WHY MARCHE MAGAZINE N.07 OTTOBRE 2011 MENSILE - ANNO II - € 1,00
n. 07
Il buono dell’olio
Le Marche viste dall’alto
Capitan Magnini:
il Re rivuole il suo trono
CreativitĂ italiana per un mondo di idee
150% creativitĂ 150 idee per la comunicazione 150 soluzioni per le imprese 150 grazie a tutti i nostri clienti
www.iabadabadu.it
Uno sguardo all’Europa Se pensiamo all’Unione Europea cosa ci viene in mente? Qualcosa che sentiamo nominare al telegiornale? Un’organizzazione che raccoglie tutte le nazioni europee ma che non ha niente a che fare con“casa” nostra? Un grande tavolo al quale si siedono i Capi di Governo dei Paesi membri per decidere politiche, norme, strade da intraprendere? Sicuramente è anche questo. Ma quello che forse non ci viene in mente è la cosa più importante: l’Europa è la nostra opportunità. E con questo, intendo nostra come Paese, nostra come singolo cittadino, nostra come impresa e rete di imprese. Perché è tempo di iniziare a capire che l’Unione Europea non è fatta dagli altri, non è fatta solo dai politici o dai grandi industriali, quelli che hanno sedi per le loro aziende Maria Pettinari sparse in un po’ tutti gli Stati membri o almeno che con essi hanno rapporti. L’Europa è dei grandi sì, ma è anche dei piccoli che sanno pensare in grande. Il modello imprenditoriale marchigiano è tra i migliori pensate un po’, non solo d’Italia, ma anche dei Paesi del Mediterraneo: è di poche settimane fa l’ultima visita di una delegazione marocchina sbarcata nei nostri territori proprio per saperne di più. E noi, ci rendiamo conto del nostro potenziale? O abbiamo un certo timore reverenziale ad approcciarci a mercati più grandi di quello locale? Gli imprenditori che ci hanno provato, puntando a mercati di nicchia ne hanno tratto grandi soddisfazioni e ve lo racconteremo nelle nostre pagine. E vogliamo parlare poi del turismo? Quanti possono vantare il nostro mix di arte, cultura, divertimento, mare e montagna? Sinceramente: pochissimi! Mettiamo la giusta convinzione e la giusta attenzione nel comunicare all’Europa chi siamo? Noi piccole Marche, nelle quali però turisti svizzeri, tedeschi, addirittura americani vengono, soggiornano e acquistano ville per stabilirsi e vivere qui o aprire agriturismi.
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n. 07
Il buono dell’olio
Le Marche viste dall’alto
Capitan Magnini:
il Re rivuole il suo trono
I confini dell’Europa sono aperti, l’Europa siamo noi.
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WHY MARCHE MAGAZINE N.07 OTTOBRE 2011 MENSILE - ANNO II - € 1,00
n. 07
Il buono dell’olio
Le Marche viste dall’alto
Capitan Magnini:
il Re rivuole il suo trono
AGORÀ 6 · L’ombra del Papa INTERNAZIONALIZZAZIONE 8 · Guardare avanti per vedere l’Europa
ESTERO 10 · Sulla via di Damasco, passando per l’ONU SOCIALE 12 · C’erano una volta, un francese un tedesco e un italiano… ECONOMIA E FINANZA 14 · I Want Tubì IMPRESA 15 · Exponiamo l’artigianato marchigiano 16 · Chiedete e vi sarà ideato 18 · Il plus dell’olio
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TURISMO 20 · Virtuosi…si sceglie 22 · Solo 43 cm… 24 · Perdersi per ritrovarsi 26 · A proposito di… ENOGASTRONOMIA 27 · Una storia tra i filari 30 · Rampanti di-vini CONSUMATORI 34 · Capiamo la qualità
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N° 07 - Ottobre 2011
Un altro sogno ancora
www.whymarche.com Direttore Responsabile: Maria Pettinari m.pettinari@whymarche.com REDAZIONE Caporedattrice: Eleonora Baldi e.baldi@whymarche.com Responsabile di redazione Paola Solvi p.solvi@whymarche.com Responsabile Marketing Raffaella Scortichini r.scortichini@whymarche.com Direttore Artistico Silvio Pandurini s.pandurini@whymarche.com
FOLKLORE 36 · Se dicea na orta
Responsabile Fotografia Massimiliano Fabrizi m.fabrizi@whymarche.com
ISTITUZIONI 39 · Province addio?
Editor Riccardo Maria Barchiesi Claudia Cinciripini Giampaolo Paticchio Michela Marconi Maila Chianciani Chiara Giacobelli Sara Schiarizza Fabio Curzi Marco Catalani Pamela Pinzi Silvia Santarelli
UNIVERSITÀ 47 · La soluzione? La glocalizzazione FORMAZIONE 50 · Il canto del Dragone Nero 51 · Sai comunicare efficacemente? SPORT 52 · Sospesi a mezz’aria MOTORI 56 · Una carriera in “salita” ARTE E CULTURA 58 · Così lontani, così vicini 60 · Testimoni nascosti 62 · Tra Re&Regine
S port
Hi-TECH 74 · Trendy, Worker, Gamer o Nerd? LUDICA 76 · Videoludica
Progetto grafico: www.eraworks.com
P M otori Casa Editrice: Theta Edizioni Srl Registrazione Tribunale di Ancona n° 15/10 del 20 Agosto 2010 Sede Legale: Via Villa Poticcio 22 60022 Castelfidardo - Ancona Tel. 0717821259 Fax 07125047377 www.thetaedizioni.it - info@thetaedizioni.it
AMBIENTE & ENERGIA 64 · Bioarchitettura alternativa EVENTI 66 · Le nuove corone 68 · A vele spiegate 70 · 22kg
Hanno collaborato Giorgia Gagliardini Loredana Baldi Antonio Lazzari Francesco Cingolani Valentina Brogna Valentina Viola
Stampa: Tecnostampa: Via Le Brecce - 60025 Loreto (AN)
E venti P P
Abbonamenti: Per informazioni contattare il servizio abbonamenti Tel. 0717821259 abbonamenti@whymarche.com Chiuso in redazione il 29 Settembre 2011
COPYRIGHT THETA EDIZIONI TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI. NESSUNA PARTE DI QUESTO MENSILE PUO’ ESSERE RIPRODOTTA CON MEZZI GRAFICI, MECCANICI, ELETTRONICI O DIGITALI. OGNI VIOLAZIONE SARA’ PERSEGUITA A NORMA DI LEGGE. per qualsiasi informazione
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PERCHÈ 79 · Nonostante tutto
ERRATA CORRIGE - Why Marche n.6 pag. 24-25 Urban Social Design Experience > Francesco Cingolani | ecosistema urbano Architettura e Decrescita: For all the Cows > Francesco Cingolani e Massimo Lombardi | CTRLZ Architectures Verso un’architettura parametrica > immagine HDA | Hugh Dutton Associés
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I“segreti”del Vaticano?
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per l’occasione”. Lungo e accurato quindi il lavoro di ricerca, che si è sviluppato su due fronti, raccogliendo altrettante diverse tipologie di documenti: da una parte gli atti investigativi dei magistrati su casi scottanti come quelli di Calvi e Marcinkus e sull’attentato al Papa, dall’altra documenti classificati come “top secret”, appartenenti alla Cia e al Governo polacco, o ancora informative dei Servizi Segreti americani solo recentemente desecretati e quindi mai visionati da nessuno. “Per la prima volta qualcuno ha messo le mani tra gli scaffali dell’Archivio dei Servizi Segreti polacchi, dove sono conservate prove di episodi precedenti al crollo del muro di Berlino e relativi al periodo del Governo episcopale di Cracovia” spiega Giacomo Galeazzi, a proposito del materiale raccolto. Quanto alle intenzioni che lo hanno spinto a scrivere questo libro, le riassume così: “L’obiettivo non è convincere chi è già convinto, ma offrire un quadro completo ed elementi per costruire un pensiero. Questo puntualizzare le ombre fa risaltare la luce, perché per noi, sia chiaro, Giovanni Paolo II è un Santo, non un santino”.
di
È stato il più giovane giornalista pubblicista d’Italia (si è iscritto all’Ordine appena raggiunta la maggiore età, avendo terminato i due anni di collaborazione già da tempo) e in seguito è stato uno dei rari talenti ad uscire dalla Scuola di Giornalismo di Urbino dopo un solo anno, fortemente voluto dal Tg1. Oggi è Vaticanista de “La Stampa” e ha pubblicato vari importanti libri. L’ultimo si chiama “Wojtyla segreto” (edito da ChiareLettere) ed è stato presentato ad agosto a Montecarotto, alla presenza del Presidente dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche Gianni Rossetti e del Sindaco Mirco Brega. “Wojtyla segreto è un viaggio nella storia recente e nel ruolo di un Papa che è stato prima di tutto un politico con la P maiuscola – racconta Giacomo, ripercorrendo le tappe che lo hanno portato a scrivere il libro. Esso è il frutto di un anno e mezzo di lavoro on the road, in cui io e Ferruccio Pinotti abbiamo attraversato l’oceano innumerevoli volte: quattordici viaggi negli Stati Uniti, venti in Polonia (con una tappa a Budapest dove sono stati ricostruiti i fili della Ostpolitik verso l’Est); trenta testimoni intervistati, una montagna di carte e documenti spolverati
Chiara Giacobelli
38 anni, una carriera lampo, un libro verità scritto a quattro mani con Ferruccio Pinotti e un aereo dietro l’altro per seguire il Papa nei suoi spostamenti. Giacomo Galeazzi è uno di quei marchigiani che ce l’ha fatta, ed anche in breve tempo.
Oltre alle presentazioni letterarie, le occasioni che Giacomo Galeazzi ha di tornare nelle Marche, nonostante i numerosi impegni, sono tante e tutte molto interessanti. Infatti, pur avendo lasciato la sua terra d’origine anni fa, il legame con essa non si è mai interrotto. Tanto che lo scorso 17 settembre ha ricevuto dal Comune di Osimo la cittadinanza onoraria. “Galeazzi è un giovane marchigiano che ha raggiunto dei traguardi molto importanti in una professione, quella del giornalista, piuttosto difficile – dice l’Assessore alla Cultura del Comune di Osimo Achille Ginnetti, a proposito della scelta di conferire a Giacomo la cittadinanza onoraria –. Personalità di questo tipo vanno valorizzate e premiate, soprattutto quando mantengono un legame forte con le Marche. Con Osimo la collaborazione iniziò intorno al 2003 e da allora Giacomo ha sempre continuato a darci una mano. Lo sentiamo quindi come un nostro concittadino
Chiedeteli a Giacomo!
Ad ottobre, uscirà in libreria il nuovo libro di Giacomo Galeazzi, dal titolo“La Chiesa che non tace”, scritto insieme a Monsignor Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo. E a tutti coloro che sognano di intraprendere una carriera simile, Giacomo si sente di dire:“Siate tenaci e costanti. Ma, soprattutto, non perdete mai l’entusiasmo e la dedizione verso il vostro mestiere. Sono fondamentali”.
Il Libro
WOiJTYA SEGRETO ed anche un portavoce dei valori spirituali, storici, tradizionali e artistici della città”. Il legame tra Giacomo Galeazzi e Osimo passa anche, e soprattutto, dallo Ju-Ter Club, una realtà associativa giovane e dinamica, che si pone l’obiettivo di stimolare la conoscenza nei cittadini, attraverso la promozione di eventi culturali di vario tipo. “Giacomo ci ha aiutati molto nell’ambito della rassegna“I Contemporanei”, che ha visto succedersi degli incontri di carattere letterario con personaggi di fama nazionale – racconta Silvia Simoncini, dello Ju-Ter Club di Osimo –. A fronte del successo riscosso, la nostra intenzione è quella di proporre ulteriori appuntamenti nei mesi autunnali, da ottobre in poi”. WM
WOJTYLA SEGRETO Autore:
Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti
Editore: Chiarelettere
Tipo: Libro Pagine: 352
solo su:
acquist a PRESENTAZIONE A MONTECAROTTO
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Eu ropeo
di
Maria Pettinari e Raffaella Scortichini
I nternazionalizzazione
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Pensare
E, dunque, Sindaco, chi meglio di lei, amministratore di un territorio, ma avvezzo a parlare d’Europa ed in Europa, può aiutarci a capire quanto sia importante il rapporto tra l’Unione Europea e gli enti locali? “Anzitutto, mi preme sottolineare che l’ente locale, in particolare il Comune, riveste un ruolo strategico nel rapporto con il territorio. Il Comune è il front office delle istituzioni pubbliche, a cui fanno riferimento tutti i cittadini, imprese e associazioni. Nel mio caso, oltre a rivestire la carica di Sindaco, ho la possibilità di svolgere anche un ruolo tecnico a Bruxelles. Queste due funzioni non sono scollegate. Anzi, l’Europa è un’opportunità, ma soprattutto è il nostro futuro prossimo. E non solo per i singoli Comuni, ma per l’intero territorio nazionale, regionale e provinciale, oltre naturalmente ai municipi. Qual è allora la questione di fondo? Far conoscere l’Europa a tutti, creare e promuovere informazione perché tutti possano conoscere le diverse opportunità comunitarie. Noi siamo parte integrante di un processo ormai irreversibile e, quando parliamo di Unione Europea, non possiamo e non dobbiamo riferirci solo all’economia e alla moneta unica, come a volte si tende a fare, ma dobbiamo parlare di un insieme di opportunità che uniscono cultura, turismo, impresa, tempo libero, ambiente, scuola, energia, comunicazione, volontariato e politiche sociali, solo per fare qualche esempio. Il ruolo, perciò, degli enti locali è quello di far conoscere, attraverso tutti gli strumenti a nostra disposizione, tutte le notizie possibili e i dati più utili ai soggetti che operano nel territorio affinché possano diventare protagonisti in Europa, sentendosi sempre più cittadini dell’Europa”.
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Noi di Why Marche siamo pronti, ed il nostro viaggio, alla volta dell’Europa attraverso il meraviglioso territorio marchigiano, è già iniziato. Ci fermiamo ad Ostra Vetere, in provincia di Ancona, per incontrare il suo primo cittadino, il Sindaco Massimo Bello. Che oltretutto è anche Collaboratore del Gruppo parlamentare del PPE e componente dell’Ufficio Staff del Vice Presidente all’Europarlamento di Bruxelles
Quando il primo passo di Ostra Vetere per entrare in Europa?
“Ostra Vetere cominciò ad interessarsi di Europa, in modo significativo, nel 2005. Venimmo a sapere che la Regione Marche aveva istituito nel 1998 un ufficio di rappresentanza a Bruxelles, dando l’opportunità anche ai Comuni di fruire dei servizi che l’Europa metteva a disposizione del territorio. Poco dopo, sottoscrivemmo un protocollo con la Regione Marche e iniziammo ad avere un rapporto diretto con Bruxelles per raggiungere gli obiettivi di cui parlavo poc’anzi, ma soprattutto per dare la possibilità al nostro territorio e al nostro Comune di ritagliarci un ruolo attivo nelle politiche comunitarie. Creammo alcune delegazioni composte da imprese, non solo di Ostra Vetere, ma rappresentative di tutto il territorio, in modo tale che potessero prendere coscienza dei meccanismi e delle opportunità finanziarie offerte dall’Europa. Il primo passo della nostra strategia, dunque, fu inserirsi in un contesto europeo, cercando di entrare nella rete istituzionale dell’Unione Europea. Proprio in quegli anni, iniziò la nostra avventura europea, conoscendo l’Europa più da vicino e analizzando i meccanismi e le opportunità che questo grande ed importante continente offre a tutti noi”.
L’Europa non è lontana. L’Europa siamo noi e ci viviamo dentro ogni giorno, solo che troppo spesso non ce ne rendiamo conto. Educare a sentirsi cittadini europei deve essere una priorità. Europa, il nostro futuro, dunque.
IL SINDACO DI OSTRA VETERE MASSIMO BELLO
Ma quali sono i canali per informare e formare il cittadino a pensare e a diventare europeo?
“Tutti quanti, a seconda del ruolo pubblico o privato ricoperto, devono assumersi la responsabilità di intraprendere una campagna di informazione e sensibilizzazione sull’Unione europea. I Comuni devono individuare, all’interno della loro azione amministrativa, un capitolo speciale da dedicare all’Europa. Ad esempio, nel nostro Comune abbiamo avviato anche una politica dei gemellaggi con altre città europee, partecipiamo ad iniziative promosse dall’Unione europea come il Patto dei Sindaci per l’energia sostenibile, organizziamo Convegni, ma abbiamo anche istituito un Ufficio Europa, che invia, ad esempio, una newsletter alle imprese con le informazioni sui bandi europei. L’importante, però, è fare rete e lavorare in sinergia. Tutti sono messi nelle condizioni di ottenere un finanziamento perché l’Europa finanzia le idee, ma occorre conoscere le procedure e le opportunità. Tutto parte dalla nostra volontà e dalla capacità di ampliare la nostra mente e i nostri orizzonti perché l’Europa siamo semplicemente noi”.
