Why Marche 36

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EDITORIALE

ORGOGLIOSI DI UN SENTIMENTO I personaggi e i luoghi non si possono incontrare una sola volta. Ho pensato questo leggendo in anteprima gli articoli del nuovo numero della rivista. Una scoperta è spesso una riscoperta che ci permette di capire di più della prima volta in cui ci siamo imbattuti in un dettaglio significativo per i nostri sensi. Se invece il personaggio o il luogo è inedito, allora l’approfondimento è perfino doveroso. Ho come l’impressione che le Marche siano un’altra regione da quella che ho sempre avuto in testa, che ho visitato in lungo e in largo. La verità è che conosco molto meno di ciò che ritenevo, con supponenza, di conoscere, come accade a molti di noi. La nostra terra al plurale ci sorprende anche grazie alle nuove leve, ai giovani che si fanno strada nell’arte, nella musica, nella gastronomia. Sono giovani bravi, talentuosi, da valorizzare. Forse aveva ragione Giosuè Carducci a ritenerci “benedetti da Dio”. Insomma, non finiamo mai di stupire e di stupirci. Strade e borghi, stagioni, rumori, luci, colori. La rivista coglie un mondo, la nostra residenzialità al chiuso e all’aperto. Continuiamo la nostra escursione in punta di penna, la nostra visione delle cose, il nostro sogno di abitare questo e nessun altro territorio: lo sentiremo nostro una volta di più. Ecco allora che stare qui può voler dire anche essere altrove, dove nessun luogo è lontano e nessun uomo o donna è distante. Amiamo le Marche: il nostro perché è svelato, per l’ennesima volta, in un sentimento orgoglioso di appartenenza. Diceva Cesare Pavese: “Già in altri tempi si diceva la collina come avremmo detto il mare o la boscaglia. Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un modo di vivere”.

ALESSANDRO MOSCÈ

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SOMMARIO A G O R A’

8 SGARBI: LE SUE MARCHE 13 SPECIALE: MACERATA OPERA FESTIVAL

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Direttore Responsabile: Alessandro Moscè REDAZIONE Editor Silvia Brunori Luca Capponi Stefania Cecconi Ilaria Cofanelli Silvia Conti Andrea Cozzoni Paola Donatiello Stefano Longhi Tommaso Lucchetti

PRIMO PIANO

P.13 ANIMA 26 CAMMINANDO A PIEDI 28 SAPORI DA GUSTARE 32 IL CORNO DELL’ABBONDANZA 34 STUPOR MUNDI 36 I SOGGIORNI DI CASANOVA 38 DUE MESSIA 42 DONDERO 44 “FALSO D’AUTORE”

46 RISORGIMARCHE

MENTE

Marketing & P.R. Raffaella Scortichini r.scortichini@whymarche.com

66 UNICAM AL PRIMO POSTO 68 ADICONSUM

Concept: Theta Edizioni info@whymarche.com

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Casa Editrice: Theta Edizioni Srl

P.28

Registrazione Tribunale di Ancona n° 15/10 del 20 Agosto 2010 Sede Legale: Via Monti 24 60030 Santa Maria Nuova - Ancona www.thetaedizioni.it - info@thetaedizioni.it Stampa: Tecnostampa:

P.52 LE MARCHE DEI LAGHI

I PERCORSI DI WHY MARCHE

Via Le Brecce - 60025 Loreto (AN)

SPIRITO 70 POWER SPOTS 74 ELDOMINO 76 TRASLOCARE 78 I CONSIGLI DI BARBANERA 80 EVENTI

Abbonamenti: abbonamenti@whymarche.com Chiuso in redazione il 10 Luglio 2017 Photo copertina - Theta Edizioni Srl

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A G O R A’

SGARBI RACCONTA LE MARCHE

TRA ARTE E RICORDI

Sgarbi svela il suo Rinascimento Segreto nella sede dei Musei CIvici di Pesaro

Vittorio Sgarbi non ha bisogno di presentazione ma certamente vogliamo ricordare quanto ha fatto per le Marche per valorizzarne la bellezza, a volte nascosta al grande pubblico, e il suo patrimonio culturale-artistico e paesaggistico. Attraverso questa intervista Sgarbi racconta le “sue Marche” tra arte e ricordi. Con lui ripercorriamo alcune delle tappe fondamentali, opere e monumenti che lo legano alle Marche e che diventano una guida alla scoperta della nostra magnifica regione.

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di Silvia Conti

WHY MARCHE? PERCHÉ SGARBI E LE MARCHE?

La Regione Marche è la capitale mondiale per concentrazione del patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico d’Italia. Tra il 1970 e il 1971, quando inseguivo le orme di Lorenzo Lotto, le Marche hanno rappresentato una tappa importante per ripercorrere la sua vita e le sue opere. Ma la mia vicinanza a questa regione ha origini storiche ben più lontane. Il tutto risale alla mia infanzia. Da ragazzo infatti, durante l’estate, accompagnavo mio padre nei suoi giri tra l’Emilia Romagna e le Marche fino a raggiungere la cittadina di Corinaldo, cittadina di bei ricordi paterni e tra i borghi più belli d’Italia. Ricordo ancora quando vidi per la prima volta la forma sinuosa dell’anfora che, nella zona dei Castelli di Jesi, fece la storia del Verdicchio nel mondo.

DI RECENTE HA POSTO LA SUA RESIDENZA A SAN SEVERINO. QUALE IL MESSAGGIO DI QUESTO GESTO?

A San Severino ho svolto attività politica, prima come consigliere e poi come sindaco. Sono quindi legato a San Severino ed è fondamentale in questo momento post sisma essere vicino a queste zone. E’ compito di un personaggio pubblico come lo sono io quello di dare un segnale forte ed essere più che mai presente per tenere accesi i riflettori in questi territori così fortemente dilaniati dalla forza della natura.

COM’È LA SITUAZIONE STORICO-ARTISTICA E MONUMENTALE DELLA REGIONE MARCHE DOPO IL SISMA? E’ POSSIBILE RIEMERGERE O CI DOBBIAMO RASSEGNARE?

Certamente il sisma ha compromesso chiese e opere di forte importanza artistica e architettonica. Senza considerare che il sisma genera una ulteriore frattura negli animi della gente data dalla paura. E’ la paura che mette a rischio il turismo. E allora è importante far capire che il territorio è stato geograficamente colpito in maniera circoscritta e limitata. Nel suo complesso questa regione offre tanto da un punto di vista paesaggistico e conserva con cura un patrimonio storico e artistico di grande valore e preziosità. Si può ricostruire e lo si deve fare anche nelle Marche come è avvenuto in altri parti d’Italia. Soprattutto è importante far passare il messaggio che le Marche sono vive più che mai. Vittorio Sgarbi

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A G O R A’

Il “Cristo Salvatore coronato di spine” di Matteo Civitali esposto al Museo Archeologico e Pinacoteca di Fano

Sgarbi mentre spiega la Pala dell´Incoronazione della Vergine a Pesaro

COSA È STATO FATTO NELLE MARCHE PER VALORIZZARE E FAR VIVERE QUESTA REGIONE E IL SUO PATRIMONIO ARTISTICO STIMOLANDO COSÌ IL TURISMO?

Sono tante le iniziative realizzate che puntano a far emergere la bellezza, la storicità e l’arte di questa regione. E’ importante che territorio e arte convergano all’unisono come nel caso di Genga. Lì infatti ci troviamo in un territorio, naturalisticamente parlando, coinvolgente con le famose Grotte di Frasassi. La natura trova poi espressione all’interno del museo di Genga che ospita tra le tante opere la splendida statua della “Madonna con Gesù Bambino”, della bottega del Canova, originariamente collocata nel Tempietto neoclassico del Valadier. Là dove la natura trova una sua naturale prosecuzione è la terra del Montefeltro. In questa terra si estendono quasi 2000 chilometri di meraviglie. Tra tutte le meraviglie c’è lei a guidare e stimolare il turismo: Urbino. Capitale ideale del Montefeltro e città patrimonio mondiale dell’Unesco, Urbino è stata capace

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di risollevare un’intera area con la sua storicità e le opere in mostra permanente. C’è ancora tanto da fare ma le potenzialità sono innumerevoli e questo ci fa ben sperare.

QUALI MOSTRE ATTUALMENTE IN CORSO NELLE MARCHE SUGGERISCE AI LETTORI E AI TURISTI DI VISITARE? Partiamo dal sud delle Marche ed in particolare da


Ascoli Piceno che vuole omaggiare l’arte ceramica. Dal 25 marzo al 24 settembre 2017, la Pinacoteca Civica ospita la mostra di Bertozzi & Casoni “Minimi Avanzi”. Si tratta di una rassegna di 24 opere realizzate da due maestri della scultura ceramica contemporanea. Lasciando Ascoli e percorrendo l’entroterra marchigiano verso nord, arriviamo ad Osimo. Qui ci accolgono i “Capolavori Sibillini. L’arte dei luoghi feriti del sisma” in mostra a Palazzo Campana fino al 1° di ottobre 2017. E’ importante salvaguardare preziose opere e allo stesso tempo non dimenticare quei paesi, preziose gemme di questa regione. Da Osimo ci spostiamo verso il mare nella città di Ancona. Qui troviamo il Museo Diocesano e la Mostra “Olivuccio di Ciccarello, dai Musei Vaticani ad Ancona”. Per la prima volta tornano ad Ancona due tavole lignee del pittore, provenienti dall’antica chiesa di Santa Maria della Misericordia, distrutta durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Tali opere si riuniranno agli altri dipinti dello stesso autore tardogotico già presenti nel Museo. Completiamo il nostro percorso artistico nelle Marche con la mostra “Rinascimento Segreto” a Urbino.

Giovanni Agostino da Lodi con la sua “Sacra famiglia”, uno degli artisti selezionati per Rinascimento Segreto a Pesaro

CI PARLA DELLA MOSTRA “RINASCIMENTO SEGRETO” DI CUI LEI È CURATORE?

Il Rinascimento è uno dei momenti più alti e fervidi d’invenzioni, se non il più alto, di pittori e artisti incredibili. “Segreto” perché si tratta di una mostra di circa 80 opere mai viste che si svelano al pubblico dopo due anni di difficile e lungo lavoro. Dipinti, sculture e oggetti di proprietà di fondazioni bancarie, istituzioni e collezionisti privati con l’obiettivo di valorizzare un patrimonio artistico quasi sconosciuto e al contempo creare un interessante approfondimento sulla peculiare e complessa “geografia artistica” italiana. Con questa mostra siamo riusciti a fare sistema tra più musei. Infatti la mostra presenta un unico biglietto che coinvolge tre musei appartenenti a tre comuni diversi: Urbino, Pesaro e Fano. E’ una mostra imperdibile come imperdibile è il Palazzo Ducale, uno degli esempi più significativi del Rinascimento italiano architettonico. Nella sola sede urbinate sono raccolte 40 opere realizzate da artisti rappresentativi delle principali scuole pittoriche italiane tra il ‘400 e il ‘500. Prima di lasciare Urbino e la Galleria Nazionale delle Marche, fermatevi ad ammirare il capolavoro di Raffaello Sanzio, “La Muta”. Lei da sola varrebbe il prezzo dell’intero biglietto. Al di là del valore artistico, questa mostra è uno degli esempi di come sia importante fare sistema per far vivere arte, cultura e territorio allo stesso tempo.

Defendente Ferrari, “San Pietro e San Paolo” esposto al Palazzo Ducale di Urbino

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SPECIALE

MACERATA OPERA FESTIVAL

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S P E C I A L E M A C E R ATA O P E R A F E S T I VA L

SFERISTERIO DI MACERATA, UN PO’ DI STORIA DEL PALCOSCENICO PIÙ AMPIO D’EUROPA Luciano Pavarotti, Katia Ricciarelli, Placido Domingo, Renato Bruson, Mario Del Monaco e Montserrat Caballé sono solo alcuni dei grandi artisti che hanno calcato il palco dello Sferisterio di Macerata, un’arena immensa (lo Sferisterio vanta il palcoscenico più ampio d’Europa, oltre 2500 posti e 104 palchi) e una delle opere più emblematiche del Neoclassicismo europeo. Furono i Cento Consorti, benestanti cittadini maceratesi, a volere la costruzione dell’edificio, completata nel 1829; una struttura teatro di feste, parate equestri, manifestazioni politiche e sportive. Nel Novecento prende campo l’idea di adibire questi spazi all’accoglienza dell’opera lirica e nel 1921 viene rappresentata Aida di Giuseppe Verdi, replicata per 17 serate e goduta da oltre 70mila persone. Venne poi il turno della Gioconda di Ponchielli nel 1922 e da segnalare fu anche l’esibizione, nel 1927, di Beniamino Gigli in un eccezionale concerto vocale-strumentale. Lo Sferisterio rinacque nel 1967, dopo la pausa forzata dovuta al secondo conflitto mondiale. Sotto la guida del direttore artistico Carlo Perucci, si pensò a un nuovo allestimento e a un innovativo apparato illuminotecnico che portarono a una lunga serie di successi, culminata con il Macerata Opera Festival. Grazie all’eccellente acustica naturale, la struttura monumentale ma allo stesso tempo intima, lo Sferisterio diventa ambasciatore dell’arte, della cultura e della tecnica marchigiane. WHY MARCHE | 15



S P E C I A L E M A C E R ATA O P E R A F E S T I VA L

Francesco Micheli

Luciano Messi

Romano Carancini

LA PAROLA AGLI ADDETTI AI LAVORI La 53esima edizione del Macerata Opera Festival porta in scena l’Oriente, arricchendosi di una chicca speciale: si tratta di un’opera pensata dal compositore Carlo Boccadoro su libretto di Cecilia Ligorio dedicata alla figura del gesuita maceratese Matteo Ricci che trascorse gran parte della sua vita in Oriente per studiarne gli usi e i costumi (e per scopi missionari), su invito del Generale dei Gesuiti. “Nella sua storia, Macerata è stata capace di creare cultura – sottolinea il direttore artistico Francesco Micheli – affermandosi anche come luogo del dialogo, di apertura verso realtà differenti, come ci insegna proprio il gesuita Matteo Ricci. Per questo motivo, ancora una volta, sul grande palcoscenico all’aperto al centro della città marchigiana saranno in scena storie e temi che, grazie alla musica e attraverso i nuovi linguaggi espressivi della contemporaneità, riveleranno la loro validità senza tempo. Negli ultimi anni, lo spazio scenico così caratteristico dello Sferisterio, combinato con la progettualità dei team creativi scelti per le produzioni, hanno mostrato come l’innovazione e la ricerca di nuove forme interpretative siano la cifra stilistica più di successo delle produzioni maceratesi”. Non manca neppure quest’anno la collaborazione con altri teatri importanti nella scena artistica sia nazionale che internazionale. Questo per potenziare la forza dei cartelloni e la determinazione di proseguire seguendo un percorso che guarda al panorama lirico europeo. “Le collaborazioni sono ormai un marchio di fabbrica del nostro festival

e costituiscono un sistema di relazioni culturali e un metodo di lavoro che ci caratterizza e ci distingue – dichiara il Sovrintendente dello Sferisterio Luciano Messi –, tutti i titoli del cartellone 2017 nascono come coproduzioni. Sentivamo anche la necessità di tornare a dar vita a una nuova opera, per rinnovare l’impulso nell’ambito della sperimentazione artistica, dedicandola alla figura del gesuita maceratese Matteo Ricci, primo uomo a stabilire un ponte culturale tra occidente e oriente”. Le ultime dichiarazioni sono poi quelle di Romano Carancini, sindaco di Macerata e presidente dell’associazione Sferisterio che conclude: “Avevamo davanti a noi un bivio e dovevamo scegliere se andare verso un consolidamento delle linee individuate nel 2012 o esplorare nuovi orizzonti. Ancora una volta abbiamo scelto di alimentare la forza di questo straordinario progetto, rilanciandolo. Giovani, internazionalizzazione e sperimentazione sono alcune delle parole chiave che ci guideranno ancora. Serve l’aiuto e il sostegno di tutti coloro che fino ad oggi sono stati con noi: Mecenati, amici dello Sferisterio, pubblico, istituzioni, aziende”. Quest’anno il festival si concentra sull’Oriente, terra misteriosa, meta di viaggi di avventurosi e amanti del sapere e della conoscenza, come Matteo Ricci. Non poche le opere che ci hanno fatto conoscere il Paese del Sol Levante, dalla Turandot, a Madama Butterfly fino all’Aida, composizioni in cui l’amore si fonda col dramma e il protagonista è costantemente lacerato tra il dovere e l’affetto.

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S P E C I A L E M A C E R ATA O P E R A F E S T I VA L

LE TRE MAPPE TEMATICHE DEDICATE ALL’ANIMA Se nel 2015 il tema principale attorno cui ruotava il cartellone del Macerata Opera Festival era Nutrire l’Anima, con un chiaro riferimento al soggetto principale dell’edizione 2015 di Expo (Nutrire il Pianeta - Energia per la vita) e nel 2016 (tema Mediterraneo) si è voluto invece puntare l’attenzione sul dramma dei migranti contemporanei con la rappresentazione di tre opere con protagonisti stranieri (Otello, Norma e Manrico del Trovatore), quest’anno si guarda all’Oriente, non solo con Matteo Ricci, ma anche con l’orientalista Giuseppe Tucci e fra’ Cassiano Belligatti che viaggiò, nel Settecento, tra il Nepal e il Tibet con l’unico mezzo a sua disposizione: le proprie gambe.


di Ilaria Cofanelli

UNO SGUARDO AL PROGRAMMA Matteo Ricci, il gesuita che portò l’Occidente in Oriente La figura di Matteo Ricci è unica nel suo genere: egli, nato nel 1552 a Macerata, fu teologo, astronomo, missionario, diplomatico e scienziato. Dopo essere entrato a far parte dell’ordine dei Gesuiti, nel 1577 venne inviato in Oriente come missionario per introdurre il cristianesimo in Cina. L’idea di Ricci era quella di stabilire la propria residenza nel paese orientale per studiarne gli usi e i costumi e, una volta entrato in contatto con quella cultura, cercare di veicolare il messaggio cristiano. Dapprima si concentrò sullo studio della lingua e della scrittura cinese, poi esaminò gli ordinamenti sociali e politici del paese, fino ad arrivare a comporre opere proprio nella lingua del paese in cui era ospitato. Egli contribuì anche a diffondere la cultura occidentale in Cina, mostrando ai mandarini mappamondi, prismi veneziani, orologi, con l’intento di conciliare il Cristianesimo con il Confucianeseimo. Alla sua figura si ispira l’opera Shi (Si faccia), assegnata a Carlo Boccadoro, uno dei compositori più apprezzati anche all’estero, su libretto di Cecilia Ligorio. L’opera, per due pianoforti, percussioni, attore e due baritoni, debutterà il 20 luglio al Teatro Lauro Rossi in prima assoluta. L’Oriente tra l’esploratore Tucci e il missionario fra’ Cassiano Beligatti Tra gli altri appuntamenti del festival sono da segnalare due mostre fotografiche dedicate a due figure che hanno viaggiato in Oriente con la voglia di conoscere mondi sconosciuti. Uno di questi fu l’orientalista maceratese Giuseppe Tucci che organizzò otto spedizioni in Tibet tra il 1928 e il 1956. “Tucci esploratore dell’anima” è il titolo assegnato alla mostra inaugurata il 7 luglio e che si protrarrà fino al 13 agosto presso i Magazzini UTO.

