Beata Maria Teresa Scrilli

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Joseph Chalmers

Beata Maria Teresa Scrilli


Beata Maria Teresa Scrilli dalla pedagogia della vita alla pedagogia della santità Lettera del Priore Generale, P. Joseph Chalmers, O.Carm. alla Famiglia del Carmelo Santità: Cammino con Dio 1. L’8 ottobre 2006 a Fiesole (Firenze) verrà ufficialmente dichiarata «Beata» la Venerabile Madre Maria Teresa Scrilli (1825-1889), fondatrice dell’Istituto di Nostra Signora del Carmelo. È una nuova sorella che si aggiunge allo stuolo di Santi, Beati e Martiri che fin dalle origini hanno vissuto e incarnato nelle diverse situazioni di vita, quello che può definirsi il carisma del Carmelo e la sua spiritualità. Per una felice coincidenza la Madre Scrilli proviene da una Regione italiana, la Toscana,che fu uno dei luoghi più antichi (Pisa 1249) che i primi eremiti-fratelli del Monte Carmelo scelsero per insediarsi in Occidente nella forzata emigrazione dalla Terra Santa nel XIII secolo, ma anche da una diocesi, Fiesole, che appartiene alla Provincia civile di Firenze e che ha già al suo attivo alcune figure illustri della Famiglia Carmelitana, come il vescovo e pastore fiesolano Andrea Corsini (1303?-1374) e la famosa mistica fiorentina Maddalena de’ Pazzi (1566-1607). A questi esempi luminosi di santità si unisce ora l’educatrice Maria Teresa Scrilli, arricchendo di nuove prospettive il carisma carmelitano che può essere vissuto in una molteplicità di modi. 2. Infatti la universale vocazione alla santità che è «una» nella Chiesa come vita di unione con Cristo, deve essere però coltivata secondo la vocazione propria di ciascuno, come ci ricorda la Lumen Gentium: «Nei vari generi di vita, e nei vari uffici una unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e adoranti in spirito e verità Dio Padre, seguono Cristo povero, umile e carico della croce per meritare di essere partecipi della sua gloria. Ognuno secondo i propri doni e uffici deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza, e opera per mezzo della carità» (Lumen gentium 41). Questa chiamata alla santità è anche oggi una vocazione da annunciare per tutti, un invito di Dio a camminare con Lui e che deve diventare il cuore dell’impegno personale di ogni credente. Lo ricordava inoltre Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, proponendolo come un programma pastorale per il Terzo millennio della vita della Chiesa: «È ora di riproporre a tutti con convinzione questa «misura alta» della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone» (Novo millennio ineunte 31). Nel suo esemplare cammino con Dio, quale fu appunto la sua vita di santità, la Madre Scrilli ci mostra un itinerario che si può esprimere nell’affermazione «dalla pedagogia della vita alla pedagogia della santità» per i tratti caratteristici della sua vocazione al Carmelo e di educatrice. La vicenda storica della Madre Scrilli 3. Maria Scrilli nacque il 15 maggio 1825 in un’epoca, l’Ottocento, che vide in atto in tutta l’Europa una grande trasformazione economica, politica e culturale. Nessuno stato o regione poté sottrarsi a queste innovazioni e la Toscana non fece eccezione. L’elezione al soglio pontificio di Pio IX nel giugno 1846 e le riforme da lui concesse allo Stato Pontificio scatenarono una reazione a catena che coinvolse primo fra tutti il Granducato di Toscana. Popoli interi si muovevano alla ricerca dell’indipendenza nazionale. In questo clima di fermenti soprattutto politici Maria Scrilli crebbe e maturò la sua ascesi spirituale. La sua famiglia rivestiva un ruolo sociale non secondario in Montevarchi e per professione frequentava le persone più in vista del paese, ma la piccola Maria, sensibile di carattere e di


