Ignea sagitta

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LA FRECCIA DI FUOCO Comincia l'opuscolo la Freccia di fuoco, scritto dal fratello Nicolò, ex priore generale dell'Ordine dei Fratelli della Beata Maria del Monte Carmelo, in cui egli lamenta la totale decadenza della vita religiosa primitiva.

PROLOGO L'umile Nicolò a tutti i suoi compagni di cattività: salute ed assistenza perenne dello Spirito Santo. Vedendo la mia Madre piissima, che mi ha concepito morto e mi ha partorito come un aborto, in mezzo a figliastri ruminanti e a figli legittimi illegittimamente imprigionati, con la grazia di Dio mi voglio impegnare per porre rimedio alle necessità di tutti. Con pianti e singhiozzi cercherò di svegliare la Madre dal sonno dell'ignoranza, perché prenda coscienza del suo stato di decadenza e vi ponga rimedio; con argomenti probanti voglio riportare dalla via sbagliata alla via retta i figliastri, degenerati per la loro ignoranza, i quali cercano di ingannare se stessi e la Madre, che considerano matrigna, perché si vergognino e rinsaviscano; se Dio vorrà, renderò coraggiosi i figli legittimi, che fino ad oggi come pusillanimi hanno taciuto facendo finta di niente, confutando gli argomenti inconsistenti dei figliastri e dimostrando quale sia la vera condizione dell'Ordine dato che le tesi opposte acquistano maggiore chiarezza quando vengono confrontate1 -, affinché parteggino per me durante la discussione. Prego umilmente i figli veri e legittimi di non indignarsi se, nauseato da tanta confusione, redarguirò la superbia dei figliastri; non si irritino i figliastri se, tentando di richiamarli da una situazione pericolosa, e di questo mi è testimone Dio, cui parla la volontà2, li riprenderò per loro utilità e salvezza. Desidero con tutte le mie forze cancellare questo disonore, che è comune a tutti. So con certezza - e non potrò evitare il peso della mia fatica, anche se lo volessi - che quest'opuscolo, giustamente intitolato la Freccia di fuoco per il suo contenuto veritiero, chiaro e acuto, piacerà ai figli legittimi che camminano nella luce, mentre riuscirà odioso ai figliastri, che odiano la luce, perché non vengano svelate le loro opere malvagie3.

CAPITOLO PRIMO Come s'è annerito l'oro, alterato il colore migliore, e le pietre del santuario sono disperse ai crocicchi delle strade4! Ohimè, Madre! Religione santissima che mi hai generato, tu che un tempo eri giustamente stimata per l’eccellente ed eminente scienza della circoncisione spirituale5; il Profeta si lamenta per causa tua, e tu non effondi lacrime su te stessa? Ohimè, Madre! Geremia meravigliato proclama il tuo danno piangendo e lamentandosi, e tu non piangi con lui che piange, non ti lamenti con lui che si lamenta? Ohimè, Madre! perché non piangi per il male dei tuoi figli, mentre il Profeta, pur essendo un estraneo, non cessa di lamentarsi apertamente? Certo, Madre, se tu ponderassi le parole del pianto del Profeta, sgorgherebbero dai tuoi occhi fiumi di lacrime. Forse ignori che nel tuo stato primitivo fosti giustamente paragonata all'oro per la tua grande pietà? Infatti come l'oro è il più prezioso di tutti i metalli, così tu eri la preferita tra tutti gli Ordini religiosi a causa della maggiore sicurezza derivante da una contemplazione più intima. Il tuo aspetto non era 1

ARISTOTELE, Retorica, III, 17. Cf. Colletta della Messa per chiedere la grazia dello Spirito Santo: «O Dio, che vedi i segreti dei cuori e conosci i nostri pensieri…». 3 Cf. Gv 3,20. 4 Lam 4,1. 5 SAN GIROLAMO, Libro sulla interpretazione dei nomi ebrei, cc. 72; 92,7; 110,11. 2


un tempo meravigliosamente splendido quando, candida per la purezza della tua castità e rossa per la verecondia del tuo pudore6, ti mostravi santa, al punto che tutti desideravano contemplare la tua straordinaria bellezza? I tuoi figli, nei tempi passati, non erano forse giustamente chiamati pietre del santuario, essi che, solidi per la costanza, ben compaginati per la fermezza dei propositi, convenientemente adornati dalle aspre penitenze e abbelliti in modi diversi dalla varietà delle virtù, per opera del Sommo Artefice si preparavano, ed era cosa nota, per il glorioso edificio che è la Gerusalemme celeste? Ohimè, mentre ripenso al passato, considero il presente e temo il futuro: che quest'oro non si cambi improvvisamente in piombo, per colpa del peccato dei figli... Sappiamo che la sentenza divina ha stabilito che coloro i quali abbandonando la condizione loro propria hanno peccato insieme, rompendo il vincolo della pace7 con la divisione dell'instabilità, subiscano insieme lo stesso castigo; perciò Geremia prosegue il suo lamento, dicendo: «Gerusalemme ha peccato, per questo ha perduto la sua sicurezza; i suoi nemici l'hanno vista ed hanno deriso i suoi sabati; coloro che la magnificavano l'hanno disprezzata e sono diventati suoi nemici»8. Riconosci, o Madre, riconosci tutte queste cose dette di te, che un tempo meritasti di essere chiamata Gerusalemme per l'abbondanza della pace9. E rendendoti conto di questo, gemerai, piangerai, sospirerai, se considererai con diligenza la causa e l'effetto. Inoltre guarda il tuo aspetto, un tempo di una bellezza meravigliosa, divenuto ora così brutto. Perciò di nuovo il Profeta si lamenta di te, dicendo: «Dalla figlia di Sion è scomparso ogni splendore, e i suoi capi come arieti non hanno trovato pascoli»10. Dico pascoli di consolazione spirituale, parlando con una metafora spirituale, Come sono giustamente chiamati arieti i tuoi capi, che dominano in te, perché con la loro intelligenza e la loro volontà, che sono le due corna dei superbi che il Signore alla fine spezzerà, turbano la pace del gregge, dissipano la concordia, suscitano liti e scandali senza fine. Di essi dice il Salmista: «Ha gettato il disprezzo sui potenti, li ha fatti errare fuori della retta via»11. Prosegue: «Le pietre del santuario sono disperse ai crocicchi delle strade»12. Erano figli legittimi quando, uniti e cementati da un amore sincero13, sdegnavano trasgredire il voto professato, e con gioia, stando nelle loro celle, e non vagando per le strade, si preoccupavano di meditare la parola del Signore e di vegliare in preghiera14, non per costrizione ma spinti dalla gioia spirituale, Ora invece, violentemente strappati dal cemento della carità a causa della discordia e dell'incostanza e dispersi ai crocicchi di ogni strada, non sono più, ohimè, pietre del santuario. E benché non siano pietre del santuario, tuttavia bisogna chiamarli pietre per la loro durezza ostinata, Etimologicamente le pietre (lapides) sono così chiamate perché ledono i piedi15, cioè i sentimenti propri ed altrui. Dato che a causa della loro incostanza feriscono ed offendono danneggiando i sentimenti e le coscienze di molti, possono veramente essere chiamati non più pietre del santuario ma certo con più esattezza sassi d'inciampo e pietre di scandalo16. Tuttavia, poiché lo zelo della tua casa mi divora17, considerando questa tua condizione Madre mia religiosissima, una grande tristezza mi obbliga a sospirare ed a piangere. Pensando alla condizione dell'uomo interiore al tempo perduto, angustiato da ogni parte, non posso dimenticare l'afflizione nonostante ogni tentativo di essere consolato, Ecco, il dolore si raddoppia quando sarebbe già sufficiente la semplice desolazione dovuta alla mia pusillanimità. E benché io non sappia quale dolore per primo e in misura maggiore debba sfogarsi nel pianto, tuttavia alla fine concludo che al tuo dolore, in quanto più universale, spetti il primo posto. 6

Cf. Ct 5,10. Cf. Ef 4,3. 8 Lam 1,8.7.8.2. 9 Cf. Sal 71,7 (Volg.). 10 Lam 1,6. 11 Sal 106,40 (Volg.). 12 Cf Lam 1,4. 13 Cf. 2Cor 6,6. 14 Cf Regola carmelitana, 7. 15 SANT’ISIDORO DI SIVIGLIA, Libri delle etimologie, XVI, 3 (PL 82, 562). 16 Cf. 1Pt 2,8. 17 Sal 69,10. 7


