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EDITORIALE

DALLA PARTE DEI MENO FORTUNATI L’editoriale di questo mese si sofferma sull’aspetto meno felice per i cittadini marchigiani: nonostante l’arrivo delle festività natalizie, la rivista mette in evidenza, in alcuni articoli significativi e decisamente informativi, che il sisma dello scorso anno sta producendo ancora i suoi effetti, che la ricostruzione è lenta, che mancano gli aiuti in favore delle strutture pubbliche e private. Lo sapevamo e lo ribadiamo: non tutto procede come ci si aspettava. Nonostante questo, però, la tenacia e l’ottimismo della gente della nostra regione fanno la differenza. L’esempio più riuscito, probabilmente, sta nella ripresa dell’Università di Camerino che ha deciso di non chiudere i battenti e di continuare a fornire lezioni, supporto scientifico e umano ai suoi studenti, ottenendo il plauso del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. La terra laboriosa, come l’abbiamo più volte definita, non si abbatte. Speriamo in un 2018 più proficuo e più snello sotto forma di finanziamenti statali, affinché anche i nostri enti locali possano imprimere quel colpo di coda decisivo per uscire dalla crisi del terremoto. Chi non ha più una casa soffre, ma la responsabilità di chi è chiamato a restituirgliela fa intravedere un lume di speranza che non si spegne, anzi che appare sempre più intenso. Stavolta ci sentiamo vicini ai meno fortunati. Il numero è anche tante altre cose, ovviamente: sfogliatelo, leggetelo, fatelo vostro con il consueto interesse che ci dimostrate ogni volta. Un sereno 2018 da “Why”… sotto gli auspici di un oroscopo benaugurante.

ALESSANDRO MOSCÈ

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SOMMARIO A G O R A’

8 DA NONNA ANDREINA A ERRICO RECANATI

ANIMA 28 MUSEO ARCHEOLOGICO JESI 30 SAN FRANCESCO E SEFRO 32 FICO E LE MARCHE 34 L’ARTE ORAFA ALLO SVEVO 36 VIGNETO BELLALUCE 38 LE STRANEZZE DI LORENZO LOTTO

P.4O

P.8

Direttore Responsabile: Alessandro Moscè REDAZIONE Editor Silvia Brunori Stefano Catini Stefania Cecconi Silvia Conti Gaia Gennaretti Stefano Longhi Tommaso Lucchetti Emanuela Sabbatini Gaudenzio Tavoni

MENTE 44 DOMINA SVELA L’AUDI A8 52 682° ANNO ACCADEMICO UNICAM 54 SICUREZZA IN INTERNET 56 L’INCHIESTA: UN ANNO DAL SISMA

Marketing & P.R. Raffaella Scortichini r.scortichini@whymarche.com Concept: Theta Edizioni info@whymarche.com

P.48 www.thetaedizioni.it

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PRIMO PIANO

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P.14 VIAGGIO NELL’ARTIGIANALITÀ

I PERCORSI DI WHY MARCHE

Tecnostampa: Via Le Brecce - 60025 Loreto (AN)

SPIRITO 61 IL MAZZAMURELLO 64 I LUOGHI DELLA POESIA 67 FEDERICHINO 70 I CONSIGLI DI BARBANERA 72 EVENTI

Abbonamenti: abbonamenti@whymarche.com Chiuso in redazione il 14 Dicembre 2017 Photo copertina - Shutterstock

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A G O R A’

A CENA CON ERRICO RECANATI, LO CHEF-ARTIGIANO STELLATO È STATO DEFINITO GUERRIERO DELLO SPIEDO E DELLA BRACE, STRENUO DIFENSORE DELLA MATERIA PRIMA E ROCCIA FERMA DELLA TRADIZIONE CULINARIA MARCHIGIANA E ITALIANA

Photo Credit: Emanuela Ercoli

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P

roprio l’amore verso la materia prima lo hanno portato a ricevere ad ottobre il Premio Gambero Rosso Terra e Ambiente. La motivazione del premio così cita:”Quando la sostenibilità è forma e sostanza. Valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti attraverso una cucina nel pieno rispetto della terra, dell’ambiente e dell’uomo”. Il premio Gambero Rosso si va ad aggiungere ad un importante riconoscimento come la Stella Michelin. Una coppia di coniugi e una grande passione per la materia prima: in costante crescita gastronomica negli anni, in virtù di una cucina che rivede la tradizione - quasi esclusivamente di carne - con succulenti proposte alla brace e allo spiedo tra i secondi piatti. (non in corsivo) Così gli ispettori della Guida Michelin raccontano il Ristorante Andreina Fare lo chef è come essere un artigiano che elabora la materia attraverso la ricerca, la passione, l’attenzione, l’amore e la dedizione al fine di ottenerne un prodotto culinario d’eccellenza. Con queste parole lo chef Errico Recanati, dal Ristorante Andreina di Loreto, inizia a raccontare la sua cucina e il suo territorio, l’ecosistema florido e affascinante delle Marche, in bilico tra mare e terra, privilegiando gesti tradizionali e culto della brace in chiave moderna e futuristica.


di Silvia Conti

DA DOVE ARRIVA LA SUA PASSIONE PER LA CUCINA?

La passione per la cucina deriva dalla famiglia, da una nonna, da dei camini accesi, da una storia lunga 65 anni e da tutti i colori che compongono la cucina. In cucina nasco autodidatta! E’ inevitabile quando cresci in un ristorante e lo vivi fin da piccolo e quando, di ritorno dalla scuola, mi fermavo in sala ad osservare l’andirivieni dei camerieri, il chiacchiericcio dei clienti mentre la passione cresceva sempre più.

QUALI SONO I RICORDI SU NONNA ANDREINA CHE OGGI GLI TORNANO ANCORA ALLA MENTE?

Passione, attenzione, amore e dedizione. Nonna assaggiava tutto, vedeva tutto e controllava tutto. Dai prodotti culinari prima di essere cucinati fino ad arrivare sul tavolo del commensale ed essere mangiati. Quante volte osservavo mia nonna tra quelle pentole enormi di quaglie in salmì che bollivano e bollivano sui fuochi fatti a muro! Mai distoglieva l’attenzione da tutti e cinque i fuochi in modo continuo ed attento fino alla cottura finale.

Pernice e giardiniera Ristretto di fagiano, ravioli liquidi di porro e finto minestrone

DALLA SFOGLIA E DALLO SPIEDO DI NONNA ANDREINA A … COME DEFINIREBBE OGGI LA SUA CUCINA?

Una cucina attenta al prodotto, alla materia prima, alla mia regione e a dove lo chef vuole tornare. Ovvero, allo spiedo. Nel tempo ho compreso che l’ingrediente principale della brace è il fumo. Esso va catturato e convogliato grazie ad un cappello che si alza e si abbassa secondo la cottura. Lavoro sulla distanza del fuoco con griglie alte. La faraona viene cotta da lontano a 35 cm di distanza. Allontanando la carne abbiamo cotture più lunghe, pelli più croccanti e punti di cottura perfetti come nel forno. Il lavoro da cuoco è come quello di un artigiano che conosce le sue materie e dosa ingredienti e cottura. Mi sto esercitando a riconoscere la cottura della carne attraverso il profumo del fumo. E’ un’esperienza sensoriale incredibile. Il fumo va domato e concentrato abbassando e alzando le griglie. Solo così ottieni la giusta consistenza delle carni. La brace, sia essa fatta con i legni o con il carbone, va accesa presto e sotto la griglia ci deve essere un fuoco acceso. Lasciamo ad altri le piastre. Quante volte avete VERAMENTE mangiato alla griglia nelle cene fuori casa?

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A G O R A’

AL RISTORANTE ANDREINA POSSONO MANGIARE TUTTI? ONNIVORI E ANCHE VEGETARIANI O VEGANI? Da noi possono mangiare tutti, anche i vegani. Infatti oltre a cucinare carne realizziamo piatti a base di vegetali. Per l’80% tutto rigorosamente alla brace. Al mio ristorante mangia tanta bellissima gente che ringrazio infinitamente. Ho il piacere di vedere molti giovani. Grazie a loro oggi sono qua a rinnovarmi con grande entusiasmo.

QUALI SONO I PIATTI PIÙ RICERCATI DELLA SUA CUCINA?

La faraona cotta da lontano, l’ostrica alla brace, la pernice, il baccalà cotto sotto la cenere. Una delle specialità che abbiamo messo a punto è lo spaghetto alla brace servito con cacio, pepe e pecorino di fossa di Cau Spada con sette pepi diversi. Viene cotto sotto i cappelli per favorire la tostatura e dare così una consistenza diversa da quella bollita. Successivamente viene mantecato con cacio e pepe.

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RACCONTIAMO LE MARCHE ATTRAVERSO I SUOI PIATTI E LE SUE RICETTE.

Voglio raccontarvi Ascoli Piceno e in particolar modo le sue famose olive all’ascolana, rivisitate nel tempo in tanti modi. In occasione di un evento a cui sono stato invitato, ho pensato di onorare Ascoli e le sue preziose olive con una speciale ricetta innovativa. Ho dato vita ad un box al cui interno ho inserito una battuta al coltello di carne cruda dell’azienda agricola Scibè Doriano in una forma ovale, un sacchetto di farina di olive verdi Gregori essicate e frullate e del pane fritto. Per mangiarla, si prende la tartare e la si mette nel sacchetto fino a ricoprire interamente la carne di farina di olive. Infine si mette sul pane fritto e si mangia. Con questa ricetta ho portato la marchigianità in giro per l’Italia. Un cuoco deve difendere il proprio territorio. Amo raccontare le Marche attraverso le materie prime e i produttori. Non è così fondamentale parlare di prodotti a km0, ma è importante ricercare la materia prima d’eccellenza marchigiana.


STELLA MICHELIN E PREMIO GAMBERO ROSSO TERRA E AMBIENTE: QUALE È IL SIGNIFICATO DI QUESTI DUE PREMI PER LEI?

La Stella Michelin raffigura un riconoscimento alla nostra storia e a ciò che abbiamo realizzato fino ad oggi con tanta passione e ricerca. Le persone che arrivano nelle Marche per turismo e che giungono al ristorante Andreina trovano degli ambasciatori di una bellissima terra dai colori, sapori e profumi mai sentiti prima e con i prodotti migliori. Terra e ambiente sono importanti perché riportano il riconoscimento alla materia prima. Abbiamo 22 piante di visciola e facciamo le visciole sotto zucchero. Coltiviamo 22 erbe aromatiche grazie alla dedizione e al lavoro certosino di un collaboratore che mi aiuta e mi supporta. Il lavoro inizia proprio in quell’orto di erbe aromatiche per finire in cucina.

Proseguiamo con un’insalata di gobbi, cappone accompagnata da un gelato di mostarda. Come dessert una crema classica di visciole in diverse consistenze, sotto zucchero. Terminiamo con una granita di succo di visciole.

CHE CONSIGLI DAREBBE AI GIOVANI CHE CI ACCINGONO A DIVENTARE CHEF?

Cambiate lavoro! Scherzi a parte… passione, rispetto, amore e dedizione. Non puoi lavorare senza questi ingredienti speciali. Alzati presto la mattina con lo spirito e il divertimento di un bimbo di 12 anni e lavora sodo come un falegname di 70 che pialla il legno dalla mattina alla sera. Ho lavorato con uno chef che diceva “se una sarta cuce un’asola un cuoco deve sbucciare un legume”. Lo chef deve levare le difficoltà nel mangiare al commensale. Stiamo tornando a quello che sono le emozioni e i ricordi.

L’ostrica si dà le arie di brace Ramona Ragaini e Errico Recanati

COM’È LAVORARE IN COPPIA CON SUA MOGLIE RAMONA RAGAINI? E’ un’esperienza bellissima! E’ più giovane di me e questo ha favorito il confronto tra percezioni diversi, lo scambio di idee su quello che è attuale. Noi siamo una squadra alla continua ricerca e sperimentazione, con uno sguardo presente nella tradizione.

RACCONTIAMO RAMONA AI LETTORI.

E’ una persona molto intelligente e attenta che, pur non essendo arrivata da questo mondo, lo vive intensamente e con amore. Ama il cibo vivo come l’uva che l’ha portata ad appassionarsi al vino.

CI SVELA QUALCHE RICETTA PER I LETTORI DI “WHYMARCHE”?

Iniziamo con uno sgombro con cipolla cotta sotto la cenere, accompagnato da una misticanza di erbe tenere di campo lasciate marinare con aceto di lampone. In abbinamento un bel Verdicchio di Matelica o dei Castelli di Jesi. Come da tradizione natalizia suggerisco cappelletti in brodo di cappone con ripieno delle nostre carni con scaglie di tartufo di Acqualagna nel brodo. Il tutto accompagnato da un grande bianco marchigiano.

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ANIMA

O I G G A I V

Á T I L A N A I G I NELL’ART E H C R A M DELLE

PESARO URBINO URBANIA

CASTELFIDARDO FABRIANO APPIGNANO MONTAPPONE

OFFIDA ASCOLI PICENO

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I PERCORSI DI WHY MARCHE L’artigianato nasce quando storia e tradizione incontrano innovazione e creatività. È proprio questo che ha reso le Marche ricche di storici maestri, per i quali l’arte era quotidianità, dando vita così anche a nuovi mestieri. Molti ambiti dell’artigianato hanno nei secoli dato lustro all’intera regione, tramandandosi di padre in figlio e producendo straordinarie creazioni rimaste nella storia di tanti territori. L’utilizzo di materiali come pelle, legno, stoffa, terracotta, paglia, ceramica, carta e metalli ha fatto sì che nascessero nuovi oggetti d’uso comune, reinventati poi nelle varie epoche secondo le esigenze dei tempi. Oggi le Marche vantano tante eccellenze, nate proprio da queste antiche idee, delle quali è bene approfondire le origini con un percorso per luoghi e musei ricchi della loro storia. Da nord a sud la regione presenta testimonianze di tradizioni popolari tutte da scoprire, per capire come tali manufatti sono arrivati dal passato fino ai giorni nostri. Photo A. Tessadori

A cura di:

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ANIMA

Ceramiche e Maioliche Rinascimentali Pesaro, Urbino ed Urbania L’arte della ceramica si è sempre distinta nell’urbinate ma dal 1520 inizia a farsi conoscere maggiormente, perché promossa dalla nobiltà, in particolare dai Duchi della Rovere. Tra i più grandi mastri ceramisti dell’epoca vi erano Guido Durantino, i Fontana e la bottega dei Patanazzi, i quali diedero vita al decoro barocco e a forme modellate a tutto tondo.

Nacquero così da questi artisti le suggestive maioliche rinascimentali, caratterizzate da colori vivaci, ideali per usi nobili, o ancora coppe e albarelli di vari materiali e stili, decorati con soggetti biblici, mitologici o allegorici. È ben visibile l’evoluzione di questa tecnica artigianale in vari luoghi della regione, come il Museo delle Ceramiche di Pesaro, la Galleria Nazionale delle Marche ad Urbino ed il Museo Civico di Urbania.

Museo della Ceramica, Pesaro

Museo Civico, Urbania

Galleria Nazionale, Urbino

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Galleria Nazionale, Urbino


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I PERCORSI DI WHY MARCHE

La Fisarmonica Castelfidardo Il brevetto della Fisarmonica fu depositato a Vienna nel 1829, ma solo nella seconda metà del secolo avvenne nelle Marche la vera evoluzione di questo magico oggetto. Castelfidardo divenne così la città che ha visto nascere i migliori organetti e le più pregiate fisarmoniche di tutti i tempi per mano di Paolo Soprani. Grazie alla vicina città di Loreto egli poté dare il via ad un’industria ed un commercio totalmente nuovi, rendendo

questo strumento indispensabile tanto da indurre Giuseppe Verdi a proporne lo studio nei conservatori. Come visibile oggi nei 350 pezzi esposti al Museo della Fisarmonica di Castelfidardo, l’idea iniziale subì una grande evoluzione, giunta fino al cambio dei gusti musicali che ne hanno ristretto il commercio, mantenendo però una nicchia di prestigio in quei territori.