L’esposizione raccoglie fotografie in bianco e nero scattate dall’orientalista e che ritraggono personaggi importanti dell’epoca, da Madre Teresa di Calcutta, a ‘Zam-dpal rgya-tsho, abate del monastero di Kho-Cha, figure che egli incontrò durante i suoi viaggi. Fece tappa in Tibet, in Nepal e in altre zone dell’Asia anche Cassiano Beligatti, frate cappuccino maceratese. “Le genti sono cortesi e affabili” è il titolo della rassegna fotografica e documentale esposta presso la biblioteca Mozzi Borgetti dal 19 luglio al 14 agosto. Oltre al diario originale autografo del frate, sono esposti anche documenti inediti che mostrano il grande amore nutrito da Beligatti nei confronti della cultura orientale, tanto che si premurò di annotare ogni piccolo dettaglio della sua vita nel Tibet di allora. Tre opere per tre donne trait d’union con l’Oriente Le donne sono al centro del Macerata Opera Festival: da Turandot, capolavoro pucciniano affidato al duo di autori registi Ricci/Forte (Gianni Forte e Stefano Ricci) in una innovativa produzione realizzata ad hoc per lo Sferisterio, in cui la drammaturgia che vede protagonista la principessa persiana fredda e regale si unisce a immagini visionarie governate dal ghiaccio e dalla natura. C’è poi Madama Butterfly, opera pucciniana in tre atti affidata a Nicola Berloffa, che mostra il divario fra due mondi completamente diversi, opposti, oltre alla condizione della donna. Cio-Cio-San, sposa giapponese nel secondo dopoguerra a un soldato americano, vivrà una tragedia personale e definitiva. Infine Aida, opera in quattro atti di Giuseppe Verdi affidata a Francesco Micheli. Protagonista è l’oriente di Aida, schiava etiope deportata in Egitto, terra di confine. La sua storia rivive nei particolari orientaleggianti di massa oltre che nell’immensa rappresentazione di forme, colori e significati reconditi che ogni protagonista della storia mette in scena.

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Stefano Bollani

L’INCONTRO CON STEFANO BOLLANI, L’ORIENTALISTA Altro appuntamento del Macerata Opera Festival è quello con Stefano Bollani, pianista eclettico e versatile, capace di passare da un repertorio all’altro (dal classico al jazz, ad esempio) con una facilità unica. Non esistono scalette da seguire durante le sue esibizioni, in cui può accadere di tutto, una sorta di flusso di coscienza che trascina lo spettatore in un vortice di emozioni. Il palcoscenico, per Bollani, è una sorta di tempio terapeutico (“più conveniente di uno psicanalista”, dice); egli è alla continua ricerca di stimoli sia nella musica del passato come in quella del presente, concentrandosi in modo particolare sull’attimo. In occasione del Macerata Opera Festival, Stefano Bollani si esibirà domenica 23 luglio in Piano solo, un omaggio all’arte dell’improvvisazione, cifra caratteristica del suo stile personale. “Una persona totalmente digiuna di musica si commuove sentendo un’aria di Puccini: non capisce esattamente ciò che sta ascoltando. Capita spesso a tutti noi: non sappiamo nel senso più tecnico del termine cosa stiamo ascoltando, ma ci si muove qualcosa dentro, la musica ci colpisce come una freccia”, sostiene l’artista. Bollani orientale: così si intitola l’esibizione pensata per il festival, una serata di improvvisazioni completamente dedicate al tema in un viaggio negli orizzonti musicali che, come per magia, sbarcherà proprio nelle terre del Sol Levante.

BOLLANI TRA OPERA E VINO Il concerto di Bollani del 23 luglio sarà inoltre motivo di festeggiamenti, grazie alla sempre più ricca e articolata collaborazione tra l’Associazione Arena Sferisterio e l’IMT (Istituto Marchigiano di Tutela Vini), ci sarà un momento celebrativo per i 50 anni di due DOC: il Verdicchio di Matelica e il Rosso Conero. Il legame fra Oriente e vino nelle Marche è intrinseco alla coltivazione stessa, poiché le vigne crescono proprio rivolte a est per la conformazione orografica della regione, le cui valli corrono perpendicolari alla costa.

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L’ORIENTE SARÀ ANCHE OFF Non è Festival a Macerata senza la rassegna OFF. Sarà ancora una volta proprio l’oriente il file rouge di una serie di eventi settimanali che coinvolgerà Macerata (e non solo) ed i suoi ospiti. I Lunedì, “Da oriente a occidente: viaggio tra mente, corpo e spirito”. I Martedì, “Suoni e parole verso oriente”, una serie di laboratori per bambini e letture musicate. Aperitivi culturali, filosofi, artisti, giornalisti, musicologi, storici si interrogano sull’Oriente e sulle opere in cartellone dal 20 luglio al 13 agosto, ore 12, Antichi Forni. Fiori musicali, concerti da camera 21 luglio al 13 agosto, ore 17. Concerti in Cantina realizzati fra i vigneti delle più suggestive aziende aderenti al consorzio IMT (Istituto Marchigiano di Tutela Vini), partner del festival in cui si esibiranno alcuni giovani musicisti del territorio (29 luglio, Azienda Agricola Moroder Montacuto; 30 luglio, Country House Salomone Matelica; 5 agosto, Cantina Bisci Matelica; 6 agosto, Fattoria Le Terrazze Numana; 12 agosto Cantine La Muròla Urbisaglia, 13 agosto Villa Forano Appignano). Lo Sferisterio per i Sibillini, il 10 agosto dal tramonto a mezzanotte: maratona in musica e parole sotto le stelle di San Lorenzo.

L’ATTENZIONE ALL’ACCESSIBILITÀ Il Macerata Opera Festival si distingue non solo per l’offerta culturale e artistica che propone, ma anche e soprattutto per l’attenzione che rivolge ai disabili e alla fruizione degli spettacoli da parte di tutti. In particolare, dal 2008 è attivo un servizio di audio descrizione delle opere in programma pensato per i non vedenti e gli ipovedenti. Non solo. Esiste anche la possibilità di sperimentare, con un percorso tattico rivolto ai non vedenti (ma aperto a tutti), in collaborazione con il Museo Tattile Statale Omero, il tema dell’opera che sarà oggetto di audio descrizione. Le persone potranno così godere comunque dello spettacolo, grazie a dettagliati racconti non solo della trama della rappresentazione, ma anche della scenografia, dei costumi e delle ambientazioni. Per i non udenti, invece, è stato predisposto il servizio di sopratitolazione. Due le novità del 2017: i sopratitoli delle opere saranno tradotti anche in inglese e sarà organizzato anche un percorso tattile (coordinato da un interprete LIS) per i non udenti, alla scoperta del teatro.

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ANIMA

CAMMINANDO... Quattro itinerari per viaggiare (a piedi) tra Marche, Umbria e non solo Andare per boschi, ammirare una vallata da un’altura, scorgere un paesino dietro un tornante e attraversare le sue vie. Farlo lentamente, ammirando ciò che ci circonda, sentendo la fatica delle gambe, pensando. Così luoghi che abbiamo già visto assumono un altro aspetto e il viaggio diventa qualcos’altro. Il turismo slow e consapevole sta convertendo molti e sempre più si lega alla ricerca di luoghi che, oltre a un ricco patrimonio paesaggistico, culturale, enogastronomico, ci consentono di riscoprire il nostro lato spirituale. Basta un dato: il numero dei pellegrini che percorrono il cammino di Santiago de Compostela è cresciuto negli ultimi quattro anni tra il 5 e il 10% di anno in anno. Non si tratta solo di una moda né solo di fare una scelta sostenibile. Questo tipo di turismo, che inizia a essere promosso a livello nazionale e locale, risponde alla

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necessità di staccare con la frenesia, allearsi al paesaggio e dedicare tempo alla ricerca spirituale. I cammini italiani e quelli che si trovano nei nostri Appennini non soffrono di complesso d’inferiorità: richiedono lo stesso impegno, la stessa determinazione, in alcuni casi, la stessa fatica; portano in luoghi più vicini ma ugualmente sconosciuti e sorprendenti, offrendo gli stessi benefici terapeutici. Ve ne vogliamo suggerire alcuni, tra Marche, Umbria, Lazio e Toscana, diversi per lunghezze, difficoltà e luoghi e paesaggi attraversati.


di Silvia Brunori

LA VIA LAURETANA: DA ASSISI A LORETO

(190 km circa, 7 tappe) Il cammino che collega Roma ad Ancona, passando per Assisi e il santuario di Loreto, era percorso fin dai tempi antichi da molti pellegrini che, come oggi, sceglievano di percorrerlo tutto o solo in parte. Il percorso era inserito da molti aristocratici nel Grand Tour italiano; così fece il filosofo francese Montaigne che da laico, rimase stupito dalla quantità di pellegrini sia poveri che ricchi che percorrevano queste strade. La via Lauretana presenta un’infinità di varianti ma, oggi, il percorso intrapreso dai più è quello collega Assisi a Loreto in 7 giorni: dalla città francescana dopo 13 km si giunge a Spello, si attraversano le piane di Colfiorito e, passando per Serravalle del Chienti, si arriva a Muccia. Si attraversa l’oasi di Polverina fino a Belforte del Chienti e Tolentino, si tocca l’abbadia di Fiastra e poi Macerata e da qui, passando per Recanati, si percorrono gli ultimi 34 km verso il santuario. Per approfondire: http://camminilauretani.eu/it/

ITALIA COAST TO COAST: DA ANCONA A ORBETELLO

(410 km, 18 tappe giornaliere o in 9 in bici) Decisamente più impegnativo in termini di tempo ed energie è il percorso che attraversa l’Italia da est a ovest, dall’Adriatico al Tirreno. Il percorso tocca molte delle bellezze architettoniche, artistiche e paesaggistiche dell’Italia centrale: partendo da Portonovo, si toccano, tra le altre località, Osimo, Treia, San Severino Marche, Pioraco, Nocera Umbra, Assisi, Gualdo Cattaneo e Todi fino a costeggiare il lago di Corbara. Poi si prosegue per Orvieto, Bolsena e, percorrendo un tratto della via francigena, si attraversano alcune delle città di tufo, i luoghi di importanti insediamenti etruschi, come Sovana e Pitigliano, e infine ci si affaccia sul Tirreno a Orbetello. Anche per questo percorso è bene partire informati e preparati; qui trovate mappe, informazioni, tracce GPS ed esperienze: http://www.italiacoast2coast.it/

CAMMINO DEI MONACI CAMALDOLESI: DA FONTE AVELLANA A SAN SALVATORE IN VALDICASTRO

(60 km in 5 tappe) Il territorio delle Marche è costellato di abbazie, monasteri ed eremi in cui si crea una sintonia unica tra la bellezza architettonica e naturalistica e l’atmosfera mistica che avvolge questi luoghi di ritiro e meditazione. Quello che qui si propone è solo uno dei tanti percorsi che si potrebbero fare seguendo le tracce di San Romualdo che nel XI secolo fondò l’ordine dei Camaldolesi. Partendo dal monastero di Fonte Avellana, costruito dai discepoli del santo, si arriva in cinque tappe giornaliere, non impegnative, all’abbazia di san Salvatore in Valdicastro dove San Romualdo trascorse l’ultimo periodo della vita. Seguendo questo itinerario si potranno ammirare l’abbazia di Sitria, edificata dal santo, Montelago, l’abbazia di Sant’Emiliano in Congiuntoli sul Rio Freddo e Sassoferrato, il fiume Sentino con la gola di Frasassi, l’abbazia benedettina di San Vittore alle Chiuse, l’eremo di Grottafucile costruito intorno all’anno mille da San Silvestro e i silvestrini, altro ordine nato negli Appennini.

IL GRANDE ANELLO DEI SIBILLINI

(124 km circa, 9 tappe) Il grande anello dei Sibillini è un percorso escursionistico che attraversa il patrimonio naturalistico e paesaggistico ma anche culturale e artistico del parco; attualmente, a causa del terremoto, alcuni tratti sono inagibili e molti rifugi chiusi. Nella speranza che vengano ripristinati al più presto eccovi, brevemente, le tappe: partendo da Visso si arriva a Cupi passando per il santuario di Macereto, poi a Fiastra e Monastero ammirando le viste sul lago artificiale e la gola del Fiastrone. Si percorrono le basi del Monte Priora e si attraversano le valli dell’Ambro e dell’Infernaccio; poi si prosegue verso il Monte Vettore percorrendo i luoghi magici abitati dalla Sibilla, passando per Santa Maria in Pantano. Si continua lungo il sentiero dei mietitori sul Vettore fino a Forca di Presta, poi per le piane di Castelluccio e i Campi Vecchio fino a ritornare a Visso. Su http://www.sibillini.net/index.php potete trovare tutti i dettagli, le mappe e le tracce GPS.

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ANIMA

SAPORI DELLA TRADIZIONE PROCESSI E PASSAGGI CULTURALI

Odori, sapori e colori caratterizzano da sempre le nostre città, i nostri paesi, le nostre esperienze di vita. Non solo i profumi e le pennellate delle stagioni, bensì anche e soprattutto i profumi del mare e della collina ricchi di tradizioni ed esperienze gastronomiche. Camminando lungo le strade delle città, tra i borghi, per le viuzze, tra le campagne ed il mare quante volte ci siamo distratti e ritrovati a fiutare odori che riportano indietro nel tempo, all’infanzia, aprendo la strada a ricordi di un passato ineluttabile? Ma quali sono le dinamiche e i processi culturali connessi alla produzione e consumo del cibo, quanto di culturale e biologico è sotteso alla preparazione e scelta degli alimenti? Nutrirsi è certamente uno dei bisogni primari dell’essere umano in quanto è una necessità vitale, ma i comportamenti alimentari sono decisamente, oltre ad una questione di disponibilità territoriale e possibilità economica, una questione culturale. Molti infatti sono i cibi commestibili dei quali autonomamente ci priviamo in quanto considerati non eticamente corretti o disgustosi. Mangiare significa narrare e svelare i valori propri di una civiltà e dell’incontro con l’altro. Sin dal Medioevo, infatti, gli europei in viaggio per l’oriente importavano spezie ed oggigiorno possiamo assaporare alimenti e bevande provenienti da tutto il mondo, rischiando, spesso, di lasciare cadere nei ricordi le tradizioni alimentari proprie della terra d’origine dettate dai biomi e dal lavoro nei campi, caccia e pesca. Locale e globale si intrecciano, dunque, una dimensione transculturale che porta una moltitudine di esperienze che dettano la necessità di un ritorno alle radici come esperienza di vita. Le cucine regionali legate alla tradizione locale sono infatti alla ribalta, forti della loro qualità e della loro storia oltre che del sapore che le contraddistingue.

