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Marche: ciak si gira! Nella Regione plurale, tanti set cinematografici naturali e un‘opportunità in più di marketing territoriale
Claudia Cinciripini di
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Se vi è sembrato di vedere un’auto gironzolare per il Foro Annonario di Senigallia schivando fantomatici giochi d’acqua, tranquilli, non si tratta di un raro esempio di miraggio e non è neanche il caso di allertare i Vigili Urbani. La spiegazione è orgogliosamente semplice: la BMW ha scelto la bella piazza della“Spiaggia di velluto”, tra tante piazze d’Italia, per il lancio internazionale della nuova serie 6 Coupè e Cabriolet. Le Marche un grande e appetibile set naturale dunque? Sembrerebbe proprio di sì, visto che Pupi e Antonio Avati hanno scelto la nostra Regione, ed in particolare la Provincia di Fermo, per girare il loro ultimo film“Il cuore grande delle ragazze”. Maria Pettinari E lo sa bene anche il“nostro”Dustin Hoffman, che ora gironzola per la Regione cercando d’imparare l’Infinito di Leopardi, ma nel 1972 probabilmente ha preso più di un aperitivo all’ombra dei caffè di quel gioiello unico e raro di Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno tra una ripresa e l’altra di“Alfredo, Alfredo”diretto da Pietro Germi. Possiamo“vantare”anche una Palma d’oro al 54° Festival di Cannes con“La stanza del figlio”di Nanni Moretti girato ad Marketing Ancona. Ma anche un pezzo da cineteca:“Ossessione”del 1943 di Luchino Visconti. se ne parla solamente o lo si fa davvero? Tra il 1967 e il 1977 Senigallia ed i suoi famosi locali notturni, fe“ cero da sfondo ad un ricco filone poliziesco all’italiana: da“Mano di velluto”(1967) a“Il suo nome faceva tremare…Interpol in allarme”(1974), da“Il nostro agente Navarro”(1977) a“La belva con il mitra”(1977). Piccola parentesi“piccante”con Serena Grandi in “Miranda”di Tinto Brass girato in uno storico albergo sulla spiaggia senigalliese. Se si parla di set naturale, certamente Urbino, Gradara ed il Montefeltro non hanno concorrenti specialmente per film storici come quello dedicato a Cesare Borgia“Il duca nero”del 1963. Ma lungo la valle del fiume Marecchia anche Giuseppe Bertolucci girò alcune scene di“La domenica specialmente”(1991) da un soggetto di Tonino Guerra. Ebbene, queste nostre Marche plurali ci riservano sempre delle sorprese. Perché plurale significa avere a disposizione tante ricchezze e particolarità da trasformare in opportunità da prendere al volo. Un modo per veicolare“l’immagine di questo territorio che merita l’attenzione del grande Cinema”ha detto il regista Avati salutando Fermo. E noi di Why Marche ci crediamo e continueremo a dare voce e corpo alle tante anime di questa nostra Regione. WM
Ciao David, com’è stata la tua esperienza televisiva a Vieni via con me e com’è cambiata la tua vita dopo quest’apparizione?
La risata che romp
“È stata un’esperienza professionale importante: io e Alessandro Castriota, mio prode compagno di penna e d’idee, ci siamo resi conto che non dobbiamo temere (se mai l’abbiamo temuto!) il confronto con grandi nomi e grandi contesti. Ognuno, se lavora con passione, professionalità e curiosità, può essere accolto in preziosi contenitori e dimostrare le proprie qualità! Comunque, la mia vita non è cambiata, per fortuna: handicappato ero ed handicappato sono rimasto!”.
La tua ironia spiazza lo spettatore e scioglie quel muro di ipocrisie e preconcetti che gravano sull’handicap, ma per far ridere gli altri occorre innanzitutto poter ridere di sé. Chi ti ha insegnato a farlo?
“L’impiegato dell’ufficio anagrafe che sulla carta d’identità mi ha scritto: «Professione: Handicappato. Segni particolari: nessuno». Questo è quello che mi ci hanno scritto... veramente! Come fai a non fare il comico? Per me la comicità è stata la via con la quale sono riuscito a canalizzare in maniera socialmente accettata - piu’ o meno! - tutta l’incazzatura che mi portavo dentro. Potevo diventare un teppista... meglio comico, no? L’autoironia è il solo strumento, il trampolino politico che ti lancia verso gli altri: come si fa a prendere per il culo gli altri senza prima averlo fatto con se stessi?”.
territoriale
Tu non sopporti quella cultura pietistica e caritatevole che grava sulla disabilità. Come si fa ad uscire da questa visione?
Per marketing territoriale si intende quel complesso di attività che hanno quale specifica finalità la definizione di progetti, programmi e strategie volte a garantire lo sviluppo di un comprensorio territoriale nel lungo periodo. L’accentuarsi dei fenomeni di globalizzazione ha prodotto, sebbene in Italia solamente nell’ultimo periodo, lo sviluppo di una maggiore consapevolezza rispetto alla reale importanza e valenza strategica delle specificità e delle potenzialità locali che vengono quindi oggi interpretate quali volani dello sviluppo economico e sociale. Il marketing territoriale si pone quindi il preciso obiettivo di definire e guidare il rilancio e lo sviluppo dei comprensori territoriali in funzione delle specifiche caratteristiche ed esigenze producendo la più stretta simbiosi tra i potenziali ed i mercati. Le attività legate allo sviluppo del marketing territoriale sono state, ed ancor oggi troppo spesso lo sono, interpretate quale “semplice” azione destinata alla definizione e sviluppo delle attività di promozione confondendo appunto il marketing, quale definita attività di pianificazione e programmazione strategica, con quella di promozione.” Questa è solo una delle tante definizioni che potrete trovare in vari libri di testo o in rete e che cercano di spiegare questa importante leva, dalla quale sembra non si possa prescindere per
comunicare l’importanza del territorio e di tutte le attività produttive, culturali, enogastronomiche che di esso fanno parte e che lo qualificano. Si parla tantissimo della necessità di promuovere la nostra regione dando sempre maggiore forza al brand Marche, facendo in modo che al di fuori essa venga percepita come un’attrattiva sotto tutti i punti di vista e non semplicemente come l’insieme di tante opportunità positive ma tra loro slegate. Per questo motivo sono state create delle azioni di sistema, promozione sia attraverso comunicazione pubblicitaria che grazie alla partecipazione a fiere, manifestazioni, workshop in Italia e nel mondo che potessero dare voce alla nostra realtà e farla apprezzare in tutte le sue sfumature. Dal generale, al particolare: è possibile riproporre lo stesso discorso, lo stesso modello, lo stesso approccio anche per il territorio provinciale? In altre parole: così come la Regione Marche è composta dalle sue cinque province ma ha capito l’importanza di restituire al mondo un’immagine unitaria creandosi e mantenendo forte il suo brand, così ognuna delle realtà provinciali ha al suo interno tanti piccoli microcosmi, fatti di produttori, imprenditori, albergatori, eccellenze storiche e culturali…è possibile anche in questo caso riprodurre il concetto di rete come veicolo di comunicazione integrata? WM
“Bhè, venite a teatro a vedere Targato H o leggetevi il libro Handicappato e Carogna scritti insieme al mio regista Alessandro Castriota! Nel monologo comico Targato H, cerchiamo di smascherare le ipocrisie, dettate dal pregiudizio, che la società manifesta nei confronti degli handicappati. Ci siamo accorti, poi, che l’handicap era diventato solo un pretesto, un mezzo e non un fine, per parlare a tutto tondo della paura dei “diversi”: questo è il vero modo di uscire dalle semplificazioni retoriche, affrontare la paura. Ridicolizzare la paura e il buonismo con lo scopo di fare incontrare le umanità in modo crudo ma autentico”.
Per te non esistono la normalità e l’anormalità ma “moltitudini di diversità”. Puoi
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Le Marche sono come un iceberg:
al di fuori dell’acqua esce solo il 10%, il resto rimane sommerso. Una terra di grandi potenzialità, che mano mano vengono svelate e acquistano sempre più appeal. Ma che cosa si fa, provincia per provincia, per aiutare questo fenomeno di emersione?
Su questo tema vorremmo riflettere con i Presidenti delle Province di Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno e Fermo.
Sappiamo che c’è una stretta collaborazione tra Istituzioni, Associazioni di Categoria e aziende; ma vorremo conoscere in modo più preciso quali politiche sono state adottate in tema di promozione del territorio, appunto di marketing territoriale, comprendere quale idee della provincia si vuole restituire fuori dalle Marche e soprattutto sapere quali possibilità sono messe a disposizione di chi vuole entrare a far parte di questa rete.
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“Vieni t’attendo; e la mia parca mensa s’altro dar non ti può, cibo saran le tue lacerate membra, tuo cadavere esangue, e beverem di tue ferite il sangue!”
Vampire The Masquerade The Game
Il conte Vlad (Dracula) in una delle sue piu famose rappresentazioni
Il vampiro come metafora Marxista del capitale, come condizione di abbandono all’Es, stanco di essere soggiogato da un “dover fare”, “dover dire”, da un ruolo tra ruoli, il vampiro come slancio egotista assetato del “non noi”… Parleremo di tutto questo e sarà divertente. E sarà terrificante. Non ora però, il cielo già si tinge di rosso ed i lampioni provano a gettare un po’ di luce singhiozzante sulle strade ormai buie.
Non ora, forse ci sentirebbero…
…e quindi, zitti zitti e ben nascosti, vi auguriamo un altro corale
buon divertimento, a prescindere.
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AGORA’ 8 · Il graffiante umorismo di David Anzalone IMPRESA 10 · La fabbrica del biocolore 12 · UBI a sostegno delle imprese 14 · L’Io al centro della rete CONSUMATORI 16 · Compriamo a rate ma intelligentemente! BENESSERE E SALUTE 18 · Migliorare la vista, allenando l’occhio INNOVAZIONE 20 · Il potere della mente oltre i confini 22 · Fare innovazione nelle Marche si può FORMAZIONE 24 · Il futuro della formazione 26 · Creare valore per gli studenti ed il territorio UNIVERSITA’ 27 · Iscrizioni universitarie in calo, cosa fare? INTERNAZIONALIZZAZIONE 30 · Dalle Marche all’estero…e ritorno! 32 · Una risposta per le piccole e medie imprese
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AMBIENTE E ENERGIA 34 · Energia rinnovabile: un’alternativa per qualificare il territorio
N° 04 - Aprile 2011
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Le Marche e la Stefanenko: bellezza e semplicità
Direttore Responsabile: Maria Pettinari m.pettinari@whymarche.com REDAZIONE Caporedattrice: Eleonora Baldi e.baldi@whymarche.com Responsabile di redazione Paola Solvi p.solvi@whymarche.com Responsabile Marketing Raffaella Scortichini r.scortichini@whymarche.com Direttore Artistico Silvio Pandurini s.pandurini@whymarche.com
FOLKLORE 36 · Note di Marche risuonano a Sydney 38 · E se oltre ai grandi classici volessimo leggere altro? Ecco una proposta
Responsabile Fotografia Massimiliano Fabrizi m.fabrizi@whymarche.com Editor Riccardo Maria Barchiesi Claudia Cinciripini Giampaolo Paticchio Michela Marconi Maila Chianciani Roberto Ricci Sara Bolognini Sara Schiarizza Fabio Curzi Omar Cafini
ESTERO 40 · Scegliere le Marche, a priori e a posteriori ARREDAMENTO 46 · Salone del Mobile 2011
Hanno collaborato Marco Bartoli Ammar Hamadneh Claudio Giarrusso Manila Salvatelli Loredana Baldi Antonio Lazzari Oliver Mariotti
ISTITUZIONI 49 · E’ tempo che le Marche emergano. Come?
Progetto grafico: www.eraworks.com
ENOGASTRONOMIA 52 · L’importanza dell’autenticità, anche a tavola 54 · Le Marche protagoniste al Vinitaly
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TURISMO 56 · Alla scoperta di… 58 · Messeri e donzelle...
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ARTE E CULTURA 62 · L’artista è l’arte 66 · Le 5 W di Musicultura 68 · Fotografare l’emozione
Stampa: Via Le Brecce - 60025 Loreto (AN) Telefono 071 974 75 11 - Fax 071 750 00 92 www.tecnostampa.it - info@tecnostampa.it
HI-TECH 70 · La guerra dei cloni MODA 74 · Oreos Orea: la miglior creazione di Luciana Emili LUDICA 76 · Volete conoscere la stirpe dei vampiri? PERCHE? 80 · Quale prezzo dare all’energia, arduo dilemma!
Casa Editrice: Theta Edizioni Srl Registrazione Tribunale di Ancona n° 15/10 del 20 Agosto 2010 Sede Legale: Via Villa Poticcio 22 60022 Castelfidardo - Ancona Tel. 0712115265 Fax 07125047377 www.thetaedizioni.it - info@thetaedizioni.it
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Zanza “Ci chiamano diversamente abili e tu stai tutta la vita a chiederti: ma a che cazzo sarò abile io?”
SCHEDA DAVID ANZALONE HANDICAPPATO E CAROGNA Autore: David Anzalone Editore: Mondadori Data pubblicazione: Luglio 2008 Tipo: Libro Pagine: 105 Formato: 15x21 Stato: Disponibile in pronta consegna http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/ http://www.bol.it/libri/Handicappato-e-carogna/David-Anzalone-Alessandro-Castriota/ea978880457863/
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Maria Pettinari
za: carogna per scelta! Confesso che dopo il libro “Handicappato e carogna” del 2008 edito da Mondadori, ho sempre voluto domandare a Zanza, ovvero David Anzaloni, quando ha capito di essere carogna. Zanza ride: “Diciamo che handicappato mi ci hanno fatto, carogna ho scelto di esserlo. Perchè carogna è un bel modo di sfatare un pregiudizio, quello cioè, che gli handicappati sono tutti buoni e come tutti i pregiudizi falsano il rapporto umano. Perciò con l’essere carogna, non solo si demolisce un pregiudizio, ma è anche un modo per fare autoironia e svelare delle ipocrisie. Per me dunque è uno strumento”. Uno strumento che David Anzalone, insieme al regista Alessandro Castriota, ha messo in scena in “Targato H”, uno spettacolo teatrale del 2004 che ancora oggi riempie i teatri italiani. “Dopo tanti comici handicappati, finalmente un handicappato che fa il comico” - dice Zanza. E “Targato H” è veramente uno spettacolo esilarante, con battute fulminanti che mettono in ridicolo le comuni concezioni riguardo all’handicap. Chi è normale e chi è anormale, ma soprattutto normale e anormale rispetto a cosa e a chi? Con una risata tutto è ribaltato e in fondo più chiaro. La collaborazione con Castriota prosegue e in cantiere ci sono tanti altri progetti ma non un altro libro perchè, sostiene Zanza, “è faticoso e a me non piace faticare. Comunque è il teatro il mio unico vero mestiere, tutto il resto è un piacevole hobby”. E poi c’è la TV. Nel 2007 è stato ospite nello spettacolo di Enrico Bertolino allo Zelig di Milano, “Bertolino sfatò un altro pregiudizio e cioè che un handicappato non è televisivo”. Fino all’ultima apparizione nel programma “Vieni via con me” con Fabio Fazio e Roberto Saviano. “Da quando sono andato da Fazio ho cominciato ad avere tante donne!”.
Alla trasmissione di RaiTre anche Zanza è arrivato con il suo elenco basato sulle tante opportunità che si hanno nell’essere handicappato: “perchè prendiamo la pensione senza aver fatto mai nulla”, “perchè abbiamo i parcheggi riservati”, “perchè andiamo gratis sia al cinema che a teatro”, “perchè in Olanda il sesso ce lo passa la mutua…solo in Olanda però!”. La chiamata per partecipare alla trasmissione più vista e discussa dell’anno, “è arrivata inaspettata e ne siamo stati veramente orgogliosi” - racconta Zanza - “perchè non è nel nostro stile proporci. E’ stato molto emozionante e avevo una paura del diavolo”. Ora però Zanza è pronto per la sua utopia. “Tengo molto a questo termine che significa qualcosa che oggi non esiste e che domani invece ci potrà essere”. E la sua utopia si chiama “Il Centro Teatrale Senigalliese” un laboratorio teatrale artigianale permanente. “Nel Medioevo l’arte, cioè la bellezza, e l’artigianato, cioè l’uso quotidiano dell’oggetto artistico, non erano concetti separati. E’ così che intendo la formazione artigianale dell’arte, cioè qualcosa che si dedichi alla bellezza ma che abbia una utilità sociale quotidiana. Questa è la mia ottica di teatro. In questo percorso dedicherò molta attenzione all’esigenza interiore di ogni partecipante”. Secondo Zanza siamo bombardati da messaggi televisivi che educano molto alla tecnica ma non all’umanità. “Vorrei riportare l’accento sull’esigenza interiore umana dell’artista e per questo non servono effetti speciali”. Il corso, che si terrà a Roncitelli di Senigallia, si chiama “Il Corpo ribelle”, perchè “si lavorerà molto sul corpo e la capacità di comunicare emozioni. Un corpo che si ribella, appunto, dall’essere considerato solo una macchina da consumo”. WM
David Anzalone, Zanza, classe 1976 è nato a Senigallia. Dopo il biennio della scuola del Teatro Stabile in Rete (oggi fuso col Teatro Stabile delle Marche), è stato allievo di Naira Gonzalez (Odin Teatret), Yves Lebreton, Leo Bassi, Carlo Boso, Eugenio Allegri. Dal 2004 interpreta lo spettacolo Targato H, di cui è autore assieme al regista Alessandro Castriota. Nel 2007 è ospite nello spettacolo di Enrico Bertolino allo Zelig di Milano. Nel 2008 esce il libro “Handicappato e Carogna” edito da Mondadori e scritto con Castriota da Lorenzo Franceschini. Nel 2010 partecipa allo spettacolo di Fabio Fazio e Roberto Saviano “Vieni via con me”.
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Ciao David, com’è stata la tua esperienza televisiva a “Vieni via con me” e com’è cambiata la tua vita dopo quest’apparizione?
“È stata un’esperienza professionale importante: io e Alessandro Castriota, mio prode compagno di penna e d’idee, ci siamo resi conto che non dobbiamo temere (se mai l’abbiamo temuto!) il confronto con grandi nomi e grandi contesti. Ognuno, se lavora con passione, professionalità e curiosità, può essere accolto in preziosi contenitori e dimostrare le proprie qualità! Comunque, la mia vita non è cambiata, per fortuna: handicappato ero ed handicappato sono rimasto!”.
La tua ironia spiazza lo spettatore e scioglie quel muro di ipocrisie e preconcetti che gravano sull’handicap, ma per far ridere gli altri occorre innanzitutto poter ridere di sé. Chi ti ha insegnato a farlo?
“L’impiegato dell’ufficio anagrafe che sulla carta d’identità mi ha scritto: «Professione: Handicappato. Segni particolari: nessuno». Questo è quello che mi ci hanno scritto... veramente! Come fai a non fare il comico? Per me la comicità è stata la via con la quale sono riuscito a canalizzare in maniera socialmente accettata - piu’ o meno! - tutta l’incazzatura che mi portavo dentro. Potevo diventare un teppista... meglio comico, no? L’autoironia è il solo strumento, il trampolino politico che ti lancia verso gli altri: come si fa a prendere per il culo gli altri senza prima averlo fatto con se stessi?”.
Tu non sopporti quella cultura pietistica e caritatevole che grava sulla disabilità. Come si fa ad uscire da questa visione?
“Bhè, venite a teatro a vedere Targato H o leggetevi il libro Handicappato e Carogna scritti insieme al mio regista Alessandro Castriota! Nel monologo comico Targato H, cerchiamo di smascherare le ipocrisie, dettate dal pregiudizio, che la società manifesta nei confronti degli handicappati. Ci siamo accorti, poi, che l’handicap era diventato solo un pretesto, un mezzo e non un fine, per parlare a tutto tondo della paura dei “diversi”: questo è il vero modo di uscire dalle semplificazioni retoriche, affrontare la paura. Ridicolizzare la paura e il buonismo con lo scopo di fare incontrare le umanità in modo crudo ma autentico”.
Per te non esistono la normalità e l’anormalità ma “moltitudini di diversità”. Puoi 8
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La risata ch
he rompe i tabù. A tu per tu con Zanza spiegarci quest’espressione?
“Mi piace pensare ad una “marmellata di differenze” che, paradossalmente, crea uguaglianza. Questo vale anche per i corpi: tutti i corpi sono di uguale dignità proprio perché sono tutti diversi; non esistono solo due categorie, disabile e normodotato. Tutti abbiamo l’enorme tabù del corpo ed è il rapporto fra noi e questo tabù il terreno su cui si gioca la nostra vera liberazione”.
Pensi che la discriminazione e la paura del diverso siano ancora molto radicati in Italia?
“Assolutamente sì! La nostra società è interessata all’omologazione perché essa è funzionale al farci consumare. E vi dirò di più: neanche l’handicap è immune a questa strumentalizzazione. Perciò penso che la grande risorsa che gli handicappati possono comunicare in maniera esplosiva è il valore dell’originalità, della non omologazione. Però, per arrivare a questo, bisogna prendere coscienza di sé, valorizzare le proprie diversità e non cadere nella tentazione di voler essere “come gli altri”. L’omologazione è una trappola, parola di Padre Zanza!”.
Da attore comico a direttore artistico. Come ti trovi nei panni dell’insegnante di teatro? “Benissimo! Al contrario della maggioranza, che lo nega ma lo pensa, io adoro avere il potere!”.
Il tuo laboratorio teatrale s’intitola “Il corpo ribelle”. Perché hai scelto questo titolo, a cosa deve ribellarsi il corpo?
“Per ritornare al nodo centrale di ogni mestiere, cioè la formazione. E, nel caso specifico del teatro, ritornare all’unico punto di partenza per diventare artisti di teatro: allenare il proprio corpo ad ascoltare le emozioni e ad esprimerle. Il nostro corpo deve tornare a praticare il valore della ribellione alla paura di essere sé stesso: vero, emozionante ed espressivo. Ma anche alla cultura consumistica che lo vede come una macchina per spendere. Il corpo non deve perdere la sua centralità nella ricerca della felicità, è il nostro unico bene insostituibile e l’unico mezzo per raggiungere il valore più grande dell’esistenza, cioè la Libertà”.
Che reazioni suscitano i tuoi spettacoli? Gli handicappati apprezzano la tua satira?
“Moltissimo! Dicono: «Era ora che, dopo tanti comici handicappati, arrivasse un handicappa-
to comico!»”.
Come consideri la comicità attuale? Chi sono i tuoi comici preferiti? “Meravigliosa, stimolante, da invidiare! Sì, abbiamo una maggioranza parlamentare veramente eccezionale! Chi di loro preferisco? Bhè, il Capo!”.
Con Castriota avete in programma nuovi progetti?
“Abbiamo troppe idee... ma la più interessante culturalmente parlando è fare un film porno! Secondo me, per i tempi che corrono, sarebbe del tutto normale! A parte gli scherzi, stiamo scrivendo un nuovo spettacolo che speriamo possa prendere corpo il prossimo anno”.
Per concludere, regalaci una battuta al volo.
STRALCIO DEL LIBRO
“Handicappato e carogna”: “Quando arrivò la mia prima insegnante di sostegno, si avvicinò per conoscermi, mi guardò spalancando gli occhi come il personaggio di Shining, fece un sorriso diabolico che poteva far presagire un ictus e poi, indicandomi le sue labbra e facendo lo spelling, disse: «CI-A-O, CO-ME TI CHI-A-MI?» come se stesse masticando dieci chewing-gum tutti assieme. Le ipotesi erano tre: - la Shining, drogata di cingomme, stava pensando che io, oltre a essere spastico, fossi pure scemo; - quando le era stato assegnato il mio caso, le avevano dato la cartella clinica sbagliata: quella di un sordomoto; - anche lei, come me, era semplicemente handicappata (… e, ci tengo a dirlo, non ci sarebbe stato nulla di male!). “
“Basta ipocrisie! Ruby è la mia insegnante di sostegno!”. WM
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Non chiamatela vernice.
Spring color, la fabbrica del biocolore Terre e semi sminuzzati, latte e uova, spazio alla ricerca e all’inventiva, antichi sistemi tintòri e, soprattutto, un odore di buono che si sprigiona dai laboratori e dai contenitori delle vernici, fatte esclusivamente con sistemi ed elementi naturali: è la Spring Color di Castelfidardo
Il giardinetto con siepi e rose dall’aspetto curato all’entrata è già un ottimo bi-
glietto da visita e, una volta all’interno dello stabilimento, ci si stupisce per l’elevata luminosità degli ambienti e per il mix di odori che si combinano in un profumo lieve... quanto di più lontano dalla solita idea di fabbrica e di industria.
Pensate alla messa in pratica reale di concetti di eco-sostenibilità e bio-compatibilità molto in voga ultimamente e, a volte, più sbandierati che realmente applicati. Pensate alla felice realizzazione di tecniche di produzione bio-sostenibili, spesso descritte, a torto, come aliene dal concetto di mercato e dalla possibilità di un profitto.
di
Michela Marconi
Questa è Spring Color.
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L’intraprendenza e il coraggio del suo giovane staff sono stati premiati: la produzione dell’azienda, dapprima rivolta al mercato locale, viene ora commercializzata in tutta Italia e anche esportata in molti paesi europei ed extraeuropei, Australia compresa. Perfino una trasmissione attenta come Report di Rai 3 si è occupata di questa azienda così innovativa nella puntata dell’11 maggio 2008. La Spring Color è sì guidata da giovani, ma è fondata su basi solide e ha ripreso quanto
di meglio la tradizione potesse offrire per poi reinterpretarlo in chiave più moderna, grazie al fatto che il 20% del suo fatturato viene reinvestito nella ricerca, senza godere di finanziamenti pubblici. La produzione si divide in tre linee: bioedilizia, restauro conservativo, vernici e colori. I pigmenti creati riprendono colori naturali e antichi come quelli usati nei capolavori immortali del Rinascimento, come per esempio la robbia, il guado, e l’indaco che ha reso immortale il genio di Piero della Francesca.
di sostanze tossiche e non è adeguata ad aziende tanto all’avanguardia. Perché allora non chiedere delle certificazioni di qualità? L’azienda ha scelto di non richiederle, il miglior biglietto da visita rimane la completa trasparenza dell’etichetta. La Spring Color però non è sempre stata così: la sua felice riorganizzazione è iniziata nel 1994 ma l’azienda e la tradizione di famiglia nasce nel 1958, da un nonno ebanista, restauratore e decoratore che già usava sapientemente tinte fatte con elementi naturali come le terre.