Photo A. Tessadori WHY MARCHE | 19


ANIMA

La Carta Fabriano La creazione della carta ha origini molto lontane: nata dagli arabi e poi giunta nel fabrianese, dove la prima testimonianza di questa produzione risale al 1264. Conobbe periodi molto floridi ed altri di totale declino. Il primo opificio di Fabriano nacque nel 1326, ma la vera crescita produttiva della carta avvenne a partire dal ‘700, quando Pietro Milani, operaio in una cartiera, decise di aprire una propria moderna attività. Iniziò così a dargli

prestigio, ottenendo l’esclusiva produzione della “carta di Francia”, tanto sostenuta da Giambattista Bodoni, in collaborazione con grandi nomi come Francesco Rosaspina, dal quale nacque la carta omonima. Una storia ricca di studi e cambiamenti, tangibili nel Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano, dove è possibile visionare il suo processo evolutivo e i cambiamenti che l’hanno portata all’eccellenza odierna.

Photo A. Tessadori 20 | WHY MARCHE


I PERCORSI DI WHY MARCHE

La Terracotta Appignano L’arte della terracotta nacque nella povertà del ‘500, quando Pasqualino Mariani arrivò nel piccolo centro di Appignano, dove l’unico lavoro svolto era quello nel settore agricolo, per aprire una nuova attività come vasaio. Fu quindi il primo a dare il via a questo grande sapere artigianale che andò ad ampliarsi con molta costanza grazie alla facile reperibilità della terra, incentivando così

la produzione di vasi, utensili e suppellettili da cucina in terracotta, sempre molto richiesti. Venne istituita una “Via dei vasai”, nella quale vi erano le maggiori botteghe artigiane che ponevano i vasi ad asciugare al sole prima della cottura. Ancora oggi abbiamo testimonianza di quest’arte passeggiando per Appignano, e visitando la Collezione Civica di terracotta e ceramica, ricca di creazioni storiche.

Photo A. Tessadori WHY MARCHE | 21


ANIMA

I Cappelli Montappone

La creazione di cappelli ha origine tra la fine dell’800 ed il secolo scorso sul territorio di Montappone, dove oggi risiede il più grande centro di produzione di copricapi di ogni genere. Come si può osservare nel Museo del Cappello cittadino, anche questo ambito artigianale ha subito grandi trasformazioni nel tempo, soprattutto nelle tecniche per la lavorazione e l’intreccio della paglia fino ai macchinari

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usati nelle varie fasi di realizzazione del prodotto. Oggi si creano cappelli di ogni genere, dai più semplici e classici ad altri più estrosi e particolari: ne sono esempio quelli concepiti con materie eccellenti, fatti di tagliolini, di pane, di ceramica e visionabili nella parte moderna del museo, o ancora quelli mostrati nelle sale del Cappellaio Pazzo, dove la follia diviene genialità, dando vita a veri pezzi d’arte.


Da una terra vincente nascono storie di profumi che riempiono i terreni, le cantine, le tavole. Storie di rispetto, di passione, di vita. Storie di Bianchello del Metauro. L’autentico sapore del vino. BIANCHELLO DEL METAURO DOC www.bianchellodautore.it -

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BRUSCIA

CESARE MARIOTTI

CIGNANO

CLAUDIO MORELLI

CONVENTINO MONTECCICARDO

DI SANTE

FIORINI

TERRACRUDA

VILLA LIGI


ANIMA

Il Merletto a Tombolo Offida Il prestigioso merletto a tombolo, detto anche a fuselli, arrivò ad Offida almeno 500 anni fa, e si è tramandato fino ad oggi, divenendo emblema di pregio e raffinatezza, e risultando interessante da inserire nelle proprie opere anche per artisti come Simone De Magistris. Inizialmente fu un lavoro prettamente femminile e popolare, svolto anche lungo le vie del paese, finché dal XVII secolo non entrò nella vita monastica ed

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aristocratica, acquistando popolarità dal 1655 grazie all’arrivo delle suore benedettine. Il merletto ha dato lustro in tutto il mondo alla piccola cittadina marchigiana, come si può vedere anche nel suggestivo Museo del Tombolo di Offida, colmo di creazioni storiche, tra cui spiccano corredi nuziali, tovaglie e perfino l’abito indossato nel 1977 da Naomi Campbell a Londra.



ANIMA

L’Arte Orafa Ascoli Piceno La cultura dell’oreficeria toccò i territori del Piceno nel XV secolo, grazie alla maestria del “principe degli orafi” Pietro Vannini, al quale si deve la grande diffusione di questo artigianato ad Ascoli Piceno, soprattutto in ambito sacro, con la creazione di reliquiari, croci ed ostensori esposti oggi nelle varie chiese del territorio. Molto legato ai suoi luoghi d’origine, donò a via del Trivio, la via degli orefici ascolani, uno splendore unico, e permise la realizzazione anche della celebre statua di Sant’Emidio in argento di Pietro Vannini, conservata nel Museo Diocesano di Ascoli Piceno. Ancora oggi la città porta avanti fortemente l’arte orafa, con numerosi progetti del CNA e la collaborazione con la Quintana, durante la quale le Dame dei Sestieri indossano gioielli realizzati con antiche tecniche ed ispirati all’arte e alla storia della città in travertino.

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Photo Uffici Beni Culturali Eclesiastici della diocesi di Ascoli Piceno


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ANIMA

JESI PRESENTA IL SUO NUOVO

MUSEO ARCHEOLOGICO

Jesi, città esemplare per la capacità di preservare un patrimonio secolare architettonico, artistico e culturale altamente suggestivo, si arricchisce di una nuova perla da vistare. Se vi trovate a passeggiare per il corso Giacomo Matteotti di questa ridente cittadina spostatevi lungo la parallela via XV Settembre: una sorpresa vi attende! Si tratta del nuovo Museo Archeologico che vanta una importante collezione di statue di età giulio-claudia. Photo A. Tessadori 28 | WHY MARCHE


di Raffaella Scortichini

A

ll’interno dell’elegante Palazzo Pianetti, sede della nota Pinacoteca Civica, da oggi l’accesso non sarà solo al primo piano per ammirare il fasto della Galleria degli Stucchi e le Stanze di Enea, ma ci sarà la possibilità di visitare anche il nuovo Museo Archeologico. Allestito infatti al piano terra nelle scuderie egregiamente recuperate della prestigiosa residenza nobiliare, il museo occupa oltre 400 metri quadrati distribuiti proprio tra l’edificio principale di Palazzo Pianetti e l’ala che si affaccia sul giardino retrostante. Un progetto ambizioso che ha permesso il restauro conservativo delle pregevoli sale di epoca settecentesca e del chiostro che si affaccia sul giardino, con il pieno recupero dei dipinti e degli ambienti che presentano volte di pregio, oltre ai pavimenti originali. Lunghi lavori che hanno riportato al vivo la nuda bellezza storica dei locali che sono così divenuti un eccezionale contenitore di altrettanta storia e cultura. Nello specifico gli archi sono stati restaurati e riaperti. Le pareti sono state rivestite con il vetro in modo da preservare il patrimonio storico reso allo stesso tempo così visibile al visitatore. Diverse le decorazioni originarie riscoperte, come il vecchio pavimento considerato una quasi scoperta archeologica. Il visitatore può camminare su una pedana sopra il vecchio piano di calpestio, in sicurezza e lungo un percorso suggestivo, interamente privo di barriere architettoniche. L’allestimento è valorizzato da pregevoli teche distribuite lungo un percorso storico che va dal paleolitico all’età romana con materiali di proprietà del Comune di Jesi e di

provenienza statale. Otre seicento sono i pezzi: tra essi meritano di essere segnalati il ciclo di statue di età giulio-claudia di epoca a cavallo tra il sec. I a.C. e il sec. I d.C. comprensivo dei ritratti degli imperatori Tiberio, Caligola ed Augusto, nonché le pregevoli ceramiche a vernice nera provenienti dagli scavi del foro Boario. L’ingresso del Museo Archeologico è al pian terreno e vi si accede dal portone principale d’ingresso del palazzo. Una volta entrati all’interno del maestoso atrio porticato è sufficiente portarsi a sinistra dello scalone, lo stesso che accompagna solitamente i visitatori al primo piano alla Pinacoteca civica. Il Museo si affaccia su un tipico giardino all’italiana cinto da mura: un giardino che rappresenta al meglio uno dei concetti chiave del giardino settecentesco che media tra lo spazio privato del palazzo e quello naturale della campagna. Una cornice inusuale che fa godere gli ambienti di una luminosità naturale. Non solo opere, non solo storia, non solo un bel contesto espositivo, ma anche solidarietà. È stato infatti sottoscritto dall’amministrazione comunale di Jesi un accordo di solidarietà (la campagna “Adotta un Museo”) con Icom Italia a sostegno della Rete Museale dei Sibillini e, attraverso di essa, alle comunità colpite dal sisma. Fino al 2019, nel museo e nelle strutture comprese all’interno di Palazzo Pianetti, presteranno servizio operatori culturali della cooperativa che gestisce alcuni dei più importanti musei nella zona del cratere chiusi per danneggiamenti e dunque rimasti senza lavoro.

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ANIMA

SEFRO

culla del francescanesimo

U

n affresco dai colori sbiaditi, posto sulla parete di fondo di una antica chiesetta, tratteggia la figura scrostata di un frate. Una comunità di poche case lungo il torrente e un’antica pieve posta all’ingresso del paese accucciato ai piedi dei Monti Sibillini giacciono sotto l’ombra arcana della Valle Scurosa. E poi un sentiero che si inerpica lungo il Monte Crestaio sino a raggiungere un balcone naturale dove si avvicendano grotte antiche luogo di eremitaggio. Pare essere l’incipit di un romanzo che mescola storia e natura alla devozione cristiana, invece si tratta della descrizione di alcune zone della frazione di Agolla, piccola comunità all’ingresso del Comune di Sefro, in provincia di Macerata. Nell’aria i profumi della montagna nel circolo dei Monti Sibillini che abbraccia la vallata e su un palmo di mano eleva a 900 metri l’altopiano di Montelago. Lo scrosciare di acque pulite regala alla cucina locale la tradizione benevola della trota e il silenzio dona agli animi il placido dondolio del tempo. Questo territorio collocato nelle Marche al confine con l’Umbria racconta di storie antiche, senza tempo, di passaggi di viandanti lungo la Valle Scurosa. Racconta di frati francescani che nel ‘200 dall’Umbria si spostarono sino a raggiungere questi luoghi di pace e di riflessione. E ancora più indietro nel tempo, racconta di riti pagani, di mistici, di oracoli e sibille. Una dimensione ascetica che dal paganesimo, oggi, si

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sposta sempre più verso una religiosità fatta di frati dal saio di sacco e sandali ai piedi. Le Marche in fondo sono luogo di storia del francescanesimo, basti pensare ai quattro papi francescani della Chiesa romana. Il mistero che avvolge la storia di Sefro e di Agolla si intreccia con il francescanesimo, tra memorie orali e percorsi storiografici da verificare. Perché in quella piccola pieve a guardia del cimitero, la chiesa di San Tossano, alle spalle dell’altare da secoli riposa la figura di un santo riconosciuta da alcuni come la prima effige di San Francesco. E in una di quelle grotte calcaree tra i vari eremiti che le abitarono, si narra che si rifugiò il Beato Bernardo da Quintavalle, primo discepolo del santo di Assisi. Sefro parrebbe essere quindi una culla del francescanesimo, dove il primo e più intimo seguace di San Francesco si rifugiò in un periodo della sua vita, e dalla sua presenza si generò una comunità talmente fervida da inserire nell’affresco la prima effige del patriarca dell’ordine dei frati minori. È davvero così o si tratta di credenze popolari? Gli studi voluti fortemente dal Sindaco di Sefro Giancarlo Temperilli, con l’adrenalinica assunzione del rischio che affermino la matrice superstiziosa dell’intera vicenda, stanno in realtà rivelando numerose curiosità. Raimondo Michetti, storiografo e membro della Società Internazionale degli Studi Francescani, riprende la figura di Bernardo da Quintavalle, il ricco mercante assisano primo a convertirsi alla figura di San Francesco, in quell’unico riferimento storiografico a Sefro e cioè


di Emanuela Sabbatini

quello di Padre Angelo Clareno. Padre vigoroso della contestazione parla della persecuzione interna all’ordine dei frati minori del 1232-1239 e annovera Bernardo tra i frati che si rifugiarono in eremitaggio. Proprio a Sefro, secondo quanto scrive il Clareno, Bernardo visse in una grotta per due anni lavorando in incognito per un falegname e proseguendo quindi la regola del testamento francescano del “laboricium” che non voleva i frati dedicarsi all’ozio. Questa testimonianza rafforzerebbe la tesi secondo la quale quell’affresco nella chiesetta di San Tossano raffigurerebbe proprio San Francesco. Sulla questione è intervenuta l’ex Soprintendente per i Beni Artistici e Storici delle Marche, Maria Giannatiempo Lopez che nella pittura tardo duecentesca della chiesetta di S. Tossano rinviene proprio l’immagine del santo di Assisi contrastando quanto sostenuto dallo storiografo Vergani che ne riconosce invece Sant’Antonio da Padova. La tesi della Giannatiempo si fonda sullo studio del rapporto tra i due santi nelle raffigurazioni del ‘200. Nella tradizione pittorica San Francesco viene raffigurato sempre alla destra del crocifisso, in segno di importanza, mentre solo alla sinistra Sant’Antonio. Iconograficamente poi, il santo padovano viene dipinto nel gonfiore che connota la malattia che lo affligge, l’idropisia, contrariamente al

santo di Assisi sempre smunto e scavato in volto, esattamente come apparirebbe anche nell’affresco di Agolla. Ultima roccaforte della posizione della Giannatiempo Lopez sta nel fatto che la figura sulla sinistra del crocifisso sia stata completamente andata persa a causa di un allargamento della chiesetta, motivo in più per credere che il santo che “non siede alla destra del Padre” non fosse di primaria importanza. Per dirla con il sommo Guicciardini, “Fede non è altro che credere con openione ferma, e quasi certezza le cose che non sono ragionevole, o, se sono ragionevole, crederle con più resoluzione che non persuadono le ragione”. Gli studi proseguono e affermeranno ciò che è ragione, ma prima ancora che questa possa bastare, Sefro e le sue grotte e la chiesetta di San Tossano sono già mete di pellegrinaggio per chi cerca, nei passi francescani, se stesso e Dio, colui che di fatto è in ogni luogo.

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ANIMA

L’esordio di Food Brand Marche

FICO. Sicuramente sentendo nominare questa parola vi sarete chiesti: ma che cosa è, un buon frutto della terra o un aggettivo alternativo? Ebbene vi diciamo subito che FICO è l’acronimo di Fabbrica Italiana COntadina. Il termine suona anche bene se volessimo utilizzarlo in una sorta di italianizzazione dell’inglese al posto dell’inglese “cool” quindi semplicemente “fico”. Scherzi a parte con FICO, al di là del suo acronimo, si identifica il più grande parco dell’agroalimentare italiano realizzato con cura in un area di 10 ettari di terreno nell’hinterland bolognese all’interno del quale vengono rappresentate e raccontate l’agricoltura e l’allevamento, la memoria e la tradizione della civiltà contadina, i sistemi di trasformazione, i mercati, la ristorazione e l’apprendimento attraverso la didattica e gli eventi. FICO è il luogo dove l’Italia mostra fiera agli italiani ed ai turisti stranieri il suo saper fare più antico: il contadino e il suo mondo. Un luogo che rappresenta il cuore del nostro PIL. Un PIL vero costituito dal valore del saper fare e dal prodotto che ne consegue: il cibo e il suo indotto. E le Marche in questo contesto?