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PROSPETTIVE GASTRONOMICHE MARCHIGIANE

La Regione Marche in particolare ci offre un panorama diversificato sia per i tanti differenti ambienti territoriali che le popolano, sia per le tradizioni popolari-contadine e aristocratico-borghese che si intrecciano. Qui usanze e pratiche culturali, vicine e lontane, caratterizzate dall’ibridazione e dalla fluidità si mescolano attraverso flussi di incontro di sapori che oggi vanno ad identificare il complesso panorama tradizionale della regione celebrata per le sue eccellenze. Per dar nota della varietà alimentare tipica regionale, si pensi alle abitudini gastronomiche delle provincie più a nord come Pesaro e Urbino fortemente legate agli usi alimentari romagnoli (cresce, piadine, minestre…), oppure alle zone più meridionali influenzate dalla cucina abruzzese. Inoltre è bene ricordare la grande differenza culinaria che tipicizza il territorio a livello geografico tra collina e mare. I decisi sapori della cucina contadina caratterizzati dall’uso di alimenti del territorio quali funghi, olive (tra cui le ineguagliabili olive ascolane), tartufo, cacciagione, maiale (porchetta, cotechino, salsicce e costarelle). Quindi i vincisgrassi che si interfacciano con i delicati ritmi del mare, tra sardoncini, cozze (moscioli), merluzzi e pesce azzurro in generale. A Fano in particolare la tradizione ittica offre come piatto simbolo (usato anche nella cucina senigalliese e nelle varianti pesaresi e ascolane) il brodetto di pesce.


di Paola Donatiello

BREVE ODE AI VINCISGRASSI Molte sono le domande che spesso sorgono ai “profani” suscitate da lasagne e vincisgrassi; beh alcune semplici differenze per saperle riconoscere: i vincisgrassi sono composti da 6 o 7 strati di pasta fresca, il ragù viene preparato con carne tagliata grossolanamente, non macinata finemente, la besciamella è meno cremosa, ma più soda rendendo più compatto l’aspetto. Maggiore è il sapore che le spezie lasciano al piatto. Per quanto riguarda la tradizione dei vincisgrassi questa potrebbe risalire ad un avvenimento accaduto nel XVIII secolo nell’anconetano. Il generale austriaco Alfred von Windisch-Graetz, trionfante sulle truppe napoleoniche durante l’assedio di Ancona del 1799, avrebbe assaggiato e gradito molto questo piatto tipico cucinato da una cuoca del capoluogo di provincia. Dal nome, semplificato ed italianizzato, del generale deriverebbe dunque il temine vincisgrassi. Ricetta antica: «Prendete una mezza libra de persciutto, facetelo a dadi piccoli, con quattr’once di tartufari fettati fini; da poi prendete una foglietta e mezza di latte, stemperatelo in una cazzarola con tre once di farina, mettelo in un fornello mettendoci del persciutto, e tartufari, maneggiando sempre fino a tanto che comincia a bollire, e deve bollire per mezz’ora; da poi vi metterete mezza libra di pana fresca, mescolando ogni cosa per farla unire insieme; da poi fate una perla di tagliolini con dentro due ovi e quattro rossi; stendetela non tanto fina e tagliatela ad uso di mostaccioli di Napoli, non tanto larghi; cuoceteli con la metà di brodo e la metà di acqua, aggiustati con sale; prendete il piatto che dovete mandare in tavola: potete fare intorno al detto piatto un bordo di pasta a frigè per ritenere in esso piatto la salsa, acciocché non dia fuori quando lo metterete nel forno, mentre gli va fatto prendere un poco di brulì; cotte che avrete le lasagne, cavatele ed incasciatele con formaggio parmiggiano e le andrete aggiustando nel piatto sopraddetto, con un solaro de salsa, butirro e formaggio e l’altro de lasagne slargate, e messe in piano, e così andrete facendo per fino che avrete terminato di empire detto piatto; bisogna avvertire che al di sopra deve terminare la salsa con butirro e formaggio parmiggiano e terminato, mettetelo in forno per fargli fare il suo brulì...» (Antonio Nebbia, Il cuoco maceratese, 1781)

LA CUCINA DEL SENIGALLIESE GUSTANDO MARE E COLLINA.

La cultura gastronomica senigalliese vanta una diversificata rete di risorse primarie che consentono di modellare l’arte culinaria in esperienze riconducibili a sapori tradizionali legati non solo al mare, ma anche alla collina. Le ricette della tradizione sono state raccolte in un paio di libri da Albina Sogno, senigalliese nata da padre piemontese e madre pugliese. Nel testo vengono trascritte ricette dell’immaginario collettivo, della cultura popolare e della tradizione orale.

Andiamo a svelarne qualcuna tratta dal testo Tra Mare e Collina. Ricette Della Tradizione Senigalliese, di Albina Sogno, edito da Mallucci Editore. La cresc’tajat, piatto della tradizione contadina: si utilizzano gli avanzi della polenta, la si impasta con farina di granturco e di frumentone aggiungendo l’acqua necessaria per la massa. Dopo aver steso un soglia di circa un centimetro si taglia in quadrettini e si cuoce in acqua salata.

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ANIMA

Il sugo che accompagna questa cresc’ era caratterizzando dall’uso del lardo e pomodori. Il mare e la cucina ittica sono nodi nevralgici della cultura locale. Si pensi alla tradizionale sagra del pesce del Cesano giunta quest’anno alla 58esima edizione e celebrata come sempre nel fine settimana della prima domenica del mese di giugno. Passiamo ora a vedere un paio di semplicissimi ed esemplari piatti della tradizione ittica come i bagiggi fritti e i sardoncini scottadito. I bagiggi, pesciolini molto piccoli di diverse tipologie, vengono prima lavati sotto l’acqua corrente e poi asciugati, infarinati e fritti in olio caldo, accompagnati da ciuffi di prezzemolo e limone. I sardoncini scottadito, chiamati così perché si mangiano con le mani appena cotti, sono ancora oggi molto comuni. Si pensi che tutti gli anni l’associazione Amici del Molo

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offre gratuitamente, nel periodo di luglio, sardoncini cucinati, come vuole la tradizione, dai vecchi marinai del porto. Come si preparano? È semplice, bisogna innanzitutto togliere le interiora dai sardoncini e lavarli, passarli poi nel pan grattato prezzemolo e rosmarino tritati. Successivamente vengono posti allineati su una gretella doppia e cotti sulla brace. Assaggiando la semplicità di queste antiche ricette si recuperano i sapori d’infanzia e si tramandano nel tempo assaggi di storia. Proprio attraverso la rivisitazione delle ricette tradizionali raccolte nel libro di Albina Sogno, Nicola Curzi chef estroso e sperimentale ha elaborato un menù personalizzato ed unico nel suo genere che consente assaggi di tradizione con note di raffinata innovazione. Per sperimentare l’unicità delle sue pietanze potete trovarlo presso l’Osteria Papaveri e Papere, sita presso la Piazza del Duca di Senigallia.



ANIMA

CORNUCOPIA MARCHIGIANA:

memorie di frutta nell’immaginario Secondo il mito la cornucopia (letteralmente “corno dell’abbondanza”) era appartenuto o alla capra Amaltea, nutrice con il suo latte il piccolo Giove, o al fiume Acheloo dominato da Ercole, e riempito di fiori e frutta come emblema della fertilità della sua vallata. Nel tempo questo carico traboccante di pomi lussureggianti, spighe e corolle è stato sempre emblema dell’abbondanza, della prodigalità, di un’agricoltura fiorente e rassicurante come terra madre benigna e fortunata. Le Marche sono sempre state considerate un’immaginaria cornucopia di frutta rigogliosa.

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ià gli autori latini parlavano delle regione Picena come di un frutteto ideale, ad esempio Strabone, per il quale questo territorio “somministra tutti i comodi della vita, ma si distingue più per la copia degli alberi e dei frutti”; i pomi di queste terre, in particolare pere e mele, hanno meritato elogi e citazioni di poeti classici come Marziale e Giovenale. Dopo l’Antichità anche nel Rinascimento i viaggiatori in transito lungo la Regione rimasero estasiati dal paesaggio coltivato, un giardino ricamato che affiancava alle colture multicolori orizzontali dei campi gli intrecci verticali di rami svettanti verso il cielo, carichi di fiori in primavera e di frutti nelle stagioni successive. Ad esempio il frate domenicano bolognese Leandro Alberti, nella sua Descrittione di tutta Italia, stampata nel 1550, sottolinea la bellezza ed il senso di tranquillità profuso alla vista dai paesaggi delle vallate ornate di pomi: ad esempio sul “castello” di San Benedetto scrive di un “paese molto dilettevole ornato di belle vigne, e di fruttiferi alberi, e massimamente di aranci e di olivi, che è cosa molto vaga da vedere”, e “tutti questi luoghi appresso al lato de’ l mare pieni di fruttevoli alberi e d’Aranci e di Limoni, da i quali alberi se ne cavano varii frutti”. L’Alberti non lesina apprezzamenti analoghi anche per la Valle dell’Aso, oggi celeberrimo frutteto della regione, noto in particolare per la pèsca: di questo pomo particolarmente dolce e profumato, anticamente chiamato “persica” in memoria della sua antica terra d’origine (e “persicate” erano alcune speciali confetture realizzate nei conventi), se ne ricordano molte varietà diffuse per il territorio, tra cui la “spiccialosso” di Maiolati e la “saturnia” o “tabacchiera” oggi coltivata a Montecosaro. Antonio Nebbia, che nel suo ricettario stampato a fine ‘700 Il cuoco Maceratese propone tra l’altro oltre a sorbetti ed altri dolci (tra cui una “torta di frutti” cotti nel vino) la ricetta di molta frutta impastellata e fritta (preparazione oggi del tutto desueta), illustra il

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calendario ottimale per l’acquisto della frutta nelle varie stagioni. Ma è la stessa tradizione orale dei proverbi, autentica “enciclopedia dei poveri”, ad elargire saperi e massime per ricordare la scansione annuale delle colture e della frutta: “Lujo te mena / visciole, persiche [pesche] e mela”. Il proverbio citato fa riferimento alle visciole, frutto dall’inconfondibile sapore asprigno, tradizionalmente impiegato anche per aromatizzare il vino, in un preparato di cui è conservata anche una ricetta seicentesca, assieme alla relativa “acquetta” preparata reimpiegando i frutti macerati recuperati dall’infusione dopo il filtraggio. Riguardo all’amarena va ricordata la specialità di Cantiano (per leccornie liquoristiche e conserviere), ma prima ancora, quando la tarda primavera si apre all’inizio dell’estate, la stagione della frutta è annunciata dalle ciliegie, chiamate dialettalmente “cerase”, anche in questo caso in memoria di “Kerasos”, da cui vennero importate durante l’impero romano. Prima ancora il gentile mese di maggio reca in dono un altro prelibato e delicato frutto, che secondo il mito era nutrimento costante nell’Età dell’Oro pagana e nel Paradiso Terrestre di ebrei e cristiani. Le fragole sono sempre state un frutto pregiatissimo, servito con grandissimo riguardo ed anche con una certa cura conviviale scenografica nel servirle: il grande corpus manoscritto seicentesco con le carte di casa del maceratese cardinal Bonaccorsi oltre a presentare note dettagliate su come coltivarle (“Il sito per piantar fraole vuol essere luogo fresco; le fraole devono cogliersi nella medesima matina che si mangiano conservando così il loro odore”) riportano fantasiosi modi per servirle superbamente, dalle “fraole in festone di zucchero”, alle “fraole con zucharo e neve sotto il piatto”, o “gran piatto reale di fraole aggiacciate nella sorbettiera”, oltre naturalmente ad accorgimenti di dispensa (“conserva di fragole”, “per conservar il sugo di fraole”). In tempi più recenti la scrittrice e studiosa di letteratura italiana Guglielmina Rogante, nel suo bellissimo memoriale di suggestioni e sapori fermani Sillabario del


di Tommaso Lucchetti

tempo parla di “fragole dell’Ascensione”, ad abbracciare la “terra” di queste chicche coralline d’orto con il “cielo” del calendario rituale, degne ossia del giorno di maggio o giugno quando, a quaranta giorni dalla Pasqua, si celebra la salita in Alto di Gesù Cristo. In maniera laica, ma ugualmente incantevolmente poetica, uno scrittore italiano eccelso quale Cesare Pavese affermava che le prime ciliegie di maggio avevano “sapore di cielo”, come ricorda Natalia Ginzburg nel suo Lessico familiare. Questi due frutti così limitatamente stagionali e così universalmente nobili (tra i miracoli dei santi più ricorrenti vi sono apparizioni soprannaturali di panieri di ciliegie in pieno inverno) hanno nelle Marche il privilegio di essere stati effigiati da una pittrice seicentesca di origine marchigiana, Giovanna Garzoni, che nelle sue miniature dipinte su pergamena abbinò splendide porcellane orientali colme di fragole e ciliegie, con delicati e setosi fiori recisi della medesima stagione. Tornando alla piena estate, ed alla sapienza effimera popolare dei proverbi nelle Marche si dice anche “Lujo poltrone / reca la zucca col melone”. Delle prime si può ricordare come a Jesi si favoleggiava che raggiungessero dimensioni enormi al punto che secondo un detto popolare: “A Jesi ce fa le zucche come le chiese, e se ce pioe le fa grosse come Santa Maria Nova”. Dei secondi fin dalla tradizione medievale lo si raccomanda per le mense di agosto, con la sua polpa dolcissima e rinfrescante abbinata alle fette salate di prosciutto secondo la logica medico-dietetica premoderna della teoria degli umori. Un medico ed erborista cinquecentesco, Costanzo Felici

da Piobbico, ricorda del melone che “ancora la sua corteccia grossa, monda, purgata e posta in conserva e in composta”: difatti la tradizione conventuale e popolare ricorda le antiche scorze di melone confettate. Oltre alle albicocche (speciali a Sassoferrato) tra le tante varietà di susine e prugne va anche ricordato il prugnolo selvatico, con cui si faceva un liquore, un “ratafià” che tradizionalmente suggellava il brindisi finale alla firma dei contratti agrari. Tra la frutta d’arbusto va ricordato anche quel cespuglio che come portafortuna troneggiava all’ingresso delle case coloniche: le sue bacche erano come caramelle per i bambini (anche quelli stagionati ma poco cresciuti, soprannominati perciò “giuggioloni”), e con l’arrivo dell’autunno diventavano una preparazione così dolce da divenire idiomatica e proverbiale, il brodo di giuggiole. L’estate si congeda con tanti frutti dolcissimi che si porteranno in autunno: la cornucopia da cesto di pomi freschi diventa per i mesi a venire marmellate, confetture, essiccazioni, prelibatezze speciali come il lonzino o salametto di fichi. Alcuni frutti, come mele e pere (si ricordano le rosa dei Sibillini, e le “angelica” di Serrungarina), venivano messi a conservarsi nei melari, sorta di giacigli di paglia, qualcuno ricordo posti tra le fronde degli alberi di gelso. Con le pere si facevano ghiottonerie (“marmellata di pera dura da mattina a sera”), ma anche l’abbinamento con il cacio di memoria medioevale era considerato pasto da signori; le mele erano impiegate anche per zuppe e minestre nelle case contadine, in ricette ormai disperse e vive solo nei ricordi.

Guglielmina Rogante, docente e ricercatrice di letteratura italiana, nel suo Sillabario del tempo. Storie di paesaggi e di cibi (Ancona, Il Lavoro Editoriale, 2016) coglie fior da fiore, come in un’antologia della civiltà rurale fermana (che l’ha cullata, cresciuta, riaccolta) le parole e le sfumature di ricordi personali e collettivi, registrati nel tempo con forme e colori, con suoni e silenzi, con esplorazioni del tatto tra la natura e gli oggetti di casa, con le scoperte del gusto e degli aromi. La memoria di un sapere antico prende forma, e diventa il codice della gestione parallela della dispensa e dell’anima. WHY MARCHE | 33


ANIMA

IL RITORNO DELLO

“STUPOR MUNDI” A JESI

L’Imperatore Federico II, la sua Jesi Città Regia e il primo grande Museo a lui dedicato, un luogo per ripercorrere la vita straordinaria, raccontare le sue imprese sia in politica che in cultura, e diffondere la conoscenza degli edifici, palazzi, castelli e vestigia, ancora conservati in Italia e in Europa. Che Federico II di Hohenstaufen rappresenti un simbolo per la città di Jesi (tanto che lo stesso comune, nel tardo Quattrocento, si autodefinì “città regia”) non è certo una novità, tanto più che la città stessa, che diede i natali il 26 dicembre 1194 al sopraddetto imperatore, non solo ha dedicato alla sua figura la piazza (Federico II, appunto) dove costui vide la luce, ma vanta anche la presenza di una statua monumentale posta accanto a Porta Bersaglieri, proprio in cima alla salita del Montirozzo (oggetto, tra l’altro, di non poche polemiche, sia per la collocazione vista come un voler mettere lo Stupor Mundi fuori dalla città, sia per il monumento in sé, definito perfino “mammozzo di bronzo” dal critico d’arte Vittorio Sgarbi). Nel 1998, poi, è nata anche una Onlus (Fondazione Federico II Hohenstaufen Jesi) per valorizzare le gesta e le opere compiute dall’imperatore. Insomma, non poteva trovare una città più adatta di Jesi il museo dedicato a Federico II, inaugurato sabato 1 luglio nello storico Palazzo Ghislieri, proprio nella piazza che gli diede i natali. Il Museo Federico II Stupor Mundi (questo il soprannome con cui i contemporanei solevano chiamare

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l’imperatore, un appellativo che denota la sua inesauribile sete di conoscenza intellettuale e curiosità) è un museo atipico, perché non contiene materiale concreto, per altro difficile da reperire in Italia e, soprattutto a Jesi, dato che le vestigia dell’imperatore o altri reperti storici risalenti all’era federiciana si trovano a Palermo. Il Museo Federico II Stupor Mundi è infatti un museo multimediale e multisensoriale, disposto su tre piani dell’edificio e composto da sedici stanze tematiche (la nascita, gli antenati, re di Germania, imperatore, la Sicilia arabo normanna, Lucera, i castelli federiciani, Capua, i papi e la chiesa, la crociata, la lotta contro i comuni, la falconeria, i saperi, uomo di potere e uomo di cultura, la moglie la discendenza, il mito). Sono stati pensati diversi livelli di racconto: dal primo, rivolto ai bambini in età scolare, fino a quello più sofisticato diretto a un pubblico di visitatori più informati. Tutte le stanze sono caratterizzate da accurate ricostruzioni scenografiche e multimediali, olografie, proiezioni di immagini statiche o in movimento, ricostruzioni di oggetti e di costumi e l’utilizzo di tecnologie di ultima


di Stefania di Ilaria Cofanelli Cecconi

generazione, come il video mapping e supporti touch-screen: il tutto pensato con l’obiettivo di proiettare il visitatore proprio nell’era medievale in cui visse Federico II, nella città che gli diede i natali. Una città che rimarrà impressa nel cuore del Re di Germania e di Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero, come testimonia una lettera che egli stesso inviò nel 1239 ai suoi concittadini definendola non solo “la nostra Betlemme”, ma anche “nobile città della Marca, insigne principio della nostra vita, terra ove la nostra culla assurse a particolare splendore”. Curiosa anche la leggenda che si cela dietro la nascita dell’imperatore. La madre, Costanza d’Altavilla, era in viaggio per raggiungere il marito Enrico VI a Palermo; quando la donna venne sorpresa dalle prime doglie del parto, fu allestita una tenda proprio nella piazza jesina dove l’imperatrice partorì pubblicamente, mostrando a tutti la venuta al mondo dell’erede al trono. Era diffuso un certo scetticismo, infatti, circa la gravidanza della donna, che era in età avanzata. Federico II rappresenta una figura di spicco del suo tempo, amante della cultura e delle lettere (a lui si deve la fondazione della Scuola Poetica Siciliana, che diede alla luce la prima lirica in volgare italiano), era un appassionato della pratica della falconeria, tanto che scrisse un trattato sulla disciplina (“De arte venandi cum avibus”, L’arte di cacciare con gli uccelli rapaci) apprezzato e letto tutt’oggi. La sua azione di governo fu incentrata su una forte attività legislativa e di innovazione

artistica, cercando di limitare il potere temporale della Chiesa (per questo ebbe rapporti molto difficili con alcuni papi che si susseguirono durante il suo regno). Proprio per ricordare la figura di questo imperatore, è nato il progetto di realizzare un museo che ne richiamasse le gesta: l’idea si deve all’imprenditore jesino e presidente della Fondazione Federico II Stupor Mundi Gennaro Pieralisi. Hanno preso parte concreta al progetto la Fondazione Marche, in collaborazione con il Comune di Jesi, la Fondazione Pergolesi Spontini, la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, la Fondazione Federico II Hohenstaufen e la Regione Marche. La curatela scientifica è stata affidata ad Anna Laura Trombetti Budriesi, docente di Storia Medievale all’Università di Bologna, con l’aiuto di Laura Pasquini e Tommaso Duranti, ricercatori presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dello stesso ateneo, mentre l’allestimento scenografico si deve alla società milanese Volume Srl. Importante il fatto che i costumi e le scenografie sono state realizzate a “km 0”: provengono infatti dalla Sartoria Teatrale e dal Laboratorio Scenografico della Fondazione Pergolesi Spontini, nell’ottica di valorizzare il territorio, che ha tanto da offrire in termini di turismo. Percorsi enogastronomici, tipici della nostra terra, sportivi e, infine, legati alla figura dello Stupor Mundi hanno tutte le potenzialità per attirare a Jesi, e nelle Marche in generale, un gran numero di turisti, non solo italiani, ma anche stranieri.