Per gli stucchi e gli intonaci, la ditta si richiama agli antichi sistemi di costruzione, usati ancor prima dei romani, e rivaluta in particolare l’uso della calce - che viene cotta a 650° C invece dei 1600 circa necessari per il cemento, con notevole risparmio energetico. Per produrre le vernici e le colle, invece, la Spring Color utilizza latte (2500 bottiglie circa a settimana) e uova scaduti che ritira dai supermercati della zona, innescando un circolo virtuoso che recupera quello che sarebbe un ingente spreco alimentare. L’azienda produce quindi finiture che prevedono la totale esclusione di materie prime di sintesi petrolchimica e privilegia l’uso di componenti di origine naturale al 100% o di “chimica dolce”; conditio sine qua non: piena atossicità e innocuità per l’ambiente e per le persone che ne sono parte integrante; le linee di colle e tempere “commestibili” al latte pensate per i bambini ne sono un esempio perfetto . Ma allora perché i contenitori di queste vernici ecologiche recano le stesse indicazioni di tossicità dei prodotti classici? Roberto Mosca, il titolare dell’azienda, ci dice che è la legge italiana che lo impone, perché non contempla la possibilità di creare vernici senza l’uso
Da cosa è nata allora l’esigenza di questa “riconversione al naturale” fieramente esibita anche nel logo dell’impresa? Ci risponde Roberto: “Mio nonno e mio padre si sono ammalati e sono poi morti a causa di malattie professionali scatenate dall’uso di componenti e composti chimici usati in azienda. Dal ’94 abbiamo così deciso che era ora di cambiare e abbiamo lentamente abbandonato i vecchi prodotti”. Quali vantaggi si possono ottenere quindi dall’uso di queste vernici? “Il più evidente è sicuramente quello di evitare l’inquinamento “indoor”, rilasciato dalle pareti delle nostre case e dannoso per la salute. Alcune vernici tradizionali infatti possono contenere sostanze come conservanti, solventi, metalli pesanti ed elementi estratti dal petrolio che, a lungo andare, risultano allergizzanti, tossici o perfino cancerogeni. Da un punto di vista tecnico-pratico, invece, queste pitture naturali seguono il cosiddetto “invecchiamento nobile” e richiedono una manutenzione più semplice perché possono essere riapplicate in più strati senza bisogno di carteggiare; inoltre, contrariamente alle finiture adesive e “plastiche”, hanno il vantaggio di far traspirare le pareti, evitando così i distacchi pittorici e le muffe”. Lasciando l’azienda, non si può fare a meno di pensare che i giovani imprenditori di questa “fabbrica della primavera”, che travalica la logica del mero profitto, riescono ad essere competitivi sul mercato in maniera etica e, orgogliosi della loro filosofia di vita, incarnano pienamente il ben noto aforisma gandhiano: “sii il cambiamento che vuoi veder avvenire nel mondo”. WM
Il sito ufficiale Springcolor
>>>
http://www.springcolor.it
Tel. +39 071 78 23 780 info@springcolor.it
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Rafforzata da 120 anni di presenza sul territorio
UBI><Banca Popolare di Ancona sostiene la ripresa “Vogliamo essere la Banca delle risposte e recitare un ruolo importante per agganciare la ripresa economica, cui tutte le componenti interessate - enti, associazioni di categoria, aziende, manager, commercialisti e consulenti d’impresa - debbono partecipare, non pensando che questo compito possa essere delegato ad altri”. Questa dichiarazione d’intenti è di Luciano Goffi, Direttore Generale della UBI >< Banca Popolare di Ancona. E che l’istituto bancario marchigiano sia pronto anche a concretizzarli lo dimostrano le ultime iniziative intraprese in favore dell’economia: cento milioni di euro di finanziamenti agevolati sono infatti stati resi disponibili per progetti delle PMI marchigiane, fino al dicembre 2011. Si tratta dei Fondi B.E.I. che la Banca Popolare di Ancona gestisce, essendosi aggiudicata la gara istituita dalla Regione Marche. A tal proposito, vale la pena ricordare che gli strumenti messi in atto per sostenere la ripresa riguardano progetti di investimento quali: gli immobili sede dell’impresa e gli impianti; il ricambio generazionale e la trasmissione societaria; l’acquisto di macchine e di attrezzature nuove o usate; l’acquisto di software, diritti di brevetto, licenze e know-how, servizi alle imprese e sistemi di qualità aziendali; la realizzazione di reti distributive su mercati nazionali e comunitari; l’acquisto di scorte, materie prime e prodotti finiti; l’investimento in beni immateriali come ad esempio le spese di sviluppo, progettazione e finanziamento, nella fase della realizzazione del progetto e le spese di R.&S..
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Luciano Goffi, DG della UBI Banca Popolare di Ancona ci parla delle importanti iniziative varate in favore delle imprese I progetti finanziati attraverso il plafond B.E.I. (Banca Europea Investimenti) possono includere investimenti e spese realizzati in un arco di 3 anni e devono essere ubicati nelle Marche. Si tratta di un finanziamento chirografario o ipotecario della durata compresa fra i 2 e i 10 anni. L’importo del finanziamento va da un minimo di 100.000 ad un massimo di 1.600.000 euro, nel limite dell’80% degli investimenti finanziabili ed ammissibili. “Sempre per affrontare la situazione venutasi a determinare con l’ultima, prolungata crisi economica, la Banca Popolare di Ancona – continua, Goffi – a tutto il 2010 ha fornito crediti per oltre 1 miliardo di euro, nelle sette regioni di operatività. In particolare, la metà di questi finanziamenti è stata erogata per sostenere la ripresa nelle sole Marche. Sotto questo aspetto è stata determinante – e certamente lo sarà anche in futuro – la collaborazione dei Confidi, alla quale è stato dato forte impulso”. Un’ulteriore iniziativa è stata attuata in piena situazione dì emergenza territoriale e riguarda gli interventi in favore delle popolazioni e delle attività colpite dall’alluvione del marzo scorso. La Banca Popolare di Ancona è stata la prima ad attivarsi a sostegno delle attività economiche che hanno subìto danni; l’intervento, a beneficio di tutte le tipologie di attività economiche localizzate nei comuni marchigiani danneggiati, prevede la concessione di finanziamenti chirografari di importo massimo pari a 10.000 euro, eventualmente incrementabili in relazione all’entità dei danni subiti, da
restituire entro 18 mesi, di cui 6 di preammortamento. Considerata l’urgenza, la Banca sta garantendo un iter procedurale privilegiato per la concessione del finanziamento, con tempi di delibera non superiori alle 72 ore dalla presentazione della documentazione richiesta. “Come si vede – afferma Goffi -, si tratta di iniziative concrete, in coincidenza con l’anno in cui la Banca Popolare di Ancona, nata (nel 1891) come Banca Cooperativa di Jesi, società anonima a capitale illimitato, festeggia i 120 anni di vita”. Oggi, entrata a far parte del Gruppo UBI, la Popolare di Ancona consolida importanti quote di mercato nelle Regioni di proprio insediamento, con una presenza di assoluto rilievo, dalle Marche fino in Campania. Ad oggi, la rete territoriale, con un organico di 1.795 dipendenti, è composta da 243 sportelli, così distribuiti: 99 nelle Marche; 13 in Emilia Romagna; 23 nel Lazio; 65 in Campania; 15 in Abruzzo; 22 in Umbria e 6 nel Molise. “Ma dopo tanta strada percorsa, tanti uomini che ne hanno attraversato la storia – conclude il Direttore Generale -, la Banca Popolare di Ancona è ancora qui, in sette regioni, pronta a fare squadra con chi – tra le famiglie, le istituzioni, le associazioni, i confidi, i professionisti – lavora in questi tempi complessi, con impegno e responsabilità, per sconfiggere i virus della recessione, per portare le nostre imprese verso i mercati lontani, per aprire nuove speranze ai nostri giovani”. WM
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6:00 Min. Incontrarsi per crescere Intervento Andrea Compagnucci (ESSERCI)
Appuntamenti di lavoro, opportunità e seminari nella meravigliosa location dell’Abbadia di Fiastra
Expandere:
a cura di
Eleonora Baldi
Qual è il valore che possiamo dare ad un incontro? Credo che l’incrociarsi ed il confrontarsi di due menti sia una delle più grandi ricchezze alle quali possiamo attingere nel nostro percorso, che sia professionale o di vita. Raffrontarsi con l’altro significa crescere, partendo dalle proprie potenzialità ed idee e andando a mixarci quelle dell’altro. Da questo presupposto ha origine la modalità di sostegno alle imprese che porta avanti la Compagnia delle Opere e che ha visto come momento di matching tra le imprese associate umbre e marchigiane l’incontro del 13 Aprile a Fiastra: 110 le imprese presenti impeganate in vari settori e diverse tra di loro che si confrontano, parlano, discutono, mettono a disposizione le proprie esperienze per fare davvero sistema, con i fatti e non le parole. Per creare situazioni di opportunità che possano rappresentare un volano, in cui le varie competenze vanno ad incastrarsi le une con le altre a creare un ingranaggio sempre più funzionante. Capiamo chi è la Compagnia delle Opere e qual è la motivazione dietro giornate come Expandere, ponendo alcune domande al Presidente del CdO Marche sud Massimo Valentini.
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Perché Compagnia delle Opere? Qual è la vostra idea di rete? “Esprime sinteticamente quella che è la nostra esperienza. Nasce come una passione nei confronti della singola persona, la quale non esiste astrattamente, in quello che dice ma nell’opera che mette in atto, in ciò che crea. L’organizzazione è nata negli anni ’80 grazie ad un’intuizione di Don Giussani, come una passione nei confronti dell’uomo: nel caso specifico con la volontà di aiutare un amico in difficoltà. La Cdo nasce quindi chiedendosi come poter aiutare la persona in questo processo di espressione di se che coincide con il lavoro che decide di svolgere. Inizialmente è stata una rete, che poi si è autoalimentata nel tempo fino a raggiungere i numeri attuali, creata da coloro che entravano nel mondo del lavoro che iniziavano ad aiutarsi per creare le imprese, trovare lavori, affrontare i bisogni emergenti. Questo ha portato nel tempo al crearsi di una serie di opportunità, strumenti e servizi per aiutare questo tipo di espressione. Il nostro cardine fondamentale è questo: rifuggire culturalmente l’idea di l’associa-
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zione come grande centro servizi in grado di fornire risposte a tutti, ma avere consapevolezza che la ricchezza è la singola persona, il singolo io. Il valore che può e deve essere messo in circolazione è proprio il valore dell’Io, e ciò che si è costruito e espresso. Il nostro sistema di rete non è inteso come tecnica ma come cultura che parte dalla percezione che ciò che fa crescere e apre nuovi orizzonti e opportunità è il rapporto con la ricchezza dell’altro, con ciò che non si ha. Ecco in che senso noi parliamo di rete: mettiamo in circolo il rapporto e questo crea strumenti e condizioni perché la ricchezza possa diventare reciprocamente fruibile.” Un’iniziativa come Expandere rappresenta appunto un esempio di questo modo di costruire rete. “Esattamente. Al centro non c’è la grande organizzazione che grazie ad un grande convegno porta a conoscenza degli associati la risposta, ma un’opportunità affinchè tutti possano incontrarsi, scambiarsi la propria esperienza, le proprie conoscenze su un determinato settore e da questo tipo di incontro sistematicamente
c’è un progresso dell’io che si nota sia a livello di conoscenza che al livello di possibilità di arrivare allo sviluppo di progetti comuni”. Come comunicare all’esterno l’importanza di un processo come questo? “Il nostro metodo non è quello di parlarne ma di farla. Expandere è una piccola iniziativa che esprime però un metodo. Si trovano qui oggi circa 200 imprenditori disposti a confrontarsi, parlarsi, colloquiare, intavolare possibili collaborazioni. Ed è un fatto che da queste iniziative, che facciamo ogni anno, nascono rapporti stabili di imprenditori che iniziano a costruire e portare avanti progetti insieme durante l’anno, scambiandosi opportunità. Questo perché c’è un’esperienza di rete che è in atto, esiste e funziona. Bisogna forse capire che il nocciolo non è fare rete, ma fare in modo che si crei un nuovo modo di fare impresa con consapevolezza di se e dell’altro”. WM
>>> http://www.expandere.org
Whatalife, il nuovo social creato appositamente dalla Theta Edizioni per chi ama gettare il proprio sguardo â&#x20AC;&#x153;oltreâ&#x20AC;?, per chi ama conoscere altri paesi, altri modi di pensare, per chi vorrebbe lavorare o studiare allâ&#x20AC;&#x2122;estero, insomma... per chi vorrebbe fare del mondo la sua casa.
il del
E’ senza dubbio ottima l’opportunità di acquistare un prodotto senza un esborso immediato e definitivo di danaro, ma quali tutele per il consumatore?
di Loredana Baldi
“COMPRO A RATE” QUALI TUTELE PER IL CONSUMATORE? Un notevole passo avanti è stato fatto con il d.lgs. 141 dell’agosto 2010 che recepisce in Italia la direttiva CEE sul credito al consumo del 2008 e con le relative disposizioni attuative. Si prevede infatti in primis un maggiore rigore nella trasparenza precontrattuale: prima della conclusione del contratto devono essere fornite le informazioni necessarie in modo chiaro, corretto, completo e conciso, così da favorire il confronto tra le offerte sul mercato e condurre ad una scelta consapevole. La documentazione informativa deve essere facilmente leggibile, sia dal punto di vista grafico che sintattico ed utilizzare un lessico chiaro.
Da una ricerca avviata dall’ Adiconsum nelle Marche, stanno emergendo ad oggi i seguenti dati: Le provincie di Ascoli e Macerata sono quelle con la più bassa propensione all’indebitamento; la provincia di Pesaro al contrario risulta quella con la maggiore coesistenza di più rapporti debitori in capo allo stesso nucleo familiare. Tra le spese che comportano le maggiori difficoltà: mutui, utenze, spese per i figli, assicurazioni – il dato è trasversale ed interessa l’intera regione. Le famiglie della nostra regione percepiscono abbastanza difficoltà ad arrivare alla fine del mese: 76% Ancona, 53% Ascoli, 52% Macerata, 46% Pesaro Urbino. Il 35% delle famiglie della provincia di Ascoli denuncia invece molta difficoltà.
www.dirittoedifesa.it www.adiconsum.it info@adiconsum.it adiconsummarche@virgilio.it
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Negli ultimi anni l’Italia, complici invitanti pubblicità e promesse di sconti eclatanti, ha visto aumentare in maniera consistente il fenomeno dell’acquisto a rate, con un importante incremento dell’indebitamento pro-capite Informazioni devono essere fornite anche sulle conseguenze di un mancato pagamento, evento che spesso viene sottovalutato e che può però comportare seri problemi in seguito alla segnalazione ai Sistemi di Informazione Creditizia, segnalazione che di fatto “marchia” il soggetto come “cattivo pagatore” . Proprio ai fini della diffusione di pratiche responsabili nella concessione del credito, gli intermediari hanno l’obbligo di valutare il merito creditizio del potenziale cliente, ossia la sua capacità di rimborso e la sua storia come debitore, sulla base di informazioni fornite dal consumatore stesso e attraverso l’accesso ad apposite banche dati, anche degli altri Paesi europei; lo scopo è di evitare comportamenti non prudenti da parte degli intermediari. In sintesi, al fine di prevenire fenomeni di sovraindebitamento che stanno purtroppo assumendo dimensioni rilevanti, il consumatore non deve essere spinto ad indebitarsi oltre le proprie possibilità. Sempre in merito agli obblighi informativi, almeno annualmente debbono essere comunicate le informazioni sulle condizioni economiche applicate e sull’andamento del rapporto. Ma la novità di maggiore rilievo è certamente costituita dall’introduzione del diritto di recesso dal contratto di finanziamento, esercitabile entro 14 giorni di calendario, che decorrono dalla data della conclusione del contratto o comunque da quando il consumatore ha ricevuto le condizioni contrattuali per iscritto, indipendentemente dalla modalità e
dal luogo di sottoscrizione. Ulteriore strumento di tutela è l’introduzione del concetto di contratto di credito collegato. Parliamo propriamente di “credito al consumo”, ossia di acquisto di un bene attraverso un finanziamento; nel caso in cui il venditore è inadempiente ( mancata consegna del bene, grave difetto di conformità del prodotto) ed il contratto di acquisto risolto per inadempimento, il consumatore ha diritto alla risoluzione anche del contratto di finanziamento. Il collegamento tra i due contratti, era peraltro già stato sancito nel 2009 dalla Corte di Giustizia Europea e ribadito anche recentemente dal Tribunale di Osimo in una causa promossa proprio dall’Adiconsum; le sentenze sono pubblicate sul nostro sito www.dirittoedifesa.it. Dunque la normativa descritta contiene gli strumenti necessari ad una maggiore tutela, ma è necessaria una diffusa informazione a favore del consumatore e naturalmente molto dipende dai comportamenti che verranno adottati dagli intermediari; è evidente che eventuali pratiche commerciali scorrette renderanno nulli i possibili benefici. WM
Come esercitare il diritto di recesso: Inviando raccomandata con ricevuta di ritorno, eventualmente preceduta da fax, telegramma o e-mail, ma confermata da raccomandata entro le successive 48 ore; resta a carico del consumatore la restituzione del capitale ricevuto ed il pagamento degli interessi fino al momento della restituzione, nonché il rimborso di bolli e imposte. Il recesso si estende automaticamente ai servizi accessori, come ad esempio eventuali polizze assicurative previste dal contratto. Attenzione: qualora il consumatore acquisti un bene tramite finanziamento e decida di recedere dal contratto di acquisto, in automatico si risolve anche il contratto di finanziamento.
Inadempimento del fornitore: come risolvere il contratto di finanziamento Il consumatore deve “mettere in mora” il fornitore, cioè diffidarlo ad adempiere attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno. Qualora la messa in mora non abbia effetti, si risolve il contratto di acquisto e di diritto il contratto di finanziamento ad esso collegato. Se il consumatore aveva già iniziato a pagare le rate, la finanziaria deve restituire le rate già versate e rivalersi sul negoziante.
4 semplici regole da seguire: VALUTARE ATTENTAMENTE LE PROPRIE CAPACITà DI REDDITO PRIMA DI INDEBITARSI
>>>
CONOSCERE LE CONDIZIONI REALI DEL FINANZIAMENTO, SOPRATTUTTO LE SPESE A CUI SI VA INCONTRO
FARSI RILASCIARE UNA COPIA DELL’OFFERTA
CONFRONTARE DIVERSE PROPOSTE E SE NECESSARIO CON L’AIUTO DI ESPERTI. ADICONSUM MARCHE COME SEMPRE è A DISPOSIZIONE DEI CITTADINI
AGCM
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Il Libro
SCHEDA Come sono guarito dalla miopia Senza occhiali, lenti a contatto e chirurgia Autore: De Angelis David Editore: Macro Edizioni Data pubblicazione: Settembre 2008 Tipo: Libro Pagine: 352 Formato: 13x20 Stato: Disponibile in pronta consegna Acquista
Guarire dalla miopia? Per alcuni si può Nelle Marche sono circa 390mila le persone che soffrono di miopia, secondo i dati diffusi dal SOI (Società Oftalmologica Italiana). Quella che vi proponiamo di seguito potrebbe essere una risposta a questa parte di nostri conterranei che si trovano a dover convivere con la miopia, certo non una “malattia grave” ma sicuramente un problema fastidioso.
Ma cos’è la miopia, un disturbo congenito ed irrimediabile, destinato a peggiorare con la crescita, o piuttosto un difetto dovuto a scorrette abitudini visive, che gradualmente si può correggere? Nel suo libro “Come sono guarito dalla miopia”, lo studioso David De Angelis propone un’interessante teoria sulla formazione dei difetti di refrazione e sugli strumenti per tornare ad una visione nitida senza occhiali, mediante il potenziamento dei muscoli oculari. Un sistema non ancora riconosciuto ufficialmente dalla scienza, ma già sperimentato da alcuni con successo. Per conoscere meglio di cosa si tratta abbiamo intervistato lo stesso De Angelis.
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di
Claudia Cinciripini
Intervista a David De Angelis, studioso ed autore del Power Vision System, sistema di rieducazione visiva per prevenire e migliorare i difetti di refrazione Molti sostengono che la miopia sia congenita. Lei cosa ne pensa? “È incredibile che ancora si concepisca la miopia come difetto congenito ed ereditario. Esistono eloquenti ed aggiornati studi scientifici che lo negano e tra questi quello eseguito su tre generazioni di esquimesi che vedeva un aumento esponenziale della miopia nelle nuove generazioni, proprio a causa della scolarizzazione e di un maggiore stress accomodativo “da vicinanza”. Anche se è innegabile che esista una bassa percentuale di miopie congenite, è scientificamente errato attribuire il problema al fattore ereditarietà.” Perché nel suo libro “Come sono guarito dalla miopia” parla di “uso scorretto degli occhiali da vista”? “Quando si va da un oculista per un difetto di messa a fuoco, di solito viene prescritta una lente “da riposo”, ovvero una correzione ottica da usare solo in condizioni di difficoltà di messa a fuoco da lontano. La correzione è quindi per mettere a fuoco oggetti lontani e fuori fuoco. Nessuno ti dice però che la stessa correzione ottica usata da vicino e per tempi sostenuti produce un adattamento fisiologico negativo della messa a fuoco: in parole semplici un aumento della miopia. È per questo che con il tempo e l’errato uso degli occhiali a piena correzione, la miopia aumenta in maniera erroneamente definita “inesorabile”. A questo proposito verrebbe quasi da parlare di “omertà” da parte di alcuni professionisti del campo, che dovrebbero informare le persone dei pericoli di aumento di miopia a seguito dell’uso scorretto degli occhiali e delle lenti a contatto.” Cosa si può fare per prevenire sin da piccoli i difetti della rifrazione? “Imparare ad usare i propri occhi nella maniera fisiologica per cui sono stati fatti, ovvero guardare la maggior parte del tempo sulle lunghe distanze, come facevano i nostri antenati che non erano costretti a passare giornate intere al computer, alla televisione o, come purtroppo avviene sempre più spesso ai bambini di oggi, ai videogiochi. D’altra parte, ciò non significa rinunciare alla vita moderna, fatta di impegni su computer e uffici, ma solo utilizzare la fisiologia a nostro favore tramite abitudini visive intelligenti spiegate su Power Vision System, come stretching oculare, uso di sottocorrezioni e lenti positive da vicino, a seconda dei casi specifici.” Può spiegarci in parole semplici in cosa consiste il Power Vision System (PVS) e quali principi ne sono alla base? “L’occhio come qualsiasi altro organo del corpo è soggetto a continui stimoli i quali, nel tempo, producono un adattamento fisiologico nella funzionalità dell’organo sottoposto allo stimolo. Il sistema Power Vision racchiude tutti gli stimoli fisiologici che aiutano l’occhio miope a rilasciare lo stato di cronica accomodazione (che non permette la corretta messa a fuoco da lontano), in modo da rieducarlo alla risolutiva e naturale messa a fuoco su tutte le distanze. Il principio base su cui si fonda il sistema è il principio fisiologico SAID (acronimo per Adattamento Specifico alla Domanda Impo-
Miopia dell’occhio Occhio miope
Occhio normale Nervo ottico Cornea Iride
Pupilla
Nervo ottico
Cornea Iride
Pupilla
sta), secondo cui basta trovare il giusto stimolo per avere un adattamento e modificazione funzionale e strutturale dell’organo trattato. Nel caso della miopia, lo stimolo utilizzato con Power Vision System si chiama “accomodazione da sfuocamento” in cui l’occhio viene allenato a mettere a fuoco stati graduali di fuori fuoco in modo da far diminuire il grado di accomodazione e, di conseguenza, provocare un potenziamento della messa a fuoco da lontano.” Oltre a lei che per primo ha sperimentato l’efficacia di questo metodo, vi sono altri casi accertati di guarigione? “Esistono decine e decine di studi scientifici e un’imponente bibliografia scientifica al riguardo che provano come la messa a fuoco cambi e si adatti in base a diversi stimoli visivi. Da parte mia, quasi ogni giorno vengo a conoscenza di casi di successo. Basta fare una ricerca su Google. Finché il campo medico “ufficiale” ignorerà la questione e non si faranno studi controllati, si rimarrà nel campo della positiva ed esaltante esperienza personale.” Tra quelli che hanno letto il suo libro e lo stanno mettendo in pratica, alcuni progrediscono più in fretta, altri meno. Da cosa dipende? “Dipende da vari fattori, il primo di tutti è da quanti anni il soggetto è viziato da uno scorretto uso di lenti correttive a piena prescrizione. Altri fattori sono il grado di miopia di partenza, il grado di comprensione della tecnica, la volontà e la motivazione del soggetto a mettere in pratica gli esercizi. In ogni caso, una volta letto a fondo il libro e compresi gli esercizi, eseguire PVS è facile, comodo e soprattutto gratuito.” Qual è il parere della scienza? Vi sono oculisti che consigliano ai pazienti il PVS? “Sempre più oculisti ed ottici informati e di larghe vedute stanno abbracciando PVS. Non lo fanno direttamente, in quanto PVS non è una terapia nel proprio termine medico, ma indirettamente, informando i soggetti con problemi refrattivi su come utilizzare correttamente occhiali e lenti a contatto e su come allenare gli occhi in modo da renderli efficienti per tutta la vita. Siamo sulla buona strada di un cambiamento globale sull’argomento. Questo anche grazie ai sempre più numerosi successi delle persone che hanno abbracciato questo innovativo sistema di rieducazione visiva”. WM
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Leggendo di lei in internet scopriamo che si è diplomata esimi al liceo scientifico, con e lode alla facoltà con di Ingegneria Meccanica dell’Università Politecnica delle Marche dalla quale ha ricevuto anche una menzione d’onore come laureata più giovaneb anni –... – a soli
60/60 110
...e che poi ha tentato
“il sogno americano”,
riuscendo anche a realizzarlo e conquistandosi un posto tra i 10 migliori scienziati che lavorano negli USA. Un curriculum impeccabile.
