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Domande e risposte o, forse, meglio di no
Troppe domande rischiano di portare a dubbi eccessivi. Meglio allora concentrare le forze solo su quello che ci fa stare meglio
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L’altro giorno stavo andando a buttare l’immondizia. Attività che ho sempre trovato fastidiosa ma che negli ultimi mesi ha acquisito tutto un altro senso: uscire di casa anche per
pochi minuti diventa respirare qualche attimo di liber
tà. Avevo appena chiuso la calotta quando ho sentito una voce alla mia sinistra: “Dottore, ma lei cosa ne dice di questo virus? A me sembra stiamo diventando tutti matti qui. Andrà bene a lei, chissà quanti clienti…”. Era il mio vicino di casa, che a distanza di sicurezza cercava un pretesto per fare conversazione e stemperare la situazione straordinaria in cui siamo tutti da ormai diverse settimane.
Colto alla sprovvista non sono riuscito a dare nessuna risposta particolarmente
intelligente. Ho abbozzato una risata e accennato un: “Eh, speriamo di no … non ci state tutti nel mio studio!”.
Abbiamo sorriso sotto le mascherine, lasciando il compito agli occhi di far capire le nostre
espressioni, e ci siamo salutati, tornando alle nostre attività. Tuttavia alcune domande sono iniziate a girarmi nella testa.
“Cosa succederà dopo?” “Cosa succederà con la
Fase 2?” “Come riprenderemo la nostra vita?”
E c’era una risposta che continuava a tornare. 5 parole che calzavano perfettamente con tutti i miei dubbi: “E io che ne so?”. Mi sono chiesto: “Dovrei saperlo?” Risposta: No. Mi sono domandato:
“Se lo sapessi cambierebbe
qualcosa?” Non credo proprio. E ancora: “C’è qualcuno che può saperlo?” No, nessuno può sapere cosa succederà. Purtroppo nemmeno i maghi, i veggenti e i cartomanti danno risposte certe. Ciònonostante in televisione e sulla carta stampata si alternano, sin da inizio marzo, pareri degli esperti e argomentatissime previsioni. Accalorate ipotesi su quando finirà la quarantena, su quando si troverà un vaccino, su quando riprenderà il campionato di calcio. O su come cambierà la nostra vita quotidiana dopo il virus. O sui problemi psicologici dei sopravvissuti all’epidemia. Temo che solo una piccola percentuale di questi esperti indovinerà. In questo momento non pos
siamo sapere quali saranno gli sviluppi sanitari, o le decisioni economiche, o le scelte politiche o persino “Dottore, ma lei cosa ne dice di questo virus? A me sembra stiamo diventando tutti matti qui. Andrà bene a lei, chissà quanti clienti…”
Dr. Enrico Ruggeri
le reazioni “della gente co
mune”. E prima ce ne faremo una ragione meglio sarà. Stiamo vivendo una situazione di incertezza. Ma secondo me, ed è quello che cerco di trasmettere anche ai miei pazienti, l’importante è non averne paura. Per qualcuno questo periodo di quarantena è stato utile a fermarsi, riflettere, conoscersi e magari dedicarsi ad attività nuove. Per altri è stata un impegno continuo volto alla gestione di casa e figli. C’è chi l’ha vissuta male, soffrendo il non poter fare ciò che desiderava e accumulando stress, e chi l’ha presa serenamente, come un’occasione per darci dentro con le pulizie di primavera. Per qualcuno, in assenza di impegni lavorativi, è stato un mezzo per riavvicinarsi ai propri cari e recuperare una dimensione familiare forse un po' trascurata prima. Per altri ancora è stato un inferno di violenze fisiche e psicologiche.
Ma la costante è stata la capacità degli esseri umani di adattarsi e adeguarsi a nuove situazioni.
Ed è quello che faremo anche nella “Fase 2”, e nella “Fase” 3, come in tutte le altre eventuali fasi che verranno. Cercheremo di capire come adattare il nostro stile di vita, modificarlo per non stare male o, almeno, non soffrire troppo.
Questo è ciò che potremo fare: cercare di prenderci cura di noi stessi e delle persone a noi care.
Non conviene avere paura del futuro: perché non fa godere del presente. È nel presente che possiamo agire, che possiamo intervenire per cambiare le cose. E nel presente possiamo chiederci:
“Come sto? Cosa è in mio
potere per stare meglio?” E se ci vengono in mente solo risposte negative, questo significa avere anche il coraggio di chiedere aiuto. Facciamo un bel respiro profondo. Pensiamo al presente. Cerchiamo di far andare le cose per il verso giusto. Perché qualsiasi situazione ci si presenterà, la affronteremo. Da soli o con l’aiuto di chi vorrà esserci. In ogni caso, riusciremo a trovare un modo per affrontarla e andare avanti. Per questo cerchiamo di non preoccuparci per ciò che non sappiamo, perché ha il solo effetto di aumentare la nostra ansia e ci porta a sprecare
energie che potrebbero servire per qualcosa di più
divertente. E ricordiamoci di quello che diceva lo scrittore americano Mark Twain: “Ho passato gran parte della mia vita a preoccuparmi di cose che non sono mai accadute.”