“L’Europa dà la possibilità a tutti di conoscere realtà diverse da quelle in cui si opera tutti i giorni, ma promuove il partenariato e il lavoro di squadra. Obbliga, cioè, a lavorare in rete con altri soggetti. In generale, è questa la condizione necessaria qualora si vogliano presentare progetti che abbiano rilevanza europea e che quindi possano godere dei fondi comunitari messi a disposizione. L’Europa deve essere percepita non come un’entità a se stante, ma come una rete di soggetti che si mettono a confronto su questioni ambientali, energetiche, sociali, di sviluppo e culturali. Se si comprende questo, una volta studiato un progetto per un bando europeo, sarà facile ricercare e trovare interessi e obiettivi condivisi con altri soggetti. Certo è che essere un Sindaco all’interno di questa rete, permette di arrivare in Europa in maniera più semplice e diretta. Ma, a questo proposito, devo anche dare atto alla Regione Marche e in particolare al Presidente Spacca, di aver dimostrato di credere molto nell’Europa. Penso, ad esempio, al già avviato progetto, fortemente condiviso anche da me e dal mio Comune, per istituire la Macroregione Adriatica-Ionica. Un’idea partita proprio dalla nostra Regione e che tra non molto diventerà una realtà nel panorama delle istituzioni europee. D’altra parte, in un futuro prossimo, le macroregioni svolgeranno un ruolo importante e strategico nella prossima programmazione dei fondi comunitari 2014/2020. Pensiamo, per un attimo, alla Macroregione Adriatica Ionica. Quando questo progetto sarà ufficializzato, la Regione Marche avrà un ruolo fondamentale nella programmazione, così come tutti i suoi Comuni. Saranno, infatti, proprio i Comuni il vero motore del progetto della Macroregione perché saranno i primi soggetti istituzionali, che rappresentano per davvero il territorio, ad avere il confronto, entrando in contatto diretto con i Comuni dell’altra sponda dell’Adriatico. Ciò significa che i rapporti si consolideranno, partendo proprio dalle comunità territoriali, in modo da avere una rete in grado di elaborare progetti che possano intercettare i tanti fondi comunitari. Così si comincia a pensare europeo.” WM
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Chad - distribuzione di carretti per i rifugiati del campo per permettergli di andare a scuola
Quattro chiacchiere con l’anconetana Benedetta Marcaccini, funzionaria Onu: “La nostra è una regione che lascia sorpresi”
Un bicchiere di acqua tonica per rinfrescarsi nella torrida estate di Ancona. Ai tavoli che si affacciano su piazza Roma per una sosta. Un pò di riposo tra un viaggio e l'altro. Una ragazza con il trolley sempre pronto, Benedetta Marcaccini, 34 anni, funzionario delle Nazioni Unite. Un'anconetana che oggi vive a Damasco ma che, dal 2002 ad ora è stata impegnata in prima persona in alcune delle più gravi emergenze umanitarie che il mondo ha conosciuto. Cittadina del mondo con la bussola sempre orientata verso le Marche, la sua regione. Oggi lavora in Siria dove dal 2010 si occupa di reinstallazione verso altri paesi di rifugiati.
di
Marco Catalani
COME È LA SITUAZIONE DEGLI ULTIMI TEMPI? “E’ molto difficile e spero, come il resto della comunità internazionale qui, che il Paese trovi una normalizzazione al più presto. Ora mi sto occupando di un nutrito numero di richiedenti asilo e rifugiati dalla Somalia, Afghanistan, Sudan, Etiopia, Eritrea e altri Paesi africani come Congo e Burundi”.
COME È NATA LA TUA AVVENTURA IN GIRO PER IL MONDO? “Come molto spesso accade, anche la mia è frutto di un caso. Dopo aver studiato lingue semitiche comparate, tra cui anche l’arabo, all’Università di Pisa e aver frequentato un master a Venezia, all’Università Ca’ Foscari in studi sul Mediterraneo, ho partecipato a un bando del Ministero degli Esteri che prevedeva la possibilità di lavorare per un anno in un’agenzia delle Nazioni Unite. Era il 2002 e mi sono ritrovata in Egitto”.
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QUAL ERA IL TUO COMPITO?
E POI?
“Ero all’ufficio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati del Cairo dove mi sono occupata per otto mesi delle interviste per i richiedenti asilo e poi per i restanti tre della reinstallazione dei rifugiati verso Paesi terzi. In Egitto, così come in Siria, l’Alto Commissariato per i Rifugiati si occupa della determinazione dello statuto dei rifugiati non avendo i governi dei meccanismi propri come in Italia. La maggior parte dei richiedenti asilo erano originari del sud Sudan, ma poi sono anche cominciati ad arrivare sudanesi del Darfur, visto che il conflitto è iniziato proprio nel 2003; così come anche somali, etiopi ed eritrei”.
“Il programma durava un anno. Finiti i soldi del finanziamento sono tornata in Italia e ho trovato lavoro per una società di consulenza. Mi occupavo di progetti internazionali finanziati principalmente dall’Ue: contratto a progetto. Appena l’Onu mi ha richiamata proponendomi la repubblica del Congo mi sono fiondata”.
SEMPRE INTERVISTE? “No, in Congo l’Unhcr aveva un progetto di sostegno al governo che aveva appena iniziato a prendersi la responsabilità della determinazione dello statuto di rifugiato. Il mio lavoro consisteva nel fare da trainer al personale locale così come rappresentare l’Unhcr nella commissione responsabile di prendere le decisioni sui singoli casi. A luglio 2004 ero a Brazzaville e ci sono stata fino a giugno dell’anno successivo. A settembre invece mi hanno proposto di andare in Somalia”.
COME È STATO IL NUOVO INCARICO? “Eravamo a Hargheisa, capitale dell’autoproclamata Repubblica del Somaliland. L’ex Somalia Britannica, tanto per intenderci. Si può dire che l’ho vista nascere assistendo alle seconde libere elezioni alle quali hanno partecipato anche le donne. C’era un clima di festa per le strade anche se, a ridosso del voto, la tensione si sentiva, ma alla fine è prevalsa l’unità: il partito vincente ha concesso all’opposizione di eleggere lo speaker del Parlamento. Pochi mesi dopo la mia partenza un’agenzia Onu divenne l’obiettivo di un attacco kamikaze: morirono 14 persone. Una di queste la conoscevo molto bene”.
TI SEI SENTITA UNA SOPRAVVISSUTA? “E’ stato impressionante. Dà da pensare. Pensi che può capitare anche a te”.
CI SONO STATE ALTRE SITUAZIONI DI PERICOLO DURANTE I TUOI VIAGGI? “Sono stata in Libia a gennaio 2007 quando ancora Gheddafi era saldamente al potere. Erano giorni tranquilli e anzi ho respirato il cambiamento dell’atteggiamento nei riguardi degli italiani arrivato dopo il trattato di amicizia con l’Italia. La guerra di oggi? Ho parlato con amici di Tripoli e mi hanno detto che tutto è iniziato talmente in fretta che nessuno ha intuito le avvisaglie. In Ciad invece, da novembre 2009, gestivamo un campo profughi a 80 chilometri dal Darfur. Una vera emergenza umanitaria dove io mi occupavo principalmente di progetti contro le mutilazioni genitali femminili e la violenza domestica, così come contro il lavoro minorile e il reclutamento dei bambini soldato. Uno dei grossi problemi erano i ribelli che passano attraverso i campi dei rifugiati e degli sfollati chadiani armati fino ai denti sui loro pick up: cadevano granate sulla strada e spesso i bambini le andavano a raccogliere rimanendo mutilati e qualche volta persino uccisi. Ci hanno anche evacuati per due settimane quando i ribelli sono entrati in Chad dal Darfur passando per il villaggio dove ho lavorato per due anni”.
IN TUTTO QUESTO VIAGGIARE CHE RUOLO HANNO LE MARCHE, LA TUA REGIONE? “Lo spirito marchigiano riemerge quando ci si incontra tra conterranei. La nostra è una regione che lascia sorpresi, che esce un po’ dal cliché. E’ stato suggestivo trovare ad una festa di matrimonio di due colleghi del Chad in Marocco un’invitata che indossava le scarpe di Cesare Paciotti. Mi ha fatto sentire a casa. Ci sono molto legata. Stando lontani si apprezzano molto di più le Marche. Ti mancano. Quando mi sono sposata ho voluto che la cerimonia si tenesse al Duomo di Ancona, la mia città. Gli invitati, tra cui c’erano anche tanti stranieri, sono rimasti incantati dal Passetto, dalla Riviera del Conero e da Urbino. Gli abbiamo fatto fare un bel tour turistico ed è stato un successo”.
CONOSCI L’ESTERO E VIAGGI TANTO. UN CONSIGLIO A CHI FA ACCOGLIENZA NELLE MARCHE “Parliamo poco inglese e questo ci penalizza. Ma il nostro è uno stile che conquista, che ci fa essere benvoluti dagli stranieri. Basterebbe uscire un po’ dal guscio”.
Chad - formazione sui diritti dei rifugiati fatta per le pattuglie della polizia speciale a protezione dei campi profughi
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di
Pamela Pinzi
Una riflessione leggera su un tema “pesante”, quello dell’integrazione: e se prima di confrontarci imparassimo a divertirci conoscendoci?
Ci sono un italiano, un francese e un tedesco... Tante barzellette aprono con questo trio e finiscono con una risata sulla differente maniera di affrontare un dilemma. Il tedesco è sempre quello pratico e determinato, il francese pragmatico e un pò sciocco, l’italiano chiude da burlone e così, ridendo, senza farci caso, si sdrammatizza sulla sostanziale forma mentis che stigmatizza ogni popolo. É un punto di partenza frivolo, ma è uno spunto per cercare di affrontare temi più ampi, temi che riguardano l’integrazione sociale nella nostra italiana società. Noi italiani non amiamo affrontare di petto e con spavalderia le problematiche sociali, come fanno i tedeschi, e nemmeno ragionare tanto attorno ad un quesito con elucubrazioni filosofiche e astratte, come è tipico del francese. Noi italiani scegliamo sempre la terza via, ci scherziamo sopra con ironia, raggiriamo il problema e finiamo per lasciarlo esattamente dov’è. Quando inoltre il problema è argomento nuovo, sconosciuto, allora avremo la certezza che per vedere un lieve approccio iniziale passeranno, davanti ai nostri occhi, decenni di violenze e di scontri.
Proviamo a
OSTRAMONDO
Tutto il Mondo in Paese Il grande incontro svoltosi ad Agosto in Provincia di Ancona
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I dati statistici relativi agli stranieri nelle Marche non arrivano a coprire gli ultimi due anni, ma l’andamento della crescita è chiaro dal materiale a disposizione fino al 2009. Infatti dal 2005 al 2009 i cittadini stranieri registrati sul territorio marchigiano sono passati da una percentuale del 6% ad una del 9% quasi. La convivenza quotidiana però scricchiola, barcolla se nella vita di tutti i giorni abbiamo paura del diverso, se abbiamo il preconcetto che sia nocivo stringere un rapporto con lui, se crediamo che sia pericoloso guardare fuori dal nostro
U a conoscerci
no dei modi migliori per iniziare un rapporto tra due modi di vivere lontani è mostrare innanzitutto gli aspetti positivi e più semplici da capire. Per questo fine sociale si creano eventi multiculturali che riuniscono etnie diverse in un’occasione di festa, di allegria comune a tutti, in cui è più immediato abbassare le corazze e lasciarsi andare. A tavola, per esempio, di norma ci si rilassa; a tavola la convivialità comprende una propensione maggiore al confronto. Proprio a tavola sono stati invitati tutti i cittadini della provincia di Ancona, un’enorme tavola in una piazza che nei giorni di Ferragosto
orticello. D’altro canto non è facile far aprire gli occhi ad una persona convinta che il suo modo di vivere sia quello giusto, il migliore possibile al mondo. Da anni con la crescita della popolazione straniera sono cresciute anche le cooperative e le associazioni senza scopo di lucro che si occupano di mostrare “il diverso” per farlo conoscere a tutti, per far capire che le barriere ideologiche possono essere semplicemente abbassate da entrambe le parti per farci crescere insieme conoscendoci a vicenda.
ha accolto i curiosi visitatori dell’evento Ostramondo e li ha solleticati a mangiare pietanze lontane dalla centenaria cultura alimentare italiana. Assaggiando una empanada, dell’hummus, il riso biryani, le quesadillas e la moussaka (alcune delle pietanza proposte dagli stand) il pubblico si è avvicinato al folklore di una nazionalità diversa e spesso poco conosciuta. La prima edizione di Ostramondo – tutto il Mondo in Paese, è stato un appuntamento enogastronomico e culturale basato su pietanze e spettacoli rappresentativi di una o più nazioni all’interno dei cinque continenti. I numerosi partecipanti si sono avvicinati a nuovi mondi e sono stati stimolati a conoscere culture diverse dalla loro. Allo stesso tempo le numerose comunità di stranieri residenti nelle zone della Provincia si sono ritrovate in un angolo di patria a condividere i sapori della loro terra natia nella nuova casa di emigranti. L’estate è una stagione d’oro per l’integrazione, è il tempo delle feste all’aperto, delle chiacchiere seduti davanti all’uscio di casa, delle passeggiate in compagnia e di tutto quello che il sole ci spinge a fare con addosso quella sensazione fresca e allegra di avvenire luminoso, di ritmi lenti e riposo benefico, di ferie in sostanza. I metereopatici sanno bene di che sensazione stiamo parliamo. L’approccio con cui si affrontano le vicissitudini quotidiane, quindi, dovrebbe essere più propositivo (almeno per quell’italiano su quattro che si sente condizionato dal bel tempo), benevolmente aperto al nuovo. Ma la curiosità và stimolata e così come Ostramondo anche ad Apiro si svolge ogni anno il festival Terranostra dove si esibiscono compagnie di danza folkloristica provenienti da tutto il mondo. Questi sono solo due esempi riusciti di approccio all’integrazione, perché tutto parte dalla conoscenza e dal confronto pacifico, magari a tavola, mentre si guarda uno spettacolo di danza e si ascoltano ritmi musicali dalle originali sonorità. WM
Osservare e sperimentare sono l’approccio migliore che occorre sostenere per il bene di ognuno di noi, per una convivenza veramente fruttuosa e piena di sfaccettature, come l’anima di un uomo. Prima di confrontarci, divertiamoci a conoscerci.
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UBI >< Banca Popolare di Ancona
lancia I Want Tubì per i ragazzi che vogliono crescere Ampliate le offerte dell’istituto bancario dopo il libretto Clubino e la carta Enjoy:nuovo conto corrente per i giovani (13-17 anni) all’1% d’interesse e senza spese
L’anno scolastico ha fatto appena in tempo a ripartire e UBI >< Banca Popolare di Ancona si presenta ai ragazzi delle scuole medie e superiori con I Want Tubì, un prodotto specifico dedicato al loro mondo e ai lori interessi. L’idea del prodotto ed il nome stesso (onomatopeico, tradotto dall’inglese, “io voglio essere”) prendono infatti spunto dalla considerazione che la sfida più stimolante e impegnativa degli adolescenti è conquistare indipendenza ed affermare la propria personalità, in una varietà di passioni da condividere soprattutto con gli amici. Per i genitori si tratta senza dubbio di un utile strumento per accompagnare i loro figli in questo percorso, per aiutarli a crescere in autonomia e consapevolezza. I Want Tubì è un conto corrente a zero spese con tasso di interesse dell’1% (imposta di bollo a carico della banca) che associa un incredibile mix di servizi, di opportunità per la formazione, il divertimento e la socializzazione. Insieme al conto, i ragazzi possono scegliere la carta I Want Tubì, abbinata ai circuiti Bancomat, PagoBancomat e Maestro, dotata dell’innovativa funzione On/Off che consente di abilitare e disabilitare la carta in totale autonomia, per viaggiare e muoversi senza pensieri. Resta inteso che i genitori possono
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definire i limiti di spesa della carta, che non è comunque abilitata all’utilizzo presso alcune particolari categorie di esercenti. Con il servizio di internet banking gratuito, è possibile controllare in tempo reale le spese e la disponibilità del conto. All’apertura del conto presso tutte le filiali della UBI >< Banca Popolare di Ancona, il ragazzo riceve un kit in cui vengono presentate tutte le iniziative incluse in I Want Tubì e in particolare gli sconti a cui può accedere, grazie alla collaborazione con partner e marchi di interesse per il target. Chi aprirà il conto corrente, riceverà subito in omaggio anche un buono per scaricare gratis 15 brani musicali in mp3 ed un mese di streaming illimitato su un portale online, che conta oltre sei milioni di brani. Non è tutto, perché UBI >< Banca Popolare di Ancona ha pensato anche al percorso di apprendimento di tanti giovani. I titolari di I Want Tubì possono infatti concorrere all’assegnazione di una Borsa di Studio UBI Banca - Intercultura per trascorrere l’anno scolastico 20122013 all’estero. In più, partecipano al concorso “I want tubì the winner” che mette in palio 5 scooter Scarabeo con casco di sicurezza oppure, a scelta del vincitore, un computer portatile Apple. Il superpremio finale è un viaggio da sogno a cui potrà partecipare tutta la famiglia, con la
possibilità di scegliere destinazione e durata. Con questo prodotto dedicato ai ragazzi fra i 13 e i 17 anni, UBI >< Banca Popolare di Ancona arricchisce l’offerta dedicata al segmento giovani che ha visto nel corso degli ultimi due anni la nascita del libretto di risparmio Clubino (riservato ai bambini di età compresa fra 0 e 12 anni) e della carta “contro corrente” Enjoy, sottoscrivibile a partire dal raggiungimento della maggiore età (18 anni). WM
E venti
Artigiani in fiera
Partner Istituzionali per L’artigiano in Fiera Comune Senigallia Comune Fano Provincia di Ancona Camera di Commercio di Ancona Unioncamere
Incontriamo Michela Fioretti, Direttore dell’Expo Marche, per fare il punto su cosa si è fatto e soprattutto cosa si farà per dare lustro all’artigianato marchigiano Prima di guardare al futuro, una piccola parentesi la dedichiamo alla Mostra Mercato Regionale dell’Artigianato tenutasi a Fabriano dal 15 al 18 settembre. L’evento è dedicato all’artigianato sia di produzione che artistico. In più quest’anno una sezione dedicata alla carta, per parlarne nel senso moderno del termine: tutta la filiera economica della carta nonchè i prodotti unici che l’artigiano con questa materia antica riesce a creare. “Il nostro grazie va anche alle aziende che hanno deciso di credere in questa nuova sezione della mostra e che hanno esposto a Palazzo del Podestà le loro creazioni”. Una rete, quella costruita dall’Expo Marche, fatta da piccole realtà artigianali e da aziende affermate, nonché da case editrici; perché importante è anche comunicare ciò che si fa e farlo nel migliore dei modi. “Quello che vogliamo fare, non è solo offrire la vetrina a chi partecipa agli eventi organizzati dalla Expo Marche, ma fare mettere in contatto soggetti che abbiano interesse a creare sinergie; oltre alla presenza alla fiera, anche possibili e interessanti collaborazioni future che possano aiutare l’artigiano”. Fabriano è stata la tappa zero per un nuovo modo d’intendere la White Economy, la base per iniziare percorsi nuovi, che possa essere di spunto per dare il la ad una nuova imprenditoria fondata sulla carta. E per l’inverno cosa ha in serbo l’Expo Marche? “Stiamo preparando insieme a GE.FI (società milanese che organizza la manifestazione) la partecipazione collettiva degli artigiani marchigiani all’Artigiano in Fiera di Milano. Ormai alla 16° edizione, la fiera ha sempre visto la partecipazione dell’Expo Marche che segue le aziende della nostra Regione che vogliano esporre. Abbiamo un’area assegnata di circa 1000mq e le aziende che aderiscono con noi godono delle stesse condizioni applicate dalla Fiera Milano. In più però offriamo un vantaggio: sfruttare la nostra rete, le nostre
sinergie locali nonché avere il servizio e l’assistenza in fiera”. Un’attività molto importante quella dell’Expo Marche che si fa promotore delle attività artigianali regionali a livello nazionale. “L’unica cosa che chiediamo alla Regione Marche è di aiutarci a personalizzare l’area anche perché è un momento di promozione non solo aziendale ma anche turistico nei giorni della fiera a Milano transitano circa 3milioni di visitatori, famiglie che devono decidere dove programmare le vacanze”. Un’iniziativa enorme ed unica nel suo genere a livello mondiale: una grande fiera, con 3mila espositori provenienti da tutto il mondo, 5 padiglioni dedicati all’Italia, 2 all’Europa e 2 al resto del mondo. E i marchigiani? “Riusciamo a portare circa una sessantina di espositori ogni anno”. Ma come mai, così tanti visitatori per una fiera non per addetti ai lavori? “E’ la formula, il mix di fattori offerti che è vincente. Primo il periodo: svolgendosi prima di Natale, il regalo è un must. Ci sono tantissimi punti ristoro; noi stessi ne gestiamo uno per il comune di Senigallia: Verdicchio e Pesce Azzurro. Mettiamo in piedi un vero e proprio ristorante con uno chef professionista, insegnante all’Istituto Alberghiero di Porto Sant’Elpidio e di Senigallia: due scuole che ci accompagnano ormai da anni in questo progetto e che danno agli alunni la possibilità di fare uno stage formativo in fiera”. WM
Tante possibilità per fare rete dunque: perché non coglierle?