CAPITOLO SECONDO Chi mi darà una fonte di lacrime perché io, piangendo, gemendo e sospirando giorno e notte, inciti colui che ti ha piantato contro coloro che, dopo averti sradicato da una terra fertile di solitudine ti hanno trapiantato miseramente in una terra resa sterile dalla malizia dei suoi abitanti 18? Chi si ergerà con me contro gli autori di questa azione iniqua19? Chi mi potrà consolare, Madre mia dolcissima, quando penso che tu, scendendo da Gerusalemme a Gerico, ti sei imbattuta nei ladroni20? Soffro per il tuo stato, soffro molto, e poiché non posso esserti di aiuto, addolorato desidero morire. Infatti, vedendoti spogliata per la strada e abbandonata, coperta di piaghe, quasi morta, la mia anima è stanca di continuare a vivere21 nel dolore. Chi ti sarà vicino nella sofferenza? Chi ti curerà22? Chi si rattristerà per te? Chi avrà pietà di te23? Certo, tutti sono passati oltre senza curarsi di te, e tu non hai speranza di salvarti, a meno che il Samaritano del Vangelo, versando vino ed olio sulle tue piaghe, non voglia con la sua misericordia alleviare i tuoi dolori24. Oh! Se tu volessi aprire gli occhi e considerare con me il tuo stato primitivo che i tuoi figli hanno completamente cancellato, e a poco a poco, zoppicando, hanno distolto dalla retta via, o addirittura hanno sovvertito, sviandolo! Chi, volendosi considerare tuo figlio, o Madre santissima, non si rattrista della tua situazione in questo momento? Ricordati e sospira, e sospirando ricorda quanto eri degna e santa nel tuo stato primitivo, ammirata e famosa agli occhi di tutti, quando non cessavi di saziare con un cibo nutriente i nostri padri, eremiti santissimi, posti in un ottimo luogo di pascolo spirituale, meravigliosamente cresciuti presso acque ristoratrici25. Ora dunque considera - e forse questo ti immergerà in un fiume di lacrime - che sei diventata insopportabile agli occhi di tutti a causa dei peccati dei tuoi figli, o meglio, dei tuoi figliastri. Per questo Geremia, continuando il suo lamento, ti parla così: «I tuoi preziosi figli, valutati come oro fino, sono stimati quali vasi di creta, lavoro delle mani del vasaio26! I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato la tua iniquità per cambiare la tua sorte 27. Fa' scorrere dunque come torrente le tue lacrime giorno e notte, non darti pace, non abbia tregua la pupilla del tuo occhio. Alzati, Giuda, nella notte, quando cominciano i turni di sentinella; effondi come acqua il tuo cuore davanti al Signore, alza verso di lui le tue mani per la vita dei tuoi bambini, che muoiono di fame ai crocicchi delle strade!»28. Parla la Madre. Ohimè! figlio, tu che vedendo tua Madre in uno stato di afflizione avresti dovuto consolarla, perché vuoi invitarla al pianto e al lamento perché si rattristi ancora di più? O figlio, forse io non considero che il peccato dei miei figli, secondo la profezia di Geremia, mi ha reso desolata, per sempre oppressa dal dolore29? Guarda, o Signore, e considera, come sono disprezzata30! Hai udito la mia voce, non distogliere il tuo orecchio dal mio singhiozzo e dalle mie grida. Mi hai ridotto a spazzatura e rifiuto in mezzo ai popoli31. Ascoltate, vi prego, popoli tutti, e osservate il mio dolore32. Il Signore ha ripudiato tutti i miei prodi in mezzo a me, ha chiamato contro di me la 18

Cf. Sal 107,34. Sal 94,16. 20 Cf. Lc 10,30. 21 Cf. Gb 10,1. 22 Lam 2,13. 23 Ger 15,5. 24 Cf. Lc 10,31-34. 25 Cf. Sal 23,2. 26 Lam 4,2. 27 Lam 2,14. 28 Lam 2,18-19. 29 Lam 1,13. 30 Lam 1,11. 31 Lam 3,45. 32 Lam 1,18. 19


sventura per fiaccare i miei eletti33. Per tali cose io piangerò, dal mio occhio scorreranno lacrime perché è lontano da me chi mi consola ridandomi la vita34. I miei sacerdoti e i miei anziani nella città sono spirati mentre cercavano cibo per sostenersi in vita35. I miei figli sono desolati perché il nemico ha prevalso36; i miei cari hanno vagato per le strade, sono insozzati di sangue 37. Come radunerò i miei figli? Il mio nemico li ha sterminati38. L'iniquità del mio popolo è più grande del peccato di Sodoma, la quale fu distrutta in un attimo senza fatica di mani39. Parla il figlio. Ohimè, Madre mia! Perché sono vissuto per vedere questo tempo in cui sono spettatore del tuo disonore e della tua confusione, e non posso offrirti nessun rimedio perché nessuno mi ascolta!

CAPITOLO TERZO Ascolta dunque il consiglio del tuo figlio, e chiama a te con tenerezza i tuoi veri figli, ammoniscili ed esortali con zelo a conformarsi concordemente alla volontà divina affinché si sforzino di porre rimedio alla tua situazione che la condotta dei superbi, e non la destra dell'Eccelso, ha stravolto con il pretesto del bene. Sappiano poi i figliastri quanto è duro recalcitrare a lungo contro un pungolo40 che non si infiacchisce; addirittura si dice che costituisca pericolo di dannazione per l'uomo insano opporsi caparbiamente al divino volere resistendo con arroganza e ostinazione. Ma forse risponderanno, volendo partorire l'arroganza concepita, e diranno queste dotte parole: «Non abbiamo mai voluto opporci alla volontà divina, ma piuttosto le abbiamo obbedito, Infatti vogliamo edificare il popolo di Dio predicando la sua parola, ascoltando le confessioni, dando consigli e compiendo le altre opere dell'apostolato, per poter giovare a noi stessi e al prossimo. Per questo ci adoperiamo con tutte le forze, come è giusto. Tu sai bene che noi siamo volati via dalla solitudine dell'eremo alle città popolose per questo motivo, certamente molto giusto: esercitare le cose predette». Volgiti, o Madre, alla superbia dei figliastri, per i quali mai tu fosti matrigna, e vedi come, non risparmiandoti lo scandalo della confusione, accecati cavillano con la loro risposta a proprio rischio e pericolo. Ti piaccia dunque, mentre sei addolorata, o Madre amatissima, che il tuo figlio risponda, perché sono colmo di argomenti, mi costringe il mio valore41; e per poter rispondere in tua vece, mi accosterò alla verità, a cui i nemici non potranno resistere42. O uomini stolti, perché tentate di colorare i vostri ragionamenti con un'apparenza di verità? Credete di poter ingannare con parole futili colui al quale non sfugge alcun segreto? Voi affermate falsamente di esservi recati nelle città e di aver abbandonato la vita eremitica per poter giovare a voi stessi e a coloro che vi credono, comunicando le cose pregustate nella contemplazione. Ecco, vi dimostro che in città non fate nessuna delle due cose, mentre nei tempi passati, quando vivevate nella solitudine, le ottenevate entrambe. Finché ve ne stavate lodevolmente nella solitudine, dediti alla contemplazione, alla preghiera e alle opere sante, giovando a voi stessi, il profumo della fama della vostra santità, diffuso in lungo e in largo per città e villaggi, rafforzò mirabilmente tutti coloro che lo percepivano; e attirandoli come un legame soave, radunò molti, bene edificati per la solitudine dell'eremo dalla fragranza di quell'odore, per condurre una vita di penitenza. Ora invece, comportandovi da secolari in mezzo ai secolari, non siete di aiuto né a voi stessi né al prossimo; 33

Lam 1,15. Lam 1,16. 35 Lam 1,19. 36 Lam 1,16. 37 Lam 4,14. 38 Lam 2,22. 39 Lam 4,6. 40 Cf. At 26,14. 41 Gb 32,18. 42 Cf. Lc 21,15. 34


anzi, voi stessi, dato che non siete utili, perdete la vostra identità, e cosi corrompete e scandalizzate il popolo, a cui volete piacere, con il puzzo velenoso della vostra infamia. Infatti, secondo la parola del Profeta, non vi siete forse mescolati tra i pagani e non avete imparato le loro azioni e servito i loro idoli, e in questo avete inciampato43? Oh, fosse solo una situazione subita! Ma poiché è qualcosa di positivamente voluto, voi scandalizzate il prossimo e con ostinazione non ritenete scandaloso il suo scandalo, perché avete perso il pudore a vostra confusione. Avete imparato le azioni dei pagani, in mezzo alle quali la coscienza non si acquieta; e perciò Geremia, compatendo la fatica inutile della vostra Religione, si lamenta così: «Abita tra i pagani e non trova riposo»44; e voi invece vi sforzate di trovare riposo. Cercate di intendere ciò che dico; il Signore vi ha abbandonato in balia di un'intelligenza depravata 45, e sotto la spinta dei vostri peccati vi ha tolto la retta intelligenza. Benché si dica che ognuno cerca il proprio simile, tuttavia i secolari, quando sanno che i monaci sono diversi da loro nella vita santa, senza dubbio li amano e li onorano; quando invece li vedono simili a sé nei vizi, benché a volte li approvino in loro presenza, in loro assenza li additano allo scherno e giustamente li disprezzano.