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GIACOMO CASANOVA E LE MARCHE. L’ORIGINE DI UNA SEDUZIONE

Ancona, Pesaro, Loreto e il Monte Carpegna. Un viaggio nelle Marche del settecento con l’illustre intellettuale veneziano La vita di Giacomo Canova è essa stessa un’opera d’arte. Raccolta nell’autobiografia Histoire de ma vie, racconta le avventure dello scrittore, poeta, diplomatico, filosofo, agente segreto e avventuriero veneziano. Inoltre, la fitta corrispondenza che Giacomo Casanova intrattenne con personaggi noti e meno noti della sua epoca, ha permesso di ricostruire alcuni eventi della sua

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avventurosa esistenza e di avere uno spaccato di quelle che erano le abitudini di vita settecentesche. Nel 1798, durante l’ultimo e definitivo esilio cui fu costretto, Casanova, dalla cittadina di Dux, dove lavorò durante gli ultimi anni della sua vita come bibliotecario nel castello del conte di Waldstein, scrisse una lettera in cui emerge la nostalgia provata dal veneziano verso i tempi


di Stefania Cecconi

trascorsi e le persone conosciute nelle Marche tanti anni prima. Casanova, durante la sua rocambolesca esistenza, viaggiò assiduamente, conobbe molti luoghi e molte persone, e durante i suoi spostamenti passò più volte nel territorio marchigiano. Nella lettera inviata al Conte Pompeo di Montevecchio, tenente dell’esercito sassone di stanza a Dresda, e di famiglia originaria delle Marche, Casanova chiede informazioni sulla famiglia Mosca-Barzi che nel 1772 ospitò l’intellettuale veneziano a Pesaro per circa cinque giorni.

Nella lettera, Casanova si informa anche sulle abitudini culinarie delle Marche, chiedendo al conte se i “mangia buzzeca”, le interiora degli animali, che probabilmente assaggiò durante il suo soggiorno pesarese, si mangiano ancora ad Urbino. Casanova, bandito dal territorio di Venezia, scelse di andare a Trieste, dove il suo protettore, il senatore Zaguri, aveva importanti amicizie. Per farlo, però, l’illustre veneziano, doveva raggiungere la città di Trieste senza oltrepassare i confini veneti. Così, partì per Ancona, dove dal porto della città marchigiana avrebbe potuto prendere una delle navi che quotidianamente collegavano la città dorica a Trieste. Durante questo viaggio, sostò a Pesaro per alcuni giorni. Nelle sue Mémoires è riportato un resoconto abbastanza dettagliato del soggiorno pesarese, dove racconta delle giornate trascorse con la famiglia Mosca-Barzi nelle loro case di campagna, dei ricevimenti a cui partecipò e delle conoscenze fatte tra l’aristocrazia locale. La prima visita di Giacomo Casanova in territorio marchigiano, risale però a molti anni prima, quando l’avventuriero veneziano ha solo diciannove anni. Nelle Mémoires è lui stesso a raccontare che nel 1743, durante un viaggio verso Roma e Napoli, passò da Ancona, dove trascorse un periodo di quarantena nel vecchio Lazzaretto della città. Nonostante la sua condizione di prigionia, Casanova non si priverà nemmeno in questa circostanza, di un’avventura amorosa con una bellissima schiava di un commerciante turco. Lasciata Ancona, nel mese di dicembre, Casanova, durante il suo viaggio a piedi verso Roma in compagnia di un frate si fermerà a Loreto per una breve sosta. Poi, nel febbraio 1744, durante il viaggio di ritorno, l’intellettuale veneziano, si fermerà nuovamente ad Ancona. Qui farà la conoscenza di una persona molto particolare. Si tratta del Bellino, un castrato di Bologna, noto per il suo meraviglioso canto. Il seduttore veneziano rimanendo

incantato da questa creatura, gli offrirà un passaggio fino a Rimini. La notte successiva, il Bellino confesserà a Casanova di essere in realtà una donna. Il cantante, infatti, è una giovane di nome Teresa che si faceva passare per un castrato in modo da poter cantare nei teatri dello Stato della Chiesa dove era vietata la presenza di donne sul palcoscenico. Inutile dilungarsi a raccontare come quest’incontro si concluse, il resto della storia appare scontato… In occasione di questo veloce passaggio nella città dorica, Casanova racconta un altro aneddoto culinario, che rimanda alle specialità della cucina anconetana. Il giorno 25 febbraio 1744, appena giunto in città, trova alloggio nel migliore albergo di Ancona. Soddisfatto per la camera, chiede che per cena gli venga servita della carne. Di fronte a questa richiesta, però, Casanova trova il rifiuto da parte dell’oste che non intende servire di grasso perché periodo di quaresima. Nonostante l’illustre veneziano provi ad insistere, tirando in ballo perfino un permesso speciale che il papa gli avrebbe concesso, l’oste si rifiuta categoricamente e lo invita ad alloggiare altrove. Sarà l’intervento di un signore ospite dello stesso albergo a mediare tra i due e a cercare di convincere Casanova a mangiare di magro, asserendo che i cibi a base di pesce ad Ancona fossero di gran lunga superiori a quelli di grasso. Purtroppo, non è dato sapere cosa quella sera Casanova mangiò effettivamente e se ebbe modo di ricredersi, assaporando una delle tante delizie tipiche della cucina anconetana. In ogni caso, il passaggio ad Ancona segnò notevolmente l’intellettuale veneziano tanto che nelle sue Mémoires scrisse:

Era proprio ad Ancona, infatti, che avevo cominciato a godere intensamente della vita.

Ed ora, torniamo all’anno 1772, quando Casanova lascia Pesaro e la famiglia che lo ospitò, e raggiunge Ancona per l’ultima volta. Nella città si trattiene per diverse settimane ed ha, neanche a dirlo, una nuova avventura sentimentale con una giovane ebrea, la cui “conoscenza” rischiò addirittura di compromettere il viaggio salvifico verso Trieste ed il successivo rientro nella sua Venezia. Ancona, Pesaro, Loreto, e chissà quanti altri luoghi delle Marche Casanova deve aver visitato durante i suoi frequenti viaggi di piacere e di necessità. Noto anche per essere stato un alchimista ed essersi interessato all’esoterismo, lo stesso Casanova scrive di aver appreso i segreti della cabala da un eremita che viveva sul Monte Carpegna mentre era prigioniero dell’armata di Spagna. E dunque ancora le Marche, questo angolo di confine della regione, dove apprese, seppur indirettamente, questa antica dottrina che gli permise, insieme alle sue doti intellettuali, di ottenere ciò che più aveva a cuore: fare colpo sui suoi interlocutori. E pare che ci sia riuscito.

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ANIMA

LE DUE NATIVITÀ

Dei quattro famosi evangelisti, solo due, Matteo e Luca, iniziano la loro opera parlando della nascita di Gesù. Gli altri due avviano la narrazione a partire dall’episodio del battesimo sul Giordano, quando egli era già adulto. Leggendo attentamente le due natività di Matteo e di Luca, possiamo scoprire numerose e sorprendenti incongruenze, tali da metterne seriamente in dubbio l’attendibilità storica della vicenda o addirittura provocare in noi l’impressione che si parli di due persone diverse. Nei suoi commenti ai Vangeli il fondatore dell’Antroposofia, Rudolf Steiner, sostiene che il Bambino Gesù descritto da Matteo e quello descritto da Luca sono due individui ben distinti, due esseri umani diversi, ciascuno con un proprio destino. Quella che potrebbe a prima vista sembrare una forzatura acquista invece un senso, se ci addentriamo nella tradizione ebraica dove scopriamo l’attesa di due Messia: uno mistico-spirituale, di discendenza levitica (sacerdotale) e uno regale, di discendenza salomonica, della casa di Davide. Un’ulteriore prova del duplice Messia ci è offerta dai manoscritti di Qumran, che appunto preannunciavano la venuta del Messia di Aronne (leader religioso) e del Messia di Israele (leader laico). Nella regola della comunità (IX,11), un testo che disciplinava la vita spirituale del centro essenico, si fa un preciso riferimento “alla venuta di un profeta e dei Messia di Aronne e di Israele”. Esiste infatti un terzo personaggio, il profeta atteso dalla tradizione ebraica come preannunciatore del Messia: Elia appunto, che R. Steiner, identifica con Giovanni Battista: “l’Elia reincarnato”, ribadendo così la verità

L’ARTE, IN TUTTE LE EPOCHE, SI È FATTA CARICO DI TRAMANDARE LE VERITÀ ALTRIMENTI INCOMUNICABILI, SOPRATTUTTO QUELLE FORTEMENTE OSTEGGIATE DA POTERI AVVERSI. 38 | WHY MARCHE


di Stefano Longhi

esposta dal Cristo nei Vangeli” (Matteo 11,14). Più di queste tracce è, però, la dicotomia descrittiva del personaggio Gesù a deporre a favore dei due Messia; coesistono infatti nei Vangeli un Cristo combattivo, a tratti violento, ed uno mite, filosofico e ascetico. Le loro vicende sono tagliate e ricucite continuamente nel tessuto narrativo; chi scrive sembra seguire due itinerari e dipingere due protagonisti principali diversi. La regia è piuttosto curata, ma i salti e le incongruenze affiorano molteplici. Così si contrappongono episodi discordanti e proclami inconciliabili: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada” (Matteo 10, 34-38 scrive). Luca è ancora più bellicoso, anzi incendiario: “Sono venuto a portare fuoco sulla terra […] Credete che io sia venuto a mettere pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.” (Luca 12, 49-53). All’opposto le parole trascritte da Luca (6,27-38) rivelano un uomo pacifico e gentile: “Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Da’ a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. La teologia cattolica, che di proprio conto decide cosa sia reale e cosa sia allegorico nei vangeli, da una lettura metaforica e simbolica di queste contraddizioni. In verità siamo al cospetto di contenuti politici anti-romani maldestramente aggiustati, per rendere il messaggio evangelico accettabile al nuovo Impero Romano che di lì a poco assumerà l’appellativo di Cattolico Romano. L’arte, in tutte le epoche, si è fatta carico di tramandare le verità altrimenti incomunicabili, soprattutto quelle fortemente osteggiate da poteri avversi. E così dentro molte opere d’arte troviamo, sotto forma di contraddizioni o errori apparenti, messaggi nascosti che suscitano dubbio e perplessità, risvegliando in noi una coscienza critica profonda che non può non interrogarsi sulla verità. Molti di questi artisti (scultori, pittori, scrittori e musicisti) in qualche modo hanno avuto accesso direttamente o indirettamente ad informazioni proprie della tradizione gnostica, che ha costantemente accompagnato e contaminato il mondo cristiano delle origini. Dichiarata dalla chiesa cattolica eretica, la gnosi è stata nei secoli perseguitata e nascosta al fine di annullare ogni contraddittorio e conseguire così l’assoluto potere

e l’assoluta supremazia teologica. Le Marche, come stiamo rivelando attraverso gli articoli comparsi nei precedenti numeri di questa rivista, nella loro tranquillità un po’ provinciale, nascondono importanti opere e messaggi ancora da scoprire. In una delle facciate del rivestimento marmoreo della Santa Casa di Loreto, affidata a Luca Sansovino, si trovano due bassorilievi, realizzati da Raffaello da Montelupo, raffiguranti due natività: un’Adorazione di Pastori, dove Giuseppe e Maria hanno un aspetto più giovane, e un’Adorazione dei Magi dove Giuseppe e Maria hanno un aspetto più vecchio. Questa separazione delle immagini e questa diversità di età dei personaggi, sembra volerci suggerire proprio la nascita di due differenti Messia, avvenuta in tempi diversi: uno più umile e profondamente spirituale (il messia di Luca) reso ancora più evidente, nel bassorilievo, da una coltre di angeli che ricopre il cielo. L’altro, senza alcun riferimento religioso o mistico, il Messia politico di Matteo; regale nell’atteggiamento con cui viene presentato ai magi, venuti dalla Persia ad onorare con i loro doni il re bambino, il Messia di Israele; atteso e riconosciuto dai magi come una reincarnazione della divinità persiana: Zoroastro. È interessante osservare inoltre come nel rivestimento marmoreo sono presenti le statue delle principali sibille pagane, utilizzate dalla chiesa come unità di raccordo tra la tradizione antica e il cristianesimo nascente. Alcuni Padri della Chiesa, infatti, nel tentativo di dialogare con le religioni pagane e favoriti dal diffondersi degli “Oracoli sibillini”, prodotti per lo più in ambiente giudeo-ellenistico egiziano, si resero conto che anche nel mondo pagano erano emerse numerose voci di speranza e di attesa di un “salvatore”. Così valorizzarono queste voci per indicare in Gesù Cristo l’attuazione delle profezie sibilline.

Il messia di Matteo WHY MARCHE | 39




ANIMA

di Alessandro Moscè

MARIO DONDERO: MANIFATTORE DELLA FOTOGRAFIA

M

ario Dondero, marchigiano “importato” a Fermo, aveva un volto ossuto da artigiano. E non potrebbe essere definito, in effetti, che un manifattore della fotografia. La sua peculiarità era tutta nel sentirsi un uomo qualunque della strada che immortalava altri uomini, ma non casualmente. Fotoreporter bohemien, flâneur, affabulatore, viveur, “inafferrabile e ubiquo”, come lo consacrò il giornalista Ermanno Rea. Dondero ha inseguito la storia e l’ha rappresentata con acume negli eventi scavati tra spazio e tempo, nella gente affaccendata e non nell’anacronistica verità dei luoghi o dei paesaggi. Fotografo con un occhio al servizio degli umili, è stato detto. E’ venuto a mancare a Fermo, a 87 anni (nel 2015), e sembra che l’ultimo desiderio esaudito sia stato quello di mangiare un pasto succulento in trattoria facendosi trasportare dall’ambulanza. Mario Dondero non amava gli abbellimenti, l’estetica, il cromatismo. Anzi, proprio perché la fotografia conserva un suo autonomo sviluppo rappresentativo, il bianco e il nero gli consentivano di capire di più il protagonista nel momento propizio dello scatto. E lo diceva apertamente, con quel suo portamento classico e umbratile. Era generoso e sempre a disposizione di chi cercava di interrogarlo affinché raccontasse il mondo che aveva attraversato da una postazione di primo piano. Nato a Milano nel 1928, ma di origini liguri, nel fotogiornalismo contemporaneo innestò un vero e proprio modo di essere. A Milano era legato al cosiddetto gruppo dei “Giamaicani”, i frequentatori del bar Giamaica dalla vita agre come Carlo Bavagnoli e Giulio Mulas, Dino Buzzati e Nanni Balestrini. Il trasferimento in Francia gli ha consentito di scattare una delle foto più celebri di sempre: il gruppo degli scrittori del Nouveau Roman, a Parigi nell’ottobre del 1959, presso la sede

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dell’Editions de Minuit. Davanti al suo obiettivo Nathalie Sarraute, Samuel Beckett, Alain Robbe-Grillet, Claude Mauriac, Claude Simon, Jerome Lindon, Robert Pinget, Claude Ollier. E quindi gli infiniti viaggi: il Marocco, l’Algeria, la Guinea, ma anche l’America Latina, Cuba, l’Urss, il Canada e l’Afghanistan. Marc Chagall lo allontanò dal suo appartamento perché Dondero non gli mostrò il tesserino da giornalista, ma è proprio il ritratto degli artisti che lo rese mitico: Francis Bacon, Giorgio De Chirico, Yves Montand, Orson Welles, Roman Polanski, JeanPaul Sartre, Simone de Beauvoir. Tra le sue personali più note, Parigi nel 2006, Bruxelles nel 2009 e Londra nel 2011. Lo conobbi ad Ancona in un incontro tra intellettuali organizzato dalla Regione Marche. Sedevamo uno al fianco dell’altro. In breve scoprimmo che la nostra passione comune era soprattutto il calcio. Il suo Genoa gli faceva battere il cuore come un bambino, mi sussurrò sorridendo, e ogni dieci minuti voleva sapere il risultato della domenica nell’orario esatto delle partite che coincideva con quello del convegno. Ricordo una frase sibillina: “La fotografia non conosce ideologia”. Ronald Reagan e Michail Gorbačëv non gli fecero un grande effetto. Lo ammetteva con un candore da bambino. Dondero era mite, riservato, buono, come riconobbe Pier Paolo Pasolini che fu immortalato davanti al volto innamorato di sua madre nella casa romana dove, negli anni Sessanta, si era trasferito. Sembra ancora di vederlo imbracciare la fedele Leica, a sorpresa, e guardare nell’obiettivo riferendo a bassa voce un aneddoto, il fermano d’adozione. Per esempio quando si trovò a parlare nientemeno che di allevamenti bovini con Fidel Castro dentro un ascensore, e non rimase affatto convinto dalle esternazioni del rivoluzionario cubano.