Dr. Enrico Ruggeri Psicologo e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Da inizio marzo accalorate ipotesi su quando riprenderà il campionato di calcio. O su come cambierà la nostra vita quotidiana dopo il virus. O sui problemi psicologici dei sopravvissuti all’epidemia
Affreschi restituiti (digitalmente) a Brescia
Nel primo volume FCB tornano a nuova vita gli affreschi francescani di San Giuseppe. Prossimamente il seguito con nuovi interventi
In quel tratto di via Mameli che riprende oltre Largo Formentone, in centro, a un tiro di sasso dalla Loggia, si apre un basso volto e, oltre quello, una timida piazzetta. L’occhio corre qui sulla destra lungo i conci di pietra e trova, incorniciato da timpano e colonne, il portale della “Chiesa degli artigiani”, la splendida San Giuseppe. Ben poca considerazione è fatta del graffiato e logoro portone che insiste poco prima, al civico 5. Pare timido e riservato. Di poco conto. Eppure, oltre il battente pesante, concede il passo a infinite curatele e documenti, archivi, indagini, e quel tanto d’inesauribile cultura bresciana che fa il paio, nella comune memoria, con l’incedere spedito e stolido di una tonaca in bicicletta. “Ah, buongiorno monsignore!” par di sentire da un passante e, di svelta risposta: “Solo don Antonio, basta così, né monsignore né don Fappani”. Chi lo conosceva non può non serbarne il ricordo. Tutti gli altri ne hanno sentito parlare. Di certo, comunque hanno letto qualcosa che lo vede in biografia. Padre nobile
e guida incrollabile della Fondazione Civiltà Bresciana, ha porrato per decenni i suoi passi oltre quel portone sdrucito. Li ha con-dotti lungo i chiostri affrescati che tanta parte di storia e religiosità avevano e hanno ancora da narrare.
Poco prima di dire addio alla “sua” Fondazione come si fa, in morte, con un figlio, il suo entusiasmo ha benedetto così tra le tante opere anche quella a firma d’un vecchio amico, Alberto Vaglia. A lui il compito di riscoprire e spronare al recupero gli affreschi da sempre preda dell’incuria in quei piccoli chiostri semi-sconosciuti. A don Antonio negli anni sono costati un sospiro ad ogni passo: gli oneri per assicurarli al futuro si sono infatti La prima pietra dell’aula sacra fu posta il 4 ottobre 1519. Lungo il fianco occidentale della costruzione si sarebbero quindi succeduti i due chiostri: il primo, più minuto, ritmato da due soli archi per lato; il secondo, più esteso, cadenzato da quattro archi sul lato minore, sei sul maggiore e ingraziato infine, al centro, da una fontana. La struttura,
posta ad asilo dei Francescani
minori dell’Osservanza nel cuore della città, avrebbe condiviso, in uno, luoghi del potere politico e religioso con l’anarchica, chiassosa attività di botteghe, banchetti, fondaci artigiani e commerci che assiduavano dal medioevo l’antica “corte dei Fabi”.
L’EDIFICAZIONE
sempre dimostrati fuori dalla sua portata. Che fare, dunque? A Vaglia è venuta in aiuto la tecnologia (qualcosa che chi conosceva il Don della cultura bresciana, sa non essergli mai stata troppo affine). Eppure. Eppure si è fatto padrino con Vaglia di un libro che ne raccogliesse il restauro anche se, per ora, solo "digitale”. E’ nato così l’ori
ginalissimo “I conventi ri
trovati”. Ed è andato subito esaurito. Grazie agli studi Li
netti e Rapuzzi e con la supervisione del restauratore
Romeo Seccamani, oltre all’inesausto sforzo di volontari e appassionati, la pubblicazione si è fatta realtà1.
