dwelling types” (Monestiroli, 1979). This relationship between route and systems of aggregation of building types is therefore the structural relationship through which the overall form of the “parts” of the city is established. The type of urban block widely present in the historical Venetian city is the courtyard block, in which buildings and lots are aggregated in rows so as to form a single courtyard inside the block itself. As Aldo Rossi states in L’architettura della città, the city is made up of “residential areas”, but also of “primary elements”, which are clearly visible in the reading of the fabric of courtyard blocks in the lagoon city, since “they participate in the evolution of the city over time in a permanent way, often identifying themselves with the facts making up the city” (Rossi, 1966). The presence of these “primary elements” shows how the Venetian urban fabric is marked by the appearance of numerous religious complexes and monumental Palazzi that “overlook” the Grand Canal. The historical city of Venice is therefore characterised by a very strong relationship between the “forms of the soil and the forms of the plane” (Visconti, 2016), to the point that geography determined the character of the place even before the architecture settled. It is characterised by a dense, homogeneous fabric, by repeated plots and systems, but also by dilated and broad complexes through which Architecture represents its collective values finding in the courtyard type the recurrent expression of a culture of living.

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presentando l’esempio più chiaro di “area urbana antica chiusa in un recinto coincidente con l’intera città” (Samonà, 1978) (fig. 1). Questa peculiarità, d’altronde, risulta particolarmente evidente se si osserva la “geografia dei luoghi” (Moccia, 2017) di Venezia, dalla quale emerge quel carattere di assoluta eccezionalità rispetto anche alle altre città storiche italiane. Carlos Martí Arís (2016) afferma che “lo studio dell’esperienza storica ci dimostra come le città non si siano mai costruite girando le spalle alla natura, ma in aperto dialogo con essa [...]. Se esiste qualcosa di permanente nella città, che trascende qualsiasi vicissitudine o trasformazione, è la presenza di luoghi che, pur essendo pienamente urbani, manifestano un forte legame con la geografia [...]”. Da questo punto di vista, l’esempio della città lagunare è assolutamente calzante in quanto non è possibile comprendere la Serenissima senza inquadrarla nel singolare paesaggio dominato dalla laguna in cui si colloca. La città di Venezia sorge quindi in un luogo del tutto singolare, caratterizzata da un piano di imposta artificiale sostanzialmente pianeggiante, separato e suddiviso dallo “spazio più segnatamente urbano” (Mancuso, 2009), vale a dire Canal Grande e dai rii. Questi “tracciati lagunari” sono parte integrante della struttura formale della città, la quale è caratterizzata da un tessuto denso e compatto, in cui gli unici punti di discontinuità sono gli spazi occupati dai “campi” e da Piazza S. Marco – l’unica piazza veneziana, escludendo Piazzale Roma che funge da terminal automobilistico. Questa particolare struttura formale, dunque, evidenzia uno stretto rapporto tra morfologia urbana e tipologia edilizia per cui lo Straßenbau – dal tedesco “costruzione delle strade” – e lo Schwarzplan – dal tedesco “piano del nero” – costituiscono l’uno il negativo dell’altro. Il tracciato o l’impianto della città lagunare, “la parte pubblica per eccellenza di ogni città” (Monestiroli, 1979), consente di stabilire la forma e la dimensione degli isolati. Nello specifico, i tracciati consentono di fissare una regola generale di suddivisione del suolo in parti elementari che corrispondono a “diversi modi di possibili aggregazioni dei tipi della abitazione” (Monestiroli, 1979). Questo rapporto tra tracciato e sistemi di aggregazione dei tipi edilizi è dunque la relazione strutturale attraverso la quale si stabilisce la forma complessiva delle “parti” della città. L’isolato urbano largamente presente nella città storica veneziana è l’isolato a corte, in cui gli edifici e i lotti sono aggregati a schiera in modo da formare una unica corte interna all’isolato stesso. Come Aldo Rossi afferma ne L’architettura della città città, la città è fatta di “aree residenza”, ma anche di “elementi primari”, i quali sono chiaramente visibili nella lettura del tessuto di isolati a corte della città lagunare, poiché “partecipano all’evoluzione della città nel tempo in modo permanente identificandosi spesso con i fatti costituenti la città” (Rossi, 1966). La presenza di questi “elementi primari” dimostra come il tessuto urbano veneziano sia segnato dall’apparire di numerosi complessi religiosi e Palazzi monumentali che si “affacciano” sul Canal Grande. La città storica di Venezia è quindi caratterizzata da un rapporto intenso tra le “forme del suolo e le forme del piano” (Visconti, 2016), al punto che la geografia ha determinato il carattere del luogo ancora prima che l’architettura si insediasse. È caratterizzata da un tessuto fitto ed omogeneo, da trame e da impianti che si ripetono, ma anche da dilatati ed ampi complessi urbani mediante i quali l’Architettura rappresenta i suoi valori collettivi ritrovando nel tipo a corte l’espressione ricorrente di una cultura dell’abitare.

Palazzo Venier dei Leoni è situato nel sestiere di Dorsoduro, nella zona meridionale della città di Venezia che inizia da Punta della Dogana, attraversa il Ponte dell’Accademia e termina in prossimità del Rio de Ca’ Foscari. Il Palazzo è stato edificato sull’isolato di San Vio, delimitato a Nord da Canal Grande, a Sud da Rio de le Toresie, ad Ovest da Palazzo da Mura Morosini e ad Est da Palazzo Dario. Uno studio dell’evoluzione della cartografia storica di Venezia relativa all’isolato di San Vio ha dimostrato come lo stesso isolato abbia subìto

Palazzo Venier dei Leoni. The block of San Vio and its evolution Palazzo Venier dei Leoni is located in the Dorsoduro district, in the southern part of the city of Venice which begins at Punta della Dogana, crosses the Accademia Bridge and ends near the Rio de Ca’ Foscari. The Palazzo was built on the block of San Vio, bordered to the North by the Grand Canal, to the South by Rio de le Toresie, to the West by Palazzo da Mura Morosini, and to the East by Palazzo Dario. A study of the evolu-

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Palazzo Venier dei Leoni. The type and its evolution The construction of Palazzo Venier dei Leoni was the subject of a rather singular event. In 1733, the Venier family, one of the oldest and most powerful in Venice, commissioned the architect Lorenzo Boschetti to build a majestic

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considerevoli trasformazioni nel corso dei secoli prima di giungere alla sua configurazione attuale. Il primo documento a cui riferirsi è la celeberrima Veduta di Venezia di Jacopo de’ Barbari (fig. 2), datata 1500, che dimostra come l’isolato fosse in origine un isolato a blocco di case gotiche tipiche veneziane, caratterizzato da un tessuto eccessivamente denso e compatto che raramente lasciava spazio al “vuoto”, “elemento di riscontro della forma compiuta della città” (Marras, 2006). Nella Veduta del de’ Barbari, è chiaramente visibile, sul lato opposto del Canal Grande, Palazzo Malombra, particolarmente significativo poiché sulle sue ceneri sarà edificato il monumentale palazzo rinascimentale Ca’ Corner progettato da Jacopo Sansovino. La forma compiuta di Ca’ Corner, nonché il carattere di forte “densificazione” che ha caratterizzato l’isolato di San Vio sin dalle origini – individuabile non solo nella Veduta di de’ Barbari, ma anche nelle vedute prospettiche del secolo successivo –, è chiaramente riconoscibile nella Pianta topografica della città di Venezia di Ludovico Ughi (fig. 3), edita per la prima volta dal Baroni nel 1729. La Pianta topografica della città di Venezia di Giovanni Battista Paganuzzi, datata 1821, dimostra come l’isolato assuma la configurazione di isolato aperto perdendo, in corrispondenza dell’area su cui il Palazzo verrà edificato, il carattere di “densificazione” che lo aveva contraddistinto nelle epoche precedenti. Nella Pianta topografica del Paganuzzi, inoltre, l’edificio ad angolo su Fondamenta Venier dai Leoni è in parte demolito fino a definire, come si vedrà nelle cartografie di epoca successiva, una piccola corte che consentirà l’accesso al giardino di Palazzo Venier dei Leoni. La successiva documentazione iconografica della città di Venezia – in particolare la planimetria del Perissini del 1841 e ancora più dettagliatamente quella dei fratelli Combatti del 1846 – documenta l’esistenza del giardino e la ricostruzione sull’area ormai sgombra, oltre alla demolizione totale dell’edificio posto in corrispondenza dell’incrocio tra Fondamenta Venier dai Leoni e Calle San Cristoforo. In particolare, la Planimetria della città di Venezia dei fratelli Combatti (fig. 4) dimostra chiaramente una ulteriore modificazione dell’isolato di San Vio: esso diventa a corte grazie all’edificazione di Palazzo Venier dei Leoni, che, in questa rappresentazione, presenta solo le fondamenta, il piano interrato e il primo ordine della facciata nord. Nei secoli successivi, e fino ad oggi, il Palazzo è completato con la costruzione del braccio ad est ridefinendo ancor di più quell’isolato a corte che iniziava a configurarsi nella planimetria dei fratelli Combatti. Questa tipologia di isolato a corte, tuttavia, ha subìto, con il passare del tempo e in ragione delle differenti destinazioni d’uso del Palazzo, un processo che potrebbe essere definito di “intasamento”, rendendo sempre meno riconoscibile l’impianto originario. In questa ottica, l’ipotesi progettuale intende ripristinare la struttura formale dell’isolato a corte, al fine di riconfigurare – per dirla con Schröder (2015) – uno “spazio dell’internità” che assuma caratteri di “esternità” nel suo essere pubblico e in rapporto con una condizione di natura.

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tion of the historical cartography of Venice relating to the block of San Vio has shown how the block itself underwent considerable transformations over the centuries before reaching its present configuration. The first document to refer to is the famous Veduta di Venezia by Jacopo de’ Barbari (fig. 2), dated 1500, which shows how the block was originally a block of typical Venetian Gothic houses, characterised by an excessively dense and compact fabric that rarely left space for the “empty”, “an element that reflects the completed form of the city” (Marras, 2006). In the Veduta del de’ Barbari, it is clearly visible, on the opposite side of the Grand Canal, Palazzo Malombra, particularly significant since the monumental Renaissance Palazzo Ca’ Corner designed by Jacopo Sansovino was built on its ashes. The completed form of Ca’ Corner, as well as the character of strong “densification” that has characterised the block of San Vio since its origins – identifiable not only in the Veduta di de’ Barbari, but also in the perspective views of the following century –, is clearly recognisable in Ludovico Ughi’s Pianta topografica della città di Venezia (fig. 3), published for the first time by the Baroni in 1729. The Pianta topografica della città di Venezia by Giovanni Battista Paganuzzi, dated 1821, shows how the block takes on the configuration of an open block losing, in correspondence with the area on which the Palazzo was to be built, the character of “densification” that had distinguished it in previous eras. In the Pianta topografica by Paganuzzi, moreover, the corner building on Fondamenta Venier dai Leoni is partly demolished to define, as will be seen in the maps of later times, a small courtyard that will allow access to the garden of Palazzo Venier dei Leoni. The subsequent iconographic documentation of the city of Venice – in particular the plan of the Perissini in 1841 and even more in detail that of the Combatti brothers in 1846 – documents the existence of the garden and the reconstruction of the now empty area, as well as the total demolition of the building at the intersection of Fondamenta Venier dai Leoni and Calle San CrisCristoforo. In particular, the Planimetria della città di Venezia of the Combatti brothers (fig. 4) clearly shows a further modification of the block of San Vio: it becomes the court thanks to the construc construction of Palazzo Venier dei Leoni which, in this rep representation, presents only the foundations, the basement, and the first order of the north façade. In the following centuries, and until today, the Palazzo was completed with the construction of the east wing, redefining even more that block at court that was beginning to take shape in the plan of the Combatti brothers. This type of block at court, however, has undergone, with the passage of time and due to the different uses of the Palazzo, a process that could be defined as “obstruction”, making the original plan less and less recognizable. From this perspective, the design hypothesis aims to restore the formal structure of the courtyard block in order to reconfigure – in the words of Schröder (2015) – a “space of the interiority” that takes on characteristics of “externality” in its public being and in relation to a condition of nature.

Palazzo Venier dei Leoni. Il tipo e la sua evoluzione La costruzione di Palazzo Venier dei Leoni fu oggetto di una vicenda alquanto singolare. Nel 1733 la famiglia Venier, una delle più antiche e potenti di Venezia, commissionò all’architetto Lorenzo Boschetti una maestosa residenza sulla riva di Canal Grande. Fu così che nel 1749 si ebbe una prima bozza del disegno firmato dal “Dottor Lorenzo Boschetti”, noto per le due incisioni – corrispondenti alla pianta e all’alzato del Palazzo – di Giorgio Fossati, conservate al Museo Correr di Venezia. Il progetto di Boschetti rimase però solo su carta, in quanto esso venne affidato all’architetto Domenico Rizzi che, nel 1753, ne presentò una nuova bozza. I due disegni, tuttavia, possono essere assolutamente confrontabili grazie non solo alle incisioni di Fossati per quanto riguarda il progetto di Boschetti, ma anche al modello del Palazzo su progetto di Domenico Rizzi, conservato presso il Museo Correr (fig. 5). | Ermelinda Di Chiara | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 5 - A sinistra. Ridisegno della prima bozza dell’architetto Lorenzo Boschetti per Palazzo Venier dei Leoni. Disegno dell’autrice. A destra. Domenico Rizzi, modello per Palazzo Venier dei Leoni (1753). Fonte: https://www.guggenheim-venice.it/it/il-museo/palazzo-venier-dei-leoni/. Left. Redrawing of the first draft by architect Lorenzo Boschetti for Palazzo Venier dei Leoni. Drawing by the author. Right. Domenico Rizzi, model for Palazzo Venier dei Leoni (1753). Source: https://www.guggenheim-venice.it/it/il-museo/palazzo-venier-dei-leoni/.

Fig. 6 - G. D’Ardia, A. Zattera, C. Borracci, T. D’Agostino. Proposta presentata alla Terza Mostra Internazionale di Architettura per Palazzo Venier dei Leoni. Fonte: Aa.Vv. Terza Mostra Internazionale di Architettura. Progetto Venezia II, Electa Editrice, Milano, pp. 486-487. G. D’Ardia, A. Zattera, C. Borracci, T. D’Agostino. Proposal presented at the Third International Architecture Exhibition for Palazzo Venier dei Leoni. Source: Aa.Vv. Terza Mostra Internazionale di Architettura. Progetto Venezia II, Electa Editrice, Milano, pp. 486-487

Fig. 7 - Studio delle variazioni interne e degli ampliamenti che Palazzo Venier dei Leoni ha subìto sino ad oggi. Disegno dell’autrice. Study of the internal variations and enlargements that Palazzo Venier dei Leoni has undergone to date. Drawing by the author. residence on the bank of the Grand Canal. Thus, in 1749 there was a first draft of the drawing signed by “Dottor Lorenzo Boschetti”, known for the two engravings – corresponding to the plan and elevation of the Palazzo – by Giorgio Fossati, preserved in the Correr Museum in Venice. Boschetti’s project, however, remained only on paper, as it was entrusted to the architect Domenico Rizzi who, in 1753, presented a new draft. The two drawings, however, can be absolutely comparable thanks not only to Fossati’s engravings as regards the Boschetti’s project, but also to the model of the Palazzo based on a project by Domenico Rizzi, kept at the Correr Museum (fig. 5). In comparing the Boschetti’s plan and the model without its roof referable to the Domenico Rizzi’s project, it is clear that, despite the substantial differences, both projects are ordered by a central axis around which the rooms and all the vertical connections were arranged symmetrically. In Lorenzo Boschetti’s plan, the large monumental staircase that allowed access from the Grand Canal, centered on the two pillars of the façade, anticipates a rectangular loggia, also preserved in Domenico Rizzi’s model. The long entrance hall that follows, from which the main staircase and a service staircase started, is, on the other hand, in the model that attempts to re-propose the project by Rizzi, of larger dimensions to correspond to those of the loggia itself. Furthermore, the same entrance hall appears to be divided into two rooms of different size: the first,

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Nel confrontare la pianta di Boschetti e il modello privo della sua copertura riferibile al progetto di Domenico Rizzi, si evince come, nonostante le sostanziali differenze, entrambi i progetti siano ordinati da un asse centrale attorno al quale si disponevano simmetricamente gli ambienti e tutti i collegamenti verticali. Nella pianta di Lorenzo Boschetti, la grande scala monumentale che consentiva l’accesso dal Canal Grande, centrata sui due pilastri di facciata, anticipa una loggia rettangolare, conservata anche nel modello di Domenico Rizzi. Il lungo androne che segue, da cui partivano lo scalone principale e una scala di servizio, è, invece, nel modello che tenta di riproporre il progetto del Rizzi, di dimensioni più ampie sino a corrispondere a quelle della loggia stessa. Lo stesso androne, inoltre, appare suddiviso in due ambienti differenti: il primo, di dimensioni maggiori, si affaccia sulle due corti e non presenta le scale di servizio; il secondo, invece, corrisponde esattamente all’ampiezza dello scalone, che, rispetto al disegno di Boschetti, è posto sul lato opposto e spostato verso il centro dell’edificio. Proseguendo lungo l’asse, l’ovale cortile a peristilio diventa nel modello di Rizzi un cortile quadrato da cui si accede mediante i due ingressi laterali, analoghi anche nel progetto precedente. Era previsto poi un ulteriore ingresso, quello su Fondamenta Venier dei Leon, dal quale si diramavano altre due scale monumentali che conducevano ai piani nobili superiori. Nel modello che ripropone il progetto di Rizzi, le scale diventano una grande chiocciola. Anche la facciata sul Canal Grande presenta notevoli differenze tra i due progetti pressoché coevi. Elena Bassi nel volume Architettura del Sei e Settecento a Venezia afferma: “La facciata sul Canal Grande, secondo l’incisione, sarebbe stata anch’essa tradizionale, ed avrebbe molto ricordato, specialmente nei piani superiori, noti motivi del Longhena, ma nel prospetto, assai dilatato in Ermelinda Di Chiara | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

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rapporto alle proporzioni consuete della città, avrebbero trovato posto anche rilievi con panoplie derivati dal quasi prospiciente palazzo Corner. Il plastico apporta poche varianti all’esterno; le finestre del pianterreno e dell’ammezzato hanno una linea più sinuosa, e, nel secondo piano, quelle laterali non sono centinate, come nella stampa, ma sormontate da timpani curvilinei e triangolari, forse nell’esempio del Tirali” (Bassi, 1962). Il prospetto sul Canal Grande assolve ad un ruolo rappresentativo e mantiene la forte simmetria rispetto ad un asse centrale, così come si verifica anche in pianta. La costruzione doveva essere di cinque piani, in stile neoclassico, con un mezzanino e piani nobili superiori, riccamente decorato in ragione della rappresentatività che doveva assumere per la famiglia che ne era proprietaria. Mentre il progetto di Lorenzo Boschetti rimase solo su carta, quello di Domenico Rizzi venne parzialmente realizzato: in particolare, venne costruito il piano interrato con due ambienti profondi. Dopo secoli di abbandono, come ci dimostra anche l’analisi cartografica prima citata, il Palazzo presentava solo la costruzione delle fondamenta, del piano interrato e del primo ordine della facciata Nord. In virtù di questa incompiutezza, la proprietà manifestò nel 1924 l’intenzione di continuarne l’edificazione. Nel 1936 gli ingegneri Schioppa e Sicher presentarono un progetto che si poneva due obiettivi: il primo consisteva nella conservazione del maggior numero possibile di alberi ad alto fusto e il secondo riguardava la progettazione, con funzione residenziale, degli ambienti alle spalle del primo ordine della facciata Nord già costruiti in precedenza. In questo caso, gli ingegneri furono fedeli ai disegni originari: il progetto, infatti, si presentava in assoluta continuità con questi ultimi. Dopo la famiglia Venier, numerosi furono i proprietari del “palazzo non finito”, molti dei quali vedevano proprio nello stato di rovina il fascino e la potenzialità dell’edificio. Nel 1948 Peggy Guggenheim assunse la proprietà dell’ormai noto Palazzo e lo trasformò in un luogo di esposizione al pubblico della sua collezione personale. Il problema dell’assetto tipologico e spaziale era, però, già allora fortemente evidente tanto è vero che Peggy Guggenheim incaricò i milanesi Belgioioso, Peressutti e Rogers di predisporre un progetto di ampliamento che rispettasse il volume del palazzo e che consentisse l’edificazione al di sopra della costruzione esistente. I BPR furono in qualche modo ispirati, per questo progetto, dall’opera di Le Courbusier: una galleria a due piani che si elevava sul tetto attraverso pilastri alti circa sei metri. La facciata doveva poi riproporre l’antico progetto di Domenico Rizzi, al fine di costituire un legame ideale tra il passato e il presente. Tale soluzione venne, però, bocciata dalla ricca collezionista d’arte americana, la quale decise di affidarsi all’ingegnere Vincenzo Passaro che costruì un ulteriore padiglione espositivo ad est in continuità con il corpo di fabbrica esistente. Con la morte di Peggy Guggenheim l’edificio assunse definitivamente funzione museografica e, al fine di esporre il maggior numero di opere della ricca collezionista americana, a partire dal 1979 il Palazzo subì non solo piccole variazioni interne, ma anche una serie di ampliamenti – tutt’ora in corso – per risolvere gli evidenti problemi di spazio in relazione alla destinazione d’uso e alla ricchezza della collezione (fig. 7). L’ampliamento di Palazzo Venier dei Leoni, “grande tema, ambizioso e ricco di implicazioni” (Toffolutti, 1985), è stato oggetto di un concorso molto importante. Nel 1985, Aldo Rossi, in occasione della Biennale di architettura di Venezia, propose dieci temi di architettura sui quali soffermarsi: Piazza Badoere, Piazza di Este, Villa Farsetti, Piazze di Palmanova, Castelli di Giulietta e Romeo, Rocca di Noale, Prato della Valle, Ponte dell’Accademia, Mercato di Rialto e Palazzo Venier dei Leoni. Le risposte al tema dell’ampliamento di Palazzo Venier dei Leoni sono assolutamente non univoche e, per questa ragione, possono essere classificate in base a differenti parametri. Nello specifico, le proposte progettuali più interessanti ai fini dell’esercizio progettuale riguardano la possibilità di ricostruire un corpo di fabbrica semplice o un corpo di fabbrica doppio per conferire al monumento quella compiutezza mai raggiunta. Il primo atteggiamento progettuale è particolarmente emblematico nella rappresentazione di Giangiacomo D’Ardia, Ariella Zattera, Costanza Borracci, Teresita D’Agostino – vincitori del Leone di Pietra –, i quali decidono di progettare un corpo di fabbrica

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larger, overlooks the two courtyards and hasn’t the service staircase; the second, on the other hand, corresponds exactly to the width of the staircase, which, compared to Boschetti’s drawing, is placed on the opposite side and moved towards the center of the building. Continuing along the axis, the oval peristyle courtyard becomes in Rizzi’s model a square courtyard to which access can be gained through the two side entrances, also similar in the previous project. There was also a further entrance, the one on Fondamenta Venier dei Leon, from which two other monumental staircases branched off, leading to the upper noble floors. In the model that re-proposes Rizzi’s project, the stairs become a large spiral. The façade on the Grand Canal also presents notable differences between the two almost contemporary projects. In the volume Architettura del Sei e Settecento a Venezia, Elena Bassi states: “The facade on the Grand Canal, according to the engraving, would also have been traditional, and would have recalled, especially on the upper floors, well-known motifs by Longhena, but in the façade, which is very dilated in relation to the usual proportions of the city, there would also have been reliefs with panoplies derived from the almost facing Palazzo Corner. The model makes few variations on the exterior; the windows on the ground floor and mezzanine have a more sinuous line, and, on the second floor, the lateral ones aren’t arched, as in the print, but surmounted by curvilinear and triangular gables, perhaps in the example of Tirali” (Bassi, 1962). The façade on the Grand Canal plays a representative role and maintains the strong symmetry with respect to a central axis, as it also occurs in the plan. The building was to have five floors, in neoclassical style, with a mezzanine and upper noble floors, richly decorated as representative of the family who lived there. While Lorenzo Boschetti’s project remained on paper, that of Domenico Rizzi was partially realized: in particular, the basement with two deep rooms was built. After centuries of neglect, as the above mentioned cartographic analysis also shows us, the Palazzo only presented the construction of the foundations, the basement, and the first order of the north façade. By virtue of this incompleteness, in 1924 the property expressed its intention to continue building it. In 1936, the engineers Schioppa and Sicher presented a project with two objectives: the first consisted in the conservation of the greatest possible number of tall trees and the second concerned the design, with a residential function, of the rooms behind the first order of the north façade, which had already been built previously. In this case, the engineers were faithful to the original drawings. After the Venier family, there were many owners of the “unfinished building”, many of whom saw the charm and potential of the building in a state of ruin. In 1948, Peggy Guggenheim, a wealthy American art collector, took over ownership of the now famous Palazzo and made it a place where her personal collection could be exhibited to the public. The problem of the typological and spatial structure was, however, already strongly evident, so much so that Peggy Guggenheim commissioned Belgioioso, Peressutti and Rogers to prepare an extension project that respected the volume of the Palazzo and allowed it to be built on top of the existing building. The BPR were somehow inspired by the work of Le Courbusier for this project: a two-story gallery that rose on the roof through pillars about six meters high. The façade then had to re-propose the

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semplice, mantenendo l’unitarietà del volume e commisurandosi con il tema della dimensione “eccezionale” (fig. 6). Il secondo atteggiamento, rinvenibile ad esempio nell’opera di Dario Passi, consiste invece nel progettare un corpo di fabbrica doppio al fine di poter rapportare il manufatto al tessuto edilizio circostante. Tralasciando le singole modalità espressive degli autori, il concorso rivela l’esigenza, da parte di molti, di ricostruire un fronte su Canal Grande mostrando una occasione unica per il progetto in cui architettura e storia si confrontano in modo eccezionale. In definitiva, Palazzo Venier dei Leoni rappresenta, ancora oggi, l’ultima occasione per la “progettazione” di un Palazzo sul Canal Grande, un monumentum del tessuto storico veneziano: una occasione, oggi, irripetibile di lavorare nel cuore della città su questo Palazzo “non finito” che continua a rappresentare un simbolo di incompiutezza sulla quinta del Canal Grande.

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L’atteggiamento metodologico-progettuale che si è assunto consiste nell’intervenire con un progetto in grado di dimostrare come l’architettura possa rispettare e tutelare il patrimonio ma al tempo stesso trasformarlo. In particolare, The spatiality of Italian cities. The Peggy Guggenheim museum in Venice ha assunto l’obiettivo di riconfigurare il volume di Palazzo Venier dei Leoni per ridefinire un nuovo fronte sul Canal Grande e liberare da tutte le superfetazioni la corte intasata al fine di recuperare lo spazio retrostante riconfigurandolo come giardino pubblico, ristabilendo quindi la qualità geometrica e formale dell’isolato a corte. In questo modo, richiamando la lettura spazialista della città di Uwe Schröder (2015), il progetto definisce una “esternità” nell’“internità” del tessuto storico, denso e compatto veneziano, un cold space all’interno di un warm space. La sperimentazione progettuale ha perlustrato e confrontato quattro differenti variazioni con lo scopo di sondare e di verificare la maggiore o minore adeguatezza al caso specifico. L’elaborazione concettuale delle quattro ipotesi, messe a confronto, secondo la metodologia proposta da Martin Boesch, Lupini e Machado (2017), consente una chiara articolazione e valutazione delle potenzialità, dei limiti e dei caratteri distintivi sul piano formale ed urbano che ognuna delle ipotesi trasformative porta con sé. Le differenti variazioni progettuali descrivono diverse possibili posture rispetto al tema del rapporto con l’antico e, dunque, il “costruire in continuità” o il “costruire in discontinuità”, e il fondamentale rapporto con la costruzione. La scelta, giustificata dall’approccio discusso nell’incipit del saggio, è ricaduta sulla variazione in cui il sistema costruttivo assolutamente indipendente rispetto alla costruzione originaria e il “costruire in discontinuità”, piuttosto che in continuità, hanno manifestato efficacemente la volontà di distinguere il nuovo dall’antico. L’intervento si concretizza nella definizione di due volumi. Il primo, con funzioni annesse al museo, quali biglietteria ed uffici, ridefinisce il fronte sud su Fondamenta Venier dei Leoni, ripristinando l’originaria configurazione così come riportato nelle cartografie storiche. Rappresenta una grande porta di accesso prima al giardino pubblico, dal quale è possibile accedere anche grazie ai due nuovi ingressi su Calle S. Cristoforo, e al Peggy Guggenheim museum, il cui accesso è selezionato e controllato. Il secondo volume, invece, si erge al di sopra, ma in modo discontinuo, del Palazzo storico, cercando di recuperare quell’originario rapporto volumetrico e di affaccio che Palazzo Venier dei Leoni stabiliva con il prospiciente Palazzo Ca’ Corner con il quale avrebbe dovuto “gareggiare” in termini di bellezza e magnificenza lungo il Canal Grande. Il progetto, tuttavia, si impone dei limiti nella ricostruzione del fronte del manufatto di pregio, dettati proprio dall’attenta lettura morfologica e tipologica della città: “costruire sul costruito” (De Fusco, 1988) senza superare le “leggi” dell’esistente, vale a dire l’altezza massima degli edifici presenti sul fronte nord del Canal Grande, fatta eccezione, ovviamente, per la Chiesa di S. Maria della Salute che, evidentemente, svolge un ruolo differente rispetto agli altri “fatti urbani” presenti sulle rive del canale (fig. 10). L’intervento su Palazzo Venier dei Leoni inoltre

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Il progetto come “modificazione dell’esistente”

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ancient project by Domenico Rizzi, in order to form an ideal link between the past and the present. This solution was, however, rejected by the wealthy American art collector, who decided to rely on the engineer Vincenzo Passaro who built another exhibition pavilion to the east in continuity with the existing building. With the death of Peggy Guggenheim the building definitively assumed a museographic function and, in order to exhibit the greatest number of works by the wealthy American collector, starting from 1979 the Palazzo underwent not only small internal variations, but also a series of extensions – still in progress – to solve the obvious spacial problems in relation to the intended use and the richness of the collection (fig. 7). The expansion of Palazzo Venier dei Leoni, “a great theme, ambitious and full of implications” (Toffolutti, 1985), was the subject of a very important competition. In 1985, Aldo Rossi, on the occasion of the Biennale di Architettura di Venezia, proposed ten architectural themes on which to focus and, among the many, there was also Palazzo Venier dei Leoni. The answers to the theme of the extension of Palazzo Venier dei Leoni are absolutely not unique and, for this reason, can be classified according to different parameters. Specifically, the most interesting project proposals for the purposes of the design exercise concern the possibility of reconstructing a simple building – emblematic approach in the representation of Giangiacomo D’Ardia, Ariella Zattera, Costanza Borracci, Teresita D’Agostino (fig. 6) – or a double building – found for example in Dario Passi’s work – to give the monument that completeness never before achieved. Leaving aside the authors’ individual modes of expression, the competition reveals the need on the part of many to reconstruct a front on the Grand Canal showing a unique opportunity for the project in which architecture and history confront each other in an exceptional way. Ultimately, Palazzo Venier dei Leoni still represents the last opportunity for the “design” of a Palazzo on the Grand Canal, a monumentum of the Venetian historical fabric: a unique opportunity, today, to work in the heart of the city on this “unfinished” Palazzo, which continues to represent a symbol of incompleteness on the flat of the Grand Canal. The project as “modification of the existing” The methodological-project attitude that has been taken on involves intervention with a project capable of demonstrating how Architecture can respect and protect heritage but at the same time transform it. In particular, “The spatiality of Italian cities. The Peggy Guggenheim museum in Venice” has taken on the goal of reconfiguring the volume of Palazzo Venier dei Leoni to redefine a new front on the Grand Canal and free the obstructed courtyard from all superfetations in order to recover the space behind it by reconfiguring it as a public garden, thus re-establishing the geometrical and formal quality of the court block. In this way, recalling Uwe Schröder’s spatialist reading of the city (2015), the project defines an “externality” in the “interior” of the historical, dense and compact Venetian fabric, a “cold space” within a “warm space”. The project experimentation has explored and compared four different variations with the aim of probing and verifying the greater or lesser adequacy to the specific case. The conceptual elaboration of the four hypotheses which, compared according to the methodology proposed by Martin Boesch, Lupini and Machado (2017),

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Fig. 9 - Prospetto su corte interna. Disegno dell’autrice. Elevation of the internal courtyard. Drawing by the author.