STAGIONE TEATRALE 2017 | 2018 ANCONA

TEATRO DELLE MUSE / TEATRO SPERIMENTALE

DAL 19 AL 22 OTTOBRE_MUSE LUCA WARD, PAOLO CONTICINI, SERGIO MUNIZ e SABRINA MARCIANO in

MAMMA MIA!

RE LEAR

di William Shakespeare regia di Giorgio Barberio Corsetti

musiche e testi di Benny Andersson e Bjorn Ulvaleus libretto di Catherine Johnson regia di Massimo Romeo Piparo

Teatro di Roma / Teatro Biondo di Palermo

Peep Arrow Entartainment / IL SISTINA

DAL 4 AL 12 NOVEMBRE_SPERIMENTALE prima nazionale CARLO CECCHI in

ENRICO IV

DAL 18 AL 21 GENNAIO_MUSE EUGENIO ALLEGRI, RENATO CARPENTIERI, LUIGI DIBERTI e LUCA LAZZARESCHI in

IL NOME DELLA ROSA dal romanzo di Umberto Eco regia di Leo Muscato

Teatro Stabile di Torino / Teatro Stabile di Genova / Teatro Stabile del Veneto

di Luigi Pirandello regia di Carlo Cecchi MARCHE TEATRO

DAL 30 NOVEMBRE AL 3 DICEMBRE_MUSE AMBRA ANGIOLINI e MATTEO CREMON in

LA GUERRA DEI ROSES dal romanzo di Warren Adler regia di Filippo Dini

DAL 1 AL 4 FEBBRAIO_MUSE STEFANO FRESI, GIORGIO PASOTTI, PAOLO RUFFINI e VIOLANTE PLACIDO in

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE di William Shakespeare regia di Massimiliano Bruno

La Pirandelliana in coproduzione con Goldenart Production srl e Artisti Riuniti srl

L’isola trovata

DAL 14 AL 17 DICEMBRE_MUSE LUCA BARBARESCHI e CHIARA NOSCHESE in

DAL 14 AL 18 FEBBRAIO_SPERIMENTALE CARROZZERIA ORFEO in

DAL 3 AL 11 MARZO_SPERIMENTALE esclusiva regionale TONI SERVILLO in

ELVIRA

(Elvire Jouvet 40) di Brigitte Jaques © Gallimard regia di Toni Servillo e con Petra Valentini

Piccolo Teatro di Milano / Teatri Uniti

DAL 22 AL 25 MARZO_MUSE GIANFELICE IMPARATO in

QUESTI FANTASMI! di Eduardo De Filippo regia di Marco Tullio Giordana e con Carolina Rosi

Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo

DAL 5 AL 8 APRILE_MUSE FRANCESCA INAUDI e GIUSEPPE ZENO in

LA VEDOVA SCALTRA di Carlo Goldoni adattamento e regia di Mark Bell Ginevra Media Prod srl

COUS COUS KLAN

L’ANATRA ALL’ARANCIA dal testo “The Secretary Bird” di William Douglas Home regia di Luca Barbareschi

DAL 11 AL 14 GENNAIO_MUSE ENNIO FANTASTICHINI in

drammaturgia di Gabriele Di Luca regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi

Teatro Eliseo / Fondazione Teatro della Toscana

Carrozzeria Orfeo, Teatro dell’Elfo, Teatro Eliseo, MARCHE TEATRO in collaborazione con La Corte Ospitale di Rubiera

NOME

INFORMAZIONI E BIGLIETTERIA

Comune di Ancona

tel. 071 52525 biglietteria@teatrodellemuse.org prenotazione gruppi tel. 071 20784222 - info@marcheteatro.it biglietti on-line www.geticket.it

marche teatro

sede/uffici

TEATRO DELLE MUSE VIA DELLA LOGGIA 1/d ANCONA

www.marcheteatro.it

E CO

GNOM

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DAL 17 GIUGNO NUOVI ABBONAMENTI ABBONARSI CONVIENE!


ANIMA

FESTIVAL PERGOLESI SPONTINI: in scena il “FALSO d’AUTORE” UN CAMMINO CULTURALE, CON PROTAGONISTA LA MUSICA E IL TEATRO, IN ZONE CONSACRATE ALL’ARTE ALL’INTERNO DELLA PROVINCIA DI ANCONA

C

i sarà anche uno spettacolo tratto da un testo di Andrea Camilleri tra le numerose proposte per l’imminente stagione del Festival Pergolesi Spontini, in programma dal 7 agosto al 17 settembre 2017 in teatri, piazze e luoghi d’arte nelle città di Jesi, Maiolati Spontini, Apiro, Monsano, Ancona, Loreto, Serra de’ Conti, San Marcello e Ostra. Un’ottima occasione per concludere l’estate percorrendo le tappe di un cammino culturale, con protagonista la musica e il teatro, in zone consacrate all’arte all’interno della provincia di Ancona. Il Festival,

giunto quest’anno alla sua 17esima edizione, ha come tema il “Falso d’autore”, ossia biografie immaginarie di celebri letterati o artisti, travestimenti, parodie e false attribuzioni. Il percorso prende avvio dalla figura del Pergolesi, la cui morte precoce ne ha fatto subito fiorire un mito: questi è infatti il più falsificato dei compositori nella storia della musica. Sotto il nome di Pergolesi ci sono pervenute circa 300 opere: oggi sappiamo che quelle certamente sue si aggirano intorno alle 30. Si è così deciso di partire da questi falsi, inaugurando il Festival con lo Stabat Mater pergolesiano, per arrivare poi alla riscrittura dell’opera pensata da Johann Sebastian Bach. Tanti altri autori sono stati saccheggiati, o copiati, o sono state attribuite loro opere che non hanno mai scritto, da Vivaldi ad Albinoni e altri compositori che hanno vissuto tra il Settecento e il Novecento. “Esistono poi musiche che passano sotto il nome di grandi artisti, in realtà sono delle abili costruzioni in vitro, nate da compositori dell’Ottocento e del Novecento”, dice Vincenzo De Vivo, direttore artistico del Festival che si snoda lungo cinque direttrici: Contaminazioni, Mutamenti, Biografie immaginarie, Travestimenti, Falsi da Leggere, alla scoperta di capolavori inediti. Avranno luogo tutti a Jesi i concerti previsti per l’area Contaminazioni, dal 7 al 10 agosto, tra Piazza delle Monnighette, Piazza della Repubblica e altre zone della città che sono solite ospitare eventi musicali. Si tratta di esibizioni sull’arte della

“Falso d’autore”, ossia biografie immaginarie di celebri letterati o artisti, travestimenti, parodie e false attribuzioni.

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di Ilaria Cofanelli variazione in collaborazione con Jesi Jazz Festival. Dal 27 al 30 agosto, invece, sarà la volta di Mutamenti in cui la tradizione clownistica e le tecniche circensi dell’età contemporanea dialogheranno con delle musiche eseguite dal vivo tipiche della tradizione popolare, ma anche contemporanea e barocca, da Bach a Nino Rota. Teatro degli spettacoli e delle esibizioni musicali di Mutamenti sarà, anche in questo caso, Jesi con le sue piazze principali. Concluderà la parte finale del Festival, dal 1° al 17 settembre, l’ultima direttrice del programma, con Biografie immaginarie, Travestimenti e Falsi da Leggere. “Esistono composizioni che nascono in un contesto e vengono poi utilizzare in un altro - dice De Vivo - come musiche sacre utilizzate in contesto profano o viceversa. Il festival gioca proprio sul travestimento: la musica ha significati diversi a seconda delle parole che si utilizzano”. Significativa in questo senso è la canzone profana “L’Homme armé”, che fungeva da spina dorsale di tante composizioni sacre; oppure alcuni madrigali realizzati da Monteverdi nati come profani, con testi poetici sull’amore o sulla guerra che hanno ricevuto in un secondo momento un testo sacro per essere eseguito in un contesto di carattere religioso. La versatilità della musica è quindi alla base di queste esibizioni. Un’altra componente del festival è data da alcuni documenti falsi (Falsi da Leggere, appunto, accompagnati da esibizioni musicali), che hanno avuto un’eco importantissima nel corso della storia. Il più antico di questi è la Constitutum Constantini, ma uno dei più inquietanti è “I protocolli dei savi di Sion”, testo scritto in Russia in epoca zarista e composto scimmiottando alcuni dialoghi scritti in Francia contro Napoleone III, inventando un complotto mondiale

degli ebrei che avrebbero deciso di conquistare il mondo. Tali falsi vennero utilizzati da Hitler per giustificare la propaganda nazista e rendere l’opinione pubblica favorevole alla soluzione finale. La lettura sarà accompagnata da musiche di Schönberg, Weill e della tradizione ebraica. Si passa poi dai falsi d’autore, come canzoni siciliane inventate da Luigi Capuana, o testi attribuiti da Pierre Louÿs alla poetessa greca Bilitis coeva di Saffo. Tra gli altri falsi ci sono anche delle poesie scritte da Olindo Guerrini, un poeta che inventa l’esistenza di un suo cugino, Lorenzo Stecchetti, morto di tisi: il testo, “Postuma”, ebbe un notevole successo. Il pezzo forte del festival è sicuramente “Il colore del sole”, un falso scritto dall’autore siciliano Andrea Camilleri: si tratta del diario di Caravaggio che lo scrittore padre di Montalbano racconta di aver potuto sfogliare grazie a una persona che in modo molto rocambolesco lo ha portato in un luogo segreto in Sicilia per mostrargli gli appunti del pittore. L’opera è stata ricostruita da Lucio Gregoretti in modo da ritrovare nella musica i colori dei dipinti del Caravaggio. “Abbiamo scelto i falsi che hanno avuto più importanza nel corso del tempo per risvolti letterari o politici”, ribadisce De Vivo, che tiene anche a precisare che non si tratta di un “gioco intellettuale, ma di un divertimento: è come guardare le cose allo specchio e scoprirne dei risvolti nuovi. Il festival apre a generi diversi, dal jazz al circo contemporaneo, supera quindi la divisione dei generi. Invito il pubblico a divertirsi con noi e, come in una caccia al tesoro, scoprire che cose autentiche e cose false hanno la capacità di divertire, di commuovere, di interessare e di arrivare al cuore”.

Il pezzo forte del festival è sicuramente“Il colore del sole”, un falso scritto dall’autore siciliano Andrea Camilleri

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PRIMO PIANO

RISORGI MARCHE Dal 25 giugno al 3 agosto una tredici giorni di concerti gratuiti nelle zone terremotate delle Marche

Photo Marco Biancucci 46 | WHY MARCHE


di Ilaria Cofanelli

La bellezza salverà il mondo, ci dice Dostoevskij per bocca del principe Miškin nella sua celebre opera “L’idiota”. Ma oggi potremmo dire che anche la musica, che in un certo senso è sinonimo di bellezza, salverà il mondo. La musica che si sposa con la natura, con la bellezza paesaggistica di questa terra, le Marche, devastata e messa in ginocchio dagli eventi sismici che l’hanno colpita tra l’estate e l’autunno dello scorso anno. La conformazione paesaggistica che rende la nostra regione così peculiare, così unica, dove trovano ragione d’esistere sia le acque del Mare Adriatico, sia le vette dell’Appennino Umbro-Marchigiano, fa sì che queste terre siano collocate in una zona ad alto rischio sismico e la regione non è infatti nuova a eventi sismici come i recenti. Ogni volta, però, i marchigiani si sono rialzati, forti della loro proverbiale caparbietà, della loro tenacia, hanno ricostruito a testa china dalle macerie una nuova vita. Così anche stavolta, nell’anno che il ministro dei beni e attività culturali e del turismo Dario Franceschini ha dedicato ai borghi in Italia, quei piccoli paesi detentori di un patrimonio culturale, paesaggistico, naturale e artistico unico nel suo genere. Proprio nelle Marche sorgono 21 borghi certificati e, di questi, 6 nella provincia di Macerata sono stati duramente colpiti dalle ultime forti scosse sismiche di agosto e ottobre 2016. Si tratta di Visso, Sarnano, San Ginesio, Camerino, Pievebovigliana, Urbisaglia. Tutti ricordiamo le immagini devastanti degli edifici diroccati, delle case distrutte e squarciate: fotogrammi che fanno male all’anima e al cuore. Solo le Marche rappresentano il 57 per cento del totale delle aree colpite: 32 mila sfollati, 131 comuni coinvolti su 229, 1.000 chiese

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PRIMO PIANO lesionate, 2.600 le opere d’arte danneggiate. Ora, a quasi un anno di distanza da quei tragici eventi di cui ancora oggi molti sfollati e non solo stanno patendo le conseguenze, un artista marchigiano ha voluto portare il proprio contributo per realizzare qualcosa che potesse aiutare le comunità colpite dal terremoto. Stiamo parlando di Neri Marcorè che, con la tenacia tipica del marchigiano doc, ha messo in piedi un evento musicale unico nel suo genere. Si tratta di RisorgiMarche, un festival di solidarietà per la rinascita delle comunità colpite dal sisma, che dal 25 giugno al 3 agosto e si snoda in tredici concerti gratuiti con protagonisti gli artisti che calcano i palchi della scena nazionale e non solo. “Ero stato ad Arquata i primi di settembre scorso per cercare di capire quale tipo di sostegno concreto potevo portare ai cittadini dell’Alto Tronto - racconta Marcorè in occasione della conferenza stampa per la presentazione del festival - ma dopo la seconda, violenta scossa del 30 ottobre, mi sono reso conto che se volevo intraprendere un’iniziativa, questa doveva abbracciare tutte le comunità interessate, avere un respiro più ampio di una semplice, per quanto utile, raccolta fondi, per portare affetto e solidarietà a quelle persone costrette a cambiare vita e prospettive da un giorno all’altro. Da allora ha cominciato a prendere forma e corpo l’idea di un festival diffuso nel territorio che potesse richiamare gente da tutta Italia, e magari stranieri, ed è stato naturale pensare al coinvolgimento di artisti di grande levatura, amici di comprovata sensibilità e generosità - tant’è che hanno aderito immediatamente - che rappresentano il cuore di RisorgiMarche”. Il festival, però, ha una finalità ancora più alta: quella di far riconciliare le persone con la loro terra madre, con la natura che dona vita, offre bellezza e incanto con i suoi paesaggi, i suoi prati, i suoi parchi. Un modo anche per riscoprire e far scoprire ai turisti le Marche e tutti i tesori che la caratterizzano. Paesaggio, natura ed ecologia sono infatti i cardini attorno a cui ruotano le tredici esibizioni degli artisti che hanno preso parte a RisorgiMarche. Questo perché non si tratta solo di assistere al concerto e

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di godere di una buona musica, ma anche di raggiungere, a piedi o in bicicletta, il luogo dell’evento, localizzato in zone lontane dalle strade rumorose, in mezzo alla natura, in prati o parchi delle località più duramente colpite dal sisma. I concerti si svolgono tutti nel pomeriggio, dalle 16,30, in modo da godere a pieno della luce solare. Tutto nell’ottica del rispetto della terra: basso impatto ambientale (non si è resa necessaria l’installazione di luci artificiali e l’energia per la strumentazione è fornita da accumulatori), niente inquinamento acustico causato dal transito di veicoli e automezzi che, appunto, vengono parcheggiati a debita distanza. Perché lo scopo di RisorgiMarche è proprio quello di vivere a pieno la natura, l’ambiente, e l’unico prezzo da pagare è proprio il gusto di arrivare in quei luoghi dopo una sana camminata o una divertente pedalata in bicicletta. A differenza dei tradizionali concerti, non c’è bisogno di accaparrarsi in tutta fretta il biglietto per l’ultimo posto disponibile: la capienza è infatti illimitata, così come illimitati sono gli spazi a disposizione nei prati che ospitano i concerti. Prati e parchi accessibili a tutti, privi di barriere architettoniche, godibili fin dal mattino perché si tratta di luoghi aperti, liberi. Luoghi comunque accessibili anche ai disabili, che potranno essere accompagnati con i propri automezzi nelle immediate vicinanze del concerto, anche se l’ultimo tratto da percorrere sarà un terreno sconnesso, quindi necessaria attrezzatura adeguata o la presenza di un accompagnatore. “Una scommessa personale, per la quale chiederò la complicità del pubblico, sarà quella di lasciare i prati dei concerti puliti come sono stati trovati; le aree saranno munite di appositi contenitori diversificati ma, nel caso, gli stessi zainetti e borse che conterranno acqua e panini potranno benissimo custodire anche le bottiglie vuote e i sacchetti accartocciati”, tiene a precisare Marcorè, sempre sull’onda del rispetto della natura, dell’ambiente e delle nostre magnifiche terre marchigiane. Ma è anche un altro settore protagonista del festival e tipicamente marchigiano: quello agroalimentare.