Le

MARCHE 32 | WHY MARCHE

a


di Raffaella Scortichini

A

nche le Marche dal 15 novembre sono a FICO. Alcuni produttori si sono presentati in maniera autonoma e indipendente all’interno di contenitori specifici (vedi formaggi, vini, oli, salumi …), altri hanno preso spazi specifici in ristoranti, chioschi e bar o nelle fabbriche di FICO. In tutto questo contesto c’è l’esordio Food Brand Marche, l’associazione produttori dell’agroalimentare marchigiano, nata per valorizzare e promuovere in maniera integrata l’enogastronomia, il turismo e la cultura del territorio. Questa nuova associazione si rivela come uno dei primi consorzi regionali multifiliera in Italia, che già in partenza annovera circa il 50% del Pil wine&food delle Marche, con un fatturato aggregato di 750 milioni di euro. Sette i soci fondatori (BovinMarche, Consorzio vini piceni, Consorzio Marche biologiche, Consorzio Casciotta d’Urbino dop, Istituto marchigiano di tutela vini, Società Agricola Biologica-Gruppo Fileni, TreValli Cooperlat), che rappresentano circa 3mila imprese agricole del territorio con produzioni che vanno dal latte alla carne, dalla pasta al vino, dall’olio a cereali e leguminose bio. È importante sottolineare che l’associazione è aperta a chiunque produca o trasformi prodotti agricoli ed ha fondamentalmente due obiettivi: - promuovere prevalentemente i prodotti di qualità e certificati della Regione Marche, ovvero i prodotti DOP e IGP, i prodotti biologici, nonché tutte le altre produzioni di qualità, certificate e/o riconosciute a livello nazionale e regionale - mettere in rete anche gli artigiani del cibo che faticano ad autopromuoversi. “Il progetto Fico – ha detto la vice presidente della Regione Marche e assessore all’Agricoltura, Anna Casini – nasce e si sviluppa ai confini regionali. La vicinanza con Bologna ci consente di intercettare un segmento turistico, quello enogastronomico, in continua crescita. Come Marche, dopo il sisma, abbiamo bisogno di visibilità e di opportunità per far venire sempre più turisti nella nostra regione. La loro presenza è fondamentale per consolidare la rinascita dei territori appenninici devastati, che vivevano

di agricoltura e zootecnia, di eccellenze enogastronomiche da non disperdere, di cultura e sostenibilità ambientale. Fico, oltre che una vetrina, offre l’occasione di raccontarci e di proporci, di utilizzare il brand come volano della ricostruzione verde del nostro entroterra”. Per il direttore dell’associazione Produttori dell’agroalimentare marchigiano, Alberto Mazzoni: “Le Marche non possono competere sul piano dei numeri con altre importanti aree italiane. il confronto che possono vincere è senz’altro quello della qualità. L’idea già sperimentata col vino di fare squadra per portare a fattore comune il buono della nostra regione, è stata pienamente condivisa dalle grandi compagini, che faranno da traino ai piccoli. L’associazione produttori dell’agroalimentare nasce proprio a sostegno del sistema dei prodotti agricoli certificati da nord a sud, da Ascoli a Pesaro e per valorizzare così una sintesi del patrimonio enogastronomico marchigiano che comprende ben 32 prodotti DOP, l’orgoglio di questa terra. Tutti i produttori che vogliono aderire a questo progetto possono utilizzare la mail info@foodbrandmarche.it” Pronti quindi per il vostro viaggio enogastronomico? A Bologna troverete la sintesi del patrimonio enogastronomico marchigiano. Olive all’ascolana, brodetto di pesce, maccheroncini di campofilone, ciauscolo, vincisgrassi. Li conoscete tutti? Il Chiosco delle Regioni – “Food Brand Marche”, uno spazio unico e coinvolgente posizionato proprio all’ingresso del parco. Qui avrete modo di liberare le vostre papille gustative con i prodotti tipici. A rotazione assaggerete infatti le ricette più popolari e tanto buon vino. Il menu è speciale e stagionale, coniuga sapientemente il gusto e la salubrità di qualsiasi cibo proveniente dalle eccellenze alimentari e agricole delle Marche. E poi non solo cibo. Questo spazio infatti è stato concepito per animarsi di iniziative che sapranno catturare l’attenzione del visitatore straniero: attività di incoming e pacchetti turistici dedicati alle Marche, o più semplicemente giornate di approfondimento sull’agroalimentare e la nostra cultura enogastronomica.

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ANIMA

Ori

Gli nel Castello L’arte orafa marchigiana nelle stanze del suggestivo Castello Svevo di Porto Recanati

L’Arte, la cultura e la tradizione che creano bellezza

D

al 3 dicembre fino al 18 febbraio 2018 sarà possibile visitare a Porto Recanati la mostra Gli Ori nel Castello. Organizzata da Confartigianato Marche, dal Comune di Porto Recanati e dal Gruppo Orafi, la mostra è allestita nel Castello Svevo della cittadina marchigiana. Le preziose opere dell’artigianato orafo sono ospitate nelle sale della fortificazione che sorge nella piazza centrale di Porto Recanati, edificata nel XIII secolo, e il cui nome deriva da Federico II di Svevia, che nel 1229 donò le terre in cui sorge oggi il comune di Recanati. Il progetto gli Ori nel Castello nasce dalla collaborazione tra l’assessorato al Turismo e Cultura e il gruppo Orafi di Confartigianato Marche. Si pone come obiettivo la promozione dell’artigianato artistico di qualità e la sua valorizzazione sul mercato. La mostra intende valorizzare le eccellenze dell’artigianato orafo marchigiano. Un’arte antica, sviluppatasi in particolare nel periodo dei Comuni e delle Signorie, e che rappresenta un fiore all’occhiello della tradizione artigianale marchigiana. I molti laboratori presenti, specie nel Rinascimento, su un territorio a prevalenza agricola, sono la testimonianza di un legame profondo tra oreficeria e tradizione, che ancora continua, e che questa iniziativa intende esaltare, accompagnando il pubblico nella conoscenza questo antico mestiere. Un’arte che non conosce età, che ha contribuito allo sfarzo degli imperatori passati e adornato i simboli rituali della tradizione. Infatti, in tutta la provincia di Macerata, sono numerosi gli oggetti di oreficeria sacra conservati ed esposti al culto. Oggi

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nella nostra regione si contano 394 maestri orafi di cui 84 nella provincia di Macerata, di cui 7 a Porto Recanati, 17 a Macerata e 12 a Civitanova Marche. Sono 12, invece, i maestri orafi presenti alla mostra, che per l’occasione hanno realizzato pezzi unici creati appositamente per l’evento. Maestri della luce e delle forme, capaci di fondere la bellezza dei metalli preziosi incastonandovi pietre pregiate che insieme danno vita ad anelli, bracciali, collane, spille e orecchini, vere e proprie opere d’arte. L’artigianato orafo, forse più di tutti, è quello che meglio si fonde con l’arte. Il gioiello nasce nella mente dell’artigiano con un’idea, passando per il cuore e poi nelle sue mani che in maniera sapiente creano un’opera che arriva agli occhi e al cuore di chi l’ammira. L’orafo lavora sapientemente e con ingegno metalli e pietre preziose creando pezzi unici, espressione di suggestioni estetiche e contaminazioni con le altre arti. Una perfetta unione tra arte, cultura e artigianalità. L’arte orafa rappresenta uno dei tanti antichi mestieri che caratterizzano il territorio marchigiano e che non devono andare perduti, anzi devono essere tramandati. Per questo motivo, Gli Ori nel Castello, intende valorizzare il patrimonio culturale ed economico rappresentato dall’artigianato d’arte e nello stesso tempo favorire lo scambio di saperi tra maestri orafi e tra questi e i giovani, che rappresentano il futuro di questa tradizione, attraverso laboratori e attività formative. L’artigianato orafo è un’importante opportunità professionale per i giovani, un mestiere con un alto valore culturale e storico e che può diventare una realtà produttiva


di Stefania Cecconi

di grande impatto economico per la regione Marche e per il Made in Italy. La particolarità della mostra gli Ori nel Castello è quella di abbinare questa importante arte con le altre eccellenze dell’artigianato marchigiano quali l’alta sartoria (Giovanna Nicolai, Dolcevita Studio, Sammarco, Bali Pelletterie), la produzione vinicola e gastronomica (CasalFarneto, Casalis Douhet, 3 Mori, Cantine Fontezoppa, Antica Forneria Preziuso), nonché realtà musicali importanti. “La bellezza degli ori insieme alla bellezza del Castello Svevo. Questa è la particolarità dell’evento, un format che portiamo avanti da alcuni anni”, ci racconta Paolo Capponi, Responsabile Ufficio Export di Confartigianato Imprese Macerata. “Ogni domenica, fino a San Valentino, ad accompagnare le opere realizzate dai maestri orafi vi saranno le creazioni dell’alta sartoria marchigiana e i prodotti artigianali, come vini e dolci di altissima qualità. Questo connubio, che vede alternarsi ogni domenica artigiani e produttori locali, rende l’evento ogni settimana diverso e in continua evoluzione, assumendo una valenza sempre nuova e che quindi non esaurisce la visita in un’unica volta”. L’incontro tra eccellenze del territorio marchigiano, appartenenti a settori diversi, rappresenta senza dubbio un momento importante per promuovere un nuovo modo di fare cultura e turismo attraverso la valorizzazione dei prodotti di eccellenza. L’artigianato italiano e marchigiano è da sempre ammirato nel mondo per la qualità dei suoi prodotti, l’unicità e il design. L’arte orafa, abbinata alle altre eccellenze racconta in maniera esemplare il territorio marchigiano: una regione dove la tecnica, il gusto, l’ingegno e la creatività danno vita a prodotti unici nati dall’incontro dell’arte con la tradizione.

Photo di Andrea Tessadori

Giuseppe Verdenelli Laboratorio Arte Orafa Macerata (MC)

Stefano Verdini Laboratorio Orafo Macerata (MC)

Novecento di Mauro Caraffa Ancona (AN)

Donatella Cestarelli Macerata (MC)

Adriano Crocenzi San Severino Marche (MC)

Lorenzo Perucci Orafo Macerata (MC)

Elena Baldassarri eb creazioni orafe Monte San Giusto (MC)

Cinzia Federici e Andrea Massaccesi M&M gioielli Filottrano (AN)

Gli Orafi

Pietro Angelini Oromoda Ascoli Piceno (AP) Gianluca Staffolani Studio Orafo Ascoli Piceno (AP) Massimo Ripa Jouayoux San Benedetto del Tronto (AP)

Selena Tarozzi e Fabrizio Guerri Laboratorio Orafo Kontemporanea Porto Recanati (MC) Maria Rosaria Moriconi L’arte Orafa Porto Recanati (MC)

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ANIMA

I

n una bella giornata di un freddo sabato mattina di fine novembre, raggiungiamo Sant’Andrea di Suasa, una piccola frazione di Mondavio (PU), purtroppo sconosciuta a livello geografico. Le mappe digitali, infatti, la riportano erroneamente come Sant’Andrea, inserendo però correttamente le coordinate 43.6439 di latitudine e 12.9476 di longitudine. Utilizzando un navigatore si arriva all’interno del “Castrum Sancti Andreae”, l’odierno Sant’Andrea di Suasa, un borgo racchiuso nel suo integro e possente circuito murario lungo il crinale di un’ampia collina alla sinistra del fiume Cesano. Da quassù si ha la possibilità di scorgere uno scenario davvero unico, dalle cime dei monti Catria e Acuto, al Montefeltro e alla Gola del Furlo, al Monte San Vicino e al Conero nelle belle giornate proprio come questa. Sant’Andrea di Suasa è oggi popolato da poco più di una cinquantina di anime, custodi silenziosi di questo piccolo mondo sospeso che conserva a livello urbano: la chiesa parrocchiale, il monastero benedettino, alcuni palazzi gentilizi e una piazzetta dove, in corrispondenza del punto più alto del borgo, si affaccia ancora il palazzo della famiglia Savelli a dominare il proprio vigneto. Un vigneto condotto orgogliosamente dalla sapiente saggezza e passione di Elio Savelli che l’ha ricevuto in eredità nel 1966 dopo un passaggio di generazione in generazione, dal bisnonno Sabatino prima e dal babbo Sesto poi. Incontriamo Elio nel piazzale del fabbricato della cantina. Una persona forte, genuina e orgogliosa, trasparente e sincera, determinata ed entusiasta di essere riuscita a conservare integro nel tempo il patrimonio ricevuto in dote. Trattasi del Vigneto Bellaluce: “assolutamente biologico da sempre” - sottolinea con fermezza Elio. Il vigneto si estende sotto i nostri occhi dal terrazzo del piazzale: da secoli non viene trattato con fertilizzanti chimici e/o pesticidi di alcun tipo. Tra i filari della vigna si

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semina il “favino”, una pianta ricca di azoto, fosforo e potassio che una volta giunta a maturazione, di solito in primavera, viene tagliata e rovesciata sotto il terreno facendo così godere dei benefici di un prezioso letame vegetale. Nel terreno non solo viti ma anche visciole. Ben 600 piante! Puntualmente Elio, tutte le mattine, inizia la sua giornata in azienda, dando il buongiorno alle sue viti, accarezzandole a bordo della sua Jeep. Poi va in cantina a controllare le sue amate, grandi botti di legno. Mentre entriamo in cantina Elio ci mostra qualcosa che non tutte le cantine possiedono: un museo. La passione per la storia e l’amore per le proprie origini, hanno spinto Elio Savelli nel corso degli anni, a proteggere dagli attacchi della modernità non solo il territorio, ma anche quegli antichi strumenti della vita contadina, che dopo aver forgiato intere generazioni, rischiavano ormai di scomparire, dimenticati per sempre. Con pazienza e tenacia, partendo dagli antichi aratri di legno degli antenati, fino agli strumenti per la vinificazione, ai trattori a testa calda, ai birocci e tanto altro ancora, ha iniziato un’opera certosina di recupero e restauro, che poi ha generosamente messo a disposizione di tutti noi. Percorrendo il museo privato, si ha letteralmente la sensazione di fare un viaggio a ritroso nei secoli ed accarezzando gli antichi strumenti della vita di un tempo, si possono ancora percepire e rivivere le emozioni e la semplicità di un’ epoca indimenticabile. Veniamo così accompagnati nel cuore della vera cantina Bellaluce. Qualche giro di chiave alla porta et voilà: entriamo nel regno della produzione dei vini bianchi, rossi e visciolati. I profumi nell’aria sono intensi e inebrianti. Gli ambienti accolgono le grandi botti in legno ma anche quelle di design in cemento vetrificato. Elio, con gli occhi felici come quelli di un bambino, ci mostra orgoglioso una “camera buia” nascosta, nella quale riposano dal 1967 delle