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Fig. 10 - Prospetto su Canal Grande. Disegno dell’autrice. Elevation on the Grand Canal. Drawing by the author.

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Fig. 11 - Prospettiva da Canal Grande. Disegno dell’autrice. Grand Canal perspective. Drawing by the author.

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conserva pressoché invariata la configurazione del piano interrato e del piano terra, fatta eccezione per l’inserimento di due nuovi blocchi che accolgono i servizi (fig. 8a). Il carattere distintivo dell’intervento, tuttavia, si palesa a partire dal primo piano, il piano dell’affaccio, che attualmente corrisponde alla terrazza del museo, per il quale viene mantenuta una destinazione d’uso analoga, in quanto è l’unico punto attraverso il quale è possibile affacciarsi al Canal Grande e contemporaneamente sul giardino interno (fig. 8b). Dal piano al di sopra della loggia (fig. 8c), invece, si manifesta una totale chiusura verso il canale, cui corrisponde una selezionata apertura verso lo spazio della corte naturale, accentuata dalla tensione del volume scala-ascensore (fig. 9). Il nuovo volume, infine, si conclude con un piano completamente scoperto che, nel voler rievocare una altana, conserva la chiusura verso Canal Grande e l’affaccio verso la corte interna.

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allow a clear articulation and evaluation of the potential, limits and distinctive characters on the formal and urban level that each of the transformative hypotheses brings with it. The different project variations describe different possible postures with respect to the theme of the relationship with the ancient and, therefore, “building in continuity” or “building in discontinuity”, and the fundamental relationship with construction. The choice, justified by the approach discussed at the beginning of the essay, fell on the variation in which the construction system is absolutely independent from the original construction and the “building in discontinuity”, rather than in continuity, effectively manifested the desire to distinguish the new from the old. The intervention takes the form of the definition of two volumes. The first, with functions attached to the museum, such as ticket office and offices, redefines the south front on Fondamenta Venier dei Leoni, restoring the original configuration as reported in the historical maps. It represents a large access door first to the public garden, from which it is possible to access also thanks to the two new entrances on Calle S. Cristoforo, and to the Peggy Guggenheim museum, whose access is selected and controlled. The second volume, instead, rises above, but in a discontinuous way, the historical Palazzo, trying to recover the original volumetric and overlooking relationship that Palazzo Venier dei Leoni established with the facing Palazzo Ca’ Corner with which it was to

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Fig. 8 - a. Pianta del piano terra; b. Pianta del primo piano; c. Pianta del piano tipo. Disegno dell’autrice a. Ground floor plan; b. First floor plan; c. Plan of the typical floor. Drawing by the author.

Conclusione The spatiality of the Italian cities. The Peggy Guggenheim museum si iscrive a pieno titolo nel dibattito sul tema del rapporto tra progetto contemporaneo e città storica e agisce aderendo ad una “cultura del progetto” e della “modificazione” non vincolata alla “cultura della conservazione”, che invece si sta affermando in Italia e che tende a “congelare” – per dirla con Rossi (1966) – l’“elemento storico”. Nello specifico, l’ipotesi progettuale elaborata (fig. 11) rappresenta un tentativo di intervenire sul patrimonio esistente con la consapevolezza della necessità di una trasformazione resa possibile da una | Ermelinda Di Chiara | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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lettura analitica sia del tessuto storico che del manufatto di pregio al fine di mettere in atto un progetto di Architettura che miri a valorizzare e a tutelare la loro identità formale e figurale. Una trasformazione che ha alla base una scelta consapevole ed appropriata proprio per la capacità di assumere i valori del manufatto e del tessuto come materia stessa dell’agire conferendo loro nuove prospettive in grado di definire costrutti formali rispondenti alle esigenze contemporanee ma, al tempo stesso, colti nel rimettere in gioco le lezioni della storia e gli ordini sintattici che l’assetto tipologico è in grado di offrire. In definitiva, “Questo progettare è la fase finale di una forma di ricerca che deve essere creativa, anche se fatta sul passato, e quindi dovranno esservi presenti tutti i fatti stratificabili di questo passato che si possono includere nel sistema metodologico prescelto, che ha come segno finale della ricerca la progettazione” (Samonà, 1978). Nota

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Lo studio ha origine dalla tesi di laurea magistrale The spatiality of the Italian cities. The Peggy Guggenheim museum in Venice discussa presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Il lavoro ha avuto come relatori i professori Federica Visconti e Renato Capozzi e come correlatore Uwe Schröder.

“compete” in terms of beauty and magnificence along the Grand Canal. The project, however, imposes limits in the reconstruction of the front of the valuable building, dictated precisely by the careful morphological and typological reading of the city: “building on the built” (De Fusco, 1988) without exceeding the “laws” of the existing, that is to say the maximum height of the buildings on the north face of the Grand Canal, except, obviously, for the Church of S. Maria della Salute which, evidently, plays a different role compared to the other “urban facts” present on the banks of the canal (fig. 10). The intervention on Palazzo Venier dei Leoni also preserves almost unchanged the configuration of the basement and the ground floor, except for the insertion of two new blocks that accommodate the services (fig. 8a). The distinctive character of the intervention, however, is evident from the first floor, the floor of the view, which currently corresponds to the museum terrace, for which a similar use is maintained, as it is the only point through which it is possible to overlook the Grand Canal and at the same time the internal garden (fig. 8b). From the floor above the loggia (fig. 8c), instead, there is a total closure towards the canal, which corresponds to a selected opening towards the space of the natural courtyard, accentuated by the tension of the stair-lift volume (fig. 9). Finally, the new volume ends with a completely uncovered floor which, in evoking a roof terrace, preserves the closure towards the Grand Canal and the view towards the internal courtyard.

Riferimenti bibliografici_References

Conclusion The spatiality of the Italian cities. The Peggy Guggenheim museum is fully part of the debate on the theme of the relationship between contemporary project and historical city and acts by adhering to a “culture of project” and “modification” not bound to the “culture of conservation”, which instead is affirming in Italy and tends to “freeze” – in the words of Rossi (1966) – the “historical element”. Specifically, the project hypothesis developed (fig. 11) represents an attempt to intervene in the existing heritage with the awareness of the need for a transformation made possible by an analytical reading of both the historical fabric and the valuable artefact in order to implement an architecture project that aims to enhance and protect their formal and figural identity. A transformation that is based on a conscious and appropriate choice precisely because of the ability to take on the values of the product and of the fabric as the very material of action, giving them new perspectives capable of defining formal constructs that respond to contemporary needs but, at the same time, caught in putting into play the lessons of history and the syntactic orders that the typological order is able to offer. Ultimately, “This planning is the final phase of a form of research that must be creative, even if done on the past, and therefore all the stratifiable facts of this past that can be included in the chosen methodological system, which has planning as its the final sign of research” (Samonà, 1978).

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Note The study originates from the master’s thesis “The spatiality of the Italian cities. The Peggy Guggenheim museum in Venice” discussed at the University of Naples ‘Federico II’. The work had professors Federica Visconti and Renato Capozzi as supervisors and professor Uwe Schröder as co-supervisor.

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urbanform and design Il progetto implicito nelle forme della

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The implicit project in the urban form

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“Formatività” of the shape Without centering the discussion on the more general sense of the value and meaning of the shape of the town, the definition “Place of transformations” seems more appropriate and useful of a “work of art”, frequently preferred from who have fundamentally recognized the artistic value in the historic urban fabric. The concept appears similar to that used in many studies of urban morphology and above all expressive of the idea of process (Pellegrino, 2006). It represents the succession of transformations interspersed episodically by moments of discontinuity, rebirth, metamorphosis and osmosis, between type and urban fabric, so as between “prevalence of the building” over the shape and serial development of fabrics (Levy, 1999). Continuity and congruence in between the buildings and the fabrics Vs dominance of the edifice on the building fabric;

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Paolo Carlotti

DiAP, Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università degli Studi di Roma E-mail: paolo.carlotti@uniroma1.it

Molte ricerche di morfologia urbana sul senso e significato della forma riconoscono nel disegno catastale il “racconto” grafico del documento litico plurale della città: “(...) l’immagine della città come di un testo scritto a più mani, in cui si iscrivono, si scontrano e coabitano progetti di vita, cosmologie e desideri di più attori, individuali e collettivi” (Marrone, Pezzini, 2005, p. 9). Indagano sulla rappresentazione della città per comprendere le logiche e le scelte che hanno concorso a definire la forma attuale dello spazio costruito. Scrive Pellegrino: “L’analisi morfologica della città come totalità, cerca di afferrarne i principi generatori come elementi regolatori della crescita, poli e linee di sviluppo (...) esprime la loro struttura funzionale e la loro struttura di permanenza, i limiti e le barriere che li ritagliano, i margini e gli interstizi che li aprono i ritmi che li sottolineano, gli assi, le reti e i nodi che li articolano, i riferimenti, i monumenti e i luoghi che li significano” (Pellegrino, 2006, p. 20). Questo breve saggio vuole provare a riflettere sul piano del progetto, su quanto il senso della forma e l’esegesi del testo urbano possano essere utilmente “operanti” nel progetto.

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La città come “Luogo delle trasformazioni”

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La forma della città è espressione della tecnica ma anche del genius loci (qui inteso come opera collettiva) e della spiritualità soggettiva di chi ha saputo interpretare e plasmare magistralmente un luogo, donando carattere e “organizzazione” allo spazio naturale. È l’esito magistrale delle capacità di agire e produrre architetture in base a regole, esperienze e pratiche destinate a divenire “norme” nella materia e memoria collettiva degli abitanti di un luogo. Un’arte che è il saper fare e il trasformare; arte la cui radice etimologica arnel sanscrito ha il significato di adattare, produrre, fare bene. Possiamo allora intendere la città, e quella storica in particolare, come espressione dell’arte (Romano, 2008)? Dalla Negra (Dalla Negra, 2016), suggerisce di parlare della città piuttosto come del “luogo delle trasformazioni”, che meglio si presta a spiegare tanto la complessità dei tessuti storici quanto le dinamiche della forma, anche di quella più semplice dell’aggregato contemporaneo, apparente giustapposizione di elementi estemporanei nella città del nostro tempo. Esso supera l’idea pura di “opera d’arte”, per il costruito storico, perché forma non finita ma in formazione, espressione di uno spazio di oggetti costruiti, sintesi formale di un’opera collettiva in divenire in uno spazio umanizzato composto e organizzato con tipi, tessuti e sistemi “connettivi”.

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The town as a “Place of transformations” The shape of the city is an expression of technique, but also of the genius loci (here understood as a collective work) and of the subjective spirituality of those who have been able to masterfully interpret and shape a place, giving character and organization to the natural site. Masterful outcome of the capability to make and build architecture founded on rules, experiences and practices destined to become “norms” recorded in the matter and shared from the inhabitants of a site. Art that is “knowing how” and to transform; art, whose etymological root “ar-“ in Sanskrit, means: adapting, producing, do well. So, can we understand the town, and the historical one in particuparticular, as an expression of art? (Romano, 2008) Dalla Negra (Dalla Negra, 2016), suggests call the town rather as the “place of transformations”, that is better suited to explaining both the complexity of historical urban fabrics and the dynamics process of form, even of the simplest of the contemporary settlement, that seem the casual juxtaposition of elements, put in the city of our time. It goes be beyond the pure idea of “work of art”, because it is an unfinished form but in progress. It is the formal synthesis of a collective work of a humanized space, composed, organized with types, urban fabric and “connective” systems.

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.016

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Many researches on urban morphology on the sense and significance of the form, recognize in the cadastral drawing the storytelling of the plural lithic history of the city. (Marrone, Pezzini, 2005, p. 9). They investigate about the representation of the city to understand the logic and choices that have contributed to settle the present day form of the built space. (Pellegrino, 2006, p. 20). This brief text tries to reflect about the design level, on how much the exegesis of the urban graphic description can be useful to the project.

città

Formatività della forma Senza voler incentrare il discorso sul senso più generale del valore e significato della forma della città, la definizione Luogo delle trasformazioni (l.d.t) sembra più adatta e utile di quella di “opera d’arte”, per molto tempo preferita da quanti hanno fondamentalmente riconosciuto al costruito storico il valore di prodotto artistico. Essa appare affine a quella utilizzata in molti studi di mor| Paolo Carlotti | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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that with the superimposition of new forms and volumes in the previous settlement – and consequently new connective axes – carry on a new “order” to the city. An Intentional discontinuity where every addition, each superimposition must necessarily connect and refer to the larger general system, composed of other prevailing fabrics and other constructions. Unrepeatable and unique mutations, shapes and aggregations of forms linked to the experiential uniqueness of the actor or actors, which intentionally and exceptionally build the place, historically characterizing it as “work of art”. (Pareyson, 1958) It is an object, as a being of the entity, ontologically useful to the subject to arrive at the truth, an aesthetic and functional synthesis, that the subject takes out and impress at the same time from and to matter inside continuous metamorphosis process. So, designing a building or renovating an urban landscape means, in some way, reinterpreting the object, formed and reformed by the spirituality and vital experience of the acting subject, and at the same time reinventing and returning the object to the city. The “place of transformation” is opposed to the interven intervention of simple conservation, albeit limited to the recognized “work of art”, because it risks to bring the object to oblivion, to be exhibited, certain to be visited, but barely to be live. In fact, if we consider the urban form as the results of many individual, unique, unrepeatable experiences, its knowledge can only prove to be an active guide certo action, a source of experiences to operate, cer tainly not for a random discontinuous doing, but for a new invention consonant and congruous to the contemporary context. The shape is often in type-scheme and type-idea (a priori), figure and suggestion useful for organizing and transforming the building and connective tissues, which by merging and “blending” into the type, generate new forms and architectural types and new connective axes. Therefore, if in the “place of transformation” every addition, each new connective axis, superimposed on the pre-exists urban fabric, is linked to the previous phase, will be two phenomena that, in this case, we could consider in the process: The more or less “spontaneous” of the formation (initial) and that the most critical one of restructuring (secondary). The formation of a building fabric is often anticipated from cadastral form – matrix –, it is the origin of the shape over which the building aggregate itself is inserting diachronically. The progressive evolution and densification of the building, develops in the block and in the lot, alters values and hierarchies between the paths, and occasionally causes new centralities in the fabric, sometimes together with the replacement of a building with a square that becomes external relevance of the prevailing unit. The Restructuring, unlike formation, almost always manifests itself by overlapping, if not even by building substitution. It is intended to make the urban “story” more complex. We could metaphorically imagine these transformations as the corrections made in the written text. It will be easy, in fact, to observe this phenomenon in any map of the town where such transformations have occurred and to recognize, in the forms, the story of the building events, the overlapping and adaptations implemented of the pre-existing urban drawing. This will be well as the rewriting of the urban text, a different text/ drawing, linked to new or renewed prevailing elements (Carlotti, 2017). Correcting to rewrite the text requires working on the single and minimal form expressed by the land unit, on that individual cadastral parcel whose geometric outcome is almost always attributable to the hand of those who have operated on the material reality of the unit. At one time a building was transformed by reusing its parts to make something else, one invented the new shape starting with what

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fologia urbana e soprattutto espressiva dell’idea di processo: “il nuovo è condizionato dal vecchio come un organismo evolutivo è determinato da ciò che lo precede” (Pellegrino, 2006), rappresenta il susseguirsi delle trasformazioni intervallate episodicamente da momenti di discontinuità, di rinascita, di metamorfosi, di osmosi tra tipo e tessuto e di “prevalenza dell’edificio” sulla forma e sullo sviluppo dei tessuti (Levy, 1999). Continuità e congruenza tra edifici e tessuti vs prevalenza dell’edificio sul tessuto, che con la sovrapposizione di nuove forme e nuovi assi connettivi, porta nuovo “ordine” nella città. Discontinuità intenzionale, che è progetto, dove ogni addizione, ogni sovrapposizione deve comunque necessariamente collegarsi e riferirsi al sistema generale più grande, composto da altri tessuti e altre costruzioni prevalenti. Mutazioni irripetibili e uniche, forme e situazioni legate all’unicità esperienziale dell’attore o degli attori, che con intenzionalità, eccezionalmente formano il luogo caratterizzandolo storicamente come “opera d’arte”. Che individuata in evoluzione, “nutrita della concreta esperienza del soggetto operante (…) che nel formare si avvale di tutta la propria esperienza, del proprio modo di pensare vivere sentire, del proprio modo di interpretare la realtà e di atteggiarsi di fronte alla vita (…), se pensasse vivesse sentisse altrimenti, formerebbe diversamente” (Pareyson, 1958), è oggetto, in quanto essere dell’ente, ontologicamente utile al soggetto per arrivare alla forma verità, espressione estetica e funzionale, che il soggetto estrae e imprime allo stesso tempo dalla e alla materia in una metamorfosi continua. Progettare un edificio o rinnovare un paesaggio urbano può significare – se considerato da questo punto di vista – in qualche modo, interpretare quanto manifesto nell’oggetto, formato e riformato attraverso la spiritualità e l’esperienza vitale del soggetto che agisce – mediante un processo circolare che va dall’oggetto realizzato alla coscienza-soggetto – per reinventare e restituire un’altra volta l’oggetto al complesso sistema di relazioni della città. Il l.d.t. si oppone criticamente all’intervento della mera conservazione, seppure limitatamente all’opera d’arte riconosciuta, perché rischia di condannare l’oggetto all’oblio, da esporre, certamente da visitare ma difficilmente da vivere e da attualizzare. Se infatti consideriamo la forma urbana come l’esito delle tante esperienze individuali, uniche, irripetibili, la sua conoscenza non potrà che rivelarsi attiva guida all’azione, fonte di esperienze per operare, non certo per un fare discontinuo casuale, ma per una nuova invenzione consona e congrua alle circostanze del contesto contemporaneo. La forma è spesso nel tipo-schema e tipo-idea, immagine e suggestione per organizzare e trasformare i tessuti edilizi e connettivi, che fondendosi e “confondendosi” nel tipo, generano nuove espressioni edilizie e architettoniche e quindi nuovi assi connettivi. Pertanto, se nel l.d.t. ogni aggiunta, ogni nuovo asse connettivo, sovraimposto a quanto preesiste è legato alla fase precedente e seriore, due saranno i fenomeni di trasformazione che, da questo punto di vista, possiamo considerare nel processo: quello più o meno spontaneo della formazione (iniziale) e quello in maggioranza critico della ristrutturazione (secondario). La formazione di un tessuto edilizio è spesso preceduta da un disegno fondiario – matrice –, esso è all’origine della forma su cui si innesta diacronicamente l’aggregato edilizio. Lo sviluppo e l’addensamento progressivo dell’edificato, che si produce nell’isolato e nel lotto, altera valenze e gerarchie tra i percorsi, e, occasionalmente, provoca nuove centralità nel tessuto, talvolta unitamente alla sostituzione di un pieno con un vuoto che si trasforma in pertinenza esterna dell’unità prevalente. La ristrutturazione, al contrario della formazione, si manifesta quasi sempre per sovrapposizione, quando non addirittura per sostituzione. Essa è destinato a rendere più complesso il “racconto” urbano. Possiamo immaginare metaforicamente queste trasformazioni come le correzioni fatte su un testo scritto. Sarà facile, infatti, osservare questo fenomeno su una qualunque cartografia di città, ove siano intervenute tali trasformazioni e riconoscere, nelle forme, il racconto dei fatti edilizi, le sovrapposizioni e gli adattamenti attuati sul disegno preesistente, così come le riscritture del testo urbano o un testo/disegno diverso, legato a nuovi o rinnovati elementi prevalenti (Carlotti, 2017).

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Correggere per riscrivere il testo obbliga a lavorare sulla forma singola e minima espressa dall’unità fondiaria, su quell’individua particella catastale il cui esito geometrico è quasi sempre attribuibile alla mano di coloro che hanno operato sulla realtà materica dell’unità. Un tempo, infatti, si adattava un edificio riutilizzandone le parti per farne qualcos’altro, si inventava una nuova forma partendo da quanto si poteva recuperare da quella ereditata. I materiali e l’arte del costruire contenevano l’”invenzione compositiva” che doveva necessariamente avvalersi di ciò che era già disponibile e soprattutto era tecnicamente limitata da quanto si poteva e sapeva tecnicamente fare.

Fig. 1 - Via di Santa Dorotea (più chiaro), è tracciata nel XV sec. con l’apertura del ponte Sisto. Via di Santa Dorotea (lighter), is traced in the fifteenth century with the opening of the Sisto bridge.

Congruenza e continuità

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Hanno fatto molto discutere le affermazioni di Rem Koolhaas “fuck you the context” e quella di Meier, per il quale il contesto che conta e che deve essere espresso è quello del presente che, riferendosi alla bigness (Koolhaas, 1994), provocano il lettore con la grande dimensione degli edifici che si relazionano solo con la novità della metropoli, Meier usa il bianco nel contesto provando a riferirsi ad un linguaggio che ritiene condiviso, esalta i pieni e i vuoti ma parla anche di un’architettura che è “statica, non cresce nel tempo”, allineandosi sulla scelta per la discontinuità in contrasto e che vuole imporsi sulla natura dinamica dell’architettura, che invece muta, si trasforma, cambia continuamente funzione e relazione col contesto. conEppure l’intervento di discontinuità nel tessuto storico è spesso oggetto di con traddizioni, tanto a Roma quanto nella Grande Mela (NY), dove lo stesso Meier critica gli interventi di Vinoly R. e Ingels B. (Casicci, 2016) perché ridicoli e fuori contesto e perché interrompono la continuità urbana. Una critica analoga a ininquella fatta per tanti interventi contemporanei in molti contesti storici, e inin terrottamente viva nelle discussioni, dal secondo dopoguerra, nel dibattito tra riquanti auspicano il rispetto assoluto della preesistenza e quanti altri invece ri vendicano la legittimità dell’intervento e della trasformazione. Sebbene fin dai tempi della ricostruzione post bellica nessuno avesse mai messo in discussione la legittimità dell’intervento contemporaneo nel tessuto storico, nella pratica, se la difficoltà ad arrivare ad un approccio condiviso sul tema ha separato colo coloro che si sono riconosciuti nell’idea di forma formante – che non deve far conto con altro da sé – da chi, praticando le discipline storiche mal digeriva quanto proposto al di fuori della storia, finiva “per relegare la cultura della conserva conservazione ad una strenua conservazione dell’esistente che sul piano pratico, molte volte ha significato limitarsi ad un atto infermieristico svolto prevalentemente per consolidamenti statici”, finendo per proporre sistemazioni superficiali che non considerano nemmeno l’unità figurativa della facciata (Dalla Negra, 2011; Carbonara, 2011). Ora se è vero che i maestri del restauro avevano da sempre difeso tale pratica dell’attività del progetto e sebbene anche personaggi come Bonelli non avessero mai messo in discussione la legittimità dell’intervento contemporaneo, è anche vero che le rivendicazioni legittime di chi pratica la cultura del progetto non sono mai state del tutto accettate. Recentemente la querelle tra cultori della conservazione e protagonisti dell’innovazione è politicamente superata con l’invito a progettare rivolto agli architetti dello star system, ritenuti super partes. Tuttavia apertamente schierati in difesa della cultura di un progetto che preferisce avere il diffuso consenso: “sono nient’altro che artisti al servizio dei potenti di oggi, utili a stabilire trend”, per stupire e per provocare il grande pubblico con trovate che non sono nemmeno edifici, ma “messe in scena. (…) La nuova architettura è comunicazione, media, e la concretezza della città deve andare a farsi benedire…” (La Cecla, 2008). Eppure, qualcuno (Piano, 1998) ha lucidamente affermato che “L’architettura, intanto, è un servizio, nel senso più letterale del termine. È un’arte che produce cose che servono. Ma è anche un’arte socialmente pericolosa, perché è un’arte imposta. Un brutto libro si può non leggere; una brutta musica si può non ascoltare ma il brutto condominio che abbiamo di fronte a casa lo vediamo per forza. L’architettura impone un’immersione totale nella bruttezza, non dà

Fig. 2 a-d- Lettura morfologica del tessuto catastale nell’area della espansione augustea (fase imperiale, medievale, del XVI e XVII secolo. In nero: particelle catastali relative a case a schiera dalle forme regolari (linea rosa: traccia dell’asse che collegava il Pantheon con il mausoleo di Augusto). Morphological analysis of the cadastral fabric in the area of the Augustan expansion (Imperial, medieval, 16th and 17th century phases). In black: cadastral parcels relating to row houses with regular shapes (pink line: trace of the axis that connected the Pantheon with the mausoleum of Augustus).

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could be recovered from the existing edifice. The materials and the art of building contained the “compositional invention” which necessarily had to make use of what was already available and above all was technically limited by what technically one knew how to do.

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Forma e riforma del disegno particellare

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La diade formazione/ristrutturazione è alla base dell’apparente patchwork urbano della città. Esso, a meno che non sia di recente fondazione, mantiene nel significato semantico del disegno catastale la memoria del processo che lo ha generato e trasformato. L’esegesi del testo urbano, l’analisi sintattica e semantica della forma (parcelle), può aiutarci a mettere a fuoco quanto possiamo chiamare “riconoscimento delle fasi strutturali, degli allineamenti ortogonali e dei percorsi diagonali”. In particolare, possiamo ricercare la forma matrice nei segmenti che appartengono ai tipi edilizi originari, trasformati nelle forme succedanee più elementari, in special modo nei tipi edilizi a schiera ancora riconoscibili nella partizione catastale e nell’impronta negli edifici contemporanei. Geometrie (parcelle unitarie) che appartengono a sistemi urbani riformati in contiguità e congruenza, espressioni di permanenza o cambiamento di status economico e di convivenza civile. “Ogni forma urbana è esito di una forma sociale” (Pellegrino, 2006). Gli assi di ristrutturazione nel disegno urbano sono spesso riconoscibili per le forme trapezoidali delle unità catastali, osservabili lungo le fasce di pertinenza, caratterizzati per loro carattere succedaneo, quale esito combinatorio di geometrie pertinenti ad altri percorsi e sistemi di ortogonalità. Si tratta spesso di unità distinguibili per le dimensioni e la particolare irregolarità della forma, così come anche per la presenza di pertinenze esterne urbane (piazze) che attengono ad una diversa idea e organizzazione del sistema urbano.

