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Il prodotto dimenticato CONFETTURA DI FRAGOLINA
Danilo Gasparini docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova
La cucina povera
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Il riuso in cucina è un’antica tradizione popolare, tipica di una cucina povera, dei contadini e delle classi subalterne che “creavano” ricette con ingredienti che noi oggi definiamo semplici e genuini, legati in realtà per necessità alla stagionalità e alla disponibilità di risorse. Si potrebbe dire che lo slogan che guidava questa cucina, parafrasando un noto canto politico, era: “Avanzi popolo”. A questa cucina Olindo Guerrini dedica un gustoso volume: L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa. E risparmiare con gusto, uscito postumo nel 1918 sotto il nome di Lorenzo Stecchetti, ma i suoi erano avanzi di cucine ricche. Petronilla, alias Amalia Moretti, insegnerà alle massaie italiane questa cucina durante l’autarchia fascista. Jack Goody, antropologo inglese, ricorda che la cucina è fatta di ingredienti ma anche di riti e di espedienti finalizzati, soprattutto nel passato, a fronteggiare la scarsità e massimizzare le risorse, aspetti coessenziali, il cui intrecciarsi va studiato nella concretezza dei processi storici. Nel passato, gli ingredienti della cucina popolare, o “povera” come oggi si definisce, erano quelli che si trovavano per lo più nell’orto di casa. La pentola di rame era al centro dell’universo alimentare contadino, posta sul fuoco del camino, dove dell’acqua calda era pronta ad accogliere quanto si portava dall’orto e dalla campagna. Nel pentolone le donne cuocevano di tutto: zuppe di legumi, minestre di verdure selvatiche e granaglie che con il pane costituivano i piatti ordinari, spesso frutto della combinazione di quanto era avanzato dai pasti precedenti.
LA RIBOLLITA TOSCANA
Di necessità virtù: la cucina degli avanzi
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Il pane raffermo
Tra gli ingredienti base di sicuro c’erano pane, acqua… e sale. Sicuro è una parola grossa: “Pane vecchio fa buona casa” si diceva, oppure “Il pane di ieri è buono domani”. È con il pane di ieri, dell’altro ieri e dell’altro ieri ancora che si farà buono domani: basterà arricchirlo, accomodarlo di gusto, riutilizzandolo in ricette nuove e gustose. Ne La Regola del Maestro, un’antica regola monastica dell’Italia centro-meridionale risalente al VI secolo, una disposizione riguarda le micae panis, le briciole del pane, che alla fine del pasto rimangono sulla tavola. Ai monaci si raccomandava di non gettarle via ma di raccoglierle e conservarle con cura in un barattolo di vetro pulito e asciutto, così da poterle riutilizzare al sabato per farne una torta, con l’aggiunta di uova e farina, da consumare tutti insieme, accompagnandola con una coppa di bevanda calda, dopo aver reso grazie al divino.