Tra le sue pagine un viaggio tra 5 province e 35 conventi rappresentati in altrettante immagini in alzato, quasi finestre, abbaini a vetro pi
ombato sul primo ‘500. Un restauro digitale che getta le basi di futuri, reali interventi conservativi e, al contempo,
tratteggia la storia del movimento francescano dell’Osservanza e della centralità, con esso, della sede
bresciana. 35 schede, figlie d’attenta ricerca storica ed archivistica, ne danno puntua
le conto nel volume, e affacciano Brescia alla grande storia. Eretti dall’ordine minoritico in luogo di orti, sedimenti, ospizi e perfino di un postribo
SOPRA: particolare di lunetta del secondo chiostro raffigurante San Giovanni da Capistrano che predica a Brescia in piazza del Mercato Nuovo con, sullo sfondo, il convento di Sant’Apollonio (restituzione digitale)
lo, gli ambienti clericali di San Giuseppe hanno visto la luce poco dopo il sacco di Brescia del 1512 e, da allora, si sono legati a filo doppio alla vita della città.
Oltre al più conosciuto padre Malvestiti di risorgimentale memoria, inoltre, hanno tessuto collegamenti con celeberrimi predicatori. Due per tutti: San Giovanni da Capestrano o San Bernardino da Siena.
Quest’ultimo, ad esempio, giunse a Brescia nel 1422 ed ebbe in sorte di vedersi affidata la struttura conventuale di Sant’Apollonio. L’ambiente claustrale ospitò alcuni tra le maggiori voci spirituali italiane del ‘400. Nel 1517, tuttavia, fu raso al suolo nel corso della “Spianata” voluta dalla Serenissima a pochi anni di distanza dal sacco di Gaston de Foix e dei suoi guasconi. I frati scelsero allora un più sicuro spazio intra moenia, e caduta che che fu la scelta sull’antica “corte dei Fabi”, vollero eternare, nel secondo dei suoi chiostri, proprio la memoria del Santo senese. A breve, grazie a un minuzioso lavoro di recupero “manu pc” - promette Vaglia -
anche le lunette che ne raffigurano la vita saranno pronte per affiancare con una pubblicazione i primi
affreschi trattati e, con quelli, restituire uno sguardo esaustivo degli splendidi ambienti di San Giuseppe. Chissà che questo non sproni qualcuno a tradire, con buona pace di tutti, il recupero virtuale per un restauro “analogico”. SOPRA: lunetta del secondo chiostro raffigurante San Bernardino che assiste gli appestati all’Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena (restituzione digitale) Sergio Masini
a cura di Massimo Mattoni
seconda parte
Le piazze di Brescia
Nella “città dalle mille fontane”, le piazze sono la tela su cui si affacciano palazzi e monumenti: oggi, in sella alla bici o a piedi, torniamo a goderne e ad apprezzarne il valore
Ritorniamo a parlare di piazze e, in questa seconda puntata, la nostra passeggiata virtuale riprende da PIAZZETTA SANT’ALESSANDRO che: prende il nome dalla chiesa omonima, il cui prospetto tardo ottocentesco occupa nella sua interezza il lato occidentale, con al centro l’ar
moniosa fontana progettata dall’architetto Giovanni Done
gani. Separato da via Moretto è palazzo Martinengo Colleoni nelle sue forme maestose e imponenti, fino a pochi anni fa sede del trib-nale cittadino, oggi sede del MO. CA, Centro per le nuove culture.
Nel vero cuore della nostra città sorge poi PIAZZA PAOLO VI, intitolata al papa Montini, ancora nota ai bresciani come piazza Duomo. Centrale è la presenza imponente e maestosa delle due
chiese il Duomo vecchio e il
nuovo, disposte in successione lungo il lato orientale.
Dall’XI secolo il Duomo vecchio, chiamato anche Rotonda, è un tipico esempio di architettura romanica, ribassato rispetto al livello attuale della pavimentazione della piazza. La struttura possente del Duomo nuovo, edificato tra il XVII e il XVIII secolo si caratterizza per l’intrecciarsi degli stili che vanno dal tardo barocco al rococò. Lo stesso versante della piazza ospita anche la torre medievale del Pégol, realizzata a partire dal 1222 sul preesistente brolo di pertinenza di un’antichissimo edificio conventuale. Sul lato meridionale si erge il palazzo del Credito Agrario Bresciano, opera novecentesca dell’architetto bresciano Antonio Tagliaferri.
Sempre nel centro storico PIAZZA DELLA LOGGIA è uno dei luoghi più significativi della vita cittadina. La sua costruzione, progettata in epoca rinascimentale, fu avviata agli inizi del XIV secolo, durante i primi anni del dominio veneto. A dominare la piazza, sul lato occidentale, sorge l’imponente palazzo della
Loggia, eretta tra il XV e il XVI secolo, oggi sede comunale, la cui costruzione coinvolse alcuni tra i più importanti architetti dell’epoca, quali Jacopo Sansovino e Andrea Palladio.