Espositori presenti a Fabriano Box Marche Spa Cartilia Librare Kube Design Digitall Paper’s Fashion Il lavoro editoriale Theta Edizioni
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Due titolari: i fratelli Luca e Martino Lombardi. La professionalità è la missione dei fratelli Lombardi: si sono circondati di collaboratori giovani e ben preparati, che studiano e presentano numerose soluzioni tra le quali il cliente potrà scegliere. Unici concessionari per le Marche di un materiale rivoluzionario, il Re-Board, sul quale stampare e con il quale realizzare supporti di ogni tipo.
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Un’azienda, quella di Monsano, con esperienza ormai decennale che approccia il mercato in maniera innovativa e grintosa, sposandosi ad ogni tipo di esigenza del cliente
CHIAVI IN MANO Che cosa differenzia Digitall dai suoi competitor? Dinamismo, innovazione, capacità di rapportarsi a qualsiasi target di clientela. La costante cura della qualità e del servizio sono le marce in più della Digitall: materiali e tecnologie all’avanguardia con una forte attenzione al design. Tante idee innovative, in grado di rendere la stampa digitale qualcosa di costantemente nuovo. Un architetto professionista, specializzato nella progettazione con Re-board, fornisce idee, assistenza, supporto in ogni fase, fino alla migliore realizzazione. Digitall è un mondo a 360°, dotato delle più moderne tecnologie, un universo a disposizione del cliente, che potrà scegliere la soluzione migliore per le sue esigenze, accompagnato da professionalità e qualità.
Biologico:
una scommessa vinta
di Eleonora Baldi
Quella che parla per bocca di Francesca è la terza generazione dei Petrini: suo nonno iniziò ad occuparsi di olivicoltura già dagli anni ’60, ma fu il papà tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90 a puntare con grande lungimiranza ed intuizione sul biologico. I motivi di questa scelta sono sia salutistici che legati alla conformazione tipica del territorio e, non ultimo, alle richieste che piano piano iniziavano ad arrivare da parte dei consumatori. E l’orgoglio di Francesca nel raccontare di questa sfida intrapresa dal papà in tempi non sospetti si allarga anche alle Marche tutte. “Dovreste sottolineare – ci suggerisce – come la regione Marche sia stata la pioniera in termini di legiferazione su una materia importante come quella del biologico, in anni in cui non c’era ancora una politica comunitaria unitaria, ma solo norme a carattere molto generale”. “Questa impostazione io l’ho ereditata anche se non è stato facile: devi anche condividere le scelte di chi è venuto prima di te! E per farlo devi crederci. E io e mio fratello lo abbiamo fatto. E’ stato bravo mio padre a trasmetterci ed
insegnarci i valori. Il passaggio non è stato così indolore. Ai tempi di mio padre seguire il biologico significava sfidare il mercato: non si sapeva se avrebbe avuto successo. E anche per noi la sfida è continuata. Probabilmente nell’essere donna è insita una certa ricerca di sfide, di strade non facili da percorrere e questo atteggiamento mi ha molto aiutato e di conseguenza ha aiutato l’azienda: non mi sono mai accontentata e queste sfide ci hanno fatto crescere e ci aiuteranno a farlo ancora!”. Il salto nel buio iniziale però si è trasformato ben presto in una certezza: il settore del biologico è tutt’ora in crescita nonostante le ben note difficoltà del nostro Paese. “E’ un settore sano in tutti i sensi!” afferma Francesca Petrini sorridendo e sottolineando come sano sia anche il terreno dal quale nascono le olive della Fattoria Petrini, ricco di sostanze organiche il che significa fertilità ed ottima qualità.
IL LUPO DI MARE E per quanto riguarda appunto la qualità, come si fa a certificarla? “Ovviamente i nostri prodotti sono certificati. Ci sottoponiamo a dei controlli effettuati dall’IMC – Istituto Mediterraneo di Certificazione – che è uno degli Enti accreditati dal Ministero dell’Agricoltura che rilascia la certificazione. Molti pensano che essa non sia altro se non ulteriore burocrazia. In questo caso devo dire che è una della poche burocrazie accettabili perché è necessario avere un controllore esterno che sondi tutto il sistema di gestione aziendale, tutto il percorso di filiera dall’albero al prodotto finito per garantire la tracciabilità e la rintracciabilità: si parla di sicurezza alimentare e si deve tutelare sia il consumatore che l’azienda. Sarebbe troppo facile altrimenti dire semplicemente “io faccio biologico”. Soprattutto per chi vuole rivolgersi al mercato estero è fondamentale. Il mondo del consumo richiede e giustamente sempre più garanzie. Il nostro ruolo non è solo produrre: abbiamo una responsabilità sociale”. Quant’è importante oltre che fare un prodotto di qualità, saper comunicare questa eccellenza? “E’ praticamente fondamentale! E’ inutile fare prodotti di qualità elevata se non si riesce a farlo percepire e capire al
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consumatore. Ormai non sento di presentare più la mia azienda come semplicemente di produzione ma in un certo senso anche di “servizi”: devi garantire anche una spiegazione del tuo prodotto perché altrimenti quando si trova lì sullo scaffale è uguale agli altri. Fare comunicazione è basilare, così come produrre. E bisogna farlo in maniera chiara ed inequivocabile, accompagnando il cliente nella presa di coscienza del prodotto che offriamo. Fidelizzare è importante e l’unico modo per farlo è spiegare a chi compra cosa compra. Non avendo risorse milionarie da spendere in spot pubblicitari, ho scelto vie alternative; ad esempio eventi organizzati qui in azienda oppure appoggiandoci ad altre strutture nei dintorni. A cambiare sono anche i
Di Valentina Viola
PETRINI OLIO PLUS
L’olio è un elemento base della dieta mediterranea, ricco di nutrienti quali polifenoli,
vitamina E che con la loro azione antiossidante aiutano a prevenire l’arteriosclerosi, le malattie cardiovascolari, l’invecchiamento cellulare e la composizione in acidi grassi prevalentemente monoinsaturi, tutte qualità esaltate dall’utilizzo in fattoria Petrini di olivi monocultivar. Queste proprietà salutari nel Petrini Plus, sono integrate con le vitamine D3,K1,B6,non soltanto per fornirne buona parte della razione giornaliera raccomandata ma bensì, per permettere un maggiore assorbimento di calcio. Infatti una funzione della vitamina D3 è quella di promuovere l’assorbimento, la deposizione e il riassorbimento del calcio nell’osso. La vitamina K svolge un importante ruolo protettivo nei confronti dell’osteoporosi, poiché regola l’azione di una proteina, componente della matrice ossea, nelle sue forme attive biologicamente: l’osteocalcina, che a bassi livelli di vitamina K è inattiva. Studi recenti vedono nella B6 un’azione sia preventiva che protettiva dalle patologie cardiovascolari e del tessuto scheletrico, tramite la regolazione dei livelli di omocisteina nel sangue.
target: con un linguaggio ti puoi rivolgere al consumatore finale, offrendogli degustazioni e spiegandogli le proprietà, il gusto, le caratteristiche di ciò che assapora e cercando di far capire le differenze tra i vari oli: e di questo, essendo degustatrice professionista me ne occupo direttamente io. Diverso quando ci si rapporta a platee di tecnici, come medici ad esempio. In questo caso ci rivolgiamo a figure come biologi, nutrizionisti. Oppure ci si avvale della collaborazione scientifica data dell’Università. Si costruisce una rete, anzi tante reti. Vantiamo collaborazioni. E lo dico con orgoglio date le dimensioni della nostra azienda, con l’Università Politecnica delle Marche, con la Facoltà di Medicina, con l’Università di Bologna e con importanti enti ospedalieri che testano i nostri prodotti: significa che i nostri prodotti e il nostro modo di operare danno fiducia, a 360°. E noi ci teniamo molto. La qualità del prodotto ormai è intrinseca all’olio Petrini; oggi vanno curati tanti altri aspetti. Un grande investimento lo facciamo costantemente in questo modo anche in ricerca e sviluppo”. WM
Ma la fattoria Petrini pur essendo fortemente integrata nel territorio, guarda anche al di fuori dei confini nazionali…e con ottimi risultati! “Ci rivolgiamo prevalentemente al mercato europeo. Ovviamente mi riferisco a segmenti di nicchia, quelli che hanno a che fare con il prodotto biologico, con un mercato di alta qualità, quello degli intenditori, dell’alta ristorazione, del salutistico: quelli che hanno la cura di esaltare determinate virtù del prodotto. La politica del prezzo non fa per noi, non potremmo e non vogliamo competere su questo terreno. La qualità, riconosciuta anche grazie ad importanti concorsi internazionali, è la nostra carta in più. La vittoria di premi di rilievo è stata molto importante, penso per esempio all’Ercole Olivario che è considerato il premio più importante a livello nazionale ed internazionale ed abbiamo avuto riconoscimenti anche dalla Germania e dalla California, segno che la cultura dell’olio ormai si è diffusa. Noi andiamo dove c’è cultura, dove pagare di più un prodotto è una scelta perché si capisce cosa si sta acquistando”.
OLIO ANFORA GIOIELLO Whymarche.com 19 Why
Una “chicca” di Monte San Vito il Frantoio storico S. Dolci del 1688
La virtù del dire di no
di
Sara Schiarizza
A tu per tu con Sabrina Sartini, sindaco di Monte San Vito, scopriamo perché il suo è un Comune Virtuoso
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“Il nostro essere un Comune Virtuoso nasce dal sapere mettere in atto tutta una serie di politiche della virtù ambientale: preservazione del territorio sia a livello urbanistico che sotto l’aspetto della valorizzazione delle peculiarità agricole che abbiamo. Siamo attentissimi a fare in modo che Monte San Vito sia preservato dalle strutture di grande impatto. Siamo vicini alla raffineria, alla ex discarica di Chiaravalle, a una serie di centrali che ci circondano, ma nulla di tutto ciò è nel nostro territorio. Quando parlo di buone politiche parlo dell’adozione di atti a tutela dell’ambiente. Ad esempio, quando ci è prevenuto un progetto della Terna Spa che prevedeva la realizzazione di un elettrodotto di grande potenza che avrebbe coinvolto anche il nostro territorio, anzi una parte molto bella ed incontaminata che si trova nelle frazione di Santa Lucia, abbiamo deliberato sia come Giunta che come Consiglio il diniego. Questo elettrodotto Fano-Teramo interessa molti comuni e il nostro no ha fatto scalpore perché è stato l’unico ufficiale deliberato dall’Istituzione locale. E questo lo dico con orgoglio. Altra cosa importante è l’utilizzo da parte nostra dei Tavoli della Copianificazione provinciale per ciò che riguarda la realizzazione di grandi infrastrutture, come le strade. Poco tempo fa, si parlava della realizzazione di un tratto che avrebbe tagliato a metà la Frazione Cozze, altro territorio per noi da tutelare, e anche in questo caso ci siamo opposti. E questo pur andando contro ai pronunciamenti della Provincia e della Regione, nonché ad interessi eco-
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nomici e commerciali ma a preservazione del territorio. Un territorio vocato sì alla produzione agricola –olio, vino e lo, stiamo riscoprendo, il pomodoro di Monte San Vito - ma anche a un turismo di altissima qualità: abbiamo bellissime strutture agrituristiche per larga parte acquistate da svizzeri e da tedeschi e anche americani che attirano per tutto l’anno turisti. Molti di loro, stranieri, hanno acquistato e ristrutturato proprietà nel nostro Comune. E per mantenere e migliorare l’attrattiva turistica di Monte San Vito aderiamo a vari circuiti come quello delle Città dell’Olio – anzi stiamo pensando di organizzare proprio da noi l’edizione 2011 del GirOlio che prevedrebbe una mostra degli oli pregiati della nostra zona, un convegno sull’olio d’oliva e la staffetta ciclistica da Monte San Vito a Cartoceto - o della Bandiera Verde. La nostra ricchezza è questa: il territorio! Sia da un punto di vista ambientale che estetico, testimoniato anche dall’alta qualità delle strutture ricettive”. L’unico cruccio? Presto detto: il non essere profeta in patria. “Abbiamo una serie di piccole eccellenze, gioielli che però non sono debitamente apprezzate e conosciute. E comunque molto di più richiamano l’attenzione degli stranieri. Secondo me è un problema che riguarda la nostra cultura: noi marchigiani tendiamo ad essere troppo discreti, al limite dell’incapacità di promuovere quello che abbiamo. Noi ci stiamo muovendo anche attraverso il Sistema Turistico della Marca Anconetana perché vogliamo emergere.” WM
Lo potete trovare al civico n.15 di Via Gramsci: è li da oltre 300 anni, ma rimane bellissimo. Il mulino dell’olio S. Dolci, dopo un importante intervento di recupero e restauro, è oggi sede di un museo. Questo antico frantoio rappresenta un simbolo della civiltà e della cultura monsanvitese. Al centro, campeggia una potente macina di pietra che, grazie a un meccanismo a leve e alla forza dell’asino, frantumava le olive. Quel che rimaneva, finiva nei fiscoli che venivano poi pressati da grosse presse di legno azionate a mano. Il trave di legno sul quale sono inserite le due presse è del 1770, mentre la pressa è del 1857.
A due passi dal mare,
di
Michela Marconi e Antonio Lazzari
Ripatransone
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Da tempo i turisti che vengono dalle nostre parti si sono accorti che non solo il mare ma anche le colline a ridosso della costa riservano piacevoli sorprese, adatte a ogni tipo di villeggiatura. D’altra parte che c’è di meglio di una passeggiata lungo le antiche vie di un borgo marchigiano? A Ripatransone, per esempio, una delle 184 Bandiere Arancioni d’Italia (marchio di qualità turistico ambientale del Touring Club). Per arrivarci è sufficiente percorrere solo una quindicina di chilometri dalle spiagge di Grottammare e San Benedetto del Tronto. Durante il tragitto (vi consigliamo la Strada Provinciale n. 23) si offrono al vostro sguardo magnifiche aperture paesaggistiche su colline e suggestivi gruppi di calanchi - originati da incessanti fenomeni di erosione - che potete ammirare in direzione nord-ovest avvicinandovi al paese. Una volta arrivati e oltrepassata la porta medievale delle mura, vi suggeriamo di parcheggiare a metà circa di via Giacomo ; il panorama che si gode da questo punto è straordinario: un mare verdeggiante di vigneti, uliveti e terreni scrupolosamente lavorati formano una variopinta scacchiera e, verso l’orizzonte, il Monte dell’Ascensione, la Montagna dei Fiori, il Gran Sasso, i Sibillini e i Monti della Laga, con le loro grandi sagome scure si stagliano sull’azzurro del cielo. Se amate la pittura, quando arrivate in piazza Condivi (pittore e scultore ripano, biografo di Michelangelo, che nacque nella casa di fronte al duomo) non perdete la meravigliosa pala d’altare nella cattedra-
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le - seconda cappella a destra - che raffigura una Madonna col bambino e i santi Gregorio Magno e Margherita, protettori del paese. Per la sua bellezza gli storici dell’arte suppongono che l’autore sia Orazio Gentileschi, geniale pittore toscano del ‘600, seguace del Caravaggio. Sulla piazza principale potete ammirare il palazzo municipale e il maestoso Palazzo del Podestà, la cui mole romanico-gotica testimonia che il paese fu un fiorente comune nel medioevo. Al suo interno c’è un piccolo teatro ottocentesco, gioiello di acustica e decorazione intitolato a Luigi Mercantini, il patriota ripano autore della celeberrima poesia “La spigolatrice di Sapri”. Chi non ricorda i versi: “eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti.” ? Di fronte al palazzo potete visitare l’interessante museo archeologico che custodisce numerosi reperti che vanno dalla preistoria all’epoca altomedievale. All’ingresso vi accoglierà il professor Giannetti,
Una curiosità da non perdere
assolutamente è il vicolo più stretto d’Italia: dopo un breve percorso arrivate in questo angusto vicoletto, largo appena 43 cm (l’ufficio turistico rilascia un “attestato” per il suo attraversamento), che sconsigliamo però ai più robusti che rischierebbero di rimanervi incastrati! Scendendo poi lungo via Santa Margherita e via Garibaldi giungete in un luogo suggestivo: una folta vegetazione circonda un’ampia radura dove si trova l’antico lavatoio del paese, oggi trasformato in un teatro all’aperto per spettacoli e concerti vari durante la stagione estiva.