straordinaria intelligenza, avvertì ben presto il disamore materno per essere nata femmina, e la preferenza per la primogenita alla quale erano rivolte affetto e attenzioni. Alla durezza del cuore materno Maria rispose con un affetto ancora più grande e così cominciava a delinearsi il modo con cui avrebbe affrontato le gravissime prove umane e spirituali; non con la ribellione, ma con fiducia e abbandono in Dio dal quale si sentiva amata e al quale aveva donato se stessa fin da tenera età. Questo amore le plasmerà un carattere aperto e vivace, sensibile e attento agli altri, capace di diffondere intorno a sé gioia e serenità. 4. Una misteriosa malattia la tenne immobile nel letto per ben due anni e guarì miracolosamente per intercessione del martire S. Fiorenzo. Fu durante la convalescenza in campagna che avvertì la chiamata del Signore ad una vita di totale donazione a Lui. Il 28 maggio 1846, contro la volontà dei suoi genitori, entrò nel monastero di S. Maria Maddalena de’ Pazzi in Firenze attratta dall’esempio e dalla spiritualità della mistica fiorentina, ma nello stesso momento che metteva piede in quelle «beatissime e a me carissime mura» si sentì da esse respinta. «Un giorno, mentre orando, a Dio mi raccomandava che si degnasse farmi conoscere la sua volontà, mi parve, che, portato il mio spirito, colà nel mondo, mi additasse quantità di Creature, che Egli attendeva che a Lui inviasse. Io non so se questa fu cosa procurata dalla smania e agitazione grandissima, che mendicava conforto; oppure se in realtà fosse cosa di Dio, per tale, starebbe a confermarla quello che è poi seguito» (Autobiografia, 52). In queste parole si scorge il dramma vissuto dalla giovane nei due mesi trascorsi in monastero. Amava la clausura, ma sentiva che Dio non la voleva lì e questo le fu confermato da una monaca morta in concetto di santità, la quale le profetizzò le sofferenze alle quali sarebbe andata incontro: «Molto, ma molto Egli vuole da te; Ti porgerà bevande allo spirito di straordinaria amarezza... oh Figlia! vai a gran patire: così dicendo mi stringeva la mano, e mostrava di ciò gran sentimento. Io mi restai in silenzio, a Dio offrendomi pronta, a qualunque patire che a Lui fosse piaciuto» (Autobiografia, 49). Prima di tornare a Montevarchi si fece terziaria carmelitana assumendo il nome di Maria Teresa di Gesù. 5. Al suo rientro in paese, alcune famiglie cominciarono ad affidarle le loro figlie alle quali dava regolari lezioni. Il numero delle scolare aumentava sempre più e per non togliere libertà ai genitori decise, insieme alle sue compagne che, condividevano con lei anche alcune pratiche di pietà, di cercare un ambiente adatto ad ospitarle. Cominciava a delinearsi la futura fondazione. Il Vescovo di Fiesole mons. Francesco Bronzuoli, in una sua visita pastorale, volle conoscerla e la incoraggiò offrendole appoggio. «Con questo, incominciai a vedermi aprire strada e soccorso, a quanto dettato mi veniva dall’amore di Dio, e del mio simile» (Autobiografia, 68). Nello stesso tempo in cui cercava i locali per dare inizio all’Opera, che si andava profilando, le giunse la richiesta da parte del Comune di prendere la direzione delle Scuole Normali femminili. Le consigliarono di accettare e lei, per lo spirito di obbedienza che l’ha sempre contraddistinta, lo fece. Questo impegno segnò l’inizio dell’Istituto in quella cittadina, ma anche la sua fine. 6. L’Istituto nacque in un periodo di insurrezioni per l’unità d’Italia. Questa situazione politica, caratterizzata da un clima decisamente anticlericale e ostile particolarmente alla vita religiosa femminile, travolse l’Opera appena iniziata, ma che dava già buoni frutti. L’anticlericalismo e la massoneria, presenti anche nelle autorità politiche di Montevarchi, fecero sì che gli amici divennero nemici e il 30 novembre 1859 giunse l’ordine del Regio Governo di sciogliere l’Istituto, di liberare i locali occupati nella Scuola e di secolarizzarsi. Anche la comunità di Foiano, seconda casa dell’Istituto, fu costretta a sciogliersi e a deporre l’abito religioso benché tutta la popolazione si ribellasse per l’allontanamento delle suore dal paese. Madre Maria Teresa usò ogni mezzo per salvare l’Istituto, ma tutto fu inutile per un cumulo di interessi e per il comportamento ambiguo delle autorità di Montevarchi. Dopo il forzato scioglimento delle due comunità e dopo un lungo periodo di attesa silenziosa, durato circa 15 anni, la Madre si trasferì a Firenze dove, con la benedizione dell’Arcivescovo mons. Eugenio Cecconi e l’aiuto di alcune antiche compagne, poté ricostituire la comunità. Era il 18 marzo 1878. Scuola, convitto, associazione mariana, catechesi parrocchiale, visite agli ammalati,


