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ANNIVERSARIO
La relazione di viaggio Storia e fortuna della relazione scritta da Antonio Pigafetta per far «sapere e intendere le grandi e ammirabili cose che Dio me ha concesso de vedere e patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione».
di Adriana Chemello
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“Il viaggio fatto per gli Spagnuoli intorno al Mondo è una delle più grandi e maravigliose cose che si siano intese a’ tempi nostri: e ancor che in molte cose noi superiamo gli antichi, pur questa passa di gran lunga tutte l’altre insino a questo tempo ritrovate.” L’entusiasmo dello storico e del geografo Ramusio fa percepire l’ampiezza della risonanza che l’eccezionalità dell’impresa deve aver suscitato nell’Europa del tempo.
La circumnavigatio globi compiuta dalla piccola flotta di Magellano [«nel qual viazo ho circundato tutto il mondo a torno», come si esprime Pigafetta] segna uno spartiacque tra due epoche della storia umana moderna, una rivoluzione che si riperquote in tutte le manifestazioni della vita politica, economica, culturale e spirituale. La nuova scoperta ha indotto mutamenti negli equilibri di potere tra gli stati europei, nella dinamica dei traffici commerciali e degli spostamenti di uomini e merci tra i continenti. Ma la novità più dirompente è la nuova coscienza del mondo che la scoperta di terre “incognite” ha determinato, costringendo a rivedere i paradigmi scientifici ed i sistemi chiusi delle discipline. Come scrive Marica Milanesi «la prima circumnavigazione ha unito i mari e le terre, prima isolati, dispersi su una superficie indefinita. Benché immensi, dilatati all’estremo dall’enorme quantità di tempo che occorre per superarli, gli spazi terrestri diventano finiti, e quindi accessibili e prevedibili». 1 Negli anni in cui Pigafetta si muove sulla scena del mondo, possiamo dire che aveva raggiunto il suo apice il desiderio del mondo di «estrovertirsi», per usare una locuzione di Zumthor, il quale osserva come sul finire del Medioevo il mondo diventa «improvvisamente estroverso». 2 Lo studioso Burckhardt, a sua volta, aveva indicato fra i caratteri originali della civiltà del Rinascimento proprio la forte tensione verso la «scoperta del mondo esteriore». 3
Nei circoli degli uomini dotti, nelle corti europee, soprattutto in quelle spagnola e portoghese, le «scoperte» degli ultimi decenni avevano generato stupore e aperto nel contempo tanti interrogativi. Tutto ciò aveva dato incentivo e alimentato una forte volontà di conoscere e di comprendere il nuovo, ciò che è al di là dei «confini» e degli spazi noti. Il viaggio aveva pertanto acquisito un alto valore conoscitivo perché traeva impulso dal desiderio di «veder del mondo» o di «venir del mondo esperto», secondo la formula dantesca. Era uno degli strumenti per appagare la curiositas dell’umanista, per fare esperienza di ciò che si era appreso dai libri o che era stato riferito da persone autorevoli e degne di fede. Il viaggio di Pigafetta nasce proprio da questa curiosità di fare esperienza di mondo, di attraversare confini, di lanciarsi a scoprire “terre incognite”, per mare. Sono gli anni delle «scoperte», dell’«estrovertirsi», appunto. Antonio Pigafetta arriva in Spagna nel dicembre 1518, al seguito del vescovo Francesco Chiericati, protonotario apostolico inviato dal papa Leone X alla corte di Carlo I; lì partecipa alle dotte riunioni a casa del nunzio pontificio ed ha occasione di frequentare la corte, dove viene catturato dalle dispute intorno alle scoperte che Spagnoli e Portoghesi stanno compiendo [«le grande e stupende cose del Mare Oceano»]. Chiede l’autorizzazione al vescovo e al re Carlo I per partecipare alla spedizione che Magellano sta preparando. Viene arruolato come criado (uomo di fiducia) di Magellano e salpa da Siviglia il 10 agosto 1519. Ritornato in Spagna dopo tre anni, Antonio Pigafetta è consapevole di essere stato testimone oculare di un’impresa irripetibile («Credo certamente non si farà mai più tal viaggio» 4 ), e decide di farne una narrazione per far «sapere e intendere le grandi e ammirabili cose che Dio me ha concesso de vedere e patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione». 5 La curiosità del lettore rinascimentale potrà trovare soddisfazione perché chi scrive ha trasformato il viaggio da «esperienza mentale» ad esperienza fisica, è diventato soggetto patiens della propria curiositas:
Avendo io avuto gran notizia per molti libri letti e per diverse persone, che praticavano con sua Signoria, de le grande e stupende cose del Mare Oceano, deliberai, con bona grazia de la Magestà Cesaria e del prefato signor mio, far esperienzia di me e andare a vedere quelle cose che potessero dare alguna satisfazione a me medesmo e potessero parturirmi qualche nome appresso la posterità 6 .