Il paese col vicolo più stretto d’Italia e tanto altro
Per saperne di più:
Alfredo Rossi, Vicende ripane. Carrellata storica, Centobuchi (AP) 2007. Luigino Cardarelli, Le parole ritrovate, con ampia documentazione di proverbi, modi di dire, minacce, imprecazioni, soprannomi, poesie e molte curiosità del dialetto di Ripatransone, Ripatransone 2006. Antonio Giannetti, Ripatransone. Guida storicoturistica, Ripatransone 2003. Luigi Piergallini, Il cavallo di fuoco, Ripatransone 1995 Giorgio Settimo, Profilo storico di Ripatransone, Ascoli Piceno 1979.
bibliotecario e storico locale, che vi guiderà per le sale del museo: la sua passione per la sua terra e per l’antichità vi contagerà. Per rimanere in tema di musei, vi suggeriamo quello civico ospitato nel seicentesco Palazzo Bonomi-Gera, che comprende la pinacoteca, la raccolta delle sculture dell’artista novecentesco Uno Gera, il museo del risorgimento e una collezione etnografica. Se amate la buona cucina, Ripatransone offre le tipiche specialità gastronomiche picene, olive fritte e maccheroncini di Campofilone “uber alles”, e i numerosi vigneti disseminati sulle colline circostanti garantiscono ottimi vini; infatti siamo nell’area del Rosso Piceno, vino forte e generoso, adatto a piatti di un certo spessore. In tutte le stagioni sarà facile imbattervi in manifestazioni o sagre che offrono la possibilità di degustazioni enogastronomiche per le vie del paese, come la Festa del vino a fine luglio, il Puzzle gastronomico ad agosto o la Supercastagnata alla fine di ottobre, solo per citarne alcune. Tuttavia la manifestazione più caratteristica e amata di Ripatransone si tiene la prima domenica dopo Pasqua: il Cavallo di Fuoco, uno spettacolo pirotecnico in onore della Madonna che, secondo la tradizione, risale al XVII secolo. La sagoma di un cavallo, completamente rivestita di petardi e mortaretti, viene trasportata lungo la via principale del paese mentre fa fiamme e scintille da tutte le parti; la violenta e continua esplosione di fuochi spaventa e allo stesso tempo attira i numerosi spettatori accalcati lungo la strada, dando vita a ondate di gente che fluttuano a seconda dei movimenti del cavallo. L’evento è stato riconosciuto dal Ministero del Turismo come “patrimonio d’Italia per la tradizione”. Per queste e tante altre cose da scoprire, come resistere a una visita a Ripatransone? WM
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I pensieri di Francesco...
“C’è una forte la voglia di perdermi, di stare lontano dalla spiaggia affollata, di essere solo noi e la terra e l’aria. Forse c’è che sono stufo di essere sempre in connessione, sempre visibile, sempre presente. Ho voglia di essere scollegato, lontano, irraggiungibile. Ho voglia di essere lento, semplice, di consumare il meno possibile. Ho voglia di camminare e basta, senza dover dire niente, senza spiegazioni e forse anche senza senso. In questo viaggio non ho voglia di essere connesso e non ho bisogno di trovare niente. Ho solo voglia di perdermi”.
...e le parole di Valentina
“Qualcuno ha detto che il senso del viaggio non e’arrivare, ma viaggiare. Guardare lo stesso oggetto con un’occhiata fugace, uno sguardo più attento, circospezione vigile ci rivela l’esistenza di tre oggetti diversi. Lo stesso vale per un luogo vissuto di passaggio, o da fermo, o in movimento. Io e Francesco abbiamo scelto il movimento, quello lento però, quello per certi aspetti più umano. Ad andare a piedi ora, se ci si guarda attorno, sembra quasi di star fermi, perché è tutto molto veloce. Abbiamo deciso di fare un viaggio a piedi nelle Marche, nostra regione d’origine, per vedere con altri occhi sentieri già percorsi, abbiamo scelto l’esotismo del vicino di casa. Io, figlia del mare, ho iniziato solo di recente ad appassionarmi alla montagna, per un bisogno sempre più profondo di contatto con la natura, dovuto forse all’urbanismo che mi soffoca. In più, senza Dio, nella natura ritrovo la mia spiritualità, il legame col mondo. Il nostro viaggio è anche una maniera di stringere ancora più forte un legame con una parte di mondo, questa terra che, almeno con me poco generosa, viviamo ormai da visitatori saltuari, ma fedeli. Vorremmo passare dall’occhiata fugace, almeno ad uno sguardo attento”. Testo e immagini: Francesco Cingolani | immaginoteca.com | + Valentina Brogna.
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Dalle spiagge affollate ai treni a gasolio lentissimi sulla via di Ascoli Piceno, poi su strade tutte storte verso Arquata, il passaggio è rapido e quasi impercettibile. Poco a poco perdiamo velocità e diventiamo stranieri a soli pochi km dal nostro paese. Poco a poco c’è piùverde e ritrovo un po’di intimità. Arquata sembra un fantasma. Mi rassicura vedere che la vita vada avanti anche qui, lontano dal mio mondo, dalle macchine, dalla tecnologia, dalla complessità’. Tornando al B&B, la sera all’ora di cena, sentiamo puzza di camino e intravedo una coppia di signori dentro una casa. “Saranno stati insieme una vita”- sembrava un’evidenza. Andiamo a letto col taglio blu notte del Vettore. Lui sta lì e sembra volerci rimanere per un bel pezzo Pure questo mi rassicura e, allo stesso tempo, mi intimorisce un po’.
02/08/2011
04/08/2011
INTRAVERSO è un’idea di Fabio Curzi. La nostra versione di INTRAVERSO è un viaggio di Francesco Cingolani e Valentina Brogna. La rivista whymarche ha collaborato in qualità di media partner del progetto. Un ringraziamento speciale va all’agriturismo bioecologico La Quercia della Memoria, per la loro disponibilità e apertura. Grazie anche a tutti quelli che, più o meno direttamente, hanno partecipato al viaggio intraverso. Francesco e Valentina stanno programmando per il prossimo anno il progetto INTRAVERSO 2012, un giro d’Italia a piedi, seguendo sentieri poco battuti, che evita le grandi vie di comunicazione a favore di strade più lente, meno conosciute, più intraverse.
Per maggiori informazioni : www.intraverso.org
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Da Montenovo a Ostra Vetere Un campanile unico nelle Marche ed una storia nobile che risale all’Antica Roma
Ostra Vetere
>>> Geolocalizzazione Google Maps
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Casa di terra e di paglia La casa di terra di Ostra Vetere è un interessante esempio di un’architettura “povera” tipica delle campagne marchigiane. Costruita all’inizio del Novecento e abitata sino alla metà del secolo, è stata acquistata e restaurata dal Comune. Un Decreto Ministeriale del 29/11/1982, ha riconosciuto alla casa di terra un interesse particolarmente importante in quanto “manufatto risalente ai primi del ‘900 d’interesse etnografico in cui invenzione umana e condizionamento naturale, documentano l’impiego di un’antichissima tecnica costruttiva che ha presieduto alla formazione dei primi insediamenti rurali, integro nella sua tipologia d’impianto e di grande importanza per lo studio e per l’evolversi di un tipo edilizio legato alla cultura contadina. Abitazione rurale tipica chiamata con il nome di “atterrato”, rappresenta uno dei pochissimi esempi rimasti nelle Marche centro-settentrionali”.
Il centro storico custodisce un patrimonio artistico religioso di tutto rispetto. Da visitare la chiesetta del SS. Crocifisso, con affreschi dei secoli XV e XVI, alcuni dei quali attributi a G.B. Lombardello, artista locale attivo nel ‘500; la chiesa di San Severo, con un mirabile portale romanico proveniente dalla ormai scomparsa chiesa di S. Francesco, di cui rimane il chiostro dell’annesso convento nel quale sono visibili affreschi di vita francescana; l’abbazia di Santa Maria che reca al suo interno una pala d’altare di grande valore, eccezionale testimonianza dell’arte della scagliola; il palazzo municipale che ospita un affresco proveniente dalla chiesa di S. Francesco raffigurante la Vergine assisa in trono con il Bambino e i Santi, datato 1471. Particolare interessante di questo affresco è la rappresentazione del globo terrestre, tenuto in mano dal Bambino, nel quale sono indicati solamente tre continenti (Europa, Asia e Africa), considerato che del “Nuovo Mondo” si sentirà parlare soltanto qualche decennio più tardi. Sempre passeggiando nel centro storico, vi segnaliamo il bel Palazzo Poccianti (sec. XV-XVI) di forme rinascimentali con un bel portale in arenaria, appartenuto alla famiglia Poccianti proveniente da Ragusa, l’odierna Dubrovnik in Croazia. Il palazzo, oggi di proprietà comunale, è in fase di completamento di restauro. Nella parte già restaurata si trova una sala espositiva ed un auditorium. Una visita al Museo Civico Parrocchiale di Ostra Vetere potrebbe concludere la nostra visita virtuale del centro storico. Il Museo ha sede nell’ala principale dell’ex convento di S. Lucia che ha ospitato l’Ordine delle Clarisse dal tardo Medioevo all’Ottocento. All’interno opere d’arte di proprietà comunale e parrocchiale e la biblioteca storica dei Frati Minori Riformati affidata al Comune dal 1869 e la cui fondazione data 1645. WM
La storia di un vino NoN la storia del viNo: come si ottieNe il prezioso Nettare, lo sappiamo tecNicameNte. vogliamo capire l’emozioNe che c’è dietro. e per farlo, raggiuNgiamo paola cocci grifoNi Nella sua teNuta a ripatraNsoNe
È una donna forte Paola
, proprio come le viti che producono il vino della Tenuta Cocci Grifoni. Come loro, ha dovuto resistere alle intemperie, superare difficoltà per riuscire alla fine ad ottenere un nettare dolce. Quello dei suoi vini, amati ora da lei come lo erano da suo padre. La casa vinicola di San Savino di Ripatransone ha una vita relativamente giovane, la prima bottiglia risale al 1970 con le uve del 1969: un Rosso Piceno Superiore. Ma nell’arco di 50 anni ha già dovuto superare un passaggio generazionale reso ancora più problematico dalla drasticità dell’evento. Da quando papà Guido non è più al timone dell’azienda, a portare avanti una politica fortemente legata al territorio e alla qualità ma anche alla sperimentazione che da sempre ha caratterizzato la Tenuta Cocci Grifoni, sono le tre donne di casa: mamma Diana e le due figlie, Paola e Marilena. Un tocco tutto femminile dunque quello che si cela dietro i vini Tenuta Cocci Grifoni. Whymarche.com 27
Chiara Giacobelli di
Il rapporto tra la Tenuta Cocci Grifoni ed il territorio: che tipo di legame c’è? “Il territorio è uno dei credo sui quali da sempre si fonda la nostra azienda. Ci troviamo al confine tra Offida e Ripatransone. Mia mamma è di Offida, mentre mio papà nacque a Ripatransone: siamo “segnati” da questa duplicità! La nostra dimora è qui, la famiglia da sempre è vissuta in questi territori, già dai primi anni del ‘900: c’è un rapporto estremamente forte con questa terra. Mio padre non avrebbe mai pensato di spostarsi da qui. E questo legame l’ha trasmesso anche a noi figlie. Io vivo a Grottammare, ma salire questi colli mi fa sentire a casa, fa parte del mio sistema di vita. Sentire i profumi della sera quando poi riscendo verso il mare, in macchina con la musica a tutto volume è uno dei piaceri della mia vita…come un bel calice di vino!”
Indaghiamo un po’ di più sulla storia della Tenuta Cocci Grifoni e sulle tante sfide intraprese nel tempo. “La Tenuta Cocci Grifoni ha alle spalle 41 anni di attività e si è sempre distinta nella volontà di proporre sfide continue legate alle ideologie e alle caratteristiche familiari, portando avanti come ti dicevo il credo del territorio. Alla fine degli anni ’60 la scelta è stata quella di iniziare ad imbottigliare, quando il Piceno era una delle zone più famose per il vino in cisterna. Altra sfida è stata quella di creare un vino bianco: siamo stati tra i primi ad imbottigliare la Passerina, un vino veloce, leggero. Il Pecorino invece non era oggetto di interesse perché produceva pochissimo e non era coltivato nelle zone collinari. Papà mise in piedi negli anni ’80 un gran lavoro di ricerca, studio e recupero del Pecorino: siamo usciti con questo vitigno nel 1990 con il vino Podere Colle Vecchio, in controtendenza ancora una volta, ma ancora una volta abbiamo avuto ragione!Poi si aperto un altro scenario: quello dell’internazionalizzazione. Mio papà e mia mamma hanno inaugurato un’altra sfida: spumantizzare la Passerina, per cui oggi siamo famosissimi con Gaudio Magno Spumante Brut e voglio sottolineare che siamo stati i primi a vinificarla e credere in un percorso di spumantizzazione in quanto unico in grado di esaltare tutti i profili legati a questo vitigno. Altra sfida ancora è stata quella di non aver mai utilizzato le barrique, ma sempre le botti grandi – 30,40,50 ettolitri: oggi le barrique non le vuole più nessuno!”. 28
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E il rapporto con le nuove tecnologie che sono entrate a far parte del mondo del vino, come lo vivete? Voi che siete così legati alla tradizione e alla storia? “Come qualcosa di cui non si può fare a meno! Oggi siamo molto attrezzati, abbiamo una panoramica ampia enologica, microbiologica, ampelografica, in grado di poter soddisfare tutte le esigenze. Dobbiamo difendere il nostro modo di essere, attenti alla qualità, alla ricercatezza alla non omologazione ma anche essere capaci di supportare delle masse critiche e quindi non essere più “piccoli” dal punto di vista della quantità. Anche il modo di essere comunque fa la differenza: il saper accogliere, il saper comunicare che esiste qualcosa in cui noi crediamo! Se posso alzare un piccolo velo polemico, quello che non mi piace dei cambiamenti a cui abbiamo assistito è l’esagerata burocrazia alla quale siamo sottoposti: oggi il vino sembra quasi diventato un optional! Diventa più importante seguire tutte le “carte” e le norme che seguire il vino. Ma io credo che non sia necessario tutto questo fiato sul collo: se credi nel vino e nel farlo bene, hai una tua deontologia, segui tutte le regole, perché vuoi realizzare un prodotto senza difetti”.
Un ponte tra la tradizione, la naturalità ed il presente, la frenesia... “Siamo catturati da questo mercato in continuo movimento, molto articolato, ampio, concorrenziale, globale. Dobbiamo difendere il nostro piccolo, le nostre sfide, il nostro essere diversi, l’essere legati al territorio. Comunicare la territorialità è allo stesso tempo una sfida ma anche l’unico mezzo per vincerla. Il vino ama farsi aspettare, ama essere custodito, ama il silenzio. Quando preparo i lieviti, lo faccio in totale silenzio, dentro una stanza, chiusa; perché è come far nascere una vita: il vino è vita! E ci vuole attenzione e cura perché nel momento di raffreddamento successivo all’attività fermentativa non venga perso il profilo aromatico che dipende dalla qualità dell’uva. Se quando apriamo una bottiglia assaporiamo il gusto ed il profumo che si sprigiona nel nostro bicchiere è perché abbiamo saputo seguire i tempi del vino, non i nostri, e mantenere le temperature adeguate”. Traspare un grande amore per il “fare il vino” nelle parole di Paola. Lei che è una delle poche enologhe produttrici marchigiane e Vice Presidente di Assoenologi per la Regione Marche, il vino lo conosce bene.
MAR ILEN AEP AOL A CO CCI G RIFO NI
Molto importante quindi è anche la comunicazione. “Noi organizziamo eventi, degustazioni, incontri con i giornalisti. Sapersi proporre, farsi conoscere, far assaggiare e spiegare “chi” è quel vino che si sta bevendo è da sempre una nostra politica. Mi ricordo da piccola quei grandi pullman di turisti tedeschi che arrivavano in azienda: dapprima freddissimi, controllati, silenziosi…poi dopo qualche bicchiere di vino iniziavano a cantare e non c’era più verso di farli andare via! Poi si organizzavano cene in partership con gli alberghi per far conoscere i nuovi vini. E continuiamo a portare gente qui in azienda, anche adesso che stiamo facendo dei lavori per ingrandirci: è una testimonianza del fatto che stiamo crescendo!”
Qual è il vino che eleggeresti come portatore, tra tutti quelli da voi prodotti, dei valori della Tenuta Cocci Grifoni? Anche se in questo momento sembra che ad essere preferiti siano i vini bianchi: ma io sono sicura che si riequilibrerà la situazione di gradimento. E’ il vino del territorio, della Contrada Messieri; è un Montepulciano. E poi,il rosso vestito di bianco che è il Pecorino, il Colle Vecchio: la nostra più grande sfida. L’espressione della sensazione della longevità, del se stesso, dell’essere una cosa radicata, qualcosa che appartiene al Piceno. E per continuare a promuovere il nostro territorio, non dobbiamo mai stancarci di ripetere le nostre eccellenze enologiche e dobbiamo farlo insieme!”.
