12 e 19 novembre 2017 - Serra
APPASSIMENTI A
degustazione della Vernaccia di Serrapetrona Docg e del Serrapetrona Doc Comune di Serrapetrona
apetrona (MC)
APERTI
LE CANTINE ADERENTI:
Alberto Quacquarini Colleluce Fontezoppa Lanfranco Quacquarini Podere sul lago Terre di Serrapetrona Vitivinicola Serboni
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EDITORIALE
GRANDI E UMILI Questo numero della rivista mette in luce le tante particolarità marchigiane, prevalentemente incentrate sulla ricchezza (in senso immateriale) della terra, del paesaggio, in prevalenza collinare e montuoso, che finisce per abbracciare il versante adriatico dell’Appennino umbro-marchigiano con le sue spiagge sabbiose. Ma non saremmo le Marche se non fossimo anche un territorio di storia, di tradizioni, di leggende, di racconti misteriosi. La cucina stessa ci contraddistingue con dei piatti succulenti o essenziali che si trovano qui e non altrove. Insomma, nel terzo millennio stiamo diventando una seconda Toscana, se è vero che non abbiamo nulla da invidiare a regioni solo sulla carta più titolate di noi. Ma non ci interessa esclusivamente ciò che è noto. La rivista passa in rassegna anche l’inedito, l’originale, come abbiamo sottolineato altre volte: giovani e meno giovani che si cimentano nell’arte, nella creatività, con pacatezza e senza far rumore, prendendo spunto proprio dall’habitat naturale. Le Marche hanno molte virtù che dimostrano una verità di Albert Enstein: “Quel che vedo nella natura è una struttura magnifica che possiamo capire solo molto imperfettamente, il che non può non riempire di umiltà qualsiasi persona razionale”.
ALESSANDRO MOSCÈ
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FIERA DEL TARTUFO BIANCO NAZIONALE DI ACQUALAGNA COMUNE DI ACQUALAGNA
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29. OTT / 1.4.5.11.12. NOV 2017
Info: Ufficio Turistico Comune tel. 0721.796741 - www.acqualagna.com Provincia di Pesaro e Urbino MAIN SPONSOR
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TECHNICAL PARTNER
SOMMARIO P.8
A G O R A’
8 LE MARCHE INCANTATE
ANIMA 30 IL PATRIMONIO DI LORO PICENO 32 LE ERBE SPONTANEE 34 A SAN MARTÌ 36 BIODIVERSITÀ NELL’ORTO ANTICO 38 LA LINEA DI SAN MICHELE
Direttore Responsabile: Alessandro Moscè REDAZIONE Editor Silvia Brunori Luca Capponi Roberto Ceccarelli Stefania Cecconi Ilaria Cofanelli Silvia Conti Andrea Cozzoni Stefano Longhi Tommaso Lucchetti Gaudenzio Tavoni
MENTE 48 AMAROK 56 TURISMO SLOW 60 FESTA DELLA LAUREA 62 VICENDA BANCA MARCHE
P.41
Marketing & P.R. Raffaella Scortichini r.scortichini@whymarche.com Concept: Theta Edizioni info@whymarche.com
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PRIMO PIANO
Registrazione Tribunale di Ancona n° 15/10 del 20 Agosto 2010 Sede Legale: Via Monti 24
41 BIKERS MARCHE
60030 Santa Maria Nuova - Ancona www.thetaedizioni.it - info@thetaedizioni.it Stampa: Tecnostampa:
P.14 I PARCHI
I PERCORSI DI WHY MARCHE
Via Le Brecce - 60025 Loreto (AN)
SPIRITO 64 GIOVANI CINEASTI A VENEZIA 66 LA POESIA NARRATIVA 68 CORRO IN PALESTRA 70 I CONSIGLI DI BARBANERA 72 EVENTI
Abbonamenti: abbonamenti@whymarche.com Chiuso in redazione il 13 ottobre 2017 Photo copertina - Shutterstock
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A G O R A’
ANTONIO PAOLUCCI TESTIMONIAL DELLE “MARCHE INCANTATE”
“Pluralità di culture, di inflessioni linguistiche, di sapori dei cibi, di temperamenti degli abitanti nello spazio di pochi chilometri” è come Antonio Paolucci racconta le Marche. Lo storico dell’arte Antonio Paolucci è tra i 25 testimonial della nuova campagna promozionale realizzata per far comprendere la bellezza della nostra regione Marche.
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di Silvia Conti Ha ricoperto il ruolo istituzionale di Ministro per i beni culturali e ambientali dal 1995 al 1996 durante il Governo Dini. Durante la sua carriera si occupa del recupero e del restauro di varie opere e complessi architettonici. Tra questi vi è la Basilica di San Francesco ad Assisi di cui sovrintende i lavori a seguito del terremoto del 1997 in qualità di Commissario straordinario del Governo. Nella primavera del 2008 viene chiamato a presiedere una speciale commissione tecnicoscientifica per il progetto di risistemazione dell’antica piazza Duca Federico a Urbino. E nello stesso anno, a seguito dell’impegno profuso nel progetto della piazza di Urbino, viene nominato cittadino onorario. Oggi, Antonio Paolucci torna nelle Marche in qualità di testimonial per raccontarci questa “terra incantata”.
NELLA SUA VITA HA RICOPERTO DIVERSI RUOLI. QUALE ESPERIENZA LO HA MAGGIORMENTE COINVOLTO PERSONALMENTE E PROFESSIONALMENTE?
Dal punto di vista professionale e direi soprattutto dal punto di vista umano, nella mia lunga carriera, l’evento che ricordo con maggiore soddisfazione è stato il restauro della Basilica di San Francesco d’Assisi dopo il sisma del ‘97. Fui nominato Commissario governativo per l’intervento di restauro e questo mio impegno che è durato due anni circa si è concluso in anticipo di qualche mese sulla data prevista. Dal punto di vista umano è stato importante lavorare con i restauratori e aver contribuito al salvataggio di uno dei monumenti più importanti d’Italia.
COM’È STATA L’ESPERIENZA DA MINISTRO DEI BENI CULTURALI?
Quando sono stato Ministro dell’allora Governo tecnico Dini, ‘95-‘96, la situazione politica era lontana anni luce da quella odierna. Sono stato l’unico Ministro tecnico storico dell’arte nella storia della Repubblica. Essendo un tecnico e non avendo interessi politici specifici, ho fatto durante quel periodo quello che sapevo fare e credevo di fare al meglio, ovvero il sovrintendente d’Italia. Non ho fatto altro che girare tra le sovrintendenze discutendo e confrontandomi con loro.
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A G O R A’
QUALI SONO STATE LE AZIONI PIÙ SIGNIFICATIVE DELLA SUA OPERA DI MINISTRO DELLA REPUBBLICA?
Aver risolto la questione dell’eredità Bardini che ha permesso di acquisire nuovi capolavori importantissimi al Museo degli Uffizi e al Museo del Bargello. Tra questi il Trittico di Antonello da Messina e lo stemma Martelli. Tra le azioni più significative vi è certamente la riforma che sembra minimalista ma che è estremamente importante. La riforma in questione ha permesso di trasformare il ticket di accesso da tassa a biglietto. Questo ha significato che il prezzo del biglietto poteva essere modulato a seconda delle esigenze e che a quel prezzo si poteva agganciare il costo delle mostre agli Uffizi, come alla Galleria Borghese di Roma o a Capodimonte di Napoli. Sono state piccole modifiche tecniche che solo uno che faceva il mestiere di sovrintendente poteva capire e
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realizzare.
QUALI SONO I PRIMI RICORDI CHE LA LEGANO ALLA REGIONE MARCHE?
I Paolucci sono originari di Urbino quindi ho radici marchigiane in famiglia. I miei primi interessi hanno riguardato proprio la storia artistica delle Marche del 400 e del 500. Ho studiato Girolamo Di Giovanni, Bernardino di Mariotto, Lorenzo Di Alessandro. C’è stato un periodo della mia vita di gioventù durante il quale attraversavo spesso le Marche. Credo di conoscere bene le sue tante piccole capitali. Ed è allora che ho capito che, questa piccola regione di 8000 chilometri quadrati, sono grandi come un continente. Non è un caso che si nominano al plurale. Attraversando le Marche, da nord a sud, di valle in valle, ci si accorge che portano il nome dei fiumi dagli Appennini. Verso il mare, il Metauro, quindi l’Esino,
quindi il Tronto, vediamo che cambia il sapore dei cibi, cambia la lingua, cambia il temperamento degli uomini, cambia il carattere delle donne, cambiano i proverbi e le tradizioni. Attraversando le Marche si fa una full immersion in una civiltà plurale: questo è l’aspetto che delle Marche mi ha sempre affascinato. E poi accorgersi, studiando i pittori come siano costellate di piccole capitali. Pensate a Pesaro che è stata la sede d’Italia dei Montefeltro e poi della Rovere che stavano ad Urbino, o a Camerino dei Tabarano o a Urbino con il Palazzo Ducale. Bisogna averle percorse e studiate come ho fatto io per comprendere la loro bellezza e la loro intrigante varietà di storie e di culture.
QUALE IL VALORE DEL PATRIMONIO STORICO, CULTURALE, ARCHITETTONICO E PAESAGGISTICO DELLE MARCHE NEL SISTEMA ITALIA? E’ BEN RICONOSCIUTO E VALORIZZATO? Ciò che caratterizza le Marche e quella parte d’Italia che parte dalla Toscana, passa per l’Umbria e giunge qui, è che tutto è avvenuto dal punto di vista della storia dell’arte con Raffaello, Michelangelo e Bramante. I popoli che abitano questa zona sono consapevoli di questo storico primato. Ciò che salva questa zona, più che le sovrintendenze o le amministrazioni pubbliche, sono l’orgoglio e la consapevolezza che i cittadini hanno di questa parte d’Italia e della loro storia e civiltà.
CHE VALORE ASSUME PER LEI ESSERE TESTIMONIAL DI UNA REGIONE NUOVAMENTE E RECENTEMENTE COLPITA DAL SISMA?
Sono orgoglioso di poter portare il mio contributo per salvare il salvabile dopo il terribile terremoto.
PERCHÉ E COME NASCE QUESTA FAVOLA DELLE “MARCHE INCANTATE”?
Per capire come nasce questa favola bisogna attraversare le Marche, non facendo l’autostrada ma percorrendo le strade interne e le colline. Questa è la parte per fortuna ancora intatta delle Marche. Mentre la costa è stata rovinata e devastata dall’edilizia turistica, all’interno troviamo ancora i paesaggi di Gentile da Fabriano, di Forchetti da San Ginesio e di Paolo da Visso. Percorrendo piano piano il tragitto, vediamo le colline, le coltivazioni e le strade bianche. Lo facevo da giovane e continuo a farlo quando posso.
VORREMMO PERCORRERE INSIEME A LEI LE “MARCHE INCANTATE” COME IN UN VIAGGIO. CI FA DA CICERONE?
Partiamo dalla Valle del Marecchia, dove la Romagna si sposa con le Marche. E se attraversiamo la valle ci accorgiamo che il paesaggio fatto di ghiaie, di nebbie leggere e colline scheggiate è lo stesso paesaggio che Piero della Francesca ha dipinto nel fondale dei ritratti dei Duchi che stanno agli Uffizi. Proseguiamo poi attraverso le colline per arrivare ad Urbino. E qui ci fermiamo davanti ai torricini e alla facciata del Palazzo Ducale, progettata da Luciano Laurana. Prima di arrivare al Palazzo Ducale, vi porterei nella Piazza del Mercatale e vi mostrerei la Data, un grande edificio in mattoni in origine caserma dei mercenari di Federico da Montefeltro. Qui Federico da Montefeltro, il quale vi teneva la sua cavalleria corazzata, arma risolutiva nelle guerre del ‘400. Federico da Montefeltro era un signore che investiva i proventi del suo mestiere di mercenario e signore della guerra nell’arte e nella cultura. Ha edificato la Biblioteca trilingue (greca, latina e giudaica) dove ha raccolto i capolavori dell’arte europea. E così continueremmo il nostro viaggio toccando le città e le piccole capitali della Marca interna come Osimo, Fermo e Macerata. Macerata era la sede del Governo Pontificio che governava le Marche quando esse erano parte dello Stato Pontificio. Arriviamo così ad Ascoli Piceno, al suo Duomo e alla sua Piazza dei Signori. In questa città si incrociano tutte le tendenze della cultura figurativa marchigiana, ma anche veneziana. Le più belle opere del Marco Crivelli nella zona tra Camerino, capitale dei Bavarano, e Ascoli. Poi vi porterei con me a Cingoli, il balcone delle Marche. Nella piazza di Cingoli vi è il Palazzo Comunale progettato da Cola della Matrice. Di fronte avete la chiesa, ora museo di San Domenico. Qui Lorenzo Lotto ha lasciato uno dei suoi quadri più belli, la Madonna del Rosario, dove ci sono in primo piano due putti che stanno prendendo a piene mani dei petali di rosa. Una magnifica nevicata di petali di rosa. Poco più avanti troviamo il famoso balcone dal quale vediamo i Monti Sibillini con il Monte Vettore dove c’è la grotta della Sibilla che rappresenta l’Italia antichissima delle profezie. Queste sono le Marche.
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ANIMA
R U O T N U I T N A M PER GLI A E D R E V L DE
PARCO NAZIONALE DEL MONTE SAN BARTOLO
PARCO NAZIONALE DEL SASSO SIMONE E SIMONCELLO RISERVA NATURALE LA GOLA DEL FURLO
PARCO NAZIONALE DEL MONTE CONERO
RISERVA NATURALE DI RIPA BIANCA
PARCO NAZIONALE GOLA DELLA ROSSA E DI FRASASSI
RISERVA NATURALE DEL MONTE SAN VICINO E DEL MONTEÂ CANFAITO
RISERVA NATURALE ABBADIA DI FIASTRA PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI
RISERVA NATURALE SENTINA
PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO E DEI MONTI DELLA LAGA
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Photo Andrea Tessadori
I PERCORSI DI WHY MARCHE Da sempre le Marche hanno affascinato il visitatore per una miriade di peculiarità tra le quali spicca la bellezza dei paesaggi naturali che contraddistinguono la regione. Da nord a sud, infatti, il territorio mette in mostra il perfetto connubio tra dolci colline, impervie montagne e spiagge meravigliose. In particolare, gli amanti del verde non resteranno delusi: il patrimonio naturalistico delle Marche è molto vasto e si articola in quasi 90.000 ettari divisi in ben due parchi nazionali (Parco Nazionale dei Monti Sibillini, Parco del Gran Sasso e Monti della Laga); quattro regionali (Monte Conero, Sasso Simone e Simoncello, Monte San Bartolo, Gola della Rossa e di Frasassi); senza dimenticare le sei riserve naturali (Abbadia di Fiastra, Montagna di Torricchio, Ripa Bianca, Sentina, Gola del Furlo, Monte San Vicino e Monte Canfaito). Ciascuna area è custode di tradizioni, specie particolari di flora e fauna, di storie e leggende e ciascuna di esse è mèta di appassionati di particolari sport.