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a cura di
Eleonora Baldi
The sound 20
Se pensiamo a uno scienziato lo immaginiamo spesso come un signore – o una signora – di una certa età, occhialoni con lenti a fondo di bicchiere e capelli spettinati. Un ritratto mutuato dal cinema, soprattutto dai film muti nei quali spesso lo studioso era un simil pazzo che si perdeva in mondi sconosciuti e forse inesistenti. Una rappresentazione ora soprassata; ma di luoghi comuni ce ne sono tanti.
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Primo tra tutti quello che la patria dell’innovazione e della creazione siano gli USA, per le loro tecnologie all’avanguardia, per la loro organizzazione universitaria, per la loro capacità di investire senza paura in “futuro”, ed anche nei giovani. Oltre agli Stati Uniti ce ne sono altri di Paesi lungimiranti che fanno della ricerca uno dei loro punti cardini; non l’Italia purtroppo. Questo però non vuol
dire che menti illuminate non possano nascere e fiorire nel nostro Paese e perché no anche nella nostra piccola Regione. E la storia di Chiara Daraio, giovanissima anconetana salita alla ribalta delle cronache del settore scientifico per essere uno dei migliori 10 scienziati che lavorano negli USA, merita di essere ascoltata come testimonianza del fatto che il talento non ha confini.
d
Ma quanta passione per la scienza e quanto lavoro si nascondono dietro questi successi?
“Tantissimi. La scienza è per me decisamente una grande passione. La vivo da sempre come un hobby più che un lavoro, rendendo il tempo trascorso in laboratorio o davanti al computer molto piacevole… e produttivo. Della ricerca mi piace la creatività, la libertà di azione, e l’emozione che arriva con ogni piccola scoperta”.
La decisione di lasciare l’Italia per andare a lavorare negli Stati Uniti è stata una scelta o una necessità? Mi spiego meglio. La metafora “fuga di cervelli” è tristemente all’ordine del giorno quando ci troviamo a parlare di eccellenti menti nazionali che non trovando sbocco professionale in un’Italia poco meritocratica se ne vanno all’estero. È una fotografia corretta o a tinte troppo negative?
“La decisione di lasciare l’Italia non è stata una fuga, ma semplicemente un’opportu-
nità che ho scelto di perseguire. Gli Stati Uniti sono sempre stati presenti nei momenti in cui mi sono trovata a dover fare scelte, nelle classiche “transizioni” della vita, offrendo sempre l’opzione migliore. Per esempio, dopo la laurea perseguita ad Ancona, San Diego mi ha offerto ottime condizioni per continuare i miei studi, e dopo il dottorato, quando ho potuto scegliere tra diverse posizioni accademiche, in Italia, in Europa, e negli Stati Uniti, Caltech mi ha offerto la posizione migliore”.
Il salto dalle nostre Marche agli USA le deve aver fatto almeno un pochino di “paura”, giusto?
Come è stato l’impatto?
“Più che paura, direi entusiasmo. La prima volta che sono atterrata negli USA pensavo di stare solo per un’esperienza di pochi mesi, ed ero eccitata dall’opportunità di scoprire una reatà diversa. L’impatto è stato attutito dalla presenza di collaboratori e colleghi che mi hanno aiutato ad inserirmi coinvolgendomi in varie attività sin dai primi giorni. L’ambiente accademico americano poi, essendo molto internazionale, ha facilitato la transizione e offerto tantissime opportunità di incontrare altri studenti nelle mie stesse condizioni”.
Come descriverebbe l’ambiente di lavoro e la mentalità che ha trovato in California dove attualmente è capo gruppo di ricerca del California Institute of Technology? E quali differenze ha rintracciato negli ambienti universitari?
in Italia”.
In America la chiamano “The sound magician”. Ci spiega perché?
“L’espressione mi fa ancora sorridere. Penso derivi dal fatto che nella mia ricerca studio materiali con proprietà inusuali, che permettono di controllare la propagazione del suono e di altre onde acustiche. Ma di magico (purtroppo) c’è poco”.
Se cerchiamo innovazione su un qualsiasi dizionario leggiamo: “modificazione, per lo più in meglio, dello stato di cose esistente, rinnovamento, riforma”. Che definizione ne darebbe la scienziata Chiara Daraio?
“Innovazione è progresso. È la realizzazione di una nuova idea, di una nuova tecnologia o di un nuovo metodo. È il contributo fondamentale dello sviluppo”.
“L’ambiente di lavoro al California Institute of Technology (Caltech) è molto stimolante. È un’università piccola (con meno di 300 professori e circa 1000 studenti tra tutti i corsi di laurea) che conta 32 premi Nobel, 5 dei quali attivi oggi nel campus.
Lei ed il gruppo di ricerca di cui è a capo state lavorando su nuove lenti acustiche che miglioreranno la qualità dell’immagine nella diagno-
È un ambiente molto dinamico e collaborativo, che punta molto sulla ricerca e offre risorse all’avanguardia. Ma soprattutto, è un ambiente fondato sul rispetto reciproco e la meritocrazia: guidato da un codice d’onore che si riassume in due righe: “Nessun membro della comunità di Caltech puo’ ottenere un vantaggio ingiusto rispetto a nessun altro membro della comumità” (No member of the Caltech community shall take unfair advantage of any other member of the Caltech community). Questo si applica a tutti i livelli. Per esempio, per gli studenti, tutti gli esami sono non supervisionati e possono essere svolti a casa, in un tempo predeterminato dall’insegnante e cronometrato dallo studente stesso. Un concetto impensabile
stica medica. In poche parole, che benefici apporterà questa nuova scoperta?
“Speriamo un giorno che i nostri sistemi possano contribuire al miglioramento di metodi di diagnosi e terapie mediche, fornendo migliore risoluzione (più alta qualità di immagini) e migliore efficacia (con impulsi a più alta energia). In modo simile, le lenti possono essere utilizzate per la valutazione non distruttiva, a basso costo, di strutture e materiali. Al momento pero’ noi ci occupiamo di studiare le proprietà fondamentali di questi sistemi, e non dello sviluppo industriale delle relative applicazioni”. WM
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Mi cambia
Si può fare innovazione nelle Marche. Seriamente. Grembiuli, Masc here e altro SHOP
Franca
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Mario
Percorso Percorso
5km
6km
Giuseppe
di
Fabio Curzi
Fabb r di S ica carp e
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La fabbrica del signor Mario ha bisogno di tacchi per le sue scarpe e li ordina alla fabbrica del signor Giuseppe che si trova a cinque chilometri di distanza. Il signor Giuseppe compra dalla signora Franca, a sei chilometri, le mascherine e i grembiuli per i suoi operai. Mario, Giuseppe e Franca abitano nello stesso paese, fanno la spesa negli stessi negozi, e così i loro dipendenti. Potete sostituire le scarpe e i tacchi con i rivestimenti per gli sportelli della cucina o con le celle frigorifere per il peschereccio, vi troverete sempre di fronte ad un
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distretto economico nel quale non solo le merci, ma anche le competenze dei lavoratori possono essere trasferite da una industria all’altra, con un percorso di adattamento semplice. Il distretto lo capiamo bene. E’ l’acqua nella quale abbiamo nuotato finora e lo scambio di prodotti che ne regola le dinamiche lo comprendiamo, alla grossa, senza particolari sforzi. In un distretto ognuno influenza l’altro. Il più forte costituisce l’esempio per il più debole, anche
soltanto per imitazione. Il distretto, basato prima sullo scambio di merci e poi sullo scambio di competenze personali, è l’aria che abbiamo respirato fino ad ora. Anche nell’ambiente dell’innovazione e delle tecnologie digitali le cose stanno più o meno così. Non è un caso se le aziende si trovano tutte vicine tra loro, costruendo il mito di luoghi come la Silicon Valley, Hollywood o Cinecittà. A volte ad aggregare queste aziende sono particolari contesti di vantaggio economico: le basse imposizioni fiscali hanno fatto sì che l’Irlanda divenisse la principale sede
il distretto? Franca House
Giuseppe House Mario House
Percorso
16km
fino alla fabbrica di Mario
europea per Oracle, Apple, Microsoft, Facebook etc. etc. La somiglianza coi distretti finisce qui però, perché il vantaggio economico non basta a giustificare questo orientamento. Quello che costruisce il vero punto di forza per questi territori è la possibilità di costruire relazioni tra le persone che lavorano nello stesso ambito. Il vantaggio di avere per vicino di casa uno che fa quasi il tuo stesso mestiere, poterti scambiare idee durante un pranzo a casa di amici. Le competenze delle persone sono il vero valore delle imprese innovative. Nelle Marche esiste una rete di persone che lavorano nel campo dell’innovazione e delle tecnologie digitali. Le trovi a Loreto come a Porto San Giorgio. Molti tra loro condividono una caratteristica: fanno fatica a farsi capire da quelli che lavorano nei distretti tradizionali. Quando il bene che puoi scambiare non è una merce fisica, ma un prodotto immateriale, subito scatta la diffidenza se non il fastidio. Sembra quasi che un e-book o un servizio gps abbia più valore se lo fanno gli indiani o i cechi, invece che essere noi in grado di produrlo. Queste persone spesso lavorano su un modello di impresa che va contro la mentalità marchigiana, nonostante le sue mila partite iva. Lavorano per fondare start-up, imprese che se le cose vanno bene ti fanno guadagnare molto, ma che nella maggioranza dei casi chiudono nel giro di un paio d’anni, battute sul tempo da un concorrente o da un prodotto più efficiente. Per un Google che esiste, quanti motori di ricerca sono stati lanciati, sviluppati e poi chiusi? Non è impossibile fare innovazione nelle Marche, ma è difficile, ad oggi, costruire relazioni con i soggetti che indirizzano o condizionano le possibilità di sviluppo, dagli investitori alle banche alla politica. Dormire sonni tranquilli, godendosi l’ombra del grande albero della tradizione, non fa pigliare i pesci del presente e tantomeno quelli del futuro.
WM
Gli startupper marchigiani iniziano a fare gruppo e a condividere le diverse esperienze. Recentemente hanno pubblicato una raccolta delle loro idee in un pdf che si può scaricare dal sito http://www.startupper-marche.org/. Dal sito scoprirete i poster dei progetti Exima di Davide Andreoli, My Health in My Hands di Floriano Bonfigli, LudOOrt di Martina Perugini, FundCauses di Gioia Feliziani. In questo momento la start-up marchigiana più interessante è sicuramente Jooink di Francesca Tosi, finanziata dal progetto Working Capital di Telecom Italia.
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E-learning:
la formazione hi tech. Il futuro della formazione
a cura di
Manila Salvatelli
Il computer ed Internet hanno modificato quasi tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana: inevitabile che il binomio PC-web non facesse sentire la sua influenza anche nel campo dell’istruzione e formazione
All’inizio fu Olivetti, poi Atari e poi il il Commodore 64. Nell’arco di un ventennio sono arrivati i cellulari, internet, le mail, wireless, il Blackberry, l’i-phone 2-3-4 a breve il 5, e non poteva mancare l’i-tablet, computer tavoletta che in un prossimo futuro sostituirà i notebook. Una grande moltitudine senza differenza di nazionalità, età e provenienza socio-culturale, chi per svago, chi per lavoro ed ora per svago e lavoro ha iniziato ad utilizzare
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E l’insegnante? È destinata a cambiare profondamente la figura dell’insegnante, che si trasforma da unico “fornitore” del sapere e delle conoscenze, a “tutor” che coordina le diverse attività dei suoi studenti, dando ad ognuno di loro la possibilità di crearsi un proprio percorso di studi che sia contemporaneamente interessante per gli “internautic students” e proficuo per la loro preparazione. Molti docenti hanno compreso la vera e propria rivoluzione che l’E-learning promette di portare in una scuola, dove purtroppo regna sempre più spesso lo scarso interesse. Questi aspetti di condivisione e formazione a distanza sono di una fruibilità e praticità assoluta, ma non possono sostituire il rapporto diretto, il confronto tra le persone (docenti e compagni di corso compresi), cosa che avviene all’interno delle mura della Scuola e dell’Istituto, all’interno delle aule fisiche tradizionali. Ma è possibile cercare una strada di integrazione tra la modalità classica e forme più avanzate e tecnologiche dell’apprendimento. Saremo in grado di darci noi i confini e i limiti di tempo senza stravolger metabolismo e abitudini di mezzo mondo mettendone a rischio non solo le relazioni sociali ma pure, dicono gli esperti, la salute?!
messenger e skype, a parlare di sè attraverso Facebook (nell’arco di 3 anni gli iscritti italiani a Facebook sono cresciuti da 200 mila ad oltre 17 milioni, dettagli alla pagina dell’ “http://www.vincos.it/osservatoriofacebook/” Osservatorio Facebook) e il mondo dei socialnetwork, a farsi pubblicità, campagna elettorale, ritrovare parenti, ex compagni di classe, ricercare ex fidanzati/e dimenticati per decenni. Ci domandiamo se le nuove tecnologie abbiano davvero migliorato il nostro stile di vita: sì, siamo diventati più efficienti fino a produrre in 9 ore quello che nel 1950 si faceva in 40, ma il nostro orario d’ufficio non si è accorciato di un minuto. Quella che è già iniziata può però definirsi una vera e propria rivoluzione nelle modalità dell’apprendimento: l’avvento dell’Elearning. Il termine “Electronic Learning”, vale a dire “apprendimento attraverso l’uso
di strumenti elettronici” viene utilizzato per definire realtà molto diverse l’una dall’altra. Oggi, quando si parla di e-learning dobbiamo distinguere tra prima e seconda generazione: la prima infatti la si può acquistare in edicola in forma di CD e DVD, disponibili spesso in abbonamento a quotidiani e periodici, contenenti un corso di lingue, un documentario oppure delle lezioni interattive su una qualsiasi disciplina; la seconda prende il nome di e-learning 2.0 e viene adoperato non solo il computer, ma anche il collegamento ad internet. La sua diffusione sta rivoluzionando il modo di insegnare; infatti l’aumento crescente del numero di connessioni ad internet e della loro velocità, col passaggio al sistema ADSL, rende possibile a sempre più persone di usufruire del web e comodamente da casa formarsi ed istrurisi. La formazione a distanza è un traguardo della didattica di ultima generazione: per-
mette di continuare nel processo di apprendimento anche al di fuori del tradizionale contesto d’aula. Gli esempi non mancano: basti pensare al caso di studenti-lavoratori che non potendosi assentare per seguire le lezioni, possono farlo on-line, consultando il materiale relativo al corso messo a disposizione dal docente. Assistiamo in questo modo all’integrazione tra aula fisica e aula virtuale. Per non parlare delle facoltà universitarie on line. Da più indagine effettuate sul tema, emerge che “http://www.universando.com/ Laureeonline.htm” studiare online piace sempre di più e che il valore di mercato di questo segmento dell’istruzione cresce rapidamente. In quattro anni il numero degli atenei che offre questa modalità formativa è quasi raddoppiato, passando da 24 a 45 con un ventaglio di ben 222 lauree.(fonte: il sole24ore.com) WM
Questa è la scuola del futuro! Le università online continuano a reclutare matricole e a sfornare dottori veri. Basti pensare che gli studenti universitari online iscritti nell’anno accademico 2004-2005 erano appena 1.529 e invece oggi sfiorano le 14 mila unità (13.891). L’incremento in appena tre anni accademici è stato del 900%. E nel 2007 i dottori che grazie agli atenei a distanza hanno conseguito il titolo, dello stesso valore legale rispetto a quello tradizionale, sono stati 2.216, per lo più dai 35 anni in su. (Fonte: Corriere.it) Il valore totale del mercato è di quasi 85 milioni di euro, con un incremento, rispetto all’anno precedente, del 28,6%; il prezzo medio dei corsi di laurea on-line nel 2006/07 è pari a 1.740 euro, cresciuto, rispetto all’anno precedente, del 5,9%. Tutte le Università marchigiane hanno una vasta offerta di corsi e-learning: L’Università
di Camerino, l’università di Macerata, l’Università di Urbino, l’Università Politecnica delle Marche, nascono all’insegna dell’accesso libero alla rete dei saperi accademici, con l’offerta gratuita dei materiali didattici dei singoli corsi di insegnamento ed una guida strutturata all’enorme patrimonio informativo già disponibile in rete. Nuovi strumenti sono così a disposizione del singolo studente e di quanti anche gratuitamente desiderano giungere, attraverso Internet, ad informazioni scientificamente corrette. L’interfaccia del portali Web Learning è al servizio della didattica con una metodologia modulare, che coniuga semplicità, flessibilità ed alta qualità tecnologica. E’ possibile consultare i materiali di studio dei corsi universitari in e-Learning, disponibili anche in formato podcast, in qualunque momento, con una straordinaria
ricchezza di contenuti organizzati in moduli formativi: lezioni, immagini, video e link.
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Un passo importante quello compiuto dalle Università di Camerino e Macerata che va nella direzione di creare valore non solo per gli studenti ma per il territorio stesso
Accordo Unicam-Unimc: proseguono le attività dei tavoli di lavoro Coordinamento ed integrazione funzionale delle Università di Camerino e Macerata per dotare la Provincia e l’intera area centro-meridionale delle Marche, grazie anche alla presenza consolidata dei due Atenei nel fermano e nell’ascolano, di un Polo universitario forte e competitivo, a livello nazionale ed europeo, all’ interno del quale due Università storiche siano in grado di giocare un ruolo fondamentale a sostegno della vitalità economica e sociale del territorio. E’ questo il principio fondante dell’accordo di programma stipulato nel mese di novembre 2009 tra Unicam, Unimc, Provincia di Macerata e Ministero dell’Università e della Ricerca. Per darne attuazione sono stati istituiti diversi tavoli di lavoro, due dei quali hanno di recente iniziato le attività. Si tratta del “tavolo” tecnico per promuovere congiuntamente la Ricerca, anche internazionale. Ne fanno parte rappresentanti dei due Atenei, nominati dai rispettivi Rettori. Del corpo docente delle due università, per Camerino sono presenti in questo “tavolo” il prorettore prof. Flavio Corradini, delegato alla ricerca e alle nuove tecnologie ed il prof. Claudio Pettinari, delegato alle relazioni internazionali; per Macerata
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i professori Francesco Orilia, delegato alla ricerca scientifica e Uoldelul Chelati Didar, direttore del Centro per i rapporto internazionali. Il Gruppo di lavoro è composto anche da funzionari dei due atenei: Simona De Simone per Camerino, Cinzia Raffaelli e Antonella Tiberi per Macerata. Tra gli obiettivi quello creare un sistema che permetta di condividere le rispettive competenze nei diversi ambiti di ricerca, così come una possibile partecipazione unitaria ai vari saloni internazionali nel campo della ricerca dove poter incontrare aziende interessate a rapportarsi con i progetti sviluppati dalle Università. Altro tavolo di recente istituzione è quello che si dovrà occupare dell’integrazione dell’offerta formativa. Vi partecipano quattro rappresentanti di ciascun ateneo: i professori Luciano Misici, Ignazio Buti, Fabio Marchetti e la dottoressa Elena Cardellini per Camerino; i professori Stefano Polenta, Alberto Febbrajo, Pier Giuseppe Rossi e il dott. Roberto Corradetti per Macerata. Nella fase iniziale sono stati definiti tre campi di attività su cui operare: l’offerta formativa vera e propria, le lauree di interfacoltà, la condivisione di alcuni servizi per la didattica (tutoraggio, centri linguistici, servizi di valutazione per la qualità). WM
I TAVOLI TECNICI
Sono ora complessivamente sei i “tavoli tecnici” istituiti nell’ambito dell’accordo di programma: lo scorso ottobre quello “tecnico-amministravo” e in precedenza quelli per “Integrazione dei Sistemi informativi e le banche dati”, quello chiamato “Terzo Ciclo di studi” che si occupa di Master, Scuole di dottorato e di Specializzazione e quello su “Orientamento e Promozione”. Ogni gruppo di lavoro ha una diversa composizione ed è incaricato di affrontare una determinata tematica rientrante nell’oggetto dell’Accordo di programma.
L’università italiana in ginocchio? Studi sulla popolazione universitaria nazionale ci dicono che le iscrizioni universitarie sono in calo a livello nazionale. Com’è la situazione nella nostra Regione? Ripartiamo da dove ci eravamo lasciati. Da una dichiarazione del Rettore dell’Università Politecnica delle Marche, Marco Pacetti, che lamentava una situazione “difficile” nel rapporto tra iscritti all’università nel nostro Paese e nel resto d’Europa. Abbiamo voluto approfondire questo allarme e ci siamo documentati per capire se fosse effettivamente così nero il quadro per i nostri atenei e i dati che abbiamo trovato confermano la criticità del problema.
I numeri relativi alle università pubbliche fanno riflettere: diminuiscono gli iscritti ed anche i laureati.
Meno 5% nell’ultimo anno, accompagnato ad un trend di calo costante che parla di una diminuzione del 9,2% se si considerano gli ultimi quattro anni. Un dato forte, con picchi geografici fatti registrare negli atenei del sud e per le facoltà umanistiche.
Leggermente migliore la situazione per le Università private che fanno registrare un aumento di circa il 2%.
Ecco allora il primo interrogativo da porre ai nostri Rettori: perché questa differenza? Cosa hanno in più gli Istituti Universitari privati? O che cosa fanno percepire di più allettante? Ma continuiamo nell’analisi statistica. A restituirci questi dati sono due Enti partico-
larmente importanti in materia, il Cun – Consiglio Universitario Nazionale – e il Consorzio Almalaurea che non solo considerano i dati relativi alle immatricolazioni ma li incrociano con quelli dei diplomati: se fossimo in presenza di un minor numero di studenti che conseguono il diploma di scuola superiore, potremmo forse addurre questa come motivazione del calo di frequentanti gli atenei. Ma così non è: i diplomati aumentano dello 0,9%, mentre ci sono stati 3986 iscritti in meno nel 2010 rispetto al 2009 e addirittura 26mila in meno se si considera il quadriennio precedente.
Una fotografia preoccupante.
Sicuramente ad incidere sarà stata la crisi economica: meno fondi a disposizione delle famiglie che quindi decidono di investire in modo più oculato, di assecondare la carriera universitari del/dei figlio/i solo se effettivamente vedono delle buone prospettive. Il “prova, poi semmai vedrai” probabilmente non è più di casa nei nuclei familiari italiani.
Ma può essere questa l’unica causa?
Per quanto la crisi possa aver messo a dura prova le nostre finanze, ci sembra riduttivo imputare tutto a questa causa. Quali possono essere altre motivazioni? Forse il messaggio sbagliato di cui si è detto nella precedente edizione di Why Marche, secondo cui i laureati sarebbero in esubero? Oppure politiche di orientamento sbagliate, troppo
leggere e poco attente invece a far conoscere le effettive potenzialità dei nostri Atenei e di quel “pezzo di carta” che si ottiene alla fine del percorso universitario? Sì perché troppo spesso, nella quotidianità è così che viene definita la laurea, come se fosse in realtà inutile o quasi a realizzarsi nel mondo del lavoro. O ancora, altra motivazione potrebbe essere la mancanza di appeal stessa dei corsi universitari forse spesso ancora troppo ancorati alla tradizione e, in maniera spiccata nelle facoltà umanistiche, poco attente ai tempi che cambiano, ai nuovi modi di fare comunicazione, alle nuove tecnologie che possono essere applicate?
Domande difficili a cui dare una risposta…ma quesiti ai quali è fondamentale trovare una soluzione.
Perché il futuro da sempre è nelle mani delle idee, delle menti, della creatività dei giovani. E se si spegne in loro il desiderio di costruire qualcosa, di raggiungere mete più alte, di lasciare una traccia più o meno indelebile, allora veramente la situazione merita di essere definita drammatica.
ANCORA UNA VOLTA L’ARDUO COMPITO DI FOTOGRAFARE QUELLO CHE ACCADE NEL TERRITORIO REGIONALE, LO AFFIDIAMO AI RETTORI DELLE NOSTRE UNIVERSITà, CHIEDENDO LORO DI APRIRCI LE PORTE DEI LORO ATENEI, METTENDOCI A DISPOSIZIONE DATI CHE CONFUTINO O SORREGGANO QUELLI ENUNCIATI A LIVELLO NAZIONALE. MA SOPRATTUTTO GLI CHIEDIAMO DI DARCI UNA CHIAVE DI LETTURA CHE POSSA ATTIVARE UNA INVERSIONE DI TENDENZA, CHE SEMBRA ASSOLUTAMENTE NECESSARIA.
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UNIVERSITA’ DI ANCONA
UNIVERSITA’ DI CAMERINO
Marco Pacetti Il Contributo del Rettore
Fulvio Esposito Il Contributo del Rettore
Dall’Università Politecnica delle Marche ci inviano dati riguardanti la popolazione studentesca degli anni accademici 2009-2010 e 2010-2011 in modo che si possa fare un confronto tra gli iscritti totali dei due periodi e le nuove immatricolazioni. Nell’anno 2010 sono stati rilasciati titoli per un totale di 3.046 così distribuiti: lauree 2.716, specializzazioni 82, dottorati di ricerca 120, master 128. Rapportandoli ai numeri dell’anno precedente notiamo un calo di 260 unità, essendo i titoli registrati nel 2009 3.306: 2.795 lauree, 41 specializzazioni, 169 dottorati di ricerca, 301 master. Stesso trend in discesa si denota anche se si vanno a confrontare le iscrizioni ai corsi di laurea del 2009 con quelle del 2010: si passa dai 16.446 del 2009 ai 16.402 dell’anno successivo. “Nell’anno accademico 2010/2011 il numero degli immatricolati all’Università Politecnica delle Marche è stato per la prima volta in calo; calo dovuto soprattutto a dei fattori principali che devono essere considerati come l’onda lunga di : - un oggettivo calo demografico che ha visto negli ultimo 25 anni i giovani di 19 anni diminuire del 38%; - il passaggio tra Scuola Superiore e Università che è crollato di 9 punti a motivo della controversa immagine che l’Università italiana ha dato di sé (parentopoli, sprechi, moltiplicazione corsi….) - il fattore economico - la scelta dell’Ateneo di prevedere per alcuni corsi il “Numero chiuso” Tuttavia i laureati in discipline scientifiche risultano essere tra i più richiesti dal nostro mercato del lavoro, coerentemente con le principali tendenze dei mercati internazionali. Fonti statistiche nazionali e internazionali confermano questa tesi, confortandola con analisi e confronti che portano allo stesso risultato: quello di un fabbisogno crescente, che nasce da una domanda attuale e che potrebbe innescare in prospettiva un circuito virtuoso di crescita della ricerca e dell’innovazione tecnologica autonoma.” WM Per chi volesse approfondire l’argomento, nella versione web saranno riportati i numeri specifici facoltà per facoltà.