Photo A. Tessadori

bottiglie di vino rosso che proprio nella stessa mattinata verranno aperte e degustate da esperti. Noi anticipiamo di poco il loro arrivo e ci godiamo la visita direttamente a Palazzo Savelli prima di far rientro. Ad accoglierci, nella sala d’ingresso, un grande camino con un bel fuoco acceso che ci invita ad entrare. Prima di congedarci, degustiamo davanti a questo colore amico i tre vini prodotti dalla cantina, più volte premiati da esperti sommelier: il Bianco Bellaluce, il Rosso Castel Suasa e Eliaccio il vino di visciola. Un caleidoscopio di sapori, odori e colori ci avvolge. Con un caldo “salute …a noi” salutiamo nel migliore dei modi il padrone di casa che potrete continuare a seguire su www.eliosavelli.it o conoscere di persona (non ve ne pentirete).


di Raffaella Scortichini

#OASIBIOLOGICABELLALUCE

“Ognuno è quello che persegue. Io sono quel che sono, sono quel che amo, amo quel che sono” . Elio Savelli WHY MARCHE | 37


ANIMA

Le STRANEZZE di LORENZO LOTTO Il pittore dei gesti inaspettati

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n angelo che scaccia un demone, tendendogli nel contempo una mano; una movimentata crocefissione che il vescovo Bonafede sembra non voler guardare; una vivace annunciazione che sembra trasformarsi in una farsa tragi-comica: queste alcune delle apparenti stranezze delle opere di Lorenzo Lotto conservate nelle Marche. Tra i principali esponenti del Rinascimento veneziano del primo Cinquecento, di indole originale e anticonformista, Lotto si emarginò presto dal contesto lagunare interamente dominato da Tiziano. Viaggiò molto, in zone periferiche rispetto ai grandi centri artistici, operando a lungo nel nostro territorio marchigiano. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nel monastero della basilica di Loreto seguendone la regola monastica pur senza pronunciare i voti. Arricchì il museo della basilica di opere divenute autentici gioielli del nostro

patrimonio artistico regionale. Le sue opere realizzate con forte intensità cromatica e prive di rigidità nella simmetria, ci raccontano con grande enfasi le emozioni dei personaggi, mostrando il sottile interesse che l’artista ha per l’indagine psicologia dei suoi soggetti. Vi sono sempre nei suoi quadri dettagli e immagini che significano qualcos’altro rispetto a ciò che a prima vista sembrano voler rappresentare. Sempre inserite in un contesto religioso ortodosso, le opere lasciano trasparire, attraverso evidenti allusioni, un altro sentimento sia dei personaggi che dei fatti raccontati. In alcuni casi Lotto deride scherzosamente, in altri non maschera affatto la critica dei fatti, utilizzando un linguaggio grafico beffardo e pungente. Quando osa molto, scoprendo troppo il suo animo ingenuo ma anche ambizioso, le opere possono sembrare addirittura bizzarre.

San Michele arcangelo caccia Lucifero,1545, Museo della Santa Casa di Loreto (AN) la stessa opera capovolta.

In questa opera l’autore affida a San Michele e a Lucifero il compito di illustrare la dialettica tra Bene e Male. Il Lotto, ispirandosi alla tradizione biblica che fa di Lucifero il più alto angelo decaduto, lo rappresenta in tutta la sua bellezza, non ancora del tutto trasformato in angelo delle tenebre (la coda è appena accennata), quasi in atto supplichevole verso Michele che sembra volerlo soccorrere con la mano distesa, più che colpirlo con la spada. Le figure sono quelle di due bambini,

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cosicché l’ordine severo di cacciata sentenziato da Dio diviene un gioco tra bambini che si rincorrono, restando uniti proprio dallo stesso gioco. Le due figure angeliche sono gemelle e speculari. Il movimento della caduta dell’uno corrisponde, rovesciato, all’ascensione dell’altro. Eternamente collegati tra loro e inseparabili; bene e male si alternano in una suggestiva danza che ricorda il simbolo del Tao.


di Stefano Longhi L’Annunciazione è forse il dipinto più famoso del Lotto dove si narra, in maniera unica, lo svolgersi dell’evento miracoloso nello stesso istante del suo verificarsi. La scena si volge nella stanza ordinata di Maria dove tutti gli oggetti sono accuratamente sistemati: la cuffia per la notte, l’asciugamano, la candela e, fuori, il giardino con gli alberi potati, il pergolato geometrico, le siepi curate. In questo mondo ordinato irrompe la follia del sacro: Dio Padre sembra tuffarsi dal cielo dentro l’intimità di Maria. L’angelo in una posa plastica, da ballerino classico al termine della sua esibizione, si presenta annunciando l’evento inaudito che sta per accadere. Spalancando gli occhi, forse perché anche lui stupito di quanto sta per succedere, indica con il gesto della mano l’ordine superiore cui nessuno può sottrarsi. E Maria, più meravigliata che impaurita, sembra accorgersi di non avere scampo, e rivolta all’osservatore sembra prossima ad una esclamazione tipica di una contadina marchigiana: “Madonna mia cosa mi capita quest’anno”. Il gatto, per nulla contento di tutto quel tumulto, venuto a rompere la calma ordinaria della quotidianità, scappa arruffando il pelo, forse anche un po’ arrabbiato. Non possiamo che sorridere di fronte a tutto ciò, chiedendoci se forse questo evento, così cruciale nella dottrina cattolica, non sia altro che una mera assurdità teologica. Lorenzo Lotto Annunciazione, presso il Museo Civico di Recanati (MC)

Lorenzo Lotto Crocifissione Monte San Giusto (MC)

A Monte San Giusto è conservata l’opera forse più espressiva del Lotto. Una crocefissione di assoluta drammaticità, con croci altissime che sovrastano la scena nella quale si consumano tragedie individuali. L’opera che sembra catapultarci dentro nel medesimo istante del suo verificarsi, esprime tutti gli stati d’animo compulsivi propri dei personaggi, che sembrano più interessati ai propri sentimenti che a comprendere il mistero dell’accaduto. Qui più che mai, osservando il volto di Gesù che domina dall’alto della croce, vengono alla mente le sue ultime parole: “Padre perdonali, non sanno quello che fanno”. E’ la tragedia del gregge sparpagliato una volta percosso il pastore, il traboccare libero delle nevrosi che caratterizza ogni individuo e la religione, inventata sopra le vicende, che di li a poco quegli stessi andranno a costruire. Tra i personaggi raffigurati spicca il committente dell’opera Nicolò Bonafede, vescovo cattolico, nonché uomo d’armi tra i più importanti del Rinascimento. Sembra entrare nel quadro tirato a forza dall’angelo, quasi a dire che né il Bonafede né nessuno di noi, ha voglia di constatare l’enigma incomprensibile di un Dio che muore sulla croce. Tutto questo sotto lo sguardo critico e stupito del giovane che sostenendo Maria sembra chiedersi: “Ma che centra questo!!!!”.

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PRIMO PIANO

Capodanno:

la festa, la mensa, i canti, gli auguri, le previsioni

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di Tommaso Lucchetti

Il ricordo di almanacchi, lunari e calendarietti Tra la fine del vecchio anno e l’inizio del nuovo già dalla fine dell’Ottocento venivano stampate e distribuite anche come strenne (termine che nell’antichità romana indicava gli omaggi rituali di rami di ulivo sacri augurali) diversi opuscoli con il calendario imminente. Si trattava di pubblicazioni effimere quali almanacchi e lunari, arricchite di prescrizioni agronomiche, contabili e domestiche (anche di cucina). Uno di questi libretti si intitola Un poco di vecchio ed un poco di nuovo (stampato ad Ancona nel 1820), ad indicare il passaggio di consegne ottimale tra le due annate (e tra le superstizioni di Capodanno in tanti ricordano ancora l’usanza scaramantica di buttare le cose vecchie dalla finestra nella notte del 31, ritrovandosi la mattina dopo cocci ovunque fuori di casa, mentre al tempo stesso valeva la credenza che indossare un nuovo capo di vestiario ad inizio anno tenesse lontana una malattia nel corso dei successivi dodici mesi). Se questi libretti erano per forza di cose destinati a persone alfabetizzate e curiose, agli altri toccava semplicemente un calendarietto più stringato, magari una piccola stampa con la tavola dei mesi illustrata, con segnalate le feste della devozione popolare. Il repertorio storico artistico, nell’iconografia di dipinti, miniature e stampe dei ciclo dei mesi raffigura spesso gennaio con festose mangiate davanti a tavole imbandite o alla fiamma vivace del focolare acceso.

Occasione propizia e golosa per banchettare Era in effetti questo non solo il mese dell’abbondanza più “grassa”, con le provviste della “pista” o “salata” del maiale, ma anche di un lungo periodo di feste avviato con il 25 dicembre, perché come recita il proverbio “Dopo Nata’ è sempre Carneva’”, e quindi ogni occasione era propizia e golosa per banchettare. Tra le occasioni festose di questo periodo a cavallo tra dicembre e gennaio, il primo dell’anno anticamente era comunque sentito con meno entusiasmo ed intensità emotiva rispetto alle sensibilità ed alle consuetudini odierne. Uno dei più celebri studiosi di folklore marchigiano, il maceratese Giovanni Ginobili, scriveva più di sessant’anni fa di come l’allegria con cui i marchigiani attendevano la fine e il principio dell’anno non fosse mai “di quelle smodate”, poiché “la sobrietà propria di questo popolo si è manifestata anche in tale circostanza”. Di certo nelle comunità rurali era molto difficile trovare la consuetudine anticamente signorile, e decisamente più cittadina, di celebrare la sera del 31 dicembre aspettando mezzanotte con il brindisi celebrativo di auguri. Specialmente nelle campagne, e nelle case dei contadini, diverse testimonianze ricordano come non ci fosse affatto l’usanza di aspettare la mezzanotte alla sera del 31, anche perché la mattina dopo di buon’ora si doveva, come in tutti gli altri giorni dell’anno, accudire tutto il bestiame. Ancora Ginobili sosteneva che i marchigiani per il Capodanno erano parchi di festeggiamenti: “Hanno abbondato in pregiudizi e superstizioni di cui hanno circondato ed accompagnato tale data, come quella di mangiare uva, poiché, dicevano i vecchi, chi mangia uva il primo dell’anno conta i quattrini tutto l’anno”. In tutta la regione c’era chi la comprava appositamente, oppure metteva quella “di casa” (messa da parte alla vendemmia) appesa ad appassire al solaio sui chiodini delle travi, anche per farci con uno speciale torchietto il vino santo”, da riservare per questa occasione (come ad esempio si racconta dettagliatamente nelle memorie raccolte sul monastero di Santa Caterina a Ripatransone). I nonni raccomandavano ai nipoti di mangiarne tanta di questa uva, come anche noci e mandorle, per favorirne il raccolto nella nuova annata.

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PRIMO PIANO

Nel ricordo dei cibi più caratteristici L’aspetto propiziatorio del Capodanno era spesso assecondato da cibi caratteristici di questa giornata: oltre ai chicchi di uva appositamente appassita un altro alimento da contare con cura come auspicio di abbondanza erano le lenticchie, tradizione relativamente recente nelle Marche, ma comunque già assimilata e testimoniata da decenni: le lenticchie, tonde e brune come il bronzo, ricordavano le monete, e venivano cucinate nell’abbinamento con la carne suina, ottimale per tutti i legumi, ed in queste giornate “di grasso” assoluto non mancavano di certo quegli insaccati speciali succulenti come cotechini e di zamponi. La diffusione e codificazione anche nelle Marche di questa pietanza tradizionale di Capodanno si deve probabilmente anche al ricettario di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (prima edizione nel 1891), modello sempre maggiore nei primi decenni del secolo scorso per la convivialità borghese italiana di tutta Italia. Una tradizione locale celebrava poi un episodio agiografico della vita di San Silvestro, commemorato nella giornata del 31 dicembre, quando nel fabrianese si prepara un piatto di broccoli, moltiplicati dal religioso nell’orto secondo leggenda (a Frontone qualcuno ricorda come si servissero lessati e conditi con olio, sale e pepe sopra del pane bruscato con l’aglio sulla graticola). Per questa festività inaugurale dell’anno si cercava di non far mancare nel pranzo l’altra presenza irrinunciabile delle grandi occasioni conviviali, ossia il dolce: spesso si trattava di semplice ciambellone, ma tra le tipicità dolciarie di Capodanno va ricordata a Pioraco la “crescia co lu paulittu”, ossia la torta con dentro una monetina (in origine il “paolo”, conio risalente al Regno della Chiesa), agognato portafortuna per il commensale che l’avrebbe trovata nella propria fetta, come secondo una tradizione assai comune in particolare nel Nord Europa.

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Quando i proprietari terrieri invitavano i contadini a tavola Alcuni contadini marchigiani, particolarmente fortunati per la generosità dei loro proprietari, vivevano a Capodanno la gioia di un pranzo memorabile: i coloni rispettavano l’obbligo (da qualcuno chiamato l’“onoranza”), sancito dai contratti mezzadrili, di portare i capponi al padrone in questa giornata. Venivano invitati così con l’occasione dai padroni più sensibili e illuminati, per un pranzo di ritrovo, divenuto nel tempo tradizione annuale “gentile” (e “gentilizia”). Erano diversi i possidenti che offrivano questo pasto festivo ai contadini ad apertura di anno: sia i privilegiati signori che invitavano (spesso erano i parroci), sia gli umili che erano invitati condividevano quel ritrovo conviviale con punti di vista ovviamente diversi ma con identico piacere: si ricorda la sala da pranzo con la tavola ben apparecchiata con tovaglie bianche e piatti filettati d’oro, l’arrivo dalla cucina dei piatti “reali” fumanti e profumati di pastasciutta, le bistecche e le salsicce gocciolanti di grasso (nel pesarese anche la “pasticciata” di carni miste), caldarroste, cesti con arance, mandarini, noci ed uva, ed infine ciambellone o “pizza bianca-nera”, caffè e vinsanto.


Il Capodanno Capodanno poteva essere anche momento prediletto delle riunioni familiari, a visitare i propri cari per fare gli auguri, ritrovarsi attorno al camino a giocare a carte e a ballare al suono della fisarmonica e dell’organetto. Una buona parte degli strumenti musicali disponibili era però in questa giornata altrimenti impegnata nella celebrazione di una tradizione particolare marchigiana: per festeggiare l’arrivo del nuovo anno si eseguivano i canti ed i balli natalizi della “questua”, che iniziavano il primo dell’anno per andare avanti fino al 6 gennaio. Il gruppo di musicanti girava a piedi di casa in casa, eseguendo quei canti chiamati appunto “l’anno novo e la Pasquella” (termine regionale per indicare l’Epifania). Le strofe declamavano inizialmente gli auguri cordiali e reverenti agli abitanti delle case, per poi riferirsi alle festività natalizie ed al loro significato, ed infine chiedere esplicitamente offerte in cibo (soprattutto uova, salumi, pollame, formaggi), da raccogliere per una grande merenda finale. Questo un frammento di uno di questi canti:

“L’anno novo è venuto al mondo / per volere del Signore, per volere di Maria / l’anno novo e l’Epifania. / In questa casa c’è una sposa bianca e rossa come una rosa / rilucente come una stella l’anno novo e la Pasquella. / Se ci date o non ci date fate presto e non tardate / che dal ciel casca la brina ci fa venir la tremarella / l’anno novo e la Pasquella. / Venga fuori il padrone di casa con le chiavi della cantina / per forar la botticina / per veder se è chiaro e buono / la Pasquella e l’anno novo”.