A cura di:
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ANIMA
PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI
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l Parco Nazionale dei Monti Sibillini si caratterizza di una catena montuosa di oltre 20 vette intorno ai 2.000 mt. di altitudine, tra le quali spicca con i suoi 2.476 mt. il Monte Vettore. L’area del parco è molto vasta ed oltre alle bellezze naturalistiche, caratterizzate da una vegetazione rara e pregiata (oltre 1900 sono le specie floristiche), vivono specie di mammiferi protette ed in via di estinzione, come il gatto selvatico o il capriolo, o ancora uccelli come l’aquila reale e il falco pellegrino. Nascono, inoltre, dai Monti Sibillini anche numerosi miti e leggende come quelli sul Guerrin Meschino e sulla fata Sibilla, legati a posti incantati e magiche presenze sui monti. Ad oggi, per conoscere e godere del parco, sono stati individuati 18 “Sentieri Natura” cioè percorsi non troppo impegnativi adatti anche ad escursionisti poco esperti, 17 percorsi escursionistici prevalentemente di alta quota per i quali occorre allenamento ed idonea attrezzatura e ben 14 percorsi in bicicletta da montagna. Photo Andrea Tessadori 16 | WHY MARCHE
I PERCORSI DI WHY MARCHE PARCO NAZIONALE
DEL GRAN SASSO E DEI MONTI DELLA LAGA
O
ltre le Gole del fiume Tronto, a confine con l’Abruzzo, regione nella quale si estende maggiormente, nasce il Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, che occupa 9.900 ettari di territorio marchigiano. Il Parco racchiude tre gruppi montuosi: la catena del Gran Sasso d’Italia, il massiccio della Laga, i Monti Gemelli e si caratterizza per la presenza della vetta più alta dell’Appennino, il Corno Grande, che raggiunge i 2912 mt. Tanti i luoghi suggestivi racchiusi in quest’area, tra i quali troviamo numerosi corsi d’acqua, in particolar modo quello dal quale nascono le Cascate della Volpara. Dove il parco penetra nel territorio delle Marche, piccoli borghi dalle tipiche architetture si fondono nei castagneti secolari, ove è facile scoprire tesori d’arte, di cultura e di archeologia come castelli, eremi e abbazie. Photo Andrea Tessadori WHY MARCHE | 17
ANIMA
PARCO NAZIONALE DEL
MONTE CONERO
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ra i parchi regionali, quello del Monte Conero si estende per circa 5.800 ettari. Comprende centri balneari di notevole importanza come Sirolo e Numana e si contraddistingue senza dubbio per la vista mozzafiato sul mare ed in particolare sulla baia di Portonovo. Di particolare importanza la cava di Massignano, oggi attrezzata per le visite. Un vero paradiso, ideale per gli amanti dello sport: percorsi in mountain bike o a piedi nei numerosi sentieri che lo attraversano e che raggiungono l’apice delle sfumature in primavera con la fioritura delle ginestre. Surf, vela, immersioni nelle limpide acque e pesca sono gli sport praticati. Gli itinerari sono percorribili con l’aiuto della segnaletica, della carta per escursionisti e, su richiesta, delle guide abilitate. La fruizione del parco è possibile anche ai più piccoli per i quali sono stati studiati percorsi particolari, volti alla sensibilizzazione verso l’educazione ambientale. Photo Andrea Tessadori 18 | WHY MARCHE
I PERCORSI DI WHY MARCHE PARCO NAZIONALE DEL SASSO SIMONE E SIMONCELLO
PARCO NAZIONALE DEL
MONTE SAN BARTOLO
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l Parco del Sasso Simone e Simoncello si trova a cavallo tra la regione Marche e l’Emilia Romagna nella suggestiva area del Montefeltro ed è caratterizzato dal gruppo montuoso del Monte Carpegna, che con i suoi 1415 mt. di altezza è la vetta del parco e spartiacque tra la Valle del Foglia e la Val Marecchia. Il comprensorio del Sasso e Simoncello è costituito da blocchi calcarei originariamente formatisi nell’area dell’odierna Liguria e lentamente scivolati verso l’attuale posizione. Dalla cima dei due rilievi si può ammirare un magnifico panorama a 360 gradi. La zona è molto apprezzata dal punto di vista sportivo: sono, infatti, presenti una attrezzata stazione sciistica, ma anche percorsi per gli appassionati di ciclismo, uno tra tutti la famosa salita del Cippo di Carpegna, divenuta tale perché qui si allenava il campione romagnolo Marco Pantani.
I
l parco del Monte San Bartolo è compreso nell’area tra Pesaro e Gabicce Mare. La quota delle cime sfiora i 200 mt. e alla base della falesia rimane una sottile spiaggia di ciottoli frutto del franamento delle pareti sovrastanti. Sul complesso collinare interessante è la visita dei nuclei abitati di Santa Marina Alta, Fiorenzuola di Focara, Casteldimezzo e Gabicce Monte facilmente raggiungibili percorrendo una strada panoramica. Dal punto di vista storico, presenta una grande varietà di elementi: dai siti archeologici del neolitico nelle zone di Monte Castellaro e di Colombarone sull’antica via Flaminia, ai porti scomparsi di origine greca di S. Marina e Vallugola. A mezza costa sul Monte San Bartolo si erge la Villa Imperiale, residenza rinascimentale e luogo di incontro di letterati e artisti tra i quali spiccano gli illustri nomi di Torquato Tasso e Pietro Bembo.
Photo Andrea Tessadori WHY MARCHE | 21
ANIMA
PARCO NAZIONALE
GOLA DELLA ROSSA E DI FRASASSI
I
l parco Gola della Rossa e di Frasassi è ben noto per il complesso ipogeo delle Grotte di Frasassi. Racchiude i comuni della provincia di Ancona di Serra San Quirico, Arcevia, Fabriano e Genga. Anche questo parco è avvolto da leggende come quella della Grotta dell’Infinito e dei due innamorati che qui consumarono la loro triste storia d’amore, poiché per uno strano sortilegio furono trasformati lei in una capra e lui in un masso a guardia della grotta. Il parco offre la possibilità di escursioni nei suoi sentieri ammirando gli interessanti fenomeni naturali che coinvolgono quest’area: il carsismo e la presenza di sorgenti sulfuree. Splendido esempio carsico è appunto la suggestiva Gola di Frasassi, scavata dalle acque erosive del fiume Sentino che per millenni ha modellato questo territorio, creando dirupi rocciosi e dando origine ad un regno sotterraneo di ineguagliabile splendore: le Grotte di Frasassi che quest’anno, proprio in ottobre, festeggiano il 46° anniversario dalla scoperta. Photo Andrea Tessadori 22 | WHY MARCHE
I PERCORSI DI WHY MARCHE RISERVA NATURALE ABBADIA DI FIASTRA
RISERVA NATURALE DI RIPA BIANCA
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ra le riserve naturali delle Marche, l’Abbadia di Fiastra abbraccia zone dei comuni maceratesi di Urbisaglia e Tolentino e nasce per proteggere le terre appartenute ai monaci cistercensi e da loro plasmate nel corso dei secoli. Il cuore della riserva è costituito dalla “Selva”, un luogo boscoso e solitario dove i monaci cirstercensi si ritiravano in preghiera per lunghi periodi. Una splendida distesa verde caratterizzata da una morfologia fluviale, nata proprio dai fiumi Fiastra e Chienti che la costeggiano, nella quale è possibile ammirare l’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra con l’annesso monastero, perfettamente conservato e ancora abitato dai monaci. Per chi lo volesse vi è la possibilità di partecipare alla vita religiosa del luogo, immergendosi in un’atmosfera di totale spiritualità. Photo Andrea Tessadori
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a riserva Ripa Bianca ricade nel comune di Jesi (An). É visitabile secondo calendari ed orari prestabiliti e consultabili sul sito ufficiale: www.riservaripabianca.it. Spesso qui si organizzano attività di sperimentazione ecosostenibile del territorio finalizzate a conciliare la tutela della biodiversità con la presenza delle attività umane e sempre più utenti decidono di trascorrere il loro tempo immersi nella biodiversità dell’oasi.
Photo Fabio Fazi WHY MARCHE | 23
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RISERVA NATURALE LA GOLA DEL FURLO
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a Gola del Furlo è una riserva che interessa alcuni comuni della provincia di Pesaro e Urbino quali Acqualagna, Cagli, Fermignano, Fossombrone ed Urbino. La rete di sentieri per la fruizione del parco sono stati recentemente rivisitati e completati di segnaletica internazionale. Consentono visite sia sul lato del Monte Pietralata che su quello del Paganuccio. Sono di diversa difficoltà e ci si sta orientando verso progetti di “natura senza barriere” per la valorizzazione dell’accessibilità del territorio anche per persone con disabilità motorie. Di particolare interesse è il sentiero che conduce dalla diga sul Candigliano fino alla Terrazza del Furlo, punto panoramico con vista sulla gola e sulle sue spettacolari pareti calcaree. Da visitare, inoltre, l’Abbazia di S. Vincenzo del XI°sec. e la Galleria Piccola del Furlo risalente al periodo etrusco. Photo Andrea Tessadori 24 | WHY MARCHE
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I PERCORSI DI WHY MARCHE
ANIMA
RISERVA NATURALE
RISERVA NATURALE DEL MONTE SAN VICINO E DEL MONTE CANFAITO
SENTINA
L
’area Sentina, si sviluppa per circa 180 ettari all’interno del Comune di San Benedetto del Tronto (AP), confinati tra Porto d’Ascoli e il fiume Tronto. Ospita una ricca e peculiare flora ormai scomparsa del tutto sul litorale adriatico a causa dell’attività dell’uomo. Caratteristiche di questo territorio sono le torrette difensive, testimonianza di un passato a difesa da incursioni di pirati dal mare. Il fortino della Sentina ne è un esempio, costruito prima a difesa dalle incursioni e poi utilizzato come punto di sorveglianza sanitaria durante il periodo della pestilenza. Tutte le stagioni si prestano per la visita della riserva. riserva, alcune di Alcune di queste queste possono possono essere essere svolte svolte in in maniera maniera autonoma come il “birdwatching” specie durante il periodo delle migrazioni, altre invece sono organizzate dal CEA (Centro di Educazione Ambientale) “Torre sul Porto”. Photo Patrizia Malizia 26 | WHY MARCHE
G
randioso spazio di natura incontaminata, infine, è infine, è quello compreso quello compreso nella riserva nellanaturale riserva naturale del Monte del Monte San VicinoSan e delVicino Monte Canfaito, e del Monte Canfaito, ricadente nei ricadente comuni maceratesi nei comuni dimaceratesi Apiro, Gagliole, di Apiro, Matelica, Gagliole, San Matelica, Marche. Severino San Severino E’ caratterizzata Marche. E’ da caratterizzata un paesaggio da un paesaggio dolce ed armonioso dolce ed armonioso fatto di zone fatto boschive, di zonecostituite boschive, costituite soprattutto soprattutto da vaste faggete, da vastehabitat faggete, di habitat lupi, caprioli di lupi, e caprioli del particolare e del particolare picchio rosso. picchio Il nome rosso.Canfaito Il nomesignifica Canfaito significa di “campo “campo faggi” di edfaggi” è proprio ed èqui proprio che èqui possibile che è trovare ilpossibile più grande trovare faggio il più delle grande Marche. faggio Lo delle si raggiunge Marche. Lo si raggiunge da San Severino da San Marche, Severino in provincia Marche,diinMacerata, provincia di Macerata, per passando passando la strada perche la strada porta al che castello porta di Elcito, al castello di Elcito, altro punto altro di notevole punto di notevole interesse interesse della zona. della L’area, zona. L’area specie specie in autunno, in autunno si veste si di veste un tripudio di un tripudio di colori di colori ed edmèta è è mèta di numerosi di numerosi appassionati appassionati di fotografia di fotografia e die di escursioni alla volta del tramonto per coloro che hanno semplicemente necessità di ricaricare lo spirito di energie nuove. Photo Fabio Fiori
ANIMA
LORO PICENO
e la Rete Museale dei Sibillini: un sistema di valorizzazione territoriale
UN VERO PATRIMONIO ARTISTICO DIMENTICATO Loro Piceno è un comune della provincia di Macerata che sorge su una collina nella zona compresa tra Macerata, San Ginesio e il torrente Fiastra. Il nome del comune deriva dal latino Castrum Lauri, ovvero Castello di Lauro. Il Castello, edificato probabilmente nella metà del XIII secolo, sorge sui resti di una fortificazione romana, sebbene il primo nucleo insediativo attestato risalga all’epoca pre-romana. A testimoniarlo, il ritrovamento di una stele funeraria a caratteri piceni attualmente conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Ancona. Alla fine del XIV secolo, i Signori di Loro persero il diritto sul paese e il complesso architettonico ospitò luoghi di interesse pubblico. Dalla metà del XVII secolo la struttura dell’antica rocca subì notevoli trasformazioni in quanto il castello venne adibito a monastero del Corpus Domini. L’assetto urbano di Loro Piceno è identico a quello che aveva in epoca medievale: suddiviso in quattro quartieri, è composto da vicoli e ripide salite che conducono al castello, dove si staglia una vista panoramica sui maestosi Monti Sibillini. LA CULTURA DEL VINO COTTO Visitare Loro Piceno consente di fare un tuffo nella memoria storica d’Italia e delle Marche ed immergersi
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nelle tradizioni regionali. Questo aspetto è ricordato dalla sua conformazione urbanistica che parla di una tradizione fortemente radicata, quella del vino cotto, che ha plasmato perfino l’architettura di questo comune di duemila abitanti. I palazzi che fiancheggiano le vie cittadine, infatti, sono stati conformati in funzione della pigiatura dell’uva e della bollitura del mosto, che veniva realizzata all’interno di grandi caldaie in rame poste in una struttura in muratura. Il vino che si ottiene, ancora oggi, attraverso la bollitura del mosto che viene poi fatto fermentare. Presenta caratteri forti, un colore giallo ambrato, dolce ma con un retrogusto amarognolo. Vino tipicamente marchigiano, viene chiamato dai locali anche occhju de gallu, per le sue tonalità giallastre tendenti al nocciola. Il vino cotto era particolarmente apprezzato già dai romani, che amavano banchettare con questo nettare inebriante aggiungendovi spesso del miele come aromatizzante. Lo testimoniano perfino le citazioni scritte di Plauto e Plinio il Vecchio che risalgono rispettivamente al 191 a.C. e al 70 d.C. Un tempo questo vino era consumato come bevanda energetica e dissetante, spesso allungata con acqua durante il lavoro nei campi e utilizzata in caso di malanni come un vero e proprio medicinale. Sebbene questo vino sia un prodotto tipico dalla storia millenaria, dal punto di vista legislativo ha avuto una
di Stefania Cecconi
storia piuttosto travagliata. Nel 1985, infatti, ne fu perfino vietata la commercializzazione perché, in quanto cotto, non veniva considerato propriamente un vino. Fortunatamente, nel 2000 il vino cotto è stato inserito nell’elenco nazionale dei prodotti tradizionali. Attualmente è tutelato da un’associazione di produttori, promossa dal Comune di Loro Piceno, dalle camere di commercio di Macerata ed Ascoli Piceno, che sta lavorando alla redazione di un disciplinare che consenta di arrivare ad ottenere la DOP per questo prodotto unico nel suo genere. La tradizione del vino cotto di Loro Piceno è tenuta viva nella memoria grazie al Museo permanente delle attrezzature per il vino cotto, che rappresenta una testimonianza della produzione del passato di questa bevanda tradizionale. Il percorso museale è composto da installazioni multimediali che consentono al visitatore di immergersi nelle atmosfere del passato, e dai numerosi oggetti, quali canestri, canne in vimini, cassette di legno, torchi e utensili, utilizzati per la vendemmia e per la realizzazione di questo lento processo di vinificazione. La mostra è ospitata nei suggestivi locali adiacenti il chiostro della chiesa di San Francesco. Loro Piceno, patria del vino cotto, celebra ogni anno questa antica tradizione con un festival. Nato nel 1948, inizialmente come sagra, è diventato un evento di importanza regionale e non solo. In occasione dell’ultima edizione del Festival del vino cotto, Loro Piceno con la sua nuova amministrazione guidata
dal sindaco Ilenia Catalini, insieme alla Rete Museale dei Sibillini, ha voluto dare un’impronta diversa a questo festival, sottolineandone l’aspetto culturale. Nell’edizione numero quarantasei del Festival sono stati inseriti degli eventi culturali legati ai tesori nascosti di Loro Piceno: dopo una lectio magistralis di Vittorio Sgarbi sui capolavori di Loro Piceno, nell’ambito dell’evento La Sibilla e i Nuovi Visionari, il vino è stato raccontato attraverso diverse chiavi di lettura: filosofica, medica, enogastronomica. In questa occasione Massimo Donà, filosofo e professore dell’Università San Raffaele di Milano, ha raccontato la civiltà attraverso il vino e la figura emblematica di Dioniso. L’ultima edizione, che ha avuto un’importante partecipazione del pubblico, ha segnato una svolta per il Festival del Vino cotto, ponendo importanti basi culturali ad un evento che fino ad allora era puramente enogastromico. Il Museo permanente delle attrezzature per il vino cotto fa parte della Rete Museale dei Sibillini, alla quale Loro Piceno ha aderito sposando in tal modo il progetto di impresa culturale che ne è alla base. Una svolta decisiva che indica la strada che il comune sta perseguendo e che ha permesso, aderendo all’iniziativa Capolavori Sibillini, la messa in sicurezza, dopo gli eventi sismici, del patrimonio artistico di Loro Piceno, nonché la scoperta di numerose opere che giacevano all’interno dei depositi e dunque la possibilità di riportarle alla luce e restituirgli la meritata valorizzazione.