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“Non parlerei di università in ginocchio. Per quanto riguarda Unicam, le immatricolazioni sono stabili, anzi, quest’anno si è registrato un moderato aumento. Se guardiamo poi ai dati nazionali, nel 90/91, il 38% dei diciannovenni s’immatricolava all’università in Italia; questa percentuale raggiungeva il 45% nel 2000/01 ed addirittura il 48% nel 2009/10. Forse ha più senso analizzare le variazioni su un arco di tempo medio-lungo anziché cercare di interpretare piccole variazioni annuali che possono riconoscere spiegazioni contingenti: la crisi può essere una spiegazione. Del resto, siamo ormai vicini al 50%, molto prossimi alla media europea ed alla media OCSE e, forse, che un diciannovenne su due s’iscriva all’università può essere considerato un dato soddisfacente, fisiologico. Quel che non è per niente soddisfacente è che ancor oggi la percentuale di cittadini italiani di età compresa fra 30 e 34 anni provvisti di laurea è fra le più basse in Europa: siamo ultimi per quanto riguarda i maschi con il 15%, stiamo appena meglio con le laureate, che sono il 23% ma si lasciano dietro solo 4 dei 27 Paesi dell’Unione. Questa è una situazione sulla quale occorre agire con urgenza, per almeno 2 ragioni: perché l’obiettivo europeo è di raggiungere entro il 2020 il 40% di laureati e perché indica che in Italia, molto più che altrove, percentuali elevate di giovani che si erano avvicinati all’università la lasciano senza raggiungere il titolo di studio. Non vorrei che questi abbandoni fossero favoriti anche da ‘leggende metropolitane’ sullo scarso valore della laurea per l’accesso all’occupazione. Tutte le statistiche smentiscono questi luoghi comuni: anche in un contesto difficile come l’attuale, il tasso di disoccupazione è più basso tra i laureati che tra i non laureati, il tempo per l’accesso al lavoro è più breve tra i laureati che tra i non laureati, la retribuzione media è più alta tra i laureati che tra i non laureati. Insomma, laurearsi è e resta un buon investimento!” WM
www.unicam.it
UNIVERSITA’ DI MACERATA
UNIVERSITA’ DI URBINO
Luigi Lacchè Il Contributo del Rettore
Stefano Pivato Il Contributo del Rettore
“Qualcuno in Italia sembra rallegrarsi del progressivo calo di giovani che si iscrivono per la prima volta all’Università. C’è chi sostiene che sarebbe meglio per i giovani fare lavori più “umili” e possedere meno formazione. Eppure i dati parlano chiaro. Non abbiamo il problema di avere troppi laureati; semmai è il contrario, essendo noi il fanalino di coda, in Europa, nella percentuale di laureati rispetto alla popolazione. Non si può dire, allora, che i laureati siano troppi; si può discutere sulla loro distribuzione tra le aree, ma non sulla necessità di avere più laureati, ben preparati e con una visione innovativa. In realtà è ben noto che la disoccupazione dei laureati è significativamente più bassa di chi non lo è, e le retribuzioni migliori premiano sempre, in media, chi ha la laurea. Laurea non come “pezzo di carta” ma come investimento vero per crescere, migliorare, poter contribuire allo sviluppo di un territorio. L’Università di Macerata non può ignorare il trend nazionale, ma al calo delle immatricolazioni bisogna rispondere attivamente con percorsi di formazione sempre più adeguati ai bisogni reali del mercato del lavoro. E con percorsi innovativi: lauree erogate in lingua inglese, diplomi binazionali, integrazione studio/stage, oriented job placement. Un polo altamente specializzato nel campo delle scienze umane e delle scienze sociali come quello maceratese è consapevole delle sfide e crede nella bontà dell’umanesimo. Che non è contemplazione del passato, ma è sguardo verso il futuro: integrato con le nuove tecnologie e con la rivoluzione digitale. I laureati a Macerata non diminuiscono e possono guardare con fiducia al mercato del lavoro. Una raccomandazione: mandare i figli all’Università non è inutile, anche se costa sacrificio in un momento difficile. Disinvestire in formazione e cultura è come rinunciare al futuro.” WM
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“Quando si parla di crisi il pensiero corre d’istinto alla disoccupazione, alla contrazione dello stato sociale e a quei valori più immediatamente riferibili all’economia di un Paese e del contesto internazionale. Se lo stesso concetto si applica al mondo universitario, il ragionamento tende a farsi più articolato e meno scontato. Si parla di crisi di attrattività, di offerta carente, soprattutto di fronte a dati che sottolineano un calo di iscrizioni significativo rispetto a quello costante dei diplomati. Ma per le famiglie italiane la scelta di investire nell’istruzione accademica dei propri figli non può non avere un rapporto diretto con le difficoltà finanziarie. Questo resta il primo fattore di incidenza sul calo delle immatricolazioni e certo non aiutano i tagli non solo ai fondi per la ricerca e per l’università, ma anche quelli più in generale alla cultura che tolgono forza e valore alla conoscenza. Inevitabile che in un quadro simile siano le materie umanistiche a soffrire di più, e la tenuta delle università private è prova diretta del nesso causale tra investimenti pubblici e risultati. Non che questo sia un alibi. Se il “pezzo di carta” garantisse – soprattutto in tempi di crisi – sbocchi occupazionali pressoché certi, l’investimento giustificherebbe anche grandi sacrifici. Ma sappiamo bene che la laurea non è più sinonimo di lavoro e che anzi per un laureato la frustrazione è ancora maggiore nel vedere vanificato l’impegno di anni e inutili le conoscenze acquisite. Per contrastare almeno questo aspetto, l’Università di Urbino si impegna da anni nell’orientamento in entrata, che metta la matricola nelle condizioni migliori per affrontare il suo percorso di studi nel modo più efficace e più consono alle proprie potenzialità. Successivamente, docenti, tutor e uffici dedicati al placement mettono in contatto studenti e mondo del lavoro con stage e giornate come il Career Day. E’ ora che l’Italia torni a investire nel proprio futuro, ma oggi è già tardi: altri lo stanno già facendo e ci stanno sottraendo i nostri giovani migliori.” WM
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Aprirsi al mercato internazion
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a cura di
Questa, secondo Sara Giannini Assessore alle Attività Produttive della Regione Marche, la ricetta per rimettere in moto l’economia industriale e produttiva della nostra regione
Eleonora Baldi
Le opportunità da cogliere nella nostra Regione e in Italia sicuramente ci sono, ma sembrano più ardue rispetto al pre-crisi. In questo scenario internazionalizzare può essere una risposta? Ma quale è il “modo giusto” di farlo? “L’apertura estera porta beneficio a tutto il territorio in termini di aumento di reddito e incremento di competitività ed è un percorso che diventa patrimonio non solo per le imprese e le istituzioni, ma per tutta la comunità. Il Governo regionale ha come impegno costante l’internazionalizzazione attiva, un processo di proiezione verso l’esterno del nostro sistema che consente alle nostre imprese di conquistare quote di mercato in aree strategiche caratterizzate da elevata crescita, così da conseguire utili da reinvestire poi nelle Marche al fine di migliorare la qualità del lavoro, dell’occupazione e la competitività delle aziende. Gli attori principali dei processi di internazionalizzazione rimangono le imprese che attraverso i loro prodotti e i loro brand esportano l’immagine delle Marche nel mondo. La Regione Marche, nell’ultimo triennio, ha rafforzato la sua presenza sullo scenario internazionale mettendo in campo, a favore delle PMI, azioni di sostegno, incentivazione e coordinamento delle politiche di sviluppo commerciale internazionale: tutto questo al fine di favorire la penetrazione delle nostre imprese in nuovi mercati, così come per rafforzare la nostra presenza in Paesi dove già operiamo da anni in modo strutturato e dove già abbiamo acquisito una forte
credibilità internazionale. Obiettivi fondamentali sono accompagnare concretamente gli operatori economici e commerciali delle Marche all’estero; difendere sui mercati internazionali il nostro sistema economico locale dall’agguerrita competizione dei sistemi economici regionali italiani; favorire l’incontro dell’offerta marchigiana, caratterizzata da prodotti di alta qualità, con selezionate nicchie di mercato, identificate nello sconfinato oceano del mercato globale. Per fare questo, la strategia scelta è stata “fare sistema” sia a livello nazionale che a livello locale, promuovendo politiche integrate per lo sviluppo del commercio internazionale tra Ministero, Regioni, imprese, Sistema Camerale, Associazioni di Categoria, Università e Centri di Ricerca. Allo stesso modo si sono attuate politiche dirette all’attrazione degli investimenti esteri, per incanalare risorse sul territorio, incrementare l’integrazione internazionale del Paese e contemporaneamente promuovere attivamente lo stile che ci contraddistingue. Si punta sulla qualificazione dei progetti, sulla capacità di sintesi delle necessità, su una maggiore integrazione tra attori e progetti e, soprattutto, su una strategia del sistema regionale unica, coordinata e selettiva nella promozione del Made in Marche ”.
nale ed esportare il
Marche Il processo di internazionalizzazione può essere bilaterale? Mi spiego meglio. Giusto far capire alle nostre aziende l’importanza di far conoscere le Marche e le proprie eccellenze al di fuori dei confini nazionali. Ma altrettanto, ci sembra opportuno mandare un forte messaggio ad imprenditori stranieri che possano vedere nel nostro territorio un’importante partner commerciale. Attualmente quali sono i Paesi con cui intratteniamo maggiori rapporti? “ La Regione, nel corso dell’ultimo triennio, ha moltiplicato la propria presenza all’estero in diverse aree del mondo: ha mantenuto le posizioni acquisite sui mercati maturi (Europa), consolidato e rafforzato la quota conquistata negli ultimi anni sui mercati emergenti strategici (paesi BRIC: Brasile, Russia, India e Cina); ha aperto nuove strade su quei mercati che normalmente non catturano l’attenzione grazie al fascino dei grandi numeri (America Latina, Emirati Arabi, Argentina), ma che sono in grado di offrire ottime opportunità di penetrazione. Le strategie applicate sono state, di volta in volta, diversificate sulla base delle specifiche caratteristiche del mercato con il quale ci si è confrontati. Le Marche hanno attualmente
collaborazioni in corso con Cina, India, Russia e Brasile, Paesi che sostengono e, anzi, dettano il passo della crescita globale. Proprio in queste aree abbiamo avviato iniziative di promozione del sistema economico marchigiano, una strategia combinata in relazione alle esigenze di ogni singolo distretto produttivo regionale (a livello puramente esemplificativo, la calzatura per la Cina ed il mobile per il Brasile). Diversi gli accordi di cooperazione economica sottoscritti dalla Regione Marche in questi Paesi con Istituzioni pubbliche ed Enti, ovvero promossi a favore di qualificati soggetti che operano nel comparto dell’internazionalizzazione: accordi che hanno facilitato l’apertura ed il posizionamento nei rispettivi mercati”. WM
Quali sono gli strumenti, le iniziative, i fondi messi a disposizione dalla Regione Marche per favorire i processi di Internazionalizzazione? Il nuovo piano delle attività di internazionalizzazione è improntato al sostegno di progetti che confermino con sempre maggiore convinzione i settori tradizionali quali assi portanti della nostra economia. L’attività di sostegno alle imprese, già avviata negli anni passati, viene così rafforzata sia in materia di agevolazione all’accesso al credito, sia in relazione a misure di finanziamento a sostegno della competitività, di rilancio delle attività e, di conseguenza, di sostegno all’occupazione. La messa a disposizione di bandi di agevolazione rappresenta un’attività strategica per contribuire a superare definitivamente la crisi. L’obiettivo è il sostegno attivo al tessuto produttivo marchigiano, costituito in larga parte da piccole e medie imprese: realtà fondamentali per la coesione economica e sociale. La Regione Marche, negli ultimi anni, ha rafforzato ed implementato anche altri strumenti: le attività fieristiche e di incoming, i servizi avanzati di informazione e di assistenza tecnica per l’accompagnamento delle imprese all’estero attraverso l’attivazione di alcuni desk in Paesi ritenuti strategici, oltre che la formazione e la specializzazione di imprenditori e di nuove professionalità. Lo Sprint Marche, Sportello regionale per l’Internazionalizzazione, è uno strumento estremamente utile per l’erogazione di servizi di assistenza alle imprese: divulgazione di informazioni di prima accoglienza; organizzazione di incontri di consulenza per la comunicazione di opportunità di finanziamento e di assicurazione delle attività all’estero; diffusione di notizie aggiornate su bandi e agevolazioni nazionali e regionali; azioni di accompagnamento e affiancamento alle missioni all’estero e supporto alle attività di incoming; continua e dinamica interazione con gli uffici esteri regionali. Si tratta di iniziative molto importanti per le Marche, perché in questo momento di crisi dobbiamo sostenere con forza l’azione delle piccole e medie imprese, con un occhio rivolto al no stro territorio e l’altro attento a quanto accade al di là dei nostri confini. Saranno infatti le imprese che operano sui mercati internazionali a registrare per prime un recupero sensibile del proprio fatturato. Informazioni e bandi reperibili su “http://www.impresa.marche o www.sprintmarche.it.
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Le prospettive di crescita a medio termine dell’economia italiana dopo la crisi economica dipendono anche dalla capacità che le imprese avranno nell’avviare processi di sviluppo. Processi volti a consolidare la propria posizione e ad accrescere la capacità di competere
Fondo Italiano Ammar Hamadneh e Claudio Giarrusso
di Investimento per le piccole e medie imprese
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La piccola dimensione, se da un lato permette una maggiore velocità di adattamento alle mutazioni del mercato e l’introduzione di innovazioni di processo, dall’altro può rappresentare una barriera all’ingresso se – data la dimensione aziendale – il livello di investimento necessario o il grado di complessità organizzativa richiesti per aggredire nuovi mercati sono troppo elevati. In questa particolare fase, molte piccole e medie imprese hanno sofferto, anche a causa di una difficile congiuntura, di considerevoli cali di fatturato e di margini operativi che, a loro volta, hanno originato un sensibile aumento dell’esposizione bancaria e un degrado del merito creditizio. Di conseguenza, il rischio è che le PMI italiane, già strutturalmente sottocapitalizzate, non abbiano le risorse necessarie per perseguire progetti di sviluppo. Si tratta al-
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lora di far diventare le piccole imprese un po’ meno piccole, mediante una corretta capitalizzazione delle stesse e favorendo i processi di aggregazione. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Cassa Depositi e Prestiti, Intesa-Sanpaolo, UniCredit Group, Banca Monte dei Paschi di Siena, l’Associazione Bancaria Italiana e la Confindustria hanno costituito una Società di Gestione del Risparmio per il collocamento delle quote di un fondo comune di investimento mobiliare di tipo chiuso riservato a investitori qualificati. Il Fondo opera per le piccole e medie imprese italiane con una durata complessiva fino a 14 anni, di cui 5 anni per l’investimento, 5 anni per il disinvestimento più altri eventuali 2 anni di proroga per ciascuna fase. Le aziende target sono le circa 15 mila imprese italiane con fatturato compreso tra i 10 e i 100 milioni di euro che manifestino concretamente l’inten-
zione di accrescere le proprie quote di mercato, soprattutto in ambito internazionale. Nel complesso, le risorse del Fondo avranno un significativo impatto moltiplicativo sul sistema, in quanto base per ulteriori effetti di leva finanziaria, sia come conseguenza dell’apporto di nuova finanza da parte del sistema bancario, che del conferimento di capitale da parte dell’imprenditore che infine come risultante di coinvestimenti di altri fondi di private equity. L’investimento è indirizzato ad agevolare nel medio termine i processi di patrimonializzazione di singole imprese o l’aggregazione tra imprese che vogliano condividere un progetto di sviluppo comune ed essere per questo affiancate dalle risorse umane e finanziarie del Fondo. Attraverso questo strumento, l’obiettivo dei soci è quello di generare nel medio termine un nucleo consistente di medi campioni nazionali che sia sufficientemente patrimonializzato per affrontare le sfide della competitività internazionale. Ogni possibile investimento sarà valutato in base al merito del Piano Industriale, del progetto di sviluppo e della capacità del management di portarlo a termine. Dovrà inoltre essere identificato un chiaro percorso che porti nel medio termine alla liquidazione degli investimenti attraverso i classici canali del trade sale e della quotazione in Borsa, nonché tramite cessioni a fondi terzi o consentendo il riacquisto da parte degli imprenditori stessi con una remunerazione adeguata dell’investimento. La società Global World Consulting in partnership con Danilo Collevecchio, amministratore delegato del Fondo di Private Equity romano CrescendoPMI, accompagna le aziende nella redazione del Piano Industriale da sottoporre al Fondo Italiano di Investimento, nonché nella valutazione del corretto valore aziendale che diverrà oggetto di contrattazione con il Fondo stesso. WM
Arch. Ammar Hamadneh
Partner Global World Consulting Mobile Italy +39 3290803210 Mobile UAE +971 502940147 ammar.hamadneh@gmail.com
L’alternativa al nucleare? a cura di
Eleonora Baldi
Possiamo costruircela in “casa nostra”!
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Spiegare con poche e semplici parole il processo attraverso cui si produce energia utilizzando il nucleare sarebbe utopistico. Però può aiutarci a capire: l’energia nucleare è una risposta positiva ed innovativa o nasconde più pericoli che benefici? “Trasformare attraverso un processo complesso energia nucleare in elettrica è una modalità industriale ben nota, che appaga le esigenze delle complesse società moderne, con una serie di pro e contro come tutte le attività tecnologiche. Il dibattito è forte sul fatto che ci siano più svantaggi che vantaggi. Partiamo dai vantaggi: la quantità di energia che può essere prodotta utilizzando quantità ridotte di uranio sono enormi e gli spazi necessari a realizzare questa trasformazione sono piccoli. Se guardiamo ai soli costi del combustibile, confrontando quello del gas e quello dell’uranio, quest’ultimo ne ha di molto più bassi. E’ un’energia facilmente utilizzabile per le economie avanzate e non dimentichiamo che la produzione di energia con i processi innescati per via nucleare non provoca emissioni di anidride carbonica in atmosfera: quindi è un energia pulita, quanto meno per quel che riguarda l’effetto serra. Ecco quindi che per quelle che sono le esigenze di una società avanzata, i vantaggi sono molto importanti perché garantiscono grandi quantità di energia prodotto in maniera affidabile. Dove sta l’aspetto negativo? La reazione con cui si utilizza l’energia nucleare produce particelle radioattive dannose per gli esseri viventi e se, dal luogo in cui avviene questa reazione per qualche motivo “scappano” queste particelle, si creano problemi per la salute degli esseri viventi che vi vengono a contatto. Se vengono rispettate tutte le condizioni per la sicurezza, non ci sono problemi neanche nelle immediate vicinanze della centrale. Se però accadono catastrofi come a Chernobyl o in Giappone, nessuno ha più certezze: le particelle radioattive viaggiano nell’atmosfera e il tutto diventa ingestibile.” E’ la sicurezza quindi l’ostacolo a una diffusione del nucleare? “In realtà no. Questo è uno degli aspetti più risolvibili: la sicurezza delle centrali può essere tenuta facilmente sotto con-
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trollo, a parte situazioni non prevedibili come quella del Giappone, che comunque secondo me sarà ricondotta entro confini controllabili. Il problema è che se si porta il controllo della sicurezza ai livelli ai quali non siamo disposti a rinunciare, il costo del nucleare lievita. Per essere sicura la centrale costa talmente tanto che pur rimanendo il costo del combustibile basso, quello totale cresce esponenzialmente: l’energia nucleare va fuori mercato.” Lo stesso Presidente regionale Spacca ha detto no al nucleare a favore della produzione di energia sul territorio con altri processi, sfruttando altre tecnologie. Lei è d’accordo con questa scelta? “La mia posizione coincide con quanto affermato giorni fa dal Cancelliere tedesco Angela Merkel: l’energia prodotta per via nucleare è una sorta di momento di
transizione per superare la dipendenza dal petrolio. Ma non è quella definitiva; che è la rinnovabile. In Italia il nucleare lo abbiamo già abbandonato 30 anni fa, ripartire adesso non ha senso, dal punto di vista della sicurezza, economico e sociale. Quindi sì, concordo con il Presidente Spacca. Anche se a ben vedere nelle Marche non esistono le condizioni per una centrale nucleare: siamo una regione a sismicità forte e poi abbiamo un’urbanizzazione diffusa e di solito la centrale viene sviluppata in zone poco antropizzate.” Quali sono allora le potenzialità del nostro territorio? Cosa potremmo sfruttare? “Il nostro territorio potrebbe ricavare un grosso vantaggio in termini economici e sociali se si sviluppa in modo sistematico una politica che tenga conto di tre principali capisaldi: quello del risparmio energetico, quello dell’efficienza energetica e quello dello sviluppo delle energie rinnovabili. Il risparmio energetico si può fare soprattutto in edilizia ed è il vero modo per rilanciarla indirizzandola una revisione completa dell’esistente in termini di risparmio energetico; ed
abbiamo a disposizione la tecnologia necessaria qui in casa nostra: non dobbiamo andarla a comprare all’estero come faremmo con la tecnologia necessaria per il nucleare. Bisogna insistere su queste linee, perché possono permettere lo sviluppo delle industrie locali e anche dell’indotto. Lo stesso dicasi per l’efficienza energetica: l’energia necessaria per l’ illuminazione, l’ energia usata nei processi industriali, possono vedere miglioramenti enormi usando per la gran parte le industrie del territorio. E poi c’è la grande partita delle energie rinnovabili. Non c’è nulla di semplice nella società complessa come le nostre. Tutte le energie rinnovabili, eolico, biomasse, fotovoltaico, solare termico, vanno studiate e va visto come possono essere inserite armonicamente. E’ un problema di pianificazione, di intelligenza, di uso consapevole del territorio e delle tecnologia. La grande valenza e forza di questo disegno alternativo, che non è facile ed ha bisogno di tante risorse ed intelligenza, è che ce lo possiamo fare quasi tutto da soli e strategicamente ci può rendere molto meno dipendenti dall’esterno; e senza problemi di smaltimento delle scorie e sicurezza degli impianti che poi è il problema fondamentale del nucleare.” WM
Le coscienze si sono di nuovo risvegliate sul tema nucleare dopo la catastrofe Giapponese. Ma per non limitarsi a urlare “Al lupo al lupo!” abbiamo voluto capire di più della questione delle possibili alternative a colloquio con Fabio Polonara, Direttore del Dipartimento di Energetica dell’Università Politecnica delle Marche
Meglio investire in nucleare o in energie rinnovabili? “Non c’è dubbio anche per lo sviluppo della terra in cui viviamo: assolutamente rinnovabili! Però attenzione, non parliamo solo di energia rinnovabile, altrimenti si pensa solo al fotovoltaico. Dobbiamo investire in energia rinnovabile, efficienza energetica e risparmio energetico. I pannelli fotovoltaici sono una risorsa, ma non si deve per forza deturpare il territorio: si dovrebbe lavorare per posizionarli su superfici già impermeabilizzate come i tetti dei parcheggi o delle grandi industrie. Un uso razionale e consapevole delle bio masse può dare un forte impulso all’economia agricola. Credo che i tempi ormai siano maturi anche per sfruttare un eolico a mare. Esistono tante possibilità su cui lavorare e studiare, alternative al nucleare, più sicure; non semplici, certo complicate e complesse, ma che possiamo rintracciare qui nel territorio!”
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Un marchigiano a Sydney Una passione nata con lui quella di Cristiano Giuseppetti, osimano che grazie all’amore sconfinato per la musica ed a You Tube è riuscito a vivere un’esperienza irripetibile
YTSO 2011 Violin Audition - Cristiano Giuseppetti http://www.youtube.com/watch?v=E8S38koSOjo
di
Eleonora Baldi - Foto Massimiliano Fabrizi
http://www.youtube.com/watch?v=LnKJpYGCLsg YouTube Symphony Orchestra 2011 Grand Finale
Esistono i predestinati, quelli che hanno un cammino scritto ancora prima di avere la facoltà di decidere della propria vita; questa è la storia di Cristiano Giuseppetti che con la musica ha condiviso tutto fin dal primo momento, fin dalla nascita. “Un pianoforte fu il regalo di mio padre a mia madre in occasione della la mia nascita”. Così inizia la nostra chiacchierata, seduti sulle poltroncine del Teatro “La nuova Fenice” di Osimo. Un amore che continua e cresce quando al pianoforte si affianca anche il violino, fino al diploma in entrambi gli strumenti. Un violinista atipico Cristiano, che non ama solo la classica e le sue “regole” ma a cui piace al contrario spaziare, mettendo la sua anima insieme a quella del violino e della musica stessa. “Non mi piace solo la classica e questo fa di me un violinista particolare: suono
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altri generi. Il violino non è necessariamente solo musica classica: per questo ci vuole sempre precisione, rigore. A me piace anche condividere i momenti con gli amici, dare spazio all’improvvisazione.” Una vita non facile quella del musicista in Italia, come ci racconta Cristiano, fatta di tanti sacrifici, di provini a ripetizione, di collaborazioni con Teatri e Orchestre che però non sono mai qualcosa di sicuro nel tempo. “A 21 anni ho iniziato a lavorare con la Filarmonica Marchigiana, anche se l’anno prima ero andato già in Giappone, girandolo tutto per suonare con una compagnia. E’ stata la prima esperienza vera: che bello poter suonare e viaggiare, conoscere nuovi amici, nuove città, nuove culture! Da questo momento in poi ho continuato a fare audizioni su audizioni, e fino all’anno scorso ho lavorato con l’orchestra “La Fenice” di Venezia.”
