Voce novembre 2013

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Anno IV n. 15 / Novembre 2013

della comunità Parrocchia Santa Lucia - Gioia del Colle - BA Bollettino parrocchiale a diffusione interna L' angolo di Don Giuseppe

Anno della Speranza Linee programmatiche del nuovo anno pastorale E’ consuetudine nella nostra diocesi di Bari-Bitonto, che all’inizio del nuovo anno pastorale il padre arcivescovo, Mons. Francesco Cacucci, convochi un’assemblea diocesana per tracciare le linee programmatiche che devono orientare il lavoro pastorale di tutte le parrocchie. Tale assemblea si è svolta presso la Scuola Allievi della Guardia di Finanza, in Bari, nello scorso settembre, alla quale hanno partecipato circa duemila persone tra religiosi e laici, ed ha avuto come tema: “Verso le periferie della storia. La Pentecoste e lo splendore della speranza”. La trattazione è stata accompagnata dal passo evangelico della Samaritana che incontra Gesù al pozzo di Sicar (Gv 4, 1-42), con l’intento di aiutare a contemplare “lo splendore dell’acqua, (immagine che racchiude il mistero di Dio, trasparente come acqua cristallina), ed essa – continua l’Arcivescovo – si unisce all’episodio della Pentecoste (At 2, 1-41), come orizzonte del cammino che dobbiamo percorrere. Rimaniamo in continuità con lo scorso anno, perché il riferimento liturgico al dono dello Spirito sottolinea le conseguenze del dono pasquale. La festa della Pentecoste non potrebbe realizzarsi se non ci fosse la Pasqua ; e, alla stesso tempo, la Pasqua non porterebbe i suoi frutti in noi se non ci fosse la Pentecoste ”. Il padre Arcivescovo invita, inoltre, a rimanere “in continuità anche con l’esperienza dell’Anno della Fede, che in qualche maniera non poteva non condurci e non invitarci alla speranza. Infatti, un tratto che accomuna e allo stesso tempo distingue il mistero della Pasqua e della Pentecoste è proprio il cammino della fede e della speranza: fede e speranza: come due facce di una stessa medaglia. Da un lato la Veglia pasquale, che ci invita a procedere dall’esterno verso l’interno, dalla strada verso l’altare; dall’altro lato la Pentecoste , che porta la nostra fede dall’interno verso l’esterno, dall’altare verso la strada. Questo perché non è possibile aprirsi alla missione se prima non viviamo la comunione: è il cammino della mistagogia”. Il nostro Pastore, ispirandosi ad una poesia di Karol Wojtyla - il beato Giovanni Paolo II, che sarà canonizzato nell’aprile del 2014, assieme al papa buono, Giovanni XXIII, dal titolo Canto dello splendore dell’acqua, ispirata all’episodio della Samaritana, continua dicendo che “ lo splendore dell’acqua del pozzo, il mistero di Cristo, resta inattingibile. Con stupore la Samaritana ‘scopre in sé tanto vuoto’; ma con ‘sollievo’ sceglie di conservare in sé l’immagine dell’acqua del pozzo, pieno di ‘foglie e fiori’. Perché ‘interamente non saprò in me trasportarTi’ – dice la Samaritana al Signore -, ‘ma voglio che Tu resti’: come Fondo del mio fondo. ‘splendore’ della mia brocca. E da questa pienezza,

come sappiamo, nasce nella Samaritana anche l’urgenza del dono di sé, il farsi sorgente per gli altri. Come dice papa Francesco nella sua prima enciclica Lumen Fidei: ‘Chi si è aperto all’amore di Dio, ha ascoltato le sua voce e ha ricevuto la sua luce, non può tenere questo per sé’. Con il mistero nel cuore, la Samaritana corre in città e diventa ‘apostola’ (comunionemissione)”. Questo è il grande mosaico che il nostro padre Arcivescovo compone per il nuovo anno pastorale, invitandoci così a vivere la comunione e , nello stesso tempo, ad essere missionari nelle periferie che “non sono tanto o solo luoghi spaziali, ma luoghi esistenziali, culturali, sociali. La periferia non è uno spazio, ma una situazione di vita”. Il nuovo anno pastorale invita tutti ad assumersi le proprie responsabilità di cristiani e credenti e far giungere l’annuncio della misericordia di Dio e della speranza alle tante persone che vivono una situazione di periferia, anche attraverso la testimonianza delle nostre comunità.