Abbondanza o carestia in mano ad una cipolla Oltre agli auguri iniziavano anche le modalità di divinazione, ad esempio per prevedere le condizioni meteorologiche dell’anno. La tradizione più diffusa era quella delle cipolle: capitale di questa arte degli aruspici era Urbania. I maestri cipollari tagliavano i bulbi in dodici pezzi, uno per ogni mese, e cosparsi di sale li mettevano per una nottata all’aperto sul freddo davanzale di una finestra, ed al giorno dopo, a seconda di come si presentavano, interpretavano i tassi di piovosità, nevosità, bel tempo o cattivo tempo per tutto il ciclo dell’anno. La speranza del buontempo e la consapevolezza del maltempo, nel loro alternarsi nei tempi giusti, era garanzia di abbondanza e protezione dalle carestie. Era per l’antica società rurale l’esorcismo dalle paure più profonde.

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MENTE

La nuova Audi A8 svelata alla Domina di Ancona

La quarta generazione dell’ammiraglia della Casa degli Anelli è stata presentata in occasione di una bella serata che ha visto la partecipazione di tanti clienti e appassionati del Marchio. Ma per i lettori di WHY Marche abbiamo testato in anteprima le eccezionali doti della vettura in un percorso sulle strade della provincia di Ancona che ha toccato tre location di assoluto prestigio.

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E

’ stata davvero una splendida serata quella che si è tenuta presso la concessionaria Audi Domina di Ancona lo scorso 1° dicembre. La protagonista indiscussa è stata lei, la nuova Audi A8, che ha fatto bella mostra in occasione della presentazione ufficiale della quarta generazione. L’evento, molto partecipato con un pubblico attento e competente, ha registrato momenti di grande interesse in cui si sono alternati tecnica, spettacolo e buona cucina. La serata è stata aperta dagli interventi degli ingegneri di Teoresi Group, Bruno Vadalà e Luca Russo, che hanno illustrato le straordinarie caratteristiche della guida autonoma. La nuova A8, infatti, è la prima auto di serie al mondo ad essere


Domina

di Gaudenzio Tavoni stata sviluppata per la guida altamente automatizzata di Livello 3, un plus che ha destato notevole interesse tra i presenti, tutti attratti dalle formidabili caratteristiche innovative della vettura. Del resto non poteva essere diversamente. L’ammiraglia Audi, infatti, rappresenta il futuro del segmento di lusso grazie a tre nuovi sistemi già predisposti sulla vettura e che saranno attivati non appena le normative in vigore nei singoli Paesi lo permetteranno. Fanno parte della tecnologia Audi Artificial Intelligence, il Traffic Jam Pilot, che permette la guida autonoma fino a 60 km/h nel traffico congestionato, oltre al Park Pilot e Remote Garage Pilot, sistemi che, anche senza trovarsi a bordo, guidano la nuova A8 autonomamente in un parcheggio o all’interno di un garage. Grazie alla nuova app MyAudi, infatti, si possono attivare entrambi i sistemi mediante il proprio smartphone o, in alternativa, mediante il tasto AI nella consolle centrale, il tutto gestito da una sofisticata centralina. Oltre ai sensori radar, a una telecamera anteriore e ai sensori a ultrasuoni, Audi è la prima casa automobilistica ad avere anche uno scanner laser che, unito agli altri apparati elettronici, è utilizzato dagli oltre quaranta sistemi di assistenza per il conducente di cui è dotata la nuova A8. Il clou dell’evento è stato il sollevamento del telo dalla vettura da parte dell’amministratore delegato di Domina Spa, Paolo Giacchetti, accompagnato da una madrina d’eccezione, l’anconetana Claudia Rossi, campionessa europea di vela. Appena scoperta, il carattere pionieristico della nuova A8 si è reso subito evidente, grazie all’ampia griglia

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single frame verticale, alle linee sinuose della carrozzeria e alla parte posteriore con la fascia luminosa senza soluzione di continuità. Il pubblico è stato subito attratto dall’abitacolo che ricorda una grande e spaziosa lounge dove fa bella mostra un display touch da 10,1 pollici. Questo è il cuore della plancia, da cui il conducente può comandare tutto il sistema infotainment (navigazione, Audi connect, smartphone, hotspot WLAN, radio) mentre da un secondo display touch posto sulla consolle del tunnel centrale si possono gestire la climatizzazione e tutte le funzioni comfort. Anche i passeggeri posteriori gestiscono autonomamente tutte le funzioni relative a comfort ed infotainment grazie ad un display OLED estraibile posizionato nell’appoggiabraccia centrale. La serata è proseguita piacevolmente, accompagnata dalla buona cucina dello chef Errico Recanati del Ristorante Andreina di Loreto e si è conclusa con la Sand Art di Erica Abelardo, una particolare tecnica illustrativa che si esplica su un piano luminoso attraverso la manipolazione dei granelli di sabbia in condizione di controluce. Usando solo le dita e i palmi delle mani, la sand artist ha riproposto suggestive immagini di sabbia legate al marchio Audi proiettandole simultaneamente su di un grande schermo, permettendo così agli spettatori di ammirarle durante la loro realizzazione. Ma non potevamo accontentarci solo di una visione statica, seppur splendida, della nuova A8. Pertanto abbiamo voluto testare la vettura sulle strade della Provincia di Ancona, raggiungendo tre location adeguate al prestigio Audi.

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La prima tappa è all’Aeroporto delle Marche a Falconara dove ci attende, pronto per la partenza, un Piaggio P180 Avanti, aereo executive da 6 posti, unico al mondo prodotto in serie con una configurazione a tre superfici portanti. L’Avanti, motorizzato con due turboeliche installate su di un’ala rastremata a profilo laminare, bene si accosta con la nuova Audi A8, vettura progettata secondo il principio dell’Audi Space Frame, con un 58% di parti in alluminio perfettamente abbinate a componenti in acciaio, magnesio e materiale plastico rinforzato con fibre di carbonio.

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Domina

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Grazie al mix di questi quattro materiali, la vettura gode di una eccezionale rigidità della carrozzeria da cui derivano maneggevolezza, comfort di marcia ed eccellente silenziosità dell’abitacolo. E di questo ce ne rendiamo subito conto nel trasferimento verso la seconda location nei pressi di Mergo, che raggiungiamo in totale comfort grazie alla notevole offerta di equipaggiamenti e all’altissima qualità di lavorazione in ogni dettaglio: dai rivestimenti dei sedili traforati agli inserti decorativi che si aprono e chiudono elettricamente sopra le bocchette dell’aria, fino alla morbida pelle degli appoggiatesta comfort.

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MENTE Grazie alla RE/MAX Aequitas, agenzia immobiliare di Jesi specializzata in immobili di pregio, ci dirigiamo verso un antico casale risalente al XVII secolo, sapientemente ristrutturato nel 2005 con l’impiego di materiali di pregio, arredi confortevoli ed una vision conservativa e raffinata. Il sapore originario dell’immobile e del contesto sono rimasti intatti, valorizzati però dal comfort di una rivisitazione eccellente e moderna. Suggestivo è l’affaccio sulla campagna e l’immersione totale nelle bellezze del paesaggio collinare marchigiano, in una estrema vicinanza con il ciclo della natura, con i suoi profumi e colori mutevoli. Posizioniamo la nostra Audi A8 nell’area antistante il casale e subito la vista laterale ne evidenzia tutto il suo carattere sportivo, con la silhouette simile a quella di una coupè, ottenuta grazie al profilo appiattito del tetto in contrasto. Le proporzioni, inoltre, mettono in risalto in egual misura sia le ruote anteriori che quelle posteriori, sovrastate da eleganti passaruota che rimandano al DNA quattro del Marchio. Da Mergo ci spostiamo a Chiaravalle, ma i primi chilometri vengono percorsi in una strada particolarmente tortuosa, tuttavia senza rilevare alcun problema. Audi, infatti, ha completamente rivisitato l’assetto, ora assistito da tecnologie e sistemi di regolazione rivoluzionari che rendono l’ammiraglia ancora più confortevole, sportiva e sicura. Lo sterzo integrale dinamico, ad esempio, permette di regolare gli angoli di sterzata degli assi anteriore e posteriore indipendentemente l’uno dall’altro, mentre l’assetto attivo Audi Artificial Intelligence, a seconda delle esigenze, è in grado di modificare ogni singola sospensione regolando l’assetto in modo attivo e ottimale.

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Photo di Andrea Tessadori

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A Chiaravalle raggiungiamo Gisa Boutiques, atelier aperto nel 1965 e da allora centro di alta moda di griffe internazionali. E’ ormai buio e posizioniamo la nostra A8 davanti alle ampie vetrine in uno splendido gioco di luci. Audi, infatti, è il marchio leader nel settore della tecnologia e del design delle luci e anche sulla nuova A8 queste interagiscono in maniera intelligente con l’ambiente. La luce laser, ad esempio, collabora con gli abbaglianti LED Matrix raddoppiando il raggio d’azione, mentre trentadue piccoli diodi luminosi diffondono la luce in due fasci, illuminando la strada in modo efficace ed evitando l’abbagliamento degli altri conducenti. Davvero piacevoli, infine, gli indicatori di direzione dinamici e le luci interne, sempre pronte ad accogliere e congedare il conducente con scenografie luminose e multicolori.

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La giornata sta volgendo al termine e ci affrettiamo a rientrare ad Ancona non prima, però, di aver testato le grandi qualità del propulsore 3.0 TDI V6 da 286 CV abbinato al tiptronic a otto rapporti e alla formidabile trazione integrale permanente quattro. Il motore adotta la tecnologia mild-hybrid che permette a velocità compresa tra 55 e 160 km/h di proseguire la marcia per inerzia a motore spento, viaggiando così fino a 40 secondi a emissioni zero, garantendo, tra l’altro, una riduzione dei consumi di circa 0,7 l/100. Oltre alla motorizzazione diesel, la nuova A8 debutta sul mercato europeo anche con un 3.0 TFSI a benzina erogante 340 CV, mentre il prossimo anno saranno introdotte ulteriori motorizzazioni compresa una variante ibrida plug-in.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI PAOLO GENTILONI all’inaugurazione del 682° anno accademico di UNICAM

“#Universitas” è stato il tema scelto quest’anno per la cerimonia con la quale il Rettore Claudio Pettinari ha dichiarato ufficialmente aperto il 682° anno accademico dell’Università di Camerino, alla presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni. “A nome dell’intera comunità universitaria – ha esordito il Rettore Pettinari – porgo l’espressione dei più sentiti ringraziamenti al Signor presidente, che ha voluto testimoniare, con la sua presenza e vicinanza, l’attenzione a questo ateneo. Presidente, Le siamo grati e ne siamo onorati. #Universitas riassume simbolicamente e declina le peculiarità del nostro ateneo: una università storica che sostanzia nell’innovazione, nella didattica e nella ricerca la sua essenza, anche traendo forza, dal suo passato, ma sempre guardando avanti”. “Didattica, ricerca, innovazione, qualità, – ha proseguito il Rettore – una qualità non autoreferenziale ma riconosciuta da quanti, per mandato istituzionale o missione professionale, monitorano e valutano il sistema universitario italiano: nel 2015 l’ANVUR, l’agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario, ha verificato il sistema di assicurazione qualità e di gestione dei corsi di studio UNICAM e lo ha accreditato a pieni voti, confermando poi negli anni successivi il proprio giudizio. Siamo quotidianamente impegnati a supportare le attività di progettazione, di erogazione e di supporto alla didattica aumentando le occasioni di confronto e crescita professionale, favorendo una maggiore integrazione delle tecnologie formative, con particolare attenzione a quelle digitali, e predisponendo anche forme di incentivazione e valorizzazione per i docenti che si distinguono per la qualità del servizio prestato”. “Il nostro progetto più grande, nato immediatamente dopo gli eventi sismici del 2016 - ha proseguito Pettinari – riguarda l’attivazione un nuovo polo internazionale per la ricerca e l’innovazione, Research & Innovation Center, dove le varie discipline possano contaminarsi e ricercatori di tutto il mondo, con particolare attenzione ai giovani ricercatori, possano crescere in un costante e proficuo contesto di scambi culturali e di iniziative originali ed interdisciplinari. Il polo dovrà occuparsi di soluzioni nel campo dei nuovi materiali, dell’agroalimentare, della salute e benessere, dell’edilizia sostenibile, del recupero e della valorizzazione dei beni culturali. Il centro porrà anche l’attenzione sulle evoluzioni dello scenario mondiale nell’ambito delle smart

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cities. La collaborazione tra UNICAM e CNR, ISPRA, INFN, centri di ricerca e università nazionali ed internazionali, costituirà una base ottimale per la promozione di proposte di ricerca nell’ambito europeo. A tale scopo, presto firmeremo un accordo con il CNR, grazie al presidente Massimo Inguscio, che ringrazio per la sua presenza qui oggi, che rafforzerà la collaborazione tra il nostro ateneo, le sue eccellenze già presenti con il CNR”. “Abbiamo lottato, ci siamo piegati e ci siamo rialzati, più forti e più consapevoli, - ha concluso il Rettore Pettinari – consapevoli di dover continuare a garantire ai nostri studenti una didattica e una ricerca di qualità, una formazione multidisciplinare e internazionali; ai nostri ricercatori di facilitare ed agevolare la presentazione e il successo delle progettualità che presenteranno all’Europa; di fornire alle imprese e agli enti che vorranno collaborare con noi il supporto richiesto con la massima serietà e competenza che sempre ci hanno caratterizzato. Sento il dovere di ringraziare quanti, istituzioni, imprese, associazioni, singoli cittadini hanno mostrato vicinanza al nostro ateneo. Cito, solo a titolo di esempio, due istituzioni che ci sono state particolarmente vicine: le province autonome di Trento e Bolzano e la Croce Rossa Italiana”. Il Rettore ha poi invitato il Presidente Gentiloni a portare il suo saluto. “Con la sua capacità di restare aperta, questa università ha dato un segnale di speranza al Paese. Vi ringrazio, docenti, personale tecnico e amministrativo e studenti, per non aver mai chiuso le vostre aule, per aver continuato a lavorare, a insegnare, rendendo addirittura possibile un aumento delle iscrizioni. Quando voi dite ‘il futuro non crolla’ date un contributo straordinario a rimarginare non solo le fratture della vostra università ma anche le cicatrici che la circondano. Il governo considera Unicam una bandiera. Verranno riutilizzati 27 edifici militari abbandonati per creare qui una città dei beni culturali. Una scommessa per valorizzare la nostra identità”. L’evento, che si è tenuto presso il Centro culturale Benedetto XIII, si è aperto con i saluti di Francesco Casale in rappresentanza del personale docente e ricercatore, di Giuliana Carassai in rappresentanza del personale tecnico e amministrativo, della presidente del Consiglio degli Studenti Francesca Borghetti. Tra gli ospiti anche il presidente del CNR, Inguscio, a sottolineare la proficua collaborazione tra i due enti, rafforzata grazie alla firma di un accordo. w w w. u n i c a m . i t comunicazione.relazioniesterne@unicam.it w w w. u n i c a m . i n f o fb: Unicam – Università degli Studi di Camerino twt: Unicam UffStampa ig: universitacamerino



MENTE

LA SICUREZZA IN INTERNET Acquisti on line

Internet è uno strumento dalle grandi potenzialità ma che va usato con attenzione al fine di evitare di incappare in rischi e pericoli che un uso poco consapevole può generare. Siamo così sicuri di conoscerlo davvero? Cerchiamo di fare qualche esempio per capire come navigare in sicurezza.