A questo proposito Massimo Montanari, nel libro “Il sugo della storia,” ci racconta come, in Belgio, sia possibile ordinare un piatto che in lingua francese è chiamato pain perdu, “pane perduto”, una vera e propria leccornia preparata con pane raffermo, “ravvivato” con uova sbattute, farina, zucchero e un poco di burro. Questo piatto, che a ben guardare presenta dei corrispettivi anche in Italia e in Spagna e che somiglia non troppo lontanamente alla torta di briciole dei monaci, in lingua fiamminga è detto gewinnen brood e cioè “pane guadagnato”. .. e le sue ricette
L’universo delle ricette a base di pane raffermo, avanzato, è vasto: dalla panzanella alla ciaudella abruzzese e lucana, dalle acquecotte ai pani cunzati sardi e alle numerose varianti delle panade. Uno di questi piatti, assai noto, che prevede l’uso di pane raffermo, è di sicuro la Ribollita, una zuppa semi-solida preparata con pane raffermo, cavolo nero e fagioli, diffusa in particolare nella Piana di Pisa e nei territori di Firenze e Arezzo. Il nome evoca in modo chiaro prima una fase di preparazione del piatto e una seconda “cottura”, quindi un gesto di cucina, una ribollita per consumarla i giorni seguenti. Il nome lo si deve forse alla fantasia e all’estro di qualche cuoco. In realtà si tratta di una zuppa che ha nel pane e nel cavolo nero gli ingredienti principali. Ne dà conto già Giovanni Del Turco, (15771647), compositore di madrigali e cultore di gastronomia presso la corte di Cosimo II de’ Medici, autore del libro di ricette Epulario e segreti vari. Trattati di cucina toscana nella Firenze seicentesca. Descrive una minestra che ha tutto il sapore di essere la prima codificazione scritta della ribollita. Eccola:
Prendi due o tre cipolle grosse e nettale dalla prima scorza et così intere mettetele in una pignatta d’aqqua che non sia piena affatto, acciò poi vi si possa mettere il cavolo et in quella pignatta metti come si è detto le cipolle, olio et sale e lasciale cuocere bene et una ora avanti a desinare vi metterei a cuocere il cavolo et poi si mandi in tavola con fette di pane sotto.
La Ribollita
Nel corso dei secoli la preparazione della Ribollita si è affinata a tal punto da diventare una vera e propria ricetta. Pellegrino Artusi la propone come “zuppa toscana di magro dei contadini”. Di essa esistono infinite versioni. Poiché si tratta di un piatto “spontaneo” ogni famiglia era depositaria di una sua personale ricetta. Ancora oggi ognuno la cucina a modo suo e, sebbene esistano tante varianti di Ribollita, sono da considerarsi tutte vere.
Il Prodotto
FAGIOLI CANNELLINI AL NATURALE
codice 96206 | 6 x 300 g
Zuppa toscana di magro alla contadina
Pellegrino Artusi
“La Scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” a cura di Piero Camporesi( 15a ed. 1911), Torino 1970, p. 92
Pane bruno raffermo, di pasta molle, grammi 400. Fagiuoli bianchi, grammi 300.
Olio, grammi 150. Acqua, litri due. Cavolo cappuccio o verzotto, mezza palla di mezzana grandezza. Cavolo nero, altrettante in volume ed anche più. Un mazzo di bietola e un poco di pepolino. Una patata. Alcune cotenne di carnesecca o di prosciutto tagliate a striscie. «Questa zuppa che, per modestia, si fa dare l’epiteto di contadina, sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione. Mettete i fagiuoli al fuoco con l’acqua suddetta unendovi le cotenne. Già saprete che i fagiuoli vanno messi ad acqua diaccia e se restano in secco vi si aggiunge acqua calda. Mentre bollono fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla e due spicchi d’aglio, due pezzi di sedano lunghi un palmo e un buon pizzico di prezzemolo. Tritatelo fine, mettetelo al fuoco con l’olio soprindicato e quando avrà preso colore versate nel medesimo gli erbaggi tagliati all’ingrosso, prima i cavoli, poi la bietola e la patata tagliata a tocchetti. Conditeli con sale e pepe e poi aggiungete sugo di pomodoro o conserva, e se nel bollire restassero alquanto asciutti bagnateli con la broda dei fagiuoli.
Quando questi saranno cotti gettatene una quarta parte, lasciati interi, fra gli erbaggi unendovi le cotenne; gli altri passateli dallo staccio e scioglieteli nella broda, versando anche questa nel vaso dove sono gli erbaggi. Mescolate, fate bollire ancora un poco e versate ogni cosa nella zuppiera ove avrete già collocato il pane tagliato a fette sottili e copritela per servirla dopo una ventina di minuti.
Questa quantità può bastare per sei persone; è buona calda e meglio diaccia.»