occupavano le giornate e le vocazioni aumentavano. Tutto sembrava andare per il meglio, ma le morti precoci di varie consorelle in breve tempo ne ridussero fortemente il numero, tanto che alla sua morte, 14 novembre 1889, la comunità contava due suore, una novizia e una postulante. 7. La Madre Scrilli non ebbe la gioia di veder fiorire il suo Istituto. «Nascosta con Cristo in Dio» ella imprimerà con la sua rinuncia e – umanamente parlando – con la sua sconfitta, la vera spiritualità dell’Istituto: la totale oblazione al primato di Dio e alla sua Parola come ci ricorda anche la Regola di Alberto, fonte del carisma del Carmelo, e la disponibilità completa verso la Chiesa e verso i fratelli. Questo suo atteggiamento si può trovare racchiuso in alcune sue espressioni che formano una preghiera «del segreto luogo del cuore», facendo intravedere la grammatica del suo «vangelo interiore» e che conduce alla vera sapienza della vita: «Ti amo, o mio Dio, nei doni tuoi; ti amo, nella mia nullità, che anche in questa comprendo, la tua infinita sapienza: ti amo nelle vicende molteplici svariate o straordinarie, di che, tu accompagnaste la vita mia... Ti amo in tutto, o di travaglio, o di pace; perché non cerco, né mai cercai, le consolazioni di Te; ma Te, Dio, delle consolazioni. Perciò mai mi gloriai né mi compiacqui, di quello che mi faceste provare nel tuo Divino amore per sola grazia gratuita, né mi angustiai e turbai, se rilasciata nell’aridità e pochezza» (Autobiografia, 62). Il 1° maggio 1888, per un misterioso disegno di Dio, entrò come convittrice Clementina Mosca di Osimo, colei che a pieno titolo è considerata confondatrice dell’Istituto. Anche lei aveva la vocazione alla clausura, ma alla morte della Madre Maria Teresa la Priora del monastero dove era entrata, comunicandole questa notizia, disse alla giovane che il suo posto era tra le Carmelitane. Divenuta Superiora, con lei l’Istituto rifiorì e si rinvigorì con numerose vocazioni e fondazioni. Sr Maria Mosca dette all’Istituto il nuovo nome di «Istituto di Nostra Signora del Carmelo», ottenne l’affiliazione all’Ordine Carmelitano nel 1929 e l’approvazione pontificia con il Decreto di lode del 27 febbraio 1933. Alla sua morte l’Istituto contava ben 41 case e l’arricchimento del fondamentale fine educativo insieme ad altre espressioni di opere caritative. L’Istituto Oggi 8. L’Istituto oggi conta circa 250 sorelle distribuite in 40 comunità in Italia, Brasile, India, Indonesia, Israele, Polonia, Canada, Filippine, Stati Uniti e Repubblica Ceca. All’educazione della gioventù nelle scuole, nella catechesi, nei gruppi parrocchiali e nelle forme più consone ai paesi in cui si trovano a vivere la loro missione, si è aggiunta l’assistenza agli ammalati fin prima della prima guerra mondiale. Le suore lavorano anche nelle case di riposo per anziani, dove manifestano lo stesso amore e premura per tutti che hanno caratterizzato la vita di Madre Maria Teresa. I valori della sua spiritualità 9. Per circostanze personali e per vocazione Madre Maria Teresa è profondamente legata alla spiritualità carmelitana. Nel monastero di S. Maria Maddalena vi rimase poco, ma scoprì e si radicò nella sua vocazione «carmelitana» vissuta nel mondo attraverso l’attività apostolica, perciò entrò nel Terz’Ordine Carmelitano. Il suo contatto con i Padri Carmelitani Scalzi di S. Paolino di Firenze l’aiutò in questo senso. Gli inizi dell’Opera furono improntati ad uno spirito di fervore e di preghiera proprio dell’Ordine e lo spirito di contemplazione rimase sempre vivo in lei. La sua preghiera che sgorga dal totale abbandono, confidenza e disponibilità piena alla volontà divina, assunse un aspetto di riparazione delle offese inflitte a Dio, di lode, di gioia nell’intrattenersi con Dio, di unione e di profonda fede in Dio nelle prove e nella tentazione, tutto in linea con le note esperienze delle anime contemplative carmelitane, di cui la Madre assumendo il nome di Teresa, volle seguire le orme in particolare della Santa di Avila: «… e perseverando essi in questo santo esercizio, ho molta fiducia nella misericordia di quel Dio che nessuno ha mai preso invano per amico, giacché l’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente intrattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere amati» (Vita di S. Teresa di Gesù, 8,5).