WHY MARCHE | 31
ANIMA
GRUGNI, PAPAOLE E GRISPIGNI LE ERBE SPONTANEE SONO MOLTO USATE NELLE RICETTE TRADIZIONALI E NEGLI ULTIMI ANNI TUTTI LE VOGLIONO RIUTILIZZARE. MA CHI SONO QUESTE SCONOSCIUTE? IMPARARE A RICONOSCERLE NON È IMPOSSIBILE A PATTO DI TENERE GLI OCCHI FISSI VERSO IL TERRENO!
L
e erbe di campo erano un piatto onnipresente nella cucina dei nostri antenati contadini perché, a costo zero e disponibili quasi tutto l’anno, offrivano un concentrato di vitamine, fibre e minerali. La vergara, o un’altra donna della famiglia, aveva il compito di andare a procurare nel pomeriggio la quantità di verdure necessarie per il pasto della sera o del giorno dopo. Ai margini dei campi, della strada o del fiume, le carpiva riponendole in un cesto o nella sua parannanza, il grembiule, i cui angoli inferiori, inseriti nella fettuccia che lo reggeva alla vita, creava una specie di sacco.
PAPAVERO SELVATICO
Ogni donna raccoglieva una combinazione di erbe diverse in base alle specie conosciute e al gusto che voleva dare al piatto finito. A casa poi le ripuliva, le faceva bollire nel callà e le insaporiva, strascinandole con il lardo, per la cena e la colazione del giorno dopo. Infatti le verdure strascinate, oltre che contorno dei pasti principali, erano anche il companatico per la colazione mattutina delle famiglie più povere; altre volte erano utilizzate per la preparazione di frittate mentre solo le specie più tenere erano consumate crude in insalate. Il sapore di queste erbe è ben diverso dalle verdure coltivate e acquistabili al supermercato, forzate da abbondanti concimazioni. La raccolta è più faticosa e non sempre a portata di mano ma non è impossibile: vi offrirà soddisfazioni e vi permetterà di riscoprire questi sapori autentici.
(Papaver rhoeas)
MALVA SELVATICA
Nome dialettale: Papaole Aspetto: cespo folto di foglie frastagliate dal pelo morbido. Fiore a corolla di quattro petali rossi con ovario nero contenete i piccoli semi. Consumo e proprietà: le foglie, da cuocere insieme alle specie più saporite, hanno un sapore dolce e si raccolgono da febbraio a maggio; i petali essiccati possono essere utilizzati per la preparazione d’infusi calmanti e sedativi mentre i semi, privi di principi attivi, per la preparazione di dolci e pani.
Nomi dialettali: Marva, Nalba Aspetto: presenta un fusto eretto e legnoso, le foglie a 5 o 7 lobi sono ricoperte da una fitta peluria, i fiori a cinque petali hanno un acceso colore rosa-lilla con striature. Consumo e proprietà: germogli e foglie raccolte dall’autunno alla primavera addolciscono le verdure cotte più aspre, non avendo un sapore forte; hanno proprietà lassative per la presenza di mucillaggini. I fiori, usati per infusi e decotti, hanno un effetto emolliente e lenitivo.
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(Malva Sylvestris):
di Silvai Brunori Se volete provare, prima di iniziare eccovi alcuni consigli: Non raccogliete le verdure in prossimità di strade trafficate o altre fonti d’inquinamento; Raccogliete solo le verdure che siete sicurissimi di conoscere. Alcune erbe, anche molto simili a quelle commestibili, sono infatti tossiche; Rispettate la natura, raccogliendo solo ciò che davvero vi serve e non strappate mai la radice; Portate un coltellino e guanti di lattice per le erbe urticanti; Osservate, osservate, osservate: anche se molte piante vanno raccolte prima della fioritura, il consiglio fondamentale per imparare a riconoscerle è osservarle in ogni momento dello sviluppo e tenere a mente il luogo perché probabilmente rinasceranno lì anche l’anno prossimo; Cercate le erbe nei campi abbandonati, argini dei fossi, bordi di sentieri e boschi, ma per allenarvi al riconoscimento vanno benissimo anche i marciapiedi e le aree verdi delle città che pullulano di queste specie (ma non mangiatele!); Potete dedicarvici tutto l’anno: il periodo migliore per la raccolta è quello primaverile, ma alcune specie sono abbondanti fin dall’autunno. In estate le foglie diventano dure e ci si limita alla raccolta delle piante di cui si consumano fiori, semi o i tuberi.
“Erbe strascinate” Ingredienti per 4 persone 500 g di erbe di campo miste (cicoria, crespigni, caccialepri…) 60 g di lardo (o due cucchiai di olio), due spicchi di aglio, sale. Mondate le erbe, lavatele accuratamente e lessatele in acqua bollente salata. Sgocciolatele pressandole e tagliatele grossolanamente. In una padella fate rosolare il lardo tritato e l’aglio, aggiungete le erbe e regolate di sale. Lasciate insaporire le verdure per alcuni minuti e servite.
CACCIALEPRE
(Reichardia picroides) Nome dialettale: Scaccialepre Aspetto: cespo a rosetta con foglie tenere e carnose di colore verde-glauco con margini purpurei. Dalla rosetta emergono i fiori gialli. Consumo: le foglie si raccolgono in primavera e vanno cotte, mescolate ad atre erbe dal sapore più forte.
CICORIA SELVATICA (Cichorium intybus)
Nomi dialettali: Grugni, Rugni Aspetto: cespi di foglie allungate e dentate con costa centrale violacea. I fiori possono essere celesti con stami blu o gialli a seconda della specie. Consumo: le foglie dal sapore amarognolo possono essere raccolte dall’autunno alla primavera e possono essere mangiate crude, se tenere, o più spesso cotte.
CRESPINO, CRISPIGNI O CRESPIGNI (Sonchus oleraceus)
Nomi dialettali: Grispigne, Scurpign Aspetto: cespi con foglie crespe e frastagliate verde glauco. Consumo e proprietà: le foglie si raccolgono dal tardo autunno alla primavera, hanno un sapore delicato e gradevole, con proprietà depurative e diuretiche.
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ANIMA
Tradizioni e memorie di SAN MARTINO La festa di San Martino, 11 di novembre, era una ricorrenza tradizionale, da sempre molto sentita dalla collettività, in quanto tappa cruciale nella vita sociale. La data dedicata a questo santo, protagonista assoluto del Cristianesimo e del monachesimo del Primo Medieovo, era in realtà avvertita come importante più che nel calendario liturgico nello scadenzario civile: anticamente in alcune regioni questa era la data di apertura delle nuove annate ufficiali, scolastiche ed accademiche, giudiziarie ed amministrative, ed anche di stipula dei nuovi contratti agrari (“fare San Martino” significava traslocare) e di mercati importanti nella società rurale (l’associazione goliardica con le persone tradite è nata dalla gran presenza di animali cornuti nelle compravendite di bestiame di questi giorni). Momento cruciale per le pratiche agrarie, in particolare la svinatura, questa giornata nella percezione comune marcava poi l’avvicendarsi delle stagioni: la cosiddetta “estate di San Martino” era una sorta di consolazione di un effimero ritorno d’estate, l’ultimo tepore prima dell’ingresso definitivo della stagione autunnale. Secondo credenza popolare questo barlume di bel tempo era legato ad un episodio agiografico del santo, il dono del suo mantello ad un lebbroso infreddolito (con conseguente apparizione del sole), e conciliava una breve occasione più temperata per festeggiare l’esito conclusivo del processo in cantina, un intermezzo festoso ed un’ultima occasione comandata di spensieratezza, dopo la triste e composta commemorazione dei defunti, e prima che l’Avvento aprisse un nuovo ciclo di austerità in preparazione della festosità natalizia.
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I
l grande protagonista in questa celebrazione tra sacro e profano era appunto il vino, tra l’altro anch’esso ricorrente nella moltitudine di miracoli riferiti al Santo. Il proverbio recita
“per San Martino ogni mosto è vino” (oppure “A San Martino ogni botte è vino”).
In questa giornata si andava ad assaggiare il vino nuovo (il “vinello”) non ancora pronto, anche scambiandosi queste degustazioni sperimentali tra vicini, spillando tra le reciproche botti: c’era chi arrivava fino a sette o otto visite, accompagnate da pane, formaggio e salame. In proposito va ricordato come nel monastero di Santa Maria Maddalena a Serra de’ Conti le clarisse confezionassero nell’Ottocento delle pizze “brune”, mentre nel Montefeltro a Talamello i frati nel loro convento in prossimità di San Martino estraessero le forme di pecorino messe in alcune fosse, come attestano documenti del Settecento. Tornando agli assaggi della svinatura naturalmente le cantine che, secondo la considerazione collettiva garantivano sempre vino buono, rappresentavano una meta obbligata: si diceva che si andava
di Tommaso Lucchetti
“a forare la botte”. Assaggio dopo assaggio (in tanti ricordano grandi sbronze finali) nelle campagne attorno a Pergola si ricorda una canzoncina:
“Bevi bevi compagno sennò t’ammazzerò / non m’ ammazzar compagno che adesso bevrò / e dopo aver bevuto e non m’ ha fatto male / l’acqua fa male e il vino fa cantare/ e il sugo nella gresta mi fa girar la testa!”
Osti e ristoratori di una volta ricordano come fossero in particolare i vecchi, ormai sapienti di una lunga esperienza vinaria maturata in assaggi pluridecennali, ad andare nelle cantine grosse a testare il vino nuovo, che secondo il loro giudizio veniva venduto. Nelle bettole si comprava un etto di alici da mangiare, in modo da avere sete ed essere invogliati continuamente a bere. In proposito va detto come le acciughe rappresentino un rito autunnale tradizionale del Piemonte, in quanto ingrediente della bagnacauda, rituale conviviale di San Martino, nelle abbazie come nelle
campagne di quel territorio. Sempre in merito ai consumi “di magro” un supremo digiunatore come San Giacomo della Marca (originario di Monteprandone) nella festa di San Martino del 1464 fu rifocillato dai frati di Assisi con pesce d’acqua dolce cucinato con spezie e noci. Ancora oggi invece alcuni “grottaroli” di Ancona celebrano San Martino al mare novembrino del Passetto, onorando con una “stoccafissata” la loro specialità cittadina. San Martino è però anche celebrazione fastosa “di grasso” con la carne, dall’oca arrosto tradizionale nel settentrione fino a Bologna (il pennuto è legato al culto e all’agiografia di San Martino. Questo è il periodo in cui viene conciato per conserve e salumi), e nel Veneto alla trippa, pietanza questa legata alle trattorie durante le fiere di bestiame. Nelle Marche, come anche nella poesia del toscano Carducci, San Martino è giornata di cacciagione, propiziata dalla presenza nel periodo di molte prede, perché gli uccelli in migrazione verso mete lontane e calde si fermavano qui per mangiare o riposare. Anche mediante trappole con esche si prendevano tanti uccelletti che si facevano poi in umido per la polenta, o arrostiti allo spiedo, con lardo o addirittura goletta, aromatizzati con aglio, salvia ed alloro, e guarniti anche con fettine o spicchi di patate, ungendoli costantemente con una penna di pollo o oca impregnata di strutto. A Sassoferrato con merli e tordi si preparava il sugo per condire le tagliatelle. Per la cena di San Martino ad Arcevia si ricorda la cena con carne o salsiccia alla graticola e con le castagne, altra presenza irrinunciabile ed in assoluto tradizionalmente caratteristica di questa giornata: nelle case la “boccaletta” del vino nuovo, magari ancora non maturo ma frizzante, veniva accompagnato con le caldarroste, raccolte o comperate, prima “castrate”, ossia incise in modo che durante le cottura il vapore fuoriuscisse), e poi messe ad arrostire sulla brace, ricoperte di cenere e qualche tizzone ardente, ed appena cotte lasciate a stufare ancora calde in un panno.