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a cura di Eleonora Baldi e Marco Catalani
Se dovesse dare un giudizio sulla qualità media dei vini marchigiani, che cosa direbbe? “Due parole: decisamente alta! Negli ultimi anni,grazie alla categoria che rappresento, alle istituzioni che hanno creduto ed investito molte risorse nel settore, alle cantine ed ancor più ai produttori, la qualità dei prodotti si è alzata e non poco! La professionalità dei tecnici, unita alla grande operosità dei nostri produttori, ci ha permesso di porre sullo stesso piano i nostri vini con quelli ancor più blasonati d’Italia e del mondo, senza temere nessun confronto o avere alcun timore!”. Non le chiedo di scegliere una tra le nostre case vinicole: sarebbe antipatico! Ma di scegliere la miglior tipologia di vitigno sì! Ce ne indica uno bianco e uno rosso? “La migliore? beh..diciamo che a loro modo, sono tutti ottimi prodotti, ognuno con le proprie caratteristiche, particolarità e pregi. Scelgo il Pecorino in quanto varietà autoctona riscoperta ed apprezzata dai palati più fini, vitigno di carattere, dall’elevata struttura acidica e dai profumi intensi e minerali, esso e’ il vitigno base del vino Offida Pecorino, recentemente rivisto e che si appresta ad essere fregiato dell’appellativo di DOCG (denominazione di origine controllata e garantita). Per i rossi scelgo il Montepulciano in quanto varietà che, insieme ad altre uve a bacca rossa, va a formare vini quali l’Offida Rosso, il Rosso Conero ed il Rosso Piceno; vini dalla grande struttura e dallo spiccato carattere”. Le caratteristiche dei vini dipendono anche dalla qualità del terreno e dal clima. Quali sono le particolarità del territorio marchigiano sotto questo aspetto? “Il nostro territorio è veramente particolare, la conformazione geografica regionale si presenta come unica ed irripetibile. In nessun’altra regione italiana si possono incontrare montagne, colline, pianure e coste in modo cosi ravvicinato come da noi. L’interazione tra il terreno, l’olografia del territorio, il clima a tratti mediterraneo, fa si che i vini prodotti abbiano caratteristiche peculiari uniche e non riproducibili in altre zone. Vorrei citare alcune eccellenze viticole regionali: due rossi e due bianchi. Per i rossi basti pensare al Rosso Conero e all’Offida Rosso, vini di carattere e dalle strutture molto importanti. Per i bianchi invece penso al Verdicchio e all’Offida Pecorino, vini dai profumi eleganti, delicati, persistenti e minerali. Caratteristiche queste dovute appunto all’interazione tra qualità del terreno, esposizione, tecniche colturali e clima. A noi il compito di promuovere quello che i francesi chiamano terroir, ma che io, patriotticamente parlando, preferisco chiamare territorio ed i prodotti che esso ogni anno ci offre”.
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Una nuova e forte spinta mantiene il vino marchigiano sulla cresta dell’onda: quella degli Under 40 che ricoprono ruoli direzionali all’interno delle case vinicole e che spingono affinché si investa sempre di più. In che cosa? In promozione, in comunicazione, in professionalità, nello studio e nell’apertura di nuovi mercati. Ma non solo: anche nella conservazione della tradizione della qualità
Giovani e rampanti: il mondo degli under 40 sembra dare nuovo vigore al settore vinicolo. Rimane la tradizione del vino marchigiano, ma cambiano le politiche di comunicazione, i mercati verso i quali guardare, l’approccio al cliente. Che linea tracciate come timonieri delle vostre case vinicole?
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“Con tutte le difficoltà che il mercato globale oggi riserva sia alle nuove che alle vecchie attività, noi giovani siamo costretti ad inventarci nuove strategie e nuovi approcci al vino affinché i nostri prodotti abbiano una visibilità e soprattutto un prestigio pari a brand ormai storici. Le politiche di comunicazione sono cambiate e cambiano continuamente al giorno d’oggi, così come i mercati che funzionano ora potrebbero non avere simil sorte domani. A mio avviso, è proprio per questo motivo che bisogna essere attenti a non smarrirsi e non perdere di vista cos’è il vino e cosa questo significa per il consumatore. Sono estremamente contrario al cercare di avvicinare il consumatore cambiando il gusto dei nostri vini, cercando blend più commerciali, più facili e probabilmente più monotoni. Al contrario vogliamo avvicinare il cliente ospitandolo in cantina, organizzando incontri e serate, abbinando al vino il territorio da cui proviene ed essere un po’ i portavoce di una tradizione agricola di aggregazione e cooperazione. Le nostre etichette per esempio, sono il frutto della collaborazione con l’artista anconetana Monica Pennazzi, un vanto per noi e un modo per lei di poter mostrare i propri lavori”.
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“Un gran vino ha una personalità tale da influenzare il vostro banchetto in maniera decisiva. La capacità che una grande bottiglia ha di mettere a proprio agio ed in comunicazione i commensali è tale da determinare la riuscita di un incontro. All’interno di una bottiglia di vino è contenuta la sintesi di un’annata, in cui la successione degli eventi climatici ha contribuito a forgiare un’originalissima pozione a cui prende parte anche la mano dell’uomo e le sua esperienza. Il vino non è una bevanda bensì un esperienza, ecco perché dovreste circondarvi di “Folle” ”.
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“Quel liquido odoroso, che degustiamo in eleganti calici compagni in mille circostanze della nostra vita è sempre pronto a regalarci nuove emozioni. Il mio dovere, da giovane imprenditore agricolo, per questa recente realtà è di custodire gli otto ettari di vigneto situati nel Comune di Castelleone di Suasa(AN), dove la natura è l’artista e come tale ogni anno crea un prodotto originale che rispecchia lo stato di salute del vigneto stesso. E questo capolavoro deve potersi ritrovare anche in bottiglia, dove tutte le qualità dell’uva vengono mantenute intatte seguendo le spontanee trasformazioni, senza subire alcuna modificazione per esigenze di mercato”.
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“L’orgoglio aziendale è quello di continuare a ricevere riconoscimenti per prodotti che rispettano il rapporto tra qualità e prezzo, infatti da anni siamo segnalati nella guida Slow Food, nella guida Bere Bene low cost del Gambero Rosso e nella guida Le Marche da Bere della A.I.S. L’obiettivo di questa giovane azienda è far conoscere i propri prodotti e quindi i nostri territori ampliando il mercato locale e potenziando quello estero consapevole che ancora c’è tanto da lavorare”.
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“Il pensiero dell’enologo deve essere sempre aperto verso le mode ed i mercati perché, è vero che l’identità professionale è unica e deve essere riconoscibile, ma bisogna anche rendersi conto che il vino va fatto per essere bevuto. In 10 anni di professione ho già dovuto approcciarmi con 3 differenti cambi di rotta dei consumatori: all’inizio barrique e vini corposi la facevano da padrone, oggi ci si orienta verso vini meno alcolici e più freschi. Il consumatore attuale è più esperto e curioso. La mia fortuna è che lavorando in un’azienda di medie dimensioni e a conduzione familiare abbiamo la possibilità di interfacciarci con il pubblico e, partecipando alle varie manifestazioni organizzate dal Movimento Turismo del Vino, riusciamo quasi sempre a trasferire la nostra passione e far comprendere che dietro un’etichetta, ci sono persone che fanno il proprio lavoro con cognizione di causa e serietà. Riguardo i nuovi mercati, nelle Marche siamo ancora abbastanza indietro: spesso non sappiamo nemmeno noi cosa vogliamo fare, la maggior parte delle volte, ci adagiamo nel letto di un fiume e ci accontentiamo di seguire la corrente senza chiederci perché”.
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“Il vino per chi ci lavora è uno stile di vita, tutto gira intorno a lui. Ogni parte del mondo ha una sua tradizione enoica e la curiosità mi porta sempre più spesso a dedicargli buona parte del mio tempo. La soddisfazione più grande del produrre vino rimane per me l’idea che un giorno, la bottiglia su cui abbiamo lavorato tanto, verrà acquistata da un cliente che, magari, la aprirà durante un evento per lui importante e che, nel suo piccolo, lo accompagnerà e lo renderà allegro”.
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“Noi siamo in 7 timonieri: siamo una famiglia e ogni volta che qualcuno di noi ha un’idea se ne parla tutti insieme. A volte siamo d’accordo, a volte ci scontriamo; certo è che mio padre e mio zio sono il punto di riferimento. Quando penso alla parola rampanti penso al cavallo: io mi vedo un po’ come un puledro scalpitante perché sono giovane, ho energia e tantissime idee in continuazione. La voglia di fare e le nostre idee a volte “pazzesche” danno linfa vitale ogni giorno all’azienda; dall’altro lato grazie alla razionalità della vecchia generazione riusciamo poi a tirar fuori tra tutte le idee migliori. In una realtà familiare come la nostra e un settore particolare come il vinicolo, la rotta si decide quasi giorno per giorno, è in continuo divenire. Ad esempio, la scelta del mercato spesso la facciamo anche dopo eventi o fiere, nei quali i rapporti umani sono fondamentali e ci indirizzano a scoprire nuove opportunità”.
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“Buona parte del mio lavoro lo svolgo in negozio, quindi questa è una cosa che faccio costantemente. Ma non è questione di inventarsi qualcosa per convincere, per vendere la bottiglia di vino. Se dico una cosa è perché ne sono pienamente convinta. Un esempio? Il rosato, dicono che ora sia di moda in Italia. Bene, questo non è il punto. Il fatto è che io lo adoro e adoro il nostro rosato Kòmaros. Quando vengono clienti in negozio, per me è una sfida venderlo perché nel nostro territorio è percepito in modo “negativo”. Quello che faccio è trasmettere il fatto che mi piaccia, davvero! L’ho provato e so quello che dico: e sai quanto ne ho venduto? Perché dico il vero, non vendo fumo”.
e del gusto, quello che hanno reso celebri nel mondo i nostri vini. Giovani rampolli che non si limitano a seguire la strada tracciata dalla famiglia; che la condividono certo ma che vogliono creare qualcosa di più: immettendo idee e capitali in qualcosa in cui credono fortemente. Facciamoci raccontare da alcuni di loro il mondo del vino.
In un mercato sempre più competitivo, la differenza oltre che dalla qualità viene fatta dal contatto, dalla fidelizzazione del consumatore. Se doveste in poche parole descrivere che cosa è per voi il vino e incuriosire così chi legge tanto da portarlo a comprare una vostra bottiglia: cosa ci direste?
Giacomo Centanni Vini Centanni
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“Il cavallo di battaglia per portare avanti la nostra casa vitivinicola è la qualità, seguire la tradizione ma essere sempre al passo con la tecnologia. Questo ti permette di confrontarti con tutti e fare comunque la tua buona impressione davanti a chi è già da più tempo di noi nel settore. Il cliente ha sempre ragione quindi noi dobbiamo cercare di realizzare le sue esigenze”. “Che questo vino è frutto della tecnologia della cantina, dei nuovi macchinari, della passione che ci impiego e della tradizione che mi porto dietro, quella di mio padre e mio nonno”.
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“In un momento di cambiamento degli scenari nazionali ed internazionali non ci si può esimere dal valutare attentamente , giorno per giorno, i mercati sui quali operiamo. Senza tralasciare il mercato nazionale, più vicino a noi, ma dove oggi è sempre più difficile difendere le proprie posizioni, lo sguardo si fa attento verso i mercati esteri, quello storico nord europeo e quelli d’oltre oceano(Usa-Canada). Altra attenzione viene riservata per i mercati emergenti, come Cina, Russia, India e Brasile dove c’è da eseguire un lavoro certosino, di formazione ed informazione sulla cultura e tradizione del mondo vitivinicolo, se non ci si vuole fermare a delle vendite spot una tantum”.
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“Oggi riuscire a fidelizzare nuovi consumatori è sempre più difficile, vuoi perché i competitor rispetto a qualche anno fa sono maggiori, quindi vi è la curiosità del consumatore ad assaggiare altri prodotti, vuoi perché è cambiato il modo ed i luoghi di consumare il vino. Non basta più la solita pubblicità, alla quale oramai siamo vaccinati e per certi versi anche indifferenti, si devono trasmettere emozioni, magari costruire intorno alla bottiglia di vino una serie di eventi , situazioni, che riconducano il consumatore stesso ad associare positivamente la bottiglia di vino ad un esperienza piacevolmente vissuta. Il vino, non deve essere solo il prodotto ottenuto dalla fermentazione naturale delle uve pigiate, ma deve essere la sommatoria, di tutte le attenzioni che si riservano al prodotto, dalla cura del vigneto, alla raccolta delle uve, alla loro lavorazione ed affinamento, alla messa in bottiglia, fino al momento in cui apriamo la bottiglia e ne versiamo un calice, magari in compagnia di amici o solamente di un buon libro e riusciamo ad apprezzarne tutto il suo valore”.
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“Esattamente la stessa tracciata finora, vale a dire puntare sulla qualità. Sicuramente è fondamentale per me e mio fratello Tommaso seguire sempre la linea creata dai genitori, che nel nostro caso sono ancora molto giovani (quindi non si parla di cambio generazionale, piuttosto di affiancamento) apportando delle novità soprattutto nella comunicazione, nell’intensificare le relazioni commerciali con i clienti stranieri più fedeli e nel cercare di aprire le porte a sempre più mercati esteri. La vera pubblicità è la qualità stessa dei nostri prodotti e di conseguenza la soddisfazione che ne deriva da parte dei nostri clienti. L’obiettivo è far sì che il nostro cliente, ovunque si trovi, acquistando una bottiglia Sartarelli, sia sempre soddisfatto e che la sua prima associazione sia legata ad un prodotto di qualità. Altri punti di forza su cui far leva sono il giusto rapporto valoreprezzo, l’attento controllo della qualità, delle confezioni e del packaging in generale, nonché il servizio assicurato di volta in volta a ciascun cliente”.
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“Il vino è un mezzo di comunicazione spesso capace di unire le persone o ricongiungere personalità molto diverse fra loro. Il vino è piacere di stare insieme. Se dovessi parlare di un nostro vino, sceglierei sicuramente il “Tralivio”. E’un vino elegante, armonioso, tanto versatile quanto sincero, ma allo stesso tempo forte, come forti possono essere le donne. E’ ottimo per una serata goliardica fra amici, per una cena di lavoro, per un romantico tête à tête nonché per una tranquilla serata in compagnia solo di un buon libro. Insomma è un vino che nulla ha da invidiare al più famoso fratello maggiore “Balciana” e che rispecchia a pieno l’immagine dell’azienda Sartarelli”.
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“Sicuramente molte cose sono cambiate rispetto a qualche anno fa; le politiche di comunicazione e il marketing per la promozione dei vini si fanno più immediate e aggressive, si cercano nuovi mercati, si va alla conquista di quelli meno battuti come oriente, Europa dell’est e si cerca un rapporto sempre più stretto e diretto con il cliente. Noi giovani in questo contesto cerchiamo di adattarci, stare al passo con i tempi e con i veloci cambiamenti che avvengono nel settore vinicolo, cercando però nello stesso tempo di non dimenticare la tradizione, la nostra storia e puntare sempre alla massima qualità dei nostri prodotti; questo cerchiamo di fare come piccola azienda familiare, che non dimentica le sue origini mezzadrili, ed anzi le usa come valore aggiunto per far conoscere i propri vini, frutto di passione e amore per la propria terra”.
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“Oggi ci si affaccia verso nuovi mercati dove non si possono presentare le stesse modalità della comunicazione sul vino utilizzata in Europa ed in Italia. Oggi trovo interessante l’entrare nei mercati asiatici. Bisogna cercare parole, narrazioni ed esperienze sensoriali da condividere con i “nuovi” consumatori che non comprendono subito questo prodotto che a loro è così poco familiare. L’approccio al cliente in questo caso è molto delicato dato che c’è la volontà di conoscere il prodotto e soprattutto la sua storia e tradizione ma questi sono strumenti non ancora a loro disposizione. Dopo aver guidato una degustazione dei nostri vini dovremmo essere ricordati perché con le intonate parole siamo riusciti a far chiudere gli occhi al nostro interlocutore e fargli immaginare la Sicilia, piuttosto che le dolci colline marchigiane o la sazietà che porta un orizzonte piemontese”.
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“Ma poi che cos’è un vino? È quello che dobbiamo chiederci tutti, prima di mettere in atto politiche e strategie promozionali sul vino, per farlo conoscere, per promuovere un’etichetta, un marchio o una doc. Per promuovere bisogna saper commuovere “emozionare” oppure creare interesse. Il mondo del vino è una vera e propria biblioteca di emozioni. Qualcosa di talmente emozionante, da essere in grado di mettere in sintonia vino con uomini (consumatori potenziali) in modo profondo, con l’anima con il cuore e con la mente. Include il paesaggio nel rispetto del luogo dove si è, storie di chi c’era, visite di amici e acquirenti, amore per dove si pestano i piedi e si ululano poesie al signore quando il vento è contrario. Il vino è amore, poesia e bestemmie. E se saremo capaci di emozionare in modo non retorico e banale, i conti torneranno meglio”.
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“Cignano è una giovane e dinamica realtà imprenditoriale che da circa dieci anni opera nel settore vitivinicolo sotto la guida di mia e di mio fratello Annibale. In realtà i primi passi in viticoltura furono mossi da nostro padre, Antonio, che a fine anni ‘50 inziò a impiantare i primi filari sulle colline attorno a Isola di Fano. Ed è in gran parte grazie a lui che oggi Cignano può essere a buon diritto annoverata tra le aziende di riguardo nel panorama vitivinicolo marchigiano. Un’attività che nonostante i grandi progressi in campo tecnico richiede un notevole dispendio di energie ed è difficile da svolgere se non si è mossi da una grande passione. Essere imprenditori agricoli nel XXI secolo ti espone ogni giorno a nuove insidie e senza una corretta politica gestionale non è semplice mantenere i traguardi precedentemente raggiunti”.
“Per la nostra realtà familiare direi semplicemente: “ …è frutto della collaborazione di una famiglia che cerca di esprimere nel vino tutta la forza della passione , di amore per la propria terra, di completa dedizione al proprio lavoro, la volontà di portare avanti una tradizione antica e di far rivivere in ogni bottiglia e in ogni calice la propria storia, storia che iniziò già nel ‘700…” ”
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“A questa non riesco a rispondere: in azienda non mi occupo della parte commerciale e comunicativa, ma solamente della parte tecnica e gestionale dell’azienda”. “Il vino è il frutto di un lavoro lento e minuzioso, che parte dal vigneto e arriva fino alla bottiglia. Un lavoro che viene affinato negli anni e che è fatto spesso di passione e sentimento. Piacerebbe far capire queste cose a chi beve un bicchiere di vino ma è molto difficile”.
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“Sono soprattutto fattori legati all’ubicazione dei vigneti al microclima e alle stagioni che differenziano un buon vino da un vino d’eccellenza . Il messaggio che noi di Cignano vogliamo far passare è che il vino non deve essere qualcosa da associare allo sballo e ai rischi per la salute che l’abuso di alcol può comportare. Il vino è un veicolo di sensazioni e abbinato valorizza il cibo trasmettendo dei piaceri che altrimenti dalla tavola non potrebbero scaturire. Il vino è quindi un’ importante strumento che favorisce le relazioni interpersonali, rende unici i momenti della quotidianità e con i suoi profumi suscita sentimenti legati alla terra e alla tradizione. Il vino è arte, storia, amore, bellezza. Che mondo sarebbe senza vino?”.