Se dovessi fare un bilancio diresti di aver fatto la scelta giusta? “Assolutamente, io vivo di musica! Anche quando smetto di suonare, ascolto di continuo musica … fa parte di me, mi completa!” Poi un giorno di Settembre, aprendo You Tube gli appare il banner che pubblicizza la partecipazione alla formazione dell’Orchestra Sinfonica di You Tube. “Sapevo che nel 2009 vi era stato il primo esperimento di questo tipo e ne ero incuriosito. Ho deciso di preparare il video che avrei dovuto caricare su You Tube e tentare anche questa scommessa. Dopo meno di un mese, sono stati selezionati 300 finalisti tra cui 72 violini e io ero l’unico italiano. I musicisti sono stati selezionati dalle Orchestre più importanti del mondo: quella di Berlino, quella di Londra, quella di Sidney. Una grande soddisfazione essere tra i prescelti! Dal 10 al 17 dicembre c’era la votazione “pubblica” che avveniva on line sempre sul sito di You Tube; il giudizio finale spettava comunque al Direttore Artistico, Michael Tilson Thomas, direttore musicale della San Francisco Symphony Orchestra. Alla fine di dicembre in via ufficiosa vengono anticipati i “vincitori”: quasi non potevo credere di far parte di questo gruppo, scelto tra ragazzi di 34 Paesi. Tutto il lavoro fatto in passato, tutto lo studio, i tanti sacrifici, tutto era valso la pena!” Passano due mesi all’incirca in cui Cristiano non ha neanche il tempo di rendersi conto dell’occasione che ha, fin quando come dice lui stesso non deve preparare la valigia. “Tutti gli europei ci siamo incontrati a Francoforte e siamo partiti alla volta di Sidney per arrivare il 13 Marzo mattina. E’ stato organizzato un party di benvenuto,una mini crociera lungo il porto per farci conoscere tutti. Il giorno dopo la prima prova: 100 persone mai viste, nessuno che sapesse come suonava l’altro; c’erano ragazzi di 14 anni mai andati in orchestra! Fatta la prima nota, e non vi dico l’emozione che ho provato a suonare in quel tempio della musica, ho già capito che era qualcosa di diverso da tutto il resto: il l’ultimo leggio suonava come il primo! Tutti con la stessa voglia di fare, con la stessa grinta, non mi sono mai sentito così “protetto”! Un’orchestra creata dal nulla, una scommessa anche per gli organizzatori! Ma fin dall’inizio si percepiva il talento e la sostanza di tutti i componenti. Mi sono sentito fiero di
Anche i giovani sanno come fare! Cosa ha colpito maggiormente Cristiano in questa esperienza? La grinta dei ragazzi, suoi coetanei , che a differenza di quanto accade in Italia hanno la possibilità di prendere in mano l’organizzazione di una manifestazione tanto importante e il ruolo del musicista, dotato di un appeal del tutto diverso. “ Gli organizzatori della manifestazione erano tutti collaboratori di Google di 20-25 anni, si percepiva il loro entusiasmo, la voglia di dar vita a una cosa giovane, spontanea. Ho potuto constatare che se si lascia fare ai giovani , affidandogli quel futuro che è nostro si ottengono grandi risultati, qualcosa di veramente nuovo ed unico. L’aver conosciuto persone di 34 Paesi in una settimana, l’essere riusciti a creare quello che abbiamo fatto noi è qualcosa che ti arricchisce sia a livello professionale che personale. Riesci a capire come funzionano le cose al di fuori dell’Italia e devo essere sincero m’è venuta la voglia di rimanere a lavorare la. Da noi i musicisti non sono tenuti nella giusta considerazione, fuori c’è una cultura tale che il musicista ha il suo posto nella società ed è rispettato.”
far parte di questa orchestra tanto speciale! Mai sentita una cosa così d’impatto qui in Italia.” Solo ascoltando le parole di Cristiano, percepiamo anche noi l’atmosfera particolare, quasi irreale che si deve essere creata in quei giorni. “C’era lo spirito dei giovani a fare da motore, età media 23-24 anni se non meno! Ogni giorno venivano organizzati concerti sezioni per sezioni: percussioni, ottoni, fiati, archi. Era sempre tutto esaurito ad ogni concerto (circa 500 posti). Poi finalmente il gran giorno, quello del concerto. Il sabato abbiamo fatto la prima uscita che viene definita “matinee” una sorta di anteprima o prova generale nella quale abbiamo provato tutti i tempi ed il resto; poi la domenica l’evento in diretta streaming su You Tube. Come evento ha riscosso grandissimo successo perché non è stato “semplicemente” un concerto di musica classica, è stato uno spettacolo: proiezioni sulla facciata esterna e all’interno, ospiti, pezzi classici d’effetto, altri su melodie arrangiate.” WM
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Una prima proposta: Remo Pagnanelli
di
Riccardo Maria Barchiesi
Il sole si avvia ad affacciarsi sulla metà di mondo ancora addormentata, ed intanto la linea dell’orizzonte si fa incandescente. La luce arancione, scavalcati i monti, ruzzola giù dalle colline e s’infrange come un’onda nella spuma dell’Adriatico, scivolando poi sulle pieghe d’un mare sgualcito da
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Remo Pagnanelli (1955-1987) poeta maceratese visse a fianco di casa nostra, tra la sabbia delle rive e la fanghiglia dei fondali del mare. Liquido che nella quiete non può che prendere il respiro per la prossima tempesta, non può che riflettere, che prendere la forma della terra che lo sostiene e scavarla un po’. Fu un critico che scrisse poesie ed un poeta che prestò la sua penna a lavori di critica, ma se vorrete saperlo o no dovrete deciderlo voi. Io vorrei parlarvi di un tentativo, vorrei proporvi una lettura, una “Musica da viaggio”. Un viaggio senza nozioni geografiche a guidarlo magari, perché qualsiasi contorno vorrete scorgere al di là dello spessore dell’aria davanti a voi, questo sarà autenticamente vostro. La poesia di Pagnanelli ha molto di cui parlare, ma non sarò di certo io a dirvi che cosa trovarvi. E’ riflessione, è un dialogo tra lettore e sé stesso. E’ ricerca di qualcosa,di una risposta cercata tra ricordi, stanze, acque, immagini. Tristezza, forse malinconia che rotola lasciando dietro e davanti a sé nel suo ritirarsi una spuma ironica, che vorrebbe rimanere per quanto sia
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condannata ad essere assorbita dalla terra. Delle volte non si riconosce il porto in cui si approda, altre, invece, sembra tremendamente familiare. Un disegno in bianco e nero, sfumato dai canti e i controcanti di una mente che si guarda intorno e non può fare diversamente. Una polifonia d’impressioni che nasce fra le nostre colline, sotto i nostri monti, con lo sguardo dentro l’Adriatico. La proposta che voglio farvi è questa: non trovate delle scuse. Vi presento questo poeta perché è marchigiano come noi, meno citato di un Leopardi, ma conosciuto e riconosciuto in tutta Italia. Perché mi ci sono imbattuto per caso anche io. Un modo per iniziare un viaggio. Che scavalcato il prossimo orizzonte ci sia una qualche verità od una tempesta, poco importa. Crescere guardandosi dentro, senza dare ascolto a paradigmi di conoscenze più o meno arcane, che sembrano voler essere imprescindibili paramenti per le “foreste” della poesia. Avvicinatevi con fraterna gentilezza a quelle poche parole, che pur delle volte spaventano così tanto. In fondo la poesia parla di ognuno di noi. WM
un’altra giornata. E per quanto un raggio provi ad improvvisarsi ardito nuotatore per arrivare un po’ più in là, meno riuscirà ad essere abbastanza bravo ad affogare, per illuminare il buio del fondale. Lontano, imprescindibile tuttavia, nero ed immobile, ma culla d’ogni onda, perché comunque, lassù, rimane il vento.
Bibliografia Di seguito una bibliografia delle sue poesie che può essere trovata, completa della parte di critica, nel sito ufficiale www.remopagnanelli. it. A voi la scelta se e da dove cominciare, solamente, non perdete un’occasione presentatasi per caso. Dopo, Forum, Forlì 1981. Musica da viaggio, Introduzione di Marzio Pieri, Antonio Olmi editore, Macerata 1984. Atelier d’inverno, Prefazione di Giuliano Gramigna, Accademia Montelliana, Montebelluna 1985. L’orto botanico, 6 Poeti del Premio Montale (Roma 1985), Prefazione di Maria Luisa Spaziani, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano 1986. Preparativi per la villeggiatura, Amadeus, Montebelluna 1988. Epigrammi dell’inconsistenza, a cura di Eugenio De Signoribus, Stamperia dell’Arancio, Grottammare 1992. Le poesie, con Introduzione e a cura di Daniela Marcheschi, il lavoro editoriale, Ancona 2000
Remo Pagnanelli nasce a Macerata il 6 maggio 1955. Nel 1978 si laurea in Lettere e pubblica la sua tesi su Vittorio Sereni. Nonostante l’attenzione maggiormente posta sul lato poetico del suo operato, va detto, pur non facendo alcuna distinzione gerarchica, che il suo maggior contributo come produzione va a fiorire sul campo della critica con soggetti quali Sereni, Fortini, Penna, Neri, Montale, Bertolucci, Giudici, Caproni. Insieme a G. Garufi ha fondato e diretto la rivista “Verso”. “[…]Così si vuole che il mio genio fosse incompreso perché la ragione è chiara e lo vedono tutti che non andavo d’accordo con la Storia e così il mio biografo si lamenta della mancanza di fatti notevoli e prepara la tesi dell’opposto, il grosso avvenimento sarebbe la mancanza di questi.” (versi di “Quasi un consuntivo”)
E questo sembra chiaramente vero quando si cerca e non si trova molto sulla sua vita. Si legge più che altro un elenco di pubblicazioni, opere, studi… Nella stessa poesia già citata si può leggere:
Il sito ufficiale
>>>
“Mai stato un giorno senza paura, senza la luminosa paura di essere dimenticati.”
http://www.remopagnanelli.it Non qui per rivelare una logica, una poetica più o meno in sordina, forse, più che una risposta per qualcosa, tutto questo è un seme per un bosco gemmato di nostre domande. Remo Pagnanelli si toglie la vita il 22 Novembre 1987. “Exit Remus. Oremus pro eo”. E leggiamo.
Una panoramica dei libri di Remo Pagnanelli che potete trovare sul sito
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“Ho scelto le Marche senza aver visto tutta l’Italia.
Ora che la conosco, le risceglierei ancora!”
a Mine: La famigli uglas D e Tobias o ph, Bruno,
Jose
Parlare con Douglas Mine è un piacere, pochi minuti di telefonata senza neanche essersi visti in faccia bastano per capire come sia un uomo innamorato della sua famiglia e del nostro territorio, di cose vere e genuine sia nella vita, che nella professione. Siamo venuti a conoscenza della sua storia grazie a un articolo letto su “Scarpe cotte”, una rivista unica nel suo genere in Italia, che pubblica racconti, poesie e illustrazioni realizzati da ragazzi di età compresa tra dieci e quattordici anni. E ci è venuta subito in mente una domanda: perché dall’America, patria delle opportunità avrà deciso di trasferirsi nelle nostre piccole Marche e dare avvio a un progetto tanto particolare ed ambizioso? Così…l’abbiamo cercato per trovare una risposta a questo ed altri quesiti!
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a cura di
Eleonora Baldi
Un’affermazione convinta e sorridente quella di Douglas Mine. Le Marche come regalo che lui e sua moglie Nicoletta hanno deciso di fare ai loro figli trasferendosi da Miami ad Acqualagna prima e Fano ora Come è venuta a Lei e sua moglie Nicoletta l’idea di trasferirvi qui nelle Marche? “Be, la risposta più immediata è che mia moglie è nata e cresciuta a Fossombrone. Ma non è esattamente così! La nostra storia è particolare. Io americano, lei italiana… ci siamo incontrati in America Centrale a El Salvador. Io ero lì come giornalista e lei come insegnante. Quando ci siamo conosciuti io non parlavo italiano e lei inglese, per cui per i primi 4 anni di convivenza abbiamo comunicato solo in spagnolo. Ci siamo sposati e trasferiti in America a Miami dove abbiamo vissuto per 8 anni. Stavamo bene in America, noi come i nostri figli, che per volontà di mia moglie avevano già imparato l’italiano con lei; ad un certo punto abbiamo iniziato a riflettere e pensare che avremmo voluto fare loro un regalo: farli crescere respirando la cultura italiana! L’Italia mi ricorda molto il Centro America, molte cose sono simili ed altre migliori. Forse anche per questa similitudine ci piaceva l’idea di fare in modo che i nostri figli, pur rimanendo americani, potessero anche diventare italiani. Io avevo smesso di svolgere la mia professione di giornalista in giro per il mondo e avevo scritto il mio primo romanzo: lo scrittore lo potevo fare anche in Italia! Una volta deciso di trasferirci, le Marche sono state la scelta ovvia per i natali di Nicoletta. Ma, dopo quasi 4 anni e mezzo in cui posso dire di aver conosciuto quasi tutta l’Italia, posso dire che se dovessi rifare quella scelta in questo momento opterei di sicuro per le Marche, perché questa terra offre il meglio per le famiglie e per i ragazzi”. Spostiamoci un attimo sul lato professionale, da dove è nata l’idea di Scarpe Cotte?
“Non vogliamo prenderci il merito dell’originalità dell’idea! La nostra esperienza nasce ispirandosi a Stone Soup un pilastro della cultura americana che esiste da 30 anni e che pubblica i lavori dei ragazzi delle scuole medie. Quando vivevamo in America, i nostri figli erano abbonati alla rivista e secondo noi era qualcosa di meraviglioso. Per cui, una volta qui nelle Marche abbiamo deciso di mettere insieme le nostre competenze, la mia di scrittore e quella di Nicoletta in campo grafico, e provare a ricreare questa esperienza culturale, offrendo ai ragazzi italiani la possibilità di sfruttare una palestra per le loro abilità letterarie e creative in genere. Posso dire che Scarpe Cotte ci sta dando tantissime soddisfazioni a livello morale, ci permette di conoscere tante persone interessanti nel campo delle arti visive e scrittura giovanile, è molto apprezzato. Per quel che riguarda il ritorno economico, potremmo vederlo solo nel lungo periodo. Pubblichiamo questo bimestrale da due anni ormai e abbiamo dato voce circa a un centinaio di giovani scrittori italiani: una bella soddisfazione!” Quali differenze potrebbe notare tra l’esperienza americana e questa italiana? “La stessa che nota qualsiasi straniero nel vostro Paese: gli ostacoli burocratici! Inoltre, attorno al progetto si è sollevato molto sostegno morale se così si può dire, molta approvazione, ma dal punto di vista pratico si fatica a trovare sostegno. Io sono sicuro che moltissime strutture vorrebbero poter fruire di questo strumento, ma non è come in America. In USA la maggioranza degli abbonati di Stone Soup sono le scuole, qui in Italia tutto ciò che riguarda l’istruzione pubblica
è estremamente complicato. Penso spesso in generale a un confronto tra l’America e l’Italia e faccio questa domanda anche ai miei figli. In realtà, noi stavamo bene là così come qui; l’importante è apprezzare tutto ciò che di positivo si può godere non lasciando che le cose negative finiscano per rovinare tutto”. Da ormai marchigiano di adozione, se dovesse indicare la cosa più bella della nostra Regione quale sarebbe? “Una delle cose più belle che ho visto è la vitalità della gente più in su con l’età. E’ bello vedere persone di 75-80 anni impegnate a coltivare l’orto o a fare giardinaggio, così come le signore che vanno a fare la spesa in bici. I primi due anni qui nelle Marche con la mia famiglia abbiamo vissuto nella campagna di Acqualagna, dove mi sono innamorato oltre che del paesaggio bucolico e della semplicità delle persone, anche della vostra cucina: dal brodetto alla piada. Vogliamo poi parlare della bellezza di avere insieme mare e montagna? Lo ripeto, per tutti questi motivi anche ora risceglierei le Marche per vivere, perché sono fuori dai sentieri classici battuti dal turismo e forse anche per questo permettono una vita vera e genuina”. WM
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La NATASC “strepitosa CON qUEsTA fRAsE lA sTEfANENkO dEfINIsCE lA NOsTRA TERRA, dEllA qUAlE sI sENTE ORMAI pARTE INTEgRANTE. E dOvE, CI CONfEssA, lE pIACE RIfUgIARsI pER EssERE vERAMENTE sE sTEssA
a cura di
Benedetta Zilli
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Lei è Natasha Stefanenko, conduttrice e attrice che, da quindici anni, è felicemente sposata con l’imprenditore marchigiano Luca Sabbioni, dal quale ha avuto una bambina, Sasha, di dieci anni. Un legame forte quello che unisce la bella presentatrice a questa regione; un affetto che sfodera con orgoglio, svelando di essere un’appassionata di Giacomo Leopardi: “Leggendo le sue poesie, riesco ancora di più ad apprezzare le bellezze paesaggistiche di questo territorio. Sono russa, ma una parte di me è marchigiana: mia figlia è nata qui e, sinceramente, non potevo scegliere un posto migliore dove farla crescere.
CHA marchigiana, nella sua semplicità” Amo le Marche e tutte le belle emozioni che i suoi paesaggi sanno regalarmi. Lontana dalla tv, posso godermi la mia normalità nell’essere totalmente me stessa, senza schemi o copioni
E pensare che la Stefanenko, prima di approdare nelle Marche, di strada ne ha fatta. Sono lontani i tempi in cui, ancora bambina, si alzava all’alba per andare a nuoto: dorso e rana, con i libri lasciati aperti sul bordo piscina, formule e poesie da memorizzare, tra una bracciata e l’altra. Quella bambina avrebbe abbandonato le vasche e il sogno complicato di diventare campionessa, per laurearsi in ingegneria metallurgica. Più tardi avrebbe vinto il concorso “The look of the year”, ma il suo destino sembrava ancora incompiuto. Ormai maggiorenne, lascia la Russia e si trasferisce in Italia, per cercar fortuna come modella.
Oggi Natasha è ancora una donna così: multitasking, ma senza ossessioni. Un susseguirsi di successi, professionali e affettivi, tali da renderla una donna appagata con un unico rimpianto: non essere diventata mamma per la seconda volta. Professionalmente parlando, non si è fatta mancare nulla: dall’esordio nel 1992 accanto a Gerry Scotti ne “La grande sfida” alla conduzione del “Festivalbar” nel 2001; da “Convenscion “ a “Taratatà”. Attrice di fiction, da “Nebbie e delitti” a “Sette vite 2” e di cinema, da “Ti spiace se bacio mamma” a “In nome di Maria”. Il tutto senza trascurare la tv russa dove, nel 2007, ha presentato il programma “What not to wear “.
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Lei è sempre super attiva, sembra non conoscere lo stress..
“Diciamo che so come evitare di stressarmi! E da questo si capisce perché io sia così affezionata a questa regione. E’ il mio antistress per eccellenza!”.
In che senso?
“Analizzando l’aspetto prettamente territoriale, qui c’è sia il mare che la montagna: si può sciare in inverno e prendere il sole in spiaggia d’estate. Un grande privilegio! E’ una terra vera, viva; nella sua semplicità è strepitosa. Le Marche per me rappresentano un’isola felice, il mio rifugio dalla vita caotica. Qui ritrovo pace, serenità, i miei affetti e, ogni volta, mi ricarico. Nel 1993 ho conosciuto mio marito e da quel momento e come se avessi stretto un patto anche con i suoi luoghi d’origine. Qui si “vive e si lascia vivere”. Nel mio lavoro sono sovraesposta e quando torno a casa le luci della ribalta si spengono. In quei momenti sono io e la mia parte più autentica”.
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E’ una donna molto riservata..
“No, direi solo una donna che vuol vivere la sua quotidianità insieme alle persone più importanti. Bisogna saper distinguere la persona dal personaggio. E’ un aspetto che ricade anche sullo sviluppo di Sasha. In questa piccola realtà paradisiaca, lei può crescere in totale armonia, dando peso ai valori che veramente contano nella vita. Malgrado non abbia nulla da nascondere, ho sempre amato la mia intimità e, soprattutto, il fatto di poterla condividere con i miei cari. La scorsa estate siamo stati in Brasile e anche lì ci siamo goduti ogni momento in completa tranquillità, lontano dai riflettori e dalla vita mondana”.
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Nel mondo dello spettacolo, si è sempre contraddistinta proprio per il rispetto nei confronti della sua vita privata...
“Credo che basti poco per tutelare la propria privacy: non frequentare i soliti locali o evitare la Sardegna quando è strapiena di fotografi. I paparazzi mi definiscono la “felicemente noiosa”, perché su di me si fa fatica a creare uno scoop. Ma io sono fatta così: non ho voglia di sprecare energie dietro false notizie pur di far parlare di me. Preferisco spendere il mio tempo dando me stessa nel lavoro e tra le quattro mura di casa”.
Tornando alle Marche, come descriverebbe il tipico marchigiano?
“Il marchigiano doc è un lavoratore, che sa assumersi le sue responsabilità ma che, allo stesso tempo, sa godersi la vita come pochi. E’ anche un grande esteta, sempre molto attento alle ultime tendenze modaiole. La donna marchigiana? Semplicemente glamour! Non è mai in disordine e ha molta cura del dettaglio. Non bisogna dimenticare che qui viene prodotta buona parte delle collezioni. Ammettiamolo: sappiamo distinguere l’in dall’out e non è roba da poco!”.
Cosa invece le manca della Russia?
“Ho molta nostalgia degli odori! Mi mancano i boschi degli Urali. Sono andata via a 21 anni senza troppi ripensamenti, con le idee chiare. Inizialmente mi mancavano i miei parenti, la mia casa. Ma oggi tutto è molto più semplice e la comunicazione, anche se virtuale, riduce notevolmente il peso della distanza. Se voglio vedere o parlare con mia madre, basta accendere Skype e il gioco è fatto. A volte vorrei parlare russo per ore! Ma amo l’italiano e, per mia fortuna, ho acquistato anche una grande dimestichezza”.
Ha fatto la modella, la presentatrice, l’attrice e l’abbiamo vista anche condurre programmi comici e musicali. Quale esperienza televisiva l’ha gratificata di più?
“Tutte mi hanno dato tanto, perché mi hanno arricchita sia come donna che come professionista. Ogni esperienza ti lascia qualcosa; l’importante poi è farne tesoro: dalla fiction “Nebbie e delitti” con Luca Barbareschi al ruolo di attrice nel film “Ti spiace se bacio mamma” di Alessandro Benvenuti, alla trasmissione Taratatà con Vincenzo Mollica, un uomo talmente colto che sa insegnarti anche non aprendo bocca. E poi i ruoli comici a fianco di personaggi come Enrico Bertolino e Paolo Rossi, dove ho tirato fuori tutta la mia autoironia. Sono una persona che ama prendersi in giro e sa ridere di gusto”.
Da chi ha ereditato questa qualità?
“Da ragazzina mi sentivo sempre dire che ero troppo magra o troppo alta per la mia età. Sono cresciuta maturando l’idea che bisogna sempre sdrammatizzare e trovare la forza di trasformare le nostre debolezze in punti forza”.
La seguiamo in “Italia’s Next Top Model” su Sky Uno, un format americano (“Americas Next Top Model” in America) di grande successo, condotto in America dalla famosa modella Tyra Banks. Che effetto le fa essere stata scelta per presentare la versione italiana? “Sono orgogliosa! E sono estremamente soddisfatta dei risultati ottenuti. Alcuni mesi fa, io e la redazione siamo state contattate dalla produzione americana per partecipare a una puntata di Ameri-
ca’s Next Top Model. Una conferma che c’è una grande considerazione per il lavoro da noi svolto. Devo anche aggiungere che, avendo fatto la modella per tanto tempo, mi sono sentita molto utile, perché ho avuto modo di trasmettere alle partecipanti la mia esperienza, in quanto so cosa è necessario per essere una vera top. Dall’altra parte le ragazze si sono sempre mostrate molto attente e con una grande voglia di imparare. Credo che non sia il classico reality fine a se stesso, visto l’aspetto educativo che lo contraddistingue. Quando si offre un qualcosa in più a chi è dall’altra parte dello schermo, anche questo tipo di programma può diventare particolarmente interessante”.
Attualmente quali sono i suoi impegni professionali?
“Oltre a condurre Italia’s Next Top Model, presento un programma molto divertente “Mi hai lasciato… cambio vita”, sempre su Sky Uno. Insieme a un’equipe di professionisti, cerco di aiutare i protagonisti a superare un momento triste dovuto alla fine di una storia. Impresa ardua, ma credo sia utile per chi da casa sa immedesimarsi e, magari, sa individuare il rimedio giusto per alleviare le proprie pene d’amore!”.
A proposito di amore, a differenza di tante coppie note, lei e Luca siete sempre insieme e anche molto innamorati. Quali sono i segreti per un matrimonio duraturo? “Capire che l’amore va coltivato e che, altrettanto importante, è il dialogo. Sono fedele, ma questa virtù non nasce da un vincolo, ma dal rispetto per ciò che provo: sono fedele al mio sentimento. Se tradisco, so che sto tradendo me stessa, la mia scelta. Un altro consiglio? Reinventarsi continuamente: tutti i giorni scopro qualcosa di nuovo in mio marito e questo ci aiuta a mantenere vivo ciò che proviamo”. WM
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Milano
di
Raffaella Scortichini
Un appuntamento immancabile per appassionati e non del settore che ha regalato tendenze e sorprese
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Da martedì 12 a domenica 17 aprile 2011 si è svolta la kermesse dedicata al mobile. Per il Milano designer week un duplice appuntamento. Nei Saloni presso il quartiere espositivo di Rho, si è visto, toccato, provato il meglio che l’arredo domestico può offrire dal classico al design al moderno, oltre le tendenze di domani. In città un molteplice progetto di cultura, arte, moda, creatività e design con numerosi eventi collaterali nei quartieri Brera,
Porta Romana, Tortona, Lambrate e nel quadrilatero della moda. Un appuntamento importante e speciale quest’anno che dichiara i suoi primi 50 anni: mezzo secolo di scambi, business, incontri, accordi, riflessioni, discussioni, innovazioni, creatività, sperimentazioni e ancora feste e cocktail. Un circuito che da sempre porta visitatori dal mondo intero. Moltissime e variate proposte si sono presentate ai Saloni e fuori, ipotesi stimo-
2011: 50years young.
IL MOBIlE IN MOSTRA I numeri dei Saloni 2011:
2.775 210.030
gli espositori.
metri quadri di padiglioni che per la città ospitante significa un indotto di centinaia di milioni di euroe una moltiplicazione di energie, eventi e proposte.