CAPITOLO QUARTO Dite, dove sono tra voi quei famosi predicatori che sanno e vogliono predicare nel modo dovuto la parola di Dio? Certo ci sono alcuni, a tal punto presuntuosi e desiderosi di gloria vana, che vogliono raccontare al popolo tutto quello che trovano scritto nei libri e insegnare ciò che loro stessi non sanno; essi tuttavia, non sapendo quello che dicono, blaterano davanti alla gente con grande sfrontatezza, come se avessero elaborato una sintesi personale di tutta la teologia, e ritengono molto importante tutto ciò che vogliono raccontare per la propria gloria. Tuttavia quando predicano, o meglio, a dire il vero, quanto sproloquiano, tengono gli orecchi bene aperti per captare un qualche venticello di lode adulatrice. Vogliono essere lodati per le qualità che non possiedono, mostrando così di essere vittime della vanagloria. Che cosa muove costoro a predicare, dato che mancano della scienza e delle qualità necessarie, se non il vano desiderio di inutili lodi umane? Ciò che edificano con le parole, lo distruggono con l'esempio. Credo in verità che l'abuso e la presunzione ambiziosa ed arrogante abbiano origine dal fatto che tali illetterati, la cui familiarità è giustamente disprezzata, cercano di usurpare anche il compito della predicazione. Desta meraviglia il fatto che codesti illetterati, di cui ho appena parlato, desiderino ardentemente, pur essendo incapaci, essere costituiti medici spirituali di ferite e mali spirituali, ricevendo il potere di ascoltare le confessioni! Infatti, non sapendo distinguere tra lebbra e lebbra46, perché ignoranti della scienza e del diritto, sciolgono ciò che non conviene sciogliere e legano ciò che non bisogna legare47. Certamente non raccomando il medico e non approvo la medicina che ritiene indifferentemente che con uno stesso trattamento si possano curare tutte le malattie. E chi non riderebbe, quando assente di voler giovare al popolo prendendovi cura di esso, dal momento che siete radicalmente incapaci di badare a voi stessi? Penso di dover dare un consiglio a voi, strani consiglieri: tappatevi la bocca e tenetevi per voi i vostri discorsi inutili e insipidi che non hanno né capo né coda, perché la vostra semplicioneria arrogante e presuntuosa non meriti di essere tacitamente rimproverata dai sapienti e disprezzata dagli irrisori a vostra totale confusione. Girate per le province, passate in rassegna le persone, e al ritorno ditemi quanti, nell'Ordine, avete trovati che sono degni e sufficientemente preparati per predicare, ascoltare le confessioni e prendersi cura del popolo, come conviene a coloro che abitano nelle città. Forse con maggiore o minore verità risponderete che sono molti. A ciò, io che ho percorso le province e conosco le 43

Sal 106,35s. Lam 1,3. 45 Cf. Rm 1,28. 46 Cf. Decreto di Graziano, D, 20, II. 47 Cf. Mt 16,19; 18,18. 44


persone, dolente rispondo: sono pochissimi coloro che sanno e devono esercitare questi compiti. Non ricordate che Abramo, mosso da pietosa compassione, volendo piegare il divino volere, cominciando da cinquanta e scendendo gradatamente a una decina, aveva ottenuto da Dio con umilissima preghiera di risparmiare misericordiosamente la moltitudine peccatrice a causa di un eventuale piccolo gruppo di dieci giusti48? Voi miseri, invece, perché al contrario, a motivo di poche persone, non temete di condurre miseramente all'esecrabile precipizio di un pericolo inevitabile e a molteplici occasioni di dannazione eterna la totalità dei religiosi dell'Ordine?

CAPITOLO QUINTO O ingannati seduttori dei contemporanei e dei posteri, che adducete pretesti come motivi, tacete immediatamente per pudore e ascoltate il vero motivo di questa situazione, che ora descriverò più chiaramente. Non è forse risaputo che la coda del drago, che simboleggia la carnalità e trascina giù dal cielo la terza parte delle stelle e le precipita sulla terra, come si legge nell'Apocalisse49, vi ha strappato violentemente dall'alto firmamento della contemplazione che ormai da lungo tempo fioriva e progrediva mirabilmente nella santa solitudine dell'eremo? E evidente che non solo vi ha gettati in terra, cioè nelle preoccupazioni terrene, ma scagliandovi più in basso in un abisso di occasioni di peccato e di girovagare scandaloso, vi ha sommerso con vostra perpetua confusione in un precipizio infelice. Voi, nella vostra coscienza, pur incallita nell'errore, capite e percepite con me queste stesse cose; ma poiché agli sciocchi sembra vergognoso riconoscere la verità, so che non siete d'accordo e simulate il contrario per non contraddirvi, simili a colui del quale così parla il Profeta: «Le sue parole sono iniquità e inganno, rifiuta di capire e di compiere il bene»50. Ditemi, che cos'è questa nuova forma di vita religiosa scoperta nelle città? Anzi, rispondete più in generale: nelle città, quale occupazione utile avete? Certo, per voi che vi vergognate della verità, risponderò io con maggiore verità: dal mattino alla sera andate a zonzo a due a due avendo come maestro quello stesso che va in giro cercando chi divorare51. E la profezia: «Gli empi camminano per vie tortuose»52 si è perfettamente adempiuta a vostra massima confusione. Ora svelerò il vero motivo di questo girovagare così frequente, sollevando il velo che lo ricopre, e vi rimprovererò perché vi correggiate. La causa principale di questo gironzolare è visitare non gli orfani, ma le ragazze; non le vedove afflitte dalle disgrazie53, ma giovani fatue che discorrono con voi; beghine, monache, signore; e fissandovi reciprocamente gli occhi in viso 54, proferire l'un l'altro parole sensuali che distruggono e corrompono i buoni costumi55 e allettano il cuore. Su di voi e sui vostri simili fu fatta questa profezia riportata nel salmo: «Giunsero per primi in mezzo a fanciulle che battono cembali»56. Non è questa la religione pura e senza macchia presso Dio Padre, nella quale è necessario che, senza macchia, ciascuno si guardi da questo secolo 57. Ohimè, fratelli carissimi, voi che siete ricoperti dal fango di questo secolo, perché credete di non esserne minimamente macchiati? In verità, considerando ancora una volta il vostro modo di pensare, sono d'accordo con voi in questo, che quando tutta la natura è sporcata, non si vedono le macchie. Ma se volete guardare meglio nello specchio della coscienza le vostre sozzure, credo senza dubbio che ciascuno di voi debba dire con il Profeta: «Salvami dal fango, che io non affondi; liberami dai miei nemici e dalle acque profonde. Non mi sommergano i flutti delle acque e il vortice non mi travolga; l'abisso non chiuda su di me la sua bocca»58. 48

Cf. Gen 18,23-32. Ap 12,4. 50 Sal 36,4 51 Cf. 1Pt 5,8. 52 Cf. Sal 12,9. 53 Cf. Gc 1,27. 54 Cf. OVIDIO, Lettere delle eroine, III: Briseide ad Achille, 11. 55 Cf. 1Cor 15,33. 56 Cf. Sal 67,26 (Volg.). 57 Cf. Gc 1,27. 58 Sal 69,15s. 49


Udite, dunque, eremiti, il cui nome deriva da eremo, che sceglieste invece di abitare in città; udite, dico, non ciò che affermo io, ma ciò che annuncia il Profeta: «Ho visto nella città violenza e contese; giorno e notte l'iniquità si aggira sulle sue mura, all'interno travaglio e ingiustizia, e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno»59. O quanto è difesa e sicura la vostra dimora, custodita a tutte le ore e in tutti i momenti60, tanto all'interno quanto all'esterno, da sentinelle così numerose e vigili. Ecco: l'iniquità fa la guardia con attenzione sulle mura, perché non vi sia chi sfugga al suo influsso 61; gira cercando gli abitanti della città, perché vuole macchiarli tutti con la sua impronta. Ci sono anche alcuni satelliti dell’iniquità che come lei vigilano in mezzo alla città e nelle strade, che il Profeta enumera in questo salmo con i nomi di contesa, travaglio, ingiustizia, sopruso e inganno. Avete udito che il Profeta nomina in generale sei sentinelle della città; se volesse scendere nei particolari, andrebbe avanti all'infinito. Prestate attenzione, fratelli; ho detto con ironia che la vostra dimora è protetta, e riflettete a quante e quali sentinelle, che sono anche insidie crudeli, vi circondano e vi difendono in ogni luogo e ad ogni momento nella città, stanno con voi e vi seguono; tuttavia non pensate, scioccamente ingannati, che vogliano difendervi e proteggervi e i vostri nemici non possano fuggire: vi custodiscono prigionieri nel loro carcere. Ecco in quale modo siete difesi nella città! Ora invece guardate come nella solitudine il Signore circonda con il suo muro inespugnabile, e con le armi della sua potenza libera e difende dalle insidie dei nemici. Nella solitudine, le sentinelle celesti sono con noi nella battaglia: nella solitudine i nostri concittadini, gli angeli, vigilano fedelmente giorno e notte; costituiti custodi della nostra città fondata nell'eremo, non cessano di lodare il nome del Signore, e per questo diciamo fiduciosi con il Profeta: «Benedetto il Signore, che ha fatto per noi meraviglie di grazia in una fortezza inaccessibile»62. Ecco, nel segreto della solitudine otteniamo la vera città, cioè la felice unità dei cittadini. E voi, non contenti di questo, cercandone un'altra, volete distruggere l'unità e creare la divisione. O voi, più miseri tra i miseri, sappiate che dalla libertà siete tornati alla schiavitù, dalla pace santissima alla perenne fatica del vagabondaggio, e, per dirla in breve, dal deserto, in cui avete gustato la manna della devozione, all'Egitto, dove, angariati dal fango e dai mattoni del Faraone, servite il diavolo come schiavi.