Nelle pagine interne -in seconda: Francesco & Francesco Ma la Parrocchia “incontra”?

-in terza: No alla maldicenza Noi che la Caritas: resoconti e prospettive L’angolo di Don Mimì

-in quarta: A due mesi dall’ordinazione sacerdotale L’angolo del D.V.: nuove norme di procedure. Pagina 1


Francesco & Francesco

Ripercorrendo la vita di S. Francesco e di Papa Francesco si possono scoprire percorsi affini ed esperienze similari. Nella Congregazione generale dei Vescovi del marzo scorso, prima dell’elezione del Papa, nel delineare la figura del nuovo Pontefice Jorge Bergoglio ha detto: Deve uscire dalla Chiesa per evangelizzare. Il Papa futuro deve essere un uomo che a partire dalla contemplazione di Gesù aiuti la Chiesa ad uscire da se stessa e andare verso le periferie esistenziali, che le aiuti ad essere la madre feconda che vive della dolce confortante gioia di evangelizzare. La preghiera è il primo elemento del Papa. Un uomo di preghiera, di contemplazione, capace di far uscire la Chiesa dal suo egocentrismo e portarlo verso la periferia, dove l’aspettano milioni di persone in difficoltà. Quando in conclave, durante lo spoglio dei voti, si prefigurava la sua nomina a Papa il cardinale di San Paolo, Claudio Hummes, lo abbracciò e gli disse: Non dimenticarti dei poveri. Dice Papa Francesco: Quella parola mi entrò nell’intimo e subito, in relazione ai poveri, pensai a Francesco di Assisi. Poi pensai alle guerre e Francesco è l’uomo della pace. Per me Francesco è l’uomo della povertà, l’uomo che ama e custodisce il creato. Ah, come vorrei una chiesa povera e per i poveri! Il primo gesto da Pontefice, dopo aver salutato la folla in Piazza San Pietro è stato quello di chiedere di pregare su di lui. Sì, su di lui, perché per lui il Papa deve essere sottomesso; il capo della Chiesa deve sottomettersi, mettersi sotto gli altri, chiedere e ricevere. Molti sono i punti di contatto tra San Francesco e Papa Francesco: - Entrambi si sono sempre rivolti al Signore per chiedergli di indicare loro la strada da seguire e quale fosse il Suo disegno su di loro, - entrambi sono riformatori della Chiesa, - entrambi sono Pontefici, costruttori di ponti con tutti gli uomini ed il mondo circostante e con le diverse religioni, - entrambi sono amanti della pace, - entrambi sono amanti della povertà e di una Chiesa povera, - entrambi volevano evangelizzare il mondo; San Francesco voleva andare alla fine del mondo allora conosciuto, come missionario in Oriente, Papa Francesco viene dalla fine del mondo e voleva andare missionario in Giappone, - entrambi hanno avuto una particolare venerazione per il Crocifisso, - entrambi hanno sofferto contrarietà e malattie, considerandole come una piccola partecipazione e condivisione delle sofferenze del Cristo, - entrambi hanno voluto che oltre all’attività evangelizzatrice si desse grande importanza al lavoro manuale, come segno di partecipazione all’opera creatrice del Signore. Come S. Francesco durante la sua predicazione così anche Papa Francesco con le sue meditazioni quotidiane non ci fa mancare la sua voce, anzi la voce del Vangelo e di Cristo. Francesco Giannini

Voce… della comunità via Buonarroti 29 - 70023 Gioia del Colle Redazione: don Giuseppe Di Corrado, Vito Buttiglione, Francesco Giannini, Vito Sportelli, Vito Giannelli,Angelina Passiatore, Giovanni Capotorto Vieni a trovarci e a leggerci on line su http://parrocchiasantaluciagioiadelcolle.blogspot.com e su http://www.upgo.org/upgov1/

Ma la Parrocchia "incontra"?