10. La ricerca di Dio è stata dominante nella Madre fin dalla tenera età. L’ha attuata con la preghiera, ma anche attraverso la conformazione della sua vita alla volontà di Dio sempre e in ogni circostanza e fin da giovanissima età divenne il suo programma di vita. «Signore, da me, nulla posso; e se anche potessi, nulla vorrei, perché altro non desidero, se non, che sia fatta, in me, circa me… voluntas tua. Fiat» (Autobiografia, 90). È questo il filo d’oro che attraversa tutta la vita della Madre: l’abbandono fiducioso in Dio e l’obbedienza totale, incondizionata, alla sua volontà. «Sempre ripeterò: Fiat». Abbracciare la volontà di Dio non è un modo passivo di vivere; al contrario comporta dinamicità per conoscerla e attuarla; vuol dire mettersi in discussione e donarsi, essere non più per se stessi, ma per l’Altro e per gli altri, perché scaturisce dall’amore. Per Maria Scrilli la disponibilità piena alla volontà di Dio e l’amore totale a Lui si concretizza nel proposito di condurre anime a Dio. «Non siamo in questa terra che per compiere la volontà di Dio e condurre anime a Lui» (Costituzioni 1854-55, 7). La confidenza e il totale abbandono in Dio la resero mite e umile. Se nell’infanzia la mitezza fu cosa quasi naturale, negli anni la costruì con consapevolezza interiore, momento per momento. Si considerava «oro in mano all’Orefice, ed alla cera in mano al suo lavoratore, disposta a prendere, ogni qual forma a lui piacesse» (Autobiografia, 45). Non amava la gloria ma il bene e «attesa la mia gran pochezza, ho sempre motivo di meravigliarmi che Dio mi abbia posta nella posizione che sono; se Esso fu che ciò volle, è per l’istesso motivo che ne dubito; se non so fu perché più debba risaltare che è tutta opera sua, ed io, che io nulla feci di buono, non era capace» (Autobiografia, 97). 11. Nella spiritualità della Madre Maria Teresa è fondamentale l’adesione a Dio nell’arduo cammino della croce che iniziò fin dall’infanzia e l’abbracciò con il solo desiderio di riparare le offese che si facevano a Lui. I suoi scritti esprimono in forma semplice, una profonda sapienza centrata sul mistero della croce. Alle sofferenze morali, alla solitudine, seguì spesso la malattia, non impedendole tuttavia, di offrirsi continuamente a Dio fino al «consummatum est». Tutto provò a offrirsi per amore e con amore. «Patire per amore» ella dice. «A voi è stata data la grazia non solo di credere, ma anche di patire per lui» (Fil 1,29). Maria Scrilli «credette e patì”; ricordandoci che nessuna croce è senza senso e che ogni croce accettata fa spazio e matura la vita; ha dimostrato che servire il Signore dona libertà e che la fede in lui rende capaci di fraternità e condivisione. «Nell’Orazione, considerando le grandi offese che si facevano a Dio, fu tanta la pena, che li domandai con grande istanza, che mi desse patire; che con questo, vittima a Lui facendomi, compensar lo volevo; volevo compiacerlo in opposto alle scompiacenze che aveva dagli ingrati suoi offensori» (Autobiografia, 61). Questo suo amore al patire e il desiderio di riparare le offese che si facevano al Signore trovavano alimento nella assidua meditazione sulla Passione di Gesù che coltivò fin da quando ancora fanciulla, sentì dire in un sermone che «erano care a Dio quelle anime che per Lui portan la Croce». «Amate e patite, patite e amate. Queste due cose vanno insieme: l’amore ci fa patire e il patire ci fa amare» dice S. Maria Maddalena de’ Pazzi (Ricordi, detti e azioni, Renovatione della Chiesa, 326). La Madre Scrilli soffriva per amore e voleva che coloro che l’avvicinavano avessero la gioia di sapere che Dio ama con amore di Padre, che la croce ha un senso, che ciò che conta non è l’apparire ma la rettitudine della coscienza. Il carisma dell’Istituto 12. La tenace, umile e silenziosa storia di Maria Scrilli si svolse nelle complesse vicende dell’unità d’Italia, del liberalismo anticlericale, antireligioso e il trionfo della rivoluzione industriale. Ella attenta ad uno dei più gravi problemi di quella società, volle dare alle giovani, specie le più indigenti,una preparazione umana completa dal punto di vista culturale, scolastico e religioso che rispondesse ai bisogni della loro vita specifica come donne, preparandole ad un lavoro dignitoso e indipendente. In questa ottica si può comprendere il carisma contemplativo-educativo vissuto dalla Madre Scrilli e trasmesso alle sue figlie. Credeva di realizzare la sua vocazione in un monastero carmelitano, incarnandone la spiritualità e invece capì che, senza perdere la profonda esigenza