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PRIMO PIANO I vini e i prodotti agroalimentari delle Marche saranno partner di questo grande evento. Tre i compagni che assieme rappresentano quasi la metà dell’agroalimentare regionale: l’Istituto Marchigiano di tutela vini (Imt), il Consorzio vini piceni e l’Istituto marchigiano di enogastronomia (Ime) grazie al supporto di Agrinsieme, Coldiretti, Confartiginato, Confindustria, Cna e Confcommercio il ‘dietro le quinte’ del Festival. Insieme per rappresentare una leva in favore della ripartenza del turismo e del settore primario, due comparti ancora oggi in grave difficoltà. “La nostra idea – ha detto il coordinatore del festival per il settore agroalimentare, Alberto Mazzoni – è rimarginare la ferita della terra attraverso il rilancio della terra stessa e delle sue produzioni. Il turismo e l’agroalimentare sono settori collegati che del terremoto stanno subendo i maggiori danni indiretti; noi vogliamo che si riparta da qui. E contiamo sull’impegno della nostra filiera, consapevoli che l’attrattività che riusciamo a generare potrà essere decisiva. Il nostro settore ha subito qui un crollo fino al 90% delle vendite sul mercato locale provocato dalla crisi del turismo e dallo spopolamento dovuto all’esodo forzato. E stiamo parlando – ha proseguito – di un’area che, oltre a registrare prima del terremoto in media 1,4 milioni di presenze turistiche annue, presenta la maggiore densità di aziende agricole per kmq a fronte di una piccolissima dimensione media; quindi di imprese con poche autodifese, che subiscono in pieno la tempesta perfetta che si è venuta a creare”. Dalle 12,30 alle 20,30, infatti, in apposite “isole del gusto” installate nei luoghi limitrofi al festival, in prossimità dei parcheggi, è possibile degustare e godere delle prelibatezze agroalimentari della nostra regione: sono infatti oltre 150 le piccole imprese agricole e dell’artigianato locale che propongono i loro prodotti, le proprie specialità, frutti di queste terre a partire da ciauscolo, olive ascolane, norcineria varia, vino cotto, olio, distillati e prodotti dell’artigianato locale.

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Secondo un’analisi Coldiretti, sono 15.300 le aziende agricole e le stalle nei comuni terremotati della regione, con 175mila ettari di terreni agricoli (il 37% del totale Marche) coltivati da imprese per la quasi totalità a gestione familiare (96,5%), aziende che a causa del terremoto hanno subito dei danni notevoli e incommensurabili. Dunque si cerca di ripartire da qui, e RisorgiMarche offre una significativa vetrina a tutti quei produttori locali in difficoltà che hanno dovuto reinventarsi dopo il sisma. Il settore agroalimentare, insieme a quello turistico, è il più colpito a causa del terremoto (i visitatori stranieri sono diminuiti del 36% rispetto al 2015 dopo il 24 agosto, arrestando il trend positivo che aveva visto aumentare del doppio la presenza dei turisti nei primi mesi del 2016 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Il connubio musica-natura celebrato in RisorgiMarche è dunque ciò che aiuterà la regione a riprendersi, a risorgere, appunto. Il festival, inaugurato domenica 25 giugno da Niccolò Fabi e Gnu Quartet a Spelonga, nel territorio di Arquata del Tronto, si concluderà domenica 3 agosto con Francesco De Gregori che, per l’occasione, si esibirà nella sua unica tappa live per il 2017, insieme alla FORM (Orchestra Filarmonica Marchigiana) e Gnu Quartet presso il Santuario di Macereto, a Visso.


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adori

Photo A. Tess

Lago di Mercatale (PU)

Lago Gola del Furlo (PU)

Laghetti di Portonovo (AN)

Lago di Cingoli (MC) Lago di Fiastra (MC) Lago di Montelago Lago di Ruffino (MC) (FM) Lago di Gerosa (AP) Lago di Pilato (AP)

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I PERCORSI DI WHY MARCHE Un’altra delle meraviglie che la nostra regione ci offre è data dai colori azzurro intenso e turchese di alcuni laghi, racchiusi tra il verde delle campagne e dei monti e tra le sfumature celesti delle rive. Proprio così, questa regione è in grado di stupirci ogni volta con i gioielli che la natura le ha messo a disposizione: non solo colline, monti, mare, ma anche laghi. C’è da dire che la maggior parte dei laghi che caratterizzano la regione è di origine artificiale; si tratta di bacini pensati dall’uomo come riserve d’acqua o per motivi di carattere idroelettrico, ma che si sono ben integrati con la natura circostante e presentano comunque delle peculiarità ambientali, oltre ad attrattive turistiche, che fanno sì che ogni anno vengano visitati da centinaia di persone. Tra quelli naturali è da segnalare il Lago di Pilato, dalle caratteristiche molto particolari, incastonato tra i Monti Sibillini. I laghi sono dislocati lungo tutta la regione, da nord a sud e hanno caratteristiche uniche e speciali.

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, E L A T A C R E M I D O G LA

per per cor rere sentier i enogastr onomici immer si nella natura

Alle pendici della collina del centro storico di Sassocorvaro, trova la sua collocazione il lago di Mercatale, le cui acque derivano dal fiume Foglia che unisce il Montefeltro al Mare Adriatico, permettendo un collegamento tra diverse città tra cui Pesaro, Urbino e alcune poste sul confine toscano. Nelle vicinanze del lago sorge la Rocca di Sassocorvaro, un’opera architettonica maestosa realizzata da Francesco di Giorgio Martini, su commissione del Duca di Urbino. Per la sua forma zoomorfa (è infatti conosciuta anche come “testuggine”), è una costruzione unica al mondo,

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spesso meta di turisti che riescono a raggiungere facilmente la struttura dal lago. Pescatori, canottieri e turisti (ma anche marchigiani) in cerca di riposo e quiete raggiungono spesso il lago, che si presta bene a piacevoli gite e scampagnate con annessi pic nic, grazie al parco attrezzato (presente anche bar e ristoro) in servizio da aprile fino a ottobre. C’è la possibilità di noleggiare imbarcazioni e di riposarsi sulle comode panchine che adornano i sentieri del lago; presenti perfino impianti sportivi, aree gioco per bambini e un’area adibita alla sosta dei camper.


I PERCORSI DI WHY MARCHE Il suggestivo lago del Furlo è collocato nella Riserva Naturale Gola del Furlo, in provincia di Pesaro Urbino, all’interno del comune di Fermignano. Il lago si inserisce in uno scenario molto suggestivo: la Gola del Furlo è situata lungo il tracciato originario della via Flaminia, nella parte in cui questa affianca il fiume Candigliano, affluente del Metauro. Tra i monti Pietralata (889 m) e Paganuccio (976 m), si è formata la forra a seguito della potenza erosiva del fiume Candigliano, appunto, facendole raggiungere una profondità considerevole che

oggi non è più visibile a seguito della costruzione della diga avvenuta nel 1922, che ha trasformato la potenza del fiume in un lago, uno dei bacini, tra l’altro, più grandi delle Marche. Il Furlo conserva numerose leggende e vicende storiche, di cui ancora oggi possiamo vedere le tracce: la galleria romana di Vespasiano del 76 d.c., l’abbazia di San Vincenzo (IX secolo) e la “galleria piccola del Furlo”, risalente addirittura al periodo etrusco. Per chi ama le escursioni, c’è la possibilità di percorrere un sentiero di 52 km attraverso faggete, boschi e praterie sommitali.

LAGO GOLA DEL FURLO,

teatro di storia e leggende

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ANIMA

, O V O N O T R O P i d I T T E LAGH

la storia misteriosa dei due laghet ti

A

pochi passi dal mare si trovano due laghetti salmastri, il Lago Profondo e il Lago del Calcagno (o Lago Grande), immersi tra un canneto di giunchi e canne di palude. In essi si confondono sia le acque del mare che, in occasione delle mareggiate, si infiltrano sotto la spiaggia, sia quelle dolci che provengono o da sorgenti o da altri immissari temporanei. Il Lago Profondo è collocato nei pressi del molo, mentre quello del Calcagno si estende nei dintorni della chiesa romanica di Santa Maria. Ruotano diverse leggende attorno questi due laghetti: una di queste vuole che essi

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siano collegati attraverso tunnel sotterranei caratterizzati da vortici temibilissimi, l’altra che il Lago Profondo sia congiunto addirittura alla città di Porto Recanati. La zona circostante i laghi di Portonovo è meta preferita di quanti vogliano ammirare specie faunistiche particolari: nelle loro acque trovano habitat gallinelle d’acqua, esemplari di martin pescatore, della folaga e del germano reale. Gli appassionati di birdwatching, quindi, sono i benvenuti. Trovano spazio sulle sponde dei laghi anche alcuni tipi di flora, tra cui canna di palude, giunco e falasco.


I PERCORSI DI WHY MARCHE

C

LAGO di CINGOLI, il più grande lago artificiale del centr o Italia

onosciuto anche come Lago di Castreccioni, questo bacino artificiale si trova in provincia di Macerata, nel comune di Cingoli, uno dei borghi più belli d’Italia. Si tratta non solo del più grande lago artificiale della regione, ma anche di tutto il centro Italia. Nel 2013 il lago ha raggiunto capienza massima per la prima volta, tanto che l’acqua è straripata dalle bocchette superiori della diga. Ricco di fauna acquatica e di uccelli migratori, sorge in un’area naturalistica unica nel suo genere. Nel corso del tempo (è stato costruito negli anni Ottanta)

è diventato “Oasi Provinciale di Protezione Faunistica” e la zona è stata quindi identificata come luogo di interesse comunitario. Il lago è meta ideale per chi vuole trascorrere giornate in pieno relax, magari prendendo il sole lungo le sponde del lago o avventurarsi tra le acque noleggiando pedalò, imbarcazioni, canoe o natanti elettrici. Intorno al lago si estende un’area floristica protetta, costituita dalla Macchia del Montenero. Svettano sulle acque del bacino artificiale i Monti di Cingoli (in particolare il Monte Nero), ricoperti completamente di alberi e boschi.

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ANIMA

LAGO di FIASTRA,

C

nel blu dipinto di blu

aratteristica tipica del lago di Fiastra, che sorge ai piedi dei Monti Sibillini a 685 metri, è l’intenso colore blu che denota le sue acque. Si trova a Fiastra, in provincia di Macerata e rappresenta il più grande bacino idroelettrico delle Marche, oltre a essere una delle mete turistiche più ambite della zona: la spiaggia di San Lorenzo al Lago è attrezzata anche con bagnino e molti, d’estate, preferiscono rilassarsi sulle sponde del lago anziché recarsi nei luoghi più affollati lungo le coste. Presenti anche tratti di spiaggia libera e la balneazione è permessa in alcuni tratti segnalati. I dintorni si prestano

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facilmente a mete escursionistiche per gli appassionati di trekking e Nordic Walking; non solo, è possibile anche fare canottaggio, andare in vela, praticare sport acquatici e noleggiare mountain bike per avventurarsi nelle zone adiacenti. Fiastra è anche il punto di partenza per delle escursioni che permettono di giungere sulle vette del Pizzo Berro e del Monte Priora, o sulle Gole del Fiastrone (raggiungibili però solo con una guida turistica abilitata a seguito degli ultimi eventi sismici), o sulle Lame Rosse (dette anche la piccola Cappadocia delle Marche), fino ad arrivare alla Grotta dei Frati.


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I PERCORSI DI WHY MARCHE

I

n provincia di Macerata, tra le montagne dell’alta valle del fiume Potenza, sorge un’area caratterizzata da fenomeni carsici, come doline e inghiottitoi. Si tratta dei Piani di Montelago, zona in cui ogni anno si festeggia il Festival Celtico nel primo weekend di agosto. L’area, a circa 900 m di altezza, sorge nel comune di Sefro. Contenuti in una suggestiva e particolare conca, i piani si dividono in superiore (918 m sul livello del mare) e inferiore (891 m sul livello del mare). La zona centrale, erosa dall’azione tettonica di faglie recenti, ha fatto sì che si producesse una conca e la

conseguente nascita di un bacino lacustre bonificato nel XV secolo dai Varano, signori del ducato di Camerino. Proprio in questa zona, nella stagione invernale, nel momento in cui gli inghiottitoi non sono in grado di far scorrere libere le acque sciolte dalla neve, si crea un lago temporaneo che, in primavera, lascia il posto ad alcune specie floristiche, come il ranucolo acquatico. Gli altopiani, grazie alla grande e varia biodiversità che caratterizza tali ambienti, fanno parte della Rete Natura 2000, un complesso di zone costituito per preservare la biodiversità a livello comunitario.

MONTELAGO,

il lago temporaneo d’inverno

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ANIMA

LAGO di SAN RUFFINO,

N

il Lago Fantasma

el Parco Nazionale dei Monti Sibillini, più precisamente nel Comune di Amandola, trova il suo spazio il Lago di San Ruffino, un bacino artificiale molto particolare, perché è lago solo… d’estate! Realizzato nel 1961 con la costruzione di un’enorme diga pensata per porre un arresto al corso del fiume Tenna e creare un invaso per l’accumulo di acqua durante i periodi di siccità, questo lago viene svuotato nella stagione invernale, dall’inizio dell’autunno fino a primavera. La diga viene infatti aperta e l’acqua non ha così impedimenti per fluire a valle; viene a crearsi dunque una grande palude

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che si asciuga pian piano lasciando spazio al fiume libero di percorrere il suo tratto naturale. Le rive del lago si prestano bene a piacevoli passeggiate nel mezzo della natura: è possibile infatti ammirare diverse specie di uccelli tra cui aironi bianchi maggiori e cenerini, svassi, folaghe e garzette. Il sentiero che si inerpica lungo il lago si presta anche a essere percorso in mountain bike o a cavallo. Gli appassionati di arte e architettura la suggestiva abbazia romanica di San Ruffino, non molto distante dal lago.


I PERCORSI DI WHY MARCHE

S

i trova nei pressi di Montemonaco, tra Comunanza e Montefortino, in provincia di Ascoli Piceno, il Lago di Gerosa, un bacino artificiale che sorge a 650 metri sul livello del mare. Alimentato dal fiume Aso, il lago è spesso meta di gite domenicali fuori porta: con l’occasione turisti e gitanti approfittano per ammirare anche la suggestiva chiesa romanica San Giorgio all’Isola, che sorge proprio nei pressi del bacino, dalla quale è possibile godere di una romantica vista sulle acque del lago incastonato in una cornice dai colori verdi. Le sue notevoli dimensioni (largo 400 metri e lungo all’incirca 2 km) permettono ad appassionati e sportivi

la pratica di diverse attività: dal canottaggio, alla vela e perfino alla pesca. Il Lago è infatti popolato da fauna ittica autoctona, come Trota Fario, di probabile ceppo mediterraneo, la Trota Lacustre, il Coregone, Tinche, Cavedani, Persici Reali e Carpe. Non solo pesci, il lago di Gerosa ospita anche, in alcuni periodi dell’anno, colonie di anatre migratorie che transitano qui prima di procedere verso l’Africa o la Spagna. Durante la stagione estiva, poi, tanti sono i turisti (e non solo!) che scelgono di trascorrere delle giornate sulle piccole spiagge del lago, per godere delle giornate di sole in mezzo alla natura.

, A S O R E G i d O LAG

a l e v e a o n a c r e p e l a e id

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PRIMO PIANO

, O T A L I P i d O G A L

I

l Lago di Pilato è uno dei pochissimi laghi glaciali di tipo alpino situati nell’Appennino. Sorge a 1941 metri di altezza ed è collocato sul Monte Vettore, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, nel comune di Montemonaco. Il suo nome deriva da un’antica leggenda secondo la quale nelle acque del lago sarebbe immerso il corpo di Ponzio Pilato, dunque esso ha rappresentato per secoli, e soprattutto in epoca medievale, luogo di pellegrinaggio da parte di maghi e negromanti, tanto che il lago era considerato maledetto. Curiosità: il Lago di Pilato è l’unico ad ospitare il Chirocefalo del Marchesoni, un

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l’uni co lago naturale delle Mar che… doppio!

piccolo crostaceo superstite dell’ultima glaciazione; per tale motivo è severamente vietato bagnarsi nelle acque del lago e per non calpestare le uova deposte a riva, occorre mantenersi a una distanza non inferiore di 5 metri dal bordo. I laghi di Pilato sono in realtà due, a volte si uniscono, a volte no, creando un buffo effetto visivo che ricorda la forma degli occhiali. Possibilità di effettuare trekking e raggiungere la famosa Grotta della Sibilla, anche se l’accesso alla foce del lago è per ora vietato a seguito del terremoto dello scorso agosto.



MENTE

CLASSIFICA CENSIS DELLE UNIVERSITA’ ITALIANE:

UNICAM ANCORA AL PRIMO POSTO!