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Congruence and continuity There was a lot of discussion about the statements of Rem Koolhaas “fuck you the context” and that of Meier, for whom the context that counts and that must be expressed is that of the present, which, referring to the “bigness”, provoke the reader with buildings that relate only to the metropolitan dimension. So, also that of Meier, for whom instead the context that counts and must be expressed is that of the present. Meier talks about white, tries to refer to a language that he believes to be shared, enhances the solids and voids, but also speaks of a “static architecture, does not grow over time”, aligning himself with the choice for the discontinuous project, which is however contrast, and that wants to impose itself on the dynamic nature of architecture; Which in instead changes, transforms, continuously changes function and relationship with the context. The intervention in discontinuity, in the historical fabric, is often considered a contradiction, both in Rome and in the NY. So Meier criticizes the interventions of Vinoly R. and Ingels B. (Casicci, 2016), because they are ridiculous and out of context and because interrupt urban continuity. A criticism similar to that made for many contemporary interventions in many historical contexts, and continuously alive both in the discussions, since the Second World War, and in the debate between those who want absolute respect for the pre-existence and those who instead claim the legitimacy of the intervention and transformation. Although since the time of the post-war reconstruction no one had ever questioned the legitimacy of contemporary intervention; so in the historical fabric, in practice, the difficulty in arriving at a shared approach on the subject has separated those who recognized themselves in the idea of forming form by those who, practicing historical disciplines, poorly digested what was proposed outside of history, which ends up proposing superficial arrangements that do not even consider the figurative unity of the facade (Dalla Negra, 2011; Carbonara, 2011). Now if it is true that the maestro of restoration had always defended this practice of the project activity, and although even people like Bonelli had never questioned the legitimacy of contemporary intervention, it is also true that the legitimate claims of those who practice project culture are never been fully accepted. Recently the trite querelle between conservationists and protagonists of innovation has been politically overcome with the invitation to design addressed to the architects of the star system, considered super partes, however, openly deployed in defense of the culture of a project, which prefers to have widespread consent in “messe in” (La Cecla, 2008). Yet, someone (Piano, 1998) has clearly stated that Architecture is an art to produce useful things. Often something is done that strikes the collective imagination of those who, from the outside, are unable to grasp the expressive scope of a self-referential language. In an era of populism’s rebirth, an architecture that becomes media, unexpected, is well received by a civitas that has long been waiting for a strong change. The use of images and large, impactful constructions has always left their mark on the city and in the collective imagination, easily recognizable (Goethe, 1991, p.50). Icons that have determined singularity and consequently imposed a long metabolization, which, however, if taken in the right direction, can also offer an interesting lesson for the critical and conscious project. If in a context mainly pre-

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scelta all’utente. E questa è una responsabilità grave, anche nei confronti delle generazioni future”. Spesso si fa qualcosa che colpisce l’immaginario collettivo di chi, dal di fuori, non riesce a cogliere nella forma la portata espressiva di un linguaggio autoreferenziale. In un’epoca di rinascita dei populismi, un’architettura che diventa media, inaspettata, è ben accolta da una civitas che attende da tempo un cambiamento forte. L’utilizzo di immagini e di grandi costruzioni d’impatto ha sempre lasciato l’impronta nella città e nell’immaginario collettivo (Goethe 1991, p.50), icone ben riconoscibili che hanno determinato singolarità e imposto, per conseguenza, una lunga metabolizzazione, che, tuttavia, se prese nel verso giusto, possono rappresentare anche un’interessante lezione per il progetto critico e consapevole. Se poi in un contesto prevalentemente conservato e caratterizzato da manufatti che presentano solo episodicamente degli ammanchi è legittimo parlare di integrazione della lacuna (Mileto, 2008), in un contesto caratterizzato da pesanti stratificazioni e vistosi adeguamenti dettati da necessità sarà più utile riflettere sul significato tipologico e sul ruolo del progetto nel progressivo adattamento dell’unità al sistema più ampio. “Per lungo tempo in età premoderna e moderna il progetto di architettura è stato fondamentalmente legato alla nozione di adeguamento alle istanze del momento. Il restauro era la proiezione di quanto ereditato sul piano temporaneo presente, avveniva in modo spontaneo” (Dalla Negra, 2015). Per cui, se in un insediamento la crescita della popolazione produceva il cambiamento del tipo (da corte in tipo a schiera o ancora in tipo edilizio in linea), la prevalenza di un soggetto si rifletteva sull’edificio, che per conseguenza prevaleva sul tessuto attraverso forme nuove specializzate e caratterizzate da nuove funzioni (Palazzo signorile). La cultura del progetto nel costruito, maturata lentamente nella pratica nazionale, sembra tardare a comprendere il primato del valore storico linguistico e, oserei dire, oggi etico su quello economico. Per il quale, in molti contesti extraeuropei, si intende ancora l’adeguamento del manufatto alle necessità del presente, per lo più reclamando il solo diritto ad esprimersi nel linguaggio e nelle forme “d’effetto” richieste nel presente. Se da una parte, l’alternanza della moda sembra premiare alternativamente il progetto conservativo e quello innovativo, dall’altra emerge sempre più chiaramente la necessità di chiarire il significato del valore storico del l.d.t. per il progetto architettonico, per restituire quella valenza avuta nei secoli e calibrata sulla puntuale e continua trasformazione.

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Prevalenza del tipo nel tessuto

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La prevalenza del tipo nel tessuto si manifesta quando un elemento, acquisendo maggiore importanza, tende a trasformarsi in elemento speciale e ad esercitare una sorta di azione centripeta sull’intorno. Un fenomeno da sottolineare e tipico del l.d.t., che spesso anticipa la formazione degli assi di ristrutturazione – già accennato in precedenza e chiamato da A. Levy “prevalenza dell’edificio nel tessuto” – attraverso cui, un ambito urbano cresce di importanza con la specializzazione di un elemento. La prevalenza dell’unità sul tessuto ha, in alcuni casi, portato a considerare “opera d’arte” anche il contesto in cui esso si inserisce, da preservare nelle funzioni e da “congelare” nelle sue forme. Una scelta in parte giustificata dalla paura di una incontrollata e autoreferenziale trasformazione. Lo sviluppo urbano non è lineare, procede per piccoli e continui incrementi, scanditi da scatti di forte innovazione e discontinuità. Lo sviluppo continuo è legato a cicli del processo di trasformazione e a fasi continue e seriali, che costituiscono il progressivo giustapporsi e addensarsi di tipi analoghi ed omogenei lungo gli assi principali e pertinenti alla fase. Lo sviluppo discontinuo è invece caratterizzato da accresciute dimensioni del lotto e dall’innovazione dell’edificio nel tessuto, che specializzandosi prevale nel tessuto, acquisisce una funzione speciale che induce poi un effetto accentrante sul contesto circostante.

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Ipergriglia, super isolato e connessioni tra luoghi prevalenti

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served and characterized by artifacts, that only occasionally show shortages, it is legitimate to speak on the integration of the gap (Mileto, 2008), in a context characterized by heavy stratifications and conspicuous adjustments dictated by necessity, it will be more useful reflect on the typological significance and the role of the project in the progresprogressive adaptation of the unit to the wider system. So, if in a settlement the growth of the population proproduced the change of type (from courtyard house to row house or still to building type in line), the prevalence of a subject was reflected on the build building, which consequently prevailed on the fabric through new specialized forms and characterized by new functions (noble palace).

Shape and redesign of the particle design The formation/renovation dyad is the fundament of the city’s urban patchwork. Unless if it is recently founded, in the semantic signification of the cadastral design, it retains the story of the process that shaped and transformed it. In particular, we can look for the “form matrix”, that belong to the original building types, transformed into the most elementary row house types, still recognizable in the cadastral partition and in the footprint of contemporary buildings. Geometries that belong to urban systems reformed in contiguity and congruence, expressions of permanence or change of economic status and civil coexistence (Pellegrino, 2006). The restructuring road, in the urban drawing, are recognizable by the trapezoidal shapes of the cadastral plots, that we can look at the bands of pertinent. They characterized by their substitute behavior, that is the combined outcome of geometries derived by other paths and orthogonality systems. These are often units that can be distinguished by the size and the particular irregularity of the shape, as well as by the pres-

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Tra i segni più recenti e facilmente riconoscibili nella stratificazione della città si possono osservare quelli che A. Moudon chiama ipergriglia e iperisolato e che declinano un particolare carattere di quelli conosciuti come percorsi di ristrutturazione (Moudon, 2019). La ricerca morfologica urbana può infatti estendersi oltre i tre livelli fondamentali, ovvero può concentrarsi “verso il basso” all’interno degli edifici o può “salire” oltre le unità del piano: stanze e corridoi sono nidificati negli edifici proprio come le unità del piano sono nidificate nel quartiere, distretti o città (Berke & Moudon, 2014) e il multilivello della forma urbana è parallelo a quello delle strutture sociali. Il concetto di nidificazione, che in italiano suona come la “natura scalare del tessuto edilizio”, è espresso nella dimensione spazio-temporale della rappresentazione cartografica, altrimenti percepita come un intreccio confuso di segni.

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Fig. 3 a-b - Corso Vittorio collega nel XIX secolo le centralità della Chiesa Nuova e della Cancelleria, realizzate nel XVI secolo. Corso Vittorio connects in the 19th century the centrality of the “Chiesa Nuova” and the “Cancelleria”, built in the 16th century.

Conclusioni Talvolta, nella pratica del progetto, ci lasciamo affascinare dalla tanto evidente quanto sommersa geometria matrice della forma urbana, dall’impronta lasciata dall’impero Romano nell’area mediterranea, particolarmente permanente rispetto alle ristrutturazioni e alle trasformazioni pianificate o semplicemente eseguite – ma non meno significative – dell’età moderna e contemporanea. Forme e geometrie di un periodo di formazione durato quasi sette secoli, quasi quanto quello di trasformazione, intercorso tra la fine dell’Impero e l’età dei Comuni. Ma tanto nella città antica quanto in quella moderna e contemporanea questa metamorfosi sembra legata ad una sorta di “codice genetico”, che ha condizionato le scelte e le forme successive. Disegno e architetture più o meno congruenti, legati a edifici speciali e inseriti magistralmente e intenzionalmente in discontinuità nel tessuto e sovrapposte sul tessuto moderno e contemporaneo. La crescita esponenziale della città e l’ipergriglia contemporanea collegando le nuove centralità di un sistema antropico sempre più grande, sembrano, nella dimensione prospettica, spingerci verso scelte architettoniche pensate per la dimensione urbana. Tese, per lo più, verso la sostituzione e la permanente discontinuità oppositiva. Tuttavia, riflettendo sulle norme e sulle pratiche che hanno contribuito a determinare la forma e il | Paolo Carlotti | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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disegno urbano, possiamo, col progetto, provare a restituire l’equilibrio tra le parti e il tutto, tra quanto ereditato nel contesto storico e quanto appartiene alla dilatata realtà urbana più generale, attraverso azioni episodiche anche in discontinuità ma calibrate piuttosto sulla dimensione locale.

ence of external urban appurtenances (squares) that could pertain to a different idea/type and organization of the urban system. Prevalence of the type in the fabric The prevalence of a building, in the urban fabric, occurs when the element, acquiring greater importance, and tends to transform itself and to exert a sort of centripetal action of its surrounding building fabric. The prevalence of unity in the fabric has, in some cases, led us to consider the context, in which it is inserted, as a “work of art; so to be preserved in its functions and to” freeze “in its forms. A choice, that in the past, it has been partly justified for the fear of an uncontrolled and self-referential transformation. Urban development is not linear, it proceeds by small and continuous increases, marked by step of strong innovation and discontinuity. Continuous development is linked to the cycles of the transformation process and to continuous and serial phases, and the progressive juxtaposition and densification of similar and homogeneous types along the main axes and pertinent to the phase. The discontinuous development is instead charac characterized by the increased surface and volume of the plot and for typology innovation in the building into the fabric, which by specializing prevails in the fab fabric, acquires a special function and then induces a centralizing effect on the surrounding context.

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Riferimenti bibliografici_References

Fig. 4 - F. Cellini et alia, Il progetto della nuova piazza dell’Augusteo è un esempio di discontinuità calibrata sulla dimensione locale, mentre il progetto di Meier per l’Ara Pacis ponendosi in relazione con l’asse del Lungotevere e l’affaccio sul Fiume è espressivo di una discontinuità sostitutiva che riferisce al sistema urbano più ampio. F. Cellini et alia, The project of the new Piazza dell’Augusteo is an example of discontinuity calibrated on the local dimension, while Meier’s project for the Ara Pacis placing itself in direct relation to the Lungotevere and the view of the River is expressive of a discontinuity calibrated on the urban dimension.

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prevailHypergrid, super block and network of prevail ing places Among the most recent and easily recognizable signs in the stratification of the city, we can observe those that A. Moudon calls hypergrid and superblock (Moudon, 2019) and which decline the particular character of the renovation road. Urban morphological research can in fact extend beyond the three basic levels, that is, it can concentrate “downward” within the buildings or it can “rise” beyond the floor units: rooms and corridors nest in the buildings, just like the units of the plan are nested in the neighborhood, districts or city (Berke & Moudon, 2014) and the multilevel of the urban form is parallel to that of the social structures. The concept of nesting, which in Italian sounds like the “scalar nature of the building fabric”, is expressed in the space-time dimension of the cartographic representation, otherwise perceived as a confused intertwining of signs. Conclusions Sometimes, in the practice, we let ourselves be fascinated by the evidence and submerged original geometry of the urban form, by the footprint left by the Roman Empire in the Mediterranean area, particularly permanent compared to the restructuring and transformations planned or simply implemented in the modern and the contemporary age. But both in the ancient city and in the modern and contemporary one, this metamorphosis seems linked to a sort of “genetic code”, which conditions the choices and subsequent forms. More or less congruent design and architecture, linked to special buildings, masterfully and intentionally inserted as a discontinuity in the fabric and superimposed on the modern and contemporary fabric. The exponential growth of the city with the contemporary hypergrid, connecting the new centralities of an increasingly large anthropic system, seems, in the perspective dimension, to push us towards architectural choices designed for the urban dimension. It tended, for the most part, to the substitution and to the permanent oppositional discontinuity. However, reflecting on the rules and practices that have contributed to the urban form, we can, with the project, try to restore the balance between the parts and the whole, between what is inherited and what belongs to the actual reality more general urban; this through episodic actions also in discontinuity, but above all calibrated on the local dimension.

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urbanform and design Ri-abitare un paese antico

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DICAR Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura, Politecnico di Bari E-mail: loredana.ficarelli@poliba.it

Nell’ultimo decennio si è registrato un desiderio crescente di rinnovare la condizione di vita di quei certi luoghi, che in passato avevamo abbandonato, con il fine di ri-abitarli. Non bastano però le parole recupero e valorizzazione se alla base di questa trasformazione manca un pensiero coerente sul progetto d’Architettura. Da tempo, il dibattito sui centri antichi, storici e più in generale sulla città, ha usato l’Architettura come fosse uno strumento “esecutivo” tralasciando la sua capacità di essere cambiamento non solo pratico, ma teorico, o per meglio dire in questo caso, culturale. Comprendere che l’architettura è per definizione un’arte della tecnica che tiene stretta a sé i due Saperi, illumina sul ruolo che questa ha e dovrebbe avere sulla rigenerazione di luoghi antichi da trattare con cautela, con gesti decisi e che riescano a cogliere il senso della tradizione, anche quella più difficile da ritrovare. I centri minori, come delle piccole πόλεις, racchiudono nella pietra e nei mattoni delle loro costruzioni un senso di collettività e di tradizioni che, insieme al paesaggio, costituiscono una sorta di eccezionale ecosistema che non si può tralasciare in un’operazione di rinnovamento di questi luoghi. Il genius loci vive anche tra le rovine, e non lascia mai la terra in cui è radicato. Questo spirito racchiude un rapporto straordinario tra la storia di chi abita questi luoghi e le costruzioni architettoniche che sono via via sorte e diffuse, che siano state queste spontanee oppure programmate, hanno costituito, ogni volta, un carattere di straordinaria unicità. Il rapporto tra architettura, città, luogo, legato dalle sequenze delle proprie storie, vede queste realtà come un sistema unico, dove l’una si identifica nell’altra e viceversa. Ogni città diventa così unica. Ogni città ritrova quella sua unicità nella varietà della sua Storia, nel disegno della sua forma urbana e nei linguaggi architettonici più particolari. Guardiamo la città “non come un insieme di repertori dai quali attingere, ma rivolta al riconoscimento di un’idea archetipa dell’architettura, basata sulla ripetizione di rapporti tettonico-spaziali, sorretti da immota e metafisica atemporalità” (Purini, 2010). Ribadire e tenere alta la tensione per il rilancio dei borghi e dei centri storici minori, collocati soprattutto delle aree interne del nostro paese, è riconoscere il gioco di costanti e di varianti che, con chiarezza, esibiscono la complessità della relazione tra le vicende originarie e la loro conformazione contemporanea: tra lo spazio abitato e l’ordine della natura, tra lo spazio urbano e l’ordine della cultura. I centri antichi che oggi occupano l’animata discussione sul “riabitare i territori marginali” dell’Italia e più in generale del Mediterraneo vanno letti in primo luogo come fossero dei libri testimoni, ognuno in modo diverso, di storia civile, di arti e tecniche definiti da forme ordini e proporzioni eterogenee tra loro. Aggiungo inoltre che è, a mio parere, generico definire qualunque insediamento minore centro storico, in quanto nel lessico del XX secolo la sua definizione ricade in quel “nucleo originale di una città, datato almeno di un secolo, in opposizione al concetto di città moderna.” Nel 1994 Cervellati tentava di sistematizzare e classificare con un criterio analitico la sorte dei piccoli centri storici definendoli al fine di sensibilizzare l’attento lettore alla reale condizione di “vita” di questi ultimi: abbandonati, trasfigurati, turisticizzati.

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In the last decade, there has been an increasing desire to renew the condition of “some places”, which have been abandoned in the past. The aim is reinhabit them. Talking about restoration and enhancement is not enough if, behind this transformation, there is no coherent thoughts on the Architectural project. For some time, the debate on old towns and their historic centre (more generally, on the city) used Architecture as an “executive” tool, forgetting its own ability to be not only a practical change, but also theoretical, or rather in this case, a cultural one. Understanding that architecture is, by definition, an art of technique that holds these two Knowledge (Theory and Practice) close to itself, clarifies on the role that it has and should have on the regeneration of old towns. The latter should be treated on one side with regard and on the other with decisive gestures that are able to grasp the meaning of Tradition, even if it will be something very hard to find out. The smallest old towns, as if they were πόλεις, symbolize, through the stone and bricks of their buildings, a sense of community and traditions which together with the landscape, constitute a sort of exceptional ecosystem that cannot be overlooked in the process of renewal of these places. The genius loci live even among the ruins, and never leaves the land to which it is rooted. This spirit contains an extraordinary relationship between the history of generations who live in these places and the architectural constructions that have gradually arisen and spread, whether these have been spontaneous or planned, because they have constituted, each time, a character of extraordinary uniqueness. The relationship between architecture, city and place, linked by the sequences of their past events, looks at these different realities as they’re a single system, where one identifies the other and vice versa. So, every city becomes unique and every city finds its uniqueness in the variety of its own History, in the design of its urban form and in the most particular architectural languages it has had. It is necessary to look at the city “not as a set of repertoires from which to draw, but aimed at recognizing an archetypal idea of architecture, based on the repetition of tectonic-spatial relationships, supported by motionless and timeless metaphysics” (Purini, 2010). To underline and keep the focus on the revitalization of small old towns and their historic centres, who are mostly located in the marginal areas of

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Re-inhabiting an ancient city

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.017

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Fig. 1 - Borghi e territorio, la forma dell’insediamento e strada di accesso: a. Alberona, la strada di accesso perimetra il borgo determinando affacci e traguardi privilegiati; b. Specchia, la strada di accesso attraversa il borgo privilegiando la struttura urbana; c. Locorotondo, la strada di accesso attraversa il borgo e lo misura introducendo all’ingresso e all’uscita luoghi pubblici di eccellenza; d. Presicce, la strada di accesso attraversa il borgo e si estende e misura il paesaggio. Villages and territory, the shape of the settlement and access road: a. Alberona, the access road around the village, determining privileged views and goals; b. Specchia, the access road crosses the village favoring the urban structure; c. Locorotondo, the access road crosses the village and measures it by introducing public places of excellence at the entrance and exit; d. Presicce, the access road crosses the villages extending and measuring the landscape.

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Trasfigurati, li definì, forse a causa della elevata richiesta di un turismo poco attento alla fragilità di questi luoghi e “abbandonati” a volte per ragioni economiche o in alcuni casi, costretti ad esserlo in seguito a terremoti o altre catastrofi naturali. Ciascuna di queste ragioni ha determinato un deterioramento del patrimonio abitativo, storico e perché no culturale dei centri minori già segnati dall’impoverimento del tessuto “produttivo” spostatosi nei centri di medio grande dimensione. Isolamento e spopolamento sono state le conseguenze dell’insieme di questi fenomeni. Ci sono tuttavia altri temi e considerazioni sulle quali vale la pena volgere l’attenzione: è necessario maturare una consapevolezza che la rinascita dei piccoli borghi passa attraverso il dialogo e il confronto come scambio di saperi pratici e teorici, al fine di arginare il fenomeno di spopolamento e/o invasione, soprattutto nel Mezzogiorno. Molte realtà, come molti paesaggi sono stati, negli anni passati, saccheggiate, lasciatemi passare il termine, anche a meri fini speculativi, causando danni spesso irreparabili. Una prospettiva fresca e intelligente deve inserirsi a sostegno della valorizzazione e delle politiche del “riuso”. Trasformare il deterioramento e la distruzione in una nuova realtà, viva e creativa capace di interpretare i valori identitari dei luoghi e la loro memoria. Questo approccio vede l’aspetto teorico accompagnato del progetto di architettura come condizione necessaria per virare il destino dei centri minori. La trasformazione è anche una metafora del tramandare, del portare alla luce un processo di cambiamento che in realtà è già iniziato tempo fa, che aspetta solo di proiettarsi in un futuro possibile, reale. La Storia e la tradizione sono il presente, ne sono parte integrante: sono strumenti di riforma e di sperimentazione, che legano le ragioni della quotidianità

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our country, it’s necessary to recognize the play of constants and variants that clearly exhibit the complexity of the relationship between the original events and their contemporary conformation: between inhabited space and the order of nature, between urban space and the order of culture. These old towns that today lead the discussion about “re-inhabiting the marginal territories” of Italy and more generally of the Mediterranean, should be read firstly as if they were witness books of civil history, arts and techniques defined by forms, orders and heterogeneous proportions. I might add that, in my view, defining all the smaller cities as historical centres is general, especially because its description in the XX century lexicon is “original nucleus of a city, dated at least a century, in opposition to the concept of modern city”. In 1994 prof. Cervellati (Cervellati, 1994) tried to systematize and classify the destiny of small historical centres with an analytical criterion. This criterion defined the historical centres as abandoned, transfigured, open to the tourism, places. He defined them “transfigured” maybe because of the high demand of tourism that does not take care of the fragility of these places and “abandoned” sometimes because of economic reasons or because of natural disasters. All these reasons have caused a deterioration of the architectural, historical and cultural her-

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e le ricompongono nel concetto stesso di progresso. La tradizione è in continuità con l’innovazione. Quell’innovazione è un’attività creativa che riconosce il proprio debito verso l’eredità storica, con coerenza e consapevolezza non come negazione o come mancanza di radicamento ai luoghi, ma in continuità con una consolidata e riconosciuta cultura che preserva la bellezza. Ma non dimentichiamo che al centro di qualsiasi rinnovamento c’è l’uomo e lo spazio di natura in cui vive. Riconsiderare e rileggere i luoghi marginali costruiti dall’uomo nel passato è uno tra i temi fondamentali, insieme a quello della forma della città, che oggi deve preoccupare e impegnare amministratori, progettisti ed esperti. In qualsiasi insieme urbano, che sia città, borgo o paese ci si scontrerà con l’identità del luogo che acquisisce le forme più diverse arricchendosi di volta in volta dalle immagini catturate dall’evolversi delle strade, dai monumenti e dei simboli che ospita, dalla sequenza dei quartieri, dalle innumerevoli variazioni tipologiche. Nella città teatro della storia e della memoria, le piazze, le case, le strade, gli spazi privati e quelli pubblici, nella dimensione domestica da una parte e collettiva dall’altra, si relazionano sinergicamente. Questa ricchezza, costituisce una preziosa risorsa in grado di orientare, determinare e favorire importanti processi di ricostruzione e di sviluppo. Molte delle città “antiche” a forte vocazione turistica non possono essere affidate a chi le vuole possedere ma a chi le abita, è necessario che la comunità residente torni ad identificarsi, attraverso il riconoscimento della sua ragione etica e tecnica. La conoscenza ha un’importanza decisiva in tutto questo processo, l’apprendimento specifico della realtà materiale, dei tipi edilizi, delle tecniche costruttive, della cultura abitativa che li ha generati, riducono il rischio di concentrarsi su partiche puramente estetizzanti.

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itage of the smallest towns already marked by the rural productive pauperisation. The old productive fabrics have moved to medium-large size city centres. Isolation and depopulation were the consequences of all these phenomena. There are, however, other topics and observations to talk about: we must gain experiences and awareness about what these small centers are. Their re-birth will take place through discussions and comparison as the share between traditional and practical knowledge. On this way, it’s going to be possible to avoid the depopulation and/or tourist invasions, especially in the South. Many realities and landscape, have been damage in the past, caused by some mere speculative operations. This changes are sometimes irreparable. The development policies need revolutionary perspectives to have new life into marginal small towns. The deterioration of this cultural roots will be defeated by new creativity that is able to interpreting the values of identity and memory for a specific space. Architecture designs can make a great contribution to the destiny of these old towns. Transformation is also a metaphor of passing down and bringing to the light a process of change that is just waiting for a real future, for a possible one. History and tradition are the present, they are an integral part of it. They are instruments of reform and experimentation, which link the reasons for everyday life. Tradition

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Fig. 2 - Sistema territoriale pugliese, la forma della maglia stradale: a. A ventaglio, Tavoliere e Bassa Murgia; b. A raggiera, Valle d’Itria e Arco Jonico. Puglia territorial system, the shape of the road network: a. Fan-shaped, Tavoliere and Low Murgia; b. Radial pattern, Itria Valley and the Ionian Arch.

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is in continuity with innovation. This innovation is the creative activity and it recognizes with awareness its debt to the historical heritage. This innovation does not deny the existence of this rooting: it would like to be part of the culture which preserve the beauty. But let’s not forget that, at the center of any renewal, there is the relation between human and space he lives. Reading marginal spaces, together with the shape of the city, is one of the most important topics of this Era. Administrators, architects, citizens, engineers, everybody should take care about this theme. In any urban ensemble, even it is a city or a small town, we will face to the identity of the place, which acquire the most diverse forms, enriching each time with the images captured by the evolution of the streets, by the monuments and symbols it hosts, by the sequence of neighborhoods, with countless typological variations. In the city theater of history and memory, squares, houses, streets, private and public spaces, in the domestic dimension on the one hand and collective on the other, interact synergistically. This wealth constitutes a precious resource capable of guiding, determining and promoting important processes of reconstruction and development. Many of the “ancient” cities with a strong tourist vocation cannot be entrusted to those who want to own them but to those who live there, it is necessary for the resident community to identify itself again, through the recognition of its ethical and technical reason. Knowledge has a decisive importance in this whole process, the specific learning of material reality, building types, construction techniques, housing culture that generated them, reduce the risk of focusing on purely aesthetic parts. The space of the city and the dimension of urban time, trace the ways of reading of the ancient city and its territory for the project of the Modern. An attitude that recaptures the consideration that the city is a question of form and at the same time an activity of knowledge and research, which holds together the reasons for memory and the needs of invention. Memory and identity are undoubtedly feasible in the preservation project, a development that entrusts the entire constitutive process of the city in its entirety, to the formal quality of each individual element. Reading the city thus procures the pleasure of the text and to some extent designing means taking part on it, in other words thinking of the urban space, ancient and contemporary, domestic and public, organized, polycentric and pluralist, capable of arousing, with the memory of sediment memories, new and wider imaginative processes. An alliance between architecture and the land that hosts it, the city, as art of building, where the order of details and the turmoil of the whole reside. This will continue to flourish, especially in the contemporaneity, if we are able to listen to the story of the generations that preceded us, convinced that from this modality our works will born with “great harmony”.

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Fig. 2 - Sistema territoriale pugliese, la forma della maglia stradale: c. Lineare tra le Serre Salentine e Leuca. Puglia territorial system, the shape of the road network: c. Linear between the Salento and Leuca greenhouses.

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Lo spazio della città e la dimensione del tempo urbano, tracciano le modalità di lettura della città antica e il suo territorio per il progetto del Moderno. Un atteggiamento che riconquista la considerazione che la città è una questione di forma e allo stesso tempo attività di conoscenza e di ricerca, che tiene insieme le ragioni della memoria e le necessità della invenzione. Memoria e identità sono senza dubbio attuabili nel progetto di preservazione, un sviluppo che affida alla qualità formale di ogni singolo elemento l’intero processo costitutivo della città nella sua interezza. Leggere la città procura così il piacere del testo e in qualche misura progettare vuol dire prenderne parte, in altre parole pensare allo spazio urbano, antico e contemporaneo, domestico e pubblico, organizzato, policentrico e pluralista, in grado di suscitare, con il ricordo di memorie sedimentate, nuovi e più vasti processi immaginativi. Un’alleanza dell’architettura con la terra che la ospita, la città, come arte del costruire, dove risiede l’ordine dei dettagli e il tumulto dell’insieme, questa continuerà a prosperare, soprattutto nella contemporaneità, se saremo capaci di prestare ascolto al racconto delle generazioni che ci hanno preceduto, convinta che da questa modalità le nostre opere nasceranno con “grande armonia”.

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urbanform and design Alla base del processo: scientificità del

U+D At the base of the process: scientific nature of the project and topicality of the theoretical foundations

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Emanuele Palazzotto

DARCH Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Palermo E-mail: emanuele.palazzotto@unipa.it

Tra kaos e kosmos, tra ordine e disordine, tra universali teorizzazioni e pensiero “debole”, tra modernità, postmodernità, surmodernità, tra crisi, pandemie e cambiamenti climatici… la condizione di pensiero dell’uomo contemporaneo spinge sempre meno verso assunzioni di giudizio assolute o definitive. In un mondo consapevolmente relativo e incerto, l’assumere una posizione decisa e consapevole può suscitare difficoltà se non sgomento, l’operare innumerevoli scelte consequenziali, come avviene nel processo operativo del progetto, potrebbe rivelarsi un dramma insolubile. In queste condizioni, ci sembra possa essere ancor più utile imporsi un attimo di pausa, per abbattere il rumore di fondo e consentire uno spazio adeguato alla riflessione sulla disciplina architettonica (seppure consci dell’esprimere un ragionamento inevitabilmente parziale e relativo), sui suoi fondamenti scientifici e sulla loro effettiva e fattiva attualità operativa nel campo del progetto di architettura.

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Il ruolo della teoria tra temporalità e temporaneità

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Oggi più che mai il ruolo dell’architetto contemporaneo si identifica nel suo essere gestore e navigatore in una sempre maggiore pluralità di processi. Operatore di sintesi significative, l’architetto lavora su molteplici e differenti livelli di complessità, ma al tempo stesso, nel confronto operativo con il progetto di architettura, necessariamente punta a ricondurre la molteplicità latente ad un nucleo di riferimento concettuale ben preciso, descrivibile e circoscrivibile. Questo nucleo potrebbe essere identificato con il “senso” o con “l’idea” portante di quel progetto, ciò che lo caratterizza, lo qualifica in quanto opera di architettura, lo distingue in quanto unicum, prodotto in quel momento, per quel contesto socio-geografico e culturale, da una specifica mente pensante. Sul medesimo piano di rapporti tra molteplicità e sintesi ha da sempre lavorato la fruttuosa dialettica osmotica che è instaurabile tra la teoria e il progetto. La teoria può, forse ancora oggi, essere vista come sfera di composizione (anche provvisoria) dei dualismi, come conoscenza necessaria per uno sviluppo consapevole del progetto e non certamente come ostacolo per i desideri e le capacità individuali. La teoria, se finalizzata al progetto, risulta piuttosto una condizione vitale per coltivare il talento, diventa fondamento razionale del “fare” da architetti, base scientifica su cui sviluppare gli spazi e le forme, o ambito nel quale descrivere le acquisizioni che dal progetto possono scaturire. Sotto un’altra dialettica, quella tra stabile ed effimero (che potrebbe essere definita anche come confronto tra temporalità e temporaneità) si gioca una buona parte dei dilemmi contemporanei. Temporalità e temporaneità si confrontano su un terreno più ampio e apparentemente astratto di contrapposizione, su un piano concettuale che distanzia e unifica al tempo stesso e che si rivela, anche per questo, profondamente attuale. La temporalità “conserva e prolunga il passato nel presente, e nel presente anticipa il futuro” (è quindi qualitativainclusiva e appoggia la lunga durata). La temporaneità, al contrario, può essere intesa come “una perpetua rimozione”: è “assenza”, nel non essere ancora e nel non essere più (ed è pertanto quantitativa-esclusiva) (Assunto, 1994).