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La
Prodotti agroalimentari
DOP - denominazione di origine protetta, IGP - indicazione geografica protetta, STG - Specialità
Tradizionale Garantita, il Marchio
QM, Qualità Garantita delle Mar-
di Loredana Baldi
che ed il Marchio AGRICOLTURA BIOLOGICA.
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qu a lità intavola
Molti sono i prodotti marchigiani che possono fregiarsi di marchi di qualità sia nel settore vitivinicolo che agroalimentare. La materia è regolata dalla normativa comunitaria, che delega il MIPAAF (Ministero Politiche Agricole Alimentari e Forestali) ad approvare gli Organismi di Certificazione. Un prodotto su cui è apposto un marchio di qualità, è stato certificato da un Organismo (pubblico o privato) accreditato presso il MIPAAF, che ha verificato il rispetto dei requisiti previsti nel documento fondamentale, il “disciplinare di produzione”, oltre ad aver effettuato approfondite analisi chimiche ed organolettiche e verifiche ispettive per assicurare la sussistenza
dei requisiti non solo al momento della concessione della certificazione, ma anche nel tempo. Il Marchio di qualità costituisce dunque per il consumatore finale una garanzia sia in termini di qualità che di sicurezza. Nel settore vinicolo, il marchio DOC (denominazione di origine controllata), indica vini di qualità originari di particolari zone richiamate nel nome; DOCG ( denominazione di origine controllata e garantita), indica vini Doc di particolare pregio qualitativo e di prestigio nazionale e internazionale con requisiti particolari, come l’imbottigliamento nella zona di origine e in recipienti di capacità inferiore ai 5 litri.
Nelle Marche l’ASSAM, Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche, si è dotata di una Autorità Pubblica di Controllo e Tracciabilità (APC) accreditata dal MIPAAF a svolgere attività di certificazione per le produzioni agroalimentari. All’interno di tale organismo è stato istituito il Comitato di Certificazione,che prevede la partecipazione dei Consumatori, (rappresentati da Adiconsum e Federconsumatori), insieme a rappresentanti dell’Autorità di Regolazione, dei Produttori Primari, della Distribuzione Trasformazione e Istituto di Ricerca. Il compito fondamentale del comitato è quello di verificare l’attività svolta dall’APC in termini di imparzialità, trasparenza, riservatezza, competenza e integrità.
www.dirittoedifesa.it www.adiconsum.it info@adiconsum.it adiconsummarche@virgilio.it
Marchi di qualità agroalimentari DOP identifica i prodotti per i quali tutte le fasi di produzione e trasformazione avvengono in aree geografiche predeterminate, in cui fattori naturali (clima, caratteristiche di lavorazione) ed umani attribuiscono caratteristiche particolari. Nel disciplinare di produzione sono specificati perfino i Comuni nei quali possono essere prodotti. Nelle Marche i prodotti DOP sono soltanto sei: l’ oliva ascolana del piceno, la casciotta di Urbino, i salamini italiani alla cacciatora, il prosciutto di Carpegna, l’olio extra vergine di oliva di Cartoceto ed il formaggio di fossa .
IGP indica i prodotti agroalimentari per i quali una o più qualità dipendono dal legame con il territorio e la produzione/ trasformazione o elaborazione avvengano in una precisa area geografica. Per la nostra regione, parliamo di ciauscolo, mortadella Bologna, vitellone bianco dell’Appennino centrale, lenticchia di Castelluccio di Norcia.
STG Specialità Tradizionale Garantita,marchio concesso a prodotti che abbiano una Specificità che li distingue da altri della stessa categoria, e una Tradizione relativa all’uso del prodotto.
La IGT (indicazione geografica tipica), identifica invece vini originari di determinate zone di produzione, generalmente molto ampie, i cui requisiti di produzione sono meno stringenti rispetto ai vini Doc. Con DM approvato dal Mipaaf il 19/04/2011 i vini DOCG e DOC, ( salvo eccezioni), dovranno essere contrassegnati da una “fascetta” a numerazione progressiva stampata dall’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, che dovrà contenere l’emblema dello Stato, la dicitura Ministero Politiche Agricole e Forestali, il numero progressivo, la serie alfanumerica e la dicitura DOCG o DOC. La stampa avverrà con particolari sistemi di sicurezza e anticontraffazione e la fascetta andrà applicata sui sistemi di chiusura dei recipienti in modo tale da impedirne la riutilizzazione, ed avendo cura che tutte le indicazioni siano interamente leggibili. Per i vini Doc è possibile, in alternativa, la sola indicazione del lotto di produzione, scelta adottata nella nostra regione.
QM Qualità Garantita delle Marche, marchio istituito con la Legge Regionale 23/2003, ha l’obiettivo di garantire la qualità e la tracciabilità delle produzioni agricole marchigiane; ad oggi i prodotti garantiti QM sono Latte Alta Qualità, Cereali, Pane e Sostitutivi e Pasta, Carne Bovina e Suina, secondo restrittivi disciplinari di produzione. Essendo uno dei primari obiettivi del marchio QM quello di assicurare la Tracciabilità del prodotto, è stato istituito il Si.TRA., Sistema di Tracciabilità, un sistema informatico creato in collaborazione tra la Regione Marche e l’Assam, che permette di verificare tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti a marchio QM.
AGRICOLTURA BIOLOGICA attesta che la produzione avviene cercando di ridurre al massimo l’impatto ambientale, con utilizzo di fertilizzanti naturali, senza OGM e nel rispetto dei cicli biologici e di una gestione equilibrata dell’ecosistema.
Vini DOC e DOCG nelle Marche (*) 15 sono nella nostra regione i vini DOC : Bianchello Del Metauro, Colli Maceratesi, Colli Pesaresi, Esino, Falerio dei Colli Ascolani (o Falerio), i Terreni di San Severino, Lacrima di Morro d’Alba, Pergola, Rosso Conero, San Ginesio, Serrapetrona, Rosso Piceno o Piceno, Verdicchio dei Castelli di Jesi e Verdicchio di Matelica. L’Offida DOC è dal 15/06/2011 per D.M. “Terre Di Offida”. Nelle Marche dal 2011 abbiamo 5 DOCG: Castelli di Jesi Verdicchio DOCG Conero DOCG Verdicchio di Matelica Riserva DOCG Vernaccia di Serrapetrona DOCG Offida DOCG ( dal 15/06/2011) (*) Fonte: Ministero Politiche Agricole Alimentari e Forestali
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di
Claudia Cinciripini
“Per capire la direzione del nostro andare, occorre indagare da dove si viene”, dicono gli storici. E per farlo occorre ricostruire la memoria, quel filo invisibile che ci lega alle generazioni dei nostri nonni e che il Novecento, secolo di grandi cambiamenti, ha reso più sottile. È la memoria che conserva tutto il bagaglio di credenze, costumi e canzoni popolari, tesoro di una civiltà ormai a rischio di estinzione, insieme alle fiabe e alle leggende di chi ci ha preceduto. Racconti un tempo tramandati di genitore in figlio per ingannare il tempo e la fatica, tra il telaio e il filare, o narrati attorno al camino la sera, quando fuori era freddo e buio e intere famiglie si raccoglievano insieme, i più giovani a bocca aperta dietro alle storie dei più vecchi. Un incanto, che si è rotto, in parte, con l’arrivo della comunicazione di massa, livellatrice di dialetti e tradizioni locali, e in parte con l’arrivo dell’illuminazione pubblica, che ha privato la notte del suo mistero. E così fate, Sibille e mazzamorelli, amanti dell’oscurità, sono scomparsi dall’immaginario popolare, per andarsi a rintanare dentro qualche anfratto, lontano dalla vista umana. Tuttavia c’è qualcuno che, prima di vederli scomparire del tutto, ne ha voluto catturare la memoria, raccogliendo le testimonianze di alcuni anziani, vissuti tra i monti Sibillini - patria della Sibilla Alcina, regina delle fate - e l’ascolano, terra devota a Sant’Emidio, protettore dai terremoti. Ne è nato così un libro, edito nel 2004 col titolo “Tra Sant’Emidio e la Sibilla. Forme del sacro e del magico nella religiosità popolare ascolana”, scritto dall’antropologo Mario Polia, direttore del Centro Studi Tradizioni Picene. “Costumi e superstizioni dell’Appennino marchigiano” di Caterina Pigorini-Beri offre invece un genuino spaccato di vita paesana camerinese di fine Ottocento. Un’opera scritta nel 1899 e ristampata nel 2010, interessante per riscoprire le radici dell’anima popolare della nostra Regione.
Tra sacro e profano, preghiere e superstizioni, un breve percorso a ritroso nelle credenze dell’antica civiltà marchigiana
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A chi rincasava tardi la sera, come il giovanotto che andava a trovare l’innamorata, si diceva: “Stai attento, che ce scappa la paura”. Nell’ascolano, la Paura era la personificazione di un ente soprannaturale, spesso l’anima di un defunto, che prendeva le sembianze di un animale. A questa credenza popolare si ispira la “Notte delle Paure”, una suggestiva manifestazione che si svolge ogni estate
a Valle Castellana, nel confine tra Marche e Abruzzo. Un’altra figura tipica dell’immaginario marchigiano era il mannaro, ossia l’uomo-lupo, un mito ancestrale della cultura europea. La leggenda narra che quando era colto dalle sue crisi periodiche, il mannaro usava infilare la mano nella gattarola della porta di casa per avvertire le moglie di non aprire se avesse visto i peli. Erano però le streghe (sdreghe in dialetto locale) ad occupare un posto ancora più rilevante nell’immaginario popolare. Credenza vuole che diventino streghe le bambine nate la notte di Natale o quelle battezzate recitando una formula sbagliata. Per scacciarle ed evitare che entrassero nelle stalle a prendere
le bestie, o nelle case a succhiare il sangue dei neonati, si usava mettere dietro la porta una scopa disposta al contrario: “perché se diceva – narrano gli anziani - che per quanto la sdrega conta tutti i fili di paglia, si fa giorno”, e il giorno, si sa, è nemico delle streghe. Un’altra figura, detta la “pandàfega”, inquietava le notti dei nostri antenati. La “pandàfega”, scrive Polia, “era una sorta di incubo, uno spirito che opprime il dormiente. Si trattava quasi sempre di un’anima in pena, l’anima di un defunto che non riposava e‘te dia fastidio’”. Negli scricchiolii e ticchettii dei vecchi mobili, oggi attribuibili ai tarli, si manifestavano le stesse anime del purgatorio, bisognose di preghiere. Così, per scacciare fantasmi e spiriti maligni ed avere nottate tranquille, la sera prima di coricarsi si usava recitare delle preghiere, dette in latino loricae (corazze): servivano a proteggere il dormiente durante il sonno, racchiudendolo all’interno di un perimetro sacro e inviolabile. Ne è un esempio questa preghiera di Castel Trosino: “Da capo al letto mio/ c’è un angelo di Dio/ e uno di qua e uno di là/ la Madonna e la santissima Trinità…”. Sia la dimensione religiosa che quella magicosuperstiziosa permeavano ogni angolo della vita umana, in cui l’episodio fausto era simbolo della divina provvidenza, mentre l’evento negativo (in particolare malattie e sfortune improvvise) era un effetto dell’invidia e del malocchio. L’invidia in particolare (dal latino in-video, “rivolgere lo sguardo contro”) era un sentimento molto temuto un tempo per via dei suoi effetti nocivi: le persone in grado di contagiare il malocchio potevano, solo tramite il loro sguardo, far cadere a terra delle bestie da soma, o far scomparire il latte dalle mammelle delle donne. Da qui il ricorso frequente al magaro, figura sociale di rilievo, per scansare l’invidia, e l’usanza apotropaica di esclamare “gne noccia!” (non gli nuoccia) quando si esprimeva ammirazione per qualcuno. WM
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NO SIGNAL In parole molto più povere: le Province servono a noi cittadini oppure no? Sembra una domanda
stupida, specie se posta a chi presiede Soppressione delle Province: l’ente stesso. Ma allo stesso una soluzione o tempo c’è bil’ennesimo palliativo? sogno di caTagliare i costi della politica sembra a tutti una soluzione pire: che cosa percorretta per aiutare la nostra nazione ad uscire dalla crisi economica. Il tormentone di fine estate però ci conduce a un dilemma: le Province servono o possiamo abolirle? Sfido chiunque stia leggendo a negare di aver detto o perlomeno pensato che molti dei problemi della nostra Italia derivano dai Paperoni della politica, coccolati da privilegi, che hanno da troppo smesso i panni che gli furono affidati nell’antichità classica di portavoce dei cittadini e delle loro esigenze, per indossare quelli più comodi di comodi passeggeri di auto blu. Ecco allora che quando si sente che per la prima volta una manovra finanziaria mira a mettere le mani nelle tasche proprio dell’aristocrazia politica, quasi un moto di orgoglio scuote la cittadinanza indignata. Peccato però, che a ben vedere quello di cui si parla non è un giusto ed equo ridimensionamento di benefit e stipendi di parlamentari vari ed eventuali; più che altro si legge di tagli ai fondi per le pubbliche amministrazioni e per i comuni, fino ad arrivare alla proposta di abolizione delle province. Certo, dalle 59 Province del 1861 alle 110 attuali, il numero è lievitato. Ma esse fanno da sempre parte delle Istituzioni italiane e sembra quindi legittimo chiedersi se cancellarle sia veramente un passo risolutivo o l’ennesima trovata a vantaggio degli elettori, ormai stanchi di una politica che
trasversalmente si è allontanata dalla retta via, un cambiamento che alla fine però rischia di essere solo di facciata. A rischio soppressione sarebbero le istituzioni provinciali con meno di 300.000 abitanti che coprono un territorio inferiore ai 3000km. In pericolo quindi tra le 5 Province marchigiane, sarebbero quella di Fermo e quella di Ascoli Piceno. Proprio quelle separate nel 2004, quando Fermo fu istituita come provincia, sebbene sia divenuta operativa solo nel 2009. Al di la però di questa constatazione, quella che vorremo proporre ai nostri Presidenti di Provincia è una riflessione molto più ampia. Il problema infatti che ad oggi interesserebbe solo Ascoli e Fermo, merita secondo noi un inquadramento più ampio. Perché si è arrivati a valutare che un’istituzione antica quanto la stessa Italia, non abbia oggi più il pieno diritto di esistere? E’ stato attuato nel passato uno spreco di risorse ingiustificato che ha condotto alla creazione di troppi organismi territoriali – e quindi a una dilapidazione dei fondi destinati ad esse senza ragione – o oggi si corre al riparo cercando di tagliare senza una logica effettiva? WM
deremmo come cittadini se venissero cancellate alcune province?
Perché oggi potrebbe toccare a Fermo ed Ascoli, ma
nessuno ci dice che domani non possano essere alzati i numeri necessari a giustificare la vita dell’Istituzione.