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1961-2011 Fiera Milano, Rho, 12/17.04.2011 lanti ed evolutive da progettisti e produttori nazionali ed internazionali. Le aziende medie hanno allargato la produzione a destinatari un po’ più borghesi con mix stilistici innalzando l’asticella del gusto e provocando così la reazione ad osare di più da parte delle aziende che da sempre rivestono uno storico ruolo di “tracciatori di strade alternative”. In questa edizione la materia sicuramente viene assunta come valore di base. I progetti
le aziende marchigiane presenti: Oltre Bontempi Casa Cantori Ciacci Moretti Compact Fiam Imab Group Forni Mobili Cesare Paciotti Home Valenti & Co. Emporium e tante altre.
nascono per essere raccontati con un ben preciso materiale e una specifica finitura, assumendo una posizione di primissimo piano. Il 2011 è segnato anche da una spasmodica attenzione al dettaglio. E poi c’è l’attenzione ad assicurare il rispetto del valore nel tempo che l’investimento economico effettuato comprando un mobile deve avere in funzione all’utilizzo che se ne deve fare. Insomma un bel mix di ingredienti che come sempre rendono effervescente questo
appuntamento che si è concluso con un arrivederci al 2012! WM
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I SALONI
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Marketing
territoriale se ne parla solamente o lo si fa davvero? “Per marketing territoriale si intende quel complesso di attività che hanno quale specifica finalità la definizione di progetti, programmi e strategie volte a garantire lo sviluppo di un comprensorio territoriale nel lungo periodo. L’accentuarsi dei fenomeni di globalizzazione ha prodotto, sebbene in Italia solamente nell’ultimo periodo, lo sviluppo di una maggiore consapevolezza rispetto alla reale importanza e valenza strategica delle specificità e delle potenzialità locali che vengono quindi oggi interpretate quali volani dello sviluppo economico e sociale. Il marketing territoriale si pone quindi il preciso obiettivo di definire e guidare il rilancio e lo sviluppo dei comprensori territoriali in funzione delle specifiche caratteristiche ed esigenze producendo la più stretta simbiosi tra i potenziali ed i mercati. Le attività legate allo sviluppo del marketing territoriale sono state, ed ancor oggi troppo spesso lo sono, interpretate quale “semplice” azione destinata alla definizione e sviluppo delle attività di promozione confondendo appunto il marketing, quale definita attività di pianificazione e programmazione strategica, con quella di promozione.” Questa è solo una delle tante definizioni che potrete trovare in vari libri di testo o in rete e che cercano di spiegare questa importante leva, dalla quale sembra non si possa prescindere per comunicare l’importanza del territorio e di tutte
le attività produttive, culturali, enogastronomiche che di esso fanno parte e che lo qualificano. Si parla tantissimo della necessità di promuovere la nostra regione dando sempre maggiore forza al brand Marche, facendo in modo che al di fuori essa venga percepita come un’attrattiva sotto tutti i punti di vista e non semplicemente come l’insieme di tante opportunità positive ma tra loro slegate. Per questo motivo sono state create delle azioni di sistema, promozione sia attraverso comunicazione pubblicitaria che grazie alla partecipazione a fiere, manifestazioni, workshop in Italia e nel mondo che potessero dare voce alla nostra realtà e farla apprezzare in tutte le sue sfumature. Dal generale, al particolare: è possibile riproporre lo stesso discorso, lo stesso modello, lo stesso approccio anche per il territorio provinciale? In altre parole: così come la Regione Marche è composta dalle sue cinque province ma ha capito l’importanza di restituire al mondo un’immagine unitaria creandosi e mantenendo forte il suo brand, così ognuna delle realtà provinciali ha al suo interno tanti piccoli microcosmi, fatti di produttori, imprenditori, albergatori, eccellenze storiche e culturali…è possibile anche in questo caso riprodurre il concetto di rete come veicolo di comunicazione integrata? WM
Le Marche sono come un iceberg:
al di fuori dell’acqua esce solo il 10%, il resto rimane sommerso. Una terra di grandi potenzialità, che mano mano vengono svelate e acquistano sempre più appeal. Ma che cosa si fa, provincia per provincia, per aiutare questo fenomeno di emersione?
Su questo tema vorremmo riflettere con i Presidenti delle Province di Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno e Fermo. Sappiamo che c’è una stretta collaborazione tra Istituzioni, Associazioni di Categoria e aziende; ma vorremo conoscere in modo più preciso quali politiche sono state adottate in tema di promozione del territorio, appunto di marketing territoriale, comprendere quale idea della provincia si vuole restituire fuori dalle Marche e soprattutto sapere quali possibilità sono messe a disposizione di chi vuole entrare a far parte di questa rete. Whymarche.com 49
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA pROvINCIA dI ANCONA pATRIZIA CAsAgRANdE “Turismi, più che turismo. Questa è la scelta di campo della Provincia di Ancona che scommette sul turismo per rilanciare l’economia locale, con una concezione ampia dell’accoglienza che esalta le differenze e produce azioni concrete in tema di formazione professionale, di marketing e di offerte di qualità. Se è vero che il turismo è fattore trasversale a molti altri (ambiente, urbanistica, trasporti, infrastrutture, cultura, istruzione, sport, agricoltura) è altrettanto reale la necessità di creare relazioni tra istituzioni pubbliche e soggetti privati per costituire una rete dialogante che superi campanilismi e occasionali protagonismi. In virtù di tale convinzione, la Marca Anconetana si è costituita due anni fa come sistema turistico unico, con l’adesione dei Comuni e della Camera di Commercio, tutti disposti a investire il proprio capitale in
operazioni di valorizzazione. A buon fine sono già andati corsi di formazione, un concorso di incoming, l’installazione di grandi touch screen informativo-orientativi. Tra pochi giorni partirà la campagna di accoglienza che abbiamo appena presentato a Monte San Vito, dove si è ribadito il successo dello scorso anno in quanto a presenze e permanenza. Percentuali superiori alla media regionale e nazionale per l’intera provincia, dalla riviera del Conero a Senigallia, alla Gola della Rossa. Sono ancora tante le potenzialità da esprimere per sviluppare il settore e creare indotto. A cominciare dal Congresso eucaristico Nazionale del prossimo settembre o da eventi culturali ben collaudati come l’unicum del festival Jamboree, di Adriatico Mediterraneo, Poiesis. Senza trascurare l’ospitalità di anteprime dei concerti o le prime d’opera, così
come Sensoriabilis (turismo rivolto alla disabilità) e il Museo Omero. Elementi di un puzzle da comporre e ricomporre all’infinito, in un’unica visione di accoglienza, condita di buona qualità della vita, buona tavola e bellezza del paesaggio”. WM
INTERVENTO DEL COMMISSARIO PREfETTIzIO DELLA pROvINCIA dI MACERATA sANdRO CAlvOsA “ “...assaggi di Raci,” un concreto progetto di marketing territoriale: un “marchio” fortemente identificativo del territorio, costituisce l’insieme dei suoi prodotti agroalimentari. I vini, che più di ogni altra cosa esprimono il carattere della terra e le tipicità della tavola, che identificano anche la storia di una popolazione. Stante l’attuale gestione commissariale della Provincia, si è ritenuto di lasciare ai nuovi organi politici eletti la scelta di un programma di marketing territoriale. Tuttavia come Commissario prefettizio incaricato di assicurare l’ordinaria Amministrazione, ho voluto garantire l’operatività di un programma che avevo trovato nelle sue linee generali; quello che va sotto il nome di “…Assaggi di Raci”. La Raci è la rassegna agricola centro Italia che da quasi trent’anni la Provincia di Macerata organizza – quest’anno è in programma dal 6 all’8 maggio – per dare visibilità e valorizzare le produzio-
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ni agricole del territorio. Con “…Assaggi di Raci” si amplia nel tempo l’eco della rassegna. Questo attraverso una serie di eventi, organizzati con la collaborazione dei Comuni, che da marzo a dicembre sono dedicati a singole tipicità agroalimentari. La valorizzazione di tutto il territorio avviene promuovendo i prodotti nelle diverse località che vantano le più antiche tradizioni nella coltivazione o nella preparazione gastronomica della tipicità stessa. “…Assaggi di Raci” è quindi un esempio concreto di marketing del territorio. Inoltre esso concentra l’attenzione sul consumatore, per fargli accrescere il livello di consapevolezza nella gestione dei propri consumi alimentari, fornendogli anche cognizioni sul valore aggiunto di un alimento legato alla stagionalità ed alla corretta gestione dell’ambiente e del paesaggio. Un Comitato tecnico scientifico, in
cui sono coinvolti Assam Marche, le Università, la Camera di commercio, l’ Istituti Alberghiero di Cingoli, l’Istituto Tecnico Agrario di Macerata, le organizzazioni professionali di categoria e le associazioni dei consumatori, sovrintende a tutte le iniziative che singolarmente valorizzano i salumi – in particolare il famoso ciauscolo maceratese - i formaggi, gli oli, i vini, i mieli, la carne bovina di razza marchigiana, la mela “rosa”, lo zafferano dei Sibillini, i legumi, i prodotti del bosco e altre tipicità locali.” WM
INTERVENTO DI MATTEO RICCI, PRESIDENTE DELLA pROvINCIA dI pEsARO E URBINO “ Credo che le Marche possono diventare sempre più una regione di moda. Ne abbiamo avuto di recente la conferma anche nel grande interesse e nei riscontri di operatori e visitatori verso la nostra offerta turistica, durante l’ultima edizione della Borsa internazionale del turismo di Milano. Nei prossimi anni tuttavia, in termini di promozione territoriale, ci attendono sfide importanti. E serve fare un salto di qualità ulteriore. Ritengo sia indispensabile trasmettere un messaggio unitario all’esterno, in termini di brand e comunicazione, così come mettere da parte i campanilismi e credere di più nelle nostre potenzialità.
Se la Regione è il livello fondamentale della promozione, la Provincia rappresenta quello della strategia e dell’accoglienza. Per questo abbiamo rilanciato il Sistema turistico locale, aprendolo alla sinergia tra pubblico e privato, con l’ingresso di soggetti importanti come la Camera di Commercio, l’Università di Urbino e la Soprintendenza. Un lavoro di squadra che, su altra scala e in proporzioni più vaste, stiamo proponendo anche con la definizione del nostro Piano Strategico “Provincia 2020. Progetti per una comunità più felice”, sul quale la nostra amministrazione sta lavorando da tempo con un disegno che
unisce trasversalmente ogni ambito, competenza e risorsa della comunità provinciale. E’ anche questo un brand per il nostro territorio, con una sottolineatura: l’elemento fondante e il valore aggiunto di ogni strategia è la nostra grande qualità della vita, filo conduttore di tutti i progetti per il futuro e per il nuovo modello di sviluppo.” WM
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA pROvINCIA dI fERMO fABRIZIO CEsETTI UNA TERRA CHE VIVE DEL PROPRIO LAVORO “Rafforzare l’immagine del territorio, e dei suoi 40 Comuni, costituisce una delle azioni fondamentali che la nostra Amministrazione si è immediatamente prefissa. Il Fermano è una terra di grandi ricchezze, paesaggistiche, culturali, enogastronomiche e artigianali, che vanno valorizzate e promosse attraverso un progetto di marketing territoriale pianificato e sistematico. Negli ultimi anni, il nostro territorio ha sempre dimostrato un grande fermento a livello sportivo, fungendo da scenario a grandi eventi agonistici di livello nazionale ed internazionale, come il Gran Premio di ciclismo di Capodarco, il Mondiale di Motocross, l’ospitalità all’Under 21 di calcio e la partecipazione al campionato italiano di basket di serie A1 della Sutor Montegranaro, realtà cestistica che negli anni ha rag-
giunto importantissimi risultati. Abbiamo quindi pensato che lo sport, e soprattutto la presenza di un’eccellenza quale la squadra veregrense, potessero fungere da veicolo di comunicazione e promozione dell’intero territorio fermano. La Fabi Shoes Sutor Basket Montegranaro, proprio per il suo forte ruolo di aggregazione sociale, di movimento commerciale e di traino pubblicitario, costituisce un partner prezioso, adeguato e qualificato a veicolare il nome, l’immagine e le eccellenze della nuova realtà istituzionale della Provincia di Fermo. La sua valenza come realtà sportiva ma anche come strumento promozionale hanno fatto si che nascesse una collaborazione tra l’Ente provinciale e la stessa società. La partnership prevede l’acco-
stamento della Provincia ad una serie di attività che il team di Montegranaro sta portando avanti, sia in occasione delle partite casalinghe che delle trasferte lungo tutta la Penisola, garantendo alle nostre imprese di veicolare con maggiore efficacia la loro immagine e i loro prodotti.” WM
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA pROvINCIA dI AsCOlI pICENO pIERO CElANI Il marketing territoriale consente di incrementare il valore di un territorio, trasformandone le specificità, la storia e le caratteristiche produttive in vantaggi competitivi attraverso lo sviluppo di “reti” di relazioni come fattore propulsivo di notevole impatto sull’economia locale. Sulla base di questa convinzione, l’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno, tra i principali strumenti messi in campo per agevolare il superamento della crisi che ha colpito il sistema produttivo locale, ha elaborato il Piano di Marketing territoriale con il contributo scientifico dell’Università Politecnica delle Marche, condiviso con tutti
i soggetti economici e sociali del Piceno. Un piano, basato su precise azioni progettuali, mirate alla crescita del territorio attraverso una sinergia delle straordinarie risorse di cui esso dispone (distretti produttivi, storia, cultura, paesaggio, enogastronomia, tradizioni locali e prodotti tipici). Tutto ciò a partire dal turismo, vero valore aggiunto per la particolare configurazione geografica del Piceno che si snoda dalla costa, alla collina fino alla montagna con la presenza di due Parchi nazionali e centri storici ben conservati. La strategia di fondo è quella di individuare un “marchio per il Piceno” identificativo delle
“eccellenze” del territorio, in grado di valorizzare l’identità dello stesso a beneficio degli operatori turistici e, più in generale, del mondo imprenditoriale con ricadute positive sugli indicatori economici ed occupazionali. WM
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Consigli per la lettura: Jimi Hendrix, Are you experienced? http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc >>> http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc http://www.youtube.com/ http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc watch?v=SaZJFWOEzrc http://www.youtube.com/watch?v=SaZJFWOEzrc
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Francesco Guccini Culodritto
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di
Adriano Celentano Il ragazzo della via Gluck
Fabio Curzi
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Che sapore ha l’uva rubata al filare? Hai mai provato?
Hai mai provato il sapore del pecorino fresco guardando dalla Sibilla verso la Priora? E che sapore ha il pane intinto nel sugo sotto il Corno del Catria o in un piatto di cozze sulla spiaggia? L’esperienza del gusto è qualcosa che ha a che fare con lo spazio stesso nel quale consumiamo il pasto, nel modo in cui lo facciamo e con le persone con le quali entriamo in relazione. Quando si parla di gastronomia o di vino si fa spesso riferimento al territorio d’origine del prodotto o della ricetta anche perché vogliamo ricreare, a distanza, un’esperienza che ci sembri autentica. E’ come andare a mangiare al ristorante cinese: sarebbe la stessa cosa se a servirvi fossero dei camerieri spagnoli o un cuoco yankee? La ristorazione italiana all’estero si fa portatrice di un segno, di un’idea che gli altri hanno di noi. Della buona idea che gli altri hanno di noi. Come se fossimo naturalmente attenti alla genuinità, con un gusto per la bellezza quasi innato.
Uno scorcio della bellissima spiaggia di Portonovo - Ancona
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Portonovo
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esperienze hai? O ci piace pensare che gli altri ci attribuiscano almeno questi stereotipi. Per questo entrare in un ristorante italiano all’estero ci fa l’effetto di entrare a Disneyland, perché noi non siamo più così. Convinti di evolvere, i bar delle nostre piazze e dei corsi somigliano a degli acquari newyorchesi, le vinerie hanno un’aria francese che avrebbe fatto ridere i carrettieri e i bottai di una volta. Le persone che cercano un’esperienza italiana autentica sono costrette a rivolgersi alle nonne in cucina, alle zie degli agriturismi che
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Sibillini
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tirano la sfoglia come una volta e non guardano alle guide rosse, rozze o verdi.
Cambia la socialità, il modo di stare insieme.
Non puoi sedere alla stessa maniera su una sedia impagliata accanto ad un fico o su un pezzo di plexiglass finto-stark. Ma non puoi nemmeno rivolgerti alle persone con la stessa franchezza, impegnato a costruire un’immagine di te stesso che si adegui alla carta da parati.
Non si stava meglio prima. Non si stava meglio con l’acqua fredda in cortile o con lo spago intorno alle valigie. Non c’è da portare avanti una retorica passatista e nostalgica. Quando si parla di promozione verso l’estero, pensate che uno stabilimento balneare similclub-londinese abbia qualche fascino su chi è venuto in vacanza in Italia proprio per stare lontano dalla città? A noi italiani possiamo anche vendere la brutta copia di un paese straniero. Agli stranieri dovremmo provare a dare la bella copia di noi stessi. WM
I Monti Sibillini e la Piana di Castelluccio fiorita dove scorge un paesaggio bizzarro; un’Italia disegnata dagli alberi sul lato di una collina
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Un Vinitaly
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marchigiano all’insegna dei giovani
18:00 Min. Intervento Vittorio Sgarbi al vinitaly 2011 Stand di presentazione Regione Marche
di
Raffaella Scortichini
La manifestazione veronese che come ogni anno ha raccolto le eccellenze vinicole di tutta l’Italia, anche quest’anno ha visto le Marche protagoniste
Alberto Mazzoni Direttore Istituto Marchigiano di Tutela dei vini
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Quest’anno al Vinitaly era presente, per la prima volta, anche Why Marche. Perché potreste chiedervi, cosa c’entra un Magazine alla “fiera del vino”? La risposta in realtà è quasi scontata: dove ci sono le Marche, proviamo ad esserci anche noi per poter toccare con mano quelle che sono le eccellenze e le tendenze che della nostra regione, sia in loco che in occasione di rassegne importanti come questa. Abbiamo girato incuriositi tra gli stand dei nostri produttori per cercare di capire quale fosse l’attuale momento del settore vitivinicolo marchigiano…e anche per assaggiare alcuni dei nostri eccellenti vini! Come potremmo definire allora questo Vinitaly 2011 per le nostre Marche? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Mazzoni, Enologo e Direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini. “Sicuramente positivo […] La presenza di molti giovani produttori ha dimostrato che il “cambio generazionale” per il mondo vitivinicolo marchigiano è ormai una realtà. Questo cambio strutturale si dimostra essere una strategia vincente per veico-
lare l’eccellenza dei nostri vini all’estero. La nuova generazione – spiega Alberto Mazzoni - è più dinamica e orientata a fare squadra, elemento determinante per rafforzare l’identità della nostra Regione e poter aumentare la nostra presenza sui mercati esteri. Ma l’export non basta ma è necessario riconquistare il mercato interno e locale mediante politiche di comunicazione e promozione volte a valorizzare i nostri vini provenienti da vitigni autoctoni e le nostre eccellenze. Le Marche hanno dimostrato di essere in grado di proporre vini di grande qualità e con un ottimo rapporto qualità prezzo; ciò permette di aumentare il valore aggiunto delle nostre produzioni con conseguente incremento del prezzo delle uve. In chiusura afferma Mazzoni “mi piace sottolineare come sempre di più la nostra Regione stia investendo sul brand “Marche” veicolando l’eccellenza e la ricchezza che contraddistinguono la nostra Regione: non solo vino, ma anche prodotti tipici, bellezze naturali, storiche e architettoniche da….. “scoprire all’infinito!””. WM
“Amor c’ha nullo amato amar perdona...”
Gradara: la sua leggenda e il suo tragico amore, la sua Rocca e le sue mura medioevali che tanto potrebbero raccontarci, le sue tradizioni a cavallo tra le Marche e l’Emilia Romagna. Questi e tanti altri ancora sono i motivi per cui scoprirla
Ma qual è IL PIATTO TIPICO? >>>
Gradara
Geolocalizzazione Google Maps http://maps.google.it/maps?q=gradara+googl e+maps&oe=utf-8&rls=org.mozilla:it:official&c lient=firefox-a&um=1&ie=UTF-8&hq=&hnear= Gradara+PU&gl=it&ei=hw2vTYThKsrtsga067D XDA&sa=X&oi=geocode_result&ct=title&resn um=1&ved=0CBcQ8gEwAA
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Tagliolini con la Bomba Ingredienti: olio, cipolla, lardo, tagliolini Procedimento: si fanno soffriggere con olio la cipolla ed il lardo, mentre si fanno cuocere i tagliolini in acqua e sale. Una volta cotti, i tagliolini verranno scolati conservando però un po’ di acqua di cottura. Si versa poi nella pentola, mantenuta brodosa, il soffritto e si aggiunge un po’ di pepe. Perché “con la bomba”? Perché l’effetto dell’olio bollente versato nell’acqua provoca la formazione di una colonna di vapore simile a quella creata da una piccola esplosione.
>>> www.gradara.org
Nell’entroterra pesarese, racchiusa tra dolci pendii collinari che gli fanno da sfondo e affacciata alla riviera marchigiano romagnola, si trova la cittadina di Gradara. La sua storia coincide in gran parte con quella del casato Maltesta che più degli altri ha impresso a fuoco il suo nome grazie alla realizzazione della Rocca che rappresenta il fiore all’occhiello del Comune e alle fortificazioni che regalano a questa città un sapore tanto medioevale che chiudendo gli occhi si può immaginare senza troppa fatica di veder camminare accanto a noi cortigiane in sfarzosi vestiti o cavalieri in lucenti armature. In realtà la prima costruzione risale al 1150 quando i De Grifo innalzarono una Torre medioevale come simbolo dell’indipendenza da Pesaro. La trasformazione della Torre in Rocca si deve però ai Malatesta che signori di Gradara rimasero fino al 1464 prima che ad insediarsi fossero gli Sforza che donarono alla Rocca un aspetto fortemente rinascimentale arricchendola di particolari architettonici e di meravigliosi affreschi. Ma la storia della Rocca non termina con gli Sforza; nel 1513 il territorio di Gradara entra in possesso dei Della Rovere, prima di essere annesso allo Stato Pontificio. L’interesse artistico della cittadina non si risolve però nella Rocca e nelle sue imponenti mura, ma da non perdere sono anche le opere contenute nella Pinacoteca comunale che promette di dare agli occhi degli appassionati un motivo in più per scegliere di visitare Gradara. Antica è anche la tradizione culinaria del borgo, che sorgendo in terra di ulivi e vigneti e facendo da “ponte” tra due regioni dai palati indubbiamente finissimi, non può esimersi dal catturare il turista anche a tavola. Vino, olio e carne rappresentano la base per la preparazioni di piatti gustosi e sani che richiamano nelle piccole trattorie della città buongustai di tutti i paesi. WM
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Leggenda:
Ancona Pesaro Macerata Fermo Ascoli
L’anima del
Il vero artista lo riconosci quando ogni volta che gli chiedi di dire qualcosa di se stesso e della sua arte, di commentare, perfino pubblicizzare le sue opere, lui sfugge la risposta volendo parlare di Arte con la a maiuscola, di tutto ciò che è, a prescindere da chi la realizza.
E Salvatore D’Addario è un vero artista. 62
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di Eleonora Baldi - Foto Massimiliano Fabrizi
l’artista Quando si inizia a diventare “artista”?
“Artista si nasce!Il manifestarsi della mia passione per il mondo dell’arte perde le sue origini talmente indietro nel tempo che posso dire che è nata con me. Se dovessi ripensare alla mia prima opera, la collocherei ai tempi delle elementari praticamente. Ogni tanto mi capita di incontrare dei miei vecchi compagni di classe che mi ricordano di quando la mia maestra tra tutti i disegni dei bambini della classe sceglieva sempre i miei per appenderli. Io in realtà non me ne rendevo neanche conto, ma mi fido di ciò che mi dicono! Ovviamente poi ho intrapreso un percorso scolastico che mi ha portato a fare della mia passione, il mio lavoro; anche se devo ammettere che la maggior parte delle cose le ho imparate in ambienti al di fuori di quelli scolastici. Ho avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso dei maestri di vita oltre che di arte come Pericle Fazzini ed Edgardo Mannucci che sono stati fondamentali per me”.
Quando ha esposto per la prima volta? C’è stato un momento in cui può dire di essersi sentito consacrato come artista?
“La mia prima esposizione l’ho preparata circa a 20 anni, a Numana quando a coinvolgermi sono stati due miei amici con la stessa passione. E’ stato se vogliamo il primo passo di un lungo cammino che mi ha portato ad esporre in Egitto, in America e a fare parte della The Second Renaissance Villa San Carlo Borromeo che ha sede a Senago (alle porte di Milano) fucina di incontri di artisti, poeti, scienziati, scrittori, politici internazionali, dissidenti, imprenditori, banchieri, filosofi; una sorta di polo creativo nel quale non si smette mai di nutrirsi dell’arte in tutte le sue forme. Di consacrazione non posso parlare, perché non esiste un momento in cui smetti di metterti in discussione. Ogni volta che proponi una nuova opera ti sottoponi al giudizio
Chi è Salvatore D’Addario? Nasce a Ariano Irpino (Avellino) il 4 dicembre 1950. Tre anni più tardi la famiglia si trasferisce a Ancona dove, dopo una fase di studi irregolari, D’Addario si dedica a diverse attività, tutte legate comunque al suo interesse per la pittura e l’arte. Si diploma all’Istituto Statale d’Arte di Ancona, dove
insegna fino al 2008. Fin dal 1970 espone le prime opere in numerose mostre, realizza edizioni d’arte e cartelle di grafica per artisti, poi divenuti suoi amici, come Pericle Fazzini, Edgardo Mannucci, Remo Brindisi, Virgilio Guidi, Mimmo Rotella, Umberto Mastroianni, Ivo Pannaggi e molti altri ancora.
Tra le sue mostre più importanti ricordiamo: Tesori dell’Italia, presso la Chongqing Planning Exhibition Gallery, a Chóngqìng , in Cina (2007), Il ritratto. Le radici artistiche e culturali dell’Europa (2005), La scuola di Roma (2005), Donne (2006), Il bello, l’arte, la scrittura. L’Europa, la Russia, la Cina, il Giappone (2007), L’incarnazione del colore e la scrittura della luce (2007), presso il Museo della Villa San Carlo Borromeo.
Con la Casa Editrice Spirali ha pubblicato la monografia Stenografia del piacere. La lettura della civiltà (2007), e il libro d’arte Giambattista Tiepolo, Salvatore D’Addario (2006) a cura di Francesco Saba Sardi.