CAPITOLO SESTO Il Signore e Salvatore nostro non ci ha forse con la sua grazia condotti nella solitudine per parlare al nostro cuore con particolare intimità? Egli si mostra ai suoi amici con la grazia della consolazione e rivela i suoi misteri più nascosti nel segreto, non in pubblico, non in piazza, non nel chiasso. Non crediate, ingannati dalla semplicioneria dei somari, che il Signore voglia intrattenersi con coloro che cercano la consolazione e il diletto momentaneo dei sensi esteriori nella vanità mondana, nei vizi e nello strepito dei pensieri stolti che separano l'uomo da Dio; al contrario, egli vuole che ciascuno conservi il suo corpo con onore e nella santità, lontano da ogni peccato e da ogni occasione di peccato63. Ecco: ad un grande e infastidito stupore si aggiunge la meraviglia; chissà perché avete scelto la consolazione mondana, dato che non potrete avere la consolazione di Dio insieme a quella del mondo, perché esse non possono stare insieme e nemmeno andare d'accordo! Dice infatti Bernardo: «La consolazione divina è preziosa: non viene concessa a chi ne accetta un'altra»64.

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Sal 55,10-12. Cf. Inno dell’Ufficio divino Signum Crucis mirabile, v.11. 61 Cf. Sal 19,7. 62 Sal 31,22. 63 Cf. 1Ts 4,3s. 64 ABATE GOFFREDO, Dichiarazioni scelte dai discorsi di san Bernardo, LV, 66 (PL 184, 472). 60


Voi dunque, che avete orrore della solitudine e apprezzate poco le sue consolazioni, volete ascoltare come il Signore con i fatti ha mostrato di apprezzare la dignità della solitudine? Abramo salì sul monte solitario secondo il comando del Signore, e volle immolare suo figlio Isacco per obbedienza, con fede ferma, vedendo nella sua speranza il frutto da lontano: la passione di Cristo, il vero Isacco65. A Lot, nipote di Abramo fu ordinato di uscire da Sodoma e di affrettarsi verso la solitudine del monte per salvare la sua vita66. Nella solitudine del monte Sinai fu data la legge a Mosè, ed egli fu rivestito di così grande splendore che quando scese dal monte non poterono guardare il suo viso raggiante67. Ecco, mentre Maria e Gabriele conversano nella solitudine di una cameretta, il Verbo del Padre altissimo si incarna realmente68. Ecco, il Dio fatto uomo, volendosi trasfigurare, mostra la sua gloria nella solitudine del monte Tabor ai suoi più intimi delle due alleanze69. Ecco, il nostro Salvatore, solo, sale a pregare nella solitudine del monte70. Nella solitudine del deserto digiunò quaranta giorni e quaranta notti consecutive, e proprio là volle essere tentato dal diavolo71, per mostrarci il luogo più adatto per pregare, fare penitenza e vincere le tentazioni. Il Signore si recò nella solitudine del monte o del deserto per pregare; invece quando volle predicare al popolo o manifestare i suoi prodigi, scese dal monte. Ecco, colui che pose i nostri padri nella solitudine del monte si offrì come esempio ad essi e ai loro successori, desiderando che le sue azioni, che hanno sempre una parte di mistero, servissero da esempio. Alcuni nostri predecessori fin dall'antichità hanno seguito questa regola perfetta del nostro Salvatore: conoscendo il proprio stato imperfetto72 dimoravano a lungo nella solitudine dell'eremo; ma poiché desideravano molto essere di aiuto al prossimo pur senza venir meno alla loro vocazione, talvolta, ma raramente, scendendo dall'eremo, seminarono largamente quello che avevano soavemente mietuto nella solitudine con la falce della contemplazione, sgranandone i chicchi con la predicazione. Non sappiamo forse che i discepoli ricevettero lo Spirito Paraclito mentre sedevano nella solitudine del monte Sion e non mentre gironzolavano per le strade; mentre si dedicavano continuamente alla preghiera, e non mentre vagavano presi da curiosità attorno a cose inutili? Dite dunque, voi che passeggiate e girovagate per le città: quale spirito avete ricevuto fino ad ora nel tumultuoso strepito della città? È chiaro, anche per testimonianza della vostra coscienza, benché poco scrupolosa, che non avete ricevuto uno spirito di sapienza e di intelletto, non uno spirito di consiglio e di fortezza, non uno spirito di scienza e pietà, non uno spirito di timore del Signore73, ma avete ricevuto uno spirito smarrito74 e superbo e vi siete di esso riempiti, subendo la sorte di colui del quale il Profeta dice: «Concepisce malizia, partorisce menzogna»75. Felice colui che i pericoli altrui rendono prudente. Fate attenzione a non incorrere in modo miserevole nel pericolo di cui parla il Profeta poco dopo: «Egli scava un pozzo profondo e cade nella fossa che ha fatto; la sua malizia ricade sul suo capo, la sua violenza gli piomba sulla testa»76. Voglio ancora ricordare che sul monte Oliveto il nostro Salvatore, in procinto di ascendere al Padre, lasciò ai suoi discepoli e ai loro seguaci un ultimo comandamento, senza il quale non c'è salvezza; dice infatti Agostino: «Chi non vuole osservare il comandamento della pace non può giungere a possedere l'eredità di Cristo»77. Rispondetemi circa questo comandamento: dov'è la 65

Cf. Gen 22,1-19. Cf. Gen 19,15-17. 67 Es 34,29.35. 68 Cf. Lc 1,26-38. 69 Cf. Mc 9,2-8. 70 Mt 14,23; Gv 6,15. 71 Cf. Mt 4,1-11. 72 Cf. Sal 138,16 (Volg.). 73 Cf. Is 11,2. 74 Is 9,14. 75 Sal 7,15. 76 Sal 7,16s. 77 SANT’AGOSTINO, Discorso 97 (PL 39, 1931). 66


pace? dov'è la concordia? Le divisioni e le liti vi hanno separato membro da membro, hanno disgregato le membra divise e ogni giorno le gettano via e le disperdono come polvere.

CAPITOLO SETTIMO O voi che vi siete allontanati dalla vostra professione e trasgredite la Regola, vogliate soppesare onestamente il voto fatto spontaneamente sulla bilancia dell'esame di coscienza. Offrire al vostro Creatore un voto fatto senza simulazione, come è giusto, secondo la promessa fatta dalle vostre labbra78. Fate attenzione inoltre con cautela e circospezione che una proposizione disgiuntiva non vi inganni - speriamo! - ulteriormente. È scritto infatti nella Regola: «Potrete avere dimore in luoghi solitari o dove vi saranno donate, adatte all'osservanza della vostra forma di vita religiosa»79. E leggendo queste parole non vi curate di comprenderle? Esse devono essere sottolineare perché, discusse con sana intelligenza, non arbitrariamente, ma ragionevolmente e secondo le esigenze della verità, ottengano il dovuto effetto senza che sia modificato il loro senso. Non si dice semplicemente: «Nei luoghi solitari o dove vi saranno donate», ma si aggiunge: «Adatte all'osservanza della vostra forma di vita religiosa», affinché, tenendo conto di questa precisazione, si scegliessero luoghi da abitare secondo criteri ben precisi, perché con il passare del tempo l'Ordine, a causa dell'inadeguatezza dei luoghi e disprezzando l'osservanza, non si allontanasse dalla sua condizione primitiva e ne assumesse un'altra caratterizzata da novità pericolose. Nonostante questa precauzione, accadde quello che si temeva80. I frati dei nostri giorni, infatti, intendendo tutti il dove per dovunque e trascurando la suddetta precisazione, tralasciano del tutto la prima parte della proposizione disgiuntiva (cioè «in luoghi solitari») e con un danno non piccolo per se stessi osservano semplicemente la sola seconda pane, che è indeterminata. Procedendo così dall'universale determinato all'universale indeterminato fanno un ragionamento sofistico, il che implica evidentemente la falsità della conseguenza. È forse questo un ragionamento conseguente: Potrete avere case dove vi saranno donate, adatte all'osservanza della vostra forma di vita religiosa, quindi in qualsiasi luogo in cui vi saranno donate? Ecco, si pone la conseguenza e se ne deduce la premessa. Non così, o empi, non così81 bisogna procedere con logica, ma unendo insieme il determinato alla determinazione, dovete considerare con attenzione in che cosa consista l'osservanza della nostra forma di vita religiosa. In questo modo, un indagatore attento subito saprà quale luogo è adatto e conveniente all'osservanza e quale invece è da rifiutare come inadatto e inopportuno. È quindi utile, dato che ci siamo impegnati a vivere secondo una Regola colma di osservanze, che facciamo in proposito alcune brevi riflessioni. I precetti generali della nostra professione sono tre: obbedienza, castità, rinuncia alla proprietà82, e sono comuni ad ogni professione religiosa. Da questo punto di vista nessun Ordine religioso differisce dagli altri, eccetto che nell'abito, ma sostanzialmente sono tutti come uno solo, a parità di rigore; se si osservano allo stesso modo gli stessi precetti, si ha anche uno stesso grado di merito. A questi precetti generali se ne aggiungono altri particolari, per rafforzare l'osservanza dei primi, sia nel nostro che in ogni altro Ordine. Gli istituti differiscono l'uno dall'altro secondo il maggiore o minore rigore. Tenuto conto di ciò, qualunque religioso, secondo il diritto comune, chiesta la licenza e anche senza averla ottenuta83, può lecitamente passare ad un istituto più rigoroso e di vita più santa.