Gli ingredienti
Come tutte le ricette contadine non è facile identificarne con precisione ingredienti e quantità da utilizzare nella preparazione: nel passato, infatti, molto dipendeva da ciò di cui si disponeva più che dal gusto personale. La costante è rappresentata da alcuni ingredienti la cui presenza, nelle varie ricette, sembra mantenersi inalterata: il cavolo nero riccio di Toscana, i fagioli e il pane sciocco o sciapo. A questo proposito, va detto che è necessario che:
• il cavolo nero abbia preso “i ghiaccio”, cioè che sia passato da una o più gelate invernali che ne abbiano ammorbidito le foglie; • i fagioli, che rivestono un ruolo molto importante, siano i cannellini, ovviamente secchi e messi in ammollo la sera prima; • il pane sia senza sale, raffermo e cotto a legna non tanto per il sapore, quanto per la sua consistenza. L’Artusi
Riportiamo qui la ricetta codificata da Pellegrino Artusi nel libro “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene“. Come molte delle ricette riportate nel ricettario, anch’essa è il prodotto della rielaborazione borghese delle tradizioni provenienti dalla campagna che Artusi, in parte, raccolse percorrendo di persona l’Italia e, in parte, poté conoscere indirettamente grazie al fitto rapporto di corrispondenza postale che intratteneva con i suoi tanti lettori.
Come sempre poi c’è la corsa alla rivendicazione dell’originalità, della tipicità… Ma forse, per chiudere, vale la pena di ricordare che se è vero che “Se non è zuppa è sempre pan bagnato” … non è però “Una minestra riscaldata”.
Gianluca Di Lello Export Manager
CONFETTURA DI FRAGOLINA DI SCIACCA E RIBERA
In Sicilia ci sono agrumeti che fanno ombra a piccole fragoline, fresche e profumatissime: un “capriccio” di madre natura perfetto per una confettura
QUALE PIANTA?
La fragolina, botanicamente classificata come “Fragaria Vesca”, è una pianta erbacea spontantea e perenne appartentente alla famiglia delle rosacee.
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Mentre scrivo questo articolo chiudo gli occhi e mi trasporto sulla costa agrigentina, sognando un po’ riesco quasi a percepire il caldo di primavera, la terra che scotta, il fruscio della brezza marina e l’odore, la fragranza degli agrumeti. Date le temperature, mi immagino all’aria aperta, nelle campagne di Sciacca e Ribera, a condividere l’ombra creata dagli aranci, limoni e peschi con i piccoli frutti rossi e dolci che vengono coltivati ai loro piedi: le fragoline di Sciacca e Ribera. STORIA Il prodotto dimenticato che riscopriamo oggi è la confettura di Fragolina di Sciacca e Ribera, risultato della trasformazione di una fragola molto piccola, simile a quella di bosco. Si narra che la presenza di questa pianta in Sicilia derivi dalle piantine portate dai reduci di ritorno dalla Grande Guerra; i soldati siciliani raccolsero la pianta dai sottoboschi delle alpi Friulane e Trentine e le reimpiantarono nelle vigorose campagne siciliane. LA COLTURA La coltivazione risulta essere ardua e impegnativa per via della delicatezza della pianta e del frutto. Credetemi, parliamo di un prodotto rarissimo e unico nel suo genere, un “capriccio” di madre natura come lo definisce Antonino, responsabile produzione dell’azienda Scyavuru. Durante la nostra breve ma intensa telefonata mi ha trasmesso la passione che prova per questo prodotto raccontandomi le difficoltà e la fatica che gli agricoltori affrontano per portare a casa il raccolto. L’impegno di Scyavuru nella valorizzazione del prodotto inizia dall’acquisto della materia prima, garantendo un prezzo fisso che remuneri adeguatamente i pochi e coraggiosi agricoltori che continuano a coltivare il piccolo frutto rosso. La coltivazione e la raccolta avvengono interamente a mano e dal momento della raccolta le fragoline devono essere utilizzate o consumate entro e non oltre le 16 ore: per questo motivo vengono portate in azienda e immediatamente abbattute. L’abbattimento permette di conservare e lavorare agevolmente il piccolo frutto delicato. L’AZIENDA Come avrete intuito, ci troviamo in Sicilia, nella provincia di Agrigento, dove l’azienda agricola Scyavuru produce confetture, gelatine e creme ottenute da sola materia prima locale. Scyavuru nasce dalla cooperazione di tre aziende agricole che da generazioni si dedicano alla produzione di frutta e hanno deciso di trasformare e valorizzare le materie prodotte nei terreni di loro proprietà. Il nome dell’azienda, che in siciliano significa odore, fragranza, ci aiuta a immaginare l’importanza e il rispetto dato alla materia prima utilizzata per realizzare prodotti più o meno profumati a seconda del tipo di frutto.