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The role of theory between temporality and temporariness Today, more than ever, the role of the contemporary architect is identified in his being a manager and navigator in an ever greater plurality of processes. The architect, operator of significant syntheses, works on multiple and different levels of complexity, but at the same time, in the operational comparison with the architectural project, he necessarily aims to bring the latent multiplicity back to a very precise, describable and circumscribable core of conceptual reference. This core could be identified with the “meaning” or with the “idea” of that project, what characterizes it, qualifies it as a work of architecture, distinguishes it as a unicum, produced at that moment, for that social context -geographic and cultural, from a specific thinking mind. The fruitful osmotic dialectic that can be established between theory and project has always worked on the same level of relations between multiplicity and synthesis. The theory may, perhaps still today, be seen as a sphere of composition (even provisional) of dualisms, as knowledge necessary for a conscious development of the project and certainly not as an obstacle to individual desires and abilities. The theory, if aimed at the project, is rather a vital condition for cultivating talent, it becomes the rational foundation of “doing” as architects, a scientific basis on which to develop spaces and forms, or an area in which to describe the acquisitions that by the project arise. Under another dialectic, that between stable and ephemeral (which could also be defined as a comparison between temporality and tempo-

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.018

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In front of kaos and kosmos, order and disorder, general theorization and “weak” thought, modernity, post-modernity, over-modernity, between crises, pandemics and climate changes … man is nowadays not able to form an absolute opinion on anything. Making a choice can cause troubles, maybe desperation however, being obliged to opting for several consequent choices, as it happens in the planning process, can become an insoluble drama. Considering these aspects, we think it would be necessary to stop for a while in order to make some considerations (even though relative and partial) on the discipline, its scientific foundations and their actual feasibility in the architectural project.

progetto e attualità dei fondamenti teorici

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Fig. 1 - Giovan Battista Filippo Basile (18251891), docente alla Scuola per Ingegneri e Architetti di Palermo dal 1852 al 1891. Metodo per lo studio dei monumenti, 1856. Giovan Battista Filippo Basile (1825-1891), teacher at the School for Engineers and Architects in Palermo, from 1852 to 1891. Method for the study of monuments, 1856.

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La compresenza di essenzialità permanente e variabilità contingente nell’architettura va letta in rapporto all’uomo, in quanto “essere nel tempo”, nel suo tempo, ma anche nel tempo invariabile dell’umanità e del cosmo. Il soddisfacimento dei bisogni (anche spirituali) e delle facoltà generali dell’uomo resta, sempre e comunque, un obiettivo permanente del fare e del pensare l’architettura, una costante di necessità che non può essere elusa, a meno d’incorrere in una sua totale perdita di senso. Riflettere sull’essenza dell’architettura può consentire la riappropriazione di alcuni punti fermi e lo sviluppo di un possibile percorso, con l’obiettivo di pervenire ad una più ampia serenità di giudizio e di orientamento nella mappa sempre più complessa dell’architettura contemporanea. Un approccio scientifico al progetto Una prolungata esperienza di ricerca sulla didattica dell’architettura, condotta alcuni anni addietro nell’ambito del Dottorato di ricerca in Progettazione Architettonica di Palermo (il Dottorato di ricerca in Progettazione Architettonica con sede amministrativa presso l’Univ. di Palermo, originariamente consorziato con il Politecnico di Bari e le Università di Napoli “Federico II”, Reggio Calabria, negli anni 1993-98 ha coinvolto sul medesimo tema generale tre cicli di dottorato e tre scuole italiane di architettura. Con il coordinamento del prof. Pasquale Culotta, attraverso discussioni e confronti precisati con i tutor e con il Collegio dei docenti nei fitti avanzamenti della ricerca, le diciotto tesi esitate sul tema hanno indagato alcuni profili della didattica della Progettazione architettonica a Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Venezia, Pescara, Roma,

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rariness) a good part of contemporary dilemmas are at stake. Temporality and temporariness confront each other on a broader and apparently abstract terrain of contrast, on a conceptual level that distances and unifies at the same time and which reveals itself, also for this reason, profoundly current. Temporality “preserves and prolongs the past in the present, and in the present anticipates the future” (it is therefore qualitative-inclusive and supports the long duration). Temporariness, on the contrary, can be understood as “a perpetual removal”: it is “absence”, in not being yet and in no longer being (and is therefore quantitativeexclusive) (Assunto, 1994). The coexistence of permanent essentiality and contingent variability in architecture should be read in relation to man, as “being in time”, in his time, but also in the invariable time of humanity and the cosmos. The satisfaction of human needs (including spiritual ones) and general faculties remains, always and in any case, a permanent objective of making and thinking about architecture, a constant of necessity that cannot be evaded, unless you fall into a total loss of meaning. Reflecting on the essence of architecture can allow the re-appropriation of certain fixed points and the development of a possible path, with the aim of achieving a broader serenity of judgment and orientation in the increasingly complex map of contemporary architecture.

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Atene, Yale e Syracuse), ha offerto un interessante contributo orientato proprio in questa direzione, indagando sui margini di scientificità che investono il progetto di architettura, soprattutto attraverso le modalità di approccio e di trasmissione dello stesso. Uno dei risultati più vitali dell’esperienza è stata, per i dottorandi, l’acquisizione di una piena coscienza sui fondamenti del rapporto tra teorizzazione e didattica, tra scuola e professione, tra i legami con la tradizione e le spinte verso l’innovazione, rendendo evidente l’importanza per l’architetto (così come per il docente) del porsi in relazione, anche critica, con un contesto geografico e culturale ben preciso, inteso come struttura formativa e professionale di appartenenza. Questa “coscienza del fondamento” può suggerire possibili percorsi, partendo dalla comprensione di condizioni a volte cronologicamente distanti, ma che sono ancora in grado di rivelare sorprendenti analogie con problematiche di grande attualità. Una visione storicizzata della storia consente di attingere senza remore alla lezione perenne dell’architettura (come afferma Emanuele Severino il “tentativo di dimenticare il passato è controproducente nel senso che impedisce la stessa possibilità di allontanarsi dal passato” ed è quindi viziato da un’ingenuità di fondo; Severino, 2000), senza erigere steccati ideologici, rifuggendo da meschine logiche di schieramento preconcette o da fascinazioni modaiole spudoratamente contingenti (Severino, 2000). Nel caso specifico, molte delle ricerche, applicate su importanti momenti delle storie didattiche delle Scuole di architettura indagate, hanno consentito di riconoscere il dipanarsi di alcuni “fili rossi” su cui queste storie sono state intessute e di cui ancora oggi alcune di esse presentano e sviluppano, più o meno consapevolmente, ricche tracce e fruttuosi sedimenti. Al centro di questa esperienza di ricerca, condivisa, coerente ma inevitabilmente articolata, si potrebbe oggi riconoscervi una lezione comune, basandola su un’ipotesi di approccio scientifico al progetto, che assuma la temporalità come riferimento costante. Tale approccio può condurre alla revisione contemporanea di quel rapporto tra natura, arte e storia che ha caratterizzato importanti orientamenti della vicenda didattica di alcune delle scuole studiate, ma che certamente ha riguardato, e riguarda ancor oggi, ambiti fisici e culturali ben più estesi. Alcuni momenti di quest’approccio potrebbero essere schematicamente riconosciuti nei seguenti passaggi: - assunzione del valore dimostrativo della storia e riconoscimento critico dei suoi processi, come base di partenza per lo sviluppo di un pensiero orientato verso un futuro possibile e mai nostalgico; - attenzione puntuale nei confronti di alcune categorie elementari, “essenziali” e permanenti, osservate in una costante proiezione verso il nuovo e la contemporaneità; - predisposizione ad assumere il “carattere” proprio dell’opera non solo come una manifestazione del linguaggio utilizzato, ma come prodotto di una struttura di pensiero più profonda; - tensione verso un radicamento critico e non provinciale alle specifiche condizioni culturali e fisiche dei contesti e dei luoghi, in una compresenza coerente e sostenibile di localismo e globalismo (anche un sociologo come Edgar Morin individua tra i suoi “Sette saperi fondamentali” per l’educazione del futuro, la promozione di una “conoscenza capace di cogliere i problemi globali e fondamentali per inscrivere in essi le conoscenze parziali e locali”; Morin, 2002); - ammissione della volontà di non eludere il momento artistico (ed individuale) della disciplina, in una duplicità composta e non conflittuale di razionalità ed espressività, di scienza ed arte; - acquisizione di una corretta capacità di lettura del testo architettonico e di sua nuova sovrascrittura, nella considerazione del contesto urbano (o del singolo edificio) quale palinsesto mai del tutto compiuto, disponibile ad una perenne modificazione come condizione necessaria per la sua effettiva vitalità; - ricerca di un equilibrato rapporto tra le forme spaziali ed il mezzo utilizzato per definirle, riconoscerle e rappresentarle (il disegno, la plastica, oggi anche

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A scientific approach to the project A prolonged research experience on architecture teaching, conducted a few years ago as part of the PhD in Architectural Design of Palermo, offered an interesting contribution oriented precisely in this direction, investigating the scientific margins that invest the architectural project , especially through the methods of approach and transmission to it. One of the most vital results of the experience was, for the PhD students, the acquisition of a full awareness of the foundations of the relationship between theory and teaching, between school and profession, between the links with tradition and the drive towards innovation, making evident the importance for the architect (as well as for the teacher) of relating, even critically, with a precise geographical and cultural context, understood as a training and professional structure to which they belong. This “awareness of the foundations” can suggest possible paths, starting from the understanding of conditions that are sometimes chronologically distant, but which are still able to reveal surprising analogies with very topical problems. A historicized vision of history allows you to draw without hesitation from the perennial lesson of architecture, without erecting ideological fences, avoiding petty preconceived alignment logics or shamelessly contingent fascinations (Severino 2000). In this specific case, many of the researches, applied to important moments in the didactic histories of the schools of architecture under investigation, have allowed us to recognize the unraveling of some “red threads” on which these stories have been woven and on wich they develop still today, more or less consciously, rich traces and fruitful sediments. At the center of this shared, coherent but inevitably articulated research experience, we could now recognize a common lesson, basing it on a hypothesis of a scientific approach to the project, which takes temporality as a constant reference. This approach can lead to the contemporary revision of that relationship between nature, art and history which has characterized important orientations in the didactic events of some of the schools studied, but which certainly concerned, and still concerns today, much wider physical and cultural fields. Some moments of this approach could be schematically recognized in the following passages: - Assumption of the demonstrative value of history and critical recognition of its processes, as a starting point for the development of a thought oriented towards a possible and never nostalgic future. - Punctual attention toward some elementary, “essential” and permanent categories, observed in a constant projection towards the new and the contemporary. - Predisposition to assume the “character” of the work not only as a manifestation of the language used, but as the product of a deeper thought structure. - Tension towards a critical and non-provincial rootedness to the specific cultural and physical conditions of contexts and places, in a coherent and sustainable coexistence of localism and globalism (Morin, 2002). - Admission of the will not to evade the artistic (and individual) moment of the discipline, in a composed and non-conflictual duplicity of rationality and expressiveness, of science and art. - Acquisition of a correct ability to read the architectural text and its new overwriting, in con-

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Fig. 2 - Giovan Battista Filippo Basile (1825-1891), Appunti dalle Lezioni di Storia dell’Architettura. S.d. Tavola 1. Giovan Battista Filippo Basile (1825-1891), Notes from the History of Architecture Lessons. undated. Table 1.

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la modellazione solida tridimensionale…) con piena coscienza di quale sia il mezzo e quale il fine; - assunzione di una visione interdisciplinare del progetto come risultato di processi complessi che necessitano di ampi contributi, in un’ottica di dialogo e disponibilità e mai di cieca chiusura settoriale; - comprensione della necessità di uno scambio biunivoco tra teoria e prassi, tra formazione e professione, tra il progetto e la sua realizzazione. Un approccio di questo tipo comporta la possibilità di individuare motivazioni sostanziali, nel metodo compositivo-progettuale utilizzato per la scelta delle forme e delle geometrie che definiscono il “carattere” di un’opera di architettura. Comporta la possibilità di rivalutare il ruolo del singolo progettista, che opera in uno specifico momento storico e nel confronto con un luogo, come espressione di un contributo personale che risulta però significativo se inquadrato nel contesto più ampio dei processi generali e collettivi. Sotto tale ottica l’interpretazione della storia consente didatticamente, in un percorso di formazione, di appropriarsi dei suoi “materiali”, assumendo quella conoscenza critica necessaria a comprenderne i processi più intimi, includendo in ciò anche un rinnovato interesse per “l’ambiente”, inteso nella sua accezione più vasta, che riguarda non solo la dimensione fisica ma anche e soprattutto quella storico/artistica e culturale. Il rimando a fondamenti teorici, possibili e riconosciuti, basati su concetti “cosmici” generali e su azioni fondative primordiali, non semplicemente funzionali o formalmente arbitrarie, può certamente individuare, anche nel gioco complesso della dialettica del presente, le ipotesi di lavoro, segnando una significativa differenza di spessore negli atti progettuali. Input teorici forniti da idee come quelle di limite, di nodo, di recinto, di luogo, di soglia, di tettonica,

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sideration of the urban context (or of the single building) as a never completely completed schedule, available for perennial modification as a necessary condition for its effective vitality. - Search for a balanced relationship between spatial forms and the means used to define, recognize and represent them (drawing, plastic, today also three-dimensional solid modeling ...) with a full awareness of what the means and what the end is. - Assumption of an interdisciplinary vision of the project as a result of complex processes that require extensive contributions, with a view to dialogue and availability and never blind sectoral closure. - Understanding of the need for a two-way exchange between theory and practice, between training and profession, between the project and its realization. An approach of this type involves the possibility of identifying substantial motivations in the compositional-design method used for the choice of shapes and geometries that define the “character” of an architectural work. It involves the possibility of re-evaluating the role of the individual designer, who works in a specific historical moment and in comparison with a place, as an expression of a personal contribution that is however significant if framed in the broader context of the collective processes. From this point of view, the interpretation of history didactically allows, in a training course, to

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Development of the design process In conclusion of our reflection it could also be interesting to observe how the “scientific” path indicated above, in its various stages, can be easily organized following non-linear or consequential directions, but rather proceeding in freely composable moments following a hypertextual connection (Corboz, 1995 ), as a network of relationships that can be differently and freely interpreted through the selection of possible links that lead to one of the possible solutions, albeit temporary and partial. Hypertextuality of the path and substance of the teoretical foundations thus become two important constituent areas of a consolidated and at the same time current planning process. Theory, teaching and design are presented, once again, as interdependent moments of a single, scientific, open process, which contains analysis, synthesis and propositive thrusts towards new future definitions, freely manageable by the single conscious operator. Today more than ever it seems necessary that the theory gets dirty with the matter of the world in order to get closer to its constituent substance, while at the same time there is a need for a solidity of contents not subject to the innumerable changes in the direction of the first, unexpected, changing of the wind. It will be a question of reassessing the very

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Sviluppo del processo progettuale

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di luce riguardano categorie, temi e strumenti di perenne attualità: la loro esibizione, o la loro consapevole messa in crisi, può sempre fornire una base di riferimento essenziale per lo sviluppo di principi progettuali di validità universale e di facile trasmissibilità didattica. Anche l’opera costruita, può essere didatticamente intesa, essa stessa, quale strumento atto ad essere presentato come dimostrazione di un metodo (e ciò un corretto approccio storico-critico lo consente), partendo così dallo specifico della disciplina (le architetture) e definendo altresì un rapporto strettissimo tra la teoria e la prassi, ma anche tra ammaestramento e mestiere. L’ormai cronica mancanza di occasioni nella realizzazione delle opere – causata dalla generale disattenzione mostrata da parte della società italiana nei confronti dei temi e delle proposizioni espresse dalla cultura architettonica contemporanea – ha del resto inficiato, nel percorso su indicato, quell’importante momento della verifica, che è proprio di ogni procedimento scientifico, e che ha generato così un serio rischio d’inconsistenza per tutta la costruzione del cammino, la sua perdita di senso e di percepibile concretezza da parte della società civile. La consequenziale necessità dell’assunzione di un ruolo politico per l’Architettura, da parte degli architetti italiani, rimanda alle responsabilità di una classe professionale e di una committenza pubblica e privata segnata, fin troppo spesso, da una visione dalle prospettive drammaticamente corte.

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In conclusione della nostra riflessione potrebbe essere interessante osservare anche come il percorso “scientifico” sopra indicato, nelle sue diverse tappe, possa essere tranquillamente organizzato seguendo direzioni non lineari o consequenziali, ma bensì procedendo per momenti liberamente componibili seguendo una connessione ipertestuale (André Corboz afferma che “L’ipertesto genera contrasti, tensioni, discontinuità, frammentazione, assemblaggi che dà un sistema dinamico di percezione, rappresentazione o interpretazione della realtà”; Corboz, 1995), come una rete di rapporti differentemente e liberamente interpretabili attraverso la selezione di possibili collegamenti link)) che conducono ad una delle soluzioni possibili (l’ipertesto è molto eflink (link) ficace nel richiamare una figura che, con chiarezza, rappresenta ancora oggi la nostra contemporaneità, quale è quella della “rete”, intesa come modo di gestione del processo e non come fine ultimo cui fare tendere il prodotto del processo stesso, che nel nostro caso è il progetto di architettura), sebbene temporanea e parziale. Ipertestualità del percorso e sostanza dei fondamenti divengono così due importanti ambiti costitutivi di un procedere progettuale consolidato e attuale al tempo stesso. Teoria, didattica e progetto si presentano, ancora una volta, come momenti interdipendenti di un processo unico, scientifico, aperto, che contiene analisi, sintesi (forse più che di “sintesi” sarebbe corretto parlare di “convivenze di tesi”) e spinte propositive verso nuove definizioni future, liberamente gestibili dal singolo consapevole operatore. Oggi più che mai sembra necessario che la teoria si sporchi con la materia del mondo per riavvicinarsi alla sua sostanza costitutiva, mentre al tempo stesso si sente l’esigenza di una solidità di contenuti non soggetta agli innumerevoli cambi di fronte in direzione del primo, imprevisto, mutare del vento. Si tratterà di rimeditare sull’utilissima esperienza dedotta dagli ultimi anni di ricerca e di costruzione tecnica e disciplinare dell’architettura, rileggendo il nostro presente con uno sguardo più ampio, filtrando l’immediato intorno o le contingenze specifiche e provvisorie attraverso una lente che, evitando un eccesso di messa a fuoco analitica e anzi sfocando i contorni delle figure del presente (con un procedimento di astrazione) garantisca una visione sufficientemente sintetica, che abbia un margine più ampio di interpretazione sul reale e che faccia salva, al tempo stesso, la sostanza delle cose. Per un’ampia presa di coscienza sulla necessità e sul futuro possibile del progetto di architettura c’è ancora bisogno di uno sguardo laico, di un’apertura

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appropriate its “materials”, assuming the critical knowledge necessary to understand its most intimate processes, also including a renewed interest in “the environment” , understood in its broadest sense, which concerns not only the physical dimension but also and above all the historical / artistic and cultural one. The reference to theoretical foundations, possible and recognized, based on general “cosmic” concepts and on primordial founding actions, not simply functional or formally arbitrary, can certainly identify, even in the complex game of the dialectic of the present, the working hypotheses, marking a significant difference in thickness in the design acts. Theoretical inputs provided by ideas such as those of limit, node, fence, place, threshold, tectonics, light concern categories, themes and tools of perennial relevance: their exhibition, or their conscious putting in crisis, can always provide an essential reference base for the development of design principles of universal validity and easy didactic transmissibility. Even the built work can be didactically understood, itself, as an instrument capable of being presented as a demonstration of a method (and this a correct historical-critical approach allows it), thus starting from the specific nature of the discipline (architecture) and defining also a very close relationship between theory and practice, but also between training and profession. The now chronic lack of opportunities in the realization of the architectural works - caused by the general inattention shown by the Italian society towards the themes and propositions expressed by contemporary architectural culture - has furthermore affected, in the path indicated above, that important moment of verification, which is proper to every scientific procedure, and which has thus generated a serious risk of inconsistency for the entire construction of the path, its loss of meaning and perceptible concreteness on the part of civil society. The consequential need for Italian architects to assume a political role for architecture refers to the responsibilities of a professional class and a public and private client, all too often marked by a vision with dramatically short perspectives.

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rinnovata, di un discorso chiaro sulla centralità del progetto o sulla sua messa in discussione, così come servirebbe l’istituzione di un dialogo continuo tra i diversi attori, per uno scambio che sarebbe ancor più fruttuoso nel prolungato momento di crisi per l’architettura in cui ci si trova da fin troppo tempo ad operare.

useful experience gained from the last years of research and technical and disciplinary construction of architecture, re-reading our present with a broader gaze, filtering the immediate surroundings or specific and provisional contingencies through a lens that, avoiding an excess of analytical focus and indeed blurring the outlines of the figures of the present (with a procedure of abstraction) may guarantee a sufficiently concise vision, which has a wider margin of interpretation on the real and which at the same time may saves the substance of things. For a broad awareness on the possible future of the architectural project there is still a need for a secular gaze, a renewed openness, a clear discourse on the centrality of the project or on its questioning, as well as it would be necessary to establish a continuous dialogue between the various actors, for an exchange that would be even more fruitful in the prolonged moment of crisis for the architecture in which we have been operating for too long.

Nota Il presente saggio si sviluppa a partire dall’intervento (non pubblicato) presentato dall’autore in occasione del I Congresso Nazionale dei Dottorati di Ricerca in Progettazione, Torino 2003. Riferimenti bibliografici_References

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Assunto R. (1994) Il paesaggio e l’estetica, Novecento, Palermo. Corboz A. (1995) “L’ipercittà”, in Urbanistica, 103. Morin E. (2002) I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano. Ferrario P. (a cura di) (2000) “Dove sfuma il confine tra naturale e artificiale. Severino e il destino della tecnica”, intervista ad Emanuele Severino del 27/12/2010, in Antologia del TEMPO che resta (https://antemp.com/2010/12/27/emanuele-severino-dove-sfuma-il-confine-tranaturale-e-artificiale-severino-e-il-destino-della-tecnica/).

Fig. 3 - Schema della metropolitana di Londra: come metafora di uno schema ipertestuale, in essa è rappresentata una rete di percorsi e direzioni possibili, scambiabili attraverso nodi problematici. London Underground scheme: as a metaphor for a hypertextual scheme, it represents a network of possible paths and directions, exchangeable through problematic nodes.

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urbanform and design

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L’altra contemporaneità di Franco Purini

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Giuseppe Rociola

DICAR Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura, Politecnico di Bari E-mail: giusepperociola@yahoo.it

Questo studio è un pretesto per riflettere su uno dei modi alternativi con i quali può intendersi il progetto nella contemporaneità che, com’è noto, ha tra i più diffusi assunti programmatici il rifiuto della Storia, ritenuta incapace di suggerire invarianti e principi utili ad un presente contraddistinto da intensità, rapidità e pervasività dei processi socio-culturali mai vista prima: una frattura con il passato ritenuta da molti insanabile, se non salvifica. Ma il presente può anche essere l’occasione per indagare la sua profondità soggiacente, come “struttura di orientamento critico” in virtù della quale il progetto può divenire un fecondo esercizio di contrapposizione fra il sostrato culturale e lo spirito del tempo. Un sostrato che però non suggerisce alcun determinismo logico, ma una qualche forma di trasfigurazione che ne interpreti alcuni caratteri latenti ritenuti essenziali a descrivere in modo inedito il patrimonio complesso e conflittuale di una civiltà. A testimonianza di questa posizione, può essere particolarmente importante volgere lo sguardo al valore di quella che può definirsi “l’altra contemporaneità” di Franco Purini, da sempre impegnato a ricercare percorsi nei quali l’interpretazione della realtà sia fondata sul riconoscimento della coscienza storico-culturale mediante la quale leggere la “distanza critica” tra le cose, ponendo queste ultime sotto una luce inedita. Una luce capace di disvelare i valori nascosti delle compresenze che compongono la città e il paesaggio, non per ribadirle, ma per esplorare nuove tensioni in grado di aggiornarle. Ma tale “distanza” si coglie pienamente solo attraverso il progetto, l’unico modo secondo Franco Purini per conoscere davvero la città, come dimostra ad esempio la recente serie di disegni Tauns. Sono rappresentazioni illustrative di un procedimento combinatorio che tematizza alcune riflessioni teoriche, impresse in “organismi planimetrici” che esplorano l’applicazione di diversi princîpi insediativi, affermati e nello stesso tempo messi in discussione da varianti che ne verificano i limiti. Sono disegni esemplari nel rispecchiare un viaggio che parte dalla memoria per giungere ad esiti inaspettati che conservano singolarmente una specifica autonomia e una relativa compiutezza, preludendo a sviluppi, deroghe, mutazioni. In questo senso, l’analisi del Complesso di San Giovanni Battista a Lecce è un utile esercizio per tentare di decifrare le tecniche progettuali alla base del progetto inteso come “atto di conoscenza”, in grado di sublimare il retaggio culturale, ma non solo. È anche l’occasione per approfondire alcune questioni, oggi centrali, affrontate da quest’opera. Tra di esse c’è innanzitutto la natura interscalare dell’architettura, quando coinvolge simultaneamente la riflessione sullo spazio architettonico e la sua contemporanea influenza nella modificazione dello spazio urbano e dei suoi riferimenti percettivi. In secondo luogo, il “tessuto di relazioni” pensato da Franco Purini consente di ragionare sulle “aree di contrasti” generate dal periurbano che si confronta con il paesaggio rurale in trasformazione, spesso prive di una significatività riconoscibile sul piano morfologico e spaziale. Lo studio del complesso leccese consente infatti di indagare il ruolo del progetto nel rapportarsi con l’atopia e le problematiche persistenti che caratterizzano i frammenti liberi lasciati dalle lottizzazioni estensive, dimostrando come il contrasto alle loro patologie si possa perseguire non necessariamente rifiutandone la presenza con progetti che accentrino demiurgicamente tutti i valori linguistici e simbolici,

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This study reflects on an alternative way in which project in the contemporaneity can be understood, considering, as is well known, that it has the refuse of History among the most widespread programmatic assumptions, incapable of suggesting invariants and principles useful to a present characterized by intensity, speed and pervasiveness of socio-cultural processes never seen before: a break with the past considered by many people to be inevitable, if not salvific. But Present can also be an opportunity to investigate its underlying depth as a “critical orientation structure” by virtue of which the project become an exercise of contrasts between the cultural substrata and the spirit of the time. A substrata which, however, does not suggest any logical determinism, but a kind of transfiguration that interprets the latent characteristics essential to describe, in an unprecedented way, the complex and conflicting heritage of a civilization. As evidence of this cultural position, it may be important to analyze the value of the “other contemporaneity” by Franco Purini, interested to researching paths where the interpretation of reality is based on the recognition of historicalcultural conscience, through which to read a “critical distance” between things, placing the latter under a new light. It’s a light who can revealing the hidden values of the compresences characterizing the city and the landscape, not to repeat them, but to explore new tensions to updating them. But according to Franco Purini this “distance” is fully grasped only through the project, the only way to really get to know the city, as demonstrated by the recent series of drawings by Tauns. They represent a combinatorial procedure that focuses some theoretical reflections, imprinted in a series of “planimetric organisms” exploring the application of different settlement principles, established and at the same time put in crisis by variants that verify their limits. The analysis of the San Giovanni Battista Complex in Lecce is an attempt to decipher the design techniques underlying the project meant as an “act of knowledge”, capable of sublimating the cultural heritage, but not only. It is also an opportunity to investigate some issues, today central, addressed by this work. Among them, the interscalar nature of architecture, when it simultaneously involves the architectural space and its contemporary influence in the modification of urban space and its perceptual references. Secondly, the “tissue of relationships” designed by Franco Purini allows us to think about the “ar-

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The other contemporaneity of Franco Purini. The Parish complex of San Giovanni Battista in Lecce

Il Complesso parrocchiale di San Giovanni Battista a Lecce

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eas of contrasts” generated by the comparison between the periurban and the rural landscape in transformation, the latter often lacking a recognizable significance on a morphological and spatial level. In fact, the Lecce complex investigates the role of the project in dealing with the atopy characterizing the void fragments left by parcellings, demonstrating how the contrast to their pathologies can be pursued not necessarily by refusing their presence with projects that centralize all linguistic and symbolic values, or, on the contrary, with “regenerative” hypotheses of minimal intervention which often do not have the strength to positively interfere with the disjointments of the fringe belts. Because, as is known, there is a further possibility, which is to consider plots and alignments generated by the contradictions of urban processes, as data to be recomposed through the project, meant as a “laboratory of critical issues”. Inside it, signs and traces of the Existing act as an incipit to find new semantic and spatial values. A further interest in the study of Lecce’s project is its pedagogical role in understanding a renewed and dialogic relationship between project and history, beyond the easy objection of the intrinsic inactivity of the latter compared to the “elusive” contemporary condition. Because project can stimulate the Cultural Heritage, discerning and questioning archetypes, characters and types, making an unprecedented interconnection to overcome the chronological data to which they are anchored, to find innovative expressions of our time. The study also proposes a graphic-interpretative investigation on the design process, which no pretend to be the faithful transcription of the adopted method, because it trying to decipher a way of working in seeking conscious links with the Existing as a Compresence, not only physical, but above all cultural. The deliberately ambiguous result open to different hypotheses of the Tauns, poised between stability and incompleteness, characterizes also the parish complex of San Giovanni Battista. The project site is located on the north-eastern outskirts of the Salento capital, the result of the occupation of the countryside which, especially since the second half of the twentieth century, pushes the city towards the sea. Before then, the relationship between the rural tissue and the residential nucleus was very clear. A bond became more complex by the recent decades development that is replacing those agricultural plots with fragmented parcellings. The Parish of San Giovanni Battista occupies the void closing the main axis of one of the eastern districts, at the intersection with the infrastructural diagonal connecting the consolidated city to the stadium, acting as a hierarchical fulcrum. An axis that has Piazzale Cuneo as its opposite pole and further nodal elements incorporated between the blocks of “houses in line”, including a square-parking that opened towards a shopping mall and the parish of San Massimiliano Kolbe. The general plan of the project combines plots and alignments of the settlement fragments described and their disconnections, fixing links with the territory and introducing these relationships within a space representing the responses to collective issues and at the same time symbolic. These answers are not only referred to its religious function, but also to potential social influence as a meeting place for the whole neighborhood. The social community, in this case, is really accomplished only with the presence of the believers, recalling the initiatory role that in the first Christian communities was constituted by the very act of

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Fig. 1 - Inquadramento dell’area di progetto. General plan with the project site.