I RISCHI IN RETE

FURTO DI IDENTITÀ: appropriazione indebita di informazioni personali di un soggetto con lo scopo di commettere in suo nome atti illeciti al fine di un guadagno personale. La tecnica più comune attraverso la quale avviene il furto di identità è il cosiddetto PHISHING/SMISHING: il nome è una storpiatura della parola inglese che significa pescare. Infatti usa spesso finte mail o sms (smishing) come una vera e propria esca alla quale bisogna stare attenti a non abboccare! Si tratta in genere di un messaggio via e-mail o via sms dall’aspetto ufficiale, in apparenza proveniente da un istituto di credito. Nel testo i truffatori invitano, con il pretesto di una verifica o di un aggiornamento, a modificare i codici di accesso personali dei propri conti on-line, cliccando su un link. Accedendo al link l’utente vedrà configurarsi davanti a sé una pagina web uguale a quella del proprio istituto di credito. Il correntista in buona fede inserisce i propri dati di accesso e i truffatori portano a segno il colpo perché rubano l’identità digitale del malcapitato per prelevare denaro dal conto corrente della vittima, fare acquisti o transazioni a suo nome. ALCUNI ESEMPI DI TRUFFA: • “Gentile utente, durante i regolari controlli sugli account non siamo stati in grado di verificare le sue informazioni… abbiamo bisogno di confermare le sue reali informazioni. È sufficiente che lei completi il modulo... Se ciò non dovesse avvenire saremo costretti a sospendere il suo account…” • Finta mail dell’ENEL per scaricare la bolletta o di Equitalia… La mail arriva da un indirizzo che richiama quello dell’ente ufficiale ed invita ad aprire un link per scaricare la bolletta o la cartella esattoriale. Cliccando sul link si scarica, in realtà, un virus informatico (es. CRYPTOLOCKER) che può avere vari effetti, fino a bloccare il computer. Per poterlo sbloccare, vengono chiesti dei dati di accesso bancari e/o codici personali, che nessun ente/azienda è autorizzato a chiedere. • In altri casi è possibile ricevere richieste di invio di denaro tramite posta elettronica per aiutare qualcuno in difficoltà in un paese straniero. Se si ricevono mail di questo tipo non bisogna mai cliccare sui link, né rispondere ai messaggi, né inviare denaro! • Più recente è il caso dei messaggi iniziati a circolare via whatsapp che invitano “il fortunato vincitore” a scaricare un buono sconto spendibile in famose catene di negozi di abbigliamento. SUGGERIMENTI UTILI • In generale non cliccare mai su link provenienti da mail sospette. Le banche non chiedono mai di autenticare il conto o di comunicare le coordinate via mail. Se ricevi messaggi con queste richieste cestinali! • Proteggere il computer dotandolo dei più aggiornati livelli di sicurezza: DOTARSI DI UN FIREWALL (il firewall è uno strumento, sia hardware che software, che controlla lo scambio di dati tra il nostro pc e l’esterno, permettendo di bloccare il traffico dati proveniente dall’esterno e quindi l’accesso non autorizzato al computer; previene dunque le intrusioni informatiche, uno degli strumenti utilizzati per carpire i nostri dati. In rete esistono software firewall gratuiti). DOTARSI DI UN ANTIVIRUS (l’antivirus è un software programmato per prevenire, rilevare ed eventualmente rendere inoffensivi codici dannosi, noti anche come malware, fra i quali virus informatici. Ha una funzione sia preventiva, impedendo che un virus possa entrare in un sistema ed infettarlo, sia correttiva, eliminando i programmi malevoli.

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• Evitare l’accesso al proprio conto da computer pubblici • Non eseguire programmi prima di averli analizzati con un antivirus • Non fornire nelle chat i propri dati personali • Non riutilizzare la stessa password di account importanti per e-mail, social network e cambiare la password periodicamente. • Non memorizzare alcuna password, PIN o altri parametri di accesso all’interno del proprio cellulare. COMMERCIO ELETTRONICO: L’UTILIZZO DELLE CARTE DI PAGAMENTO PER EFFETTUARE ACQUISTI ON-LINE Comprare on-line offre molti vantaggi, primo fra tutti risparmiare tempo. Non è necessario prendere l’auto ma sono sufficienti pochi clic. Inoltre in internet l’offerta è infinita e spesso più conveniente. È possibile confrontare i prezzi e valutare le opinioni di chi ha comprato il prodotto prima di noi. L’acquisto arriva direttamente a casa e se non vi soddisfa avete diritto a cambiarlo oppure a farvelo rimborsare rispedendolo indietro. Ma occorre fare attenzione all’utilizzo dei vari strumenti di pagamento (carte di credito, Poste Pay, carte prepagate). Infatti, inserendo i dati della propria carta su internet, i pirati informatici potrebbero carpire il numero della carta ed utilizzarla in modo fraudolento. COME DIFENDERSI • Usare carte prepagate: l’importo che potrebbe essere rubato sarà così limitato al saldo della carta • Non tenere un saldo troppo elevato sulla carta prepagata. Mantenere un importo basso e se necessario ricaricare più spesso • Attivare i servizi di sms alert o email alert che segnalano in tempo reali i movimenti su carte di credito e conti correnti on line • Effettuare acquisti su siti internet conosciuti e che prevedono possibilmente il rimborso in caso di frode • Verificare che durante la transazione in basso a destra della finestra o in alto a sinistra sia presente l’icona con un lucchetto che sta a significare che in quel momento la connessione è sicura. In questo modo siamo certi che il sito utilizzi un protocollo di sicurezza che permette di identificare l’utente e di impedire l’accesso ad altri utenti. • Evitare di fornire troppe informazioni personali o il numero del proprio conto corrente • Verificare in tempo reale attraverso l’home banking, la transazione effettuata • Controllare regolarmente il saldo del conto corrente e l’estratto conto della carta, possibilmente dotandosi di un accesso on-line che permette una verifica puntuale, in modo da appurare tempestivamente eventuali utilizzi fraudolenti • In caso di sospetto utilizzo fraudolento bloccare immediatamente la carta e presentare denuncia. Roberta Mangoni Adiconsum Marche

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Progetto IN “BANCA” CONSAPEVOLI “Realizzato con il contributo regionale per specifici e rilevanti progetti – Anno di riferimento 2017”

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PERCHE’

LA SPERANZA E LA FORZA DI RICOMINCIARE Ad un anno dal sisma del 2016, la nostra inchiesta sull’eterno sovrapporsi dell’emergenza con la ricostruzione

Alessandro Gentilucci, sindaco di Pieve torina

Giuliano Pazzaglini, sindaco di Visso

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didi Gaia Leila Gennaretti Ben Salah

Durante il giorno non avevo tempo di pensare a cosa stessi provando. Ma alla sera, quando ascoltavo il silenzio, assordante e indescrivibile in questi territori, ero angosciato dal dubbio di non riuscire a riqualificare questi luoghi e in ansia perché avrei voluto fare tutto e subito.

Alessandro Gentilucci, classe ’77, è il sindaco di Pieve Torina. Il suo Comune conta il 93% di edifici inagibili ma oggi, a oltre un anno dal terremoto e con moltissimo lavoro ancora da fare, non solo può elencare tutto ciò che non ha funzionato, ma può essere soddisfatto del lavoro svolto, di aver creduto ai propri sogni e di non aver perso la speranza. Speranza che nemmeno Giuliano Pazzaglini, sindaco di Visso, ha mai perso, nonostante il suo sia uno dei comuni più colpiti dal terremoto e dove poco, purtroppo, è cambiato. Sono state consegnate circa quaranta soluzioni abitative ma il centro è ancora zona rossa, e la ricostruzione, manco a dirlo, è ferma al palo. Come lo è in tutto il cratere. I tecnici fanno difficoltà a districarsi fra le ordinanze, e dei pochi progetti presentati, l’ufficio ricostruzione ne ha approvati e finanziati troppo pochi. Tutto procede a rilento, con troppi passaggi burocratici dettati da ordinanze che, invece di snellire gli iter, li ha resi più macchinosi. A sentire Gentilucci e Pazzaglini, ma anche tutti gli altri sindaci del cratere, uno degli errori è stato il poco coinvolgimento dei primi cittadini nelle decisioni, calate dall’alto dai palazzi romani. E così, almeno per l’entroterra maceratese, i sindaci hanno agito allo sbando, ognuno per sé, senza una visione d’insieme fondamentale in un territorio che dovrebbe invece unire le forze. Le passerelle si sono succedute, e ogni volta il politico di turno è passato a far visita agli stessi comuni portando con sé cinque minuti di visibilità ma lasciando solo tante parole e pochi fatti. Eppure dopo oltre un anno, a Roma qualcosa sembra muoversi: è stata recentemente approvata la legge fiscale per il terremoto che proroga la sospensione dei mutui per aziende e privati per tutto il 2018 (in caso di edifici fuori dalle zone rosse) e fino al 31 dicembre 2020 per gli edifici all’interno delle zone rosse. Al 2019 sono rimandati i pagamenti delle bollette di acqua, luce e gas e soprattutto, con la legge, si prevede uno snellimento di alcune procedure per la ricostruzione. Infine, il governo ha inserito anche la cosiddetta norma “salva Peppina”, che permette a chi ne abbia la possibilità, di installare in un terreno di proprietà una soluzione abitativa temporanea. Meglio tardi che mai, di grazia. Da un anno sindaci, assessori e consiglieri comunali, cittadini, chiedono questa possibilità proprio

per non far spopolare ulteriormente i territori. Ci è voluta una nonnina 95enne, testarda e innamorata dei suoi monti, per ottenere questo traguardo. E i cantieri delle soluzioni abitative emergenziali (Sae)? A citare le cosiddette casette di legno, si rischia di aprire un grande vaso di Pandora da cui si dipana una matassa di problemi, scarica barili e malcontenti. Nei cantieri sono stati trovati a lavorare operai non in regola e, manco a dirlo, anche in questo caso tutto procede a rilento. Considerando poi il costo medio di ogni casetta, circa 1.200 euro al metro quadro più circa 600 euro al metro quadro per gli oneri di urbanizzazione (uno sproposito), la qualità lascia a desiderare. Le Sae che ad oggi sono state consegnate presentano non poche problematiche: in alcune non funziona la caldaia, in altre il riscaldamento, alcune puzzano di gas, altre poi hanno già presentato infiltrazioni, e ad altre ancora volano via i tetti o mancano gli scarichi. Secondo i dati aggiornati al 5 dicembre, sono complessi-vamente 3.691 le Sae ordinate per i 50 comuni del cratere, di cui 1.843 solo per le Marche. Ad oggi, riferisce la Protezione civile, sono state completate 75 aree e sono state consegnate 1.441 casette, di cui nelle Marche 418 (ad Arquata del Tronto, Castelsantangelo sul Nera, Fiastra, Monte Cavallo, Muccia, Pieve Torina e Visso). Ma nessuno, meglio dei sindaci Gentilucci e Pazzaglini, può parlare di cosa abbia o non abbia funzionato in questo anno. “Neanche il clima bellico - dice Gentilucci - aveva ridotto in questo stato Pieve Torina. La prima situazione che avrebbe dovuto essere impostata in maniera differente è la sovrapposizione tra emergenza e ricostruzione. Non si è compreso che queste due procedure dovevano essere netta-mente differenziate”. In emergenza, spiega, si sarebbe dovuto garantire immediatamente il rientro dei cittadini nel territorio dopo un primissimo periodo di accoglienza nelle strutture ricettive. “Bisognava installare subito i moduli abitativi - spiega -. L’inefficienza è stata che mentre per le casette c’era già la gara d’appalto della protezione civile nazionale, per i moduli non c’era e abbiamo dovuto attendere dicembre 2016 affinché fosse indetta la gara per garantire i moduli dormitori. In tutto questo i cittadini sono stati evacuati quasi totalmente, e delocalizzati sulla costa. A distanza

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PERCHE’

di due mesi - aggiunge - s’è fatta la gara, dopo quattro mesi sono arrivati i container e a quel punto le persone si erano adeguate in una camera d’albergo, molto più ospitale, e non c’è stato il rientro sperato”. Da qui è poi iniziata la corsa per la consegna delle casette e, dice Gentilucci, “l’iter è stato terribile, schizo-frenico, ma nonostante tutto noi siamo andati avanti abbastanza speditamente. Abbiamo già consegnato 135 Sae e per Natale tutti i miei cittadini rientreranno a Pieve Torina”. Un’altra procedura emergenziale che non ha funzionato in termini di tempo, secondo il primo cittadino, è la delocalizzazione delle attività commerciali, “mentre ha funzionato ab-bastanza, nonostante i ritardi, il sostegno agli agricoltori. Sono stati garantiti 400 euro a mucca a tutti coloro che avevano il bestiame, cristallizzandone il numero al 23 agosto. Per i moduli abitativi per gli agricoltori e le stalle, pur avendo passato l’inverno sotto la neve, ad oggi la procedura può dirsi completata”. C’è poi la fase della ricostruzione e Gentilucci, da questo punto di vista, non fa sconti: “Non funziona quasi nulla”. Alle attività commerciali ad esempio, è stata data la possibilità di essere delocalizzate in un lotto qualsiasi e in deroga ad ogni vincolo mentre i cittadini che hanno voluto rimanere nei propri territori, come la ben nota nonna Peppina, mettendo mano al proprio portafoglio per costruirsi una casetta di legno in un proprio terreno, sono stati considerati degli abusivi. E per fortuna la nuova legge, altrimenti i Sibillini avrebbero subito una seconda evacuazione. Cosa ha funzionato? Un lungo silenzio precede la risposta di Gentilucci: “La tempestività con cui sono state prodotte le varie ordinanze di ricostruzione leggera e pesante, ma non funziona la procedura estremamente burocratica di consegna dei progetti da parte dei professionisti. Ha funzionato l’ordinanza 27 (quella relativa alle Sae), che consentirà di riportare la gente nei territori e poi la ricostruzione delle scuole attraverso le donazioni”. Pieve Torina ha infatti una nuovissima scuola di 1.280 metri quadri costata un milione e mezzo di euro a cui hanno contribuito le istituzioni, ma che è frutto di donazioni. “Ho rifiutato moduli scolastici per 600mila euro - racconta - mi credevano pazzo. Ma volevo credere in un sogno , volevo ridare dignità ai bambini e il fatto che possano avere un luogo sicuro e definitivo agganciato al territorio è ciò che mi fa sperare. Sarà una scuola bella, all’avanguardia, che garantirà serenità e spero che i ragazzini vi possano trovare gli stimoli e la voglia per rimanere qui. Un sorriso - conclude - quando rientreranno a scuola, mi ripagherà dei sacrifici di un anno lunghi 95mila chilometri”. A circa venti minuti da Pieve Torina c’è Visso, dove il centro è ancora zona rossa, l’emergenza non è ancora terminata e dove nulla purtroppo è cambiato dallo scorso anno. Lo ha notato persino il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel corso della sua ultima visita. Anche il sindaco Giuliano Pazzaglini, come Gentilucci, critica il sovrapporsi

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di Leila Ben Salah

dell’emergenza con la ricostruzione e il problema fondamentale, dice, è che si pretende di fare la più grande opera di ricostruzione italiana con mezzi e procedure ordinari. “Potremmo dire che non ha funzionato nulla. L’emergenza, sembra assurdo, non è stata superata nonostante sia passato più di un anno perché la riforma del 2012 ha fatto sì che una delle migliori organizzazioni al mondo, la Protezione civile, venisse penalizzata enormemente fino a farla operare con strumenti che definirei di fortuna. Soltanto per fare un esempio, per fare le casette ci vogliono ben nove passaggi”. Anche la ricostruzione, stigmatizza Pazzaglini, è deficitaria e gestita “in maniera pessima”. Eppure si tratta di uno degli interventi di ricostruzione più importanti e mai posti in essere in Italia. “Non può essere portata avanti con strumenti ordinari - spiega - sapendo che uno dei problemi dell’Italia è proprio la burocrazia. Strumenti ordinari, peraltro, resi ancora più macchinosi dalle 42 ordinanze del commissario e del capo dipartimento della Protezione civile. In una Pese in cui era un problema la burocrazia, si è aggiunta altra burocrazia”. Secondo il sindaco, sarebbe stata opportuna una legge che avesse semplificato, che avesse derogato a molti degli strumenti legislativi e urbanistici vigenti e che avesse permesso di essere efficaci. “Ecco perché - torna a dire - ad oltre un anno anche la ricostruzione leggera in realtà è al palo. Si è creato un mostro di macchinosità che non consente di agevolare nemmeno gli interventi più semplici. Ma in questo quadro così negativo, se continuiamo a lavorare dodici ore al giorno è perché speriamo che le cose possano cambiare e il cambiamento è rappresentato da un mutamento della linea seguita fino ad ora, ma anche dalle positività che ancora caratterizzano questo territorio”. Positività quali le eccellenze agroalimentari ma anche naturalistiche e, non meno importante, il grande aiuto arri-vato da ogni parte d’Italia. “In un quadro fortemente problematico, la speranza di ricominciare c’è. Anche perché da ciò che non ha funzionato è emerso qualcosa di estremamente positivo che è il buon cuore degli italiani. Sono state rac-colte cifre che ci hanno permesso di intervenire in maniera rapida, a van-taggio della popolazione con iniziative mirate. Speranza - conclude - me la dà anche la nostra operosità, il nostro orgoglio, noi cerchiamo la no-stra dignità nel lavoro”.