Nel maceratese per questa occasione le si fiammeggiava con qualche liquore casalingo o comperato, mentre a Jesi le clarisse preparavano squisiti “tartufini”, con la polpa lessata delle castagne, zucchero, cioccolata, aromi e liquori. Per l’occasione c’è chi ricorda anche il vin brulé, preparato secondo tante infinite declinazioni e variazioni popolari, ma di base arricchito con la bollitura di spicchi di mela sbucciata, e con gli aromi speziati e gentili di cannella e chiodi di garofano. C’erano anche le “brustoline”, ossia i semi di zucca tostati in pentola con il sale, ad accompagnare in quella serata, le partite a carte degli uomini e le chiacchierate delle donne, magari intente a sferruzzare in compagnia, mentre i bambini potevano stare alzati a giocare. Per qualcuno poteva anche scapparci l’occasione di ballare. Di lì a poco il mese di novembre avrebbe chiuso le porte alla spensieratezza, le giornate si sarebbero chiuse sempre di più verso l’oscurità ed il freddo, e la fine del mese avrebbe visto l’avvio dell’avvento, periodo di morigeratezza e raccoglimento, appena illuminato nelle campagne marchigiane dal ritrovarsi all’aperto di notte, al freddo, riscaldati dai “focaracci”, accesi per la celebrazione della “Venuta”, e che secondo tradizione tracciavano nel buio la strada al volo celeste della Santa Casa fino a Loreto. Guardando il cielo, e cercando di scorgere tra squarci di nubi e qualche stella quel volo di angeli, si aspettava e ci si pregustava la serenità confortevole del Natale.
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ANIMA
L’ORTO ANTICO di Senigallia: UN PATRIMONIO DI BIODIVERSITÀ TUTTO MARCHIGIANO
E
duardo Lo Giudice ha quarantasette anni e una grande passione: la biodiversità. Ora, ha a disposizione due ettari di terreno a un paio di chilometri da Senigallia (in via Montebianco, vicino alla chiesa di Santa Maria delle Grazie), che ha piantumato con le colture più diverse. Essenze che hanno in comune il fatto di essere commestibili. A dire il vero, Eduardo aveva già provato per ben due volte a creare il suo giardino botanico di piante alimentari: la prima a Castelferretti e la seconda a Chiaravalle, ma per vicende legate agli affitti e alle necessità dei proprietari dei terreni, entrambe le volte ha dovuto ricominciare da capo. Senza demordere, con la caparbietà di un ex muratore di origini genovesi, sta lavorando con rinnovata forza di volontà alla creazione del suo sogno di sempre. Prima ha dissodato una porzione di campo in uno dei fondovalle più belli e selvaggi della campagna senigalliese, a due passi dal mare; ha costruito con materiali di riciclo una serra, ha tracciato le particelle del campo a sua disposizione e ha messo a dimora le piantine. I semi di piante antiche, alcune in via d’estinzione, li ha spesso ricevuti da contadini che avevano varietà non più in uso. Altri li ha trovati in giro per il mondo. Alcune piante le ha riprodotte per talea, tanto da avere a disposizione un patrimonio genetico di circa duemila varietà, tra ortaggi, erbe spontanee e alberi da frutto. Per meglio impollinare i fiori, ha messo due arnie con le api, insetti preziosi, che hanno a disposizione un paradiso di profumi e colori da cui essere attratti. Per sostenersi, Eduardo porta le sue piantine e i prodotti stagionali dell’orto al mercato del biologico che si tiene il sabato al rione degli Archi, in Ancona, e nel frattempo lavora per ristrutturare un vecchio casale a ridosso della superficie coltivata. Per promuovere il suo lavoro, ha iniziato a collaborare con le scuole, facendo conoscere ai ragazzi delle elementari le varietà di piante più inconsuete, e dare il giusto imprinting alle nuove generazioni sul rispetto e sulla promozione della biodiversità.
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ori
di Roberto Ceccarelli
Perché c’è bisogno di biodiversità?
L’argomento è più attuale che mai. Secondo i dati della Coldiretti e di varie associazioni ambientaliste, il numero delle varietà di frutta nell’ultimo secolo è sceso da circa ottomila a poco meno di duemila, di cui circa 1.500 considerate a rischio di scomparsa: in pratica sarebbero andate perdute tre tipologie su quattro in un lasso di tempo molto breve. Numeri da ricordare quando vaghiamo nel bancone del supermercato pensando che la frutta e verdura sia soltanto quella proposta sugli scaffali. Sono le stesse Nazioni Unite, inoltre, a spiegare i motivi che rendono necessarie iniziative di riflessione e celebrazione della biodiversità, sottolineando che anche se “c’è un crescente riconoscimento del fatto che la biodiversità sia un elemento di straordinario valore per le generazioni attuali e quelle future, il numero delle specie si sta significativamente riducendo per certe attività umane”. Una tendenza da invertire per salvaguardare un patrimonio che, sempre secondo l’Onu, è composto attualmente da circa 1,75 milioni di specie identificate.
Orto Antico. In attesa che lo spazio rurale diventi visitabile grazie ad appositi percorsi attrezzati, basta fare un giro in campo aperto per rendersi conto della grande varietà di piante presenti. “In questa stagione – spiega Lo Giudice – proponiamo le erbe miste del campo. Di solito i consumatori le mangiano nei mesi freddi, e invece sono gustosissime anche in estate. Qui, la sera, si vedono i caprioli e c’è un proliferare di vita”. La misticanza di stagione comprende bietole il cui nerbo è colorato di arancione, di rosso, o di giallo, e poi, le foglie di amaranto, alcuni tipi di lattughe estive e la borragine. Basta bollirle per qualche minuto e si possono avere delle erbe di campo dal gusto diverso per farcire piadine. Un centinaio di varietà di peperoncini provenienti da tutto il mondo possono bastare per stuzzicare qualsiasi sfumatura di piccante, ma le erbe aromatiche, già in pieno sviluppo regalano profumi intensi e i più disparati. Ci sono inoltre le maggiorane selvatiche, l’origano piccante o quello con l’aroma di fragola; poi i paccasassi (tipici della zona costiera), lo zigolo dolce, una pianta della famiglia dei papiri con cui in Spagna si produce una bevanda detta “orchata”, e ancora, tanti tipi di menta, ognuna con sfumature odorose diverse. A vedere le foto delle cassette degli ortaggi raccolti la scorsa stagione ci si stupisce: patate a buccia nera e polpa bianca ritrovate da un contadino di Cagli (PU); le melanzane rosse africane, i pomodori gialli; la “zucca spaghetti”, una zucca filamentosa da lessare e da gustare come fosse un piatto di noodles. Tra le varietà più interessanti, infine, c’è il pomodoro di Monte San Vito: una varietà rustica, pressoché estinta capace di conservarsi perfettamente in cantina per mesi. Lo Giudice ha riportato il pomodoro di Monte San Vito a nuova vita grazie a un contadino locale che gli ha lasciato in dote un piccolo patrimonio di semi. Ora questa varietà è censita e catalogata formalmente dalla Regione Marche. Insomma, già un bel risultato per il contadino nel nuovo millennio che protegge la biodiversità in tavola.
I gioielli dell’Orto Antico di Senigallia
Pomodori talmente saporiti che si possono mangiare senza condimento; ciliegie, peperoni, bietole multicolori ed erbe aromatiche che sembrano uscite da un giardino incantato. Sono queste alcune delle chicche proposte da Eduardo Lo Giudice nel suo
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ANIMA
ANGELUS MICHAEL STETIT Forse la linea di San Michele passa anche a Sirolo
S
ette santuari, dall’Irlanda fino in Israele, sono uniti da una linea retta. Si tratta della famosa e misteriosa Linea di San Michele che per oltre duemila km taglia l’Europa collegando sette monasteri dedicati all’Arcangelo Michele. Una delle tante linee energetiche, conosciute fin dalla preistoria, che uniscono punti del pianeta di particolare interesse storico o geografico, come monumenti, allineamenti megalitici, monasteri, cattedrali, montagne, caverne ecc. Luoghi a cui si riconoscono poteri magici e di guarigione; veri e propri fiumi di energia tellurica sotterranea che si intersecano in linea retta sulla superficie terrestre emergendo in posti ben precisi. Queste linee hanno la capacità di influire sul campo energetico degli esseri viventi e nel corso dei secoli sono state usate, coscientemente o incoscientemente dall’uomo, come punti su cui innalzare edifici di potere (sacro e politico) o come vie di pellegrinaggio.
I sette santuari della Linea di San Michele sono: Skellig Michael (Irlanda), St Michael’s Mount (Gran Bretagna), Mont Saint Michel (Francia), la Sacra di San Michele (Piemonte, Italia), San Michele (Puglia, Italia), Monastero di San Michele (Grecia), Monastero di Monte Carmelo (Israele). Sono luoghi in cui in molti, anche nei secoli passati, hanno riconosciuto un’alta concentrazione di energia spirituale. Sulla parete esterna della Chiesa del SS.mo Rosario a Sirolo, nell’angolo in alto a sinistra, si può osservare una pietra, sicuramente di riporto, con sopra l’immagine, in bassorilievo, di San Michele e l’iscrizione “Angelus Michael Stetit” (l’Angelo Michele sta qui). Questa pietra, per altro molto antica, rivela l’importanza del culto di San Michele a Sirolo, ulteriormente dimostrata dalla ripetitività dei luoghi a lui dedicati: spiaggia, grotta ecc. Secondo una tradizione popolare i primi insediamenti di Sirolo sarebbero proprio in corrispondenza di una antica
I SETTE SANTUARI DELLA LINEA DI SAN MICHELE
Skellig Michael - Irlanda 38 | WHY MARCHE
St Michael’s Mount Gran Bretagna
Mont Saint Michel Francia
di Stefano Longhi
villa romana con accanto una chiesetta intitolata a San Michele, a cui probabilmente apparteneva questa pietra scolpita. Siamo apparentemente fuori rotta rispetto alla linea di San Michele che taglia l’Italia in linea retta; ma potrebbe esistere un collegamento tra questa linea e il monte Conero, dove sorge Sirolo. Da un punto di vista geologico infatti il Conero è una piega dell’Appennino umbromarchigiano, e precisamente quella che si spinge di più verso oriente, fino, appunto, a toccare il mare. Ecco allora una possibile connessione tettonica con la linea in questione; Michele, dunque, starebbe proprio qui, su questo ramo laterale che procede a partire dalla omonima linea energetica appenninica. Tutto questo ci rimanda alla sconosciuta, per i più, sacralità di questo monte che potrebbe essere stato, in un lontano passato, addirittura una delle sedi divinatorie della Sibilla dell’Appennino. Il mito delle Sibille ha infatti percorso molto del nostro territorio marchigiano. In particolare le tracce della sibilla Cimmeria, spesso accostata a quella Cumana, passano per Amatrice, toccando il Gran Sasso, per poi
La Sacra di San Michele Piemonte
Santuario di San Michele Puglia
scendere attraverso le basse valli del piceno verso il mare. L’aggettivo ‘cimmerio’, che indica il tenebroso, l’oscuro, il nebbioso, il caliginoso, farebbe pensare proprio all’origine del nome Conero, un monte dalle tinte cupe: “Co-Nero” (appunto Monte Nero). Si tratterebbe della punta più a nord della tradizione sibillina, quella che si affaccia sul mare, così come Cupra Marittima sarebbe l’altra punta più a sud lungo la costa Adriatica. Proprio la Dea Cupra, dea ctonia, delle acque e della fecondità, di colore scuro, personificazione della forza vitale della Grande Madre, venerata dai Piceni e trasformatasi poi nella latina Dea Bona, conosciuta lungo tutto il litorale adriatico al disotto del Conero, avrebbe delle forti assonanze con la Sibilla Appenninica. Come ho già avuto modo di dire in un altro numero di questa rivista, la Principessa Picena, a cui è dedicato il museo archeologico di Numana e Sirolo, potrebbe essere stata proprio una iniziata alle pratiche divinatorie sibilline, una sacerdotessa del culto di Artemide: forse l’ultima sibilla del Conero trasfiguratasi con l’avvento della cristianità nella Vergine Nera Lauretana.
Monastero di San Michele Grecia
Monastero di Monte Carmelo Israele WHY MARCHE | 39
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PRIMO PIANO
LIBERI di SCEGLIERE le MARCHE di Stefano Catini
A
bbiamo chiesto a uomini e donne diversi tra di loro ma con una passione in comune, quella della mountain bike, di raccontarci le Marche in sella. Li abbiamo fatti parlare di autunno, cibo e luoghi insoliti. Il compito è stato affidato ai biker perché sono quelli che più di tutti esplorano, rispettano e amano giorno per giorno, pedalata dopo pedalata, i tesori della
nostra regione. Com’era prevedibile ci hanno dato versioni differenti, perché non tutti i sentieri sono uguali per chi ha deciso di consacrare il tempo libero a crampi e ginocchia sbucciate. C’è chi preferisce dare un tocco d’arte alle proprie imprese, o chi esce dal sentiero principale e gusta i piaceri di sagre e tipicità e chi scende solo quando ha raggiunto un luogo sconosciuto e misterioso.
WHY MARCHE | 41
PRIMO PIANO
La parola a
Sergio Barboni e Andrea Tiburzi dei Biker in Cresta
«G
li abitanti di Monastero raccontano che “per cacciare i frati dalla grotta fu deviato un ruscello che scorre nel monte soprastante, affinché le acque andassero a cadere proprio sopra il romitorio” (Antinori). Ci si arriva, non senza difficoltà, dal Lago di Fiastra, proseguendo il sentiero che porta alle “Lame Rosse”, attraverso una splendida lecceta». Ecco come parlano delle loro uscite i Bikers in Cresta, amici della mountain bike del maceratese talmente bravi che sono diventati expert partner della Garmin. La loro scelta? Oltre a montagna e mountain bike, anche e soprattutto luoghi insoliti e misteriosi che prima esplorano e poi condividono sui social. I Sibillini sono montagne impregnate di leggende, miti e tradizioni, così abbiamo chiesto a Sergio Barboni e Andrea Tiburzi dei Bikers in Cresta, che gestiscono i siti www.sibillini-mtb.it e www.bikersincresta.com se, mentre attraversavano creste, fiumi e boschi, si sono mai imbattuti nella Sibilla, in qualche sua ancella, o in un folletto di montagna magari un mazzamurello. Andrea ci ha risposto «spesso e volentieri sì, ma è perché a forza di pedalare ci mancano le forze, di solito siamo noi quelli che agli occhi dei turisti passano da extraterrestri quando ci vedono con la bici in spalla o in sella sopra sentieri a strapiombo». Andrea, dopo averci ricordato l’importanza di andare sempre accompagnati da guide esperte che conoscono i pericoli della montagna, ci racconta di percorsi inusuali: «La leggenda è sempre viva nei luoghi che esploriamo, come le motivazioni storiche. Mi riferisco ad esempio alla battaglia di Pian Perduto. I norcini, forti di 6000 uomini, vennero sconfitti da 600 guerrieri di Visso.