Unicam è ancora una volta prima tra gli atenei fino a 10.000 studenti e prima tra gli atenei marchigiani Il Censis stila le pagelle delle Università italiane ed Unicam ha ottenuto un magnifico 14: per il quattordicesimo anno consecutivo, infatti, l’Università di Camerino si conferma al primo posto nella classifica degli Atenei italiani fino a 10.000 studenti, stilata come ogni anno dal Censis e consultabile on line, ottenendo un punteggio medio di 97,2. Eccellente anche il risultato ottenuto nella didattica. L’Università di Camerino conferma il suo posto da leader anche tra gli Atenei marchigiani, distanziandoli nettamente nel punteggio, davanti all’Università Politecnica della Marche che ottiene 88,4 e alle Università di Urbino e Macerata che hanno una media rispettivamente di 88 e 87,6. Il risultato ottenuto conferma dunque il forte impegno nel mantenere sempre elevata, nonché migliorarla, la qualità dei servizi e della didattica offerta agli studenti. Le classifiche, stilate dopo un attento e scrupoloso esame degli atenei pubblici italiani, oltre ad analizzare ogni singola realtà accademica, hanno anche il fine di aiutare studenti e famiglie alla scelta universitaria. “La conferma per il quattordicesimo anno consecutivo del primo posto tra gli atenei di pari dimensioni – sottolinea il Rettore Unicam Flavio Corradini – non può che riempirci di soddisfazione: è evidente che il risultato ottenuto conferma il forte impegno del nostro ateneo nel mantenere sempre elevata, nonché migliorare dove è possibile, la qualità dei servizi e della didattica offerta agli studenti. Quest’anno poi il risultato ha una valenza ancora più significativa, perché malgrado tutto ciò che è successo, Unicam c’è, ci abbiamo creduto fino in fondo, ripartendo subito anche grazie alla magnifica collaborazione dei nostri studenti, è con loro e per loro che #ilfuturononcrolla”. Ottimi risultati, come dicevamo, anche per quanto riguarda 66 | WHY MARCHE

la didattica. Unicam è infatti prima a livello nazionale per il gruppo geo-biologico che per il nostro Ateneo comprende i corsi di laurea triennali negli ambiti della biologia, delle biotecnologie e delle scienze geologiche, naturali e ambientali, con il punteggio di 101, e terza sempre a livello nazionale per il gruppo di materie scientifiche, che comprende nello specifico i corsi negli ambiti dell’informatica, della fisica e della matematica, con un punteggio di 103 (+2 rispetto allo scorso anno). Più che positivi, sono anche i piazzamenti negli ambiti disciplinari cui fanno capo gli altri corsi di laurea attivati dalle Scuole di Unicam. “Le valutazioni effettuate dal Censis e le classifiche che ne conseguono – ha dichiarato il Rettore eletto Claudio Pettinari – rappresentano un’ottima guida per tutti coloro che dovranno decidere il proprio percorso universitario, scegliere Unicam significa quindi una scelta per un futuro di qualità. Aver ottenuto questa eccellente valutazione non può far altro che confermare la validità di scegliere Unicam per il proprio percorso formativo o per quello dei propri figli. La mia gratitudine e il mio ringraziamento vanno a quanti, all’interno dell’Ateneo camerte, si impegnano quotidianamente per mantenere ai massimi livelli i già elevati standard qualitativi dei servizi, della didattica e della ricerca Unicam”.

w w w. u n i c a m . i t comunicazione.relazioniesterne@unicam.it w w w. u n i c a m . i n f o fb: Unicam – Università degli Studi di Camerino twt: Unicam UffStampa ig: universitacamerino



MENTE

NUOVI CONTATORI ELETTRICI “OPEN METER”: Un possibile aiuto per il risparmio e la lotta alla povertà energetica

Enel ha presentato ufficialmente Open Meter, il contatore elettronico 2.0 che promette monitoraggio dei consumi in tempo reale e maggiore controllo sulla fornitura. Nei prossimi 15 anni ne saranno installati 41 milioni. Adiconsum ha partecipato alla presentazione del programma “Open Meter” alla presenza di Paolo Gentiloni, Presidente del Consiglio dei Ministri, dell’Amministratore Delegato e Direttore Generale Enel, Francesco Starace e del Direttore Divisione Globale Infrastrutture e Reti Enel, Livio Gallo. Parte il progetto di una delle opere infrastrutturali più rilevanti del Paese con la sostituzione di circa 32 milioni di contatori elettronici di prima generazione con il nuovo Open Meter di seconda generazione, cosiddetto 2G. Il progetto verrà sviluppato in 8 anni con un investimento di oltre 4 miliardi di euro, con tecnologia italiana e l’impiego di circa 4 mila persone. Negli anni successivi anche tutte le aziende ex municipalizzate (altri 8 milioni circa di misuratori) completeranno l’opera di riorganizzazione delle infrastrutture del Paese nelle case di tutti gli utenti elettrici, con un ulteriore investimento di circa 2 miliardi. In questa evoluzione l’imperativo è garantire agli italiani “una maggiore consapevolezza nell’uso dell’energia” e su questo concetto fondante poggiano i pilastri che delineano i vantaggi del nuovo apparecchio, sia per i consumatori che per i fornitori. Con questo progetto il cliente avrà la possibilità, oltre che di conoscere in tempo reale i propri consumi e di poterli modulare in base alle necessità personali o familiari, anche di digitalizzare energia e di poterla cedere cambiando le sue connotazioni da consumatore a prosumer (cioè da mero consumatore a produttore di energia sul posto). Si potrà accedere sul web o tramite la app per monitorare i prelievi giornalieri di energia e l’effettiva potenza assorbita da tutti i dispositivi elettrici ed elettronici, con un risultato che nelle premesse si può tradurre in un risparmio sulla bolletta. I clienti che invece consumano e producono energia (ad esempio con l’installazione di pannelli fotovoltaici o solari) potranno avere accesso a molti più dati, con lo storico dei consumi e della produzione. Inoltre, per quanto riguarda la questione legata all’aspetto commerciale, si prevede maggiore immediatezza e facilità di attivare, modificare o cessare la fornitura di energia elettrica, oltre alla possibilità da parte dei venditori di formulare proposte più in linea con i profili di consumo dei clienti. Le parole d’ordine sono consapevolezza e trasparenza, da ambo i lati. Enel promette a tal fine una riduzione nei tempi di switching anche per i venditori di energia elettrica, che potranno, peraltro, emettere fatture di chiusura basate su dati non stimati, abbattendo le fatture di conguaglio (o comunque riducendone la frequenza). Il tutto all’interno di un’operazione che dovrebbe condurre ad un miglioramento delle qualità e della gestione di tutto il sistema elettrico, in un processo che passerà attraverso le prime fasi di sostituzione delle vecchie utenze con il nuovo contatore.

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QUALI SONO I VANTAGGI DEL NUOVO CONTATORE ELETTRONICO? RILEVAZIONE DEI CONSUMI OGNI 15 MINUTI SUPERAMENTO DELLE FASCE ORARIE E POSSIBILITA’ DI TARIFFE PERSONALIZZATE (a cura dei venditori) OPERAZIONI COMMERCIALI PIU’ VELOCI INTERFACCIA APERTA IN GRADO DI CONNETTERSI CON I SISTEMI DI DOMOTICA L’energia è indicatore della crescita e della sostenibilità, ma deve essere anche funzionale allo sviluppo sociale di un Paese e del benessere di cui devono godere tutti i cittadini consumatori, nessuno escluso - sostiene Carlo De Masi, Presidente di Adiconsum nazionale. Il diritto di accesso all’energia rientra tra i principi fondanti di uno Stato democratico solidale, quello cioè della sussidiarietà, che fa sì che Stato, imprese, terzo settore, associazioni e cittadini più fortunati, possono dare il loro supporto ai cittadini in difficoltà – prosegue De Masi - Finora la povertà energetica è stata contrastata dallo Stato attraverso bonus sociali, il cui accesso complicato, da parte dei consumatori più vulnerabili, ne ha limitato fortemente la fruizione, dagli enti locali e dalle associazioni assistenziali con interventi economici diretti. Ci auguriamo che il nuovo contatore possa aiutare in tal senso, perché, purtroppo, la povertà energetica nel nostro Paese è una realtà. Ne sono colpite 4,5 milioni di famiglie, che hanno difficoltà a pagare le bollette per redditi sempre più bassi, aumento del prezzo delle forniture energetiche, scarsa efficienza degli edifici e degli apparecchi elettrici. La povertà energetica – conclude De Masi - si può combattere, come abbiamo proposto noi dell’Adiconsum, allargando la possibilità a tutti di sviluppare una vera efficienza/risparmio energetico e creando un Fondo Sociale Nazionale, alimentato dall’impiego di risorse della bolletta elettrica inutilizzate e/o utilizzate per altri settori, da fondi erogati ad Associazioni inutili, dallo sviluppo dell’iniziativa “Piccoli centesimi per una grande solidarietà”, con l’arrotondamento dei decimali delle bollette. Roberta Mangoni Adiconsum Marche

www.adiconsummarche.it adiconsum.marche@gmail.com

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“Realizzato nell’ambito del programma generale d’intervento della regione Marche con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico- ripartizione 2015. “ Intervento n. 8

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ANIMA

MARCHE

POWER SPOTS FUNZIONANO PIÙ O MENO COME LE COLONNINE PER LE AUTO ELETTRICHE: ARRIVI, TI RICARICHI E RIPARTI. Oggi Kosami è uscito prima dal lavoro e ne approfitta per ricaricarsi. Kosami vive a Tokyo e sta andando al santuario Daijingu, uno dei più famosi Power Spot del Giappone, dedicato alla soluzione di problemi di cuore, affari e relazioni. E’ facile arrivarci, il santuario si trova in città, a circa dieci minuti a piedi dalla Stazione Iidabashi, su una piccola collina.

Molti Power Spot sono tempi Shintoisti Il santuario è consacrato ad Amaterasu, la dea che ha dato origine alla famiglia reale: colei che scoprì come coltivare il riso. In molti vi si recano per chiedere favori alla dea. È un santuario Shintoista e come tale può concedere diversi tipi di grazie: l’acqua sacra che fuoriesce dal monte Mikageyama, Acqua di Manai, guarirebbe dai dolori e dalle malattie, allungando la vita; renderebbe stabili e felici le relazioni amorose, ed infine aiuterebbe nella carriera e a far soldi.

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di Stefano Catini

Cos’è e come funziona un Power Spot? Sono creati da miti, leggende, da speciali forze della natura, dalle tracce impresse da gesta straordinarie di uomini speciali Kosami non è un tipo superstizioso ma sa che in Giappone molti luoghi hanno, semplicemente visitandoli, il potere di purificare sia fisicamente sia spiritualmente chi vi si reca. Una spiegazione certa è che questi luoghi rispecchiano i principi geometrici del feng shui, l’antichissima arte geometrica cinese basata sul Tao. Conosciuta anche in occidente, ci insegna come costruire, suddividere, arredare qualsiasi ambiente (casa, negozio, ufficio, tempio, scuola, giardini…); una sorta di guida dove gli spazi sono organizzati in modo tale da creare armonia tra l’interno e l’esterno. Un’altra spiegazione riguarda i kami, la ragion d’essere dei punti di ricarica. Sempre secondo la religione shintoista i kami sono delle presenze che prendono

dimora in determinati luoghi spesso segnalati dai santuari a loro dedicati. I kami sono divinità, come la dea del sole Amaterasu, spiriti guardiani o forze della natura; possono essere eletti al rango di kami gli antenati, gli eroi, tutti coloro che in vita si sono distinti per virtù. In generale i Power Spot derivano la loro energia dalle forze della natura: alcuni luoghi possiedono infatti campi elettromagnetici benefici, altri forti energie telluriche, altri ancora entrerebbero in risonanza con il macrocosmo attraverso congiunzioni astrologiche particolari. Il termine Power Spot fu utilizzato per la prima volta agli inizi degli anni Novanta da Kiyota Masuaki mentre era in visita a un santuario per indicare appunto che lì veniva emessa una gran quantità di energia benefica. Da allora un numero sempre crescente di giovani e donne iniziarono a praticare questi luoghi. Kosami, nella sola prefettura di Tokyo, può scegliere tra moltissimi siti di ricarica: a Nagatachō c’è Hie Shrine, un santuario shintoista; nel distretto di Shiba c’è un altro potentissimo Power Spot situato nel tempio Zojoji; sempre a Tokyo c’è Meguro Gajoen dove la potenza sprigionata da una cascata dona a chi lo visita un’energia molto forte.

Viaggiando da Hokkaido a Okinawa si possono incontrare ben 29 Power Spot Tra le prossime mete del nostro cacciatore di Power Spot ce n’è certamente una sulla costa pacifica, nella prefettura di Shizuoka, Kunozan Toshogu dove si ritirò e morì Tokugawa Ieyasu – shogun, cioè capo militare, fondatore della dinastia dei Tokugawa. Il suo spirito sarebbe ancora lì a energizzare chi va a trovarlo. Nel carnet di viaggi di Kosami non può mancare l’icona più rappresentativa del Giappone, il Monte Fuji, meta di questo tipo particolare di turismo. La montagna è un vulcano addormentato, in molti la scalano per assorbire la sua energia. La lista potrebbe andare avanti ancora, ma a questo punto ci fermiamo per domandarci

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ANIMA

E LE MARCHE, SONO IN GRADO DI RICARICARCI? Kosami, che ha già visitato le vie del vino, del cibo e dei musei italiani, come reagirebbe se scoprisse che esistono dei Power Spot anche nelle Marche? Il nostro amico di Tokyo, mentre progetta il suo viaggio, cercherà sicuramente qualche informazione sull’argomento scoprendo magari che Leonardo da Vinci definì le Marche come “un territorio di proportionata armonia”, oppure Goethe che senza indugio la descrive come “un pezzo meraviglioso del creato”. Avvicinandosi all’aeroporto dorico, guardando bene fuori dal finestrino, potrebbe notare la morfologia a pettine del territorio, dove i corsi d’acqua, dal Foglia a nord fino al Tronto a sud, scorrono in parallelo, creando non solo un paesaggio unico e armonioso ma anche generando dialetti, tradizioni e leggende così vicini ma così lontani nei loro contenuti. Kosami potrebbe scoprire che l’eroina anconetana Stamira, che nell’assedio di Ancona del 1173 sacrificò la sua vita incendiando gli steccati degli assedianti per aprire una breccia che consentì agli anconetani di far provviste, abbia generato un Power Spot. Nella sua ricerca si potrebbe imbattere nei suggestivi nomi degli appennini marchigiani: la Cima del Redentore, il lago di Pilato, Passo Cattivo, le gole dell’Infernaccio oltre alle storie della temutissima maga Sibilla. Missione Monti Sibillini Leopardi, guardando dalla finestra della sua casa di Recanati, lì definì Monti Azzurri C’è una porzione di Appennino compresa tra i monti Vettore, Priora e Sibilla che ha tutti gli attributi di un Power Spot in puro stile giapponese.

Nei pressi della vetta del monte Sibilla, a più di duemila metri dall’altezza, si trova, infatti, una grotta particolare: l’accesso al regno della maga Sibilla. La leggenda racconta che chi varca il suo ingresso, se non si presenta alla porta dell’uscita entro nove giorni, potrà ripresentarsi solo dopo trecento giorni. Se anche questa volta non sarà risalito dovrà aspettare altri 3.300 giorni, ma se mancherà quest’ultimo appuntamento, rimarrà per sempre nel regno della maga perché la Sibilla, insieme alle sue ancelle, ammalia e imprigiona chi si reca da lei per le sue divinazioni. Questo è quello che si prospettò al Guerin Meschino, così come ci viene narrato da Andrea da Barberino e Antoine de la Sale, quando decise di incontrare la maga. Ogni paese della zona può raccontare storie di fate bellissime che di notte si trasformano in serpenti e dei prodigi da esse compiuti; di misteriose forze della natura che generano catastrofi come quella che distrusse Pretare, prima chiamata Colfiorito. Sul Monte Vettore, a 1.941 metri si trova il lago di Pilato. Al suo ingresso ci si imbatte in un particolare monolite, il Gran Gendarme, al quale è meglio chiedere il permesso prima di entrare: come nella religione animista shintoista, rappresenta lo spirito della natura che fa da guardia a questo lago che presenta una caratteristica singolare, in certi periodi dell’anno diventa color rosso. La spiegazione scientifica è che è abitato da un crostaceo che vive solo in quelle acque, il Chirocefalo del Marchesoni, che è appunto di colore rosso. Il mito narra invece che il corpo di Ponzio Pilato, condannato a morte da Tiberio, fu chiuso in un sacco e caricato su di un carro trainato da bufali in modo tale che Pilato subisse anche la condanna di una mancata sepoltura; il carro sarebbe poi precipitato dalla cresta della Cima del Redentore nel lago che prese appunto il suo nome e divenne rosso del suo sangue. Sopra le gole dell’Infernaccio ha vissuto fino a pochi anni fa un eremita, Frate Pietro Lavini, “il muratore di Dio”. Nel 1971 consacrò la sua vita all’eremitaggio, alla preghiera e alla ricostruzione del monastero benedettino di San Leonardo, amplificando con la sua fede l’energia del luogo. Feng shui, eroi, leggende, persone straordinarie, luoghi sacri sono elementi connaturati al territorio marchigiano e allora non resta che augurare buona fortuna al nostro amico giapponese Kosami perché, come direbbe il Guerin Meschino, chi non va per la ventura non è un uomo.

Gola dell’Infernaccio

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SPIRITO

ElDoMino

Il nome d’arte rimanda a una maschera tipica del Carnevale veneziano, il suo rap scandaglia e sferza le corde del sentire. Insieme a Soulcè, Swelto e Azure Stellar ha posto il timbro sul progetto “MoonLoverz”, con Mecna ha dato alle stampe il cult “Propaganda” (2006), stava per chiudere con la musica ma poi è rinato grazie al cult RèportAge e ad un concept dedicato al marchigiano per eccellenza: Giacomo Leopardi.

«Sto attraversando il mio periodo artistico migliore. Aspetto questo disco da tanto, perché è il progetto a cui tengo di più. Speravo con tutto me stesso riuscisse a venire fuori in questo preciso momento perché sento di aver raggiunto un livello di maturità tale da poter dire la mia senza nessuna paura, consapevole di offrire un prodotto ben fatto a livello musicale e di scrittura. Ad oggi, sono sincero, non saprei fare meglio». In effetti, i picchi toccati da “Anima Explicit”, nuovo album del rapper ElDoMino (dietro cui si cela l’ascolano Flavio Bachetti) uscito per la GreenLine Label con le produzioni di Dj Dust, Swelto, Vest’O Beats, SuperApe, Paolo Scarpantoni e Dj T-Robb, sono vette di inaudita profondità, un viaggio dentro l’essere fatto di tormenti, rimorsi, storie finite male, perdite e rimpianti. Il tutto tracciato con raro talento e sensibilità, qualità che da sempre contraddistinguono il percorso ormai più che decennale di un artista sorprendente e, per certi versi, “atipico” nel modo di cantare ed affrontare determinate tematiche. «Di solito mi additano come atipico quando scoprono che non fumo, che non ho tatuaggi né piercing. Mi demoralizza un po’, lo stereotipo

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di Luca Capponi

lo crea la televisione e il pubblico abbocca. Ma a me interessa poco. Sono nato con l’hip hop fatto in un certo modo e l’approccio genuino e riflessivo rispecchia anche il mio carattere. Non riesco a immaginarmi diversamente».

DA COSA NASCE IL TITOLO “ANIMA EXPLICIT”?

«Potremmo racchiudere il tutto nel termine “dualismo”. Sì…e comunque no, neanche “dualismo” rende bene. Da sempre ho voluto scindere il cantante dalla persona, per motivi ovviamente intimi e personali. Mi sono sempre trovato a disagio nello spiegare chi sia ElDoMino a gente che di rap non ne sa granché, e viceversa nell’instaurare un rapporto più stretto con “fans” che seguono il rapper e non conoscono Flavio. L’ho sempre vissuta male questa cosa. Alla fine è molto chiaro e semplice: cos’è ElDoMino se non l’Anima di Flavio Explicit-ata in musica?»