E’ questo l’interrogativo che ci poniamo da qualche tempo come Commissione Famiglia, vista l’apparente indifferenza ad una serie di proposte (prima fra tutte quella della Banca del Tempo), che sono scaturite dal nostro stare insieme. “A pelle” sembrerebbe che spesso la Parrocchia è percepita quasi come un corpo estraneo dal territorio, in cui operiamo, e tutto si riduca alla partecipazione rituale ai momenti liturgici. Ma è questa l’essenza del nostro essere Cristiani? La risposta è amara, ma inesorabile: il tasso di “Cristianesimo operante” sembrerebbe piuttosto basso...e verrebbe voglia di “sbaraccare” e ritornarsene nel proprio privato. Ma noi siamo “Quelli che….gutta cavat lapidem” e insisteremo, convinti come siamo che bisogna continuare a seminare in attesa di una mietitura, che inevitabilmente ci sarà (anche se potrebbero essere altri a raccogliere i frutti di un buon lavoro). Intanto continueremo a proporre le nostre occasioni di incontro, da “Idopolamessa” a “Idurantelacatechesi” e saremo presenti con il nostro “Sportello Famiglia”, per intercettare i bisogni dei parrocchiani (che non sono solo economici: le nuove povertà incalzano!) e raccogliere le adesioni al “dare” e al “darsi” (che non possono essere separati dal “ricevere” in un’ottica cristiana). Pensiamo che la capacità di “incontrare” si possa incrementare con un rinnovamento delle forme di comunicazione del messaggio cristiano (Papa Francesco insegna!), magari scrostandole da quei toni dogmatici e accademici, che fanno tanto “cultura religiosa”, ma che creano distacco e hanno un alto tasso di incomprensibilità, e sostituendole magari anche solo con una vignetta o un flash mob… Ma Cristo non aveva scelto il linguaggio popolare e accattivante delle parabole? Chi ha orecchie da intendere intenda…. Vito Buttiglione

Lo Sportello Famiglia è operativo tutti i sabati nella Sede Caritas dalle 16,00 alle 17,00 Pag.2


No alla maldicenza! “Le chiacchiere innocenti non esistono: quando giudichiamo qualcuno o peggio ne parliamo male con altri, allora siamo cristiani omicidi. Uccidiamo i fratelli invece di pregare per loro e di parlare con loro.” Papa Francesco (13/09/2013) Qualche settimana fa papa Francesco nel corso della consueta omelia a Santa Marta ha usato parole forti contro la maldicenza, paragonandola a un omicidio. Possono sembrare parole esagerate, ma in effetti questo è un veleno che spesso intossica anche le nostre comunità parrocchiali, creando profonde divisioni e rancori. Spesso ci sentiamo in diritto di giudicare gli altri (mai noi stessi), di criticare il loro operato, le loro parole, i loro gesti; diamo giudizi affrettati oppure parliamo a vanvera di cose che non conosciamo, instillando dubbi e sospetti, senza renderci conto delle conseguenze delle nostre azioni. Giudichiamo l’operato altrui con l’arroganza di chi è convinto di poter fare meglio degli altri, senza conoscere le ragioni e le circostanze che hanno portato a certi risultati. Critichiamo spesso senza una vera ragione, solo per il piacere di sparlare degli altri, di mettere in luce i loro difetti, le loro debolezze (in modo che non emergano i nostri). Qualche volta lo facciamo solo per per sentirci superiori, migliori, come il fariseo della parabola della scorsa settimana nei confronti del pubblicano. Per poter dire “grazie a Dio non sono come loro”, una frase che può essere una preghiera di ringraziamento (se detta con fede), ma anche un atto di superbia, se invece tende solo a mettere in luce solo noi stessi e la nostra presunta superiorità. Altre volte critichiamo per metterci in mostra, per farci notare o per acquisire privilegi e potere screditando ogni possibile concorrente, dimenticando che ogni ruolo che ci viene affidato è un servizio nei confronti della comunità, non un premio per i nostri meriti o le nostre capacità. Impariamo a riflettere prima di parlare a sproposito, evitando di dare giudizi sommari e almeno motivando le nostre critiche perché possano essere costruttive. Gianni Capotorto

Don Mimì

Miei cari, da ora in poi farò come Papa Francesco: vi chiederò “solo” un minuto di silenzio e di preghiera ...ma funzionerà?