IL PROCESSO Per la produzione della confettura di Fragolina di Sciacca e Ribera vengono impiegate le sapienti mani delle donne dell’azienda per una cura minuziosa nei singoli passaggi. Le produzioni vengono eseguite solo dopo aver ricevuto un ordine dal cliente, mi racconta Antonino, perché si tratta di un prodotto fotolabile, che si ossida se esposto per troppo tempo alla luce. La cottura avviene a bassa temperatura, a circa 90 gradi e a cielo aperto: viene utilizzato un pentolone senza coperchio che non è a contatto diretto con la fiamma e gli elementi aggiunti sono tutti naturali ossia zucchero, farina di semi di carrube e limone. Una volta invasettata, la confettura viene pastorizzata e spedita. Antonino afferma: “Noi facciamo ben poco, la bontà del prodotto è determinata dall’alta qualità della materia prima e nonostante non guadagniamo molto dalla vendita del prodotto continuiamo a produrla perché crediamo fermamente nell’unicità della fragolina di Sciacca e Ribera e nel suo prestigio ”.
1. PRODUTTORE
L’azienda agricola Scyavuru è un laboratorio di gusti e sapori a filiera completa. Nasce in Sicilia, a Ribera, da un’idea di Rosario Tortorici e Antonino Tornambè che unisce tre produttori di frutta da tre generazioni, legati dalla parentela e dalla passione per l’agricoltura.
2. STAGIONALITÀ
Le fragoline iniziano a maturare da inizio aprile e continuano a farlo fino a fine maggio, tutti i giorni bisogna raccogliere, chinandosi, i frutti maturi per non rischiare che vadano a male.
3. GEOGRAFIA
Il territorio in cui vengono prodotte le fragoline di Sciacca e Ribera è compreso tra i due comuni della denominazione di questo frutto. La posizione geografica, il clima favorevole e la presenza costante di acqua, assicurata dai fiumi Verdura, Magazzolo e Platani, hanno reso molto fertili le terre del territorio di Ribera, anticamente detto Allava.
5 cose da ricordare su questo prodotto
CONFETTURA DI FRAGOLINA DI SCIACCA E RIBERA
Presidio Slow Food, prodotto in Sicilia solo con fragoline di Sciacca e Ribera. La confettura si presenta di colore rosso violaceo e dalla consistenza omogenea; al palato è dolce e leggermente citrica, con gusto tipico di fragolina.
cod 92893 | 220 g
4. CURIOSITÀ
Negli ultimi anni la competizione tra le varietà di fragole rifiorenti ha praticamente annullato il concetto di primizia e ha ridotto i giardini di fragole di Ribera e Sciacca dai circa
200 ettari degli anni Settanta ai 15
ettari odierni, proprio per questo motivo è stato istituito un Presidio Slow Food per salvaguardare questa piccola produzione.
5. IN CUCINA
Pensando alla dolcezza e al profumo di questo frutto non posso che immaginare un dolce. Vi propongo allora di utilizzare la confettura come topping. Formate una pallina di ricotta di bufala come se fosse un gelato e ponetela in una coppetta, condite con un cucchiaio di confettura e concludete con una parte croccante, granella di mandorla. Il risultato sarà un dessert fresco, profumato e piacevole al palato.