78

Cf. Sal 65,14. Regola carmelitana, 2. 80 Cf. Gb 3,25. 81 Cf. Sal 1,4. 82 Regola carmelitana, 1. 83 Decretali di Gregorio IX, 18, III: Dei Regolari, 31. 79


O come sono mirabili le tue opere, troppo alti i tuoi pensieri! Certamente l'uomo insensato non li conoscerà e lo stolto non li comprenderà84. Chi conosce i pensieri del Signore, la cui sapienza non ha confini85, o chi è stato suo consigliere86? Ecco, il Signore, la cui provvidenza non erra, volendo piantare nel giardino della Chiesa, militante un gran numero di Ordini religiosi, pose provvidamente alcuni nella solitudine con Maria, altri con Marta in città. Stabili pure nella città uomini dotati di scienza e di buoni costumi, dediti allo studio delle Scritture, perché distribuissero al popolo il nutrimento della sua parola. Dispose che uomini semplici, con i quali si intrattiene nel segreto, dimorassero nella solitudine, secondo quanto dice il Profeta: «Ecco, fuggendo mi sono allontanato e ho dimorato nella solitudine. Aspettavo colui che mi ha salvato dalla debolezza e dalla tempesta»87. «Ecco», ha detto in senso dimostrativo, sottolineando le parole come per dire: «Guarda ciò che ho fatto io e anche tu fa’ lo stesso. Infatti, fuggendo lo strepito del mondo ho dimorato non in città, non nei sobborghi, non nei giardini o nei luoghi ad essi vicini, ma fuggendo mi sono allontanato e ho preso dimora nella solitudine; e ci sono rimasto veramente: non sono tornato in città dopo poco tempo, come si fa al giorno d'oggi, ma sono rimasto nella solitudine, aspettando colui che mi ha salvato dalla debolezza e dalla tempesta». Il Signore ha educato tutti i religiosi che dimorano nella solitudine o in città con tanta accortezza da dare, nella sua grande sapienza, attraverso gli autori delle Regole, diverse norme di vita secondo la condizione e le necessità di ciascuno.

CAPITOLO OTTAVO Consideriamo dunque la nostra formula di vita che abbiamo professato e sottoponiamola ad un attento esame del nostro intelletto, per sapere se sia conveniente al nostro profitto spirituale dimorare nella solitudine o in città. Forse lo Spirito Santo, che conosce le necessità di ciascuno, ha stabilito inutilmente nella nostra Regola che «tutti i fratelli abbiano celle separate»88? Non dice infatti «contigue», ma «separate», affinché lo Sposo celeste e la sposa, l'anima contemplativa, riposando in esse, possano colloquiare nel segreto. In verità, questo fu stabilito, non senza motivo ragionevole, per provvida disposizione della divina misericordia, affinché noi semplici, poco esperti della lotta, fossimo meglio protetti nella solitudine della cella dalla triplice guerra del vedere, dell'udire e del parlare 89. Volle infatti che qui, liberati dalla predetta battaglia, potessimo lottare più facilmente, dovendo solo resistere ai pensieri illeciti90. Infatti non importa che la nostra castità, ora ritirata nella cella, abbia guardato qualcosa di sconveniente, se la purezza del cuore, standovi sempre occupata in santi pensieri91, si sforza di conservare l'anima lontana da ogni macchia di sozzura92. Poiché è risaputo che la castità della mente e del corpo non può essere salvaguardata nell'ozio, lo Spirito Santo volle che noi fossimo assiduamente occupati nell'impegno spirituale, come conviene a servi di Cristo. Infatti ha ordinato così nella Regola: «Rimanga ciascuno nella propria cella o nelle vicinanze, meditando giorno e notte la legge del Signore o vegliando in preghiera, a meno che non sia impegnato in altre giuste occupazioni»93. Ecco, come ho detto sopra, se vogliamo vivere secondo la nostra professione, dobbiamo avere celle separate nelle quali o presso le quali rimanere meditando giorno e notte la legge del Signore o vegliando in preghiera, a meno che non siamo impegnati in altre giuste occupazioni, obbligati a ciò dall'osservanza regolare. 84

Sal 92,6. Cf. Sal 146,5. 86 Cf. Rm 11,34. 87 Sal 54,8s. (Volg.). 88 Regola carmelitana, 3. 89 ABATE SMARAGDO, Corona dei monaci, 21 (PL 102, 617). 90 SAN PIER DAMIANI, Apologia del disprezzo del mondo, 25 (PL 145, 278). 91 Regola carmelitana, 14. 92 Infatti, non è conveniente che la nostra castità, ora custodita dalla cella, abbia sollevato lo sguardo verso qualcosa di impuro, dal momento che la purezza del cuore… 93 Regola carmelitana, 7. 85


Voi invece, abitanti delle città, che avete riunito le celle separate in una dimora comune, là dentro, di quali cose spirituali vi occupate, di quale attività santa, quando vi guardate in faccia l'un l'altro? A che ora meditate la legge del Signore o vegliate in preghiera? Non vi vengono in mente di notte le vanità che di giorno, vagando qua e là, vedete e ascoltate, dite e fate? Non riempite la mente di pensieri illeciti e immondi in modo che l'animo distratto non può meditare se non queste cose? O quanto sareste felici se qualcuno di voi potesse veramente dire al Salvatore queste parole insieme al Profeta: «Quanto amo la tua legge, Signore! Tutto il giorno la vado meditando»94. E ancora: «Ho allontanato i miei passi da ogni via di male»95. Ohimè, fratelli, non potete dire questo senza far torto alla verità! Perciò, lamentatevi con me di voi stessi, e lamentandovi riflettete prudentemente a ciò che il Profeta ha detto del vostro ozio: «Trama iniquità sul suo giaciglio, si ostina su vie non buone, via da sé non respinge il male»96. Certamente quando ritornate a casa dopo il vostro girovagare, continuamente raccontate pettegolezzi, moltiplicate i colloqui, emerge il dissidio, si scatenano liti, si suscitano scandali, sorge l'invidia, si generano odi, si preparano insidie, e molto spesso in questi litigi si giunge ai colpi e alle percosse. Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme 97, fratelli dediti all'«ozio», nella stessa casa! Infatti come la stessa casa, per mezzo delle contese, disgrega e allontana dall'amore di Dio e del prossimo coloro che sono uniti col corpo, così le celle separate uniscono e cementano in quell'amore coloro che vi custodiscono, perché li allontanano dalle contese. Ma qualcuno potrebbe dire: «Anche se abitiamo in città, abbiamo le celle, o almeno ci proponiamo col tempo di procurarcele». Ma io rispondo: Che cos'è questa stoltezza? A che cosa servono le celle costruite in città nelle quali nessuno entra se non per dormire e per riposare più tranquillamente? Non andate forse vagando tutto il giorno per le strade e le piazze della città, e quando siete a casa, subito vi radunate e vi raccontate le chiacchiere e le dicerie, come ho già detto? Ecco, tutto il lavoro della vostra giornata è inutile. Non trascorrete forse una terza parte della notte, e speriamo non sia addirittura la metà, a chiacchierare e a bere inutilmente e con leggerezza, riservando la cella solo al riposo? Infatti le celle non sono state inventate per gente che pensa e fa cose oziose, ma per coloro che si impegnano nella preghiera. Chi professa la nostra religione è un abitante della cella e, quando si trova fuori di essa, deve esaminare la sua coscienza e vedere se ciò avviene a causa di un'occupazione giusta. Se non trova un motivo ragionevole, deve ritornare nella cella. Se non ascolta la coscienza che lo rimprovera, sappia di aver mancato agli impegni della sua professione. E affinché l'occupazione spirituale in cella, prolungata forse più del necessario, non annoiasse gli animi dei meno perfetti, piacque alla divina disposizione aggiungere in secondo luogo un'occupazione manuale, perché, alternando le due attività, tutto il tempo potesse essere impiegato a nostro vantaggio e a gloria del Creatore. Infatti si aggiunge: «Dovete fare qualche lavoro, perché il diavolo vi trovi sempre occupati»98. Ecco, nella solitudine vi sono due tipi di occupazione: una spirituale e una manuale; finché esse si alternano in modo continuo, si rafforza la castità a difesa dell'accampamento, il tempo viene impiegato con profitto e, di conseguenza, crescono grandemente i meriti.