42 | WHY MARCHE
La tradizione racconta che i norcini persero perché, prima della battaglia, si lasciarono ubriacare e poi sedurre dalle donne di Gualdo». Sergio invece ci parla di tradizioni orali e in particolare del poeta pastore di Vallinfante. Il Berrettaccia «un semplice pastore scrisse per alleggerire gli animi dei suoi compagni un poemetto che poi divenne famoso dove si narra della battaglia del Pian Perduto tra Visso e Norcia. La cosa veramente notevole è che questa tradizione ancora rimane. Infatti oggi, nel 2017, ci sono in queste zone pastori che scrivono e declamano i loro poemi per il popolo». Oltre ai percorsi storici come la Strada Imperiale o il Sentiero dei Mietitori, i Bikers in Cresta seguono sentieri magici, come la Strada delle Fate a Pretare o il sentiero che avrebbe percorso il Guerrin Meschino, nel poema di Andrea da Barberino, per raggiungere la grotta della Maga Sibilla alla ricerca delle sue origini. «Magia che si rinnova a ogni primavera», dice Sergio, «sotto le pendici rocciose di Monte Palazzo Borghese, dove per qualche mese si forma un laghetto effimero che si colora di rosso perché ospita nelle sue acque il Chirocefalo della Sibilla, simile al più famoso Chirocefalo del Marchesoni che si trova nel Lago di Pilato. E che dire dei Pantani di Accumoli, laghetti di origine glaciale posizionati al confine tra i Monti Sibillini ed i Monti della Laga, adagiati in una piccola vallata circondata da pascoli e paesaggi da togliere il fiato?». «Nel Pian Perduto» -prosegue Andrea «adiacente al borgo di Castelluccio c’è uno stagno, o meglio una pozza, molto suggestiva che si colora di un rosso gelatinoso grazie ad un’alga microscopica che appartiene alla famiglia della Euglena Sanguinea Ehrenberg. A detta degli abitanti
del posto, l’arrossamento delle acque dello “Stagno Rosso” si verifica ogni anno durante la stagione estiva, o comunque nei periodi più caldi dell’anno». Nel suo poemetto il Berrettaccia scriveva: “…..vi voglio dire come fu quel prato pieno di morti e insanguinato.”, e alla vista di quell’acqua color rosso sangue ai pastori saranno sicuramente tornate in mente quelle storie di baruffe e guerre così lontane nel tempo ma così vivide nei ricordi.
La parola a
Daniela De Angelis dell’associazione Tritakatene
«G
li Appennini incappucciati di neve chiudono l’orizzonte a ponente, e la distanza aggiunge incanto alla vista del mare che appare in rapidi scorci fra le colline, punteggiato dalle vele vivacemente dipinte dei Pescherecci.» Margaret Collier, La nostra casa sull’Adriatico, edizioni Il Lavoro Editoriale Per raccontare le Marche del centro abbiamo dato voce allo stupore che più di un secolo fa, esattamente nel 1872, colse la giovane Margaret Collier. Una colta dama inglese che per amore passò dagli agi della Londra vittoriana alla desolazione, ma anche al fascino di una casa sperduta nel fermano, dove «enormi buoi bianchi tirano l’aratro». Grinta e goliardia sono il carburante che scorre nelle vene dei Tritakatene, un gruppo di oltre cinquanta ardite sentinelle picene in mountain bike.
«In autunno le Marche sono impegnate nella vendemmia e nella spremitura delle olive, offrono colori, odori e tramonti unici soprattutto per chi, come me, le considera terra d’esplorazione, di buon cibo, ed eccellenze manifatturiere». Daniela de Angelis dei Tritakatene è partita subito in quarta quando gli è stato chiesto di descrivere, oltre che con i muscoli, anche e soprattutto con la raffinatezza di una biker al femminile, il territorio in questo periodo dell’anno. Continua con la stessa verve narrando di «paesaggi mozzafiato, distese immense di vigneti, profumi di mosto e di terra bagnata, tutto questo nella regione che amo e che non finisce mai di sorprendermi. Quest’anno, a metà settembre, abbiamo scelto come meta la Festa dell’Uva a Cerreto d’Esi che si è svolta fuori delle mura per colpa del terremoto, ma è stata comunque molto emozionante. Dopo esserci WHY MARCHE | 43
PRIMO PIANO sistemati in un agriturismo, abbiamo percorso in mountain bike le strade secondarie e gli sterrati tra Cerreto e Matelica, scegliendo, ogni volta che era possibile, di pedalare tra le distese di vigneti coltivati a Verdicchio, osservando da vicino le numerose cantine che sono degli incredibili gioielli d’architettura. Oltre a questo, ciò che colpisce è l’odore del mosto, perché su queste rotte è ancora possibile trovare anziani che fanno la raccolta manuale dell’uva. Abbiamo proseguito fino alla fiera di Matelica, dove ci attendevano musica e costumi d’epoca». Il calendario autunnale è denso per i Tritakatene
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che hanno già programmato la prossima uscita «a Montefalcone per la festa “Sapori d’autunno”, dove ogni stand intrattiene i visitatori con gli stornellatori. La cosa veramente coinvolgente è che a suonare gli organetti e a cantare, tutto è rigorosamente improvvisato, sono i giovani, che hanno saputo traghettare le vecchie tradizioni degli stornelli in dialetto nel moderno, senza snaturarle ma trasformandole in un nuovo genere che mischia rap e tradizione». In sintesi? «In sintesi», risponde Daniela «una regione che non smette mai di sorprendermi».
La parola a
Luca Castratori dell’associazione Bike Therapy
Se
qualcuno è interessato a un pacchetto completo, può rivolgersi alla Bike Therapy di Pergola che, come ci spiega Luca Castratori, hanno trovato la formula magica della felicità su due ruote: la mountain bike è una cosa seria, è legata al territorio, è uno strumento educativo, un mezzo che annulla le differenze tra uomini e donne e perché no, anche un modo per andare a tartufi, ma soprattutto «rimane uno strumento per divertirsi e rilassarsi, perché si stacca dalla routine e si va nella natura, per cantine e paesaggi. Fino a quando non lo provi sulla pelle, non puoi renderti conto della bellezza del silenzio. Questo lo leggiamo negli occhi dei giovani quando vengono con noi per visitare luoghi a cinque minuti da casa che ignorano del tutto, proponendo un’alternativa ai social network. I ragazzi
reagiscono molto positivamente quando li portiamo prima in un circuito attrezzato e poi per sentieri». Il calendario dell’associazione è sempre molto ricco. «Il nostro motto è “fun, sport, relax”, per questo abbiamo molti impegni, perché ci divertiamo. Organizziamo delle uscite dedicate a bambini tra i 6 e i 15 anni, nel nostro direttivo ci sono molte donne tra le quali una ex professionista. Per il 22 ottobre è in programma un’uscita al femminile la “rampirosa”, oltre a una cicloturistica durante la fiera del tartufo, dove i biker si trasformano in scopritori dei sentieri del tartufo». I ragazzi non si sono dimenticati di chi è in cerca di competizione, infatti preparano e assistono a bordo strada i loro amici durante le gare, insomma bike a 360°, perché «la bici è uno strumento per conoscere il territorio dai bambini di 6 anni fino ai 70 ed oltre».
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PRIMO PIANO
Percorso consigliato da Gaetano Catalini, L’Eremo di Grottafucile
G
aetano Catalini, ex membro del Cai e ora tesserato dei W-Bikers di Macerata, ogni tanto abbandona il branco per andarsene per i fatti suoi. A questo lupo solitario abbiamo chiesto di segnalarci un posto speciale ma che sia facilmente raggiungibile, un percorso per chi volesse fare l’esperienza di una uscita in mountain bike. «L’Eremo di Grottafucile si trova nel parco naturale della Gola della Rossa, poco distante da Castelletta, una frazione di Fabriano, ed è raggiungibile anche a piedi. É dove visse San Silvestro, l’eremita che rendeva docili i lupi e trasformava l’acqua in vino. Lo consiglio perché è ancora possibile toccare con mano il tipo di vita che vi si conduceva. Il posto è isolato quanto basta per non sentire le auto ma solo la voce della natura. Così i sensi non sono più distratti dagli stimoli esterni e a parlare sono l’erba, il vento, gli insetti perché non c’è sensazione migliore di stare soli con se stessi. Ci vado anche perché continuo una tradizione, fu mio nonno a portarmici la prima volta e dopo molti anni sono tornato in bici per riscoprire quello che mi aveva lasciato in eredità.
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MENTE
NUOVO AMAROK SE NON LO PROVATE NON CI CREDETE! Noi lo abbiamo testato in occasione di un tour all’interno della Provincia di Ancona anche in condizioni difficili su asfalto, terra e ghiaia. Ne è scaturito un veicolo straordinario in ogni campo, da utilizzare per il proprio business ma anche per la quotidianità, lo sport ed il tempo libero.
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di Gaudenzio Tavoni
V
ersatilità, potenza, e stile. Sono le parole d’ordine del nuovo Amarok, poderoso pick-up che dopo oltre sei anni dalla sua presentazione gode ora di un interessante restyling. Grazie a ViaVai, concessionaria Volkswagen Veicoli Commerciali per le province di Ancona, Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, l’abbiamo provato per le strade della nostra regione, su vari fondi e location particolari. Ne è scaturito un veicolo senza compromessi nel fuoristrada ma esuberante sull’asfalto, che riunisce tutto quello che ci si aspetta da un veicolo multiuso esclusivo: design possente, struttura robusta e potenza ai massimi livelli. Il nostro tour non poteva che prendere il via della sede ViaVai di Ancona. L’Amarok nell’allestimento “Aventura” ci attende nel piazzale antistante la moderna struttura e immediatamente ci attrae il suo
nuovo look. Il frontale è accattivante, l’abitacolo a doppia cabina è molto accogliente e questo ci invoglia a salire a bordo. Non sembra di stare in un pick-up. I progettisti Volkswagen hanno svolto un ottimo lavoro in fatto di ergonomia, gli interni vantano una spaziosità senza pari e numerose soluzioni portaoggetti, compresi vani sulla plancia, ampi scomparti sotto i sedili anteriori e quattro portabicchieri. Subito ci rendiamo conto del comfort dei sedili dotati di regolazione elettrica e dell’ottima impugnatura del volante multifunzione rivestito in pelle con paddle che lo rende estremamente facile da utilizzare anche per interagire con il sistema audio, navigazione e telefono cellulare. Si parte: del resto la giornata sarà lunga ed intensa e la versatilità di Amarok verrà duramente messa alla prova! WHY MARCHE | 49
MENTE La prima tappa non poteva che essere da Big Air sulla Direttissima del Conero a Camerano, uno dei punti di riferimento più importanti del centro Italia specializzato nella vendita, assistenza e noleggio di snowboard, skateboard, surf, wakeboard, kitesurf, attrezzature, abbigliamento tecnico e accessori per ogni esigenza. E’ un binomio inscindibile quello tra il surf e il pick-up, il mezzo di trasporto preferito dai giovani sportivi americani per trasportare le tavole multicolori sulle spiagge dell’oceano, ma che ora si sta diffondendo anche in Italia. Da Big Air ci spostiamo verso la Cantina Moroder a Montacuto di Ancona. Dallo sport ed il tempo libero ci trasferiamo in un ambiente lavorativo, ma Amarok si dimostra sempre pronto ad ogni esigenza. La sua versatilità è unica grazie al cassone che ha una profondità di 1,55 metri e una distanza tra i passaruota di 1,23 metri. E’ una
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caratteristica unica nella classe di appartenenza del veicolo che consente di posizionare europallet trasversalmente, mentre lo sportello del vano di carico può essere caricato fino a 200 kg. Inoltre il pianale di carico, se riempito fino al bordo superiore, offre spazio fino a 1,28 m³ di materiale sfuso su una superficie di 2,52 m². Le molle a balestra di serie, invece, assicurano un elevato comfort di guida e una portata massima di 842 kg, mentre le molle a balestra rinforzate opzionali incrementano il carico utile, portandolo fino a 985 kg. Subito testiamo le doti di Amarok, caricando due barrique utilizzate per la stagionatura dell’ottimo vino Rosso Conero di casa Moroder, il Dorico. Il paesaggio è stupendo le viti lo sono ancora di più, ormai pronte per una vendemmia che si preannuncia di grande qualità. Da Montacuto ci spostiamo verso la baia di Portonovo. Non poteva mancare, infatti, una tappa nel paradiso del surf anconetano dove Amarok si dimostra perfettamente a suo agio. Arriviamo fino alla spiaggia, con i sassi bianchissimi che evidenziano ancora di più lo splendido blu metallizzato del nostro veicolo, catturando l’attenzione dei tanti bagnanti ancora in vacanza. Una cartolina! Vorremmo rimanere a lungo, ma il nostro tour deve continuare. La versatilità di Amarok è ancora tanta da scoprire e, allora, ci dirigiamo all’Antigo Granaro di Gallignano di Ancona, uno splendido agriturismo immerso nel verde e nella tranquillità della campagna marchigiana. La struttura offre piscina, relax, ristorazione tipica e passeggiate a cavallo e, in questo caso ci rendiamo anche utili trasportando sul nostro vano di carico alcune balle di fieno.
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MENTE
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Photo di Andrea Tessadori Da Gallignano ci trasferiamo a Serra San Quirico percorrendo la Strada Statale 76. Anche in superstrada Amarok evidenzia il massimo comfort di guida, grazie al motore turbodiesel V6 3.0 da 224 cavalli (in alternativa è disponibile un motore depotenziato a 204 cavalli), e una perfetta stabilità del veicolo grazie alla collaudata trazione integrale 4MOTION che aumenta, tra l’altro, la trazione in curva. Proviamo ad aumentare la velocità, il motore è fluido e subito disponibile, ma non vogliamo superare i limiti consentiti anche se maggiore potenza potrebbe essere ottenuta con la funzione overboost che, in base alla situazione di guida, permette un aumento fino a 245 cavalli. Rimaniamo favorevolmente impressionati
anche dal cambio automatico a 8 rapporti - unico pick up della sua categoria ad esserne dotato - che può essere combinato con la trazione integrale permanente 4MOTION. A Serra San Quirico ci attende la cava Gola della Rossa che dal 1897 ad oggi ha raggiunto livelli d’eccellenza nell’ambito dell’attività estrattiva, per qualità di prodotto, materiali impiegati ed efficienza organizzativa. E’ qui che il nostro Amarok sarà messo a dura prova e, quindi, ci dirigiamo all’interno della zona estrattiva del calcare massiccio d’elevata qualità: il carbonato di calcio, bianchissimo, che ancora una volta mette in evidenza lo splendido colore del nostro Amarok.