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oppure, al contrario, con ipotesi “rigenerative” di minimo intervento che molte volte non hanno la forza di interferire positivamente con le disarticolazioni delle cinture marginali.. Perché, com’è noto, esiste un’ulteriore possibilità, che è quella di assumere trame e giaciture riassuntive delle molteplici contraddizioni dei processi urbani, come dati da ricomporre mediante il progetto in quanto “laboratorio di questioni critiche”. In esso, segni e tracce dell’esistente agiscono da incipit di una trama alla quale attribuire nuovi valori semantici e spaziali, allo scopo di conferire a quelle disarticolazioni un significato collettivo e una finalità architettonica mai avuti prima. Un ulteriore motivo di interesse nello studio dell’intervento leccese è il suo ruolo pedagogico nella comprensione di un rapporto rinnovato e dialogico fra progetto e Storia, che vada oltre la facile obiezione dell’intrinseca inattualità della seconda rispetto alla “inafferrabile” condizione contemporanea. Perché il caso in esame disvela come, e con quali modalità, il progetto possa sollecitare l’Eredità culturale, discernendo e interrogando archetipi, caratteri, tipi e matrici figurative del territorio, avanzando una loro inedita interconnessione per superare il dato cronologico al quale sono ancorati e ricavarne innovative espressioni del proprio tempo. Lo studio propone anche un’indagine grafico-interpretativa sul processo compositivo, che non vuole in alcun modo pretendere di essere la fedele trascrizione di un metodo ma, assumendo il rischio concreto di confondere semplici coincidenze geometriche con le reali intenzioni del progettista, provare a decifrare una modalità di lavoro fortemente problematica nel ricercare legami consapevoli con l’esistente in quanto compresenza, non solo fisica, ma innanzitutto culturale. Il risultato volutamente ambiguo e aperto a diverse ipotesi delle Tauns, in bilico fra stabilità e incompiutezza, si ritrova nel complesso parrocchiale di San Giovanni Battista, per certi versi un manifesto di “deontologia urbana”

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dedicato all’opera collettiva per eccellenza: la città. Il sito di progetto è ubicato nella periferia nord-est del capoluogo salentino, frut frutto dell’occupazione sincopata della campagna che, soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento, spinge la città verso il mare. Prima di allora, il rapporto fra le trame rurali e il nucleo abitativo era chiarissimo, riassunto dai percorsi radiali che innervavano contemporaneamente la struttura urbana e i suoli agricoli, legandosi intimamente al tessuto coltivo e all’orientamento dei suoi lotti, gerarchizzato da casolari e masserie che fungevano da nodi accentranti sparsi. Un legame reso più complesso dallo sviluppo degli ultimi decenni che, superando il limite dell’attuale circonvallazione, sta sostituendo quei suoli agricoli con lottizzazioni additive, concentrando ad est, verso la costa di San Cataldo, la maggior parte degli edifici pubblici e dei complessi a carattere collettivo, come lo stadio di calcio, il palazzetto dello sport e la fiera, scuole e centri commerciali. All’interno di questo coacervo insediativo, la Parrocchia di San Giovanni Battista si insinua nel vuoto interstiziale che chiude l’asse principale di uno dei quartieri orientali, nel punto di intersezione con la diagonale infrastrutturale che collega la città consolidata allo stadio, agendo da fulcro gerarchico. Un asse che ha come polo opposto Piazzale Cuneo e ulteriori elementi nodali inglobati tra gli isolati di case in linea, comprendenti una piazza-parcheggio che apre verso un centro commerciale e, a duecento metri dal complesso analizzato, la parrocchia di San Massimiliano Kolbe. L’impianto del progetto assimila trame e giaciture dei frammenti insediativi descritti e delle loro disconnessioni, allacciando legami a distanza con il territorio e introiettando il complesso di queste relazioni all’interno di uno spazio che si prefigge il compito di rappresentare le risposte ad istanze collettive e nello stesso tempo simboliche, non solo in riferimento alla sua funzione religiosa, ma anche per la potenziale influenza so-

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the meeting, rather than by the physical place dedicated to the rites. This social archetype is transliterated into the compositional elementarism of primitive building gestures such as delimiting and covering, represented by the enclosure - a founding act - and the area within its perimeter, and by the volumes, arranged according to a precise “order”, understood here in the Augustinian meaning of putting together equal and unequal things according to the specific nature of each one. Raised on a podium, the parish complex articulates measures and hierarchies by the urban tissue, intersecting its traces with the structure of the project and giving a deeper meaning to the location of the presbytery, extending its meaning in relation to the perceptive links that are triggered with the context. The other variables are given by the directions of the existing buildings, further “cognitive” layers with which to interact, consubstantial data of the design writing, who interfere with the rationality of the enclosure and the podium, up to determine the position of the bell tower, which balances the main front with the churchyard. The result is a critic intersection between the city, read as a system of relationships in contrast with each other, the ritual sequences of the cult building and the perimeter of the lot: they influence the position of the liturgical space and the baptismal font, that is the geometric pivot of the directions that structure the large internal span with the four corner pillars. The latter is the protagonist of the

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Fig. 2 - Tracciati insediativi e individuazione delle gerarchie. Urban traces and identification of hierarchies.

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Fig. 3 - Ipotesi sul processo compositivo. Ognuno degli schemi “attiva” il ruolo delle singole parti nella generale articolazione del tutto, dalle membra architettoniche agli arredi sacri, finalizzando a scala maggiore i rimandi ai tracciati generatori che provengono dalla città e dal tessuto rurale. Si sottolinea il ruolo assunto dai pilastri della campata interna, essenziali nel fissare limiti e fulcri geometrici. Hypothesis on the compositional process. Each of the schemes “activates” the individual elements of the whole complex articulation, from the architectural parts to the sacred furnishings, finalizing on a larger scale the references to the generating weaves of city and rural fabric. It’s important to underline the role of the pillars of the internal span, essential in setting geometric limits and fulcrums.

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Fig. 4 - Il nuovo orizzonte visivo del quartiere (foto dell’autore). The new visual horizon of the neighborhood (photo by the author).

ciale come luogo aggregativo dedicato all’intero quartiere. Una collettività che, in questo caso, si compie davvero solo con la presenza dei fedeli, rievocando il ruolo iniziatico che nelle prime comunità cristiane era costituito dall’atto stesso dell’incontro, più che dallo spazio fisico dedicato allo svolgimento dei riti. Tale archetipo sociale viene traslitterato nell’elementarismo compositivo di gesti primigeni come il delimitare e il coprire, rappresentati dal recinto - atto fondativo - dall’area racchiusa all’interno del suo perimetro, e dai volumi, disposti in base ad un preciso “ordine”, qui inteso nell’accezione agostiniana del mettere assieme cose uguali e disuguali secondo la specifica natura di ognuna. Sollevato su di un leggero podio, l’intero complesso articola le misure, i limiti e le gerarchie suggerite dal tessuto, intersecando le sue tracce con quelle interne al progetto e donando un senso più profondo all’ubicazione dell’area presbiteriale perché, nel fissare il fulcro dell’aula liturgica, ne estende il significato in rapporto ai legami percettivi che si innescano con il contesto. Si costruisce in questo modo, nel punto cruciale della celebrazione eucaristica, il centro spaziale e simbolico dell’intero progetto. Le altre variabili sono date dalle direzioni del costruito esistente, ulteriori strati “conoscitivi” con i quali interagire, dati consustanziali alla scrittura progettuale che interferiscono con la razionalità didascalica del recinto e del podio, aprendo varchi, fissando intersezioni camtra pareti e limiti degli ambienti interni, fino a determinare la posizione del cam panile, che bilancia il fronte principale con il sagrato, orientando visivamente le trame altrimenti indifferenziate degli isolati che formano questa porzione di periurbano. Ne emerge un’intersezione volutamente problematica fra la città, dell’ediletta come sistema di relazioni tra loro in contrasto, le sequenze rituali dell’edi ficio di culto e il perimetro del lotto: da esse provengono i nodi da cui scaturisce la posizione dell’aula liturgica e quella del fonte battesimale, perno geometrico delle direzioni che strutturano la grande campata interna con i quattro pilastri angolari: quest’ultima è l’assoluta protagonista dello spazio interno, una sorta di richiamo alla shekhinah biblica, la cui dissonanza geometrica entra in rapporto con il volume primario dell’aula, dischiudendo attraversamenti visivi e camere provvedi luce. Ad unire la ricerca sullo spazio architettonico al suo fine sociale provve dono le geometrie nascoste: è un’unione che si riverbera negli scorci prospettici che connettono il complesso parrocchiale ai grandi vuoti lasciati dalle lottizza lottizzazioni incompiute. Lo dimostrano anche le trasparenze dell’endonartece e le fi finestre a nastro viste dal deambulatorio superiore, che “accolgono” visivamente gli edifici all’interno dell’Aula. O i due muri perimetrali che racchiudono l’l’hortus conclusus e il giardino di agrumi, dai quali ha origine la “linea di terra” che ordina a distanza i singoli edifici. È lo stesso principio che si ritrova nella certosa di San Lorenzo a Padula, dove l’ala est che delimita il chiostro agisce da orizzonte architettonico che sostiene visivamente la collina e il borgo sullo sfondo. L’intera successione dei volumi e delle suddivisioni esterne del complesso riesce così a ordinare, dall’interno, gli isolati residenziali sparsi, legandosi alla sommità delle case e agli allineamenti dei loro spigoli: un vero e proprio panopticon che mette assieme primi e secondi piani. La relazione tra i volumi che compongono il complesso, e quella che a sua volta si instaura fra questi e la città, segue inoltre una precisa dinamica legata alla distanza e all’altezza di osservazione. L’importanza di questo progetto si rivela poi nella capacità che ha di riorganizzare le orditure fisico-percettive del quartiere suggerendo future trasformazioni: un palinsesto “in potenza”, o la materializzazione di quelle proiezioni ipotetiche che tutti i disegni e i progetti di Franco Purini racchiudono come opera aperta. Il complesso parrocchiale di Lecce, pertanto, è un luogo idealmente in perenne costruzione, nel quale favorire l’edificazione civica e non solo religiosa della comunità. Esso, assorbendo le distopie urbane con le quali entra in contatto, si prefigge il compito dichiaratamente sociale di modificare il sito, conducendolo ad un nesso più autentico e profondo con il tempo ampio della storia e con le matrici dell’area culturale di riferimento, rielaborando i caratteri insediativi del territorio, sintetizzati ad esempio dalle corti e dai recinti che delimitano le masserie, o dai volumi primari che rievocano l’essenzialità tettonica delle chiese rurali e delle case coloniche. È un progetto che cerca un legame fra le trame storicizzate e iconografiche del paesaggio e il loro superamento, attraverso un lento lavoro di inventio, quella che Vitruvio illustra come

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Fig. 5 - Riletture del paesaggio rurale salentino (foto dell’autore). Re-readings of the Salento rural landscape (photo by the author).

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internal space, whose geometric dissonance enters into relationship with the primary volume of the cult space, opening up visual crossings and light passages. The research on architectural space is united with its social purpose thanks to hidden geometries: it’s a union reverberated in the perspective views connecting the parish complex to the large gaps left by fragmented parcellings. This is also demonstrated by the two perimeter walls enclosing the hortus conclusus and the citrus garden, from which originates the “horizontal reference” that orders the individual buildings remotely. It is the same principle found in the Charterhouse of San Lorenzo in Padula, where the east side that delimits the cloister is an architectural horizon visually supporting the hill and the village in the background. Thus the sequence of volumes and external subdivisions of the complex order, from the inside, the scattered residential blocks, binding to the top of the houses and to the alignments of their corners: a real panopticon that brings together foregrounds and backgrounds. The relationship between the volumes of the complex, and that in turn generated between them and the city, also follows a precise dynamic linked to the distance and height of observation. The importance of this project is then revealed in the ability it has to reorganize the physicalperceptive structures of the neighborhood, suggesting future transformations: a “potential” palimpsest, or the materialization of the

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Fig. 6 - Uno dei giardini interni (foto dell’autore). One of the internal gardens (photo by the author).

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“spiegazione di problemi insoluti e impostazione di un fatto nuovo”. La forma dunque è il risultato complesso di un processo che parte dal reale, non uno scopo o un fine in sé. Per mezzo del confronto dialogico con le preesistenze è così possibile indagare l’appartenenza culturale ad un palinsesto antropologico, all’interno di quelle che Franco Purini chiama “permanenze nell’esercizio compositivo, alla ricerca di paradigmi che non siano solo transitori”. In questo modo, il progetto simula le stratificazioni che si producono nelle architetture sottoposte ai processi urbani, attraverso una sottile rammemorazione che lo renda permeabile ai traumi che connaturano l’organismo urbano, tra permanenze e mutazioni, assumendone la trama per prefigurarne una precisa finalità, che è quella di migliorare l’ambiente di vita dei suoi abitanti. Un progetto costantemente in bilico tra un a priori e un a posteriori.

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L’analisi del complesso di San Giovanni Battista e le ipotesi sui tracciati compositivi, ha cercato di esplorare, per approssimazione, alcuni passaggi del processo progettuale di Franco Purini che, come si è detto, non hanno alcuna ambizione di essere trascrittivi della volontà autentica dell’autore. È un tentativo rischioso in bilico tra l’arbitrario e il pertinente. Ma non è forse questo lo spirito coltivato in un “progetto aperto”, soggetto inevitabilmente alla possibilità di essere travisato, nel momento stesso in cui lo si consegna al divenire della città, prevedendone fraintendimenti fecondi che possano continuamente interrogare sulle ragioni della sua presenza? Scavando oltre l’iniziale riconoscibilità dei suoi riferimenti tipologici, il complesso leccese mostra nelle sue articolazioni i conflitti insediativi del quartiere, i cui disvalori sono stati qui ribaltati per trasformarli in “invarianti etiche” elevate a testimonianza attiva del nostro tempo, attraverso un’indagine sulla memoria come struttura di orientamento critico che renda il progetto rappresentativo di un palinsesto culturale e degli interrogativi che lo mettono continuamente in discussione. In fondo tutti i progetti di Franco Purini esprimono questa tensione. Sono scritture che intervengono ad aggiornare il testo urbano per scoprirne significati inespressi o per ricercare nuovi equilibri tra dissonanze e interruzioni. È l’l’hic et nunc,, al tempo stesso dotato di una speciale profondità storico-culturale, dichiarata con un’attenta semplificazione linguistica o, per usare le parole di Dal Co, esercitando il “lusso della rinuncia”. Tutto questo indica una precisa direzione volta a trovare nelle trasformazioni della città una dimensione ontologica del progetto di architettura, lontano dall’essere soltanto la manifestazione autoreferenziale e provvisoria del tempo in cui l’opera viene concepita. Il progetto per Lecce, come l’intera opera teorico-progettuale di Franco Purini e dello studio Purini-Thermes, è il riassunto esemplare dell’ossessivo tentativo di manifestare quell’origine delle cose che vive nel presente come trama nascosta, conducendolo ad una nuova dimensione fisica e sociale. Volendo trovare una chiave di lettura che unisca le riflessioni esposte in questa sede, credo che il concetto di “durata” possa racchiuderle efficacemente. Durata che non è riferita alla capacità tecnica dell’edificio di resistere al trascorrere del tempo in quanto prodotto efficiente, ma “durata” intesa come continuità culturale che trova espressione nella “costruzione come continuazione” di cui ci parla Franco Purini, emblematica di come il progetto possa proporsi non solo come la risposta specifica ad un programma ma, tramite questo, ambire a riassumere le disfunzioni di un sito all’interno di un’opera che le renda innovativamente appartenenti all’Eredità culturale, accentuandone il portato collettivo.

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Conclusioni

hypothetical projections that all Franco Purini’s drawings and projects contain as an open work. By absorbing the urban dystopias with which it comes into contact, this project sets the social aim of modifying the site, leading it to a more authentic and deep connection with the vast time of history and with the matrices of the reference cultural area, re-elaborating the settlement characteristics of the territory, represented for example by the courtyards and enclosures of the farms, or by the primary volumes evoking the tectonic essentiality of rural churches and farmhouses. It is a project that seeks a link between the historicized and iconographic weave of the landscape and their overcoming, through a slow work of inventio, that Vitruvius illustrates as “an explanation of unsolved problems and the setting of a new fact”. The form is therefore the result of a process starting from reality, not an aim in itself. By means of the dialogic comparison with the pre-existences it is thus possible to investigate the cultural belonging to an anthropological palimpsest, within what Franco Purini defines “permanence in the compositional exercise, in search of paradigms that are not only transitory”. In this way, the project simulates the stratifications produced in the architectures under urban processes, through a subtle remembrance that makes it permeable to the traumas that characterize the urban organism, between permanence and mutations, improving the living environment of its inhabitants. It’s a project constantly poised between an a priori and an a posteriori. Conclusion The analysis of San Giovanni Battista complex and the hypotheses on its compositional structure tried to explore Franco Purini’s design method. Going beyond the recognizability of its typological references, the parish complex shows the settlement conflicts of the neighborhood in its articulations, whose negative values have been overturned to transform them into “ethical invariants” elevated as an active testimony of our time, through an investigation on memory as a structure of critical orientation that makes the project representative of a cultural palimpsest and of the questions that repeatedly put it into question. Anyway, all of Franco Purini’s projects express this tension. They are writings updating the urban text to discover unexpressed meanings or to search for new balances between dissonances and interruptions. It is the hic et nunc, at the same time endowed with a special historicalcultural depth, declared with a careful linguistic simplification or, using the words of Francesco Dal Co, exercising the “luxury of renunciation”. All this indicates a precise direction aimed at finding an ontological dimension of the architectural project into the transformations of the city. This project, like the entire theoretical-design work of Franco Purini and the Purini-Thermes studio, is an exemplary summary of the effort to manifest an origin of things that lives in the present as a hidden weave, leading it to a new physical and social dimension.

Riferimenti bibliografici_References Purini F. (2000) Comporre l’architettura, Editori Laterza, Roma-Bari. Purini F. (2012) Sette tipi di semplicità in architettura, Libria, Melfi. Purini F. (2016) Scritture urbane, Testo manoscritto presentato in occasione della Mostra “Tauns 2016”, Promossa dall’Università degli Studi della Basilicata, Dipartimento DiCEM. Matera, Cinema comunale, Palazzo dell’Annunziata, 14 – 21 aprile 2016. Purini F., La zolla urbana come unità insediativa. Tra parte e frammento, Manoscritto.

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urbanform and design Abitare tra terra e mare

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DICATECh Dip. di Ing. Civile, Ambientale, del Territorio, Edile e di Chimica, Politecnico di Bari E-mail: michele.montemurro@poliba.it

Le trasformazioni delle città d’acqua: relazione tra forme del porto e forme urbane nei processi di rigenerazione In questi ultimi anni, le città costiere hanno assunto un ruolo centrale all’interno dei processi di trasformazione di interi territori, dimostrando quanto la presenza dell’acqua (mare, fiume, lago o laguna) sia un catalizzatore dei percorsi di rigenerazione, non solo delle grandi realtà urbane, ma anche delle piccole e medie città. La scala degli interventi, le strategie territoriali ed urbane, la gestione dei processi trasformativi, sono alcune delle questioni che emergono dalla complessa relazione città-porto, sintesi spesso, delle contraddizioni ideologiche e scalari tra pianificazione e progettazione (Giovinazzi, 2008). Le aree portuali interessate dagli interventi di recupero e valorizzazione possono essere di due tipi: le città con il porto, di tipo industriale (Nord Europa), caratterizzate da grandi aree portuali delocalizzate, divenute oramai centrali; le città-porto, di tipo urbano (Mediterraneo), costruite su siti portuali di origine naturale, spesso interni o prossimi al tessuto consolidato, dove risulta negato il rapporto con la città. Nel primo caso, la presenza di vaste aree dismesse ha consentito la progettazione ex novo di quartieri o intere “parti” di città, come il Titanic Quarter a Belfast o l’Hafen City ad Amburgo (fig. 1). Nel secondo caso, gli interventi hanno affrontato la ricucitura della continuità tra porto e città assumendo il bacino d’acqua come centralità urbana; il progetto per il Porto Antico di Genova ha mostrato chiaramente come la “riscoperta” dell’acqua in contesti in cui questo rapporto era negato, sia stata capace di innescare profondi processi di trasformazione (Bruttomesso, 1991). Il porto è spesso un luogo delimitato e separato dalla città, radicato ma allo stesso tempo proiettato lontano attraverso la navigazione; un luogo che attraverso appropriate strategie di rigenerazione e connessione, può diventare lo spazio urbano rappresentativo e identitario della città costiera, in cui l’acqua diventa elemento di continuità che accoglie nuove forme dell’abitare, del lavoro, della cultura, del commercio, attrezzature turistiche, sportive e ricettive. La ricerca, di cui questo saggio espone dei risultati parziali, assume questa dimensione problematica considerando il porto come parte costitutiva della città e luogo dell’abitare che, ridando valore collettivo agli spazi d’acqua come nuove centralità e, senza interferire con le necessarie autonomie dell’infrastruttura, ricostruisce la continuità urbana e l’identità della città di mare. Il caso di studio individuato è quello di Mola di Bari in cui la revisione del precedente piano di espansione del porto, inizialmente orientato ad un grande incremento diportistico, riconosce la valorizzazione dei caratteri urbani legati al mare come risorsa imprescindibile per uno sviluppo sostenibile del turismo costiero e marino, con l’idea di trasformare il bacino portuale nel luogo rappresentativo della città.

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Transformations in water cities: relationship between the forms of the port and urban forms in the regeneration processes In recent years, coastal cities have assumed a central role within the transformation processes of entire territories, demonstrating how much the presence of water (sea, river, lake or lagoon) is a catalyst for regeneration processes, not only large urban realities, but also small and medium-sized cities. The scale of the interventions, the territorial and urban strategies, the management of transformative processes, are some of the issues that emerge from the complex cityport relationship, often a synthesis of the ideological and scalar contradictions between planning and design (Giovinazzi, 2008). The port areas affected by the recovery and enhancement interventions can be of two types: cities with ports, of an industrial type (Northern Europe), characterized by large disused delocalized port areas, which have now become central; the urban port-cities (Mediterranean), characterized by port sites of natural origin, often internal to or close to the consolidated fabric, where the relationship with the city is denied. In the first case, the presence of vast abandoned areas has allowed the design from scratch of neighbor neighbor-hoods or entire “parts” of cities, such as the TiTitanic Quarter in Belfast or the Hafen City in HamHamburg (fig. 1). In the second case, the interventions addressed the mending of the continuity between port and city by assuming the water basin as an urban centrality; the project for the Porto Antico in Genoa clearly showed how the “rediscovery” of water in contexts in which this relationship was denied, is capable of triggering profound processes of transformation (Bruttomesso, 1991). The port is often a place delimited and separated from the city, rooted but at the same time projected far away through navigation; a place that, through appropriate regeneration and connection strategies, can become the representative and identifying urban space of the coastal city, where water becomes an element of continuity that welcomes new forms of living, work, culture, commerce, equipment tourism, sports and hospitality. The research, of which this essay exposes partial results, assumes this problematic dimension considering the port as a constitutive part of the city and a place of living which, restoring collective value to water spaces as new centralities and, without interfering with the necessary autonomies infrastructure, reconstructs urban continuity and the identity of the seaside city. Mola di Bari is the case study where the revision of the previous expansion plan of the port, also aimed at a large increase in pleasure boats, is

Michele Montemurro

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Dwelling between land and sea

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Città-porto. Identità e relazioni “Si distinguono le città con porto dalle città-porto. Nelle prime i porti sono stati costruiti per necessità, nelle altre si sono creati secondo la natura dei luoghi; | Michele Montemurro | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 1 - Amburgo Hafencity. Hafencity Hamburg.

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Fig. 2 - Il porto di Ostia antica. The port of ancient Ostia.

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qui sono una mediazione o un completamento, llà l’inizio o il centro. Ci sono porti che restano sempre soltanto approdi o ancoraggi, mentre altri divengono palcoscenici e infine mondi (...) La natura dei porti dipende dal modo in cui il mare gli sta dentro, dai soggetti cui è accessibile: l’Atlantico o il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l’Adriatico è il mare dell’intimità”” (Matvejevic, 1987). L’insieme delle città-porto -porto costruisce una rete, strutturata su di un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro e quindi di citt città che si tengono per mano che esprime, secondo F. Braudel, una unità dello spazio del mediterraneo, modello anche di organizzazione sociale. Da un punto di vista insediativo, la città-porto è espressione formale del rapporto tra natura ed artificio, cioè tra le forme della geografia (approdi naturali) e gli elementi della forma urbana che interpretano il limite terraqueo. “Dei porti si è parlato, in genere, soltanto in rapporto ai viaggi di mare; tappe verso altri scali, luoghi di deposito e di scambi, aperti sul resto del mondo prima di tutto (...) In questa lunga storia di viaggi ci siamo soffermati solo raramente sul fatto che i porti erano anche città straordinarie” (Fortier, 1987). Il porto è stato nella storia elemento identitario per la sua centralità (Mileto) per la sua forma conclusa (Ostia) (fig. 2) per la sua capacità di gerarchizzare spazi e struttura della città costiera (Leptis Magna, Messina) (figg. 3 e 4), diventando parte organica della struttura urbana attraverso la continuità tra spazi urbani e spazi d’acqua (Trieste) (fig. 5). Come una grande architettura il porto è un esempio eccezionale di paesaggio costruito, dotato di una sua autonomia formale rispetto alla città, definita dalle forme del suolo (banchine e moli), delle architetture di grande scala (landmarks), del bacino (grande vuoto) in grado di costruire relazioni con le

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aimed at enhancing the urban characteristics linked to the sea as essential resources for development sustainable coastal and marine tourism, with the idea of transforming the port basin into the representative place of the city. City-port. Identity and relations “Port cities are distinguished from port cities. In the former the ports were built out of necessity, in the others they were created according to the nature of the places; here they are a mediation or a completion, there the beginning or the center (...) The nature of ports depends on the way in which the sea is within them, on the subjects to which it is accessible: the Atlantic or the Pacific are the seas of distances, the Mediterranean is the sea of proximity, the Adriatic is the sea of intimacy” (Matvejevic, 1987). The set of city-ports builds a network, structured on a set of maritime and land routes connected to each other and therefore of cities that hold hands which expresses, according to F. Braudel, a unity of the Mediterranean space, also a model of social organization. From a settlement point of view, the city-port is a formal expression of the relationship between nature and artifice, that is, between the natural forms of geography (landings) and the elements of the urban form that interpret the terraqueo limit. “Ports have generally been spoken of only in relation to sea voyages; (...) In this long history of travel we have only rarely focused on the fact that ports were also extraordinary cities” (Fortier, 1987).

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forme geografiche. Il porto appare come un “universo delle forme e dei luoghi che sembra staccarsi dalla terra per stare in quel limite geografico a cui noi tutti vorremo partecipare” (Rossi, 1990). Il senso del porto rispetto alla città è duplice e inverso: è un luogo in cui si sviluppano attività separate dalla città, caratterizzato dalle sue architetture fuoriscala, come gru, silos, fari, stazioni marittime e dogane, cantieri, forme simboliche e figure elementari della infrastruttura portuale; ma è anche luogo della città in quanto i suoi moli, muri e banchine, limiti del bacino d’acqua, sono prolungamenti dei percorsi urbani oltre la riva che formano un dispositivo spaziale reciproco da cui guardare la città e sperimentare una poetica di spazi inediti legata ai suoi grandi vuoti. “I moli sono i più degni difensori dei porti (...) sono diversi tra loro come lo sono i porti stessi: alcuni sono spuntati naturalmente dalla costa e su di essa si sono appoggiati, altri sono solo un mucchio di pietre trasportate da chissà dove e gettate alla rinfusa sul fondo marino. Sui primi si può passeggiare e oziare negli altri si può solo scaricare la merce e commerciare” (Matvejevic, 1987). L’acqua delimitata dai moli è un vuoto che assume valore di spazio e, invertendo l’espisteme della città di pietra, può costituire l’elemento di continuità della forma urbana in cui le forme insediative ed abitative si confrontano e si dispongono secondo specifiche grammatiche relazionali in grado di esaltare i valori spaziali dei bacini portuali. Nelle città d’acqua si genera quindi una complessità di relazioni tra tessuti edilizi e monumenti con le forme dello spazio pubblico declinato in piazze d’acqua e di pietra, canali e strade, darsene, un mondo articolato che costituisce la facies della città nella visione dal mare esaltando il significato del porto come “porta urbana”.

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Abitare le aree portuali. Forme insediative, abitative e costruttive dell’abitazione in legno negli spazi d’acqua urbani

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Living in the port areas. Forms of settlement, living and construction of the wooden house in urban water spaces The harbor space can be considered as a place of urban complexity, a water square overlooked by the parts of the city that build the waterfront, the places of tourism, fishing, such as the market and the fishing boats, the shipyard and the boats, transport, but also housing, work and commerce, recreational and sporting activities. The ports are the places where the material culture linked to the sea, the craft traditions of the seafaring and its rituals is staged, as the soul of the seaside city. Shared spaces and therefore representative of the community especially of small and mediumsized coastal cities, whose identity is also expressed through the forms and techniques of the traditional wooden construction of the buildings together with that of the boats and equipment of the port, memory of the rational link between cultivation, construction and navigation: in the main port cities of the Adriatic, the foundations, the piers, the briccole, the large roofs and the large attics, were often built by transferring materials and construction techniques from shipbuilding to shipbuilding civil.