s ps ps p s p s P

Gruppo Caritas: resoconti e prospettive Da qualche tempo, insieme a Carmelo Marinelli, che dalla semplice e costante presenza in Parrocchia nella recita del Rosario e nella Messa vespertina ha voluto mettere al servizio della comunità anche parte del suo tempo “dove c’è bisogno”, sono entrato a far parte del gruppo Caritas parrocchiale, un gruppo nato, come ho saputo da Piera D’Apolito e Giuseppe Curci, un paio d’anni fa per volontà del Consiglio Pastorale Parrocchiale, che intendeva ripristinare, in subordine al Centro di Ascolto e per le emergenze spicciole del territorio, la già preesistente attività, e che ad oggi si avvale, a fronte di un esponenziale aumento dei bisogni, dell’impegno di un piccolo gruppo, che si sforza di mettere in pratica il Comandamento dell’amore… Sì, perché è proprio da questo che si deve partire per poter condividere anche solo quello che qui si fa più comunemente ed in maniera più spicciola sotto forma di condivisione di particolari beni (nel nostro caso, come detto, soprattutto gli alimenti, ma anche altre necessità che possono andare al di là del bisogno strettamente materiale). Vivere la carità, però, non è, ovviamente, solo questo. Il puro «Dare da mangiare agli affamati» può rivelarsi non solo il fine dell’azione caritativa, ma anche un mezzo per ampliare gli orizzonti e rimboccarsi le maniche per accogliere tutto l’uomo nella sua integralità. Un bell’esempio concreto ho potuto sperimentarlo in quello che fa Anna Maria Addabbo, insegnante elementare in pensione che fa conoscere la nostra lingua e le nostre abitudini ad un gruppo di donne marocchine, cosa che permetterà loro di diventare più autonome e in grado di affrontare la vita di tutti i giorni. La stessa insegnante ci tiene a precisare che la sua attività è nata proprio su richiesta di una di loro, che peraltro già conosceva l’italiano. Le donne di cui parlo, poi, sono anche madri. È stato bello vedere che la presenza di bambini si è rivelata fonte di altro impegno, cioè quello di badare loro, cosa che alcune di noi fanno molto bene e affettuosamente. È, dunque, facilmente constatabile che il centro non è soltanto raccolta, smistamento e distribuzione di alimenti (che sarebbe, comunque, ben poca cosa di fronte a quel “fare la differenza” che è proprio del cristiano), ma possiede in sé la speciale vocazione di un’accoglienza a 360 gradi che ci dovrebbe interpellare tutti, un’accoglienza che vede valorizzare tutti quei talenti che il Padre ha dato a ciascuno (e, dunque, anche l’intrattenimento leggero, la chiacchierata amichevole che non sia pettegolezzo ecc. acquistano una loro ragione d’essere), un’accoglienza che non dovrebbe guardare o giudicare le diverse situazioni di vita, ma cercare di indirizzare a quello che è il vero bene della persona. La semplice condivisione di una busta di cibo, quindi, non può bastare. Partendo dal bisogno condiviso di ampliare il nostro modo di essere la mano tesa della Chiesa, cioè “le mani e i piedi di Cristo oggi”, come recitava il Beato Charles De Foucault e ci ripete Giuseppe Curci, ci siamo chiesti perché non aprirci e divenire concretamente quello che siamo e che vogliamo essere? Si tratta, cioè, della domanda circa il senso ultimo di questo nostro incontrare le persone, che non è, né può esserlo, semplice filantropia, ma uno dei tanti aspetti incarnati nel mondo di oggi della più grande carità di Cristo. Il problema, che ci siamo posti, dunque, è assai a monte, la domanda più vera è: la gente, che noi aiutiamo, è consapevole di questo? È consapevole che riceve un dono che va al di là del semplice pacco di pasta? Ma anche: noi riusciamo a realizzare l’immagine di Cristo? Riusciamo ad essere veramente i Suoi piedi e le Sue mani o tutto finisce con la consegna più o meno burocratica di quel pacco di pasta? Si è, pertanto, pensato – in particolare, da parte di Giuseppe Curci – di ampliare gli orizzonti, cercando di fare partecipi dei nostri progetti quante più persone possibili, acquisendo in particolare elementi giovani e dinamici, ma anche altri gruppi caritativi quali le Vincenziane, e cercare di instaurare, fra noi e con quelli che vengono a visitarci, un dialogo vicendevole, pur nel DOVEROSO RISPETTO di eventuali fedi diverse, sul significato ultimo del nostro essere all’interno della Chiesa Cattolica e del valore di testimonianza cristiana dell’esercizio della carità. Rocco Barbalinardo per il Gruppo Caritas Pag.3