Il vicentino dopo aver esperito la «longa e pericolosa navigazione» decide di «narrar altrui» perché non se ne perda la memoria che solo la scrittura può conservare, trasformando i «muti inchiostri» in «vive voci» presso la posterità. La stesura della relazione fa sì che l’«evento» si risolva in «ricordo», in memoria appunto. Una scrittura del ricordo, un recupero memoriale di un evento ormai concluso e passato, del quale è viva la consapevolezza di essere uno dei pochi testimoni superstiti. Dei «ducento e trentasete omini» partiti il 10 agosto 1519 dal porto di Siviglia avevano
1. M. Milanesi, Introduzione, a G.B. Ra usio, Navigazioni e Viaggi, vol. I, Torino, Einaudi, 1978, p. xxix. 2. P. Zu tho , La misura del mondo. La rappresentazione dello spazio nel Medio Evo, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 30 . 3. Cfr. C. S ila, Introduzione a Nuovi Mondi. Relazioni, diari e racconti di viaggio dal XIV al XVII secolo, a cura di C.S., Milano, RCS libri, 2010, p. 16 sgg. 4. A. Pi afetta, Il primo viaggio intorno al mondo, edizione a cura di M. Pozzi, Vicenza, Neri Pozza, 1994, p. 112. 5. Ivi, p. 109. ---- 6. Ibid.
fatto ritorno il 6 settembre 1522 «se non disdoto omini e la magior parte infermi» 1 . Nel congedare la trascrizione italiana della sua relazione di viaggio, dedicandola a Filippo de Villers L’Isle Adam, Pigafetta non si esime dall’informare di avere già consegnato il suo «diario di bordo» nelle mani dell’Imperatore Carlo V:
Partendomi de Seviglia, andai a Vagliadolit, ove apresentai a la Sacra Magestà de Don Carlo non oro né argento ma cose da essere assai apresiate da un simil signore. Fra le altre cose li detti uno libro, scritto de mia mano, de tutte le cose passate de giorno in giorno nel viagio nostro. Me parti’ de lì al meglio puotì e andai in Portagalo e parlai al re Don Ioanni de le cose aveva vedute. Passando per la Spagna veni in Fransa e feci dono de algune cose de l’altro emisperio a la madre del Cristianissimo re Don Francisco, Madama la Regenta. Poi me venni ne la Italia, ove donai per sempre me medesimo e queste mie poche fatiche a lo inclito e illustrissimo signor Filipo de Villers L’Isle Adam, Gran Maestro de Rodi dignissimo. 2 .