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Lo spazio del porto può essere considerato come luogo della complessità urbana, una piazza d’acqua in cui si affacciano le parti della città che ne costruiscono il waterfront, i luoghi del turismo, della pesca, come il mercato e i pescherecci, il cantiere e le imbarcazioni, il trasporto, ma anche le abitazioni, il lavoro e il commercio, le attività ludiche e sportive. I porti sono i luoghi in cui si mette in scena la cultura materiale legata al mare, delle tradizioni artigianali della marineria e ai suoi riti, in quanto anima della città di mare. Spazi condivisi e per questo rappresentativi della collettività specialmente delle città costiere di piccole e medie dimensioni, la cui identità si esprime anche attraverso le forme e le tecniche della tradizione costruttiva in legno degli edifici insieme a quella delle imbarcazioni e delle attrezzature del porto, memoria del legame razionale esistente tra coltivazione, costruzione e navigazione: nelle città-porto principali dell’Adriatico, le fondazioni, i pontili, le briccole, i grandi tetti ed i grandi solai, sono stati costruiti spesso trasferendo materiali e tecniche costruttive dalla cantieristica navale a quella civile. Le tecniche costruttive aggiornate della carpenteria nautica in legno e le forme abitative rinnovate, formano una koinè delle città costiere: la costruzione a telaio controventato e tamponato, è utilizzata sia per le imbarcazioni che per i pontili, le piattaforme e le palafitte. Le forme abitative palafitticole si sono sviluppate in maniera coeva nel mondo ed in Europa, condividendo tipo e struttura in maniera diatopica come risposta alla necessità di abitare vicino all’acqua o nell’acqua, per ragioni di sicurezza, presenza di risorse ma anche per finalità ludiche. È una forma insediativa appropriata e stabile negli spazi d’acqua, leggera ma capace di resistere naturalmente agli effetti dinamici e chimici dell’acqua, alla forza del mare o al lento movimento verticale delle acque interne, ma in quanto ideale prolungamento dello spazio urbano oltre il limite della costa, ristabilisce la continuità con la città. “Provvisorietà” e “stabilità” come caratteri formali oppositivi della costruzione leggera in legno, così come alla “fissità” della palafitta si aggiunge la “mobilità” della casa galleggiante, fissa o semovente, le cui forme hanno

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The port has been an identifying element in history due to its centrality (Mileto) due to its finished form (Ostia) (fig. 2) due to its ability to hierarchize spaces and structure of the coastal city (Leptis Magna, Messina) (figg. 3, 4), becoming an organic part of the urban structure through the continuity between urban spaces and water spaces (Trieste) (fig. 5). Like a great architecture, the port is an exceptional example of a built landscape, endowed with its own formal autonomy with respect to the city, defined by the shapes of the ground (quays and piers), the large-scale architecture (landmarks), the basin (large void) able to build relationships with geographic forms. The port appears as a “Universe of forms and places that seems to detach itself from the earth to stay in that geographical limit to which we all want to participate” (Rossi, 1990). The sense of the port with respect to the city is twofold and inverse: it is a place where activities separate from the city develop, characterized by its out-of-scale architectures, such as cranes, silos, lighthouses, maritime and customs stations, construction sites, symbolic forms and elementary figures of port infrastructure; but it is also a place of the city as its piers, walls and quays, limits of the water basin, are extensions of the urban paths beyond the shore that form a mutual spatial device from which to look at the city and experience a poetics of unpublished spaces linked to its great voids. “The piers are the most worthy defenders of ports (...). On the former you can stroll and laze in the others you can only unload the goods and trade” (Matvejevic, 1987). The water delimited by the piers is a void that takes on the value of space and, by inverting the episteme of the stone city, can constitute the element of continuity of the urban form in which the settlement and housing forms are confronted and arranged according to specific grammars. relational able to enhance the spatial values of the port basins. In the cities of water, therefore, a complexity of relationships is generated between building fabrics and monuments with the forms of public space declined in squares of water and stone, canals and streets, docks, an articulated world that constitutes the facies of the city in the vision from the sea, enhancing the meaning of the port as an “urban gate”.

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Fig. 4 - Il porto antico di Messina. The ancient port of Messina.

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Fig. 3 - Il porto antico di Leptis Magna. The ancient port of Leptis Magna.

Fig. 6 - Mola di Bari in una foto aerea degli anni ’60. Mola di Bari in an aerial photo from the 1960s.

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Fig. 5 - Il porto di Trieste. The port of Trieste.

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origine nella tradizione nautica. La casa-barca e la casa galleggiante si distinguono per il grado di flessibilità, adattabilità, mobilità che la loro natura di imbarcazione può garantire, all’interno degli spazi e delle vie d’acqua di quelle città e di quei luoghi in cui la terra “contiene” il respiro dell’acqua, costruendo di volta in volta nuovi scenari urbani. Mola porto e città. Nuovi modelli insediativi e abitativi lignei negli spazi d’acqua urbani della città mediterranea Mola di Bari è una città-porto di piccole dimensioni affacciata sull’Adriatico (fig. 6), la cui identità è legata alla navigazione, alla pesca, alla cantieristica e al commercio, ma anche ai valori formali di una tradizione insediativa e abitativa in pietra e legno (palafitticola) pugliese declinata localmente che, in particolare, fa riferimento a due tipi di struttura lignea: il pontile/palafitta tradizionale su pali delle “Baracche” e il “Trabucco”, una struttura lignea a sbalzo sull’acqua dedicata alla pesca, più diffusa nel Gargano. La forma della città ha una forte relazione con la geografia: il centro antico, con il castello, è costruito su di una punta protesa nel mare, ordinato da una struttura a doppio pettine di tracciati interni E-O che ne interpreta la forma e da cui si estende il molo che protegge il porto antico. Questo è compreso tra il centro storico e la lama che arriva al mare in corrispondenza della Chiesa di Madonna di Loreto, limite naturale dell’edificato verso gli orti costieri ad Est. La città antica e l’espansione ottocentesca formano il waterfront dell’antico porto; il molo nuovo, si radica più ad Est, oltre la lama, includendo la fascia di costa su cui affaccia l’area dell’ex frantoio Gaslini.

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The construction techniques of the up-to-date nautical wooden carpentry and the renewed housing forms of a construction and housing culture, form a koinè of coastal cities: the braced and buffered frame construction is used both for boats and for piers, platforms and the stilts. The pile dwelling forms have developed coeval in the world and in Europe, sharing type and structure in a diatopic way as a response to the need to live near the water or in the water, for safety reasons, the presence of resources but also for fun. It is an appropriate and stable settlement form in water spaces, light but capable of naturally resisting the dynamic and chemical effects of water, the force of the sea or the slow vertical movement of inland waters, but as an ideal extension of the urban space beyond the limit of the coast, capable of building continuity with the city. “Temporary nature” and “stability” as opposing formal characteristics of the light wooden construction, as well as the “mobility” of the floating house, fixed or self-propelled, whose shapes originate in the nautical tradition. The house-boat and the houseboat stand out for the degree of flexibility, adaptability, mobility that their nature as a boat can guarantee, within the spaces and waterways of those cities and places where the land “contains” the breath of water, building new urban scenarios from time to time.

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Il tracciato territoriale che collega Mola a Rutigliano genera un sistema di ordine e misura del territorio detto “Capodieci”, costituito da una struttura di strade parallele, perpendicolari alla costa, che si ripetono ogni 500 metri verso Est e verso Ovest a partire dal centro antico, ordinando anche la parcellizzazione agraria. La chiesa della Madonna di Loreto segna, in corrispondenza dello sbocco della lama nel porto, la presenza del primo “Capodieci” ad Est e il confine della città verso la campagna costiera. Il porto è parte costitutiva di una città che si riflette nel mare secondo una rinnovata armonia con le forme della natura come gli scogli bassi con le sorgenti e i campi di Posidonia, la “lama”, gli orti, in quanto caratteri identitari della città. Ma anche nella relazione profonda e oppositiva tra la densità della città di pietra e il territorio agrario che, a partire dal campanile della Madonna di Loreto si proietta verso Est secondo la metrica del Capodieci che scandisce l’orditura degli orti costieri irrigui fino a Cozze. Il progetto (fig. 7) assume il valore identitario di questi caratteri e offre una risposta in termini di forma al programma di rinnovamento del porto di Mola, riconoscendo la necessità di costruire una relazione rifondativa tra città e porto, soprattutto nello spazio di “terramare”, quell’insieme di luoghi “anfibi”, posti al limite tra la terra e l’acqua. Il porto è assunto nel progetto come parte costitutiva e scenografica in cui la città si riflette (Dardi, 1988), una piazza d’acqua di cui il mare rappresenta l’elemento naturale di continuità in cui lo spazio urbano si estende, mentre, la città antica, i suoi monumenti, le mura e le banchine dei moli ne definiscono l’“internità”. Il porto assume, quindi, valore urbano ricostruendo criticamente la continuità interrotta tra gli “spazi di pietra” della città antica e gli “spazi d’acqua”, attraverso l’articolazione di parti urbane elementari in forma di “tessuti” riconoscendo il sistema casa-strada, analizzato sia nel tessuto urbano consolidato, che in quello “anfibio” in legno delle strutture balneari, ludiche, come morfema costitutivo. Morfema da cui trae origine il sistema pontile palafitta/casa galleggiante del progetto, ordito secondo la trama di un tessuto analogo, in continuità con i segni fondativi della struttura urbana e agraria di Mola: strutture lignee palafitticole, intelaiate o a catasta galleggianti in acqua e in pietra massive e stereometriche per i margini solidi orizzontali e verticali della città. Il porto assume valore di nuova e più importante urbanità in quanto luogo della mixitè tra funzioni abitative, produttive, ricettive e ludiche, attraverso l’integrazione delle funzioni preesistenti con tre nuove parti: il tessuto di palafitte e pontili che accoglie le nuove forme del lavoro e dell’abitare, in continuità con il centro storico e con la ex Gaslini, recuperata e destinata ad essere il nucleo principale dei servizi per il mare, per la nautica e per la balneazione; le case galleggianti ancorate e strutturate secondo un tessuto che ospitano le residenze sperimentali e di vacanza; le houseboat mobili e i “trabucchi fissi” strutture etimologicamente appartenenti al mare, assunte come forma insediativa ed interpretativa del sistema ricettivo, sostenibile e flessibile, definiscono un altro “quartiere” che dà nuovo senso al braccio del molo di sottoflutto, a Est del porto. Il molo antico diventa il luogo dei pescherecci e del mercato così come la riva interna si arricchisce di strutture per il diporto e la ristorazione affacciate sull’acqua. Il tema della palafitta, del “trabucco” e quello della casa galleggiante sono stati affrontati individuandone le grammatiche morfo-tipologiche, l’una riferita alla città e l’altra alle imbarcazioni per ridefinire il nuovo porto di Mola come luogo urbano in cui si rappresenta il legame tra la città, la sua marineria e il mare.

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Mola port and city. New models of living and wooden housing in the urban water spaces of the mediterranean city Mola di Bari is a small port city overlooking the Adriatic (fig. 6), whose identity is linked to navigation, fishing, shipbuilding and commerce, but also to the formal values of a settlement and housing tradition in Apulian stone and wood (pile-dwelling) declined locally which, in particular, refers to two types of wooden structure: the traditional pier/pile dwelling on poles of the “Shacks” and the “Trabucco”, more widespread in the Gargano. The shape of the city has a strong relationship with geography: the ancient center, with the castle, is built on a point protruding into the sea, ordered by a double-comb structure of internal EO paths which interprets its shape and from which extends the pier that protects the ancient port. This is between the historic center and the blade that reaches the sea at the Church of Madonna di Loreto, the natural limit of the building towards the coastal gardens to the east. The ancient city and the nineteenth-century expansion form the waterfront of the ancient port; the new pier takes root further east, beyond the blade, including the strip of coast overlooked by the area of the former Gaslini oil mill. The territorial route that connects Mola to Rutigliano generates a system of structure and measurement of the territory called “Capodieci”, perpendicular to the coast, which are repeated every 500 meters towards the east and west starting from the ancient center, also ordering the agricultural parcelling. The church of the Madonna di Loreto marks, at the outlet of the blade in the port, the presence of the first “Capodieci” to the east and the boundary of the city towards the coastal countryside. The port is a constitutive part of a city that is reflected in the sea according to a renewed harmony with the forms of nature such as the low rocks with the springs and the fields of Posidonia, the “blade”, the gardens, as identifying characteristics of the city. But also in the profound and oppositional relationship between the density of the stone city and the agricultural territory which, starting from the bell tower of the Madonna di Loreto, projects eastwards according to the metric of the Capodieci that marks the warping of the irrigated coastal gardens up to Cozze. The project (fig. 7) assumes the identity value of these characters and offers an answer in terms of form to the renewal program of the port of Mola, recognizing the need to build a refounding rela relationship between city and port, especially in the space of “terramare”, that set of “amphibious” places, placed at the limit between land and water. The port is assumed in the project as a constitutive and scenographic part in which the city is reflected (Dardi, 1988), a water square of which the sea represents the natural element of continuity in which the urban space extends, while the ancient city, its monuments, the walls and the quays of the piers define its “interiority”. The port can return to having urban value by critically reconstructing the interrupted continuity between the “stone spaces” of the ancient city and the “water spaces”, through the articulation of elementary urban parts in the form of “fabrics” that assume the relationship house-street, analyzed both in the consolidated urban fabric and in the “amphibious” wooden one of the bathing, recreational and fishing structures, as a constitutive morpheme. Morfema from which the floating house system of the project originates, warped according to the weft of a similar fabric, in continuity with the founding signs of the urban and agricultural structure of Mola: wooden structures

Conclusioni Il recupero dei grandi porti industriali (Nord Europa) e di quelli urbani (Mediterraneo) è diventato il motore trainante per lo sviluppo di intere città, attraverso interventi di ricostruzione/ricucitura della continuità perduta tra porto e città, capaci di innescare processi di trasformazione per l’intera realtà urbana e territoriale. L’assenza di una strategia di sviluppo della portualità, in | Michele Montemurro | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 2 - Il progetto del porto di Mola di Bari. The project of the Mola di Bari new port.

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framed by pile-dwellings, framed or piles floating in water and in massive and stereometric stone for the solid horizontal and vertical edges of the city. The port takes on the value of a new and more important urbanity as a place of mixity between housing, productive, receptive and playful functions, through the integration of pre-existing functions with three new parts: the fabric of stilts and piers that welcomes the new forms of work and living, in continuity with the historic center and with the former Gaslini, recovered and destined to be the main nucleus of services for the sea, boating and bathing; the floating houses anchored and structured according to a fabric that host the experimental and holiday residences; the mobile houseboats and “fixed trabucchi” structures etymologically belonging to the sea, assumed as a settlement and interpretative form of the accommodation system, in which to arrange rooms and services in a sustainable and flexible way, define another “neighborhood” that gives new meaning to the arm of the pier in the east of the harbor. The ancient pier becomes the place for fishing boats and the market, just as the inner shore is enriched with recreational and catering facilities overlook overlooking the water. The theme of the stilt house, of the “Trabucco” and that of the houseboat were addressed by identifying the morpho-typological grammars, one referring to the city and the other to boats to redefine the new port of Mola as an urban place in which it represents itself the link between the city, its navy and the sea.

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particolare pugliese, ha prodotto numerosi e incongrui progetti di ampliamento degli approdi a scopo diportistico favorendo uno sviluppo inorganico della costa, compressa spesso tra abusivismo edilizio, naturalità insidiata e crescita difforme delle strutture ricettive/portuali. Nel caso di studio individuato, quello di Mola di Bari, la revisione in atto del precedente piano di espansione del porto, invece, si indirizza verso la valorizzazione dei caratteri urbani legati al mare come risorse imprescindibili per uno sviluppo sostenibile del turismo costiero e marino, con l’idea di trasformare il bacino portuale nel luogo rappresentativo della città. Il progetto intende ridare gli “spazi d’acqua” alla città attraverso la realizzazione di nuove parti urbane elementari in forma di “tessuti” all’interno del bacino del porto, assumendo la relazione casa-strada sia del tessuto urbano “di pietra” che in quello “anfibio”, in legno, come morfema costitutivo. Le nuove parti urbane lignee, realizzate secondo tecniche costruttive navali applicate a tipi abitativi specifici (palafitte, case galleggianti, houseboat), riannodano il filo interrotto della tradizione abitativa della città di mare pugliese e si dispongono in continuità con le strutture urbane della città di pietra nello spazio di terramare, costruendo nuovi “quartieri” all’interno del bacino portuale. Paesaggio costiero, città e mare, con i suoi riti che scandiscono il tempo del giorno, costituiscono gli elementi invarianti di una nuova armonia in grado di rinnovare la tradizione, esaltando i valori identitari di questi luoghi di elezione e offrendo una risposta appropriata alla necessità di procedere attraverso percorsi del buon senso, sostenibili, capaci di conferire bellezza a luoghi già straordinari.

Conclusions The recovery of large industrial ports and urban ones has become the driving force for the development of entire cities, through interventions of reconstruction of the lost continuity between port and city, capable of triggering transformation processes for the entire urban and territorial reality. The absence of a strategy for the development of ports, particularly in Puglia, has produced numerous and incongruous projects for the expansion of landings for recreational purposes, favoring an inorganic development of the coast, often compressed between unauthorized building, undermined naturalness and uneven growth of accommodation facilities / port. In the case of study identified the ongoing revision of the previous port expansion plan, on the other hand, is directed towards the enhancement of the urban characteristics linked to the sea as essential resources for a sustainable development of coastal and marine tourism, with the idea of transforming the port basin into the representative place of the city. The project intends to restore “water spaces” to the city through the creation of new elementary urban parts in the form of “fabrics” within the port basin, assuming the house-street relationship of both the “stone” urban fabric and in the “amphibious” one, in wood, as a constitutive morpheme. The new wooden urban parts, built according to naval construction techniques applied to specific types of housing, reconnect the interrupted thread of the residential tradition of the Apulian seaside city and are arranged in continuity with the urban structures of the stone city in the terramare space, building new “neighborhoods” within the port basin. Coastal landscape, city and sea, with its rituals that mark the time of day, establish the invariant elements of a new harmony capable of renewing tradition, enhancing the identity values of these places of choice and offering an appropriate response to the need for proceed through common sense, sustainable paths, capable of conferring beauty on already extraordinary places.

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urbanform and design

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Architect, Specialist in Architectural and Landscape Heritage, Politecnico di Bari E-mail: germano.germano@live.com

Quando si parla di Malta, si fa solitamente riferimento all’isola maggiore dell’omonimo arcipelago immerso nello Stretto di Sicilia, la cui vocazione nodale al centro degli scambi tra popoli e culture del Mediterraneo ha dato origine a un genere composito che si riflette non solo nella lingua, amalgama di idiomi arabi e romanzi, ma nella stessa stratificazione urbana e nei caratteri dell’architettura. Questa sineddoche ha spesso escluso, ma anche preservato, gli elementi che caratterizzano l’isola minore: Gozo. Separata da Malta da un canale di 8 km, con una superficie di circa 67 km2 e una linea di costa di 42 km segnata da diversi approdi e porticcioli, essa si presenta come un territorio caratterizzato dalla presenza di numerosi acrocori sulla maggior parte dei quali sorgono altrettanti borghi, il più importante dei quali è costituito dal capoluogo Victoria, chiamata anche Rabat. La città è contraddistinta dalla presenza di una Cittadella arroccata su un promontorio che domina il sobborgo ai suoi piedi, Rabat, le cui dinamiche insediative e fasi costruttive sono state oggetto della tesi di laurea dello scrivente e di V. De Leo, S. Intini. M. Mauriello, A Nuzzi e S. Sciannameo, sotto il coordinamento del prof. Matteo Ieva del Politecnico di Bari. L’isola è stata popolata già a partire dal Neolitico, in seguito a diverse migrazioni provenienti dalla Sicilia. Con l’espansione commerciale dei Fenici e la seguente annessione romana vedono la luce i primi insediamenti e le prime fortificazioni che andranno a costituire la base delle successive evoluzioni urbane, grazie a una composizione regolare degli isolati che trova riscontro nell’ordito del tessuto odierno. Alla dominazione bizantina e a quella araba, che ha lasciato segni profondi nella cultura dell’arcipelago, ha fatto seguito un avvicendamento di dinastie (normanna, sveva, angioina, aragonese) sotto le quali è avvenuto un processo di progressivo accentramento urbano all’interno della Cittadella, coerentemente con il coevo fenomeno di incastellamento comune al resto dell’Europa. Nonostante l’avvento dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, l’arcipelago non ha retto all’attacco dei Turchi guidati da Sinan Pasha e nel 1551 la rocca di Gozo viene conquistata e distrutta, lasciando gran parte degli edifici in rovina. A partire dal XVII secolo, un notevole processo edilizio dota l’isola di torri difensive costiere e la città alta di un nuovo sistema di fortificazioni che modifica in maniera sostanziale l’assetto urbano con la demolizione di buona parte del tessuto della parte meridionale per far posto a imponenti bastioni. Il vincolo per gli isolani di ritirarsi sulla Cittadella durante la notte per sfuggire a eventuali scorrerie costiere viene quindi revocato, dando luogo a una libertà abitativa che si traduce in un incremento demografico a cui fa seguito un’inevitabile intensificazione edilizia. Si assiste quindi alla nascita dei villaggi e allo sviluppo dei quartieri del Rabato, nei quali sorgono edifici speciali, quali la chiesa e il convento di Sant’Agostino (1666), la chiesa e il convento di San Francesco (1666-1687), la chiesa di San Giorgio (1678) e la chiesa Matrice sulla Cittadella (1697-1711) sui resti della precedente chiesa matrice. Durante il XVIII vengono poi costruiti l’Ospedale di San Giovanni Battista (1729), la nuova Banca Giuratale (1733), la chiesa e il convento della Madonna delle Grazie dei Francescani Cappuccini (1742), la chiesa di San Giacomo

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The central vocation of the maltese archipelago in the Mediterranean Sea has given origin to a composite genre that is reflected not only in the maltese language but also in its the urban stratification and in the features of the architecture. This synecdoche has often excluded, but also preserved, the elements that characterize the minor island: Gozo, a territory characterized by the presence of numerous plateau on which there are often as many villages, the most important of which is the capital Victoria. The city is characterized by the presence of a Citadel perched on a promontory overlooking the suburb at its foot, Rabat, whose settlement dynamics and construction phases were the subject of my degree thesis. The island has been populated since the Neolithic age. With the commercial expansion of the Phoenicians and the following Roman conquest, the first settlements arose, forming the basis of later urban evolutions. With the succession of many dynasties a process of progressive urban centralization took place within the Citadel. Despite the advent of the Knights of the Order of St. John of Jerusalem, the archipelago did not withstand the attack of the Turks led by Sinan Pasha and in 1551 the fortress of Gozo was conquered and destroyed, leaving most of the buildings in ruins. From the 17th century, the island was equipped with coastal defensive towers and the upper town with a new system of fortifications that substantially changed the urban layout. A subsequent demographic increase led to the birth of villages and the development of the districts of Rabato. After the island became a British protectorate (1813) in 1964 Malta and Gozo became an independent nation within the Commonwealth and ten years later the Republic was declared, finally joining the European Union in 2004. The analysis of the urban organism of Rabat and of its fabric has revealed an interesting diachronic evolution (from the Punic-Roman phase up to the medieval one before the destruction caused by the siege), comparable to that of Mdina. The hilly nature of the island and the presence of the sea must have determined a settlement dynamics with an initial occupation of the coastal inlets and, later, along the “ridge” summit paths from which the settlements were generated. These, later abandoned at a later stage of geopolitical instability with return to the better defensible heights, were finally regained very late. The centre of Gozo’s Rabat rises close to a junction of territorial routes, that is, each one connecting two poles, corresponding to the present

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.021

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The Citadel of Gozo in Malta: regenerating through identity

La cittadella di Gozo a Malta: rigenerare attraverso l’identità

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(1740), l’Ospedale femminile (1787) e il Conservatorio per le ragazze (1789). Dopo una brevissima parentesi francese e un biennio di autonomia amministrativa, l’isola diventa un protettorato britannico (1813). A partire dalla seconda metà del secolo gli Inglesi costruiscono un acquedotto, scuole, biblioteche e ospedali, implementando il sistema viario, fognario e infine elettrico. Nel 1964 Malta e Gozo diventano una nazione indipendente all’interno del Commonwealth e dieci anni dopo viene dichiarata la Repubblica, entrando a far parte dell’Unione Europea nel 2004.

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Il metodo di lettura impiegato si è basato sull’interpretazione tipologico-processuale estesa a tutte le scale: territoriale, urbana, aggregativa ed edilizia. L’analisi dell’organismo urbano di Rabat, inteso come insieme organico di aggregazioni complementari collaboranti tra loro, e del suo tessuto, quale risultato di leggi formative e trasformative tipiche che determinano la formazione di aggregati urbani, ha rivelato un’interessante evoluzione diacronica (dalla fase punico-romana fino a quella medioevale precedente la distruzione causata dall’assedio), comparabile a quella di Mdina, che è stata congetturata anche attraverso lo studio delle tracce che permangono al livello sostrato nel ricostruito tessuto. La natura prevalentemente collinare dell’isola e la presenza del mare devono aver determinato una dinamica insediativa differente rispetto a quella dei territori continentali, perlomeno nella iniziale fase di antropizzazione, con un’occupazione iniziale delle insenature costiere e, in seguito, lungo i percorsi sommitali “di crinale” da cui si sono generati gli insediamenti, prima di alto promontorio e poi di valle e costieri. Questi, in seguito abbandonati in una fase successiva di instabilità geopolitica con ritorno sulle alture, meglio difendibili, e riconquistati definitivamente molto tardi. Il consolidamento dei villaggi a Gozo avviene solo a partire dal XVII secolo, momento in cui inizia ad allentarsi la stretta e secolare subordinazione nei confronti di Mdina, capitale dell’isola maltese, che può invece vantare una stratificazione urbana assai più antica. Il centro di Rabat di Gozo sorge a ridosso di un nodo di percorsi matrice di origine territoriale, atti cioè – ciascuno – a collegare due poli, corrispondenti all’attuale Triq ir-Repubblika, a cavallo tra l’area del sobborgo e quella della Cittadella, e alla principale direttrice Nord-Sud Triq Putjrial (letteralmente “porta principale”) che in passato doveva attraversare l’abitato seguendo le curve di di Triq Palma e Triq San Gorg, unendo i poli portuali di Marsalforn e Xlendi. L’irregolarità delle forme degli isolati in prossimità della salita verso la Cittadella indica una serie di trasformazioni e sostituzioni di tipi abitativi che, tuttavia, non celano le tracce dell’antica strutturazione pianificata della città; ciò permette di ipotizzare l’esistenza di un primo nucleo urbano del Rabato, individuabile dall’orientamento ortogonale leggibile nel tessuto odierno, con successivi avanzamenti lungo i percorsi che gemmavano dal percorso matrice di Triq Cassar. A questo iniziale nucleo, a cui si contrapponeva l’area occupata della Cittadella, segue una fase romana caratterizzata da un’espansione edilizia a trama regolare ma di diverso orientamento rispetto alla precedente, i cui i limiti urbani sarebbero identificabili a Sud dalla presenza di tombe extra moenia lungo Triq Vajringa mentre a Ovest e ad Est rispettivamente lungo Triq Santa Marija e Triq Putjrial. Il limite settentrionale era costituito dalla presenza dell’altura che deve aver avuto le funzioni di acropoli e di residenza, indagabile nella forma dei lotti delle più antiche abitazioni superstiti, in particolare quelle che si affacciano su Triq Melite Bernardo, percorso matrice che unisce le polarità, oggi come certamente in passato, di aree dedicate al culto occupate quindi da edilizia speciale. Nel Medioevo l’area libera lungo l’intervallum delle mura della Cittadella viene saturata da nuove abitazioni, fenomeno che si riscontra anche nel Rabato,

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Studio della cittadella di Gozo e del tessuto di Rabat

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Triq ir-Repubblika and the main North-South Triq Putjrial (literally “main gate”) which in the past had to cross the town following the curves of Triq Palma and Triq San Gorg, joining the port poles of Marsalforn and Xlendi. Many elements of the shapes of the blocks makes it possible to hypothesize the existence of the first urban nucleus of Rabato, identifiable by the orthogonal orientation readable in today’s fabric. This initial nucleus was followed by a Roman phase characterized by a building expansion with a regular pattern but different orientation from the previous one, whose urban limits could be identified to the south by the presence of extra moenia tombs along Triq Vajringa while the northern boundary was formed by the hill that must have had the function of acropolis and residence. In the Middle Ages the free area along the intervallum of the walls of the Citadel was saturated with new dwellings, a phenomenon that can also be seen in Rabato, where, along the main routes, the houses began to be built along the paths orthogonal to the “matrix” and defines closed blocks with the formation of the connecting paths. This process follows rules of aggregation common to many medieval centers, in which further phenomena of “spontaneity” of the existing fabric can be recognized through advancements on the street front and the formation of secondary paths. At present, the aggregative system in Rabato consists of single-family dwellings disposed one next to the other, mostly orthogonally to the paths. These types of dwellings can be classified as significant variants of the terraced house with a small courtyard with internal ventilation that houses the staircase, with a front ranging between 4 and 7 meters, in some cases reaching 9 and 12 meters. The irregularity of the blocks is often determined by the so-called phenomena of “medievalisation” and conditioned by the orography. The depth of the house is also quite variable. Similar dynamics can be found in the aggregation of the already mentioned dwellings along Triq Melite Bernardo on the Citadel. This confirms the autochthonous identity of the Maltese and Gozitan residential unit, made up of the natural evolution of the Mediterranean courtyard house, to be considered a matrix type that over time takes on intrinsic characteristics relating to social and housing needs. Thanks to the typological study, the dimensions of the space inside the enclosure were obtained, consisting of a basic cell of about 6 x 9 m, which initially occupied only one level and then developed in height with a floor intended for the residence, separated from the daily and productive activities intended for the lower floor. The variants could be conditioned by the position, such as the orographic conformation that made it necessary to access the domestic space upstream to prevent rainwater from flowing into the dwelling, or by the dimensional variation of the elements or component compartments, most likely depending on the different social conditions. The staircase to reach the upper floor is therefore a subsequent element and is also a frequent feature in the houses of Mdina, in the largest island. Near the staircase there is usually a well that could draw directly from the aquifer, through an excavation to the clayey layer, or collect rainwater coming from a system of roofs and terraces.