CAPITOLO NONO Ora, tralasciando tutto quanto viene opportunamente ordinato nella nostra Regola riguardo all'osservanza dell'obbedienza e della rinuncia alla proprietà, accenno solo ad alcune cose che aiutano veramente nell'osservanza della nostra castità. Benché infatti tre nemici assaltino ferocemente noi e la nostra castità, secondo quanto si canta nella Prosa: «Il mondo la carne i demoni 94

Sal 119,97. Sal 119,101. 96 Sal 36,5. 97 Sal 133,1. 98 Regola carmelitana, 15. 95


ci combattono in modi diversi»99, credo che non ci sia nessun dubbio per una persona ragionevole che in questo combattimento la carne con le sue brame sia la più violenta nel tentare di soggiogare lo spirito. Con quanta sicurezza nella cella si custodisce il piccolo fiore della nostra castità, di cui abbiamo fatto voto! Ecco, nella solitudine della cella stiamo al riparo dalle tre guerre di cui ho parlato, e dobbiamo solo combattere contro i pensieri illeciti. Ecco, nella cella teniamo occupato lo spirito, perché la nostra purezza non sia macchiata dall'ozio, nemico dell'anima. Ecco, nella cella lo Spirito Santo ci insegna con soavità che cosa bisogna fare o evitare, affinché non veniamo sedotti e ingannati, secondo il detto dei Proverbi: «Con la scienza si riempiono le celle»100. Ecco, nella cella ci viene mostrata la soave contemplazione, tesoro inestimabile e incomparabile, perché disprezzando totalmente le cose terrene e caduche, il nostro animo con libertà e fervore si dedichi totalmente alla sua ricerca. Si legge in Isaia: «Ezechia mostrò loro la stanza degli aromi, dell'oro e dell'argento, dei profumi e degli unguenti migliori»101; tutte queste cose e molte altre ancora ci vengono mostrate in modo spirituale nella solitudine della cella dal nostro vero Ezechia. Ecco, veniamo introdotti nella cella del vino dal Re dei re e raggiungiamo la vera carità. Oh, come giustamente è chiamata cella del vino: infatti in essa lo Spirito Santo inebria sobriamente con il meraviglioso vino della devozione i veri abitanti della cella e li fa dormite nel glorioso letto della soave contemplazione. Ma che cosa dirò della cella, dato che non posso lodarla a sufficienza? Di certo so che tra la cella e il cielo non esiste alcuno spazio intermedio, e perciò si giunge facilmente dall'una all'altro102. Ecco, già avete udito alcuni dei privilegi, pochissimi rispetto a quelli effettivi, che otteniamo rimanendo nelle celle. Quanto è grande la tua dolcezza, Signore, che hai nascosto per coloro che si nascondono103! Nascosti felicemente nella solitudine della cella, lontani dalla vanità del mondo, otteniamo le vere delizie del paradiso che rallegrano e rafforzano il nostro uomo interiore al punto che il suo desiderio è sempre allo stesso tempo assetato e sazio. Voi invece, non nella cella, ma nella tempesta della città tumultuosa, possedete le vane ricchezze di questo mondo, che pur generando la nausea della sazietà non possono soddisfare i vostri desideri. O eremiti-cittadini, che commettete l'abuso di confondere i due termini facendoli diventare sinonimi anche se sono opposti, mostratemi, se potete, i poveri privilegi che possedete, o per meglio dire, che credete di possedere. Dato che non potete rispondere per la confusione, con dolore rispondo io a vostra vergogna, sperando che essa sia salutare. Voi aborrite la solitudine della cella, girovaghi e vagabondi, e disprezzando stoltamente tutti i suoi privilegi, mi sembra che abbiate barattato la felicità che avreste potuto raggiungere in cella con i pericoli delle città, facendo un pessimo affare. Nel tumultuoso strepito della città siete esposti al triplice combattimento a cui ho accennato e ad infiniti altri: ed essendo inermi e deboli siete feriti mortalmente, al punto che in voi, dalla testa ai piedi, non si trova alcuna parte illesa104.

CAPITOLO DECIMO Perché dunque, mettendo in pericolo la vostra salvezza, avete avuto la presunzione di scendere dal monte della circoncisione dei vizi105 ai monti di Gelboe, chiamati lubrici106 sui quali 99

Sequenza Supernae Matris Gaudia, v.5, nella festa degli Apostoli ed Evangelisti, dal Messale carmelitano, Venezia 1509. 100 Pro 24,4. 101 Is 39,2. 102 GUGLIELMO DI SAN TEODORICO, Lettera ai fratelli del Monte di Dio, I, 4 (PL 184, 314). 103 Cf. Sal 31,20. 104 Is 1,6. 105 ABATE SMARAGDO, Corona dei monaci, 57 (PL 102, 653). 106 SAN BEDA, Commento a Samuele, IV, 10 (PL 91, 710); SAN GIROLAMO, Libro sulla interpretazione dei nomi ebrei, cc. 72; 104,27.


caddero gli eroi di Israele e su cui non scendono né la rugiada né la pioggia107 della grazia? Perché siete scesi dal monte, mercanti stolti? Perché anzi non osate salire di nuovo sul monte? Certamente i due atteggiamenti sono segno di grande stoltezza, ma il secondo supera il primo. Io affermo che è da sciocchi cercare di proposito il pericolo, ma ritengo che sia molto peggio rimanere spontaneamente fino alla fine in una situazione pericolosa dalla quale si può uscire facilmente. Ecco, come ho già detto, Abramo e Isacco salirono sul monte, e voi, asini, aspettate in basso in compagnia dell'asino! Volete sapere che cos'è la vostra attesa? Certamente, secondo il detto del Profeta: «Il mio cuore ha aspettato l'insulto e la sventura»108, aspettate al presente l'insulto, e per il futuro, se non fate penitenza, la sventura eterna. Sul monte Mosè parla con il Signore109, mentre voi, in basso, immersi nelle acque delle tentazioni, adorate la statua del vitello di metallo fuso con il popolo peccatore 110. Ecco, il Profeta si chiede: «Chi salirà sul monte del Signore, o chi starà sul suo luogo santo?», e subito risponde alla sua domanda: «Colui che ha mani innocenti e cuore puro»111. Se dunque volete salire sul monte del Signore o stare sul suo luogo santo, perché cercate l'innocenza in azioni nocive e la purezza del cuore in luoghi impuri? Dato che cercate Dio nella città impura, mi meraviglio che crediate di trovare una cosa in un'altra ad essa contraria. Vi dico che bisogna che i monti salgano di monte in monte: cioè che tutti coloro che giustamente, a causa dell'eccellenza della loro vita, sono ritenuti monti, giungano con certezza dal monte della circoncisione dei vizi al monte che è Cristo112, salendo gradatamente di virtù in virtù113. Quanto è grande la vostra stoltezza che suscita in me grandissima meraviglia e mi costringe a ripetere sempre la stessa domanda! La vostra carne è di bronzo114? o il vostro animo è di ferro, dato che non temete affatto le frecce della lussuria quando frequentate le donne, che infatuano i sapienti, abbattono i forti e fanno apostatare i santi? Credete di essere più perfetti di Davide, che quando vide una donna andò fuori di sé e commise ingiustamente un adulterio e un omicidio115? Ricordate, cittadini vagabondi, che il Salvatore è veramente apparso ai discepoli a porte 116 chiuse , secondo la testimonianza verace del Vangelo: non pensate, o sciocchi, che Gesù venga a voi se non chiudete le porte dei sensi esterni; le porte aperte danno adito a molte tentazioni, e perciò il Salvatore, che ha rifiutato la compagnia di tali nemici, disdegna di entrare. Non ricordate che il Profeta afferma: «Distogli i miei occhi dalle cose vane»117? Perché dunque abitate in un luogo dove tutto è vanità ciò che cade sorto i vostri occhi? Potete forse guardare dalla finestra, dalla porta o anche dal più piccolo buco fuori dalla vostra abitazione senza vedere cose vane? A dire la verità, se foste santi, abitando nella città non vorreste guardare illecitamente le cose che non è lecito desiderare118. Dice infatti il Profeta: «Non permetterai che il tuo santo veda la corruzione»119. «Vedere» infatti significa «sentire», perché la corruzione si contrae col semplice vedere ed è causa di dannazione per l'uomo nella sua totalità. Qualcuno dei figliastri può certamente affermare con Geremia: «Il mio occhio mi tormenta per tutte le figlie della mia città»120. Chi potrebbe cingere i suoi orecchi con una siepe di spine in modo da non udire assolutamente in città discorsi velenosi, chiacchiere che spingono al vizio e causano la caduta e la rovina di molti, uccidendone l'anima? Chi sa controllare con sapienza la lingua, che nessun uomo 107

Cf. 2Sam 1,19.21. Sal 68,21 (Volg.). 109 Cf. Es 32,7-14. 110 Cf. ivi, 4-6. 111 Sal 24,3s. 112 Cf. Colletta per la festa di santa Caterina, vergine e martire. 113 Sal 83,8 (Volg.). 114 Cf. Gb 6,12. 115 Cf. 2Sam 11,1-17. 116 Cf. Gv 20,19.26. 117 Sal 119,37. 118 Cf. SAN GREGORIO MAGNO, Moralia, 21, 2 (PL 76, 190). 119 Sal 16,10. 120 Lam 3,51. 108


può domare121? Chi modera le sue parole al punto che in mezzo ad una moltitudine di ciarloni non gli scappa mai qualcosa di sconveniente? Di fatto la lingua loquace ciancia calunniando il prossimo, criticandolo, giudicandolo, seminando discordia, proferendo discorsi insulsi, scurrili e falsi e infinite altre cose, e pronunciando colpevolmente cose riprovevoli; in questo modo si reca danno alla coscienza, si uccide l'anima, si scandalizzano coloro che ascoltano e si offende la maestà del Creatore.