contemplativa, poteva impegnarsi nel campo educativo perché era un «lasciare Dio per Dio; cioè lasciare Dio nella contemplazione di Maddalena, per ritrovarlo nei propri doveri, delle cure di Marta; quale, se le avesse dato il suo luogo, e non più; e perciò non si fosse tutta in essa versata, dal Divino Maestro, credo io, non sarebbe stata corretta: Che gode anzi, che lasciamo di godere di Lui, per faticare per Lui: e poi tornare a riposare in Lui» (Autobiografia, 37). Come per S. Maria Maddalena de’ Pazzi la simbiosi tra mistica e azione è un’esigenza della vocazione carmelitana, così per la Madre Scrilli l’esempio delle due sorelle Marta e Maria non si può separare, e l’ideale per il carisma del suo Istituto consiste nell’unione tra azione e contemplazione, per cui non può esserci dualismo tra amore per Dio e amore per il prossimo. Essere contemplative ed educatrici è il compito che Madre Maria Teresa, sotto l’azione dello Spirito Santo, dà alla sua comunità. «La vita contemplativa non deve essere che di aiuto all’attiva, non mai di aggravio». La vita «contemplativa e attiva» era «simile a quella di Gesù», al quale le suore educatrici dovevano chiedere guida ed aiuto per percorrere «quella via di carità, che Egli, Divin Maestro insegnò» (Costituzioni 1854-55, 7). 13. Come per ogni persona innamorata di Cristo e come prescrive la Regola di Alberto, il cuore e il centro dell’esistenza della Madre Scrilli era l’Eucaristia, il «divinissimo Pane», che ben presto le fu accordata quotidianamente. La sensibilità era tale che quando era in chiesa, dalla parte opposta alla cappella del Divin Sacramento, «mi sentivo colà in modo tale attrarre senza forza a resistere, che talora mi vi trovavo, senza neppure accorgermi» (Autobiografia, 32). A volte, entrando in chiesa, sentiva come se una mano invisibile le premesse il cuore: «era una stretta amorosa che mi rapiva l’anima, la quale si rifugiava nell’istante medesimo (oppure da Esso attratta) al Sacramentato Gesù, da dove sentii vibrarsi l’amorosa ferita» (Autobiografia, 36). La Madre Scrilli avvertiva la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, ma anche in sé per cui il sentimento della divina presenza le era diventato continuo. 14. Grandissima fu anche la devozione alla Madonna, la sua «cara Mamma», che non era devozionismo di natura intimistica ed alienante, ma esperienza di profonda familiarità. Questa «presenza mariana» nasce in un contesto di preghiera, si allarga fuori di essa, si esprime in affettuoso amore, trova in lei il suo compiacimento ed il conforto, raggiunge il suo compimento nella brama di congiungersi con Maria in cielo. Questa presenza mariana e carmelitana introduce Madre Maria Teresa nella mistica della Passione, tanto che l’amore a Maria «incominciò a farmi dolce il patire». La «cara Mamma» le faceva gustare le sue premure e la dolcezza del suo amore. La relazione con la Vergine si caratterizza attraverso tratti filiali di figlia a Madre e mette l’Istituto sotto la sua protezione fin dall’inizio. Tratta con la Vergine Madre come persona presente nella propria vita, ne avverte la materna e continua presenza nella propria giornata, nelle attività e persino nel riposo notturno. Significativa l’importanza che dà al nome di Maria che le viene imposto nel battesimo anziché quello di Palmira come volevano i suoi genitori. La dimenticanza del nome da parte della madrina fu da lei considerata cosa disposta dal cielo e «ne fui gratissima, per essere quello il nome di Quella che tanto amai ed amo, come mia cara Mamma» (Autobiografia, 2). Il ruolo dell’educazione 15. L’esortazione Vita consecrata ricorda che «La storia della Chiesa, dall’antichità ai nostri giorni, è ricca di ammirevoli esempi di persone consacrate che hanno vissuto e vivono la tensione alla santità mediante l’impegno pedagogico, proponendo allo stesso tempo la santità quale meta educativa. Di fatto, molte di esse hanno realizzato la perfezione della carità educando. Questo è uno dei doni più preziosi che le persone consacrate possono offrire anche oggi alla gioventù, facendola oggetto di un servizio pedagogico ricco di amore, secondo il sapiente avvertimento di san Giovanni Bosco: «I giovani non siano solo amati, ma conoscano anche d’essere amati» (Vita consecrata, 96). A questa spiritualità educativa si ispira anche Madre Maria Teresa di Gesù, la quale più volte ebbe l’opportunità di confrontarsi di persona con San Giovanni Bosco, e si legano anche alcuni messaggi che ha proposto innanzitutto alle sue figlie, e con i quali può fecondamente rapportarsi chi oggi è