Di evidente influenza veneziana lo stile che caratterizza i palazzi che affacciano sugli altri lati, in modo particolare lungo il versante orientale in cui troviamo uno scenografico porticato rinascimentale. Al centro dell’edificio campeggia invece una suggestiva torretta, al cui interno è ospitato il cinquecentesco oro
logio astronomico, coronato alla sommità due singolari automi ironicamente conosciuti
come “macc de le ure".
Prossima a Corso Zanardelli, luogo dei negozi e del passeggio cittadino è situata PIAZZETTA VESCOVADO. Delimitata lungo il lato settentrionale dalla cancellata settecentesca del palazzo vescovile, la piazza è chiusa a
sud dal palazzo della Congrega apostolica, sorto nella prima metà del XVII secolo su progetto di Luigi Donegani. Al centro della piazza, attorniata da alte piante, campeggia una fontana settecentesca, dotata in passato di due vasche, destinate rispettivamente a lavatoio e ad abbeveratoio.
A pochi passi PIAZZA DELLA VITTORIA, moderna e spaziosa, è il risultato dei profondi inter
venti condotti a cavallo degli anni Trenta del ‘900, edificata cioè in epoca fascista, su progetto di Marcello Piacentini.
La piazza si estende dove sorgeva l’intricato quartiere delle Pescherie, di tradizionale vocazione commerciale. Tra gli edifici della piazza, spicca il lineare palazzo delle Poste; sul lato orientale, invece, si trova l’arengario, una specie di pulpito in marmo
rosa della Carnia, ornato da sculture di Antonio Maraini che racconta gli episodi sa
lienti della storia di Brescia, mentre su quello occidentale sorge uno dei primi grattacieli d’Italia, quello dell’INA Assicurazioni, progetato dallo stesso architetto.
Muovendo verso sud, lungo l’ampia via Gramsci, si raggiunge PIAZZA DEL MERCATO. Situata in posizione sopraelevata rispetto alla configurazione urbana circostante, ha da sempre ospitato le bancarelle dei mercanti di panni e lino, oggi mercato di prodotti tipici. Sul fondo è l’ampia fronte barocca di palazzo Martinengo Palatini, oggi sede del rettorato dell’Università di Brescia, sul lato sud il piccolo il Santuario di Santa Maria del Lino, costruito nel 1608 da Pier Maria Bagnadore e un edificio a porticato cinquecentesco che si inserisce in un quartiere di case a schiera, destinate ad attività mercantili, note come le case del Gambero, poste tra via Gramsci e via X Giornate. gioiello nascosto, in corrispondenza con l’antistante ingresso del Museo Diocesano. Lo spa
zio è concluso sul versante orientale dal prospetto della
chiesa omonima, in posizione sopraelevata, cui si accede da una scenografica scalinata a doppia rampa introdotta durante
i lavori seicenteschi. È ancora visibile dall’esterno l’originaria struttura romanica delle tre absidi circolari, a ridosso delle quali si sviluppano le pendici occidentali del colle Cidneo.
A nord del centro storico, sempre lungo le pendici del colle cittadino, si estende la graziosa PIAZZA TITO SPERI. Conosciuta dalla metà del XIX secolo come "piazza dell’Albera”, per la presenza di una maestosa pianta secolare, è stata nel tempo teatro di importanti eventi storici. Qui
si svolsero, infatti, tra il XVI e il XIX secolo scontri tra bresciani e gli invasori austriaci e
francesi. Al centro della piazza, il monumento eretto nel 1888 dedicato a Tito Speri, patriota risorgimentale, eroe delle X Giornate. Aperta sul tracciato che si allungava in direzione Milano, nell’area della porta di San Giovanni, nel XIX secolo, si caratterizza per l’imponente statua dedicata all'eroe dei due mondi.
Conclude questa descrizione PIAZZA BRUNI BONI inaugurata nel 1998, in un angolo tranquillo e appartato tra corso Zanardelli e via Moretto, che si colloca su un insieme di ambienti dismessi già nel corso dell’Ottocento. Lo spazio era occupato dall’estensione del giardino privato di pertinenza del Palazzo Bettoni Cazzago, di cui si conserva il prospetto posteriore e dalle strutture del convento degli umiliati. Il lato nord della piazza
coincideva con le architetture di servizio dello storico alber
go Gambero, mentre ad est campeggiava il Teatro Sociale, tutt’oggi esistente. L’accorpamento di questi ambienti in stato di degrado ha consentito la piena riqualificazione degli stessi, attraverso la creazione di un nuovo gradevole spazio a disposizione della città.
Ogni città si connota per bellezza e grandiosità delle sue piazze ed ogni insediamento umano non si può considerare sufficientemente compiuto ed evoluto se non esprime questi luoghi importanti di vita collettiva.