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The masonry equipment consists of globigerine blocks of an almost square shape (0.28 x 0.30 m) and rectangular one (0.50 m x 0.28 m) and a small number of diatones. The roofing system uses thin slabs of globigerina (8 cm), called xorok, 120 cm long and 20 cm wide, supported by a thick weave of stone arches or by wooden beams, protected by an upper layer of crushed stone and waterproofing ceramic fragments. The presence of an oil mill testifies to the productive autonomy of the Citadel. Many of these housing units were almost entirely destroyed by the siege of 1551 and the earthquake that struck Sicily with epicenter Noto in 1693. The entire northern area is now in a state of ruin and only traces of the boundary walls of the dwellings remain. This area of the fortress suffered the gradual abandonment by the population that supported the birth of new villages in the hinterland of Gozo. All subsequent building interventions have surprisingly avoided any kind of recovery, making the question of their regeneration topical. A general methodological shortcoming has not spared the architecture, as in the case of the restoration works completed in 2015, which concerned the entrance to the fortress, changing its appearance with the replacement of the original staircase in local stone to make way for a series of steps and accesses whose materials contrast with the identity of the place. A positive aspect of this operation was the discovery of interesting

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Fig. 1 - Il processo di saturazione dei percorsi nel Medioevo. Si noti la presenza di edifici a ridosso dell’antica chiesa matrice, su cui sorgerà la Cattedrale (elaborazione G. Germanò). The process of route saturation in the Middle Ages. Note the presence of buildings close to the ancient Mother Church, on which the Cathedral will rise (elaboration G. Germanò)

nel quale, lungo i percorsi principali, le case iniziano ad impiantarsi lungo i percorsi ortogonali ai “matrice” e giungono a configurare isolati chiusi con la formazione dei percorsi di collegamento. Dall’analisi del tessuto si evince che la loro formazione segue regole di aggregazione comune a molti centri medievali, in cui si riconoscono fenomeni ulteriori di “spontaneizzazione” del tessuto esistente mediante avanzamenti sul fronte strada e formazione dei percorsi di scarto. Aspetto evidente, ad esempio, nel carattere curvilineo di Triq San Gorg. Allo stato attuale, il sistema aggregativo presente nel Rabato risulta costituito da abitazioni unifamiliari disposte l’una di fianco all’altra, per lo più ortogonalmente ai percorsi. Tali tipi abitativi possono essere classificati come varianti significative della casa a schiera munita di una piccola corte di ventilazione interna che ospita la scala, con un fronte variabile tra i 4 e i 7 che, in alcuni casi di tipi monofamiliari non più riconducibili alla schiera tipica, raggiungono i 9 e i 12 metri. L’irregolarità degli isolati, si è accennato, è spesso determinata dai cosiddetti fenomeni di “medievalizzazione” (tale categoria, coniata da G. Caniggia, riassume i fenomeni di mutazione spontanea del costruito attuati durante la fase medioevale) cui si associa il condizionamento dovuto all’orografia. Anche la profondità dell’abitazione è piuttosto variabile. Dinamiche analoghe e maggiormente indagabili, per via della loro accessibilità in seguito a un processo di musealizzazione, sono riscontrabili nell’aggregazione delle già citate abitazioni lungo Triq Melite Bernardo sulla Cittadella. Da esse si evince, confermandola, l’identità autoctona dell’unità residenziale maltese e gozitana costituita dalla naturale evoluzione della casa a corte mediterranea, da considerarsi tipo matrice che assume nel tempo caratteristiche intrinseche relative a intervenuti fabbisogni sociali e di uso abitativo. Dallo studio tipologico si sono ricavate le dimensioni dello spazio costruito interno al recinto, di norma costituito da una cellula base di circa 6x9 m, che inizialmente doveva occupare un solo livello e, in seguito, si è sviluppata in altezza in un piano destinato alla residenza, separato dalle attività quotidiane e produttive ricavate al piano inferiore. Le varianti potevano essere condizionate dalla posizione, come la conformazione orografica che ha reso necessario l’accesso a monte allo spazio domestico per evitare lo scorrimento dell’acqua piovana nell’abitazione, o dalla variazione dimensionale degli elementi o dei vani componenti, dipendenti con ogni probabilità dalla differenziata condizione sociale. Si presume che Triq Melite Bernardo abbia ospitato sin dall’epoca romana le abitazioni dei ceti più abbienti, ma tale condizione deve essersi estesa all’intera Cittadella con l’aumentare dell’espansione urbana del Rabato nella parte valliva a ridosso delle mura. La scala per raggiungere il piano superiore è quindi elemento successivo ed è caratteristica frequente anche nelle abitazioni di Mdina, nell’isola maggiore. Presso quest’ultima è solitamente presente un pozzo che poteva attingere direttamente dalla falda acquifera, attraverso uno scavo fino allo strato argilloso, oppure raccogliere l’acqua piovana, proveniente da un sistema di tetti e terrazze. Riguardo al carattere e alla tecnica costruttiva, si consideri che l’apparecchiatura muraria consta di blocchi di globigerina di forma pressoché quadrata (0,28x0,30 m), probabilmente collocati di testa, blocchi di fascia (0,50x0,28 m) meno frequenti, e un numero ridotto di diatoni (o semi diatoni), riconoscibili per le dimensioni ridotte in facciata la cui carenza ha certamente contribuito alla vulnerabilità sismica. Il sistema di copertura prevede l’utilizzo di sottili lastre, sempre di globigerina (8 cm), chiamate in lingua locale xorok, lunghe 120 cm e larghe 20 cm, sostenute, al piano terra, da una fitta trama di archi in pietra, e al primo piano da travi lignee, protette da uno strato superiore di pietrisco e frammenti ceramici impermeabilizzanti. La presenza di un frantoio testimonia l’autonomia produttiva della Cittadella. Molte di queste unità abitative, pressoché integralmente crollate a causa dell’assedio del 1551 e al terremoto che colpì la Sicilia con epicentro Noto nel 1693, sono state acquistate dal governo nel 1981. Lo studio di queste abitazioni rivela importanti informazioni riguardo il carattere del tipo architettonico

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della casa maltese, ancora più preziose se si considera l’assenza di esempi coevi e la necessità di stabilire un’ipotesi circa l’assetto del tessuto della Cittadella precedenti le distruzioni. L’intera area settentrionale si presenta oggi in stato di rudere e resta solo traccia delle murature di confine delle abitazioni, parzialmente integre o ridotte a lacerti di muratura, dunque prive di coperture o di altri elementi che possano garantire la loro utilizzazione. Quest’area della rocca, che ha raggiunto tale degrado a causa dei citati fenomeni, subì il graduale abbandono da parte della popolazione che sostenne la nascita di nuovi villaggi nell’entroterra gozitano. Tutti gli interventi edilizi successivi hanno sorprendentemente evitato qualsiasi tipo di recupero, rendendo attuale la questione della loro rigenerazione. Elementi che fino ad oggi si sono posti come ostacolo a una rinascita organica del luogo, quali l’abbandono fisico e la cristallizzazione “ruskiniana” dell’esistente, possono in realtà porre la base per uno sviluppo in senso museale e didattico (termini che dovrebbero essere in relazione di sinonimia) di una realtà che, pur avendo perso la funzione di residenza, conserva ancora in modo durevole la trama del tessuto. Attualmente la promozione della storia locale, naturale o del folklore è affidata ad altrettanti piccoli “musei” ricavati nelle abitazioni più articolate e meglio conservate che in realtà offrono un’esposizione aggiornata al collezionismo da vetrinetta del XX secolo piuttosto che a un’adeguata sistemazione che ne valorizzi il valore storico e scientifico. Tale lacuna metodologica non ha risparmiato la compagine architettonica, già segnata dai mutamenti storici anche recenti, come nel caso dei lavori di restauro terminati nel 2015 che hanno nuovamente riguardato l’entrata della fortezza, mutandone per l’ennesima volta l’aspetto (risale al 1956 la controversa apertura di un portale d’accesso facendo breccia nelle mura storiche, a pochi metri dall’ingresso originale perfettamente funzionante) e snaturando l’immagine consolidata del fronte con la sostituzione della sinuosa scalinata in pietra locale, dal caratteristico colore giallo che ben si armonizzava con il resto del costruito, per far posto a una serie di gradini e di accessi i cui materiali contrastano con l’identità del luogo. Un aspetto positivo di questa operazione, anche se in realtà involontario, è stato il rinvenimento durante i lavori di silos neolitici ai piedi della fortezza, un antico accesso appena sotto il livello di calpestio del suo omologo medievale e la presenza di un’apparecchiatura muraria antica di forma ovoidale presso la Cattedrale, rivelando una ricchezza documentaria che merita un’azione precisa di indagine. In tal senso, l’area abbandonata nella zona settentrionale, che copre oltre la metà di quella dell’intera Cittadella, offrirebbe un’occasione unica di studio per una fase della città ancora oscura nelle fonti, ma il cui potenziale è evidente dalle riflessioni accennate. Un’operazione di ricerca archeologica potrebbe certamente portare alla luce una stratificazione la cui lettura diventerebbe possibile e fruibile grazie a una successiva sistemazione integrata con aree verdi, sempre di carattere formativo (esposizione botanica e coltivazione della flora autoctona) con l’ulteriore vantaggio di non produrre alcun impatto sul paesaggio, sia per le quote già sottolivello sia per la superfluità di elevati, ma di imbastire piuttosto un museo diffuso avulso dalle logiche prettamente speculative che stanno investendo l’arcipelago derivate dal crescente afflusso turistico.

Fig. 2 - Unità abitative lungo Triq Melite Bernardo. In evidenza le corti (elaborazione G. Germanò). Housing units in Triq Bernardo. In evidence, the courtyards (elaboration G. Germanò). archaeological traces, that deserves a precise investigative action. In this sense, the abandoned northern area would offer a unique opportunity to study a phase of the city still unclear in the sources. An operation of archaeological research could certainly bring to light a stratification whose reading would become possible and usable thanks to a subsequent arrangement integrated with green areas of an educational nature (botanical exhibition and cultivation of native flora) with the further advantage of not producing any impact on the landscape, but rather of setting up a widespread museum detached from the purely speculative logic that are investing the archipelago derived from the growing influx of tourists.

Riferimenti bibliografici_References Bezzina J. (2012) Victoria: a portrait of a city, Gutenberg Press, Malta. Cini C. (1990) Gozo: the roots of an island, Said International, Malta. De Leo V., Germanò G., Intini S., Mauriello M., Nuzzi A., Sciannameo S. (2013) Studio dei caratteri dell’architettura maltese, Gozo, Ir-Rabat. Riammagliamento del tessuto della Cittadella e riqualificazione dell’area periferica di Ir-Rabat, Tesi di laurea in Architettura (inedita), Politecnico di Bari. Fiorini S. (1986) “The Resettlment of Gozo after 1551”, in Melita Historica, 9(3), pp. 203-244. Vella G. (2007) “Settlement dynamics at Rabat. Gozo”, in The Sunday Times, Malta, November 11, pp. 60-61.

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urbanform and design

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Forme dell’Islam

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Claudia Sansò

DiARC, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli E-mail: claudia.sanso@unina.it

Il tessuto urbano delle città storiche occidentali ha subito nel corso dei secoli un significativo processo di stratificazione e consolidamento attraverso la complessità dei caratteri morfologici identificabili nei differenti principi insediativi dovuta anche alle diverse culture urbane dei popoli che le hanno abitate. La compresenza di molteplici etnie e culture che interessa la maggior parte delle città europee non è invece appropriatamente manifestata attraverso l’architettura che potrebbe peraltro farsi carico di rappresentare i valori del pluralismo e dell’integrazione. La costruzione di moschee nei centri storici, ad esempio, è spesso ostacolata preferendo la periferia quale luogo per la collocazione di edifici “estranei” sia ai nostri costumi che alla nostra cultura urbana (poiché si fondano su principi e giaciture che potrebbero alterare, oltre che l’immagine, anche le forme delle città storiche). Il contributo intende riflettere sul progetto di edifici islamici nei tessuti consolidati delle città d’Occidente e sui modelli insediativi e le procedure compositive che si possono adoperare, all’interno del tessuto consolidato, per la trasformazione e la rigenerazione della città storica. In particolare, si propone il progetto di due insediamenti islamici nel centro antico della città di Napoli, esito della sperimentazione progettuale in ambito della ricerca dottorale sui temi del progetto di moschee in città occidentali. I modelli culturali e spaziali che sono alla base del processo di costruzione urbana nel mondo islamico trovano corrispondenza nelle forme delle città del al-Islam. Queste forme che oggi appaiono molto differenti rispetto ai morDar al-Islam femi delle città occidentali, basati su regole d’impianto riferibili ai principi della città classica, sono talvolta considerate unicamente frutto di trasformazioni “spontanee” e “caotiche”, contrastanti con le forme precise e inequivocabili dei modelli urbani “ordinati” riscontrabili nel disegno di molte città europee. È impensabile infatti trasferire al tessuto storico delle città d’Occidente la modalità insediativa di un edificio moschea all’interno di un tessuto urbano islamico: “Il mercato (bazar), che è luogo pubblico al pari di una piazza europea, vi si disloca lungo una via che spesso è coperta, e che conduce alla moschea o ne lega più d’una in un grande sistema; la rete delle vie vi si dispone secondo una struttura ad albero, in cui dai tronchi principali si diramano i darb, e infine i cortili conclusi nelle impasses: è chiaro che tutto questo in Occidente è irripetibile” (Panzarella, 2000). Alle tematiche urbane, poste ed evidenziate da Marcello Panzarella sono dunque strettamente connesse questioni di natura compositiva. In altri termini, insediare una moschea o un complesso di edifici islamici in una città storica d’Occidente significa far entrare in contatto, senza avere l’ambizione di fonderli o ibridarli, lo spazio di un edificio legato alla cultura dell’Islam con i modelli insediativi formali, oltre che spaziali, propri della cultura urbana europea. Le risposte più frequenti che sono state date negli ultimi anni alla questione dell’insediamento di un edificio destinato al culto musulmano nelle città europee, sono state spesso tradotte in atteggiamenti volti a strategie di “rigenerazione urbana”, “ricondizionamento degli spazi” che prediligono l’adattamento – attraverso pratiche non spazialiste o fisiche – dell’esistente, piuttosto che una risposta formale che possa “arricchire” il tessuto storico delle città europee.

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Over the centuries, the urban fabric of western historic cities has undergone an important process of stratification and consolidation through the complexity of the morphology identifiable in the different settlement principles due to the different urban cultures of the peoples who inhabited them. The coexistence of several ethnic groups that today affects most European cities is not appropriately manifested through architecture which could also take on the responsibility of representing the values of pluralism and integration. The construction of mosques in the historical centers, for example, is often hindered by preferring the suburb area as a place for the placement of buildings “strangers” both to our customs and our urban culture (because they are based on principles and layers that could alter not only the image of historical cities but also the forms). The contribution aims to reflect on the design of Islamic buildings in the consolidated urban fabric of the cities of the West and on the settlement models and compositional procedures that can be used, within the consolidated urban structure, for the transformation and regeneration of the historic city. In particular, it proposes the two projects of Islamic settlement in the ancient center of the city of Naples, the result of design experimentation in the field of doctoral research. The cultural and spatial models that underlie the process of urban construction in the Islamic World are reflected in the forms of the cities of Dar al-Islam. These forms, which today appear to be very different from the morphology of western cities, based on rules of layout that can be applied to the principles of the classical city, are sometimes considered to be solely the result of transformations of “spontaneous” and “chaotic”, contrasting with the precise forms of urban models found in the design of many European cities. Indeed, it is unthinkable to transfer the settlement principle of a mosque building within an Islamic urban fabric to the historical structure of the western cities: “the market [bazaar], which is a public space like a European square, is located along a street that is often covered, and which leads to the mosque or binds more than one in a large system; the network of streets is arranged according to a tree structure, in which from the main trunks branch off the darb, and finally the courtyards concluded in the impasses: it is clear that in a western city is unrepeatable” (Panzarella, 2000). These urban themes highlighted by Marcello

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.022

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Islam forms. Mosques in the western urban centers

Moschee nei centri urbani occidentali

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Panzarella are therefore strongly connected compositional issues. In other words, inserting a mosque or a complex of Islamic buildings in a historic western city means bringing the space of a building linked to the culture of Islam into contact with the formal, as well as spatial, settlement models typical of urban culture. European, without trying to blend or hybridize them. The most frequent responses that have been given in recent years to the question of the establishment of a building intended for Muslim worship in European cities have often been translated into strategies of “urban regeneration”, “reconditioning of spaces” that favor the adaptation of rather than a formal response that can “valorize” the historical urban structure of European cities. The compositional exercises presented instead want to demonstrate the possibility of setting up an Islamic building within historic cities without alternating the morphology of the urban fabric but rather enhancing, through formal difference, the clarity of the layout. The compositional procedures of the design of any mosque and which first of all provide for the orientation of the quibla wall in the direction of Mecca, incorporate a series of appropriate choices both in terms of the typological structure and that of the spatial configuration — in a logic of plan/figure-background — about the relationship between the architecture (mosque, madrassa, Koranic school and other collective spaces) and the forms of the western city. The design of a new project must consider, for the purposes of an appropriate “compositional texture” (Purini, 2000), the quality, nature, geometry, and shape and size of the ‘support’ plane on which the figures are to be placed of the composition. As Franco Purini states, “you don’t build on abstract surfaces, without signs, on a tabula rasa. Composing a building always involves a close and prolonged dialogue, which at times acquires the characteristics of an antagonistic confrontation with a series of pre-existing elements that enter the composition, determining its results in a sensitive way” (Purini, 2000). The shapes around are therefore the first fixed elements of the composition that contribute to the final overall design, obtained after choosing which and how many formal objects to include or intentionally exclude. The first compositive exercise takes as reference the Bait Ur Rouf mosque built by Marina Tabassum in Dhaka. It is appropriate in size and geometry in the hypothesis and proposal of a small neighborhood mosque to be located in the insula of S. Giovanni in Porto in the Greek-Roman layout of the city of Naples. The insula, 35x191 meters, has a small free space where the structure of the building assumed for the “assembly” of the mosque fits appropriately without dimensional waste in the portion of the consolidated urban fabric of the ancient center of Naples. Via S. Giovanni in Porto would lead to the basement that occupies the entire empty space and could be the meeting place for the entire Muslim community and for the entire Neapolitan community. The building of the mosque aligns itself with the layout of the insula, resolving the correct orientation of the quibla inside through the rotation of the Aula: the typology does not deform or rotate or translate and can follow the shape of the city. Starting from this formal reference, the design of a hypogeal hypostyle mosque inserted into the subsoil of the “Underground Naples” was

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Gli esercizi compositivi presentati vogliono invece dimostrare la possibilità di insediare un edificio islamico all’interno delle città storiche senza alterarne la morfologia del tessuto urbano ma anzi valorizzarne, per differenza formale, la chiarezza d’impianto. Le procedure compositive che stanno alla base della progettazione di qualunque moschea e che prevedono anzitutto l’irrinunciabile orientamento del muro della quibla in direzione della Mecca, incorporano una serie di opportune scelte sia sul piano dell’assetto tipologico che su quello della configurazione spaziale rivolte ad un’attenta riflessione – in una logica di piano/figura-sfondo – inerente la relazione che si deve stabilire tra la struttura formale degli oggetti architettonici (moschea, madrasa, scuola coranica ed altri spazi collettivi) e la morfologia della città nella quale si propone di inserirli, in Occidente. Il disegno di un nuovo progetto e la forma che gli si conferisce devono dunque tener conto, in una logica di piano-figura/sfondo – ai fini di un’appropriata “tessitura compositiva” (Purini, 2000) – della qualità, della natura, della geometria, e della forma e dimensione del piano di “appoggio” sulla quale si intende disporre le figure della composizione. Come afferma Franco Purini “non si costruisce su superfici astratte, prive di segni, su una tabula rasa. Comporre un edificio comporta sempre un dialogo serrato e prolungato, che acquista a volte i caratteri di un confronto antagonistico con una serie di preesistenze che entrano nella composizione determinandone in maniera sensibile gli esiti” (Purini, 2000). Le forme al contorno sono dunque i primi elementi fissi della composizione con cui fare i conti che concorrono al disegno d’insieme finale, ottenuto – dopo aver scelto quali e quanti oggetti formali includere o intenzionalmente escludere, e come considerare nuove possibili figure in ambito urbano – attraverso una serie di operazioni proprie dell’atto del comporre. Il primo esercizio di composizione assume la moschea Bait Ur Rouf realizzata da Marina Tabassum a Dhaka, in Bangladesh quale referente appropriato per dimensione e carattere nella ipotesi e proposta di una piccola moschea di quartiere da collocare nell’insula di S. Giovanni in Porto nell’impianto greco-romano della città di Napoli. L’insula che misura 35x191 metri presenta tutt’ora un piccolo spazio libero per tutta la larghezza ove l’impianto dell’edificio assunto per il “montaggio” della moschea si inserisce appropriatamente senza scarti dimensionali, nella logica formale/compositiva, nella porzione del tessuto urbano consolidato del centro antico di Napoli. Da via S. Giovanni in Porto si accederebbe, assorbendo la acclività del cardo, al basamento che occupa l’intero spazio vuoto e che potrebbe costituire il luogo d’incontro e spazio collettivo per l’intera comunità musulmana come per l’intera unità di vicinato. L’edificio della moschea si allinea alle giaciture dell’ dell’insula risolvendo solo all’interno il corretto orientamento della quibla attraverso la rotazione dell’aula: il tipo non si deforma o ruota né trasla e può assecondare, senza iati e fratture, la forma della città. A partire da questo referente formale, si è ipotizzato, nella proposta progettuale “dedotta”, il disegno di una moschea ipostila ipogea, cavata e inserita nel sottosuolo ribollente e ancestrale della “Napoli sotterranea”, il doppio speculare da quella visibile. Dallo slargo, che si determina anche grazie all’ipotesi di eliminare un edificio non avente alcun valore architettonico, si accede ad un primo livello ctonio dove una superficie d’acqua rappresenta il momento dell’abluzione preliminare alla preghiera, che invece trova luogo in un livello più profondo, ove la teoria di colonne cui corrisponde sullo spalto sopra terra una analoga sequenza di palme solcate da rughe d’acqua, si dirada in prossimità del centro per dar luogo ad un grande spazio cupolato, inscritto in un quadrato orientato verso La Mecca e visibile al piano della piazza. Dalla strada, ove riaffiora la calotta della cupola lungo la quale è incisa un’asola in direzione della città santa, lo spazio sgombrato ma punteggiato dalle palme della piccola piazza, segna, anche attraverso la decisione di far sprofondare nelle viscere della città lo spazio musulmano sacro, celato come negli antichi culti dedicati a Mitra in epoca romana, il piano elettivo dell’incontro e del dialogo tra la cultura napoletana e quella islamica. La seconda composizione, invece, lavora in una condizione urbana singola-

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Fig. 1 - Schemi compositivi sulla griglia del centro storico della città di Napoli. Compositional pattern on the grid of the historic centre of Naples.

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Fig. 2 - Esercizio di Composizione II. Montaggio analogico di Yldrim Kulliye di Bursa a piazza Mercato e due soluzioni di progetto dedotte . Composition exercize II. Analogic montage of Yldrim Kulliye of Bursa to Piazza Mercato and two corresponding design solutions

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re per la città di Napoli, quella di piazza Mercato: un grande spazio aperto all’interno di un tessuto denso, quello dei “quartieri bassi” di matrice goticomedioevale ove le Yldrim Kulliye di Bursa vengono, in questa condizione diradata, opportunamente assunte come “modello” di una modalità insediativa che lavora sulla relazione tensionale tra oggetti distinti, dei bâtiments solitaires, messi tra loro in composizione. L’esercizio analogico e di misura prevede anzitutto la demolizione dell’intero emiciclo tardo settecentesco a meno della chiesa posta nel centro, opera di Francesco Sicuro, e del famigerato palazzo Ottieri lasciando nella nuova grande piazza serrata tra la chiesa di Sant’Eligio e quella del Mercato, aperta al mare, solo la piccola Chiesa di S. Croce e Purgatorio al mercato che “partecipa” alla composizione in luogo e in sostituzione per traslatio della tomba del Sultano della Kulliye di Bursa. L’eliminazione dell’emiciclo assieme a palazzo Ottieri muove dalla considerazione che tale complesso, sin dalla sua costruzione abbia dimostrato di non essere capace per altezza e forma a ri-definire l’originario Campo del Moricino. L’edificio della moschea ruota per intero in direzione della Mecca mentre l’edificio della madrasa segue la giacitura ortogonale all’impianto medievale della città a ridosso di piazza Mercato a nord e ad est. Le tre figure autonome trovano, attraverso loro giustapposizione, una configurazione riferibile ad un un principio insediativo “greco” che lavora in una logica di “apertura” e di intervalli spaziali topologici tra gli oggetti piuttosto che di delimitazione. Un principio o meglio una “concezione dello spazio” per dirla à-la Giedion in questo caso immessa e chinata a riconfigurare proprio un luogo dove invece vige il principio di densità e chiusura dell’ambiente costruito. Il modello assunto propone la costruzione di un luogo “aperto” nella disposizione delle forme e di conseguenza nella intenzionale affermazione di voler far assurgere questo

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hypothesized in the design proposal. From the widening, which is also determined thanks to the hypothesis of eliminating a building having no architectural value, you access a first underground level where a surface of water represents the moment of ablution. The place of prayer is instead located at a deeper level where the columns thin out near the central dome. From the street, where you can see the dome, the palm trees mark the floor of the encounter and dialogue between Neapolitan and Islamic cultures. The second composition works in a singular urban condition for the city of Naples, Piazza Mercato. A large open space within a dense fabric of Gothic-medieval matrix where the Yldrim Kulliye of Bursa are taken as a “model” of a settlement modality that works on the tensional relationship between distinct objects, bâtiments solitaires, placed in relation to each other. The exercise envisages first of all the demolition of the entire late eighteenth-century hemicycle except for the church located in the center, the work of Francesco Sicurezza, and of Palazzo Ottieri, leaving only the small Church of S. Croce e Purgatorio al Mercato that “participates” in the composition to replace the tomb of the Sultan of the Kulliye of Bursa. The elimination of the hemicycle and the Palazzo Ottieri derives from the consideration that this complex has shown since its construction that it was unable to re-define the original Campo del Moricino. The mosque building rotates entirely in the direction of

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Fig. 3 - Esercizio di Composizione I. Montaggio analogico della moschea Bait Ur Rouf di Tabassum nell’insula di S. Giovanni in Porto e progetto dedotto. Composition exercize I. Analogic montage of the mosque Bait Ur Rouf of Tabassum in the ‘insula’ of S. Giovanni in Porto and the corresponding project.

| Claudia Sansò | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Le proposte progettuali presentate si inseriscono nel dibattito culturale della trasformazione delle città storiche a partire dal tema della costruzione di moschee ed edifici ad essa annessi che hanno, nei territori dell’Islam, modalità insediative differenti rispetto a quelle delle nostre città d’Occidente. Queste proposte considerano la tutela del patrimonio formale di una città senza però rinunciare alla trasformazione di parti storiche che non possono rientrare in una logica meramente conservativa, né dal punto di vista culturale né morfologico ma che necessitano di rappresentare, attraverso il progetto del nuovo, anche il nostro tempo. Tale posizione è animata da una visione critica nei confronti della risoluzione emergenziale attraverso l’appropriazione temporanea, effimera e in definitiva impropria di spazi con un qualche tentativo di estetizzazione del precario, come nel caso dei musallah spesso definite “moschee nei garage”. Un atteggiamento che svilisce il contenuto formale e la capacità trasformativa ed emancipativa dell’architettura. Si ritiene invece che il contenuto dell’architettura in termini progressivi sia eminentemente formale e che i temi che essa è chiamata a svolgere non possano ridursi a precarie risoluzioni quali “ricondizionamenti” o sovrascritture attraverso sistemi processuali adattivi degli spazi di scarto della città ma dovrebbe fondarsi sulla riformulazione dei tipi e delle configurazioni spaziali in grado di reificare, di costruire e di donare luoghi identitari alla città storica.

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Conclusioni

Riferimenti bibliografici_References Aureli P.V. (2013) The City as a Project, Ruby Press, Berlino. Belli A. (2013) “Misurarsi con l’eccezionalismo islamico, oltre la costruzione delle moschee”, in Id., Spazio, differenza e ospitalità. La città oltre Henri Lefebvre, Carocci Editore, Roma. Cerasi M. (1988) La città del Levante. Civiltà urbana e architettura sotto gli ottomani nei secoli XVIII-XIX, Jaca Book, Milano. Cuneo P. (1986) Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Laterza, Roma-Bari. Élisséeff N. (1982) “El trazado fisico”, in Aa. Vv., La ciudad islámica, comunicaciones científicas seleccionadas del coloquio celebrado en el Middle East Centre, Faculty of Oriental Studies, Cambridge, Gran Bretaña, del 19 al 23 de julio de 1976, Serbal, Barcelona. Fusaro F. (1984) La città islamica, Laterza, Roma-Bari. Guidoni E. (1978) La città europea. Formazione e significato dal IV all’XI secolo, Electa, Milano. Panzarella M. (2000) “La moschea d’Occidente. Un’istruttoria per il progetto”, in Aa. Vv., Atti del primo e del secondo convegno “Una moschea per Venezia”, Arti Grafiche Vio, Mestre. Petruccioli A. (1985) Dar al Islam: architetture del territorio nei paesi islamici, Carucci, Roma. Strappa G. (2005) Edilizia per il culto. Chiese, moschee, sinagoghe, strutture cimiteriali, UTET, Torino. Vogt-Göknil U. (1965) Osmanische Türchei, Hirmer Verlag, Fribourg.

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Mecca while the building of “madrassa” follows the orthogonal position to the medieval layout of the city. The three autonomous figures find a configuration referable to a “Greek” settlement principle that works in a logic of “opening” rather than delimitation. A principle or rather a “conception of space”, as would say Giediion, in this case intended to reconfigure a place where the principle of density and closure of the built environment is in force. The assumed model proposes the construction of an “open” space in the arrangement of forms and consequently with the intention of making this space a place of aggregation and integration. A space, however, only temporarily used by the Islamic community for Friday assemblies. The compositional actions used in the large square to “fix” the figures in the background produced two solutions for the mosque. The first hypothesizes a civic Aula for everyone, but which, finding its position in the rotation to the southeast, towards Mecca, becomes in the innermost space, accessible through a peripteral wall system. A covered peristyle advances on the axis of the holy city, destined not only for muslims, but more generally for any community. A second solution, as a variant of the first, proposes a square Aula that follows the same position of the building that constitutes the madrassa in Bursa, placing inside it a smaller square rotated towards Mecca, on the model of the Praying Room by Kamran Diba in Theran in 1970. In both cases, the mosque is placed in relation with the existing church through the building of the interreligious and intercultural center that represents, formally and symbolically, the pivot between the West and Islam.

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campo ritrovato quale inedito spazio di aggregazione e di integrazione. Uno spazio peraltro oggi solo provvisoriamente utilizzato dalla comunità islamica per le adunanze del Venerdì. Le azioni compositive messe in campo nella grande piazza del Mercato, per “fissare” le figure sul piano di appoggio, hanno prodotto e configurato due soluzioni per l’edificio della moschea. La prima ipotizza, in riferimento all’esercizio analogico, un’aula civica per tutti, ma che trovando giacitura nella rotazione a sud-est, verso La Mecca, diviene nello spazio più interno, accessibile attraverso un sistema murario periptero. Una sala peristilia coperta, avanza sull’asse della città santa, destinata non solo all’adunanza musulmana, ma più in generale di qualsivoglia collettività. Una seconda soluzione, variante della prima ora descritta, propone invece un’aula quadrata che segue la stessa giacitura dell’edificio che a Bursa costituisce la madrasa, posizionando al suo interno un quadrato più piccolo ruotato alla Mecca, su modello della Praying Room costruita da Kamran Diba a Theran nel 1970. Sia nell’uno che nell’altro caso, a mettere in relazione questa moschea nelle sue possibili configurazioni con quella della chiesa già esistente, è l’edificio del centro interreligioso e interculturale che rappresenta, formalmente e simbolicamente, il perno tra Occidente ed Islam.