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SPIRITO

di Stefano Catini

I MAZZAMURELLI D’Annunzio dichiarò in diverse occasioni che un mazzamurello lo seguiva ovunque andasse. Se si stabiliva in una nuova casa, questi faceva altrettanto, nascondendosi per preparare qualche marachella, ma per lui era tutt’altro che una presenza inquietante.

«Con la coda dell’occhio sorvegliavo il mazzamurello dal muso di furetto, temendo ch’egli fosse per trascinarmi in una delle sue gighe vertiginose». G. d’A. Avevano stretto amicizia nella casa d’infanzia del poeta quando viveva in Abruzzo. Lo spiritello s’affezionò così tanto da seguirlo fino alla villa del Vittoriale sul lago di Garda dove si era ritirato in solitudine per trascorrere gli ultimi anni della sua vita.

Hanno in comune con i mazzamurelli qualcosa nel significato del nome: Poltergeist deriva dal tedesco polter, fracasso e geist, spirito. Mentre mazzamurello è dialetto marchigiano dove mazza sta per colpire e murello, muro. Colpire i muri è infatti la specialità che li ha resi tanto famosi. Non hanno niente a che fare con i folletti irlandesi o scozzesi. Il collegamento più immediato ma forviante è con lo spiritello gallese Robin Goodfellow, reso celebre da Shakespeare in Sogno di una notte di mezza estate. I mazzamurelli non sono solo marchigiani. E’ vero che la loro fama è nota soprattutto nei Sibillini e nelle provincie di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, ma ne troviamo tracce in Abruzzo e nel Lazio. A Roma, nel quartiere Trastevere, c’è una stradina a loro dedicata che si chiama appunto Vicolo dei Mazzamurelli. Per definizione nessuno li ha mai visti, quindi possono essere descritti solo per quello che fanno e non per come sono fatti. Esistono alcune narrazioni che li vogliono vestiti da chierici o con le sembianze di un ragazzino che indossa un cappello vistoso.

«Lo spiritello della stravaganza, quel “mazzamurello” che – aveva- il suo nascondiglio nella carbonara della mia casa paterna e che fin dall’infanzia m’ha in balia, era apparito e incominciava a scapricciarsi come suole». G. d’A

ANATOMIA DI UN FOLLETTO

Quest’ultima citazione è molto interessante perché mostra alcuni tratti caratteristici dei folletti. Essi scelgono la persona cui affezionarsi e prediligono, di solito, bambini e bambine in età preadolescenziale, quasi fossero compagni di giochi. D’Annunzio fornisce un’altra informazione: i mazzamurelli sono capricciosi. La fama dei mazzamurelli arrivò addirittura a Torino sulla scrivania del medico antropologo Cesare Lombroso, il padre della moderna criminologia. I fatti che accaddero nella casa dell’avvocato anconetano Marracino, a detta di molti presa di mira dai mazzamurelli, lo interessarono così tanto che furono oggetto di un articolo del 1909 che titolava Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici. I loro cugini tedeschi, i Poltergeist, sono stanziali, preferiscono abitare vecchi manieri e palazzi abbandonati dove si divertono a terrorizzare chiunque abbia l’ardire di entrare a casa loro. WHY MARCHE | 61


SPIRITO Quella che invece è da tener presente è la tradizione, secondo la quale, chi ne incontra uno deve provare a togliergli il cappello. Il mazzamurello, pur di riaverlo, regalerà all’uomo una manciata di monete d’oro. Anche se i mazzamurelli sono creature fantastiche che appartengono al mondo dell’immaginario e della fantasticazione fanno parte di tutto diritto del bagaglio culturale marchigiano come altri esseri immaginari del calibro della Sibilla e le sue ancelle. Essi sono vivaci e dispettosi come bambini esagitati che rompono i giochi o corrono in continuazione per questo, in alcune provincie delle Marche, si sente ancora l’espressione sei peggio di un mazzamurello. Segno inconfondibile della presenza del Mazzamurello è la risata fragorosa. In generale sono ambasciatori di eventi futuri. Con i loro modi stravaganti ci allertano di un pericolo imminente, ma la loro presenza può esser anche segno di buon auspicio e d’ispirazione.

«Certo il mazzamurello m’ha messo in sul leggìo questo volume dalle rime piacevoli d’un rimator toscano». G. d’A. In alcuni casi fanno da messaggeri tra il regno dei vivi e quello dei morti. Generalmente sono buoni con chi è buono e cattivi con chi è cattivo, per questo ci spiano in continuazione, per capire di che pasta siamo fatti. Se vedono in noi un’anima malvagia, allora si mettono subito all’opera e battono sui muri, rubano, nascondono o rompono tutti gli oggetti di uso quotidiano, prediligendo quelli, la cui mancanza, ci rovina la giornata. In alcuni casi accendono e spengono gli elettrodomestici, suonano il campanello, rompono bicchieri e stoviglie, fino ad arrivare a lanciare sassi.

«E il mazzamurello ruzzante e beffardo, aggraffate le falde dello zimarrino, me lo spingeva addosso e lo tirava nel canto con tanta facilità che io vedevo a vicenda

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appressarsi e allontanarsi indefinitamente come le figure labili dei sogni». G. d’A. PARANORMAL ACTIVITY

I fatti di casa Bruè. Nel 1937, nella frazione Parolito di San Severino Marche, in una tranquilla casa di campagna iniziarono a verificarsi degli strani fenomeni. Gli abitanti, la famiglia Biciuffi e la famiglia Pavoni, sentirono dei forti colpi battuti contro le mura, ma questo era solo il preambolo dell’inferno che li attendeva. I Biciuffi, per tre mesi, furono sconvolti da eventi inspiegabili di una tale ferocia da terrorizzarli a morte. Casa Bruè rappresenta sicuramente il caso più famoso e ben documentato di abitazione infestata dai mazzamurelli nelle Marche. Le povere vittime si videro la casa messa a soqquadro, con oggetti che volavano e si schiantavano contro le pareti, prosciutti e forme di formaggio che sparivano e venivano ritrovati sotto i coppi del tetto. Falci e altri attrezzi da lavoro, dopo infinite ricerche, ricomparivano nei fienili, in fondo al pozzo, oppure sparivano per sempre. E poi mobili che si spostavano e animali impauriti e tutto il corredo della casa in frantumi. A niente servirono gli interventi dei carabinieri o dei guaritori locali. Il tutto si risolse quando il Biciuffi si recò da un misterioso guaritore di Bari che con i suoi riti sanificò la casa. Nel 1639, le monache di Santa Chiara di Montecchio chiesero al vescovo Emilio Altieri, futuro Papa Clemente X, di poter abbandonare il convento perché in passato era stato un lazzaretto “et quel ch’è peggio si sono scoperti spiriti diabolici mazzamurelli quali danno grave molestia alli lavoratori et altri che vi hanno alloggiato”. Caterina Pigorini Berri, professoressa di lettere a Parma quando si trasferì a Camerino poté applicarsi appieno alla sua passione, lo studio del folklore locale. Nell’intervista alla contadina di Camerino Menicuccia, spiega perché i mazzamurelli portano fortuna

e denaro: «E tu che dici allora, non hai paura?» «E none, signora mia, perché quando bussano tre volte vuol dire che c’è li quattrini sepolti poco lontano». E’ interessante notare un altro passaggio dell’intervista, dove è accennata la funzione medianica dei mazzamurelli che rispondono solo se si pone loro la domanda giusta. «Ieri a sera in casa non ci statìa nessuno e io mi detti animo: mi feci il segno della croce e domandai tre volte –Rispondete: che hai bisogno dalla parte d’Iddio? -Non mi arrisposono e se n’andarono via. Vuol dire che io non gli ho saputo fare la domanda». Esistono altri eventi curiosi accaduti in passato che evidenziano la vera natura dei mazzamurelli: cioè infantile e giocherellona. Come quello raccontato nel libro Marche magia e misteri di Gabriele Petromilli. Accadde a Mogliano intorno agli anni Ottanta a Mario Andreozzi. Egli, nonostante l’intervento di carabinieri ed esorcisti, dovette cambiar casa e darla vinta al diavolo delle salsicce che di notte lo terrorizzava facendogli volare per le stanze salumi e salsicce e, per di più, lo percuoteva con sonori schiaffoni. Un altro episodio buffo è la ribellione dei pomodori avvenuta a Chiaravalle nel 1966. Un contadino, all’epoca quattordicenne, fu protagonista di un fatto che porta la firma inconfondibile e dispettosa di un mazzamurello.

«Quando il giovane contadino andava insieme ai familiari nei campi a fare la raccolta dei pomodori, ne causava, al contrario, la dispersione. Non appena egli si avvicinava a una pianta per coglierli, i pomodori si staccavano da soli e volavano via con la velocità di una sassata: talvolta finivano per terra senza far danno talaltra colpivano le persone che si trovavano nel campo». Giorgio Battini in Italia a mezzanotte



SPIRITO

I LUOGHI POETICI

P

di Alessandro Moscè

ubblichiamo alcuni testi inediti di Alessandro Moscè, poeta che sulla scia di Franco Scataglini, Gianni D’Elia, Francesco Scarabicchi e Umberto Piersanti, ha rinnovato più di altri autori in versi la sua residenzialità, il senso del vivere nelle Marche facendo dei suoi luoghi (l’ambiente fabrianese in particolare) e dello stesso entroterra corrusco, il luogo dell’esistenza in una realtà data, intensificata dal rapporto privilegiato con ciò che si può definire una vera e propria patria poetica. Ma lo stesso Derek Walcott dalla sua Santa Lucia nei Caraibi, o Seamus Heaney dall’Irlanda delle torbiere, ha fatto della terra della nascita un tratto saliente, descrittivo, un’identità unica. La raccolta inedita di Moscè si intitola L’amore aiuta a vivere: un verso ripreso da Mario Luzi e dalla sua raccolta Le primizie del deserto edita nel 1952 dall’editore Swartz. Quella di Alessandro Moscè è una dichiarazione di poetica e di amore per un luogo specifico, ma universale. Leopardi dalle Marche vedeva l’infinito e Pavese dalle Langhe ragionava sul mondo e sul suo destino. Dunque anche Sassoferrato, Collamato, Cagli, Albacina, Cerreto d’Esi, Matelica, Camerino, Macerata e Porto Recanati rientrano in quel viaggio residente che il poeta e narratore aveva già compiuto in un precedente libro, sotto forma di scrittura miscellanea che univa uno sguardo dolce, fotografico, con un pensiero critico-filosofico. La periferia e il margine sono un nucleo fondativo, in questo caso. Moscè guarda i luoghi nel dettaglio, rievoca persone e dicerie, intesse storie e invenzioni. I paesi sembrano allargarsi in un orizzonte che sconfina dall’arroccamento rupestre o dalla distesa

sabbiosa in uno spazio non più definito, circoscritto. Siamo in una geografia metafisica, specie quando il poeta dialoga con i morti e non si limita a toccare spazi materiali. Dalla concretezza si passa alla verticalità: Moscè diventa “paleontologo” nelle memorie che attraversano i millenni. Non c’è un isolamento costrittivo in queste poesie, ma un incontro con “i ragazzi che cicalano”, con “il sonno del bambino”, con “lo stemma di San Michele Arcangelo”, con “le donne rimaste ad un secolo fa” ecc. La reazione, pertanto, è nella vicinanza anche quando si snoda una distanza: come definire altrimenti gli uomini nei pastrani, durante la guerra, implorati da chi aspetta a casa il sospirato ritorno? La “campagna gelida e trascurata” dalle parti di Cerreto d’Esi è un altro attraversamento del luogo poetico, leopardiano o pascoliano, mentre altre volte risulta più vicino ad una dimensione domestica, contemporanea (Sereni, Gatto, Bevilacqua, Piersanti). Moscè è un residenziale di spessore, un neo-lirico tra i più intensi, narrativo, dotato di una forza riconoscibile nell’introspezione di sé e del luogo stesso, nella luce primigenia che illumina qualunque realtà: Sassoferrato e Albacina potrebbero rappresentare una fisionomia riscontrabile altrove, non solo nelle Marche d’elezione. Moscè non è mai localistico: la fedeltà alla vita e al luogo accessibile tutti i giorni è l’espediente per interrogarsi in un destino di nascita, di morte, ma anche di scoperta e stupore tra la collina appenninica maceratese e la culla adriatica di Porto Recanati, in una cosmicità che dal freddo dell’inverno di campagna ascende, simbolicamente, al cielo immenso intravisto da un crocicchio.