Ha esposto: in Egitto al Cairo ed Alessandria; in Romania a Bucarest; in Austria a Graz; in Cina a Chóngqìng; in Italia a Milano, Roma, Perugia, Bari.
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altrui ed è sempre una nuova sfida, un nuovo momento di crescita”.
La sua esperienza va quindi al di fuori non solo dei confini marchigiani, ma di quelli italiani. Che differenze ha rintracciato nella maniera di percepire la figura dell’artista?
“Il movimento creativo ed artistico italiano è autore di gran parte del patrimonio artistico mondiale; a parole ci sentiamo “padri” del 90% di esso. Ma poi nella pratica l’artista non viene considerato, è socialmente inutile. Nei miei viaggi in Francia alla domanda “che lavoro fai?” quando rispondevo “il pittore” venivo guardato con ammirazione, con interesse, con rispetto. Sono orgogliosi non solo dei loro artisti, ma tendono anche
a volersi “appropriare” di quelli che non hanno natali francesi perché ritengono l’arte qualcosa di importante e qualificante. In Cina chi va alle mostre non dimentica mai la macchina fotografica, ha la voglia di documentare quanto più possibile ciò che vede, per conservarne un pezzo e portarselo a casa. C’è una grande curiosità per tutte le forme dell’arte, a prescindere dalla nazione di provenienza dell’autore. Anche la mia esperienza in Egitto, quando ho esposto al Centro Italiano di Cultura nel 1984 sia al Cairo che ad Alessandria per un pubblico selezionato, è stata molto positiva. Si respira un’aria diversa, niente a che vedere col pressapochismo italiano”.
Se le chiedessi di definire se stesso come artista che cosa mi direbbe?
“Non amo definirmi; spero siano le mie opere a parlare di
Fernando Arrabal, 2006, Metalli Saldati, rame, ottone, foglia d’oro cm 53x41x3,5
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me. Il punto di vista con cui si deve guardare all’arte non è più solamente estetico ma soprattutto etico. L’artista è colui che più degli altri riesce a leggere il presente e per questo sembra quasi in grado di anticipare il futuro. E’ in grado di lasciare una traccia, un documento tangibile di che cosa è la sua epoca, di quale è il suo linguaggio. Come ogni opera, così anche le mie rappresentano ognuna un capitolo della vita che può essere avvicinata ad un grande libro; anzi mi piace pensare che ognuna delle mie creazioni sia una frase che in quel preciso istante è stata necessaria”.
Quali sono le prospettive per chi vuole intraprendere la sua stessa carriera qui sul territorio marchigiano?
“Sembrerà un po’ forte quello che sto per dire, ma purtroppo è la verità. Nel nostro territorio non c’è interesse, non c’è attenzione da parte degli ambienti politici verso chi fa il nostro lavoro. Per fortuna poi c’è ancora qualche pazzo intellettuale che decide di comprare dei quadri! Se dovessi dare
un consiglio a un giovane che vuole intraprendere questo percorso gli direi di spostarsi in altri ambienti il prima possibile; qui mancano le opportunità. Io mi sono spostato presto dalle Marche - nonostante viva e operi nel mio studio di Camerano - , negli anni ’80 frequentavo molto l’ambiente romano mentre nell’ultimo periodo mi sono spostato a Milano dove ho costruito, ripeto, uno splendido rapporto con la Fondazione “Il Secondo Rinascimento” e ho la possibilità di rapportarmi con personalità creative provenienti da tutto il mondo. Da questo salotto intellettuale sono passati Borges, Arrabal, Jonesco. In un ambiente come questo ti nutri di pane e vino spirituale; verifichi, ti confronti, discuti di tutto, di ogni disciplina dalla poesia alla scienza”.
Perché appassionarsi all’arte? “Perché ogni artista è in grado di offrirti una visione, anche psicologica della realtà. Ti aiuta ad ampliare il tuo orizzonte mentale, sociale. L’arte è poesia allo stato puro. L’amore per l’arte è quello che fa dire che la migliore opera devi ancora produrla”. WM
Villa San Carlo Borromeo In sette secoli, molti raccontano di avere frequentato la Villa, da Leonardo da Vinci agli scrittori e artisti sforzeschi, da San Carlo Borromeo a Pindemonte, da Diderot a Stendhal, da Manzoni a Croce, da Verga a Pirandello e, più recentemente, da Eugène Ionesco a Jorge Luis Borges.
>>> http://www.villasancarloborromeo.com
Salvatore Dâ&#x20AC;&#x2122;Addario nel laboratorio a Camerano in Via Guasto dove ci illustra come da materiale grezzo nasce una scultura e poi unâ&#x20AC;&#x2122;opera
>>> http://www.salvatoredaddario.net/
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E’ musicultura a
Facciamo il “giochino” delle 5 w:
Who?
Il Festival della Canzone popolare e d’Autore.
What?
Anteprima della XXII edizione
When?
Sabato 12 marzo.
Where?
Recanati. Ma soprattutto,
Why?
MUSICULTURA
http://www.musicultura.it
di
>>>
Sara Schiarizza
Perchè Musicultura, ovvio.
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Al via anche quest’anno, con la presentazione dei finalisti in gara, la fase più appassionante del festival, quella che porterà alle tre serate finali che si terranno all’Arena Sferisterio 17, 18 e 19 giugno. Il 12 marzo, sul Palco del teatro Persiani di Recanati, si sono succeduti i sedici artisti in gara, che “rappresentano – parola del direttore artistico di Musicultura, Piero Cesanelli – le mille sfaccettature della tradizione e della canzone italiana, insieme alla varietà dei generi i cui confini sono spesso più labili di quanto le definizioni impongano”. Nulla di più vero: i brani presentati - proposti dal vivo prima della chiacchierata con Gianmaurizio Foderaro e Carlotta Tedeschi, con-
anche quest’anno
Anteprima live del festival della canzone popolare e d’autore duttori di Radio 1 Rai, la radio che, da sempre al fianco del Festival, ha trasmesso la serata in diretta web – sono risultati stilisticamente molto eterogenei. Ed in grado di tener viva l’attenzione dei presenti fino all’ingresso in scena dell’ospite d’eccezione: Mannarino. Reduce lui stesso dall’esperienza delle finali del Festival, due anni fa, lo stornellatore romano si è esibito sia con brani ormai consolidati del suo repertorio, sia con assaggi del suo ultimo disco, Supersantos, di cui ha proposto alcuni inediti - tra cui Maddalena, L’ultimo giorno dell’umanità e Rumba magica - per poi chiudere la performance con il bis affidato all’ormai conosciutissima Bar della rabbia, eseguita anche in occasione dell’Anteprima di Musicultura nel 2009 e inserita nella compilation della XX edizione del festival. A testimonianza del successo della serata, il calore del pubblico che ha fatto registrare il tutto esaurito confermando, ancora una volta, l’affetto nei confronti della manifestazione. Del resto, di un legame “sentimentale prima ancora che istituzionale” col festival ha parlato anche Romano Carancini, primo cittadino di Macerata, mentre il sindaco di Recanati, Francesco Fiordomo –
che è riuscito a “riportare a casa” la carovana guidata da Piero Cesanelli - non nasconde la sua soddisfazione per la scelta, per il secondo anno consecutivo, del teatro Persiani come scenario dell’ Anteprima live. Filo diretto tra Macerata e Recanati, quindi. Ma non solo. Durante la conferenza stampa di presentazione dell’evento - tenutasi poco prima dell’apertura del sipario – l’assessore regionale Sara Giannini ha infatti ricordato come il Festival della Canzone Popolare e d’Autore sia entrato a far parte del Consorzio Marche Spettacolo, creato al fine di razionalizzare al meglio le risorse di tutte le più importanti manifestazioni culturali della regione. A ventidue anni dalla sua nascita, dunque, Musicultura continua ad essere uno dei migliori biglietti da visita per la nostra regione: un po’ per la peculiarità della sua formula, un po’ per la prerogativa di attingere alla creatività della musica “popolare” senza confini di genere e senza criteri di esclusione che non siano quelli della qualità e dell’originalità, un po’ per il dinamismo delle scelte, il festival è infatti diventato, edizione dopo edizione, un polo di riferimento sul quale, annualmente, cade l’attenzione del pubblico e del circuito mediatico nazionale . WM
I finalisti esibitisi sul palco del treatro Persiani e i loro brani Babalù , Mio fratello è Pakistano
Chopas&TheDoctor , Se alzo le mani tocco il fondo
Lp#9 , Giulia
Vanni Pinzauti , Battitura
Davide Bassino , Vescovalzer
Pierluigi Colantoni , Casadolcecasa
Massimo Moi , Libero all’infinito
Radiolondra , Amore sei tornata finalmente
Esterina , Baciapile
Edgar Cafè , L’orchestra nel giardino
Momo , La canzone che si capisce
Romeus , Caviglie stanche
Andrea Cola , Se io tra voi
Esterina , Baciapile
Piccola Bottega Baltazar , La donna del cowboy
Renzo Rubino, Bignè
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Fotografare le emozioni 1
Bianco/nero e colore per raccontare il matrimonio
di
Antonio Lazzari e Oliver Mariotti
Barbara Di Cretico: una fotografa marchigiana si racconta
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Abbiamo intervistato Barbara nel suo studio fotografico a San Benedetto del Tronto. L’ambiente è accogliente, ispira intimità. Libri fotografici sono sparsi sul tavolo: Irving Penn, Anne Leibowitz, Martin Parr, grandi fotografi americani che testimoniano il suo amore per la cultura americana e i suoi frequenti viaggi a New York. Windsor e Milano sono state le città dove Barbara ha studiato fotografia. “Un percorso mai finito”- ci dice - “si deve studiare tanto per poi dimenticare tutto, e scattare”. La sua attività è molteplice. Oltre alla fotografia di interni, di moda, di matrimoni, ama molto il fotoreportage. Quando il tempo e gli impegni familiari glielo permettono, abbandona flash da studio e banco ottico per lavorare sul campo. Nel 2002 ha documentato il disastro ecologico in Galizia, pubblicando in collaborazione con la Provincia di Ascoli Piceno il libro “Nunca màis petroleo en el mar”. Nel febbraio del 2005 ha realizzato “Welcome to Paradise”, una toccante documentazione per immagini dei disastrosi effetti dello tsunami
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nello Sri Lanka. Trova anche il tempo per allestire mostre. L’ultima di cui si è occupata è “Andrea Pazienza disegna Prévert”, tenuta a San Benedetto del Tronto nel 2009. Puoi raccontare come e quando nasce il tuo interesse per la fotografia? “Sono sempre stata attratta dalle immagini e dalla fotografia. Le mie prime foto le ho scattate da bambina, truccavo le mie sorelle e le mettevo in posa per creare set fotografici. Durante le gite scolastiche ero quella che scattava più foto di tutti. Ora, quando rivedo quelle foto capisco che già allora avevo il senso delle proporzioni, delle linee, delle inquadrature. L’occhio fotografico è innato. Ho avuto anche la fortuna di avere, durante la scuola media, un professore di lettere che mi ha trasmesso l’amore per il racconto attraverso le immagini. Sotto la sua guida noi studenti realizzavamo servizi giornalistici e io ero quella addetta alle foto. Anche grazie a lui ho iniziato a prendere in mano la macchina fotografica, e non è un caso
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se amo particolarmente la fotografia che racconta. Nel mio lavoro non curo solo il senso estetico, ma cerco sempre di far emergere un senso, una storia che possa trasmettere emozioni e sentimenti a chi guarda.” Dalla passione per la fotografia al lavoro vero e proprio. Come è avvenuto questo passaggio? “È stato casuale. Era un periodo difficile della mia vita, avevo bisogno di lavorare e sono capitata in una agenzia di pubblicità. Ma non scattavo. Cercavo gli oggetti da utilizzare nelle ambientazioni dei prodotti. Successivamente ho cominciato a praticare la fotografia in studio. Da quel momento ho iniziato a lavorare ininterrottamente e nello stesso tempo a studiare a Milano.” Prescindi dalle mode del mercato? “Sì, mi sento più artista che commerciante. Anche quando non avevo un soldo, non sono mai riuscita a fare una cosa che non mi piaceva. ” E i servizi fotografici matrimoniali? Sei stata anche premiata dalla Best of Wedding Photography, l’associazione che raccoglie i migliori fotografi di matrimonio al mondo. “I matrimoni erano una cosa che io non volevo fare. Era un genere che avevo scartato, anche se mi avrebbe aiutato molto economicamente Vedevo foto finte, posate, che non mi piacevano. Mi ci sono trovata per caso, tramite alcuni amici che si sposavano e hanno insistito. Ma in realtà io allora ho lavorato come se avessi dovuto fare un fotoreportage giornalistico. E ancora oggi lavoro così.” Infatti nei tuoi servizi fotografici di matrimoni emerge una grande spontaneità, riesci a cogliere l’attimo e a raccontare emozioni. “Sì, cerco di conoscere gli sposi prima del matrimonio, di capire le cose
2 Autoscatto
3 Bianco/nero e colore per raccontare il matrimonio
che amano, quali sono le persone più importanti per loro, se hanno degli animali, se fanno parte di una famiglia allargata. Posso dire che le mie foto sono il risultato di un rapporto personale con i soggetti fotografati. Il giorno della cerimonia c’è poco tempo per scattare e io non ho mai in mente una regia. C’è solo una cosa che pianifico: cerco di trovare un luogo lungo il tragitto dalla chiesa al ristorante dove poter stare tranquilla con gli sposi e scattare le foto. Tutto il resto è spontaneo. Mi metto in sintonia il più possibile, evitando così le foto posate. Ad esempio mi piace rubare i momenti di emotività che precedono il matrimonio, nelle case, con i parenti e gli amici.” E i reportage? “Seguo la tecnica del grande giornalista-reporter Polac qualche settimana viveva il luogo, lo conosceva, ne fiutava le caratteristiche, poi iniziava a scrivere il suo reportage. Così faccio io. Non mi piace arrivare e cominciare a rubare le immagini. Cerco di entrare nelle cose e nei luoghi. È più onesto e poi puoi farti portare dalla tua anima. L’esperienza nello Sri Lanka è stata meravigliosa a livello umano. Devo molto all’Associazione GUS di Macerata, che mi ha assistito nel mio viaggio.” Ci sono dei fotografi che hanno influenzato il tuo lavoro? “Sono curiosa per natura. Non solo la fotografia, ma anche il cinema e l’arte mi appassionano molto. Io in mezzo alla bellezza non mi sento mai sola. Non direi di avere modelli di riferimento. Dei contemporanei mi piace molto Martin Parr, o Ben Chrisman, che conosco e che mi ha insegnato molto. Ci sono poi i grandi classici, ad esempio CartierBresson, Giacomelli. Mi piacciono i fotografi emotivi e quelli con un grande senso dell’ironia.” I vari soggiorni negli Stati Uniti hanno lasciato traccia nella tua crescita professionale? “Sono sempre più attratta dall’aspetto umano delle persone, più che dall’aspetto professionale. Gli americani sono diversi da noi, sono più semplici e diretti, meno impostati. Anche i grandi fotografi che ho conosciuto e con cui ho lavorato, vincitori di prestigiosi premi internazionali, hanno una grande umanità e un’umiltà inaspettata. Poi in America la fotografia è molto considerata, sia quella giornalistica che quella artistica. In Italia si fa ancora poco.” E le Marche? Come ti trovi a lavorare nella nostra regione? “Lavorare nelle Marche va bene. Quello che mi manca sono le occasioni di crescita culturale, di confronto. Quando posso scappo a Roma, Milano, Parigi, per vedere qualche mostra, qualche concerto, qualche museo. Ho bisogno della grande città.” E l’identità marchigiana? Pensi di raffigurarla in qualche modo nelle tue fotografie? “Non mi pongo molto il problema, anche perché mi sembra un’identità troppo compromessa. La caduta di gusto è generale nel nostro Paese, e ne soffro molto, come persona e come professionista. Mi avevano chiesto di fotografare le colline del Piceno, ma ho avuto problemi. C’erano sempre elementi che disturbavano il paesaggio. Non si è costruito rispettando l’ambiente, non c’è un piano regolatore, spesso hanno usato materiali assolutamente inappropriati al luogo. Senza amore e rispetto. Badando soltanto al proprio orticello. Le ristrutturazioni migliori sono fatte dagli inglesi, dagli olandesi!” WM
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Chris Redfield a cura di
the war
E’ Guerra! sì perchè è cpsì che si puo’ chiamare la “lotta di mercato” che sta avvenendo tra i vari tablet che le grandi multinazionali stanno cercando di imporci in questo segmento saturo di innovazione touch; in realtà nessuno si sta veramente innovando: la stessa Apple è uscita con un ipad sì più performante dal lato processore, ma in pratica è semplicemente un altro ipad e basta. E gli altri? Gli altri ci provano a ruota libera aggrappandosi tutti al tanto atteso nuovo Android, quindi cercando di migliorare le proprie capacità hardware ma facendo sempre “capo” a Google. Non molti sanno poi che circa l’80% dei vecchi tab android non supporteranno il nuovo Honeycomb. Quindi...materiale già da rottamare? Beh, io ci penserei un attimo prima di fare un altro salto nel buio. Sentiamo dire “Sì, Honeycomb sarà la svolta!”. Certo, come lo erano anche Froyo, Gingerbread e cosi via...
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ATTACk of The Clones Sapete quanti migliaia di cloni ci sono nel mondo? Non sto parlando di HP, MOTOROLA, OLIVETTI etc... questi sono altri tipi di cloni, dei tentavi ben riusciti dei competitor Apple che stanno cercando di superare il monopolio fatto dall’iPad. Quelli di cui vi sto parlando sono altri tipi di cloni:ce ne sono a milioni sparsi in tutto il mondo, sono copie esatte di iPad, di Motorola etc...che si fanno chiamare con nomi assurdi e repliche tipo A-PAD E-PAD U-PAD e cosi via; ne potreste trovare tantissimi e a quanto pare vanno anche bene. Sono in vendita su ebay a partire da 89 euro o in negozi “Made in China” ; e dalla Cina con furore potrete farvi spedire un tablet clone dell’ipad1 con sistema operativo Android froyo 2.2 ... certo qualitivamente non aspettatevi di avere la perfezione di un Galaxy Tab o lo schermo multitouch! Nelle prossime pagine ne vedremo insieme uno.
The revenge of the fallen Parliamo un attimo del “caduto” ...in molti si saranno chiesti cosa è successo!
Il Galaxy Tab 1 partì molto bene, ma non resse il confronto con iPad. Anche se le vendite furono altissime la Samsung fu costretta a sospendere la produzione e pagò questa sospensione passando in pochi mesi da un prezzo assurdamente alto! - di 699e a quello - altrettanto assurdamente basso! - di 389e! Incredibile! Se fossi stato un acquirente che ha pagato quasi il doppio un prodotto che oggi vale appena la meta da nuovo... Comunque, Samsung sta per uscire con il nuovo TAB 10.1: sì, un secondo tentativo! Ma a quanto pare da rumors, il prezzo è stato ritoccato ancor prima dell’uscita perchè non avrebbe retto il peso del confronto con ipad 2... e pensate ancora deve essere esposto negli scaffali!
tablet vs notebook, netbook, desktop... La realtà comunque è che nessun tablet potrà mai sostituire il nostro notebook o il nostro desktop. E’una questione di feeling, non ci si puo fare niente. E’ come leggere una rivista: quanti di voi stanno ora leggendo questo articolo in digitale ? Be non c’e’ bisogno che vi ricordi il piacere al tatto di poter sfogliare un magazine ... il tablet a mio avviso e’ un tentativo invano di sostituire il notebook, le persone ci provano e ci riprovano ma alla fine per le operazioni di routine ritornano al solito Packard Bell da un kilo e mezzo o all’ amato Asus che e’ li da 5 anni a fare il suo sporco lavoro con Windows 7. O forse è un tentativo di mandare in pensione precoce i NETbook? Apple intelligentissima, non intraprese affatto questo filone, ma ora se ne esce con un Air tutto NETbook? Personalmente ritengo che un mondo fatto di Short App, di Web App e di tutto quello che gira intorno al nuovo modo di pensare ad icone senza sistemi operativi complessi, mi sia esaltante! E mi spingerà sempre più a “salvare” amici o familiari dall’attacco dei virus e da sistemi operativi impazziti, però ce n’è ancora di strada da fare.
ma guardiamoli meglio nel dettaglio
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samsung galaxy tab 10.1”
499 €
da definire
uScita : 8 Giugno 2011
999 €
da definire
uScita : Aprile 2011
:
valutaziOne
motorola xoom 10.1”
700 €
uScita : Maggio 2011
S.O.: Honeycomb 3.0 Processore: 2x1 GHz (dual core) Scheda Video: NvidiaTegra 2 Batteria: 6800 mAh Memoria: 32gb gia nolo Flash: Integrato tec Market Store: Android Market Peso: 600g
S.O.: Honeycomb 3.0 Processore: 1GHz dual-core Scheda Video: NvidiaTegra 2 Batteria: 6800 mAh Memoria: da 16gb Flash: Integrato Market Store: Samsung APP | Android Market Peso: 595g valutaziOne
LG optimus pad 10.1”
S.O.: Honeycomb 3.0 Processore: 2x1 GHz (dual core) Scheda Video: NvidiaTegra 2 Batteria: 6800 mAh Memoria: 32gb Flash: Integrato Market Store: Android Market Peso: 730g
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S T AR valutaziOne
St Be ne O cl
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Eccolo qua!
acer iconia tab w500 10.1”
499 €
da definire
Apad MID701 Tablet HAIPAD 10”
uScita : Giugno 2011 S.O.: Windows 7 home Premium Processore: 1GHz dual-core Scheda Video: unkown Batteria: 3260mAh Memoria: 32gb Flash: Integrato Market Store: Windows Peso: 970g valutaziOne
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95 €
uScita : Disponibile S.O.: Froyo 2.1 Processore: Telechips TCC8902 ARM Scheda Video: supporto 3D Batteria: 6800 mAh Memoria: 2gb gia nolo Flash: Integrato tec Market Store: Android Market Peso: 730g valutaziOne
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Uno dei milioni di cloni in commercio! Ve ne proponiamo solo uno perchè non basterebbe tutto il magazine per presentarveli! Lui si chiama APAD e come avrete sicuramente capito non e’ il dialetto romano per chiamare l’iPad! Ma e’ proprio un clone dell’iPAD, addirittura con caratteristiche anche superiori per non parlare poi della tecnologia 3D integrata! Stupefacente! Cosa volete di più per 95 Euro!? Noi di Why Marche ne abbiamo ordinato uno; ci sta per arrivare dalla Cina! Poi pubblicheremo una scheda dettagliata di questo “gioiello nascosto” che al costo di un IDEOS Vodafone vi permetterà di approcciarvi con il nuovo mondo dei Tablet e scoprire l’affascinante mondo di Android! Sicuramente...scordatevi di avere uno schermo multitouch in alta definizione!
Buon Acquisto!
>>> www.madeinchina.com è uno dei tanti! usate Google per la ricerca ne trovere a migliaia di siti simili.
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olivetti olipad 10”
Lenovo lepad 10.1”
399 €
uScita : In vendita
uScita : Giugno 2011
S.O.: Froyo 2.2 Processore: dual-core da 1 GHz Scheda Video: NvidiaTegra 2 Batteria: 6200 mAh Memoria: 16gb St Flash: Integrato Be ce! i Market Store: PR Android Market Peso: 780g valutaziOne
399 €
S.O.: Da definire Processore: Snapdragon a 1,3 GHz Scheda Video: NvidiaTegra 2 Batteria: 10 ore Memoria: da 16gb y Wh t Flash: Integrato S e B uct! d Market Store: Pro Android Market Peso: 760g
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valutaziOne
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Apple iPAd2 10.1” uScita : In vendita S.O.: iOS 4.3 Processore: A5 dual-core a 1GHz Batteria: 10 ore Memoria: da 16gb Flash: Assente Market Store: AppStore Peso: 601g valutaziOne
BeSt PRice!
In sintesi...
Why BeSt Product!
479 €
:
BeSt clOne
Uno dei viaggi interstellari più affascinanti dell’era della tecnologia digitale e’ sicuramente questo dei tablet; non e’ la fine di un viaggio ma tuttaltro: è l’inizio, lo start up, per poi comunicare solo col pensiero. Il primo passo fatto e’ stato proprio quello di iniziare ad avvicinarci con il semplice tocco del dito, poi di tutte le dita; ma ora la mano non basta più e dobbiamo iniziare a pensare di “comunicare” con il nostro dispositivo. Comunicare mentalmente e non più “fisicamente”... che sia il primo passo per la vera I.A.? Vedremo, ma di passi in pochissimi anni ne sono stati fatti tantissimi; in questa guerra virtuale tra tablet, noi di Why Marche ci sentiamo di dirvi che sicuramente la migliore esperienza multimediale e visiva ve la può dare l’iPAD; molti di voi staranno vivendo già questa esperienza, ma sicuramente il mercato si è allargato e tra tutti i prodotti che abbiamo confrontato (e ce ne sono ancora tantissimi...) il migliore come innovazione e rapporto qualità/prezzo e’ il Lenovo Lepad, unico nel suo genere e capace di trasformarsi quando lo volete in notebook, seguito dall’Olivetti Olipad che - tolto il difetto di montare il Froyo 2.2 - per 399e vi permette di portarvi a casa un dispositivo più performante dell’iPad e con in più la possibilità di personalizzarlo grazie proprio a quello che ci permette di fare Android.