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Rimaniamo stupiti dalle eccellenti doti del veicolo, messe a dura prova sul pietrisco della cava. L’eccellente ABS offroad e il sistema di assistenza alla marcia in discesa (Hill Descent Control) ci garantiscono elevata sicurezza sul terreno e quindi osiamo di più. Nessun problema, però, grazie alla perfetta armonia creata tra la trasmissione e la taratura della propulsione, a cui si aggiunge la trazione integrale 4MOTION, che interviene quando necessario. Riusciamo a superare dislivelli elevati grazie alla trazione 4x4 con differenziale centrale autobloccante Torsen - una particolarità nel
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segmento dei pick-up - che offre le condizioni ideali per guidare in fuori strada sfruttando la ripartizione della potenza 40:60. La giornata è finita troppo presto. Non ci resta che lavare e ripulire il nostro Amarok perché a Genga, a pochi chilometri dalla cava, lo splendido pick-up farà bella mostra al Frasassi Climbing Festival. Voi cari lettori, intanto, godetevi queste belle immagini del nostro tour, ma vi invitiamo a provarlo personalmente presso le due sedi di ViaVai di Ancona e Civitanova Marche. Scoprirete un veicolo straordinario!
ANIMA
IL TURISMO SLOW DEGLI ITINERARI DELLA BELLEZZA UN VIAGGIO TRA ARTE, ENOGASTRONOMIA, CULTURA E PAESAGGIO. A TU PER TU CON AMERIGO VAROTTI, DIRETTORE GENERALE CONFCOMMERCIO PESARO-URBINO MARCHE NORD
C
he le Marche non abbiano nulla da invidiare in termini di arte, cultura, bellezze paesaggistiche ed enogastronomia ad altre regioni italiane è assodato. Resta però il fatto che molti turisti, amanti delle terre del nostro Belpaese, spesso preferiscano soggiornare presso altri luoghi, diversi da quelli marchigiani. In pole position troviamo infatti il Veneto, poi la Toscana, la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Lazio, secondo alcuni dati pubblicati da Eurostat sul numero di notti trascorse negli stati membri per turismo nel 2015. Come può spiegarsi tale attitudine? Probabilmente ciò è da imputare a una scarsa promozione del territorio, mancanza cui la Confcommercio PesaroUrbino Marche Nord sta cercando di ovviare ormai da anni, con risultati apprezzabili e visibili. Ne abbiamo parlato proprio con Amerigo Varotti, Direttore Generale Confcommercio Pesaro-Urbino Marche Nord, che ci ha illustrato la
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di Ilaria Cofanelli
sua idea di innovazione in merito al turismo e di come questo sia forse l’unico settore in grado di risollevare le sorti di un’economia che ormai da troppi anni si trova in una situazione di stallo.
IN COSA CONSISTE L’ATTIVITÀ DELLA CONFCOMMERCIO PESARO-URBINO MARCHE NORD?
Confcommercio Pesaro-Urbino Marche Nord è la principale associazione delle imprese del terziario, dei servizi e del turismo della provincia di PesaroUrbino. Sono 4500 le imprese associate e in maniera particolare nel mondo del turismo, attraverso la Federalberghi Pesaro Urbino, Confturismo Marche Nord e l’Associazione Ristoratori Pesaro-Urbino. Rappresentiamo oltre il 90% delle imprese del settore. Il nostro impegno parte da lontano. Già nel 1994, unica associazione imprenditoriale in Italia, abbiamo creato il nostro tour operator, Riviera Incoming, che cerca di portare turisti nella nostra regione organizzando eventi promozionali in Italia e all’estero, dalla Cina, al Canada, alla Russia. Nel 2004 abbiamo poi aperto un’agenzia di viaggi a Trento: da quei territori sono diversi i turisti che scelgono la nostra regione per trascorrere le loro vacanze. Negli ultimi anni abbiamo cercato di differenziare la nostra attività come Confcommercio: prevalentemente siamo infatti un’associazione sindacale, dunque forniamo assistenza e tutela alle imprese del territorio. Accanto a questo, negli ultimi anni abbiamo sviluppato un’attività di promozione per valorizzare il territorio, iniziando alcuni anni fa con il Comune di Pergola, con il quale abbiamo una convenzione per la gestione del Museo dei Bronzi dorati di epoca romana, museo unico al mondo. Siamo riusciti ad aumentare le presenze paganti alla struttura, passate da 8mila a 11mila annuali. Abbiamo una collaborazione anche con Sant’Angelo in Vado dove gestiamo l’ufficio turistico e i servizi dei musei, a iniziare dalla Domus del Mito, casa romana del I secolo d.C., purtroppo poco promossa. Abbiamo realizzato una campagna di promozione che ha portato a triplicare, in un anno, le presenze turistiche. Successivamente questa collaborazione è stata estesa al Comune di Urbino: come Confcommercio abbiamo realizzato e gestiamo le prenotazioni del sito bookingurbino. com. Si tratta di un nuovo strumento di prenotazione online delle strutture, dove non si paga alcuna commissione. Da Urbino, la nostra collaborazione si è estesa ai comuni di Fossombrone e Mondavio, due eccellenze straordinarie per bellezze architettoniche e artistiche, ma anche per ambiente ed enogastronomia. L’obiettivo è far conoscere queste località, attività che dovrebbe interessare anche altri comuni che potrebbero mettersi in rete con noi e sviluppare il territorio, favorendo l’aumento delle presenze turistiche. Per far questo organizziamo fiere ed eventi in varie parti del mondo,
da Copenaghen, a Stoccolma, Vienna, Monaco, Praga, Mosca.
L’ASSOCIAZIONE REALIZZA ANCHE EVENTI PROPRI. PUÒ FARCI QUALCHE ESEMPIO?
Penso ai weekend gastronomici, giunti quest’anno alla 34esima edizione. Si tratta dell’evento enogastronomico più longevo della regione: si svolge in primavera e in autunno, in cui oltre 70 ristoranti propongono menu straordinari a base di prodotti tipici a prezzi promozionali. Poi abbiamo i Week d’Amare, che si svolgono d’estate nelle località balneari, oppure durante la prima settimana di luglio. A Gabicce Mare, organizziamo Turismo in Festa, una settimana di musica, concerti e spettacoli per migliorare la qualità dell’accoglienza nella città che ha il maggior numero di strutture ricettive della provincia e la seconda di tutte le Marche. Per non parlare poi della Fiera del Tartufo a Pergola, con la 22esima edizione, che si svolge le prime tre domeniche di ottobre e la Mostra del Tartufo di Sant’Angelo in Vado, giunta alla sua 54esima edizione. Tali eventi vedono l’arrivo di migliaia di persone, lavorano bar, ristoranti, alberghi, artigiani, commercianti: sono fatti promozionali ed economici di una certa importanza.
QUANTO È IMPORTANTE IL TURISMO PER LA NOSTRA REGIONE?
Stiamo lentamente uscendo da una crisi economica epocale che ha trasformato radicalmente il nostro modello imprenditoriale marchigiano: molte imprese artigianali hanno chiuso, molte altre sono state spostate all’estero. Il turismo, invece, non delocalizza. Può essere dunque, e lo è stato, il motore dell’economia: sono aumentate le strutture ricettive, così come le start-up del settore dei servizi. Penso a tante società nel settore del web, della grafica, del design, guide, accompagnatori turistici. Penso anche al mondo straordinario delle biciclette, a quante guide escursionistiche lavorano in un segmento nel quale anche noi siamo impegnati con l’iniziativa “Pesaro e Urbino by bike”, un settore in grande espansione in tutto il mondo, che potrebbe essere ben sviluppato se le infrastrutture lo permettessero.
VENDERE LA BELLEZZA E IL TERRITORIO. È QUI CHE BISOGNA INVESTIRE, DUNQUE. IN CHE MODO? Intanto bisogna investire nelle infrastrutture: realizzare vere e proprie piste ciclabili. In questo senso ci siamo appellati alla regione che ha l’intenzione di destinare circa 10milioni di euro per questo obiettivo. Si dovrà affrontare il problema del collegamento est-ovest, della Fano-Grosseto, ossia la strada che dovrebbe collegare il nord delle Marche con l’Umbria e la Toscana.
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ANIMA Un altro problema è quello delle infrastrutture ricettive: si deve sostenere la loro riqualificazione, sollecitando un bando della Regione Marche. Poi bisogna fare più promozione, perché nel mondo siamo ancora poco noti.
COSA OFFRE LA PROVINCIA DI PESARO-URBINO AL TURISTA?
Il nostro è un modello di turismo slow, lento. Da noi si viene per immergersi nella bellezza del territorio, nella tranquillità di un ambiente quasi incontaminato. Basti pensare che abbiamo i territori così come li hanno dipinti Piero della Francesca e Leonardo da Vinci: i paesaggi di questi territori sono così come furono illustrati dai pittori. Si viene per vedere i cosiddetti centri minori, che conservano opere d’arte straordinarie: abbiamo delle eccellenze che in altri contesti non ci sono o non vengono promosse. Negli ultimi anni è aumentato il numero dei turisti stranieri nella nostra zona: il nord-Europa ama il nostro modello di vita tranquillo, rilassato, i nostri ambienti incontaminati.
GESTIONE DEI FONDI EUROPEI. QUAL È IL SUO PENSIERO IN MERITO.
La Regione Marche sta rivedendo l’assegnazione dei fondi che, in un primo momento, erano stati destinati in gran parte al settore manifatturiero o agricolo. Un cambio di rotta della regione importantissimo perché i fondi europei sono ormai rimasti come unica fonte di approvvigionamento per gli enti locali e il turismo ne ha necessità.
ITINERARI DELLA BELLEZZA: VERRÀ DEDICATO UNO SPECIALE “WHY MARCHE” A QUESTI PERCORSI. PUÒ DARCI QUALCHE ANTICIPAZIONE? Si tratta di 10mila copie di questo speciale che uscirà il prossimo inverno che racconterà un itinerario tra questi cinque comuni: Fossombrone, Mondavio, Sant’Angelo in Vado, Urbino e Pergola che porteremo nelle fiere in Italia e all’estero. Itinerari della bellezza è anche una serie di eventi che organizzeremo nel corso dell’anno con educational tours, legando poi l’enogastronomia alla cultura e alla musica perché in questi territori abbiamo location straordinarie che si prestano a momenti convegnistici, presentazioni, eventi.
PER CONCLUDERE, QUAL È LA SUA IDEA DI INNOVAZIONE IN MERITO AL TURISMO? Il turismo è l’unico settore innovativo perché è l’unico che sta creando occupazione nel mondo: bisogna però sviluppare tutte le attività legate alla ICT, utilizzare quindi di più il web, le app, i social, strumenti importantissimi per innovare il modello di promozione e fruizione turistica, tenendo conto anche che oggi gran parte delle prenotazioni avviene sul web.
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MENTE
GRANDI EMOZIONI
PER LA FESTA DELLA LAUREA 2017 P
omeriggio ricco di emozioni quello di sabato 30 settembre in occasione dell’appuntamento con la Festa della Laurea, la cerimonia di consegna delle pergamene di laurea a coloro che si sono laureati nel corso dell’anno accademico 2015/2016. In questa edizione speciale, la prima dopo il terremoto, a fare da scenografia all’evento è stato lo spazio Agorà antistante il Polo giuridico del Campus universitario di Camerino, invaso da oltre 400 laureate e laureati delle cinque Scuole d’Ateneo (Architettura e Design, Bioscienze e Medicina Veterinaria, Giurisprudenza, Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute, Scienze e Tecnologie), accompagnati da familiari e amici, provenienti da tutto il mondo. Molto emozionato il Rettore Corradini, alla sua ultima edizione della Festa della Laurea, che ha voluto ringraziare gli studenti per aver sempre sostenuto l’Ateneo, e tutta la governance, i docenti ed il personale tecnico e amministrativo per averlo supportato nel corso del suo mandato rettorale. Con una stretta di mano ricca di emozione, ha poi passato virtualmente il testimone al Rettore eletto Claudio Pettinari, che sarà alla guida di Unicam per i prossimi sei anni. Presente anche il Direttore Generale, Luigi Tapanelli, al suo ultimo giorno di servizio prima della pensione, al quale il rettore ha consegnato una medaglia con il sigillo dell’Ateneo. Nel corso dell’evento, inoltre, Unicam ha salutato ufficialmente anche i propri dipendenti, sia docenti che tecnici amministrativi, che hanno lasciato il servizio nel corso dell’ultimo anno: anche per loro quindi un momento di congedo solenne dall’Ateneo. Il Rettore Corradini ha poi iniziato la consegna delle pergamene di laurea ai partecipanti, alla presenza dei Direttori delle Scuole di Ateneo. Presente alla cerimonia anche il Coro Universitario di Camerino, che ha aperto ufficialmente la festa.
w w w. u n i c a m . i t comunicazione.relazioniesterne@unicam.it w w w. u n i c a m . i n f o fb: Unicam – Università degli Studi di Camerino twt: Unicam UffStampa ig: universitacamerino
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MENTE
CRACK BANCA MARCHE:
continua la battaglia di Adiconsum Marche al fianco dei risparmiatori danneggiati Doverosa la costituzione di parte civile nel processo penale, ma con l’invito a non dimenticare le azioni civili, strumento primario per il risarcimento del danno Nel caso Banca Marche siamo giunti ad un punto di svolta: inizia infatti il procedimento penale contro 16 tra amministratori e dipendenti dell’istituto chiamati a rispondere della liquidazione della Banca. Inizia così il complesso iter che dovrà cercare di stabilire le responsabilità penali per la situazione che ha condotto alla liquidazione dell’istituto. La Banca delle Marche, banca del territorio, riferimento per migliaia di famiglie e per il tessuto economico regionale, di fatto non esiste più. E’ infatti entrata a far parte del Gruppo Ubi, a decorrere dal 23 ottobre 2017, con il nuovo nome di Ubi - Banca Adriatica. Decine di migliaia i risparmiatori, azionisti e obbligazionisti subordinati, che sono rimasti coinvolti nella “vicenda Banca Marche”, riportando un danno economico per il quale hanno il diritto di essere risarciti. L’Adiconsum già all’indomani del commissariamento dell’istituto ha iniziato la sua battaglia per la tutela dei diritti degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati che hanno visto azzerato il patrimonio investito con fiducia. Il punto della situazione: per quanto concerne gli obbligazionisti subordinati, Adiconsum Marche ha presentato 230 istanze di accesso al Fondo di solidarietà istituito presso il Fondo Interbancario di tutela dei depositi, strumento che permetteva di ottenere, in presenza di determinati requisiti, un rimborso pari all’80% delle somme investite. Molti gli investitori già indennizzati, anche se la procedura di liquidazione tende a protrarsi abbondantemente oltre il termine dei 60 giorni previsti dalla normativa. Ad oggi possiamo dire con cognizione di causa che il ritardo nella liquidazione degli indennizzi si sta attestando su vari mesi. Ma per i possessori di obbligazioni subordinate emesse oltre che da Banca Marche anche dalle altre banche poste in risoluzione a novembre 2015 (Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e Carichieti), è ora operativa la possibilità di accedere all’arbitrato presentando apposita istanza all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione). Ma attenzione alla scadenza: le istanze potranno essere presentate entro l’11 novembre 2017. L’Adiconsum Marche con il proprio Centro Giuridico sta assistendo gli obbligazionisti per l’accesso alla procedura arbitrale, ma si tratta di una procedura complessa, che vede la necessaria dimostrazione, con onere della prova a carico del ricorrente, dell’avvenuta violazione da parte della banca degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal TUF al momento della
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sottoscrizione e del collocamento delle obbligazioni subordinate. Per quanto concerne gli azionisti, per i quali non è stata prevista alcuna forma di ristoro a livello istituzionale, l’attività di Adiconsum vede già incardinate un numero considerevole di cause civili oltre a molteplici ricorsi all’ACF (Arbitro per le Controversie Finanziarie), strumenti espressamente rivolti alla richiesta di risarcimento del danno subito.
LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEL PROCESSO PENALE Giunti ora ad una nuova fase nella vicenda, ossia all’avvio del procedimento penale, Adiconsum Marche ritiene doveroso costituirsi parte civile nel procedimento penale, sia in proprio, sia assistendo i propri associati; infatti il crack di Banca Marche non ha solo pesantemente danneggiato i singoli risparmiatori, ma ha anche avuto gravi ricadute sul tessuto economico marchigiano, andando a ledere un diritto collettivo, ossia il diritto dell’intera collettività ad una corretta operatività del sistema bancario. Per le decine di migliaia di famiglie direttamente colpite dalla vicenda la costituzione di parte civile è dunque un diritto e un atto doveroso, ma è necessario fare chiarezza per non dare false illusioni: la costituzione di parte civile non permette, da sola, di vedere garantite le proprie ragioni. I risparmiatori che hanno creduto in Banca Marche hanno infatti perso risorse economiche e hanno il diritto di essere risarcite e il procedimento penale, per sua stessa natura, è orientato all’accertamento delle responsabilità, appunto, penali. L’eventuale risarcimento riconosciuto dal giudice alle parti civili sarà a carico dei condannati, il cui patrimonio personale non potrà essere in alcun modo sufficiente a garantire il ristoro dei danni subiti, ed il responsabile civile - la società fallita - che potrà essere citato nel procedimento penale, è un soggetto privo della seppur minima capacità di rimborso. La costituzione di parte civile rappresenta dunque indubbiamente il completamento di un’attività di difesa dei risparmiatori coinvolti nel crack Banca Marche che l’Adiconsum sta portando avanti sin dall’inizio della vicenda, ma non può essere l’unico strumento messo in campo. L’Adiconsum Marche quindi, pur invitando i risparmiatori che vogliano costituirsi a rivolgersi alle proprie sedi, esorta comunque i soggetti danneggiati a verificare, caso per caso, la percorribilità del procedimento civile, sia nella forma ordinaria, sia per il tramite del nuovo istituto dell’Arbitro per le Controversie Finanziare. Loredana Baldi Responsabile settore finanziario Adiconsum Marche
www.adiconsummarche.it adiconsum.marche@gmail.com
www.facebook.com/adiconsum.marche
“Realizzato nell’ambito del programma generale d’intervento della regione Marche con l’utilizzo dei fondi del Ministero dello Sviluppo Economico- ripartizione 2015. “- Intervento n. 8
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SPIRITO
Stella tra le stelle
“IL CRATERE”
conquista il Festival di Venezia S
Una costellazione dai contorni sfuggenti, una zona “liquida” tra le provincie di Napoli e Caserta, la musica dell’indimenticato Gianmaria Testa, un film senza attori professionisti e due giovani promettenti cineasti. Ma soprattutto, dieci lunghi minuti di applausi all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica.
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ì, perché “Il cratere” era in concorso, unico italiano, alla Settimana della Critica della kermesse veneziana. Si tratta del primo lungometraggio realizzato da Luca Bellino, salernitano classe 1978, e da Silvia Luzi, nata ad Ascoli Piceno nel 1976. Insieme avevano già girato i documentari “La minaccia” (2008) ed il pluripremiato “L’arte della guerra” (2012), vincitore tra gli altri del Premio Fedeora Miglior Documentario Europeo. C’è il loro timbro anche sulla fondazione della casa di produzione Tfilm. «Una realtà piccola e totalmente indipendente -racconta Silvia Luzi- Questo ci permette di portare avanti un’idea di cinema lontana da logiche produttive che riteniamo molto più faticose. Facciamo tutto da soli perché possiamo e vogliamo farlo. “Il cratere” è nato anche grazie ad uno
di Luca Capponi
schema produttivo che ci ha lasciato totalmente liberi. Abbiamo ottenuto il fondo sviluppo per la sceneggiatura del MIBACT, e soprattutto una grande fiducia e un incredibile sostegno da parte di Rai Cinema. Si sono poi aggiunti Britdoc e Pulse Films, realtà inglese e americana e, alla fine, anche uno sponsor che per noi è stato molto importante. Si tratta dell’azienda marchigiana Filtex di Falerone, i cui rappresentanti, Erik e David Beleggia, ci hanno accompagnato a Venezia. Questo significa che una società indipendente può fare il cinema che desidera fare. Magari con budget minori ma con maggiore libertà, e questo è impagabile». Già, Venezia. Un punto di arrivo e, allo stesso tempo, il trampolino di lancio che in molti sognano. «L’emozione più forte è arrivata al momento della selezione, quando abbiamo ricevuto l’invito. Una volta arrivati lì, poi, il festival ti assorbe totalmente, sono montagne russe di emozioni tutte diverse. Si passa dalla gioia all’ansia nello stesso minuto. La nostra esperienza è stata bellissima, avevamo con noi una delegazione composta da persone che hanno lavorato al film con passione, c’erano tanti amici corsi da tutte le parti d’Italia per supportarci, c’era il nostro coproduttore Rai Cinema che non ci ha lasciati soli neanche un attimo. Un po’ di timore per l’accoglienza l’avevamo, ovviamente, e anche tanta curiosità. “Il cratere” è un film senza attori professionisti, con un budget ridotto e uno stile non semplice, non potevamo immaginare la reazione del pubblico. Poi quando sono partiti i titoli di coda e abbiamo visto l’intera sala alzarsi in piedi ad applaudire, abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Dieci lunghissimi minuti di applausi proprio non ce li aspettavamo, e non se li aspettavano neanche Sharon e Rosario, che erano storditi di felicità e commozione». Sharon e Rosario Caroccia sono i protagonisti del film. Non sono attori professionisti, ma corpi e facce prese della strada, dall’ambiente sottoproletario campano,
Photo Giorgio Amendola
l’ideale per raccontare la vicenda del “gitano” che alle feste di piazza regala un peluche a chi pesca il numero vincente e che spera nella svolta grazie alle doti canore della figlia 13enne. «Conosciamo molto bene il luogo che raccontiamo e avevamo già scritto sia il soggetto, sia la sceneggiatura, che avevano in sé tutti gli elementi che si ritrovano nel film: l’adolescenza, il rapporto padre-figlia, la ricerca di un riscatto sociale, la musica, gli spazi asfissianti. Abbiamo iniziato a fare dei casting non proprio canonici: trascorrevamo intere nottate nelle tv private dove i genitori portano ad esibirsi i figli cantanti e passavamo giornate scandite da infiniti pranzi e infinite cene. Volevamo due protagonisti che fossero padre e figlia anche nella realtà e non era semplice. Quando pensavamo di aver concluso e di aver trovato i protagonisti della storia, ci siamo imbattuti in un camion di pupazzi, dove un padre imboniva i turisti e una figlia cantava per intrattenerli. Erano Sharon e Rosario. Non abbiamo avuto dubbi, ed è nato il film. Rosario è stato fondamentale per arricchire la sceneggiatura di elementi reali aiutandoci a creare quel corto circuito tra realtà e finzione che è il cuore del film». E che avvolge anche il titolo, la cui origine è altrettanto suggestiva. «Cratere è il nome con il quale definiamo uno spazio indefinibile che si trova tra Napoli e Caserta. -prosegue- Un luogo che ha mille volti, infinite sfaccettature. Ecco, questo luogo, le anime che lo abitano, sono invisibili o al massimo considerati sinonimi di una malattia, né pericolosa né gradita. Lo spunto del film era quello di raccontare, attraverso la storia intima di un padre e una figlia questo spazio, il suo essere composto da scatole cinesi, da cerchi concentrici. Il cratere è il luogo che raccontiamo, ma è anche la famiglia (cratere nel cratere), il mondo di peluches dei protagonisti, la musica». Ed è qui che entra in scena la sensibilità dell’artista che più di tutti ha lasciato un vuoto nella scena musicale contemporanea. «Il riferimento alla costellazione Crater è arrivato da una suggestione di Gianmaria Testa, amico carissimo, cantautore dalla voce meravigliosa scomparso lo scorso anno. -continua Luzi- Gianmaria è stato tra i primi a conoscere il nostro progetto quando era ancora in fase embrionale, e un giorno nella sua cucina mentre fumavamo cento sigarette e parlavamo di queste anime in subbuglio che nessuno sembra amare, lui ha fatto il parallelo con quelle stelle luminosissime ma invisibili. Abbiamo trovato Crater, una costellazione talmente luminosa che può essere vista solo in primavera e dal sud del mondo, e grazie a Gianmaria abbiamo trovato anche il meraviglioso brano dei titoli di coda del film. Si chiama appunto “Na Stella”, ed è stata scritta per lui da Fausto Mesolella. E’ l’unica canzone che Gianmaria ha cantato in dialetto napoletano e il nostro film non poteva che essere dedicato a lui, alla nostra amicizia e alla sua incredibile capacità di raccontare piccoli mondi invisibili».
WHY MARCHE | 65
SPIRITO
MARTINA PIERMARINI:
LA LUCE FUORI DELL’INFERNO Esiste una poesia narrativa pianificata nell’antitesi, in snodi argomentativi complessi, strutturata in una coralità tutt’altro che fluida, inafferrabile, addirittura mistica, che sovrasta dall’alto e rappresenta il cardine di un nesso illogico che ad un certo punto sembra perdere la connessione con l’io nell’oggettivazione di ogni spazio residuale. La poesia può essere anche un’ipostasi, una tentazione nichilista, oppure un mezzo per tentare la risalita, ponendo domande essenziali per guardare con spietata analisi la realtà, per rivelare una vicenda dominante, il leitmotiv della corrispondenza tra “terra e cielo”.
M
artina Piermarini, che vive a Macerata, ha frequentato la scuola Holden di Torino e ha composto testi teatrali: Interno camera (Premio Calvin Klein, Piccolo Teatro di Milano) e Luci nel pozzo (regia del noto Stefano Alleva). La poesia la coglie, come per un processo di rimemorazione, in un girone dantesco, in una via caduca, purgatoriale, che dal buio esce per attraversare le ombre riflesse e giungere alla luce accecante superando il fuoco della solitudine e della reclusione. La via crucis, dopo la caduta negli inferi, giunge in un’ade misteriosa che ascende senza muse nella risorgenza solenne (come non menzionare Anne Sexton, che si contornava di mostri immaginari e che conservava un’anima nuda?). Leggiamo di un accesso nel tunnel dal quale assorbire il bagliore che proviene dell’altra parte: è questo il senso dell’esistenza umana e della dualità universale vita/morte, della dicotomia pasoliniana storia/natura. Interferenze alla luce di Martina Piermarini (Italic 2014) è un testo poetico non istituzionale, inattuale, che non rivoluziona il linguaggio nella sua tradizione, ma piuttosto lo rinnova, lo scandisce nel conflitto tra individui. La rêverie, nel verso, procede con un andamento sinusoidale, di chi si purifica nell’evangelizzazione del gesto plateale, tanto è vero che in apertura è riportato dal Vangelo segreto di Tommaso: “Io sono la luce che sovrasta tutte le cose. Io sono il tutto. Da me tutto è venuto, a me tutto giunge”. “La donna uccello”, nel suo “volo di redenzione”, nel suo essere, nel suo inconscio, riproduce l’epilogo del dramma nel principio del tutto, in un movimento da Divina Commedia tra santi e visionari, dannati e galeotti. “Adesso è il buio / Nel buio una piuma si alza. Da dove viene?”. E’ questo il passante iniziale, impercettibile come polvere e granello nella crepa, parafrasando la poetessa marchigiana. Martina Piermarini adotta un modello allucinatorio, travasa la realtà e la ricolloca in uno spazio interiore, in uno scenario apocalittico da dove addolcire la
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furia della “donna uccello”, fino alla salvezza con l’uscita dalla trincea del male. In questi componimenti sembra di visionare un emisfero astrale, un luogo perduto, un mondo pagano che si converte alla fede, alla sacralità di Dio, come ci racconterebbe un Odisseo nel viaggio dai recessi profondi della sua psiche. Interferenze alla luce è accompagnato da una cantilena, da una ninna nanna. L’avventura nel girone dantesco personalizzato, si riempie di presenze fuggevoli (“L’urlo del mercante risuona sotto i portici / nei drappi incandescenti / e nelle carni”): anima e corpo sono ancora sotto lo stesso destino di figure nullificate che nei labirinti onirici camminano a tentoni. Il verso, spesso spezzettato, ha un ritmo libero, si affranca, volutamente, da una descrizione fotografica per approdare al di là della superficie terrestre, in una migrazione che ricorda vagamente la materia incandescente di Amelia Rosselli. La similitudine con una poetessa tra le maggiori del nostro Novecento si può spiegare con l’ossessione ibrida situata tra il vedere e il presentire, tra il sogno e l’immaginario delirante. Martina Piermarini si spinge verso vari lidi, come Caronte con la sua imbarcazione quando fa salire i passeggeri per traghettare, in tal caso, verso quell’interferenza di luce, quei fulgori pacificati dal bene, distanziandosi dai defunti senza speranza che rimangono nell’altra riva (seppure non siano dimenticati). Questa aria funebre è una pioggia che batte insistentemente sull’asfalto, o “il topo che cammina dentro il muro”. “Li senti i morti / Quei sospiri / Eternamente brevi / Come pallidi signori seduti di rimpetto / Ti aggirano frullando l’aria”. Una sofferenza dilaniante e pian piano arginata, sconta quelle “sillabe astruse” proprie della Rosselli (Martina Piermarini parla precisamente di “sillaba oscurata”), la natura divina delle cose che cerca la risposta ad una voce inconscia: “Una bolla per catalogare / pensieri che stridono come cocci di gesso / Le radici azzurre e crocifisse / nel cortile spine, spine”. La stessa punteggiatura, la lettera maiuscola e minuscola, l’aggettivo spiazzante di Martina Piermarini, sfidano
P
di Alessandro Moscè
la prosa moderata e la oltraggiano con un’accurata gergalità, con un registro plurilinguistico. Non si può parlare di sperimentalismo vero e proprio, perché non è la forma a comporre il verso, ma un cosmo trascolorato, platoniano, un dérèglements di tramature: una specie di reincarnazione contemplativa dopo l’uscita dal tunnel del purgatorio per chi rimane donna mortale e abbraccia amorevolmente, illimitatamente la vita nell’intensità e nella misura di una sequenza ripresa da un boccascena che, nella metafora, divide il palcoscenico dalla platea. Interferenze alla luce è diviso in più sezioni: come in una pièce teatrale il terzo atto intitola di una donna che sale sul palco immerso nelle tenebre (ritroviamo, qui, la sonda poetica di Patrizia Valduga immersa tra oscenità e sacralità, in un lessico a volte crudo). Ha grandi occhi che la riportano all’oscurità e ad un linguaggio frastagliato, ad una frantumazione che scandaglia corpo e psiche prima dell’accensione della luce. L’oscurità di Martina Piermarini è l’eco della reazione patogena che Pier Vincenzo Mengaldo attribuisce proprio ad Amelia Rosselli, ad un doppio risvolto di fede e morte, di esistenza e decesso, per una fine che può arrivare senza la morte biologica del corpo, ma asserragliando la mente. “Ora sei libera / di cucinare pallottole masticate in solitudine / spalmarle di gesso come il boia / pagine / disseminate di papaveri / sanguigne lapidi / vesti arse di stagione in stagione / risa rosse scolpite nelle lacrime”. La trasversalità dell’estremo sentire ingloba una significativa versione del bene e del male, il copione cosciente della propria condizione che si sviluppa tra fasi alterne, bipolari. L’uscita dal tunnel non implica una definitiva separazione dagli inferi, perché il
ricordo rimanda lo spettro del passato, la discesa nella voragine, in un emisfero lontano, in quel contrappasso che avviene per istinto, in un’indefinita deformazione dei posti (“Faccia che penzola nel vuoto / perché appaia me ne dimentico / perché muoia me ne ricordo / Esserci nell’essere è porta stretta / dove si infilano gatti / che al buio non trovano le pulci”). Ma la donna che non si sente se stessa, vira dove l’erba cresce, si tramuta in fiore e in vento, e le spine, miracolosamente, profumano. Nella cavità infernale di Dante, Martina Piermarini scava una porta con un “occhio vischioso”, avvicinata da un essere informe, da un germe Impollinatrice (il soggetto maschile e l’aggettivo femminile coincidono volutamente), da un Dio che moltiplica gli umani in una proliferazione metastatica. L’inferno, ricordato e represso, si trasforma in Atlantide, l’isola leggendaria di una civiltà estinta. “La barriera di corallo / Il varco sotto di lei”. E ancora ricordi sfibrati, compulsivi, chiusi in un reticolato di automatismi sintattici: “prato di spighette”; “sacerdotesse terse fino al sangue”; “tuniche lunghe”; “carnevali sonnambuli”. Si avverte l’influenza di Antonia Pozzi, quel franare di passi e quell’attesa di un’aurora propri della poetessa milanese nel pulsare del suo sangue, di colei che inquadra oscure voragini, laghi dorati, parti di carne umana. Oppure Sibilla Aleramo nel suo diritto alla felicità e nel suo incantesimo amoroso, o la stessa Sylvia Plath “che rinveniva dalle ceneri”. L’oltretomba di Martina Piermarini è memoria, tempo passato, presente e futuro, un continuo spostarsi di uomini e donne, di atmosfere sospese tra inizio e fine, vita e non vita. Dal naufragio si può uscire, e la letteratura, come ci dimostra questa opera, salva nel suo ripetersi senza soluzione di continuità, nella sua competizione con i demoni, con il non arrendersi alla morte, alla “lapide dell’esistenza”, alla depressività infeconda. Affermò Italo Calvino nelle sue Lezioni americane: “La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione”. Ci sembra una frase idonea alla rapsodia di Interferenze alla luce, per varcare l’ombra e per spiegare una delle frasi ultimative. “Per te ho conciato questa pelle, questa guaina inossidabile. Le sue branchie abbracciano tutto in vagito, un clone di perfezione”. “La potenza dei vivi” di Martina Piermarini è come l’allegoria del libro di Giobbe, quel balsamo di parole finalmente edificanti che intravvedeva Søren Kierkegaard. Ci colpisce che la poetessa, nei suoi ringraziamenti, citi Dio “che nella sua benevolenza ha voluto abitare queste parole”. Sembra davvero una redenzione cristiana giunta alla fine del viaggio, un credere senza ripensamenti al soprannaturale. La poesia ha questa opzione: assolvere un’esperienza, condurla per mano, farne una testimonianza che anche il lettore può riconoscere. Nel cortocircuito emozionale si ritorna da dove si era partiti. Martina Piermarini scrive: “Essere cercatori è un ministero che non si esaurisce in questa vita, tantomeno in un libro. La sola cosa che possiamo fare è non sottrarci all’impegno…”.