CAPITOLO UNDICESIMO Avete udito cose degne di condanna; ora invece ascoltate discorsi che consolano mirabilmente, più di quanto si possa credere, noi che siamo solitari nella totalità del nostro essere. Nella solitudine tutte le cose create ci aiutano felicemente. Il firmamento, mirabilmente decorato dal meraviglioso ordine dei pianeti e delle stelle, ci attira e ci invita con la sua bellezza ad ammirare le realtà superiori. Gli uccelli, in certo qual modo dotati di natura angelica, modulano dolcemente i loro canti soavi a nostro diletto. Anche i monti, secondo la profezia di Isaia, stillano per noi una meravigliosa dolcezza122; così pure i colli, nostri compagni, fanno scorrere latte123 e miele; tutte cose che i vani amanti di questo mondo non gusteranno. I monti che ci stanno attorno, quasi nostri compagni di convento, quando cantiamo i salmi a lode del Creatore, lodano con noi il Signore e riecheggiano la nostra voce, toccano con eleganza i plettri della lingua e modulano armoniosamente i versi nell'aria. Le radici germogliano, le erbe verdeggiano, le fronde e gli alberi ci rallegrano applaudendo secondo il proprio stile; ed anche i fiori meravigliosi che sprigionano una meravigliosa fragranza si sforzano di sorridere a consolazione di noi solitari. Luci mute ci parlano con moniti salutari. Gli arbusti offrono la loro ombra gradita e tutte creature che vediamo e udiamo nella solitudine ci ricreano e ci confortano come compagne: anzi, mentre in silenzio proclamano meraviglie, invitano il nostro spirito a lodare il magnifico Creatore. Di questa gioia della solitudine o del deserto è scritto in Isaia, in modo figurato 124: «Si rallegri il deserto e fiorisca come un giglio, fiorisca ed esulti con gioia e giubilo»125. E ancora nel salmo: «Stillano i pascoli del deserto e le colline si cingono di esultanza»126. Nella città troppi elementi sono infetti dalla corruzione e vi macchiano e vi corrompono miseramente. La vanità del mondo, attraente a prima visti, tiene il vostro uomo interiore legato come in carcere nelle bassezze, perché non si elevi a cose più alte. Invece del canto melodioso degli uccelli sentite le grida di contesa di uomini donne e animali, soprattutto di cani e di porci; e questo strepito tumultuoso risuona continuamente ai vostri orecchi. Invece delle erbe e delle fronde verdi calpestate ogni giorno strade fangose; invece del fragrante profumo dei fiori bevete la velenosa bevanda della miseria, dal puzzo intollerabile. Tutte le vanità della città cercano di immergervi nella feccia dei viri, e l'esaltazione di quelle cose che vengono dette piacevoli, benché sia fallace, risulta nondimeno efficace. Ohimè, fratelli, perché vi lasciate sedurre dalla vanità del mondo? Non avete letto ciò che è scritto nella Lettera di Giacomo: «Chiunque vuole essere amico di questo mondo si rende nemico di Dio»127? In verità, se aveste una fede viva e lo sguardo della vostra speranza fosse rivolto alla tribolazione del mondo futuro, mai la vanità seduttrice di questo mondo malvagio vi potrebbe ingannare. Ascoltate dunque e comprendete128 ciò che san Paolo scrive agli Ebrei in maniera molto bella circa questo argomento. Parlando di Mosè, esempio egregio, loda altamente la sua fede viva e la sua ferma speranza affinché la imitiamo. Dice così: «Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di 121

Cf. Gc 3,8. Cf. Am 9,13 (Volg.). 123 Gl 3,18 (Volg.). 124 allegorico 125 Is 35,1s. 126 Sal 65,13. 127 Gc 4,4. 128 Cf. Mt 15,10. 122


essere considerato figlio della figlia del Faraone; preferiva soffrire con il popolo di Dio piuttosto che possedere la gioia passeggera del peccato, stimando di più l'obbrobrio di Cristo che le ricchezze degli Egiziani; guardava infatti alla ricompensa»129. Anche Geremia, vedendo la malvagità e la menzogna di questo mondo ingannatore, vi invita ad uscire e ad allontanarvi da esso, poiché ha compassione di voi: «Allontanatevi da Babilonia e uscite dalla terra dei Caldei»130. Con queste parole, intese in Senso spirituale, vuole indicare l'utilità di allontanarsi dalla confusione pericolosa di questo mondo. E affinché non tardiate ad allontanarvi, volendo suggerirvi la verità ed esprimendo il motivo dell'utilità della vostra fuga, lo stesso Profeta vi esorta di nuovo: «Fuggite da Babilonia e ciascuno salvi la sua vita»131. Come a dire: Se volete salvare le vostre anime, per non cadere dovete fuggire da Babilonia, cioè dalla confusione di questo mondo pericoloso. Babilonia, che significa confusione132, si trova in Egitto [sic], ed anche i Caldei, che significano demoni oppure mammelle133, rappresentano i pericoli del mondo; i demoni del mondo infatti attirano i lattanti che abitano nel mondo con cose piacevoli come il latte dolce delle mammelle, in modo tale che difficilmente o addirittura mai, nemmeno un predicatore egregio può divezzarli da questo amaro che è dolcezza ingannatrice. Mi meraviglio moltissimo di voi, e la meraviglia si cambia in stupore al punto che lo stupore e la meraviglia hanno passato ogni misura. C'è qualcuno tra voi che non vuol salvare la sua anima? È certo che ciascuno di voi, anche se si contraddice nei fatti, desidera la salvezza della sua anima. Perché dunque, se cercate veramente la salvezza dell’anima, o infelici, andando infelicemente al di là di questo felice desiderio, con sforzi miseri aspirate in modo miserrimo all'opposto della sua salvezza?

CAPITOLO DODICESIMO Avete bevuto fino alla nausea la velenosa bevanda del calice d'oro di Babilonia che inebria tutta la terra, del quale Geremia afferma: «Tutte le genti hanno bevuto del suo vino»134, esse che sono scosse dalla grandissima confusione della vanità di questo mondo al punto che cercano di spingervi al vizio. Chi mai, con decisione matura, vorrebbe bere un vino così amaro e infetto se non un insensato? Di questo vino si dice nel Deuteronomio: «Tossico di serpenti è il loro vino, micidiale veleno di vipere»135. Se voleste guardare questo vino per nulla purificato attraverso un vaso di vetro, cioè una coscienza pura, non assaggereste mai più una simile porcheria. Della feccia di questo vino afferma il Profeta: «La sua feccia non è diminuita, ne berranno tutti gli abitanti della terra»136, cioè gli uomini terrestri e mondani di questa età presente, che non bevono del calice di Babilonia se non la feccia velenosa, come avete udito, e in futuro, se prima della morte temporale per grazia di Dio non avranno gustato il vino del pentimento137, berranno incessantemente al calice dei tormenti e attingeranno in eterno fuoco e zolfo. A proposito di questo calice dice il Profeta: «Fuoco e zolfo e vento tempestoso tocca loro in sorte»138: Oh, quanto è orribile questo fuoco che nasce e si alimenta allo zolfo senza fine sotto il soffio del vento tempestoso! Oh, quanto è dolorosa questa bevanda di zolfo infuocato che fluisce in eterno nel calice dei peccatori! Oh, quanto è orrendo il totale tormento di questo calice, in cui si uniscono tutte le parti e la cui somma superando i limiti dell'orrore, dalla parola profetica e annunziata come terribile per gli uomini terrestri e mondani! 129

Eb 11,24-26. Ger 50,8. 131 Ger 51,6. 132 SAN GIROLAMO, Libro sulla interpretazione dei nomi ebrei, cc. 72; 62,18. 133 Ivi, 130,11. 134 Cf. Ger 51,7. 135 Dt 32,33. 136 Sal 75,9. 137 Sal 59,5 (Volg.). 138 Cf. Sal 11,6. 130


Veda dunque colui che abbraccia con amore il mondo e le cose che sono in esso139 quanto sarà duro nell'inferno bere questo calice dei tormenti, e ciò è inevitabile per i dannati. Quanto è diverso, o Gesù dolcissimo il tuo calice inebriante140 ed eccellente! Come sono felici coloro che sono fuggiti felicemente dall'Egitto attraverso il Mar Rosso, nel quale sono stati sommersi i loro persecutori! Ora nella solitudine del deserto, inebriati una volta per tutte dalla meravigliosa dolcezza del tuo calice, rifiutano di bere di nuovo al calice d'oro di Babilonia; sono da ritenere fortunatissimi tra i fortunati coloro che con la coscienza tranquilla possono dire: «Il Signore è mia pane di eredità e mio calice; sei tu che mi restituisci la mia eredità»141. Considerino i sapienti solitari del deserto, che appresero da Giovanni che tutto il mondo giace sotto il potere del maligno142, cioè del fuoco di perdizione, che le circostanze difficili e malvagie dei nostri giorni si aggravano costantemente con nuovi pericoli. Vedendo la così grande malizia di questo tempo pericoloso, che dall'origine del mondo sembra debba aumentare fino alla sua fine, spaventati fuggono di fronte ad essa, e a grandi passi si affrettano ad allontanarsi. Temendo di essere sedotti dall'attraente malizia di questo mondo malvagio, nella solitudine dell'eremo legano strettamente il proprio uomo interiore alla roccia che è Cristo 143 con la solida triplice fune144 della fede, della speranza e della carità, perché non sia strappato via dall'uomo esteriore. Infatti essi, evitando virilmente i pericoli di questo mondo, desiderano unirsi indissolubilmente a Cristo pietra angolare in modo tale da poter effettivamente dire con il Profeta: «La mia sorte è stare vicino a Dio e porre nel Signore la mia speranza»145.