impegnato nel campo educativo. Infatti, Maria Teresa Scrilli testimoniando «eroicamente» la speranza cristiana e la capacità di risorgere dal dolore, invita a considerare «l’educazione come servizio», come «un rapporto personalizzato» e «un sapersi porre in relazione». 16. Per il suo Istituto la via di carità da percorrere è quella dell’educazione della gioventù, specialmente la più povera, «dall’età più tenera fino alla completa adolescenza». Per questo alle suore chiede di fare oltre ai tre voti consueti un quarto voto, quello cioè di «prestarsi ad utilità del prossimo per mezzo dell’istruzione morale cristiana e civile da dare al sesso femminile» (Regole e Costituzioni ,1854-55,1). Carità, amorevolezza, ascolto, abnegazione, dono di sé, premura adeguata per ogni educanda sono le doti richieste alle consorelle educatrici di modo che gli ambienti educativi devono essere permeati dallo spirito evangelico di libertà e carità (cfr. Vita Consecrata, 96). In fedeltà creativa nella Chiesa e nella Famiglia del Carmelo 17. L’esperienza storica e spirituale della Madre Scrilli come testimonianza di una vita donata agli altri in Cristo, mostra a noi tutti come essere santi per «costruire una nuova civiltà dell’amore», di uomini e donne che accolgono il dono di Dio, e rispondono senza misura al suo infinito amore con una dinamica di vita spirituale che invade ogni dimensione umana e che forgia il santo nell’oggi. Infatti non si diventa santi estraniandosi dalla situazione del mondo, ignorandola, ma è proprio nel vederlo con gli occhi di Dio e nell’amarlo con il cuore di Dio che si realizza l’oggi del santo. Da una simile visione deriva quale conseguenza la traduzione nella concretezza della vita, di una spiritualità che riparte dal grande comandamento dell’amore, perché «Dio è carità». Ce lo ricorda il Santo Padre Benedetto XVI, nella sua prima enciclica proprio su tale tema: «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4,16). Queste parole della Prima lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino». Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto”» (Deus caritas est, 1). 18. L’epoca della Madre Scrilli può avere alcuni aspetti comuni con la nostra epoca, riguardo all’inquietudine della domanda del credere. Il dialogo fra credenti e non credenti si offre come una sfida fra le più alte ed arricchenti nella cultura segnata dalla non-credenza e dall’indifferenza religiosa. Come credenti e come Chiesa siamo invitati a cogliere questa sfida e a viverla senza paura, con spirito e cuore, fiduciosi nella fedeltà di Dio. Sull’esempio della Madre Scrilli siamo chiamati a misurarci e a operare le scelte del nostro impegno nella sequela del Signore Gesù come singoli e come Famiglia Carmelitana. Due sono gli elementi che scaturiscono con preponderanza: la testimonianza e il dialogo. 19. La testimonianza è un farsi soggetto della verità e, trattandosi di una verità agapica, è un farsi soggetto dell’amore. La testimonianza dell’amore è contagiosa ma non fa violenza; non è opprimente ma è paziente e benigna «non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità» (1Cor 13, 5-6). «La testimonianza evangelica a cui il mondo è più sensibile è quella dell’attenzione per le persone e della carità verso i poveri ed i piccoli, verso chi soffre. La gratuità di questo atteggiamento e di queste azioni, che contrastano profondamente con l’egoismo presente nell’uomo, fa nascere precise domande che orientano a Dio e al Vangelo. Anche l’impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell’uomo, la promozione umana è una testimonianza del Vangelo, se è segno di attenzione per la persona ed è ordinato allo sviluppo integrale dell’uomo» (Redemptoris missio, 42). Ma «l’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dall’incontro con Cristo. L’intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa così un partecipargli me stesso: perché il dono non umili l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio, ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona» (Deus caritas est, 34).


