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Festa della Madonna della Salute - 21 novembre

Le tradizioni si modificano ma è fondamentale continuare a conservarle, perché in un’epoca come la nostra, che è un’epoca di mutamenti, l’unico modo per non avere paura di tutto ciò che sta avvenendo, è sapere chi sei senza bisogno di dirlo, di proclamarlo. Ma se sai chi sei, con le tue tradizioni, non perderai mai la tua identità

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Andrea Camilleri

La Festa dei veneziani

21 novembre - Basilica della Madonna della Salute basilicasalutevenezia.it

di Fabio Marzari

La Madonna della Salute rappresenta per Venezia un momento imprescindibile del calendario cittadino. Anche nel 2020, annus horribilis, in pochi hanno voluto rinunciare alla visita devozionale nella Basilica del Longhena, e seppure con distanziamento e riti semplificati, soprattutto per la consegna e l’accensione delle candele, la ricorrenza è stata comunque festeggiata. L’autunno 2021 pare un po’ meno complicato, con un gran numero di vaccinati tra la popolazione e qualche luce fioca fioca che si lascia intravedere in fondo al tunnel, il 21 novembre è un giorno che merita di essere vissuto secondo regole precise, non codificate, ma assai presenti nel DNA dei veneziani, di ogni appartenenza sociale e geografica. Gli aspetti religiosi sono abbastanza usuali, è il contorno che rende unica questa giornata, a partire dall’aria di festa che si vive in città. La folla che si assiepa, si spera a giusta distanza, incanalandosi in file abbastanza ordinate per rendere omaggio alla Mesopanditissa dell’altare maggiore, è consapevole di prendere parte a un rito antico, semplice e molto sentito. La devozione è un fatto privato per i veneziani, non esibito, si festeggia uniti, applicando quasi il principio transitivo. La Madonna della Salute è stata capace di un miracolo collettivo, la salute di ciascuno rappresenta la salute di un’intera città, è una Madonna a valenza erga omnes, in grado di guardare al benessere di un popolo, in parte disperso tra terraferma e paesi satelliti, di cui Venezia, povera di abitanti – città sospesa sull’acqua, da cui quasi tutti i presenti originano o comunque vantano un qualche legame – rappresenta l’elemento aggregante.

Una cronaca del 1859

di Camillo Tonini

Ieri alle ore 3 e mezza circa del pomeriggio, scoppiava violenta bufera con dense tenebre, pioggia dirotta e vento così impetuoso, che svelse oltre la metà del tetto di piombo, che copre il fabbricato delle Procuratie Nuovissime, situato di fronte alla facciata della Basilica di San Marco. Le lamine di piombo sollevate dal vento, fracassavano, cadendo i sottoposti fanali e guastarono i tubi del gas, di tal maniera che, per alquante notti, la Piazza non potrà essere completamente illuminata. Il turbine durava poco più di mezz’ora, cagionava lievi danni in altri luoghi della città ed a’ bastimenti ormeggiati nel canale, però non si ha a deplorare nessuna vittima

Questa la notizia riportata il 16 luglio del 1859 dalla Gazzetta Uffiziale di Venezia. Lo stesso forte uragano si abbatteva anche sulla Chiesa della Salute, danneggiando una vasta porzione della copertura in piombo della cupola centrale e la statua lignea della Vergine Maria, posta sopra il cupolino superiore, così da temere per la sua precaria stabilità. Il funesto evento accadeva a pochi giorni dall’armistizio di Villafranca, firmato l’11 luglio dello stesso anno. A Venezia la disillusione per non essere stati liberati dal dominio dell’Impero asburgico, si percepiva in un clima di crescente ostilità verso gli austriaci che, da parte loro, erano sempre meno disposti a prendersi cura della manutenzione della Città, alla quale prevedevano presto avrebbero dovuto rinunciare. Tuttavia, l’Imperial Regio Ufficio delle Provinciali Costruzioni, nel giro di pochi giorni riceveva dal “capo mastro” Giuseppe Biondetti Crovato, eminente figura di impresario friulano nella Venezia dell’Ottocento, un primo Elenco dei lavori urgenti di riparazione dei danni provocati dall’uragano nella cupola maggiore della Chiesa della Salute, vistato da Tommaso Meduna, allora Direttore delle Pubbliche Costruzioni per Venezia. Dalla relazione tecnica, apparve subito evidente che il tempio veneziano necessitava non solo di restauro, ma del completo rifacimento delle due cupole per il quale, solo nel giugno del 1865, venne presentato il relativo progetto con il computo dei lavori dove veniva anche previsto il lievo della statua esistente e della sua sostituzione con una copia delle stesse dimensioni intagliata in legno e ricoperta da lastre di rame. Ma allora nulla se ne fece. La monumentale scultura, alta più di tre metri, era stata issata all’apice della grande cupola centrale nel 1687 a conclusione dei lavori della chiesa, interrotti nel 1645 all’inizio della guerra di Candia (1645-1671) contro il Turco e in coincidenza della riconquista, durante la Guerra del Peloponneso (1684-1699), di alcune piazzeforti veneziane sottratte al tradizionale nemico da Francesco Morosini, allora Capitano Generale da Mar. Caricata di significati politici oltre che religiosi, la statua della Vergine, veniva ritratta anch’essa nelle vesti di Capitana da mar, con nella destra il bastone di comando, come a condurre la Città dal ponte di una galera. Sotto i piedi dell’immagine sacra si scorgeva la mezzaluna, consueto attributo del culto della Vergine Maria, ma anche palese allusione alla protezione che a Lei si chiedeva non solo contro la peste, ma anche a sostegno della vittoria delle armi veneziane. Nel 1875, nella Venezia oramai italiana, quei tempi erano oramai irrimediabilmente passati e con altro spirito se non quello della devozione mariana, si iniziò finalmente il restauro delle cupole, del quale rimane una splendida testimonianza in una foto Naya e si diede incarico di eseguire la copia della statua lignea per sostituirla a quella all’apice del tempio. Quella originale venne, quindi, rimossa e collocata nella Sala dei Filosofi a Palazzo Ducale, inserita tra i marmi dello Statuario Veneto e qui rimase fino agli anni Venti del Novecento quando fu ricoverata in un deposito della Sovrintendenza. Solo in tempi più recenti, la Capitana venne recuperata dalla sensibilità e dal gusto di Egle Trincanato, Direttrice di Palazzo Ducale dal 1954 al 1975, ed esposta, così come si era conservata, nell’atrio degli Uffici della Direzione del museo, decontestualizzata dalla sua originaria funzione, imponente alla vista per una prospettiva troppo ravvicinata, sfigurata nel volto ricoperto da una maschera di rame e con le mani mutile prive del bastone di comando. Quel che rimane della seicentesca imponente figura femminile, montata su una piccola base marmorea che denuncia un’esperita assonanza della Trincanato con i contemporanei allestimenti scarpiani, oggi ci sorprende ancora e ci affascina per la sua estraniante scomposta bellezza che richiama inevitabilmente capolavori scultorei di alcuni grandi maestri del Novecento.

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