CAPITOLO TREDICESIMO Coloro che hanno abbandonato la solitudine, udendo queste cose risponderanno l'uno dopo l'altro a coloro che li rimproverano: «Riconosco che ci siamo allontanati dalla dolcezza della solitudine per andare in città a nostro danno; ma non è colpa mia, sono solo, non posso protestare, è opportuno tacere, bisogna acconsentire». E così, procedendo con ragionamento induttivo dal singolare all'universale, servendosi di una premessa falsa, argomentano e traggono conclusioni contro se stessi. Quanto è falsa questa unione, quanto riprovevole questa unità d'intenti, quanto esecrabile questo silenzio! Benché a ciascuno preso da solo rimorda la coscienza, tali ragionamenti seducono danneggiano e colpiscono il gruppo in quanto tale con motivazioni inconsistenti, e per dirla chiara: il fuoco del loro patrigno li prepara per la geenna. Perché riconosce la verità chi si sforza di aderire all'errore? Mi dà ragione Aristotele quando afferma che due opposti non possono consistere nello stesso soggetto contemporaneamente146. È chiaro d'altronde che la verità e la menzogna, benché siano state proferite in circostanze simili da coloro che, secondo la parola profetica, hanno parlato con cuore doppio147, non possono stare insieme nemmeno un momento senza ripugnanza. Quanto siete colpevoli, riprovevoli, condannabili, o infelici! Non vi basta, o miseri, la vostra condanna, dato che volete lasciare ai vostri successori la testimonianza delle occasioni di dannazione? Essi professeranno lo stesso voto che voi avete promesso e, seguendo gli esempi dei predecessori, coraggiosamente faranno azioni opposte alle loro promesse.

139

Cf. 1Gv 2,15. Cf. Sal 23,5. 141 Cf. Sal 16,5. 142 1Gv 5,19. 143 Cf. 1Cor 10,4. 144 Cf. Qo 4,12. 145 Cf. Sal 73,28. 146 ARISTOTELE, Ermeneutica, 14. 147 Cf. Sal 12,3. 140


Ohimè, perché rifiutate di riconoscere il grandissimo pericolo del vostro stato scandaloso? Oh, se vedeste il vostro pericolo, e diceste con Geremia, lamentandovi: «Esaminiamo la nostra condotta e scrutiamola e ritorniamo al Signore! Abbiamo peccato e siamo stati ribelli e tu non ci hai perdonato. I nostri inseguitori sono più veloci delle aquile del cielo, ci hanno inseguito sui monti, nel deserto ci hanno teso agguati. È caduta la corona dalla nostra testa, guai a noi, perché abbiamo peccato; per questo il nostro cuore è triste, per tali cose si sono annebbiati i nostri occhi»148; in conseguenza di questo lamento sgorgherebbe la preghiera con la quale supplichereste umilmente il Signore, dicendo: «Illumina i nostri occhi, perché non li sorprenda il sonno della morte, perché il nostro nemico non dica: li ho vinti149. Rinnova i nostri giorni come in antico150». Ritorniamo dunque al gruppo dei figliastri, e vediamo se hanno esaminato il loro stato di pericolo cosi descritto, e chiedendo perdono alla clemenza del Salvatore per gli errori passati, in spirito di umiltà, si guardano dal ricadervi in futuro. Infatti, se disprezzando queste parole di richiamo non si curano di disonorare la Madre né di condannare se stessi e i propri successori, fin da ora li cito perentoriamente a comparire davanti al Sommo Giudice, di cui il Profeta dice: «Tu sei terribile, chi ti resiste quando si scatena la tua ira?»151, perché rispondano delle ingiurie violentemente inflitte con arroganza alla Madre, a se stessi e ai loro successori. Essi, gli avversari, non credano che io non abbia prove sufficienti e debba essere sconfitto nel processo, anche se la mia causa è legittima. Cada questa opinione falsa e senza valore, poiché, iniziato il confronto, presento i testimoni della lite: contro di essi chiamo ancora una volta il cielo e la terra, come li ho chiamati fino ad ora e li chiamerò in futuro.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO Ormai, o Madre, sulla spinta degli avvenimenti intercorsi, il lacrimoso lamento per il tuo stato si è prolungato oltre il necessario. E sì che il pianto, i singhiozzi e i sospiri sulla mia tristezza, li ho posposti di fronte alla tua sofferenza. Però, dato che fino ad ora, servendo e sudando per il bene comune, non ho risparmiato nessuna fatica – Dio mi è testimone -, benché non abbia ottenuto risultati, ti prego di non meravigliarti se l'uomo interiore ed esteriore, stanco oltre le sue forze, desidera riposare in un letto di lacrime. Perciò comincerò a piangere, affinché il dolore consoli chi soffre. Infatti, poiché il dolore è medicina del dolore152, lieto piangerò su di me, per godere dolendomi di me stesso; anche se l'animo nell'intimo è triste, tuttavia, se ne sarò capace, nasconderò il dolore intimo con un volto festoso. Ohimè, benché siano diverse le cause del mio dolore, non riuscendo per il loro grande numero a trovarne una per cominciare, senza alcun ordine piangerò ed emetterò gemiti. Chi oserà impedirmi di essere addolorato, dal momento che mi accorgo che in tanto tempo non ho giovato affatto al bene comune, anzi penso di aver trascurato anche il mio personale? Me misero ed infelice, che ho sprecato tanto tempo in queste due cose! Ohimè infelice, che ho tessuto con fatica una tela di ragno153! Ohimè, perché non me ne sono accorto? Non so cosa dire, anzi, ignoro del tutto che cosa dovrei fare, e quindi taccio colmo di stupore. Senza dubbio non posso recuperare l'occasione perduta. Ecco, da qui un danno inutile: avendo sconvolto l'ordine, sono costretto a fare alla fine ciò che avrei dovuto fare all'inizio; e poiché debbo chiudere con un esito felice l'ultimo dei miei giorni che quotidianamente io, miserrimo, aspetto con trepidazione, è necessario che alla fine cominci l'opera che potevo già aver terminato. Perché ho seminato la tua e la mia semente sulla riva del mare, dove non è possibile raccogliere frutti? Dimmi, per favore, che cosa raccoglierò nel granaio di

148

Lam 3,40.42; 4,19; 5,16s. Sal 13,45. 150 Lam 5,21. 151 Sal 76,8. 152 CATONE, Detti, IV, 40. 153 Cf. Is 59,5. 149


quanto è prodotto da questi semi? Se non vuoi rispondere, ascolta come Osea risponde alla mia domanda: «Hai seminato vento e mieterai tempesta»154. Chi aspetterà una tale messe, se non un insensato? Tuttavia l'ho aspettata invano, finché ho accertato senza alcun dubbio che tale seme e tale frutto sono da gettare. C'è forse qualche altra cosa, eccetto te, Religione santissima, di cui possa lamentarmi giustamente in questa causa? Non è lo zelo del tuo amore, forse eccessivo, che mi inebriò l'animo fino ad ora a tal punto da non poter distinguere chi e di quale natura fossi, in quale luogo stessi, quale genere di cose facessi? Ecco, l'amore e la venerazione per te mi hanno spinto ad attraversare i mari, a percorrere le regioni del mondo, a spendere il tempo, a logorare il corpo; e poiché ho lavorato inutilmente a tuo vantaggio, contrastato dai figliastri, e non ti ho giovato, penso di aver perduto, eccetto il merito dell'intenzione, tutto quello che avrei potuto guadagnare se fossi stato altrettanto tempo nella solitudine della cella. Benedetto il Salvatore del mondo che mi ha fatto rientrare in me stesso e con misericordia mi ha risvegliato da un sonno greve con un forte vento tempestoso; e affinché io conosca meglio me stesso e le mie azioni, mi ha dato, secondo le mie possibilità, un intelletto sobrio. Oh, se questo vento di Aquilone o di Austro avesse soffiato vent'anni prima sul mio giardino155! Forse le cose di cui ora si dice che puzzano, avrebbero emanato un profumo soave. O Madre, mi sono lamentato del tuo stato, mentre invece avrei dovuto lamentarmi di me stesso e del danno che mi infliggo. Da dove viene questa presunzione per cui ho osato governarti, io che sono sempre stato imperfetto nel governare me stesso? Da dove viene questo abuso inaudito per cui io, non ancora discepolo, sono stato maestro156, e non sapendo nemmeno esaminare la mia coscienza, non ho temuto minimamente di diventare giudice temerario degli altri? Ohimè, Madre, perché ho accettato l'incarico di occuparmi di te, dal momento che mi toccò arare, contro il precetto della legge, con il bue e l'asino, che non debbono essere aggiogati insieme157? Ohimè, non si può cancellare il passato e non posso ritornare sulla via che ho percorso al fine di correggere le mie mancanze. Però ho ricevuto almeno una lezione utile; prendendo esempio da ciò che è accaduto, in futuro mi cautelerò contro tutte le possibili evenienze. Perdona dunque, o Madre, il figlio pentito, e mostrati indulgente e propizia, se i miei sensi e le mie deboli forze possono aver mancato contro di te; tuttavia, ti prego, non mettere sotto accusa la volontà che sempre fu sollecita. Questo opuscolo è stato scritto nel mese di febbraio dell'anno del Signore 1270, sul monte Enatrof, terribile per i nemici; là c'è la casa di Dio e la porta del Paradiso158. (Traduzione di Silvano Giordano, OCD)

154

Cf. Os 8,7. Cf. Ct 4,16. 156 Decreto di Graziano, 2, D, 49. 157 Cf. Dt 22,10. 158 Cf. Gn 28,17. 155


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