LO FACCIO PERCHÉ DEVO, LO FACCIO PERCHÉ CREDO NEL NOME DELL’HIP HOP CHE QUANDO STAVO IN MERDA GIÙ STESO MI TENDEVA LA MANO E DICEVA “RIALZATI TI PREGO”: QUESTA FRASE CONTENUTA NEL BRANO EXPLICIT, UNO DEI MIGLIORI DEL LOTTO, PARLA ANCHE DEL POTERE SALVIFICO DELL’ARTE. E’ UNO DEI MOTIVI CHE, NEL 2015, TI HANNO FATTO AVVICINARE ANCOR DI PIÙ ALLA FIGURA DI LEOPARDI AL PUNTO DA DEDICARGLI UN DISCO?

«Ci tengo a precisare che l’Ep “Favoloso” non era prettamente dedicato a Leopardi. Vediamolo più come un tributo al suo modo di pensare e analizzare la realtà che ci circonda. Mi sentivo e mi sento tuttora molto simile a lui, nella sofferenza e nel suo modo di analizzarla senza cadere nel becero pessimismo distruttivo. Poi in quel caso anche le atmosfere musicali davano una grossa mano. Ecco, detto questo, rispondo di sì. Ci sono stati periodi bui in cui la musica, l’hip hop anzi, perché ricordiamolo che non è solo musica, dava un senso alle mie giornate, era quella piccola fiamma che mi teneva vivo quel po’ che bastava per andare avanti. Mi dava gli strumenti per dire la mia, sfogarmi e ribadire che io non ero come tutti gli altri, là fuori».

UN ALTRO PEZZO CITA APERTAMENTE SIN DAL TITOLO LO SCRITTORE JULES VERNE: COME MAI?

«Lo ammetto, non sono un grande conoscitore di Verne. Però mi ha sempre affascinato il tema del “viaggio” raccontato. Non col corpo, ma con la mente. Ecco, per autocitarmi “io viaggio poco onestamente” ma ho molta fantasia e adoro farmi trasportare da immagini, profumi e tutte ‘ste stranezze che mi si creano in testa. Casualmente erano le 4 di mattina e in rete mi imbattei nella copertina del libro “Viaggio al centro della terra”. Scrissi “Verne” come titolo ed iniziai a raccontare il mio personalissimo viaggio: notturno, per le vie della città, fra fantasmi, luci e paure».

TRA I FEATURING DI “ANIMA EXPLICIT” C’È ANCHE QUELLO CON I LA RUA. CHE RAPPORTO C’È CON LORO?

«Li adoro. Tolto il senso di appartenenza che mi fa supportare qualsiasi forma d’arte che nasca nella mia città, li ho sempre apprezzati molto musicalmente, alcuni li conosco da anni, in special modo Nacor Fischetti che ha suonato le batterie in “Dramma”. Nella stessa traccia troviamo anche altri due ascolani doc: Andrea Carfagna al

basso e Cristian Regnicoli alla chitarra. Un’altra preziosa collaborazione è quella di Marco Borgioni, presente anche nel video di “Respiro”, primo singolo il cui video è diretto da Valerio Di Filippo».

C’È UN MONDO CHE SI FA CHIAMARE HIP-HOP, EMERSO, DI SUCCESSO, DI SCARSA QUALITÀ E PATINATO, MA CHE FORSE HIP HOP NON È. CE N’È UN ALTRO, SOMMERSO, FATTO DI ARTISTI DI PESO CON TANTE COSE DA DIRE MA CHE FA FATICA A “PASSARE” E CHE, PROBABILMENTE, RAPPRESENTA IL VERO HIP HOP NOSTRANO. E’ COSÌ? LA COLPA È DEL PUBBLICO IMPIGRITO? O DI CHI, SECONDO TE?

«Sono i tempi che cambiano. E alcuni dei “vecchi” non lo accettano. Le nuove tecnologie che permettono a tutti di mettersi in mostra e le nuove generazioni che nascono e crescono di conseguenza con gli esempi sbagliati, idolatrano artisti che fra qualche anno non ci saranno più, probabilmente. Torniamo al discorso dello stereotipo. Non c’è soluzione nell’immediato, io alla loro età ascoltavo le Spice Girls e avevo il poster sul muro, poi i miei gusti musicali si son ben delineati e ho iniziato a “selezionare”. Ecco, spero che questo accada quanto prima anche per i ragazzini di oggi, mi accontenterei che per almeno la metà di loro vada così. Chissà, forse sono troppo buono e ottimista».

DA COSA DERIVA IL TUO NOME TUO NOME D’ARTE ELDOMINO? PERCHÉ HA QUESTA GRAFIA PARTICOLARE?

«C’è una lunga storia dietro e non ha un solo significato. Tutto è partito dalla parola Domino, mi affascinava. Rimandava all’abito della morte (riferimento al film “Scream”) come anche alla famosa maschera carnevalesca veneziana. I miei spesso mi raccontavano di quando in gioventù indossavano il “domino”, abito lungo, cappuccio e maschera in viso, unico modo per fare scherzi e non essere riconosciuti. Questa storia l’ho fatta mia, col tempo ho iniziato a realizzare che in effetti il rapper riusciva a dire cose che di persona Flavio non riusciva ad esternare, per timidezza, vergogna o semplicemente paura. In seguito ho aggiunto “El” per renderlo meno banale. Per quanto riguarda la grafia, sono un pignolo perfezionista, le maiuscole messe in quel modo soddisfano le mie fisse estetico/grafiche, pesi e misure. Niente di che».

E’ VERO CHE SEI UN COLLEZIONISTA DI DISCHI?

«Sì, continuo a spendere soldi in dischi. Ultimamente ho iniziato anche con i vinili, devo fermarmi finché sono in tempo. L’ultimo acquistato è la ristampa in vinile di “La Realtà, la Lealtà e lo Scontro” di Lou X. Lo riconosco, sono un nostalgico da sempre innamorato della copia fisica, che sia un cd, un tape o un vinile. Meglio se in tiratura limitata. Ammetto che le piattaforme digitali siano il futuro e rappresentano lo strumento più efficace per la distribuzione musicale. Ma un mp3 non riuscirà mai a sostituire l’emozione che si prova quando si scarta un disco, si annusa la carta stampata e si infila il cd nel lettore o si appoggia la puntina sul vinile. Da certe malattie non si guarisce…ormai sono arrivato ad oltre 800 dischi, per lo più italiani, alcuni di loro han raggiunto un valore di oltre 200 euro e venderli equivale a tagliarmi un braccio».

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SPIRITO

a volte

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di Andrea Cozzoni

RITORNANO C’è un momento preciso in cui capisci che la tua vita può essere racchiusa in delle scatole, sigillata con dello scotch adesivo e trasportata in una vecchia punto a metano. Quando pensi di essere impalpabile e infinito, aereo e inafferrabile, ti tocca incastrare le scarpe, che hai messo una volta al matrimonio del cugino Riccardo, in una scatolone recuperato al supermercato insieme ai ricordi di troppe cose andate male. Perché tra i momenti più traumatici che un essere umano può affrontare durante la sua vita, subito dopo la morte di una persona cara, c’è il trasloco. Ad elevare a potenza il dramma solitamente è la destinazione del trasloco. Quando dal punto A si viaggia verso il punto B tutto è normale, perché se anche il punto B non è la destinazione definitiva è comunque passaggio obbligatorio per arrivare al punto C. Quando dal punto B, però, si ritorna al punto A, beh, affrontare quel percorso è una delle imprese più difficili da fronteggiare. Ebbene sì, può capitare che, a causa di forze più o meno maggiori, scegli di tornare a vivere con i tuoi genitori, nella stessa cameretta che ha assistito alle tue prime polluzioni notturne quando un accenno di peluria ti sporcava il labbro superiore. Accettare l’idea della retrocessione nel campionato della vita è nauseante, la freccia che avevi sparato a tutta velocità nell’aria per centrare l’obiettivo, da tempo aveva perso d’intensità e si era accontentata di puntare ai cerchi più esterni, che il punteggio pieno era diventato miraggio. Che la freccia adesso, nel mezzo della parabola, si trasformi in boomerang non era nemmeno lontanamente pensabile. Non sei solo, ti ripeti, è colpa dell’economia dell’Occidente in declino, del lavoro precario, di scelte amorose sbagliate. Tanti come te si ritrovano sulla soglia degli anta costretti a tornare a casa dei propri genitori. Non c’è niente di male, è solo un periodo, riprendi le forze, ti riposi da tanta ostinata vita solitaria. Tua madre ti farà il bucato e ti preparerà la cena, ti sentirai sicuro in un giaciglio che ti ha accolto per tanto tempo, potrai ripensare alla tua vita, a cosa hai sbagliato e preparare un piano strategico per gli anni a venire. Avrai tempo per te e per quella vita edonista e spensierata tipica della post adolescenza, potrai investire i soldi che risparmierai non pagando più affitto e bollette in acque micellari e weekend a Berlino. Ri-contatterai gli amici lasciati al paese e tornerai al bar

in piazza per una birra e quattro chiacchiere, ricordando quella volta che Alessandro si era nascosto sotto al banco durante l’ora di matematica e il prof non se ne era accorto. Dovrai rinunciare a qualche piccola libertà: mangiare nudo in cucina nella calura agostana, fumare in casa con le finestre chiuse a gennaio, fare zapping compulsivo quando vuoi vedere tutto e ti accontenti di niente, rientrare senza avvisare, portare a casa partner sessuali randomici incontrati in serate alcolicamente convincenti. Ma erano libertà queste? Insomma la vita da single ti permette di fare delle piacevoli sciocchezze è chiaro, ti obbliga però anche a prenderti cura delle tue piante, passare la scopa elettrica, chiamare qualcuno che ripari lo scarico, pagare la tassa sui rifiuti. Sei un uomo maturo e affronterai questa nuova situazione in maniera matura, per cui continui ad impilare libri e ti chiedi perché hai sei flaconi di bagnoschiuma con pochissimo prodotto all’interno evidentemente allungato con acqua. Ti domandi con ostentata retorica a cosa ti servano tutte queste cose per vivere? Se forse non sei anche tu un accumulatore seriale come quelli dei programmi della tele. Un biglietto del cinema di tre anni fa, una bic con l’inchiostro completamente seccato, dei volantini del supermercato con imperdibili offerte del 2015, la confezione delle palline di Natale conservata per scopi non meglio precisati. Carta, plastica, vetro, vetro, carta, carta, plastica, generico (dove vanno i nastrini di raso che tenevano insieme la bomboniera del cugino Riccardo? I bottoni? Dove vanno i bottoni?). Ti liberi di cose inutili e il tuo spirito si alleggerisce, ricomincerai daccapo con lo stretto necessario, addio mondo materiale, diventerai monaco buddista, donerai le camice di quando eri una esse ai magri bisognosi e quelle di quando eri una doppia icselle ai grassi bisognosi. Non ti servirà altro. Ti chiudi la porta alle spalle, saluti le mura del palazzo, le scale di granito, entri in macchina, giri la chiave, metti in moto, fai un lungo respiro. Un boomerang se ben costruito e lanciato nel modo corretto torna sempre al punto di partenza. Può capitare però che a causa di condizioni di forte vento il boomerang abbandoni l’abituale traiettoria circolare per cadere lontano dal lanciatore, in un luogo imprevedibile che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

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SPIRITO

LUGLIO - SETTEMBRE 2017 Parlare e tacere a tempo è la vera saggezza

Un giorno accadde 28 agosto 1963. Durante una manifestazione per i diritti civili che radunò 200.000 persone, davanti al Lincoln Memorial di Washington Martin Luther King tenne il famoso discorso noto con il titolo di “I have a dream”, divenuto poi uno dei più famosi del XX secolo. In esso King esprimeva la speranza che un giorno la popolazione di colore avrebbe goduto degli stessi diritti dei bianchi

Ho sognato… ... di viaggiare – 30 –

Il viaggio onirico indica curiosità, vivacità intellettuale e spesso il desiderio di liberarsi da vincoli affettivi o professionali troppo stretti. Insomma, sognare di viaggiare è sinonimo della volontà di voltare pagina, di dare una svolta alla noiosa quotidianità, dell’aspirazione di mettere in atto cambiamenti di rotta.

Barbanera buongustaio Spiedini di Mazzancolle Tempo (min.): 60 Difficoltà: Facile Calorie per porzione: 220

INGREDIENTI (per 4 persone): 24 mazzancolle - 2 limoni biologici - un ciuffo di prezzemolo - uno spicchio d’aglio - mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva - sale e pepe. Diluire nell’olio e nel succo di mezzo limone un trito di aglio e prezzemolo. Regolare di sale e pepe e sbattere il tutto con una forchetta. Infilare le mazzancolle su 4 spiedini (6 per ogni spiedino) e cuocerle su una griglia caldissima, preferibilmente su brace di carbonella. Rigirare gli spiedini per ottenere una cottura uniforme, quindi disporli sul piatto di portata irrorando con la salsina preparata e guarnendo con limone a spicchi.


BUONE ECOPRATICHE

d’Estate

VASI DI TERRACOTTA PER UN NUOVO TAVOLINO

Spesso in giardino ci sono vecchi vasi di terracotta inutilizzati da tempo che si possono facilmente riciclare impilandoli per grandezza decrescente, ricavandone la base di un tavolino. Per questioni di stabilità conviene partire da un vaso di almeno 40 cm di diametro. Il piano del tavolo andrà avvitato e fermato con un bullone sull’ultimo vaso, usando il buco che il vaso ha già e creandone uno al centro del piano che si sceglie. Il tavolo potrà avere altezze diverse a seconda delle necessità: basta togliere o aggiungere dei vasi dal basso.

FESTE E RACCOLTA DIFFERENZIATA

Se si dà una festa per molte persone senza disporre di aiuti domestici, è necessario mettere vicino ai buffet diversi bidoni per la raccolta dei rifiuti. Ognuno dovrà avere una scritta che indichi cosa vi si può gettare: solo carta, solo bottiglie di vetro, solo lattine, solo resti di cibo, solo plastica, solo mozziconi di sigarette. Si eviterà, alla fine della festa, di dover separare le bottiglie di vetro da quelle di plastica, trovandole tutte imbrattate di mozziconi e cibo, e si potrà riciclare correttamente tutto.

PESCANDO QUA E LÀ!

Cetrioli, alleati di bellezza Capita a volte di trovarsi con occhi affaticati, borse e occhiaie. In questo caso i cetrioli possono offrire un aiuto efficace. Basta tagliarne un paio di fettine e appoggiarvele. I cetrioli rinfrescano gli occhi grazie alle loro proprietà decongestionanti, schiariscono le zone scure, sgonfiano le borse e ringiovaniscono l’aspetto della pelle. Per rendere completo questo semplice trattamento, le fettine vanno tenute in posa per 10 minuti. Poi si sciacqua e si idrata la zona del contorno occhi con un po’ di olio di mandorle.

L’oroscopo di Barbanera ARIETE Propensi all’interiorità ma anche sicuri del fatto vostro, tanto che saprete rispondere colpo su colpo a chi tenterà di insinuare dubbi nelle vostre certezze.

BILANCIA Lo spirito elitario di Urano all’opposizione vi rende speciali, perciò non vi mescolate a chi vibrasu un’altra lunghezza d’onda. Socievolezza sì, ma selettiva!

TORO Al lavoro è tempo di seminare: il terreno è fertile e voi siete in piena armonia con tutto ciò che vi circonda. Siete aperti e disponibili verso gli altri.

SCORPIONE Attenzione puntata sul lavoro. Tutto può succedere a stretto giro, specie se nell’ambiente si parla di trasferimento. Amici fidati vi danno i giusti consigli.

GEMELLI Potrete appagare il vostro spirito libero grazie alle promettenti prospettive che s’intravedono all’orizzonte, molto vantaggiose per rendervi indipendenti.

SAGITTARIO Una storia d’amore complicata, contrastata ma stimolante, potrà richiedere disponibilità a mettervi in gioco. Conflitto aperto tra apparenza e sostanza.

CANCRO Siete nelle condizioni ottimali per dare il meglio, ricettivi alla voce interiore che vi indica la giusta direzione. Piccoli cambiamenti nel ménage a due.

CAPRICORNO Di qualità ne avete da vendere, a cominciare dalla perfetta efficienza, ma è l’eccesso di ambizione che vi penalizza: pretendete troppo da voi stessi e dagli altri.

LEONE I contatti con l’estero non vi deludono mai. Specie se avete organizzato le vacanze in un luogo che v’intriga, ipotizzate di trasferirvici in pianta stabile.

ACQUARIO Conciliando il vostro bisogno di libertà col rispetto dell’altro e con i ritmi della coppia, troverete la ricetta della felicità. Incontri piacevoli e intriganti.

VERGINE Ogni cosa, magicamente, sembra prendere la piega migliore. E questo vi autorizza a sperare che, a breve, alcune questioni possano trovare una soluzione.

PESCI Accettare un incarico originale può rivelarsi un’avventura interessante e un modo per dare nuovo smalto al curriculum. In coppia, apritevi di più al dialogo.

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EVENTI

LUGLIO - SETTEMBRE 2017

RISORGIMARCHE

POPSOPHIA Pesaro (PU)

Sibillini e dintorni

ARMONIE DELLA SERA www.armoniedellasera.it dall’8 luglio al 24 agosto

dal 12 al 16 luglio

PAROLE DELLA MONTAGNA Smerillo (FM)

MACERATA OPERA FESTIVAL 53° stagione lirica Macerata (MC)

SUMMER JAMBOREE Senigallia (AN)

scopri le date su www.risorgimarche.it

dal 16 al 23 luglio

ROSSINI OPERA FESTIVALPESARO (PU)

dal 10 al 22 agosto

dal 20 luglio al 14 Agosto

FESTIVAL E STAGIONE LIRICA Pergolesi Spontini Jesi/ Maiolati Spontini e dintorni

dal 7 agosto al 17 settembre

dal 26 al 30 luglio

PIF 2017 Castelfidardo (AN) dal 10 al 17 settembre



CAMPAGNA ABBONAMENTI 2017

6 NUMERI 5,00

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196/03, nonchè consenso espresso al trattamento ex art. 23 d.lgs. 196/03 in favore dell’Azienda.




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