HP PALMPAD 9.7”
da definire
uScita : Settembre 2011 S.O.: WebOS Processore: APQ8060 dual-core 1.2GHz Scheda Video: unkown Batteria: 6300mAh Memoria: 32gb Flash: Integrato Market Store: unkown Peso: 740g valutaziOne
: unkown
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A tu per tu con la stilista Luciana Emili
di
Roberto Ricci
Oreos Orea, il laboratorio dei sogni
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A pochissimi metri, dall’affascinante corso della città di San Benedetto del Tronto, si respira elegantemente un’atmosfera di raffinatezza e poesia: quella che avvolge magicamente “Oreos Orea Couture”. Situata nella zona commerciale più chic della città marchigiana, l’atelier Oreos Orea di Luciana Emili, crea per il suo pubblico abiti di alta moda e da cerimonia resi impareggiabili dall’utilizzo di tessuti e materiali pregiati e dal tocco artistico e raffinato della stilista Luciana Emili. Nel suo laboratorio di S. Benedetto del Tronto l’abile stilista crea, traducendo i sogni e i desideri dei suoi clienti in sfavillanti capolavori, tali da rendere indimenticabile il momento in cui li si indossa. Oltre ad essere un’eccellente arti-
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di soddisfazioni ed emozioni, realizzando i sogni di tante donne e divenendo una vera “psicologa del vestito”. Luciana Emili ci confessa, che sin da giovanissima, rimane ammaliata dagli abiti da sposa, e dall’armonia e dall’unicità che ogni abito ricreava sulle donne, cominciando a studiare le personalità delle persone per poi ricrearne da queste, l’abito più adatto. Nonostante, la sua bravura e il suo impegno siano stati ricompensati, la stilista non finisce mai di spingersi oltre, di raggiungere traguardi sempre più giana del vestito, Luciana Emili può essere considerata una grande inno- lontani, dai quali emerge un sensibilissimo studio vatrice, importando nel mondo della del dettaglio e una profonda ricerca. moda un curioso utilizzo di materiali: Da qui, si può notare come l’eclettica artista si mette si tratta di sete ricercatissime, metalli, in gioco per la creazione di ogni sorta di abito: oltre a realizzare abiti da sposa e da cerimonia, progetta cristalli, broccati e altro ancora. e rende realtà costumi necessari nelle rievocazioni Luciana nasce negli anni ’60, e già dagli inizi è animata da una forte cu- storiche, e addirittura anche costumi teatrali e alleriosità e da un incontrastabile senso stimenti scenografici, coronando in piccola parte il suo desiderio di divenire una costumista teatrale. di ricerca, una ricerca del dettaglio, di quel “je ne sais quoi’’ che rende le Come ogni sartoria di haute couture che si rispetti, non mancano certamente tessuti pregiati come persone differenti le une dalle altre. Valentino Atelier e Ungaro Atelier, e pizzi estremaFu proprio questa sua forte ambimente esclusivi! zione, a spingerla nel mondo della moda: i suoi primi passi si orientano Costante e tenace è l’impegno che si cela dietro ogni verso il teatro, diventare costumista creazione, ma bisogna anche dare un merito agli stupefacenti macchinari utilizzati, che conferiscono diventa un sogno, che ben presto si loro quel valore aggiuntivo di qualità confermato eclissa ma non definitivamente. già precedentemente dai tessuti. Infatti nel gennaio del 1992, corona il sogno di aprire un atelier tutto suo, “L’abito accarezza il tuo corpo e ne racconta l’anima ci rivela – rendilo indimenticabile” dando il via ad una carriera carica
>>> http://www.aguileranow.com/galeria/thumbnails.php?album=600w Come mai la scelta di dare al suo atelier il nome di Oreos Orea? “Vivendo nel mondo della moda, sono affascinata dal vocabolo bellezza e tutto ciò che ad essa è relativo: proprio per questo motivo ho deciso di utilizzare l’aggettivo ‘’bello’’ in greco moderno, infatti “oreos” indica bello, e “orea” bella, proprio per segnalare la creazione di abiti sia maschili che femminili. Inoltre è studiata anche la simbologia, dal momento che le due O iniziali, richiamano a due fedi nuziali, proprie del giorno del matrimonio”. Lei si occupa principalmente di abiti da cerimonia e di alta moda, come mai questa scelta? “Essendo sempre stata attratta dallo studio del dettaglio, e dall’innato desiderio di ricreare l’unicità e la particolarità, mi sarebbe stato impossibile realizzare capi indossabili quotidianamente, dal momento che, i miei, sono capi che rendono il momento in cui li si indossa, poesia”. Cosa rende i suoi abiti diversi da quelli di altri atelier, e da cosa prende ispirazione per la loro creazione? “I miei abiti, sono me. In ogni abito lascio un’impercettibile parte della mia essenza, della mia poliedricità, in ogni abito c’è uno studio che compio sul cliente, andando ad inquadrare la personalità e trasponendola nel tessuto. Si tratta di un lavoro psicologico, nel quale bisogna capire chi è il mio cliente e quali sono i suoi desideri, per poi andare a ricamare a colpi di ago e filo, un lavoro in cui non bisogna assolutamente mancare di professionalità, e quindi consigliare onestamente il cliente per aiutarlo a compiere scelte idonee. Prendo ispirazione dal cliente, dalla sua bellezza, dall’armonia del suo
corpo, dalla sua anima e dal suo voler essere un qualcosa di speciale in un momento speciale, per andare a riproporre una magia nella quale si specchiano unicità ed armonia”. Quali responsabilità derivano dal ricoprire una posizione simile? “Effettivamente, questa è una passione che si appropria di una grande quantità di tempo, specialmente se si è capi di se stessi, dal momento che si va oltre le canoniche 8 ore lavorative, appunto per perfezionare dettagliatamente ogni creazione, ma bisogna considerare che proprio perché non bisogna rispondere a dei superiori, si può essere schiavi delle proprie fantasie senza subire imposizioni altrui; ciò si traduce in una illimitata artisticità priva di bavagli. Per quanto riguarda la crisi mondiale che ha considerevolmente invaso i mercati mondiali, il suo atelier come ha reagito? “Male! Come d’altronde è capitato a tutte le altre aziende, i danni sono stati ingenti e in un periodo dove la preoccupazione principale è trovare ciò di cui sfamarsi, non c’è più posto per il dettaglio, per il surplus, e per il lusso. Nei matrimoni si cerca di ridurre quantitativamente le spese al minimo, e questo ostacola l’espressione individuale, la realizzazione completa dei propri desideri, bisogna insomma attenersi a budget sicuramente molto più limitati degli anni precedenti. Io in quanto stilista, ma soprattutto in quanto donna, cerco di trovare una via di mezzo, per permettere a sempre più persone di poter accedere alla ‘’Poesia’’, andando incontro alle esigenze del cliente mantenendo sempre un prezzo adeguato ai tempi attuali”. Lei realizza specialmente abiti
da sposa, come si sente nel rendere realtà l’abito perfetto delle sue clienti? “Speciale, io mi sento unica. Ho la sensazione di trovarmi in un film, nel percepire la riconoscenza e la gioia di colei che vivrà uno dei giorni più belli della sua vita. E’ senza dubbio indescrivibile l’essere partecipi di un sogno, avendo creato l’Abito per eccellenza: quando dalla porta del mio negozio esce una mia creatura, vedo andare via una parte di me; si può parlare anche di un forte sentimento nostalgico che molto umoristicamente mi ha spinto a ricomprarmi talvolta le mie stesse creazioni”. WM
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Maila Chianciani e Riccardo Maria Barchiesi di
Effettivamente siamo di fronte ad un tema complicato: non essendovi (realmente?) prove a sostegno o a detrazione di una qualsiasi delle teorie sostenute qua e là, nessuno invero può dire la sua nella certezza di avere in mano la verità assoluta, ma al limite nella convinzione di raccontarla meglio degli altri. E al di là del fatto che ci si dovrebbe già fermare a disquisire se si deve parlare di vampiri o del vampiro, nel caso in cui ci mettiamo d’accordo sul fatto che siano parecchi, allora dovremmo domandarci chi sia il loro papà e/o la loro mamma.
Non mi risulta che il sesso e la procreazione biologica siano al centro della loro attenzione (ognuno si diverte come preferisce…), ma sicuramente se esiste una
stirpe, deve esistere una sua origine, eppure non tutti i giochi che usano i vampiri a vario titolo si pongono questo problema. Per alcuni videogiochi e alcuni Giochi di Ruolo i “succhiasangue” semplicemente esistono, e questo è quanto: ci vengono proposte, di volta in volta, figure antiche e potenti che dominano in qualche modo sulle altre, ma non si va molto di più in approfondimento. Forse in questo è meglio concentrarsi un po’ di più sui GdR, dove la continuità di gioco stesso e la necessità di imbastire canovacci narrativi ed
Diciamocelo francamente: è davvero difficile trovare, nella narrativa, nel folklore e nella ludica, una figura più manipolata di quella del vampiro. Ma quale è quella giusta? O ancora di più: ce n’è una giusta rispetto alle altre? 76
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interpretativi impongono una maggiore cura dei dettagli e quindi una più accurata ricostruzione delle gerarchie e delle araldiche. E
allora, tanto per cominciare, occorre sfatare un mito: pare che Dracula non sia il capostipite. Beh, dove l’ambientazione è fantasy
e spiccatamente non terrestre, non risulta difficile crederlo: come spiegheresti la presenza del conte Vlad tra i castelli del Granducato di Karameikos, o tra i draghi di Krynn, o nelle grigie terre di Mordor (al di là del fatto che si dice in giro che Tolkien abbia ambientato i suoi scritti sostanzialmente sulla Terra)? Un panorama invece più interessante ci arriva da quei giochi in cui si parla di vicende più o meno terrestri, in contesti più o meno umani e in epoche più o meno recenti: qui la tematica è scottante, data la sua sovrapposizione inevitabile con la quotidianità di chi gioca, e diventa quindi necessario fornire risposte credibili, o quantomeno affascinanti. In “Vampire: The
Masquerade” e in “Vampire: The Dark Ages” (White Wolf) si fa risalire il lignaggio nonmorto al personaggio biblico di Caino: punito per aver commesso il primo omicidio della storia (dai, diciamocela tutta,
nel mondo eravate in quattro in quel momento e soprattutto avevate una linea diretta sempre aperta col Superiore: davvero pensavi che non ti avrebbero sgamato?!), il nostro venne bandito da ciò che aveva violato. A dire il vero, pare che vennero mandati a turno tre angeli dal Signore per dargli la possibilità di redimersi, ma siccome il soggetto sembrava convinto e potenzialmente
recidivo, è stato ben pensato di punirlo costringendolo a rimanere in vita, grosso modo, ma senza poter contare sulla consolazione della morte, non di quella definitiva, per lo meno. Lungi da me l’idea di banalizzare un argomento che coinvolge e impegna diversi pensatori e semplici appassionati, ovviamente, ma si tratta di una storia decisamente complessa e con numerose implicazioni. Fatto sta che tutto ciò che caratterizza un vampiro (non-morte, sete di sangue, violenta fotofobia, ecc.) altro non è se non la manifestazione diretta della punizione divina per il Primo Assassino (fratricida, per giunta). Ah, dimenticavo, da questo consegue anche la distruzione sistematica di alcuni luoghi comuni, che in effetti trovo veramente imbarazzanti: pare infatti che i vampiri non soffrano alcuna allergia nei confronti dell’aglio, i crocifissi in sé non sono efficaci, mentre lo è parecchio la cosiddetta Vera Fede, il fuoco non solo fa male, ma fa proprio paura, et cetera ceteraque. Ah, dimenticavo: nessun mantello, nessun frak (si scrive così?), nessun bastone o papillon (come direbbe l’immortale Principe della risata: ma mi faccia il piacere!) e nessuna slisciata di brillantina
(meno male…). Invece trovo assolutamente coinvolgente l’eterna lotta che, sempre secondo l’approccio “cainita” della White Wolf, anima (e mai termine fu più adatto e stridente nel contempo) le personalità dei vampiri: al centro del loro universo, in fondo al loro cuore morto, duellano costantemente l’Uo-
mo e la Bestia, l’anelito della Vita e il richiamo ossessivo della perdizione definitiva,
tutto questo in uno scenario interiore dove paradossalmente ci si chiede se Dio esista e se esista (ancora) un’anima da preservare. Bello. Che dire di più? Rieditando il loro complessivo schema di gioco, alla White Wolf hanno poi ben pensato di rivoluzionare una buona parte di questa trama, facendo risalire, nel loro “Vampire: the Requiem”, inserito nel progetto del nuovo “Mondo di Tenebra”, la probabile origine dei vampiri (o della maggior parte di essi) a Longino, sventurato centurione romano che, nel tipico momento del cogli… ehm… coglitore di pessime idee, ha deciso di trafiggere il costato di Cristo crocifisso e, non pago, di bullarsene con gli amici. E ovviamente, a quel punto TAAAAAC,
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di tutti i vampiri a venire, infatti alcune versioni la vedono come colei che tentò Caino e diede inizio a tutto. Le storie, leggende, miti, fiabe, favole, saggi e quant’altro si occupi del tema sono veramente innumerevoli e provengono da ogni parte del mondo e apparentemente non sempre c’è concordia sulle origini di questa, ormai, archetipica figura. L’unico indissolubile filo rosso (ovviamente) che lega questi vagabondi orfani vampiri è la non-morte. Condizione tutt’altro che scontata, che implica una transitorietà, un’instabilità sostanziale di questo essere che continua a decorare la sua anima trasognata e ossimorica talvolta con i grugniti animaleschi del “non spirato” (Nosferatu), delle altre invece con pesanti ermellini d’ombra, ombra sul suo sorriso malizioso che riversa ombra sullo spirito della vittima finemente sedotta, presa per mano e accompagnata fuori dal flusso della propria coscienza, forse con le poche parole del Don Giovanni: scatta la punizione divina (certo che ci sono dei soggetti che se le vanno proprio a cercare col lanternino! Ma dico io, anche se non ci credi, evita di vilipendiare un povero moribondo, ma che ti costa? Piuttosto fa un disegnino per terra con l’asta della tua lancia!). Il risultato finale, in termini di narrativa e dinamiche di gioco, è un prodotto ludico che comunque “gira bene”, anche se, personalmente, credo che abbia perso un po’ del fascino antico, anzi, ancestrale, che animava l’altra edizione (non lo so, forse chiamare in ballo l’Antico Testamento piuttosto che il Nuovo esercita un ascendente superiore, almeno nei miei confronti). E Lilith? Eh eh eh, noi donne ci mettiamo sempre lo zampino: reputata da alcuni la vera Prima Consorte di Adamo, da altri un Angelo Caduto (un Rafaim, direbbero i puristi di angelologia e infernalismo), nonché compagna di Lucifero, e da altri ancora “semplicemente” un demone, pare comunque che la figura di Lilith sia fortemente legata al mito dei vampiri. Per quanto riguarda l’ebraismo, Lilith, semanticamente e metaforicamente, è una figura strettamente legata alla sfera ctonia dell’esistenza: notte, morte (o meglio nonmorte), peccato, sangue… che scorre via… Lilith la prima moglie di Adamo che fugge dal paradiso terrestre per non sottomettersi all’uomo, conservando la sua immortalità e dando vita ad una stirpe di uomini-demoni. Lilith tentatrice, simbolo del rapporto consumato fuori dall’ortodossia, cacciatrice del seme maschile che bagna il peccato, il vizio su letti fedifraghi o vuoti. Figura dell’ombra che soffia il suo alito gelido sul collo dei figli maschi, per sedurli, averli, prosciugarli, ma non coloro che portano i nomi di Senoy, Sansenoy e Semangelof, tre angeli con cui fece un patto sulle sponde del Mar Rosso, dove si rifugiava con i suoi Lilim (“figlio di Lilith”). Lilith vampira, quindi, e madre
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P erche?
I rigassificatori del Conero L’energia dal prezzo troppo alto. Le Marche sono disposte a pagarlo? a cura di Giampaolo Paticchio
“Il mare si è gelato. Decine di gradi sotto zero. Cristallizzato, frantumato come vetro. Per un raggio di un chilometro è diventato come una banchisa polare. Se l’immagina cosa può essere stato? No, io non credo. L’espansione di questa banchisa polare ha determinato uno spostamento d’acqua di dimensioni enormi, formando un’onda che già nel raggio di 4 km dalla nave era alta 20 metri e che purtroppo si è diretta verso di noi. L’esplosione e la dilatazione del metano liquido liberato dalle cisterne hanno determinato un’onda d’urto di gas miscelato con l’aria che, nell’espandersi, ha aumentato la potenza della carica esplosiva. L’onda d’urto è stata la più veloce ad arrivare. Un attimo ed è arrivata la nube di metano e aria, il cielo intero ha preso fuoco”.
“È stato pazzesco. L’onda d’urto è riuscita a strappare via i rivestimenti dalle costruzioni, a spogliare di tutti gli abiti chi era più esposto, chi era all’aperto. E subito dopo è arrivata l’onda alta 25 metri.”
“Le nubi di polveri sottili hanno continuato a flagellare la gente di questa regione. Pezzi di catrame e cenere hanno continuato a piovere per giorni e giorni. Vuole sapere quanti morti ci sono stati? I morti accertati di quel giorno sono stati 250 mila e oggi, dopo 10 anni, il conto ha superato i 400 mila. E si continua a morire. Di cancro e di leucemia. Per gli effetti di quell’istante”.
Stop. Niente allarmismi.
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Sul Resto del Carlino del 24 aprile 2008 l’allora Sindaco di Porto Recanati Glauco Fabbracci, tra i primi a conoscere l’iniziativa, dichiarava: “Abbiamo visto il progetto, e abbiamo dato, per ora solo verbalmente, il nostro consenso. In cambio, valuteremo con la società una fornitura di gas gratuita, ma su questo la trattativa è ancora in corso. In ogni caso, credo che ci vorrà qualche anno prima che tutto sia completato”.
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Si tratta di semplice simulazione letteraria, di finzione cinematografica. Il sopravvissuto all’ipotetica esplosione di un rigassificatore nel Mare Adriatico, di fronte alla costa anconetana, è solo il protagonista fittizio di un cortometraggio, intitolato “D’Istante”, rintracciabile su YouTube (http://www. youtube.com/watch?v=AdZwYtN88Ro) e che si presenta come “liberamente ispirato alla notizia circa l’esistenza di due proposte per costruire impianti per la rigassificazione del metano liquido nel tratto di mare Adriatico prospicente la città di Ancona”. Si allude ai rigassificatori, veri questa volta, previsti per le Marche: uno di fronte a Falconara, sull’isola in dotazione all’Api, al posto degli attuali impianti di raffinamento del petrolio; e l’altro di fronte alla costa di Porto Recanati, un progetto sperimentale, una piattaforma galleggiante al largo, in acque internazionali. Ben al di là dello skyline, quindi invisibile da riva, mette le mani avanti la Gaz de France Suez, colosso titolare dell’operazione. Chissà se gli amanti del monte, che da lì nei giorni più tersi scorgono le coste della Croazia, riuscirebbero ad ignorarlo quel rigassificatore all’orizzonte. Infatti i due impianti verrebbero piazzati come paradossali sentinelle, una dalla terra e l’altra dal mare, attorno a quel tesoro paesaggistico e ambientale, vanto dei più patinati depliant turistici, che è il Monte Conero con il suo parco. I toni del video sono sicuramente apocalittici e sinistri. Ma di certo non sprovveduti in quanto a basi scientifiche, se persino il ben informato Piero Angela dichiara che un incidente metaniero in prossimità della costa è il peggior scenario possibile in tema
di energie, la catastrofe energetica per eccellenza. Qualora una grande nave metaniera con i suoi 125 mila metricubi di gas liquefatto dovesse avere una rottura in prossimità della costa, l’incidente pare innescherebbe una sequenza a catena di terribili conseguenze. Le navi gasiere che trasportano il gas sino ai rigassificatori, infatti, contengono un metano che viene compresso, nei porti di partenza, a temperature molto basse (circa -160°) allo scopo di renderlo liquido (GNL) e quindi trasportabile in quantità enormi, con notevole riduzione dei costi per i produttori: una volta rigassificato il metano occupa uno spazio 600 volte più grande. Una nuvola di proporzioni spaventose. Come scrive Angela in “La sfida del secolo-Energia”, a proposito di eventuali incidenti, “il gas freddissimo, a contatto con l’acqua di mare, molto più calda, inizierebbe a ribollire, a evaporare e a formare una pericolosa nube. Questa nube di metano evaporato rimarrebbe più fredda e più densa dell’aria e potrebbe viaggiare sfiorando la superficie marina, spinta dal vento, verso la terraferma. Scaldandosi lentamente la nube comincerebbe a mescolarsi con l’aria. Una miscela fra il 5 e il 15 percento di metano e il resto di aria è esplosiva. Il resto è facilmente immaginabile. Se questa miscela gassosa, invisibile e inodore, investisse una città, qualsiasi (inevitabile) scintilla farebbe esplodere la gigantesca nube”. L’evento sarebbe superiore per potenza energetica persino a quello di Hiroshima e il suo raggio d’azione potrebbe espandersi anche fino a 55 km. Infatti Angela continua: “La potenza liberata in una o più esplosioni potrebbe avvicinarsi a un megaton: un milione di tonnellate di tritolo, questa volta nell’ordine di potenza distruttiva delle
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P erche? bombe atomiche. Le vittime immediate potrebbero essere decine di migliaia, mentre le sostanze cancerogene sviluppate dagli enormi incendi scatenati dall’esplosione, ricadendo su aree vastissime, sarebbero inalate in “piccole dosi”, dando luogo a un numero non calcolabile, ma sicuramente alto, di morti differite nell’arco di 80 anni. Si tratta di uno scenario assolutamente improbabile, ma non impossibile”. I rischi prospettati da Piero Angela si basano su analisi e scenari del Sandia Report, un autorevole studio commissionato nel 2004 a un collettivo indipendente di esperti dal Dipartimento dell’Energia del governo Usa. Nel caso di P. Recanati, il progetto “Tritone GNL” della francese Gaz de France Suez prevede un tipo d’impianto diverso da quelli classici, disposti su piattaforme fissate al fondale. Quella di P. Recanati sarà infatti una enorme piattaforma, alta come un palazzo di 12 piani e lunga almeno 3 campi da calcio, non fissa. Ma galleggiante e mobile. Il che aumenta i rischi. Essa verrebbe ancorata a circa 34 chilometri dalla costa, e servirebbe a riscaldare il gas, trasportato fin là dalle metaniere provenienti dal sud, al fine di riportarlo allo stato gassoso. La temperatura del metano, nel progetto, viene alzata con la stessa acqua del mare. Una condotta sottomarina poi, che dovrebbe arrivare sino a terra, immetterà il gas nella rete nazionale della SNAM. Secondo il Comitato “Rigassificatore No Grazie”, nato dall’iniziativa di alcuni ingegneri e che oggi si pone come risposta quasi unitaria del territorio al progetto del rigassificatore, oltre ai rischi per la sicurezza, c’è un problema enorme di impatto ambientale: la manutenzione del rigassificatore necessita infatti dell’utilizzo di ingenti quantitativi di ipoclorito di sodio (quello della varechina), al fine di mantenere pulito e in efficienza l’impianto stesso. L’uso continuato della sostanza chimica metterebbe così in pericolo la sopravvivenza della fauna e della flora nelle acque circostanti, con effetti che, nel medio e nel lungo periodo,
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potrebbero causare sensibili sconvolgimenti all’ecosistema marino. Anche perchè l’enorme fabbisogno di acqua per rigassificare il GNL provocherebbe un progressivo raffreddamento delle acque circostanti. Ma perchè la Gaz de France Suez e altre multinazionali vogliono investire in Italia? Si calcolano almeno 20 progetti di impianti di rigassificazione per l’Italia, a fronte dei soli 10 nel resto d’Europa. La risposta è nella Delibera n.178/2005 dell’Autorità per l’Energia che, in pieno governo di centro-sinistra, pur di incentivare la costruzione dei rigassificatori, garantì la copertura da parte dello Stato italiano del grosso dei costi e degli eventuali rischi economici d’impresa. Nella delibera, infatti, si istituisce un “fattore di garanzia che assicura, anche nel caso di mancato utilizzo dell’impianto, la copertura di una quota pari all’80% dei ricavi di riferimento” per i costi fissi del terminale. Come dire che se le società titolari non riescono a procurarsi GNL a sufficienza per mantenere l’impianto a pieno regime, lo Stato le rimborsa con i soldi dei cittadini. Anche l’attuale governo di centro-destra è rimasto ancorato a questa politica. Infatti recentemente il ministero dell’Ambiente ha espresso parere favorevole, nella sua Valutazione di Impatto Ambientale, alla costruzione dell’impianto; questo nonostante l’opposizione di gran parte dei cittadini del territorio, della stessa Regione Marche (che non si è ancora espressamente pronunciata, invece, sul progetto di Falconara) e di una cordata politicamente trasversale di tutte le amministrazioni dei comuni limitrofi a quello di P. Recanati. La strada per la Gaz de France Suez così sembra farsi in discesa. Intanto la compagine dei comuni limitrofi è già ricorsa al TAR contro il pronunciamento ministeriale, mentre il Comitato “Rigassificatore No Grazie” continua a raccogliere adesioni, perseverando nell’opera di sensibilizzazione dei cittadini. E il comune di Porto Recanati? La giunta di centro-destra del comune costiero che vive
principalmente di turismo, dopo una prima fase di sostanziale disponibilità a valutare il progetto del rigassificatore oggi si rimette al parere della Conferenza Stato-Regioni, organo cui spetta il parere decisivo. L’opposizione, e non solo, chiede al sindaco Rosalba Ubaldi (Udc) una presa di posizione netta. Anche per non alimentare ulteriori sospetti: “spero sia un caso – dice il consigliere Giovanni Giri dai banchi dell’opposizione – “ se l’anno scorso, ad esempio, lo sponsor principale della tappa di P. Recanati del Giro d’Italia, con un contributo di 60 mila euro lordi, è stata Italcogim Energie”. Ovvero una società del gruppo Gaz de France Suez. WM
In una nota della Giunta Regionale delle Marche dell’11 aprile 2011 si legge: “La Regione Marche ha chiesto al ministero allo Sviluppo Economico il rinvio della Conferenza di servizi conclusiva per il terminale di rigassificazione di Falconara Marittima. La conferenza è convocata, a Roma, nella giornata di mercoledì 27 aprile. L’assessore regionale all’Ambiente ed Energia, Sandro Donati, ha inviato una lettera al ministro Paolo Romani, chiarendo che “l’amministrazione regionale, prima di esprimersi, intende approfondire preliminarmente un’analisi comparativa delle altre iniziative simili, ubicate in altre aree italiane, con particolare riferimento al Mare Adriatico. Detta analisi comparativa, da portare anche al confronto con gli enti locali interessati, appare necessaria per poter poi valutare soprattutto gli effetti di natura economico-sociale indotti nel territorio regionale dall’impianto proposto che, come è noto, non è il solo di cui è stata proposta la realizzazione davanti alle coste marchigiane”. La Regione chiede pertanto, al ministro, “un quadro dettagliato della politica energetica nazionale con riferimento alla locazione degli impianti di rigassificazione e ai relativi effetti economico-sociali sull’intero bacino del Mare Adriatico”
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