POESIA WHY MARCHE | 67
SPIRITO
STAY HUNGRY AUTUNNO TEMPO DI RIMETTERSI IN FORMA
L
a corsa verso la palestra è spietata e gli abbonamenti annuali ai corsi di Zumba si moltiplicano. Desiderosi di ottenere corpi statuari e muscoli torniti, fatichiamo in palestre all’ultima moda piene di pettorali guizzanti e microshorts. Il primo ingresso è quello più complicato, gli ultimi brandelli d’estate e delle pingui serate in riva al mare scalciano perché non vogliono varcare la soglia che ci condanna a sofferenze fisiche inaudite e a corse infruttuose verso non-luoghi. La lezione di prova è il primo passo dentro le sabbie mobili: si entra circospetti, ci si avvicina a piccoli passi verso l’insegnante di Functional Training e si saluta la classe con un timido ciao. L’aria che si respira è densa, carica di elettricità e vi ricorda la palestra delle medie (l’ultima che avete frequentato), ormoni adolescenziali sintetizzati e rilasciati da diffusori regolabili infilati nelle prese delle pareti. Gli habitué li riconosci in un attimo: a proprio agio con l’attrezzatura e con i compari di fatica, si lanciano sorrisi smaglianti, si aiutano in sala pesi e si suggeriscono gli integratori corretti per affrontare l’inverno. Loro non hanno mai lasciato la palestra per la pausa estiva. La musica stordisce, sovrasta il rumore di ferraglia e brusio regalando un’atmosfera vitale e ovattata: sentire tutto purché non si ascolti nulla. Le gambe devono viaggiare a ritmo dei bpm e il sudore gocciolare sulle note delle ultime hit da classifica, regolarmente fuori sincro con gli schermi piazzati ad ogni angolo. Le ragazze di Pilates scodinzolano in giro e corrono vocianti nell’aula corretta seguendo mamma oca come tanti piccoli anatroccoli. Pazzesco, figata, top! Solo superlativi sulle bocche di queste bambole luccicanti dalla pancia piatta in abbigliamento sportivo succinto. Perché sono tutti in splendida forma? Cosa ci fanno qui se non ne hanno il minimo bisogno? E noi cosa ci
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facciamo lì? Di cosa abbiamo bisogno precisamente? Meglio non sapere, non andare a fondo della questione. Scaricare la tensione, eliminare lo stress, recuperare elasticità, rientrare nei vecchi jeans, sono tutte motivazioni più che valide. Seguendo attentamente le procedure che il personal trainer pagato profumatamente ci impartisce, ci si accorge di non aver mai respirato in vita nostra, che toccarsi la punta dei piedi con le dita delle mani è impossibile e si scopre, eureka!, di possedere degli addominali, ben nascosti, che si fanno sentire dopo tanto per ricordarci che siamo vivi e che la vita è un concentrato di dolore inespresso. Qualcuno di Kardio Kombat lancia degli sguardi truci, è ricoperto di tatuaggi e indossa una canotta nera che evidenzia i pettorali e lascia intravedere un’aquila annidiata sotto l’arcata ascellare. Che destino infame, quell’aquila costretta a bere sudore per il resto della sua vita. L’occhiata al gorilla fit è, diciamocelo, piena di invidia. Le forme perfette di quei bicipiti, le proporzioni statuarie dei polpacci, la marmoreità del collo taurino. Tamarro e perfetto. Il fitness è un’invenzione del marketing e l’ossessione per il corpo è l’ennesima gabbia che la società occidentale ci costruisce intorno. Mens sana in corpore sano è un sempreverde, ma se la mens non fosse affatto sana, a che serve il corpo? Il corpo è davvero il nostro inconscio? Prendersene cura per ristorare l’anima bisognosa? L’analisi non serve, lo psicologo a questo punto è démodé: se servisse il sudore? Il momento della doccia, lo specchio, se stessi nel corpo di un altro, le imperfezioni levigate, le mollezze rassodate, la voglia di essere altro. Si esce storditi, accaldati, confusi, è questa la via? Essere loro, diventare come loro? Se invece la soluzione fosse il corso di chitarra?
STAY FIT
di Andrea Cozzoni
Illustrazione Andrea Cozzoni WHY MARCHE | 69
SPIRITO
OTTOBRE - NOVEMBRE 2017 Ov’è conoscenza non c’è violenza
Un giorno accadde 13 ottobre 2016. A Stoccolma, il comitato dei Premi Nobel rende noto che il Nobel per la Letteratura 2016 è stato assegnato a Bob Dylan per avere “creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana”.
Ho sognato… ... un rogo – 42 –
Il rogo onirico è soprattutto fiamma d’amore, sentimento che non conosce limiti né regole. È simbolo per eccellenza della trasformazione e della costruzione, rappresenta le energie che vengono in superficie. Il bruciare è da sempre considerato strumento di purificazione e indica, in chi lo sogna, un’esigenza o un processo di rinnovamento.
Barbanera buongustaio Frittelle di Zucca
Tempo (min.): 45 Difficoltà: Facile Calorie per porzione: 210 INGREDIENTI (per 4 persone): 800 g di zucca - 3 cucchiai di farina - 2 uova - 2 cucchiai di vino bianco - mezzo cucchiaino di rafano grattugiato - olio di semi di arachidi per friggere - sale. Preparare una pastella con le uova sbattute insieme a un pizzico di sale, il vino e la farina e insaporirla con il rafano grattugiato. Pulire la zucca, lavarla, tagliarla a fettine sottili e passarle nella pastella preparata. Fare scaldare abbondante olio in una padella e friggervi, due o tre alla volta, le fette di zucca. Scolarle su carta assorbente da cucina, trasferirle in un piatto da portata e servirle ben calde. 70 | WHY MARCHE
BUONE ECOPRATICHE
d’Autunno
UNA CORNICE PER I CD
Se si ha una cornice importante, dorata o scolpita, la si può riciclare trasformandola in un contenitore da appendere in soggiorno per tenere in ordine i cd. Si incastrano e si incollano delle listelle di legno – i ripiani – direttamente da lato a lato della cornice. Si usano altre listelle in verticale, tra ripiano e ripiano, per dividere i ripiani stessi e dare solidità alla struttura. Oppure si acquista una struttura porta oggetti già pronta e ci si incolla sopra la cornice.
CONTROLLI ANTISPRECO
Ci sono alcuni controlli che è bene fare prima dell’arrivo della stagione fredda, per evitare inutili sprechi. Il gelo può provocare la rottura delle tubature e del contatore dell’acqua. Se non è situato in cantina, provvedete a chiudere il contatore in una cassetta di legno foderandola con della lana di vetro e avvolgete tutti i tubi esposti con le speciali guaine in vendita dagli idraulici, che si possono montare e sigillare da soli senza fatica e con poca spesa. Se poi la casa non è abitata, chiudete l’acqua, svuotate totalmente l’impianto idraulico e mettete del sale dentro il water.
PESCANDO QUA E LÀ!
Ottimizzare il guardaroba Se volete evitare che le prime giornate fredde vi colgano impreparati nella scelta degli indumenti da indossare, dedicate un pomeriggio al guardaroba invernale. Scartati i capi che non vanno più bene, studiate degli accostamenti: giacche con pantaloni o gonne, con maglie, scarpe, calze. Alla fine, appendete all’anta interna un promemoria dove annotare alcuni completi adatti per il lavoro e lo sport. Sarà una preziosa riserva di idee per le giornate in cui sembra di non avere niente di adatto da mettere.
L’oroscopo di Barbanera ARIETE L’inventiva continua ad essere il vostro punto di forza. Intraprendete nuovi progetti e rivoluzionate la solita routine con trovate sorprendenti e originali. TORO Siete presi dagli affari per questioni relative a investimenti o proprietà che richiedono un impegno in prima persona. Disciplina e costanza, le vostre carte vincenti. GEMELLI Piacevoli novità. Abbandonatevi alla spontaneità e all’ipotesi di un cambiamento di prospettiva, senza dubbi né timori. In coppia o single, sorprese in arrivo. CANCRO Utilizzate la vostra sensibilità per rendere più piacevoli gli incontri e la comunicazione con gli altri. Fidatevi del vostro intuito, più che della logica. LEONE Lavoro e finanze, i vostri punti di forza. La sensazione di dominare gli eventi rafforza autostima e selfcontrol. Una trattativa si conclude a vostro favore. VERGINE Determinazione più fiducia uguale successo. Specie per chi, come voi, ha la pazienza di aspettare che i tempi siano maturi. Occasioni fortunate da non mancare.
BILANCIA Anche se non tutto andrà come avete preventivato, cercate di non perdere la calma e, anziché incaponirvi sulle vostre posizioni, trovate un buon compromesso. SCORPIONE Riflettete a fondo sui consigli spassionati, obiettivi e preziosi di un vostro caro amico. Vi aiuteranno a cogliere il nocciolo di una questione importante. SAGITTARIO Per migliorare il vostro profilo puntate a riqualificarvi con un corso di specializzazione. Aria nuova al lavoro, con slanci creativi recepiti in viaggio. CAPRICORNO Sul lavoro la fantasia si allea al senso pratico, creando un mix vincente. Lavorare in team vi annoia un po’: con il vostro carisma siete nati per dirigere! ACQUARIO Gettonati lo siete per forza perché simpatici e originali. Se il partner c’è ed è quello giusto, tenetevelo stretto congedando con garbo i corteggiatori. PESCI Tra amicizia e amore il passo è breve ma, indecisi sul da farsi, per ora mantenete segreti i vostri sentimenti, osservando pazienti l’oggetto delle vostre brame. WHY MARCHE | 71
EVENTI
OTTOBRE - NOVEMBRE 2017
54° MOSTRA DEL TARTUFO BIANCO Sant’Angelo in Vado (PU) sino al 29 di ottobre
HALLOWEEN LA FESTA DELLE STREGHE
52° FIERA NAZIONALE DEL TARTUFO BIANCO
DIAMANTI A TAVOLA
RUBENS E ALTRI CAPOLAVORI NELLA CHIESA DI SAN FILIPPO A FERMO
APPASSIMENTI APERTI
DA TIZIANO A TIZIANO - DUE CAPOLAVORI A CONFRONTO
ENZO CUCCHI 50 ANNI DI GRAFICA D’ARTISTA
Amandola (AP) dal 4 al 12 novembre
FESTA DELLA CICERCHIA
Serra de’ Conti (AN) dal 24 al 26 novembre
Corinaldo (AN) dal 27 al 31 ottobre
Fermo sino al 5 novembre
Ancona (AN) sino al 30 novembre
Acqualagna (PU) 30/31 ott. 1-5-6-12-13 nov.
Serrapetrona (MC) 12 e 19 novembre
Ancona (AN) sino al 17 dicembre
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