Di questo prezioso testimone spagnolo si sono perse irrimediabilmente le tracce, ma anche il «libro» arrivato fino a noi è debitore ad un destino che sfugge alle intenzioni autoriali per imboccare strade impreviste. Ma far circolare le notizie e le scoperte di questi viaggi non sarebbe stato possibile senza l’apporto determinante dell’industria tipografica, soprattutto quella veneziana, perché Venezia era «diventata un centro di raccolta e di smistamento delle informazioni relative a ciò che avviene al di là dei mari». 3
Lì editori e cartografi cooperavano nel produrre materiali (libri e opuscoli) adatti a diverse tipologie di pubblico. Nel contesto veneziano si muove Giovan Battista Ramusio, Segretario del Senato veneto, cultore esperto di cosmografia, geografia e storia, traduttore autorevole di greco e latino, al centro di una fitta rete di relazioni con uomini dotti da Bembo a Fracastoro, da Andrea Navagero a Bernardino Donato. Negli anni tra il 1530 e il 1550 Giovan Battista Ramusio fa incetta, spostandosi sovente per le sue funzioni di Segretario tra le diverse corti europee, di relazioni, lettere, discorsi sulle «navigazioni» realizzate tra fine Quattrocento e primo Cinquecento. Accorpando insieme tutte queste diverse testimonianze, dà forma ad un’opera monumentale in più volumi, che intitola Navigazioni e viaggi. È la risultante di una ricerca puntigliosa sulle fonti ma soprattutto di raccolta di
1. Ivi, pp. 111 e 190. 2. Ivi, p. 190. 3. M . Milanesi, Introduzione, a Navigazioni e viaggi, cit., p. xvii. resoconti e testimonianze di prima mano relative a ciò che sta avvenendo in mare in quegli anni. La raccolta di Ramusio si configura come una «biblioteca» settoriale, la summa di un nuovo genere rilanciato dall’epopea delle scoperte. È evidente la dinamica interconnessione tra i viaggi oceanici alla scoperta delle “terre incognite” e la tempestiva risposta della industria tipografica legata alle capacità imprenditoriali dei «grands imprimeurs» veneziani, che ne diventa un’efficace cassa di risonanza. Un’opera rivolta ad un pubblico selezionato di mercanti e di uomini dotti, desiderosi di aggiornarsi e di informarsi sulle nuove scoperte attraverso le relazioni disponibili all’estero ed ora rese disponibili anche in volgare italico. Nella editio princeps del primo volume delle Navigazioni e viaggi, uscita dai torchi della stamperia dei Giunti in Venezia nel 1550, Giovan Battista Ramusio dedica ampio spazio all’impresa di Magellano e dei suoi compagni, recuperandone ben due resoconti, che pubblica uno di seguito all’altro: l’Epistola di Massimiliano Transilvano, uno dei Segretari di Carlo V, che aveva sposato la nipote di uno dei promotori dell’impresa di Magellano (quindi molto ben informato sui fatti, anche perché aveva raccolto le testimonianze dirette dei reduci della spedizione), 4 e il Viaggio di Antonio Pigafetta, entrambi introdotti da un breve Discorso sopra il viaggio fatto da gli Spagnuoli intorno al mondo a firma dello stesso Ramusio:
Il viaggio fatto per gli Spagnuoli intorno al Mondo è una delle più grandi e maravigliose cose che si siano intese a’ tempi nostri: e ancor che in molte cose noi superiamo gli antichi, pur questa passa di gran lunga tutte l’altre insino a questo tempo ritrovate 5 .
L’entusiasmo dello storico e geografo dà conto, seppur parzialmente, del rilievo e della profonda risonanza che l’eccezionalità dell’impresa deve aver suscitato nell’Europa del tempo. Lo studioso, sempre ben informato sui viaggi oceanici ed in grado di procurarsi fonti documentarie di prima mano, avanza una prima valutazione critica, misurando il valore della nuova impresa sulle conoscenze degli antichi e su quelle fino ad allora possedute dai suoi contemporanei. Ed il giudizio sul nuovo «viaggio» è che esso «passa di gran lunga tutte l’altre» ed anche i «gran filosofi antichi udendone ragionare, resteriano
4. L’Epistola venne pubblicata in latino, col titolo De Moluccis Insulis nel 1523 (Colonia e Parigi), nel 1524 a Roma. Nel 1536 fu stampata in italiano a Venezia, con ogni probabilità a cura dello stesso Ramusio, insieme con la relazione di Pigafetta (Il viaggio fatto da gli Spagniuoli a torno a’l mondo, Zoppini), e ripresa poi nel 1550 nel primo volume delle Navigazioni. 5. Si cita dalla edizione moderna: G.B. R a usio, Discorso sopra il viaggio fatto dagli Spagnuoli intorno al mondo, in Navigazioni e viaggi, a cura di M. Milanesi, Torino, Einaudi, 1979, vol. II, p. 837.
anche i «gran filosofi antichi udendone ragionare, resteriano stupefatti et fuor di loro». Un giudizio che riprende quello espresso da Massimiliano Transilvano in explicit alla sua Epistola, il primo testo a stampa a dare un resoconto, desunto dalle testimonianze dei superstiti, della «navigazion fatta» di «circondar tutto il mondo». Esaltandola come impresa «marvigliosa, né mai più trovata o conosciuta, né ancor tentata per altri», Massimiliano scrive:
Marinai certamente più degni di esser celebrati con eterna memoria che non furono quelli che dagli antichi furon chiamati Argonauti, li quali navigarono con Iason […] ma la nostra, di fuora dello stretto di Gibilterra navigando per il mare Oceano verso mezzodì e polo antartico, e di lì poi voltandosi verso ponente, e tanto seguitando quello che, passando di sotto la circunferenza del mondo, se ne venne in levante, e di lì poi se ne ritornò in ponente a casa sua in Siviglia 1 .