Chiediamo allora ai nostri Presidenti
di affidare alle nostre pagine una riflessione sincera su questo tema. Whymarche.com 39
IntErVEnto dEL PrESIdEntE dELLa Provincia di ancona PaTriZia caSaGrandE
ANCONA
“Rispondo subito alla domanda. La soppressione delle Province, di tutte le Province per norma costituzionale, è un palliativo. Non è certo la cura ai costi della politica né, tantomeno, a una crisi economica di cui non s’intravede ancora una via d’uscita. Anzi. Con i nuovi tagli della più recente manovra (quella che prevede l’abolizione dell’ente intermedio fra Comuni e Regione) gli enti locali non sono più in grado di garantire né i servizi alle fasce più deboli dei cittadini, né di continuare a sostenere politiche di sviluppo dell’economia locale. Di fatto, fin dal manifestarsi della congiuntura negativa, nel 2008, le Province hanno messo in atto le misure anticicliche adeguate alle esigenze dei rispettivi territori. Vale la pena ricordare che, senza godere di privilegi o vitalizi, gli amministratori e i
consiglieri provinciali lavorano al servizio di una comunità intercomunale da coordinare nelle scelte economiche, infrastrutturali, ambientali e culturali, in un’area che il titolo V della Costituzione definisce vasta. Basta consultare i dati ministeriali sui costi reali delle Province per rendersi conto quanto la scelta di sopprimerle sia frutto dell’antipolitica e della ricerca del consenso facile: nel 2010 le Province hanno pesato sulla spesa pubblica complessiva per l’1,5% e il ridimensionamento previsto dalla precedente manovra del governo (quella di ferragosto) ne avrebbe ulteriormente abbattuto i costi con il dimezzamento di consiglieri e assessori. Al di là di tutte le sovrapposizioni di competenze da risolvere e dell’esigenza di una più efficace definizione delle funzioni delle
autonomie locali, la soppressione rappresenta una metafora assai chiara dell’andamento politico di una nazione come la nostra che, per facile demagogia o disinformazione indotta, preferisce guardare il dito piuttosto che la luna”. WM
IntErVEnto dEL PrESIdEntE dELLa Provincia di PESaro E Urbino MaTTEo ricci
PESARO URBINO
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“Il disegno di legge costituzionale sulla soppressione delle Province, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, contiene una proposta demagogica, che rischia di creare un grande disordine istituzionale, accompagnato dall’aumento generale dei costi. Il disegno di legge ha un iter lungo e non so quali saranno gli esiti. Di certo si è creata una confusione enorme: un conto è la riorganizzazione complessiva dello Stato, altra questione è considerare la democrazia un costo. Senza considerare che così non si risparmia nulla: se i dipendenti provinciali passano alla Regione, come viene prospettato, il costo del personale cresce del 20 per cento. Altro nodo da sciogliere è il governo delle aree vaste, perché non si capisce a chi dovrà competere. Si parla di unioni di Comuni, città metropolitane, ma nessuno è in grado di fare chiarezza. E’ necessario un ripensamento, perchè così si scardina un sistema che è parte integrante della
nostra storia. Le Province sono nate con l’unità d’Italia, esistono da quando c’è lo Stato. Se si vuole fare un dibattito serio sui costi, non si capisce perché, ad esempio, non si è portato avanti il disegno di legge sul dimezzamento dei parlamentari o non si interviene sui vitalizi. Per il nostro territorio, senza la Provincia si verificherebbe un impoverimento enorme. Significherebbe rafforzare ulteriormente la centralizzazione gestionale regionale. Già ora la Regione, per molti, è un Ente lontano. Immaginiamo cosa significa per un cittadino dell’entroterra andare a Ancona per ogni cosa. I Comuni di una certa entità, che da noi sono solo Pesaro, Fano e Urbino, possono avere un rapporto diretto con la Regione. Ma quelli medio-piccoli come faranno? Non solo: il disegno di legge delega alle Regioni le competenze. Ma allo stesso tempo chiede di riorganizzarle. Non vorrei che, alla fine della giostra, ci si renda conto che l’ambito ottimale
per la gestione dell’area vasta è la Provincia. Se tutto questo sconquasso serve solo a eliminare giunte e consigli provinciali, non credo che il gioco valga la candela. Anche perché, nel bilancio della Provincia, i costi della politica equivalgono solo all’uno per cento. Il risultato più evidente non è certo il risparmio, ma l’indebolimento democratico del territorio”. WM
IntErVEnto dEL PrESIdEntE dELLa Provincia di MacEraTa anTonio PETTinari
MACERATA
“Tutto quello che il Governo sta facendo nel campo delle autonomie locali è un pasticcio inestricabile che al momento ha il solo fine di distogliere l’attenzione delle stampa e degli italiani dai veri problemi del Paese. Problemi che le manovre economiche ferragostane non sono in grado di risolvere, anzi rischiano di peggiorare, gettando famiglie ed imprese in una sorta di baratro da cui ci vorranno anni ed anni per risollevarsi. Ciò che giustamente sta a cuore agli italiani
sono i problemi del lavoro, l’occupazione per i giovani, i servizi e in particolare la scuola e la sanità. Il Governo non fa nulla per questo e nasconde la propria confusione ed incapacità ponendo in discussione falsi problemi, lontani dai bisogni delle gente. Per quanto riguarda le Province, personalmente sono onorato di essere presidente dell’Amministrazione provinciale di Macerata e onorerò questa mia funzione fino in fondo. ”. WM
IntErVEnto dEL PrESIdEntE dELLa Provincia di FErMo FabriZio cESETTi
FERMO
“Il Disegno di legge costituzionale per l’abolizione delle Province costituisce una iniziativa grave e contro gli interessi del Paese e dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, l’assoluta inadeguatezza di questo Governo che, ancora una volta, insegue le derive demagogiche senza preoccuparsi di seguire un coerente disegno per una necessaria riforma dell’architettura istituzionale della nostra Repubblica. Il Ddl determinerà, se verrà approvato, un sicuro aggravio della spesa pubblica perché non potranno essere abolite le tante funzioni che vengono esercitate dalle Province medesime ed il personale preposto al loro esercizio dovrà essere ricollocato con maggiori oneri. Inoltre, getterà il Paese nel caos in quanto, secondo le intenzioni del Governo, le funzioni dovranno essere esercitate da forme associative per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta che, inevitabilmente, determineranno la creazione di organismi più numerosi e
costosi delle Province stesse. E sicuramente si aprirà la strada alla gestione da parte di Agenzie, Società ed Enti di tutte le competenze pubbliche oggi amministrate dalle Province mettendole in mano così a Consigli di Amministrazione, Dirigenti e Manager che, al di fuori di ogni controllo democratico, consentirà ai soliti noti di avere le mani libere per lucrare sui servizi essenziali ai cittadini. Non ci tireremo indietro rispetto all’esigenza di una profonda riforma che riguardi tutte le Istituzioni della Repubblica, a partire dal Parlamento, ma le Province non possono essere considerate il capro espiatorio per risolvere i problemi dei costi della politica anche perché, su detti costi, si è già intervenuti in modo drastico, mentre nulla è stato fatto per gli altri livelli istituzionali (è sufficiente confrontare le indennità dei parlamentari e dei consiglieri regionali con quelle dei presidenti, assessori e consiglieri provinciali).
Continueremo a lavorare con la massima determinazione nel rispetto del mandato ricevuto dal corpo elettorale e, nella consapevolezza che l’Istituzione Provincia è utile e necessaria al Paese, metteremo in campo ogni iniziativa per evitare che il Parlamento approvi qualsiasi proposta di soppressione di questa Istituzione e che, invece, proceda ad un riordino del sistema istituzionale italiano coinvolgendo tutti i soggetti interessati per consegnare alle future generazioni un Paese moderno ed efficiente dove, tra l’altro, si possa distinguere tra i costi della democrazia (necessari) e i costi della politica (da evitare). WM
IntErVEnto dEL PrESIdEntE dELLa Provincia di aScoli PicEno PiEro cElani
ASCOLI PICENO
“La mia esperienza di amministratore locale da oltre 12 anni mi insegna che lo“spreco”non sta certo nelle Province (un Presidente ha un’indennità di circa 4 mila euro lordi mensili e un consigliere percepisce 36 euro lordi a seduta!). Gli “sperperi”vanno ricercati, per esempio, negli Enti di secondo grado dove si annidano prebende e dispendiose strutture, più onerose di quelle provinciali. Le Province operano sul territorio svolgendo funzioni fondamentali per le comunità locali. Si occupano, infatti, di viabilità e manutenzione delle strade, tutela ambientale, prevenzione delle calamità, smaltimento dei rifiuti, assetto idrogeologico, polizia locale, caccia e pesca, servizi sociali, patrimonio scolastico, promozione della cultura, dello sport
e del turismo. Senza contare i servizi nel mercato del lavoro, la formazione professionale, le politiche comunitarie e la pianificazione del territorio. Ed allora, prima di sopprimere le Province, che coordinano effettivamente i progetti sull’area vasta e supportano i piccoli Comuni nel dare servizi ai propri amministrati, occorre ridurre realmente i costi della politica chiudendo le Comunità Montane, gli AATO, i Consorzi per i bacini imbriferi, i Consorzi di Bonifica, gli Istituti autonomi per le Case Popolari, gli Enti regionali per i servizi universitari, i Consorzi per la Industrializzazione e quelli per la tutela di non so che cosa. In questo modo si risparmierebbe realmente, oltre la pura demagogia a danno di questo Ente territoriale intermedio messo in discussione
senza capire quanto sia essenziale un soggetto che coordina i servizi sull’area vasta, perequandoli non sulla carta, ma nella pratica”. WM
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è pronto a tornare
L’appuntamento è alle 10,30 presso l’Hotel Excelsior di Pesaro. Filippo arriva puntualissimo, altro che star! Indossa una t-shirt grigia, un paio di sneakers nere e un pantalone della tuta. Dobbiamo ammetterlo: Re Magno è una smentita ai tanti pregiudizi che, spesso a ragione, affossano la reputazione degli sportivi. Tutto il contrario. Per nulla spaccone e arrogante, ma sempre disponibile ed educato. Anche quando, per esigenze fotografiche, gli viene chiesto di spogliarsi e farsi una doccia. A suo agio davanti all’obiettivo, serafico sorride sempre anche quando le luci gli infastidiscono gli occhi o gli fanno scendere qualche goccia di sudore sulla fronte.
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Non c’è dubbio. Filippo Magnini è un vero professionista anche fuori dalla vasca. 42
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sul trono
>>> Un’intervista a tutto tondo a Filippo Magnini, che ci apre il suo cuore e ci confida di essere pronto a
a cura di Silvia Santarelli e Eleonora Baldi
puntare di nuovo al mondiale
Quando nominiamo Federica Pellegrini, iniziamo a figurarci uno scenario catastrofico, ma Pippo sorride e si mostra disponibile a rispondere a quello che in pochi minuti, diventa un vero e proprio interrogatorio, degno della più esperta portinaia. La curiosità sulla coppia gossip dell’estate 2011, prende il sopravvento anche su di noi. Per entrare in confidenza, chiediamo a Filippo di mostrarci il tatuaggio, fatto qualche giorno prima a Siena, insieme a Federica. Non si fa pregare e si abbassa pantaloni e boxer per mostraci sul fianco destro un calimero ubriaco: “Questo tatuaggio non ha nulla a che vedere con Federica. I nostri rispettivi tatuaggi sono stati fatti per due motivi personali. Lei si è tatuata un teschio messicano, segno di una svolta, io un calimero ubriaco, in omaggio alle tante serate in cui con i compagni di squadra eleggiamo il più divertente della serata, che non sempre coincide con quello che ha bevuto di più”. Una volta entrati in confidenza Filippo è un fiume in piena e seduto ad un tavolo della terrazza dell’Hotel Excelsior della sua Pesaro, davanti ad un bicchiere di succo d’arancia, si confessa con noi di Why Marche. “Con Federica ci stiamo frequentando. Non è che per forza due che escono insieme debbano essere o fidanzati o amici. Per adesso va così, insieme stiamo bene.
Photo: maxfabrizi
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P
Ascoltare Silvia e Filippo chiacchierare della sua vita privata,
come fossero due amici che non si vedono da tempo e hanno un sacco di cose da raccontarsi, è divertente! Quando si incontra un campione del mondo, ammetto, c’è sempre un po’ di reverenza nei suoi confronti, quel misto di curiosità e deferenza. Il ghiaccio ormai è sciolto però, anche perché Filippo è veramente “il ragazzo della porta accanto”…solo con l’oro al collo!
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Usciamo entrambi da due storie importanti, io di solito mi butto a capofitto, ma questa volta voglio vivermela così, come viene”. Quando parla di Federica Pellegrini, i suoi occhi s’illuminano e si abbassano sull’I-Phone appoggiato sul tavolo, dal quale non si separa nemmeno per un minuto: “Di lei mi piace tutto. Sicuramente al primo momento, quello che colpisce di più è l’aspetto fisico e lei è indubbiamente una bella ragazza. Diversa dal mio prototipo di donna. Prima di Federica, guardavo sempre ragazze more, piccoline, lei è l’opposto”. Nonostante la sua ex, la pesarese Cristiana Nardini rispecchiava il suo prototipo di donna, con lei ormai è una storia chiusa: “Non ho nessun problema a fermarmi e parlare con lei. Cristiana ha detto che sono stato ambiguo, forse per certi aspetti è vero. Avevamo dei problemi prima che io partissi per Pechino. Quando mi sono trovato là, mi sono reso conto che molte cose erano cambiate. Piuttosto che lasciarla per telefono, ho preferito aspettare di rientrare per parlarle”. E mentre Cristiana si dichiara single e con un nuovo look è pronta a cambiare vita, quella tra Filippo è Federica è ormai a tutti gli effetti una storia d’amore: “Se siamo innamorati non lo veniamo a dire a voi. Tutto questo gossip non mi piace, è giusto che certe cose restino nostre”. Intanto Cristiana ha fatto le valigie ed ha lasciato villa Magnini, in quel di Trebbiantico, dove c’è chi è pronto a giurare che proprio lì ha soggiornato Federica Pellegrini. I due non hanno bisogno di presentazioni ufficiali alle famiglie: “Io sono stato a Jesolo a trovarla perché avevamo voglia di vederci. I paparazzi hanno fatto un castello. Con i genitori di Federica ci conoscevamo già da tempo. Tutti i nostri genitori si conoscono già”. Filippo vuole essere preciso e ci tiene a sottolineare che questa storia non è stata la causa della fine dei loro rapporti precedenti: “Non ha lasciato Luca Marin per me ed io non ho lasciato Cristiana per lei. E’ successo
Cominciamo proprio da questo, chiedendogli che cosa chiede ancora alla sua carriera sportiva. tutto in concomitanza. Difficile da credere, ma è così”. I primi baci tra i due erano già stati paparazzati nel 2007, ma ora, a distanza di quattro anni, quella tra Pippo e Fede ha tutti i presupposti per essere una storia importante: “Difficile dire cosa mi piace di lei, la conosco da sempre. E’ una donna forte, abbiamo molte cose in comune; tra noi c’è complicità e poi insieme ci divertiamo un sacco”. Filippo non guarda al futuro, preferisce godersi il presente: “Sto bene fisicamente, sto bene con Federica, questo per me è un periodo fantastico. Se è la donna della mia vita, non sono ancora in grado di dirlo. Non mi pongo nessun limite e sono pronto a vivermela”.
“Non si è mai arrivati, c’è sempre qualcosa che si può fare in più. L’anno olimpico che mi sta aspettando è molto importante. In questo mondiale sono tornato a fare tempi buoni, ma è mancata la medaglia; l’abbiamo sfiorata nella staffetta ma questo non basta. Quello che voglio è riuscire a riprendermi la medaglia mondiale; e nel frattempo ci sono le olimpiadi che insomma sarebbero un altro bel sogno!”
2004 e 2005 sono stati anni indimenticabili per te: oro europeo e mondiale! Come si sta sul gradino più alto del podio? “Il 2004 ha sigillato il primo titolo europeo vinto: un’emozione grandissima! Sapevo di essere da medaglia, ma non avrei mai pensato di vincere l’oro europeo. A nuotare con me c’era il campione in carica Van den Hoogenband che aveva un tempo nettamente più basso del mio; avevo 22 anni e ero anche molto giovane: vincere è stata veramente una sorpresa. Sempre in quell’anno poi abbiamo conquistato il bronzo alle Olimpiadi nella staffetta: la prima medaglia olimpica, potete immaginarvi i pianti di gioia! Il mondiale del 2005? Il sogno, l’apice per un atleta! Nessun italiano aveva mai vinto i 100 stile libero e farlo con il record dei campionati del mondo… non credo ci siano parole per descrivere quello che ho provato! Mi sono ripetuto ancora poi nel 2007, non ho perso una gara dal 2004 al 2007 nella mia specialità; sono stato il primo italiano a vincere due mondiali di fila, e solo in tre ci siamo riusciti: sono stati veramente anni irripetibili”.
Nuoti da sempre. C’è stato un momento in cui ti sei detto: “Filippo puoi diventare un campione!” ?
SPOSTIAMO L’OBIETTIVO DELLA CONVERSAZIONE, DAL MAGNINI “GOSSIPPARO”,
“Dentro di me, e lo dico senza presunzione ma anche senza falsa modestia, l’ho sempre saputo probabilmente. Inizi a vincere, e capisci che puoi continuare a farlo. Vinci i regionali, poi gli italiani, poi un meeting internazionale… però finchè non arriva l’europeo o il mondiale, non ci credi fino in fondo neanche tu che sei pronto a vincere una medaglia pesante. Io mi sono sempre allenato con chiaro l’obiettivo, arrivare in fondo prima di tutti. Chiaro che finchè non lo fai, non sei sicuro di poterlo fare. Dal momento però in cui inizi a mettere il braccio davanti agli altri, capisci che il tuo allenarti, il tuo crederci, il tuo provarci è servito a qualcosa: a regalarti qualcosa di importante!”.
Quanti sacrifici hai fatto per arrivare a scalare la vetta? Che cosa soprattutto ti è “pesato” da ragazzino?
passiamo allo sportivo, al campione marchigiano che ha tenuto alti i colori della nostra Regione e che vuole continuare a farlo togliendosi qualche altra soddisfazione importante.
“Dire che i sacrifici sono stati tanti è quasi scontato. Però nessuno di essi è mai stato sofferto, questo lo voglio sottolineare. Io volevo fare il nuotatore. Quando d’inverno magari i miei amici andavano a fare la settimana bianca, io sapevo di non poter andare con loro: avrei rischiato di farmi male! Ma non per questo stavo in casa a piangere, facevo altro e mi divertivo comunque! Ero io a volere questo cammino, quindi ogni rinuncia era una mia libera scelta e come tale, non mi pesava più di tanto. Certo, andare a nuotare alle cinque di mattina prima di andare a scuola durante il periodo delle superiori non era proprio il massimo! Anzi, diciamo che l’ho odiato! Però è stata una mia scelta, nessuno mi ha obbligato. I tre mesi di vacanza, da giugno a settembre, per me non sono mai esistiti: nuotavo fino ad Agosto. Però quel mese che avevo a disposizione, staccavo veramente, ne avevo bisogno, mentale e fisico. Adesso, rifarei di nuovo tutto da capo: vedendo dove mi hanno portato questi, chiamiamoli così, sacrifici sono contentissimo di aver scelto di farli!”.
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Sembra quasi il racconto di un sogno!Ma nella realtà, lo sappiamo, ci sono anche i momenti meno felici. Ti va di raccontarci i tuoi e come li hai superati?
“Certo. Solitamente si tende ad evidenziare le vittorie, gli applausi. Ma la vita di uno sportivo è fatta anche di sconfitte e momenti difficili; e proprio in questi devi essere “un campione”: devi lottare! Un primo momento complicato ha coinciso con i miei 16 anni, l’età in cui il tuo corpo inizia a cambiare e tu non sei sempre in grado di gestire questi cambiamenti. Sono cresciuto tantissimo in altezza e passare nel giro di poco da 1.60 a 1.88 non è cosa di poco conto: avevo completamente perso l’assetto in acqua, dovevo cambiare modo di nuotare e di allenarmi. Non potevo più fare la rana e son dovuto passare allo stile libero. Avevo voglia di smettere. I miei genitori, che sono sempre stati lì per supportarmi ma mai per influenzarmi, mi hanno detto che se avessi voluto lasciare non ci sarebbero stati problemi, ma mi consigliarono di finire la stagione dato che mancavano un paio di mesi. In quell’anno ho vinto sia i 100 che i 200 a rana e, ovviamente, mi è tornata la voglia di nuotare e lo stimolo per continuare. Un altro momento difficile l’ho avuto a Torino, nel gruppo sportivo dei Carabinieri; un anno molto stressante. Volevo spostarmi da Torino a Roma, per seguire i miei sogni ed il mio allenatore. Non mi importava di prender meno soldi, era una scelta di cuore come ho sempre fatto. A livello burocratico mi crearono mille problemi. Per carità, niente di grave; però sono situazioni che ti insegnano, ti fanno capire chi hai accanto. Mi hanno fatto crescere momenti come questo: ho imparato a fidarmi veramente di poche persone”.
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E da campione già affermato?