Pertanto un vangelo che come quello cristiano annuncia che Dio è sommo amore, che ci ha amati fino al punto di dare la vita per noi e che ci vuole rendere partecipi della sua comunione di vita nello Spirito, e che trova il suo alimento nell’Eucaristia, non può annoverare tra i suoi mezzi tutto ciò che sa di costrizione, di imposizione, di lotta o perfino di violenza. Il volto della Madre Scrilli ci dice il compimento della beatitudine del Vangelo: «Beati i miti perché erediteranno la terra» (Mt 5,5), cioè il Regno di Dio, non solo come dimensione escatologica, ma anche come presenza redentiva nella vita di ogni credente. Seguendo l’esempio del Maestro: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore», la mitezza si presenta come un frutto dello Spirito (cfr. Gal 5,12), che costruisce comunione con rapporti di accoglienza e convivialità, perché «i miti godranno di una grande pace» (Sal 37,11). 20. Il secondo elemento è il dialogo. Per «dialogo» s’intende un metodo di ricerca della verità, mediante il confronto con le opinioni altrui, la franca discussione e lo scambio delle idee. Ogni posizione fondamentalista, intransigente e totalitaria, nei confronti della verità è incompatibile con il dialogo. Nonostante la difficoltà di coniugare il dialogo con l’evangelizzazione, la Chiesa afferma categoricamente che «il dialogo è una via verso il Regno e darà sicuramente i suoi frutti anche se tempi e momenti sono riservati al Padre» (Redemptoris missio, 57). L’esempio della Madre Scrilli invita a stimolare le istituzioni educative d’ispirazione cristiana, affinché diventino dei luoghi dove la fede accolta, pensata e celebrata possa creare un ambiente evangelico propizio ai giovani e un’autentica coscienza culturale e sociale nutrita dal Vangelo del Cristo. Al tempo stesso però, affermare l’alterità del Vangelo significa delineare un processo di inculturazione della fede nella accoglienza di modelli e paradigmi delle culture entro cui si inserisce. La prospettiva è quella di aprire domande e di offrire un valore al processo di salvezza già con le sue aspirazioni, attese, sofferenze. Nel messaggio evangelico c’è un potenziale unico di umanizzazione che dona alla Chiesa la pretesa di proporre un modello alternativo che rende la terra più abitabile e la comunità umana più conviviale. Per questo la comunità cristiana, può svolgere un ruolo critico nei riguardi di una palese disumanizzazione dell’uomo e dinanzi agli squilibri della globalizzazione. Ciò è possibile solo nella confessione che Gesù Cristo è il Signore e, come centro della vita di un credente, e come ha fatto la Madre Scrilli, non venendo mai meno alla propria identità e specificità anche di fronte ad atteggiamenti di negazione di Dio, di intolleranza, di fondamentalismi, conservando il dono ricevuto da Dio per un progetto di vita e per il suo Istituto. L’intera Famiglia Carmelitana può oggi ringraziare il Signore per questa prossima beatificazione, e per il segno che la spiritualità carmelitana possiede ancora una fecondità e creatività adatte alla vita di santità. Tutti i Carmelitani e Carmelitane possono vedere in Madre Scrilli un esempio di fedeltà creativa al carisma del Carmelo e al patrimonio del suo Istituto testimoniato in nuovi ambienti, situazioni, culture, perché «i santi sono i veri portatori di luce all’interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore» (Deus caritas est, 40). Joseph Chalmers, O.Carm. Priore Generale 8 settembre 2006


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