Ramusio, ha voluto accostare due diverse testimonianze dell’impresa di Magellano: quella di Massimiliano Transilvano, stesa sulla scorta dei racconti dei superstiti, quindi una testimonianza mediata dalla penna di colui che se ne fece trascrittore e interprete; a cui affianca «un libro molto particolare e copioso» di «un valoroso gentiluomo vicentino detto messer Antonio Pigafetta» 2 . Il libro «particolare e copioso» arrivato nelle mani di Ramusio non è però il manoscritto autografo o trascritto del cavaliere vicentino, che noi oggi leggiamo (e di cui abbiamo diverse edizioni moderne), bensì un resoconto di «seconda mano», la risultante di una ri-scrittura ottenuta «da libro a libro mutando e trascrivendo» 3 , secondo una pratica molto diffusa nel Cinquecento. Così mentre il manoscritto in volgare italico è rimasto ignorato, sepolto tra i polverosi palchetti di una biblioteca fino al 1800, la relazione del viaggio è tributaria della propria «fortuna» editoriale ad una scorciata trascrizione «du second main», arrivata a Venezia attraverso Parigi. Il «libro» recuperato da Ramusio ha infatti il proprio archetipo nell’extraict francese pubblicato senza data a Parigi presso Simon de Colines, sul quale è stata condotta la traduzione italiana uscita nel 1536 a Venezia presso lo Zoppini, con ogni probabilità curata dallo stesso Ramusio. Il profilo della «fortuna» editoriale del libro pigafettiano e della sua circolazione cinquecentesca coincide con quello della monumentale opera di Ramusio che conobbe nel corso del secolo numerose edizioni e ristampe, nonché diverse traduzioni nelle principali lingue europee. Il «libro» di Pigafetta letto e conosciuto dai dotti, dai mercanti, dai letterati cinqueseicenteschi è appunto questo «sommario» di seconda mano ricavato dal francese. Il manoscritto della Relazione in volgare italico (conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano) venne pubblicato per la prima volta da Carlo Amoretti, a Milano nel 1800; l’edizione più autorevole rimase a lungo quella di Andrea Da Mosto, pubblicata a Roma nel 1894. Per concludere vorrei riprendere l’omaggio che Ramusio tributa, in epilogo al suo Discorso, ad Antonio Pigafetta ed alla città che gli ha dato i natali, non senza una piccola postilla per ricordare, che il monumentum più imperituro è – a mio avviso – saper tramandare alle giovani generazioni il sensum culturale e umano di quella epocale impresa:
Et la città di VICENZA si può gloriare fra tutte l’altre d’Italia che, oltre l’antica nobiltà e gentilezza sua, oltra molti eccellenti e rari ingegni, sì nelle lettere come nell’armi, abbia anche avuto un gentiluomo di tanto animo come il detto messer Antonio Pigafetta, che, avendo circondata tutta la balla del mondo, l’abbia descritta tanto particolarmente. E non è dubbio che dagli antichi, per una così stupenda impresa, gli saria stata fatta una statua di marmo, e posta in luogo onorato, per memoria e per esempio singulare a’ posteri della sua virtù 4 .
Ma Ramusio aveva anche espresso un altro auspicio, a mio avviso ancora di estrema attualità:
una delle più ammirabili e stupende operazioni che potessero far in vita loro i grandi príncipi saria il far conoscere insieme li uomini di questo nostro emisfero con quelli dell’altro opposto […].
1 . Epistola di Massimiliano Transilvano, secretario della maestà dello imperatore, scritta allo illustrissimo e reverendissimo signore il signore cardinal Salzuburgense, della ammirabile e stupenda navigazione fatta per gli Spagnuoli lo anno MDXIX attorno il mondi, ivi, p. 866. 2. G.B. Ra usio, Discorso, in Navigazioni e viaggi, cit., p. 838. 3. Il sintagma è ripreso dalla «lettera dedicatoria» a M. Ieronimo Fracastoro, ora in G.B. RAMUSIO, Navigazioni e viaggi, cit., vol. I, pp. 3-4.