POESIA SASSOFERRATO

Ha l’argine tracciato sotto i ponti il Sentino che serpeggia tra un roveto e l’altro del letto che accoglie il Sanguerone, altri affluenti e la notte dei matti scesi dal Monte Strega per una passeggiata. Bartolo da Sassoferrato e Raul Lunardi si inoltrano fino a Montelago per una storia di poeti mai spariti dalla circolazione nel rione Castello e nelle mura bianche. Prendono appunti sotto un porticato bevendo una tisana e aspettando i sanniti, i galli e gli etruschi. I ragazzi cicalano con i cappucci dei pugili in testa e la voglia di sfidarsi a ping pong nel freddo dell’inverno dilungato a marzo

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COLLAMATO

La piazza circolare resiste ad ogni inverno che fiacca, è il salotto di pietra del mondo dietro l’arco e in nessun altro luogo schermato dalla morte scolorita. La fotografia dove ognuno passa e si ferma, ombra della sua stessa età che illumina le distanza, riprende l’uomo e il cielo bruciato, la stagione e il sonno del bambino, ultimo nato nella casa di ogni epoca


di Elisabetta Monti

CAGLI

Soffia dagli interstizi del mattone il vento di Cagli che riempie la piazza quadrata, che cova sulle lancette acuminate dell’orologio segnando le ore fino a notte fonda. Nell’atrio del palazzo i capitelli sulle colonne celebrano una storia rimasta nei boschi dell’Appennino, nel ripetersi dei piaceri del primo Rinascimento innaffiati di vino sui boccali. Il tuo profumo langue sul mio collo mentre mi stringi della stessa bellezza dei borghi intatti con lo stemma di San Michele Arcangelo scolpito in una memoria di millenni

ALBACINA

Quei portoni di legno sverniciato abbinano la via in salita dei passi delle donne rimaste ad un secolo fa che preparano il pranzo la mattina e si addormentano davanti ad un telequiz. Hanno capelli di luce e si aprono al sole, piangono per un film finito male e vedono la torre sempre più pendente. Non smarriscono mai la loro bellezza, la stessa delle nonne che hanno sofferto la fame e la mancanza dei mariti durante la guerra, confusi nell’inferno che bruciava i soldati e faceva piangere affossati nei pastrani

CERRETO D’ESI

La torre Belisario ripara la memoria ad ali spiegate nella piazza che scompare tenuta a mente dalla nebbiolina dei vetri e dall’onda del paesaggio bruno, da uno specchio sulla curva bagnata che non smette di fare luce ai margini dei filari di vite a pettine, dimenticando che l’azzurro tornerà a primavera. Gli occhi del viaggiatore si perdono nella campagna gelida e trascurata, non nelle voci e nei passi degli operai con le mani gonfie

CAMERINO

Affacciati dal parapetto dell’università lo strapiombo ci sembra una storia lontanissima per noi ragazzi adulti e malinconici che decifriamo i nomi sul muro gessato di bianco. Le vie strette si guardano come cose d’altri tempi, aderiscono al lastricato e al sonno leggero di chi invita la notte sibillina dalle finestre o lungo le scale ripide di casa. C’è un manto d’ombra nella città dei duchi, uomini con il destino di signoria * che appaiono in ogni crocicchio, portale e cornice alla ricerca dell’orto botanico * “Il destino di signoria” è un’espressione del poeta e drammaturgo di Camerino Ugo Betti

MACERATA

Sono giganti gli uomini incuneati tra i vicoli che si sfanno in ombre consistenti più di un dio e che mettono paura ai bambini. La città vecchia gela nelle gambe quando lo Sferisterio troneggia e abbraccia l’incrocio che popola il vialone di un aprile piovoso di ombrelli e fragilità, della pelle bagnata delle scolaresche lungo le scalette sconnesse, sopravvissute di contentezza per la mattinata più bella dell’anno in visita al Duomo di San Giuliano

MATELICA

Nei bar c’è solo festa la domenica pomeriggio nei tavoli all’aperto per chi addenta un biscotto al cioccolato e corteggia l’aria pungente di aprile. Matèrga sospinge le anziane con gli occhi piegati che sognavano un vitigno per il Verdicchio e cucinano i roscani nelle loro cucine fumose. Qui il tempo è nascosto negli scantinati, nel ricordo di Enrico Mattei che dicono tornerà in piazza, nei banchi con le tovaglie di plastica e nei centenari che ridono se si incontrano alla messa stringendosi le mani nodose come pezzi archeologici del Museo Piersanti

PORTO RECANATI

Il mare è il segno del pastello per il secondo ombrellone rimasto, blu, contornato di bianco e sfrangiato. Mancano i gesti umani in questa spiaggia rimossa che bagna i pensieri degli abitanti e il chiasso estivo nell’immobilità dell’acqua e nella battigia corrugata, nel casello di bibite e panini e nel bofonchiare del giornalaio che piega i quotidiani. Arriveranno per primi i tedeschi a giugno, rossicci sotto il Castello Svevo e incerti ai tavoli dei ristoranti. Accarezzeranno i figli biondi e saluteranno con un cenno della testa, composti nei loro coni d’ombra

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SPIRITO

Alla corte del grande Federichino!

I

l grande imperatore inizia giustamente a essere valorizzato nella terra che gli ha dato i natali, dopo l’inaugurazione, a luglio, del museo Federico II Stupor Mundi a Jesi che ripercorre le sue imprese, ricostruisce le vestigia e gli edifici fatti edificare in Italia ed Europa, testimonia la poliedricità e il fascino dell’uomo che parlava sei lingue. Fondò la Scuola siciliana, culla della letteratura italiana, e riunì presso la corte di Palermo, letterati, matematici, medici, alchimisti di cultura greca, araba, latina, ebraica e germanica. Chiamatemi Federichino! è nato per stuzzicare la curiosità nei più piccini, facendo conoscere l’imperatore quando è ancora un bambino, colmando la lacuna nella bibliografia mondiale di un testo che affrontasse l’infanzia regale. Le favole. Il libro è una raccolta di otto favole illustrate, poiché otto era un numero caro a Federico II, appassionato di numerologia: rappresenta l’infinito, è il numero della rosa dei venti, dell’equilibrio cosmico e del destino e per questo lo ha voluto alla base della sua più imponente costruzione a Castel del Monte. Nella raccolta, partendo da fatti storici che riguardano i primi anni della vita dell’imperatore, tramandateci da cronisti dell’epoca, l’autrice sviluppa storie ricche di fantasia che terminano con una morale. Il testo è redatto in doppia lingua, in italiano e in tedesco, con traduzione di Wilhelm Gerard Klaus, per le origini sveve di Federico. Le favole sono arricchite da due tavole per favola realizzate dall’inedita illustratrice Martina Meta Molinari, una tatuatrice e neomamma di Moie, che per Federico II si è immaginata il figlio con una corona storta in testa e folti riccioli rossi. Il libro vanta della prefazione di Pippo Franco, il noto attore, cabarettista e conduttore televisivo, grande studioso dell’imperatore del Sacro Romano Impero.

di Silvia Brunori

Cosa avrà mai combinato da piccolo il grande uomo a cui è stato attribuito il titolo di Stupor Mundi (“meraviglia del mondo”), che sarebbe diventato Federico II imperatore del Sacro Romano Impero, re di Sicilia e di Gerusalemme? La giornalista jesina Talita Frezzi ha provato a immaginarlo con pannolino e corona in otto favole raccolte in un volume intitolato Chiamatemi Federichino!

I contenuti. Il libro inizia con la nascita dell’imperatore, sotto una grande tenda rossa nella piazza Federico II di Jesi, il 26 dicembre 1194, portato non dalla cicogna, come da tradizione, ma dal falco Gaetano: le altre favole spaziano per ambientazione (Umbria, Campania e Sicilia) e temi, affrontando il dramma della perdita del genitore, Costanza d’Altavilla morì, infatti, quando Federico II era ancora in tenera età, la multiculturalità e la ricchezza d’intelletti che lo circondarono nell’incantevole corte di Palermo dove Federico divenne re a soli quattro anni. Partendo da una ricerca storica attenta sui materiali della ricca biblioteca della Fondazione Federico II Hohenstaufen di Jesi, Talita Frezzi ha ideato racconti che hanno al centro tematiche molto attuali come l’amicizia, l’amore per gli animali, il valore della multiculturalità. Federichino. Il Federico II dei racconti non è un bambinore già adulto e dotato di superpoteri. Un bambino normale con desideri e paure, dotato di una forte attitudine alla socialità, che non ha ancora le sovrastrutture e i pregiudizi degli adulti. Non compie imprese eccezionali ma gioca come tutti i bambini ed è desideroso di scoprire il mondo con tutte le sue meraviglie. Proprio questa è la leva che riesce ad avvicinare il grande imperatore ai piccoli di oggi: “Ho descritto Federico II come un bambino normale, cercando di creare un transfer emotivo tra il personaggio e il lettore. Ogni bambino può identificarsi nel protagonista del libro, perché è normale... non vola, non spara ragnatele e non indossa un’armatura che lo rende invincibile. È un bambino che viaggia, che sogna, che ha paura quando perde la mamma ancora piccolissimo ed è un bambino che trova coraggio e aiuto nell’amicizia. Quello che fanno e che possono fare tutti i nostri bambini”, dichiara l’autrice. WHY MARCHE | 67


SPIRITO I lettori ideali. Le favole sono pensate per bambini e ragazzi dai nove ai dodici anni mentre le tavole illustrate sono state realizzate per catturare l’attenzione dei più piccoli che ascolteranno le avventure di Federichino da genitori, nonni e insegnanti. Il libro s’inserisce in un progetto editoriale e didattico ampio che coinvolge il Museo Federico II Stupor Mundi di Jesi, nel cui bookshop è possibile acquistare il volume e che proseguirà con presentazioni nei centri e negli istituti scolastici dei principali itinerari federiciani. Il libro è acquistabile anche in molte librerie del territorio e on line.

L’autrice. Nata nel 1980 a Jesi (AN) Talita Frezzi è stata per anni giornalista di cronaca nera presso la redazione del “Corriere Adriatico” di Jesi situata proprio in piazza Federico II, occupandosi di cronaca, costume, cultura, sport. Dall’attraversare quotidianamente quella piazza sarebbe nata la passione, il fascino e la curiosità per il grande imperatore. Molteplici sono le collaborazioni che porta avanti con riviste nazionali, periodici, radio, uffici stampa di eventi nazionali e internazionali. I suoi precedenti libri Le Parole della Pioggia e la silloge poetica Ballate dal porto, hanno ottenuto numerosi premi e riconoscimenti. Chiamatemi Federichino! è il suo primo libro per bambini.

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SPIRITO

DICEMBRE - NOVEMBRE 2017 La pace porta il buon anno

Un giorno accadde 1° dicembre 1955. A Montgomery, in Alabama, Rosa Parks rifiutò di lasciare il posto sull’autobus a un bianco, violando le leggi sulla segregazione razziale che sui mezzi pubblici imponevano agli afroamericani di cedere il posto se un bianco lo esigeva. Per questo venne arrestata e incarcerata. Il giorno dopo, deciso da Martin Luther King e altri leader della comunità afroamericana, iniziò il boicottaggio dei bus di Montgomery, che durò oltre un anno, finché non venne abrogata la legge sulla segregazione.

Ho sognato… ... il caminetto – 63 –

Variante più moderna del vecchio focolare, è un simbolo tipicamente familiare. Questa immagine onirica rimanda alla gioia, alla serenità domestiche e all’armonia familiare. È un sogno positivo che indica un amore felice, benessere interiore e ottimi rapporti interpersonali.

Barbanera buongustaio Vellutata alle Mandorle Tempo (min.): 40 Difficoltà: Facile Calorie per porzione: 420

INGREDIENTI (per 4 persone): 220 g di farina - 160 g di zucchero - ¼ di litro di latte - 4 albumi - 50 g di burro mezzo cucchiaino di vaniglia - mezzo cucchiaino di estratto di mandorle una bustina di lievito. Mescolare la farina con lo zucchero e il lievito in bustina. Aggiungere subito il latte, il burro ammorbidito a temperatura ambiente e battere con un frullino fino a ottenere un composto cremoso e omogeneo. Incorporare gli albumi, gli aromi e battere ancora per alcuni minuti. Versare il composto in uno stampo imburrato e cuocere in forno a 180°C per 30 minuti. Servire la crema fredda. 70 | WHY MARCHE


BUONE ECOPRATICHE

d’Inverno

CONTRO LO SPRECO DI CIBO

In Italia ogni famiglia butta in media nella pattumiera 1700 euro di spesa all’anno tra frutta e verdura, pesce, pasta, pane, uova, carne e latticini. Il rimedio? Compilare menu settimanali e sulla base di questi fare una lista della spesa, senza lasciarsi tentare dalle offerte, soprattutto di cibi che si deteriorano più rapidamente, che rischiano di andare sprecati.

RISPARMIARE SUL RISCALDAMENTO

Per riscaldamento e acqua calda ogni famiglia italiana spende, ogni anno, circa 10 euro per metro quadrato. È importante ricordare che ogni grado corrisponde ad un consumo di energia tra il 4 e l’8%. In inverno, quindi, è bene mantenere una temperatura non superiore ai 20°C e adottare accorgimenti per non disperdere il calore: chiudere le tapparelle dopo il tramonto, utilizzare doppi vetri e tappare gli spifferi. Per risparmiare, se si hanno più fonti di calore, meglio tenerle tutte accese a temperatura moderata piuttosto che delegare ad una sola.

PESCANDO QUA E LÀ!

Meno sale in cucina Una tecnica di cucina utile per ridurre, o addirittura eliminare, il sale nelle preparazioni è la marinatura. Lasciare insaporire i cibi a crudo in emulsioni composte da olio extravergine di oliva, erbe aromatiche e spezie, dona infatti gusto e sapore, rendendo inutile l’aggiunta di sale. Per le verdure meglio le marinature brevi a base di olio ed erbe profumate, mentre per carni e pesci si possono preparare emulsioni a base di aceto, limone, vino o liquori aromatici arricchiti di spezie, spicchi d’aglio o erbe.

L’oroscopo di Barbanera ARIETE Modulando le vostre e le altrui esigenze, filerete d’amore e d’accordo: prendetene atto. Coltivando amicizie di spessore, scoprirete affinità d’animo.

BILANCIA Disponibili e amabili, anche più del solito, saprete aiutare chi ne ha bisogno, pur mantenendo la vostra autonomia. Un’autentica lezione di equilibrio.

TORO La situazione è in evoluzione, ma bisogna saperla gestire con metodo, organizzazione e calma. Dolcezza, sensualità e fascino, per la gioia di chi amate!

SCORPIONE Situazioni in stand-by si rimettono in marcia. Forse non avete ancora risolto tutto nel modo desiderato, ma con un po’ di pazienza e ottimismo ci riuscirete.

GEMELLI Stimoli interessanti, viaggi, contatti e sfide professionali vi inviteranno a tirare fuori la grinta e a dare il meglio di voi. Coraggio, raccogliete la sfida!

SAGITTARIO Periodo ideale per una vacanza o una trasferta di lavoro: spostamenti gradevoli e senza imprevisti. Negli affetti coltivate la pazienza e date tempo al tempo.

CANCRO Una dolce sensazione di appagamento accresce la sicurezza e vi fa dare il meglio di voi. Lavoro impegnativo ma, dati i risultati, lo sforzo è ben ripagato.

CAPRICORNO Per centrare i vostri obiettivi, siate disponibili ad assumere altri oneri: siete pronti per la scalata al successo! Le questioni economiche promettono bene.

LEONE Per molti di voi è un periodo di crescita professionale, con ottime prospettive per il futuro. Ma attenti a non trascurate la famiglia per la carriera.

ACQUARIO È il momento di mettere da parte le preoccupazioni astratte e risolvere in concreto difficoltà pratiche ed economiche importanti. Le stelle vi aiuteranno!

VERGINE Iniziative importanti, spese azzeccate per la casa e la famiglia: sapervi stimati dai colleghi vi dà la carica. Un guadagno extra vi consente di viziarvi un po’.

PESCI Molte cose stanno cambiando. È importante non agire d’impulso e avere una visione realistica della situazione. Nostalgia del passato? Il destino vi sorprenderà!

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EVENTI

DICEMBRE - GENNAIO 2017-18

ENZO CUCCHI: 50 ANNI DI GRAFICA D’ARTISTA IN UNA MOSTRA dal 28/10/2017 al 7/01/2018 -Ancona

UN MARE DI NATALE

dal 8/12/2017 al 07/01/2018 Porto San Giorgio

CAPOLAVORI SIBILLINI

dal 21/12/2017 al 30/6/2018 Milano

LE VIE DEI PRESEPI

GLI ORI NEL CASTELLO

MAGIC CHRISTMAS

CAPRICCIO E NATURA

dal 2/12/2017 al 7/1/2018 - Urbino

dall’8/12/2017 al 7/1/2018 Fossombrone

PRESEPE VIVENTE

26/12/2017 e 6/01/2018 Cingoli

dal 3/12/2017 al 18/02/2018 Porto Recanati

dal 15/12/2017 al 13/05/2018 Macerata

FESTA DELLA BEFANA

dal 4/01/2018 al 6/01/2018 Urbania



CAMPAGNA ABBONAMENTI 2017

6 NUMERI 5,00

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