I miei primi due mesi di vita sacerdotale

Sono trascorsi già due mesi dal quel 7 settembre scorso, il “Giorno meraviglioso” in cui la mia vita di uomo e di cristiano ha assunto i tratti del pastore, attraverso il dono sublime del sacerdozio, che mi è st at o conf erit o per l’imposizione delle mani e la preghiera di c ons ac r azione da par t e dell’Arcivescovo, successore degli apostoli. Ancora sono vivi nel mio cuore i ricordi di quel giorno: l’attesa, la pre-

ghiera personale e comunitaria, i volti della gente, dei miei genitori, di chi mi conosce da sempre, il cuore che batteva all’impazzata appena l’Arcivescovo ha posto le sue mani sul mio capo, donandomi lo Spirito Santo, e poi le lacrime, di gioia e incredulità, quando le mie mani venivano unte con il sacro Crisma e poi nel momento in cui, tolta la stola diaconale, sono stato rivestito degli abiti sacerdotali. Spesso mi fermo da solo a rivedere le foto ed il video di quel giorno, piccoli segni, che mi aiutano a ravvivare giorno per giorno il dono, che mi è stato fatto, e spero di non “abituarmi” mai ad essere prete. Proprio nel discorso di ringraziamento finale, che rivolgevo quella sera, ho chiesto a Dio, per mezzo della preghiera di tutti, di concedermi il dono dello stupore e dell’incredulità fino all’ultimo giorno di vita, che Egli vorrà concedermi. Ed è la preghiera, che chiedo a ciascuno di voi per me e per tutti i ministri di Dio: che mai ci abituiamo ad esserlo! Continuamente, mentre celebro l’Eucarestia, momento più bello delle mie giornate, mentre amministro il sacramento della Penitenza o mentre compio qualsiasi altro compito proprio del sacerdote, resto sempre incredulo che tutto sia davvero realtà. Ho 25 anni, sono molto giovane e sento di dover imparare molto, moltissimo. Gli errori sono tanti, le fragilità pure, ma il fatto di sentirmi ontologicamente impregnato dello Spirito Santo

non mi fa mai scoraggiare, non perché sono bravo, ma per la certezza che è Gesù ad agire. Attraverso i miei limiti, ma anche quei piccoli doni, che Dio mi ha fatto, sono in questa comunità di Santa Lucia come presenza sacerdotale, amico e compagno di viaggio perché tutti insieme ci sentiamo pellegrini verso Dio e desiderosi di conoscerLo e testimoniarLo agli altri. Vi chiedo di pregare Dio e affidare a Lui il mio ministero, affinché sempre più possa configurarmi alla figura di Gesù Buon Pastore e affinchè questo ministero, che riempie la mia vita di gioia, ma che spesso mi fa sentire non all’altezza di ciò per cui sono stato chiamato, sia il mio grazie al Suo dono. E preghiamo, affinché dalla nostra comunità e nella Chiesa tutta continuino a nascere i germi di vocazione alla vita sacerdotale, di cui il mondo ha tanto bisogno.

Don Alessandro

L' Angolo del D.V. Nuove norme di procedure presso il Tribunale della Rota Romana Nell'ambito della riforma della Curia Romana, sono state approvate nuove norme procedurali presso il Tribunale della Rota Romana. Si tratta di un argomento un pò complesso che però cari lettori voglio rendervi partecipe in quanto si tratta di una riforma copernicana. Le norme sono contenute formalmente nel Rescriptum ex audientia ss. mi dell’11 febbraio 2013 e rese note il 5 marzo 2013 informalmente dal Decano della Rota (La legge non è stata pubblicata sugli Acta Apostolicae Sedis, la Gazzetta Ufficiale del Vaticano). Di ciò è stata data notizia durante un corso di aggiornamento internazionale presso l'Università della Santa Croce in Roma a cui ho avuto l'onore di partecipare Le novità sono le seguenti: I) Le sentenze rotali che dichiarano la nullità del matrimonio siano esecutive senza che occorra una seconda decisione conforme (cioè un decreto di conferma della sentenza precedente); II) Dinanzi alla Rota Romana non è possibile il ricorso alla novae causae propositio (rimedio straordinario di appello) , dopo che una delle parti abbia contratto un nuovo matrimonio canonico; III) Non si da appello contro le decisioni rotali in materia di nullità di sentenze o decreti; IV) Il Decano della Rota Romana ha la potestà di dispensare per grave causa delle Norme rotali in materia processuale. V) Siano avvertiti gli avvocati rotali circa il grave obbligo di curare con sollecitudine lo svolgimento delle cause loro affidate, sia di fiducia sia di ufficio, così che il processo davanti alla Rota Romana non ecceda la durata di un anno e mezzo. In questo modo si sta cercando di abbreviare i tempi anche delle cause in appello presso il Tribunale Apostolico onde venire incontro sempre più speditamente alle esigenze dei fedeli. Vito Giannelli Visita il blog parrocchiale on line su

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