Claudia Sansò | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

Conclusions The project proposals presented are part of the cultural debate of the transformation of historic cities starting from the theme of the construction of mosques and related buildings which in the territories of Islam have different settlement methods than those of our Western cities. These proposals consider the formal heritage of a city without however renouncing the transformation of historical parts that cannot be part of a conservative logic, neither from a cultural nor morphological point of view but which need to represent, through the project of the new, also our time. This position is animated by a critical vision of emergency resolution through the improper temporary appropriation of spaces as in the case of the musallah often called “mosques in garages”. An attitude that demeans the formal content and the transformative and emancipatory capacity of architecture. Instead, it is believed that the content of architecture in progressive terms is a formal content. The issues that architecture is called to solve cannot be reduced to precarious resolutions of “reconditioning” through adaptive processes of the waste spaces of the city but should be based on the reformulation of the types and spatial configurations capable of building and donating identity places to the city historical.

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urbanform and design Elementare & Complesso

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di Antonello Russo Giuseppe Arcidiacono

DARTE Dipartimento di Architettura e Territorio, Università Mediterranea di Reggio Calabria Email: giuseppe.arcidiacono@unirc.it

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Raramente un libro che raccolga risultati di sperimentazioni didattiche riesce a palesare una teoria: al contrario in questo libro-manifesto, Antonello Russo guida gli studenti e gli studiosi in un appassionato itinerario, dal particolare all’universale e dall’elementare al complesso, che approda attraverso esercizi di grammatica compositiva-insediativa alla configurazione di una nuova sýntaksis-disposizione -disposizione d’architettura e territorio. Alla odierna città diffusa e generica,, che il birignao degli archialternativi ha nobilitato quale junk space da città spazzatura qual è, Russo oppone un modello di città per isole,, in grado di accordare la condizione aperta e discontinua della città contemporanea con la compiutezza di parti-isole dalle forme urbane finite e intelligibili. Ne scaturisce un arcipelago di unità concluse: sono frammenti di città sospesi e incastonati in un paesaggio amorosamente tessuto dalle cure agricole o miracolosamente restituito al topos originario della sua naturale geografia (secondo la lezione di Lucio Gambi); un paesaggio ampio ed accogliente, che non è lo scarto-vuoto di risulta cui ci ha assuefatto la conurbazione onnivora della città attuale, ma si profila come il luogo delle distanze necessario per riconoscere le relazioni tra le isole urbane in una produttiva e reciproca tensione. In questa ottica, le forme della terra e le forme di nuovi sistemi insediativi si definiscono reciprocamente come elementi paritari, ma distinti, di una medesima composizione-ricomposizione della città contemporanea. Questa visione urbana è il frutto di una personale linea interpretativa della Composizione Architettonica, sviluppata nel libro di A.R. intorno a due temi. Il primo è quello, oggi cogente, dell’abitare collettivo: che approfondisce il contributo – trascurato proprio nelle nostre sedi universitarie – dei quartieri italiani del secondo dopoguerra, rinnovandone l’eredità culturale. Il secondo tema – contestando l’attuale estetica della sparizione, che occulta la corporeità dei manufatti edilizi nel gioco di specchi delle trasparenze e nei camuffamenti del biomorfismo – si concentra sul rapporto tra architettura e costruzione. In questo modo, l’architettura torna ad essere la disciplina depositaria degli strumenti e dei processi di lettura, ri-significazione e costruzione dei luoghi, attraverso una attuale interpretazione dei loro caratteri identitari che viene verificata nel progetto: evitando il facile determinismo dei transiti dimensionali che procedono attraverso meccanici ingrandimenti di scala, A.R. indaga e propone una relazione simultanea tra la scala del dettaglio e la scala del territorio, in un salutare cortocircuito di elementare e complesso che entra immediatamente nel merito delle tecniche costruttive come ricomposizione delle materie del territorio nei materiali del progetto. Questa sperimentazione sugli statuti costruttivi/formali della Composizione, come strumenti disciplinari di controllo tettonico del progetto, permette a Russo di governare il passaggio dalla definizione tipologica dell’architettura alla sua adeguatezza topologica; e di rielaborare l’idea di misura della tradizione italiana capace di saldare il manufatto con la sua dimensione urbana: in una originale risalita al concetto di città per parti attraverso queste sue isole che s’inverano come un nuovo piranesiano Campo Marzio di frammenti insediativi. Per questo motivo Marco Mannino, nella sua bella prefazione, può parlare a

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It is not often that a book collecting the results of teaching experiments unveils a theory: conversely in this book-manifesto, Antonello Russo takes students and scholars on an earnest journey, from the fine detail to the universal, and from the elementary to the complex, landing via settlement-compositional grammar exercises to the configuration of a new sýntaksis-arrangement of architecture and territory. The city of today, common and generic, which the drawl of archi-alternatives has dignified as junk space from its being garbage city, is contrasted by Russo with a model of city of islands, able to grant the open and disjointed condition of the contemporary city with the completeness of islands sections with finite and distinct urban forms. The result is an archipelago of concluded units, suspended fragments of the city and nestled in a landscape fabric lovingly woven by farming care or miraculously returned to the original topos of its natural geography (as in the lecture by Lucio Gambi); a large and welcoming landscape, which is not the scrap/void of waste we are inured to by the omnivorous conurbation of the current city, but is emerging as the place of the distance, necessary to recognize the relations between urban islands with a productive and mutual force. In this perspective, the shapes of the earth and the forms of new settlement systems are mutually defined as equal but separate elements, of the same composition-recomposition of the contemporary city. This urban vision is the result of a personal line of interpretation of Architectural Design, revolving in the book by A.R. around two themes. The first concerns the now binding collective living: this examines the contribution – overlooked in our own universities – of post-war Italian neighbourhoods, renewing the cultural heritage. The second concept – challenging the current aesthetics of disappearance, which conceals the physicality of built artefacts in the kaleidoscope effect of transparencies and camouflages of bio-morphism – focuses on the relationship between architecture and construction. In this way, architecture becomes the discipline guarding the tools and processes of insight, meaning reassignment and construction of places, through a current interpretation of their identifying characteristics that are substantiated in the project: avoiding easy determinism of dimensional transits which proceed through mechanical scale

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.023

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Recensioni e Notizie | Book Reviews & News

Elementary & Complex The city by islands. Settlement grammars for the contemporary city by Antonello Russo

La città per isole. Grammatiche insediative per la città contemporanea

| Giuseppe Arcidiacono | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Fig. 1 - Antonello Russo. La città per Isole. Sperimentazioni didattiche nella campagna romana. Tesi di laurea triennale di G.C. Gigliotti, Università Mediterranea di Reggio Calabria, AA 2018/19. Antonello Russo. The city by Islands. Educational experiments in the Roman countryside. G.C. Gigliotti’s undergraduate dissertation, Mediterranean University of Reggio Calabria, AY 2018-19.

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ragione di isole felici;; anche se, per essere tali, questi progetti di modificazione abbisognerebbero di politiche – anche universitarie – meno appiattite sulle mode del momento e più attente a promuovere il concreto rinnovamento dei nostri territori: individuando, anche attraverso le metodologie e gli esempi proposti in questo libro, dove sia necessario densificare, cosa demolire, e quale debba essere il ruolo delle infrastrutture in un ritrovato dialogo tra paesaggio artificiale e paesaggio naturale, tra l’architettura e il suo territorio.

LetteraVentidue, 2020, pp. 191 ISBN: 9788862424233

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Giuseppe Arcidiacono | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

magnification, A.R. investigates and proposes a simultaneous relationship between the scope of the detail and the scope of the territory, in a useful short circuit of elementary and complex which immediately addresses building techniques as a reconstruction of local materials in the project materials. This experimenting of construction/formal statutes of the Composition, seen as regulatory tools of tectonic control of the project, allows Russo to govern the transition from typological definition of architecture to its topological adequacy; and to rework the idea of measure of the Italian Tradition able to weld the artefact with its urban dimension: in an original revisitation of the concept of the city by parts through its islands that take shape like a new Piranesian Campus Martius with settlement fragments. For this reason Marco Mannino, in his fascinating preface, can speak rightly of happy islands; even though, to be such, these modification projects would need policies – even university ones – less flattened on the trends of the moment and more careful to promote the concrete renewal of our territories: identifying, also through the methodologies and the examples put forward in this book, where it is necessary to densify, what to demolish, and what should be the role of infrastructure in a new-found dialogue between artificial landscape and natural landscape, between architecture and its surroundings.

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urbanform and design Giancarlo De Carlo

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di Isabella Daidone Santo Giunta

D’ARCH Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Palermo Email: santo.giunta@unipa.it

Uno sguardo d’assieme organico e coerente per un’architettura che non è pensata come un punto di riferimento monumentale e statico. Essa, come un supporto per i movimenti, è l’equilibrio tra forma e contenuto, tra bellezza e finalità. “Forse l’architettura continuerà a esistere, perché dopotutto non se ne può fare a meno. Ma al di qua del suo “fine essenziale”? nella banalità del consumo a-spaziale e a-temporale” (De Carlo, 2000), scriveva De Carlo, scomparso nel 2005 all’età di 86 anni, nell’ultimo editoriale della rivista Spazio e Società. A queste domande sembra rispondere il saggio di Isabella Daidone, che ripercorrendo, con lucidità, quest’esperienza editoriale mette in moto un processo d’analogia e d’identificazione, nonché d’apprendimento e d’elaborazione, che influenza positivamente l’inconscio del lettore attraverso le suggestioni dell’immaginario poetico di De Carlo. L’autrice ci racconta una “storia” che, nella struttura, cerca di far comprendere l’importanza e l’attualità dell’architettura sociale, ovvero il riesame della contraddittoria questione riguardo allo stretto legame tra lo spazio inteso come architettura, e la società, composta dagli individui che la abitano. Con semplicità e con la forza dell’evidenza Giancarlo De Carlo stabilisce una relazione di reciprocità tra ambiente e uomo ovvero tra spazio e società. Il libro è una riflessione divisa in parti che serve per dialogare con il lettore mettendo in risalto luoghi, città e territori. Anche le riflessione su modalità ed esperienze costruite non tralasciano le vicende biografiche. Sembra quasi apparire ad un certo punto De Carlo che nel “girare” il cannocchiale avverte: “ogni territorio ha un disegno” (De Carlo, 1991). In tutti questi aspetti è la centralità dello spazio fisico che suggerisce uno specifico modo di guardare, senza tempo, il reale che ci circonda. Mostrano esattamente la loro capacità di saper generare, ancora oggi, dei ragionamenti sul rapporto fra uomo e ambiente per giungere alla comprensione della poetica personale di De Carlo. Isabella Daidone si rivela un’attenta indagatrice dei sentimenti umani e un’abile interprete dalla nozione di spazio. E in questo racconto, dal tratto accattivante, rende conto delle ricognizioni fisiche che l’autrice ha compiuto dentro le architetture di De Carlo rivelando le sottese strategie di progetto. Oggi la partecipazione è dizione comunemente accettata per designare, nel processo del fare, l’architettura come progetto comune. Questa rappresenta in qualche modo una questione rilevante nell’intera opera del progettista genovese. Il saggio si conclude con la pubblicazione degli editoriali di Spazio e Società. In questi De Carlo propone un modo diverso di pervenire all’architettura, le cui filiazioni consentono, ancora oggi, punti di vista differenti e disegnano nuove forme di spazio sociale. Isabella Daidone scopre le sue carte con una ricognizione mirata, una narrazione composta che svela la trama di relazioni fra la rivista e il contesto storico degli avvenimenti. Le riflessioni di Isabella Daidone riguardano una comprensione sequenziale, ma non lineare, dell’uomo De Carlo. Queste svelano, attraverso il testo scritto degli editoriali, il portato suo di progettista con un convincimento che l’architettura racconta se stessa. La Rivista – scrive De

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An organic and coherent overall look for an architecture that is not conceived as a monumental and static point of reference. As a support for movements, it is the balance between form and content, between beauty and purpose. “Perhaps architecture will continue to exist, because after all it cannot be done without. But on this side of its “essential purpose”? in the banality of a-spatial and a-temporal consumption” (De Carlo, 2000), wrote De Carlo, who died in 2005 at the age of 86, in the latest editorial in the magazine “Space and Society”. These questions seem to be answered by Isabella Daidone’s essay, Giancarlo De Carlo. Gli editoriali di Spazio e Società, Gangemi 2017, which retracing this editorial experience with clarity, sets in motion a process of analogy and identification, as well as learning and elaboration, which positively influences the reader’s unconscious through the suggestions of De Carlo’s poetic imagination. The author tells us a “story” that, in its structure, tries to make people understand the importance and topicality of social architecture, or the re-examination of the contradictory question regarding the close link between space as architecture and society, made up of the individuals who inhabit it. The book is a reflection divided into parts that serves to dialogue with the reader, highlighting places, cities and territories. Even the reflections on constructed methods and experiences do not neglect biographical events. At a certain point it almost seems to appear that De Carlo in “turning” the telescope warns: “every territory has a “design”” (De Carlo, 1991). In all these aspects it is the centrality of physical space that suggests a specific timeless way of looking at the real that surrounds us. They show exactly their ability to be able to generate, even today, reasoning on the relationship between man and the environment in order to arrive at an understanding of De Carlo’s personal poetics. Isabella Daidone proves to be a careful investigator of human feelings and a skilled interpreter of the notion of space. And in this captivating story, she accounts for the physical reconnaissance that the author made inside De Carlo’s architecture, revealing the underlying design strategies. Today participation is a commonly accepted diction to designate, in the process of making, architecture as a common project. This represents in some way a relevant issue in the entire work of the Genoese designer. The essay ends with the publication of the editorials of

DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.024

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Giancarlo De Carlo The editorials of “Spazio e Società” by Isabella Daidone

Gli editoriali di Spazio e Società

| Santo Giunta | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020

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Carlo nel primo numero – si propone di svelare l’intero percorso generativo, perché l’occultamento delle motivazioni e delle conseguenze mistifica la comunicazione e perciò rende impossibile di ricavarne esperienza. Emerge, in questa costruzione intrecciata che attraversa i decenni della vita di De Carlo, il ruolo chiave sul fenomeno culturale dell’architettura non solo italiana. Semplificando la relazione fra gli editoriali di De Carlo, la narrazione del suo fare architettura e l’essere il direttore della sua rivista è facilmente descrivibile. Questi sono sempre luoghi, fisici e narrati, che sono misurabili nel rapporto fra l’uomo e le cose. Questi scritti invitano alla sosta (non solo alla lettura) verso un processo razionale da percorrere a tappe in un proficuo percorso d’identificazione in fieri con l’opera costruita di De Carlo. Focalizzare questi aspetti, anche con l’integrazione di altri ambiti disciplinari, è utile per indicare nuove opportunità di ricerca. Isabella Daidone ha infatti posto in risalto con questo studio sugli editoriali di Spazio e Società una base originale forse per tentare di reinventare, in un tempo non solo sincronico, diversi orizzonti. Questo lavoro di ricerca rende tangibile i luoghi della città, in una visione unitaria e interconnessa, fra società e spazio costruito.

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De Carlo G. (2000) “Dopo la Biennale di Architettura di Venezia”, in Spazio e Società - Space & Society, n. 92, ottobre-dicembre 2000, pp. 4-11, oggi in Daidone I. (2017) Giancarlo De Carlo. Gli editoriali di Spazio e Società, Presentazione di Giuseppe Imbesi, Postfazione di Marcello Panzarella, Gangemi Editore, Roma, p. 200. De Carlo G. (1991) “È tempo di girare il cannocchiale”, in Spazio e società,, n. 54, pp. 4-5, oggi in Daidone I. (2017) Giancarlo De Carlo. Gli editoriali di Spazio e Società,, Presentazione di Giuseppe Imbesi, Postfazione di Marcello Panzarella, Gangemi Editore, Roma, pp. 150-151.

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Riferimenti bibliografici_References

“Spazio e Società – Space & Society”. In these, De Carlo proposes a different way of arriving at architecture, whose branches still allow different points of view and design new forms of social space. Isabella Daidone discovers her papers with a targeted reconnaissance, a composed narration that reveals the web of relations between the magazine and the historical context of the events. Isabella Daidone’s reflections concern a sequential, but not linear, understanding of the man De Carlo. These reveal, through the written text of the editorials, his talent as a designer with a conviction that architecture tells of itself. The magazine – writes De Carlo in the first issue – aims to reveal the entire generative path, because the concealment of motivations and consequences mystify communication and therefore makes it impossible to gain experience. In this intertwined construction that spans the decades of De Carlo’s life, the key role in the cultural phenomenon of not only Italian architecture emerges. Simplifying the relationship between De Carlo’s editorials, the narrative of his architecture and being the director of his magazine is easily described. These are always places, physical and narrated, which are measurable in the relationship between man and things. These writings invite us to the stop (not just to read) towards a rational process to be followed in stages in a fruitful process of identification in progress with the built work of De Carlo. Focusing on these aspects, even with the integration of other disciplinary areas, is useful for indicating new research opportunities. Isabella Daidone has in fact highlighted with this study on the editorials of “Space and Society” an original basis, perhaps to try to reinvent, in a time that is not only synchronic, different horizons. This research work makes the places of the city tangible, in a unitary and interconnected vision, between society and built space.

Gangemi, 2017, pp. 224 ISBN13: 9788849235364 ISBN10: 9788849235364

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Santo Giunta | ISSN 2384-9207_ISBN 978-88-913-2140-4_n.14-2020 |

R2| Book Reviews & News

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Bibliotheca Orientalis Attilio Petruccioli DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.025

Attilio Petruccioli

Dipartimento di Architettura e Progetto, Università degli Studi di Roma “Sapienza” Email: attilio.petruccioli@gmail.com

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The Bibliotheca Orientalis is part of the SECA Foundation, together with the Typewriter Museum, the largest in Europe, the Diocesan Museum and the Sant’Anna Museum-Synagogue. It is based in Trani, on the coast of Puglia, in Palazzo Lodispoto, in Piazza Duomo 8. The book heritage is 12,000 volumes specialized in architecture and urban planning in developing countries, Maghreb, Egypt, Palestine, Judaica, Syria and the Middle East, Persian Gulf, Africa, others dedicated to Southern Italy and colonies, Iran, Central Asia, Ottoman Empire, India, Southeast Asia, China and Japan. In addition, there are specific sections on Landscape, Modern Architecture, Urban Planning, Technology of Architecture, Typology, Theory and History of Architecture, Treaties of Architecture, Asia and Africa, as well as a rich documentary and photografic archive. It contains several rare pieces, but its uniqueness consists above-all in texts on the architecture of Islamic and oriental countries. It is unique in Europe and competes only with the Rotch Library of the Massachussetts Institute of Technology in Cambridge, in the United States. More in detail, the library is divided into several sections. Bibliographic sections: History of Islamic architecture and urban planning, Garden and Landscape of oriental countries, Restoration. Cartographic archive: extensive cartographic coverage of Islamic countries, especially India, Tunisia, Algeria, historical geographical maps, urban cadastres, original architectural reliefs (most on DVD support) and the complete collection of the Tuebinger Atlas von Vorderen Orient. Photographic archive: 60,000 slides and 5,000 negatives of images of architecture, cities and landscapes of Islamic countries, historical documents of sites modified over time and sometimes disappeared. The digital transfer of this material is in progress.

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La Bibliotheca Orientalis è parte della Fondazione SECA, insieme al Museo delle macchine per scrivere, il più grande in Europa, al Museo Diocesano e al Museo-Sinagoga Sant’Anna. Ha sede a Trani, sulle coste della Puglia, nel palazzo Lodispoto, in piazza Duomo 8. Il patrimonio librario è di 12.000 volumi specializzati in architettura e urbanistica nei paesi in via di sviluppo, Maghreb, Egitto, Palestina, Giudaica, Siria e Medio Oriente, Golfo Persico, Africa, altri dedicati all’Italia Meridionale e colonie, Iran, Asia Centrale, Impero ottomano, India, Sud-Est Asiatico, Cina e Giappone. Inoltre ci sono sezioni specifiche su Paesaggio, Architettura moderna, Urbanistica, Tecnologia dell’architettura, Caratteri tipologici dell’architettura, Teoria e storia dell’architettura, Trattati di architettura, Asia e Africa, oltre un ricco archivio documentario ed un archivio fotografico. Contiene diversi pezzi rari, ma la sua eccezionalità consiste nella specializzazione e concentrazione di testi sulla architettura dei paesi islamici e orientali. Si tratta di una realtà unica in Europa che compete solo con la Rotch Library del Massachussetts Institute of Technology di Cambridge, negli Stati Uniti. Più in dettaglio, la biblioteca si articola in diverse sezioni. bibliografiche: Storia dell’architettura e urbanistica islamiche, Giardino Sezioni bibliografiche e paesaggio dei paesi orientali, Restauro. cartografico: ampia copertura cartografica di alcuni paesi islamici, Archivio cartografico specialmente India, Tunisia, Algeria, carte geografiche storiche, catasti urbani, rilievi architettonici originali (la maggior parte su supporto DVD) e la collezione completa del Tuebinger Atlas von Vorderen Orient. Archivio fotografico: 60.000 diapositive e 5000 negativi di immagini di architettura, città e paesaggi dei paesi islamici, documenti di valore storico di siti modificati nel tempo e a volte scomparsi. È in corso il trasferimento di questo materiale su supporto digitale.

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Bibliotheca Orientalis Attilio Petruccioli

La sua storia

The story The Bibliotheca Orientalis has a 50-year history in which, as a Scientific Society called Islamic Environmental Design Research Center, it has always carried out an action of knowledge and cultural promotion. First of all, through the publication, from 1983 to 2001, of the international monographic magazine “Journal of the Islamic Environmental Design Research Center” (Chief Editor Attilio Petruccioli) comprising a total of 16 monographs, among which: Urban India before the Raj (1, 1983), Maghreb from Colonialism to the New Identity (2, 1984), Water and Architecture (1, 1985), Multi-cultural Mediterranean

La Bibliotheca Orientalis ha una storia di 50 anni in cui, come Società Scientifica denominata Islamic Environmental Design Research Centre, ha sempre svolto una azione di conoscenza e promozione culturale, innanzitutto attraverso la pubblicazione, dal 1983 al 2001, della rivista internazionale a carattere monografico Journal of the Islamic Environmental Design Research Centre (Chief Editor Attilio Petruccioli) comprendente in tutto 16 monografie, tra le quali: Urban India before the Raj (1, 1983), Maghreb from Colonialism to the New Identity (2, 1984), Water and Architecture (1, 1985), Multi-cultural Mediterranean Landscapes (1, 2000-2001). Poi, parallelamente, con una serie di conferenze internazionali, tra le quali si segnalano: 1985 - “Between the Past and the Future: Designing the Islamic City”, Genzano, Roma. 1986 - “The Pattern of the Garden and Design of the City”, Genzano, Roma. 1994 - “L’abitazione europea nei paesi islamici”, Roma, Fac. di Architettura

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1996 - “Il paesaggio mediterraneo”, Roma, Fac. di Architettura Dal 2000 la biblioteca ha fornito il supporto scientifico e di ricerca a più di 200 tesi di laurea della Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari dedicate all’architettura dei paesi islamici, supportando inoltre l’organizzazione di molti convegni internazionali. In occasione della inaugurazione della nuova sede nel Palazzo Lodispoto a Trani, il 30 marzo 2019, si è tenuta la prima mostra “Grand Tour in Oriente”, una selezione di tesi di laurea della Scuola di Architettura del Politecnico di Bari centrate sui valori identitari dei paesi islamici e il recupero attraverso il progetto, in continuità con la tradizione architettonica locale.

Landscapes (1, 2000-2001). Then, in parallel, with a series of international conferences, among which: 1985 - “Between the Past and the Future: Designing the Islamic City”, Genzano, Rome; 1986 - “The Pattern of the Garden and Design of the City”, Genzano, Rome; 1994 - “European housing in Islamic countries”, Rome, Faculty of Architecture; 1996 - “The Mediterranean landscape”, Rome, Faculty of Architecture. Since 2000, the library has provided scientific and research support to more than 200 degree theses of the Faculty of Architecture of the Polytechnic of Bari dedicated to the architecture of Islamic countries, also supporting the organization of many international conferences. On the occasion of the new location inauguration in Palazzo Lodispoto in Trani, on March 30, 2019, the first exhibition “Grand Tour in the East” was held: a selection of degree theses from the School of Architecture of the Polytechnic of Bari focused on the identity values of Islamic countries and the recovery through the project in continuity with the local architectural tradition.

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Target and services The Library provides for the conservation, acquisition and dissemination of the bibliographic and documentary heritage, in order to meet the educational and research needs of students, researchers and local and international teachers. The activities are carried out also in relation with external institutions, through the use of adequate library and computer science techniques. Its services are mainly aimed at high school and university students, teaching staff and professional associations. It is a place of research open to all types of users, becoming an international attraction for scholars and also making use of a network of relationships already established with political and scientific institutions of Islamic countries. It is also a cultural spot within the historic center, thus returning Trani and Puglia to be the link between Western culture and Eastern culture. In this sense, reading and study spaces, design and research laboratories, online research strategies, classrooms for national and international conferences, co-working areas are available in the Palazzo Lodispoto in Trani.

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La Biblioteca provvede alla conservazione, acquisizione e diffusione del patrimonio bibliografico e documentale, al fine di rispondere alle esigenze didattiche e di ricerca di studenti, ricercatori e docenti locali ed internazionali. Le attività sono espletate, anche in rapporto con realtà esterne, mediante l’utilizzo di tecniche biblioteconomiche e informatiche adeguate. I suoi servizi sono rivolti principalmente agli studenti di scuole superiori e università, al personale docente ed agli ordini professionali. Essa è un luogo di ricerca aperta ad ogni tipologia di utenza, diventando attrazione internazionale per gli studiosi e avvalendosi, altresì, di una rete di relazioni già stabilite con istituzioni politiche e scientifiche dei paesi islamici. Essa è inoltre un presidio culturale all’interno del centro storico, ritornando così, Trani e la Puglia, ad essere anello di congiunzione tra cultura occidentale e cultura orientale. In questo senso, nel Palazzo Lodispoto di Trani sono disponibili spazi di lettura e di studio, laboratori di progettazione e ricerca, strategie per la ricerca online, aule per convegni nazionali ed internazionali, aree di co-working.

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Destinatari e servizi

Fig. 1 - Il logo della biblioteca. The library logo.

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Giornata di Studio La ricerca di morfologia urbana in Italia Tradizione e futuro DOI: 10.48255/J.UD.14.2020.026

Matteo Ieva

DICAR Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura, Politecnico di Bari Email: matteo.ieva@poliba.it

Study day: Urban morphology research in Italy. Tradition and future

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U+D editorial staff has organized a study day on the 14th January 2021, involving the authors to collaborate from the initial setting of the issue 15 of the journal. The initiative has the purpose to contribute to renew the debate on the issues of urban form conceived in its tangible outcomes and investigated according to methods which are at the same time rational and transmissible. These are the questions have been posed: what is meant today by urban morphology; how it is studied and proposed in the teaching of Italian schools; how it is studied and proposed in the architectural project; what new research perspectives can be proposed to interpret the current phenomenology. The solicitations that will emerge from the debate will be proposed in the final call. Those who will participate to the event will be invited to express their reflections, individually or in groups, through an article that will be hosted in issue 15 of the journal will be published next June. The topics of the discussion tables will be divided into: definitions and different meanings of the term “urban morphology”; tradition and actuality of urban morphology studies; ongoing research; didactics.

Con l’obiettivo di rinnovare gli strumenti di costruzione dei numeri della rivista, la redazione di U+D urbanform and design ha organizzato una giornata di studio, il giorno 14 gennaio 2021, chiamando a collaborare gli autori fin dalla sua impostazione iniziale. Scopo dell’iniziativa è quello di contribuire a rilanciare il dibattito sui temi della forma urbana riguardata nei suoi esiti tangibili e indagata secondo metodi razionali e trasmissibili. In un’accezione ampia ed aperta del termine, l’interesse dell’incontro sarà rivolto alle ricerche di morfologia urbana basate sullo studio concreto dei fenomeni e sul loro esito progettuale. Tema importante sarà anche il ruolo che scuole e maestri hanno avuto, in Italia, nel costruire un pensiero originale sugli studi urbani, oggetto di una nuova attenzione in campo internazionale. Proponendo una riflessione rivolta al futuro ma basata sui temi della condizione contemporanea, sono stati posti i seguenti interrogativi: cosa si intenda oggi per morfologia urbana; come essa venga studiata e proposta nella didattica delle scuole italiane; come essa venga studiata e proposta nel progetto di architettura; quali nuove prospettive di ricerca si possano proporre per interpretare la fenomenica attuale. Le differenti posizioni che emergeranno nella giornata di studio, strutturata in forma di tavoli di discussione, dovrebbero formare un quadro sintetico delle attività teoriche, progettuali e didattiche praticate nelle diverse scuole. Le sollecitazioni che emergeranno dal dibattito saranno proposte nella call finale. I partecipanti all’evento esporranno le proprie riflessioni, singolarmente o in gruppo, in un articolo che sarà ospitato nel numero 15 della rivista in uscita il prossimo giugno. I temi dei tavoli di discussione si articoleranno in: - definizioni e diverse accezioni del termine “morfologia urbana”; - tradizione e attualità degli studi di morfologia urbana; - ricerche in corso; - didattica.

Partecipanti: B. Albrecht, G. Arcidiacono, M. Argenti, C. Atzeni, P. Barbieri, M. Barosio, E. Bordogna, R. Capozzi, P. Carlotti, F. Collotti, A. Conte, A. Dal Fabbro, M.L. Falcidieno, A. Ferrante, L. Ficarelli, R. Florio, L. Franciosini, G. Galli, G. Gianfriddo, M. Ieva, F. Izzo, A. Labalestra, G. Malacarne, E. Manganaro, M. Maretto, N. Marzot, A.B. Menghini, A. Merlo, B. Messina, R. Neri, E. Palazzotto, V. Palmieri, A. Petruccioli, L. Pezzetti, C. Quintelli, C. Ravagnati, L. Romagni, A. Russo, A. Sanna, G. Sanna, A. Sciascia, S. Serreli, G. Strappa, F. Toppetti, M. Trisciuoglio, F. Visconti, M. Zampilli. Fig. 1 - Manifesto della Giornata di Studio. Study day poster.

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