“L’anno“nero”è stato il 2008. Il mondiale che vinsi nel 2007 fu quasi un miracolo, a detta di esperti e psicologi sportivi. Avevo avuto dei problemi pesanti a livello sentimentale ed amicale nel mese immediatamente prima il mondiale; ero a pezzi, scarichissimo, non avevo voglia neanche di vedere l’acqua. Mi allenavo da solo, in orari diversi da quelli previsti dalla nazionale. Neanche io so come 46
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ho fatto a vincere! Dopo la vittoria mondiale però, ho staccato completamente la spina, non ne ho più voluto sapere niente. Sono riuscito a resistere quei 3-4 giorni del mondiale ma evidentemente a livello inconscio poi ho mollato: non riuscivo più ad allenarmi bene, ho avuto problemi fisici, una lesione al cercine della spalla sinistra. Questo mi ha portato a sbagliare l’appuntamento olimpico. E anche ai mondiali di Roma nel 2009, non ero io. Dall’anno scorso ho cominciato a risalire la china; agli europei di Budapest sono arrivato 4° ma a un decimo dal primo. Adesso sto facendo dei tempi che non facevo da anni. La spalla, anche se non la rimetterò mai a posto completamente, è sotto controllo. Sto bene, mi alleno bene e soprattutto sono sereno in vasca e nella vita. Da qui riparto con convinzioni importanti: posso ancora dire la mia!”
Parliamo un po’del tuo rapporto con Pesaro.
“Io adoro tornare a casa, sia nel senso stretto del termine – a casa mia posso rifugiarmi e ritemprarmi da ogni stress – che in riferimento più generale alla mia città. Fin dai 19 anni mi sono spostato da casa. Non nego che abbia i suoi lati positivi, l’indipendenza prima di tutto e il bagaglio di esperienza che puoi costruirti; però ho bisogno di tornare nella mia Pesaro. Qui ho la famiglia, i parenti, gli amici più cari. Sono legato anche ai luoghi. Anche se, tornare per me significa tocca&fuga: il tempo di un weekend! Un po’più di tempo a disposizione ce l’ho nel mese estivo”.
Ma ci sarà qualcosa che immancabilmente fai quando torni a Pesaro!
“Di sicuro, devo fare tappa da Arnold’s a mangiare i panini! Ogni tanto ne sento il bisogno; così come dopo un po’ mi manca la pizza Rossini che fanno solo qui a Pesaro”.
E i tuoi concittadini? Come si rapportano con te?
“Sono sempre splendidi con me! Qualcuno addirittura si dispera quando sbaglio una
gara, partecipa emotivamente. Altri mi dicono che sono l’onore di Pesaro e sinceramente questo mi rende orgoglioso. Sono grandi tifosi ma anche molto discreti, anche perché mi conoscono da sempre e questo mi fa stare tranquillo”.
Di amore hai già parlato abbondantemente con Silvia! I tuoi amici, sono quelli di sempre o fanno parte del tuo “mondo”?
“Di sicuro i rapporti che ho costruito negli anni, quelli con gli amici di sempre sono rimasti: il mio amico storico è di Pesaro, con lui ho fatto tutti gli anni di scuola. Poi ho altri due amici molto importanti. Uno nuotava con me a Roma, quando ancora non ero Filippo Magnini; ma lo stesso tipo di rapporto sono riuscito a costruirlo con l’altro quando già ero conosciuto. Non credo sia la fama a fare la differenza ma la persona che sei e chi hai la fortuna di incontrare. I rapporti veri, li crei con le persone vere: famose, tra virgolette, o no non è che sia poi così importante! Importante è saperli riconoscere”. WM
Già persone vere. E Filippo Magnini di sicuro lo è!
Le università
delle Marche
per lo sviluppo del territorio a cura di Fabiana Pellegrino
Le idee non bastano più. È scattata la chiamata alle armi per salvare il nostro patrimonio culturale, perché il fiato corto dell’università - italiana e marchigiana – impone nuove strategie per non restare in apnea troppo a lungo. Occorre decomprimere un sistema che riceve la metà dei finanziamenti destinati mediamente agli atenei d’Europa, sottoposto ormai a ritocchi continui e che alle fine del prossimo anno dovrà fare a meno di altri trecento milioni di euro. La riflessione, anche stavolta, è seria. Abbiamo approfittato della tavola rotonda organizzata dall’associazione
“Lavoro & Welfare”
su iniziativa di Pietro Colonnella, affiancato da Anna Rita Totò e Maria Teresa Verdini, che ha coinvolto rettori e personalità del mondo imprenditoriale e politico delle nostre terre, per capire come le università delle Marche possano favorire o meno lo sviluppo del territorio. All’incontro, avvenuto a Torre di Palme il 18 settembre scorso, hanno preso parte i Rettori dell’Università di Macerata, Luigi Lacchè, e dell’Università di Camerino, Flavio Corradini, e il Preside della Facoltà di Economia della Politecnica delle Marche, Gian Luca
Gregori, il Vice Governatore regionale Paolo Petrini, il Sindaco di Fermo, Nella Brambatti, e l’Assessore provinciale alla Cultura, Giuseppe Buondonno. Una tavola rotonda alla ricerca del tempo perduto, rimanendo in equilibrio su tre parole d’ordine; giovani, innovazione, internazionalizzazione. Una triade che segue a sua volta un’unica e irrinunciabile via chiamata “glocalizzazione”, strada maestra di questi tempi che apre la dimensione locale a una prospettiva globale. “Dobbiamo valorizzare il patrimonio costituito dalle nostre università e, attraverso di loro, valorizzare il lavoro della nostra regione – ha chiarito Pietro Colonnella. Ogni sforzo va indirizzato in questo senso. La compressione del lavoro e dei suoi diritti non ci faranno uscire dalla crisi”. Quale è allora la soluzione per non morire strangolati? Cosa, soprattutto, le nostre “piccole” università, sempre più leggere per risorse e possibilità, hanno ancora da offrire ai giovani che presto si affacceranno su un mercato del
lavoro locale sempre meno ospitale? Sono queste le domande che abbiamo rivolto direttamente ai nostri Rettori, coinvolgendoli in una riflessione sul futuro che ha radici lontane. Si punta sulla sinergia tra mondi differenti, sulla necessità di costruire insieme – università, istituzioni e imprese – il “sistema Marche”. Nel Paese un giovane su tre è disoccupato, due milioni di ragazzi non studiano né lavorano: come, allora, le università – in primis quelle marchigiane - rispondono a questa emergenza? Nessuna soluzione drastica, assicurano i nostri interlocutori, eppure sopravvivere sembra sempre più faticoso. Stare al passo coi tempi – tutt’altro che facili – è diventata una preghiera quotidiana. E se sempre più giovani sono costretti a restare a casa per frequentare l’università evitando così di alleggerire ulteriormente le tasche familiari, i nostri atenei hanno una responsabilità in più: quella di essere un’opportunità per questi giovani.
RESTARE PUò SERVIRE A CRESCERE? E INFINE, UN’ULTIMA, NECESSARIA, DOMANDA: COME QUESTE OPPORTUNITÀ POSSONO LEGARSI AL MODELLO CHE PIù SI AVVICINA ALLA “GLOCALIZZAZIONE”, INDIVIDUANDO NUOVE OPZIONI CHE SIANO TUTTAVIA IN LINEA CON LA NOSTRA STORIA SECOLARE?
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UnIVErSIta’ dI ancona
UnIVErSIta’ dI Urbino
Gianluca Gregori Il Contributo del Preside della Facoltà di Economia
Stefano Pivato Il Contributo del Rettore
“La disoccupazione giovanile è al ventisette per cento in Italia e i cosiddetti “Neet” Not in Education, Employment or Training – vale a dire quei giovani che non studiano e non lavorano, sono due milioni in Italia e quarantamila solo nelle Marche, maggiormente concentrati nel sud della regione. Inoltre, i dati evidenziano una diminuzione delle imprese giovanili. I centri studi, insomma, hanno quasi smesso di fare previsioni. Tuttavia resta la domanda: quali possono essere allora le prospettive? Innanzitutto una forte apertura al territorio e all’estero attraverso progetti mirati che permettano ai nostri ragazzi di fare esperienze formative fuori e agli studenti stranieri di venire a studiare qui. Scambi del genere consentono una crescita formativa e culturale che non ha eguali. Abbiamo inoltre provato ad anticipare il momento del confronto tra neolaureati e aziende coinvolgendo gruppi importanti come Indesit e Roccioni, idea che ha facilitato un inserimento “controllato” dei nostri ragazzi nel contesto aziendale. Infine, abbiamo puntato sugli spin-off, vere e proprie società che fatturano mediamente tra i 220 e i 230 mila euro l’anno. Questa è la nostra maniera per affrontare l’emergenza della disoccupazione giovanile già all’interno dell’università”. WM
“Le difficoltà delle nostre università nascono dalla repentina trasformazione del mercato del lavoro, questo vuol dire che corriamo costantemente il rischio che la nostra offerta formativa non sia più adeguata alla realtà. Stiamo scontando la riforma del tre più due introdotta dall’ex ministro Luigi Berlinguer, che ha reso i corsi di laurea troppo professionalizzanti tarandoli sulle previsioni di un decennio fa. In dieci anni, tuttavia, è cambiato il mondo. Come Rettore ho dovuto applicare questo sistema, ma occorre, ritengo, fare di necessità virtù contro questa cura di dimagrimento a cui tutti i nostri atenei sono sottoposti. Dobbiamo tornare a offrire un’università che dia allo studente la possibilità di imparare a imparare. Corsi di laurea meno professionalizzanti, perciò, sostituiti da quegli strumenti che servono non a un sapere specifico, che potrebbe rivelarsi inadeguato nel tempo, ma a modellare la mente. Ecco allora che la “glocalizzazione” è una formula più adatta al mercato del lavoro, piuttosto che al sistema universitario. Fondamentale resta, invece, l’internazionalizzazione, una vocazione che da sempre appartiene al nostro ateneo e che negli ultimi due anni si è ulteriormente rafforzata, fino ad avere il 7% di studenti stranieri”. WM
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UnIVErSIta’ dI MacEraTa
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Luigi Lacchè Il Contributo del Rettore
Flavio Corradini Il Contributo del rettore
“È un periodo particolarmente difficile, in cui le università devono fare un ulteriore sforzo di responsabilità verso la società e i territori di riferimento, in una prospettiva che lega le grandi trasformazioni alla dimensione locale. Siamo tra due spinte e questo significa che l’università deve avere innanzitutto cognizione delle strutture del proprio territorio, ma nello stesso tempo, essere anche aperta a un orizzonte di internazionalizzazione. Dobbiamo pensare alle nostre università come a dei laboratori di idee e conoscenza del territorio. Se in passato gli atenei erano assai meno territoriali, oggi il sistema si è molto regionalizzato e agisce su sottosistemi ben definiti. Nel mondo ci sono tre milioni di giovani che girano per avere una formazione superiore, per questo dobbiamo aprirci e trasformare le nostre università in un luogo ideale di incontro tra il mondo e la nostra realtà locale. Per queste ragioni prevediamo un corso di laurea interamente in lingua inglese in Scienze Politiche e nella medesima direzione va anche la costituzione dell’Istituto Confucio che inaugura una collaborazione inedita con l’Università Normale di Pechino, una delle più antiche in Cina. La sfida, a questo punto, è continuare a crescere, salvaguardando il punto di benessere tra università e territorio e inaugurando un legame nuovo tra questi elementi”. WM
“Anche l’università di Camerino si muove attorno a tre assi principali: i giovani, l’innovazione e l’internazionalizzazione. Il presupposto, purtroppo, ruota attorno ai problemi finanziari dell’università italiana. Dal 2008 al 2013 l’intero sistema nazionale dovrà fare a meno di un miliardo di euro e alla fine del 2012, come sappiamo, mancheranno 300 milioni per gli stipendi dei nostri professori. Sono dati che preoccupano, ma dobbiamo domandarci quale può essere la via di uscita. Ecco, allora, i tre pilastri. Innanzitutto i giovani a cui garantiamo formazione e ricerca, quindi l’innovazione, visto che il nostro ateneo non solo protegge le classiche attività, ma mette a disposizione i suoi ricercatori per le aziende marchigiane. Per questo abbiamo sperimentato un vaccino contro il cancro, abbiamo automatizzato molte delle nostre aziende, abbiamo costituito un gruppo di architetti che riqualifica l’edilizia con strumenti eco-compatibili. Infine, l’internazionalizzazione, perché bisogna uscire da certi meccanismi e guardare oltre i nostri confini. Per questo offriamo corsi di laurea in lingua inglese e dottorati di ricerca internazionali. Il nostro territorio da solo non può bastare e anche le nostre imprese devono cominciare a guardare di più verso l’Europa. Dobbiamo aprirci, accogliere studenti stranieri e mandare fuori i nostri, la nostra formazione da sola non basta più”. WM
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Originale esposizione proveniente da Taiwan sugli insetti canterini
INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA
Ad Unicam la mostra
“Per tutti coloro che visiteranno l’esposizione poi – prosegue la prof. ssa Invernizzi – e che risponderanno correttamente ad un quiz, sarà messo in palio dalla China Airlines, un volo gratis a Taiwan. Invitiamo dunque tutti, scolaresche, ragazzi e famiglie, a venire a scoprire le meraviglie ed i segreti di questi affascinanti animali”. Rispondendo poi esattamente alle tre semplici domande del quiz disponibile nel sito della mostra, sarà possibile visitare gratuitamente la mostra, accompagnati da un adulto pagante.
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Dal 24 settembre il Museo delle Scienze di Unicam ospita l’unica tappa italiana dell’esposizione temporanea “Il Canto del Dragone Nero” (Singing Insects), prodotta dal National Museum of Natural Science di Taichung di Taiwan. “Siamo davvero soddisfatti – ha dichiarato la prof.ssa Chiara Invernizzi, Direttore del Polo Museale Unicam – di poter ospitare questa mostra che sta girando un po’ tutta l’Europa e che ha scelto proprio il Polo Museale dell’Università di Camerino per la sua unica tappa italiana. Per questo vorrei porgere un sentito ringraziamento all’Ambasciatore di Taiwan in Italia, ed ai suoi collaboratori.” L’esposizione, che sarà visitabile fino al prossimo 30 novembre presso la Sala Crivelli del Polo Museale Unicam, è allestita con materiali riciclati
e riciclabili, ricca di strumenti multimediali, animazioni e giochi, che guideranno il pubblico alla comprensione del ruolo ecologico e dell’importanza culturale degli insetti in grado di emettere suoni. Saranno illustrati i meccanismi di produzione del suono, le strutture morfologiche coinvolte, i significati comportamentali dei suoni emessi, anche con l’aiuto di animali vivi!
Da millenni gli insetti che emettono suoni, come grilli, locuste, cicale e grillitalpa, sono oggetto della curiosità umana. Nelle culture orientali, questi animali sono considerati elementi importantissimi della tradizione poetica, pittorica e teatrale. Ma è dalla antica consuetudine di selezionare ed allevare grilli da combattimento che nasce a Taiwan la leggenda del formidabile Dragone Nero. WM
Il costo del biglietto
di ingresso è di 3 euro ed è possibile prenotare visite guidate. Con l’ingresso alla Mostra è possibile visitare gratuitamente il Museo delle Scienze.
Per info e prenotazioni:
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Siamo bravi comunic-ATTORI? Comunicazione efficace: i consigli per vivere
di Francesco Di Bitonto
bene ce li da Francesco Di Bitonto, formatore conosciuto ed apprezzato anche fuori dai confini regionali: la sua esperienza a servizio non solo delle imprese marchigiane ma anche dei lettori di Why Marche Se vogliamo, possiamo trasformare in meglio la nostra vita, e cioè riuscire ad essere più sereni, più efficaci con gli altri e più felici, a non vivere più nel litigio, evitare i conflitti, gestire i contrasti sia in ambito lavorativo che familiare e vivere finalmente una vita ben gestita realizzando i nostri obiettivi. Quello di cui parleremo lo fanno già milioni di persone nel mondo con risultati straordinari. Tutti questi individui hanno un’alta autostima di se stessi e sono tutte persone di successo. Apprendere tecniche, sistemi e modalità di comunicazione efficace funziona con tutti e in primis, con noi stessi: richiede impegno e autodisciplina, curiosità, letture interessate (ce ne sono per tutti i gusti) e corsi di formazione. Ma i risultati di tutto l’impegno profuso ripagano mille volte il tempo e il denaro speso. È innegabile: chi non riesce a comunicare con efficacia a volte si trova in difficoltà con gli altri, non riesce a ottenere quello che chiede, non trova consenso, né approvazione, non riesce ad emergere, né a far sposare una propria idea o un progetto. Non riesce a convincere le altre persone della bontà delle proprie scelte. Chi comunica con scarsa efficacia non riesce a farsi scegliere, fatica ad essere capito e si sente frustrato e insoddisfatto. Spesso dà la responsabilità di ciò che gli accade di negativo agli altri facendo la vittima. Per diventare comunicatori davvero efficaci servono tre cose: Senso di responsabilità. Se facciamo qualcosa che non funziona siamo responsabili in prima persona del mancato risultato di ciò che ci aspettavamo.
Ascolto. Non solo di ciò che dicono gli altri, ma anche e soprattutto di ciò che fanno, con i gesti, con la mimica facciale, con il corpo. Ascolto significa dare attenzione alla persona che ci sta di fronte, assumere il suo punto di vista ed essere attenti al contesto nel quale comunichiamo. Spesso questo concetto vale anche per noi stessi. Controllo. Sapere cosa sta accadendo mentre comunichiamo, avere la consapevolezza della propria emotività, degli stati d’animo degli altri significa avere carisma, trasmettere empatia e capire gli altri. Nei corsi di comunicazione e di marketing si racconta la storia di un non vedente, seduto per terra in un angolo fuori da un centro commerciale con un piattino davanti e un cartello con su scritto “Cieco”. Passano tante persone e solo qualcuno butta una monetina nel piattino. Finché non arriva un esperto di comunicazione, si ferma e dice all’uomo: “se lei è d’accordo vorrei fare un esperimento: le dispiace se scrivo sul suo cartello un’altra frase? Magari passo tra una mezz’ora per capire se ha funzionato!” L’uomo un po’ perplesso, ma incuriosito, acconsente. Non passano pochi minuti che comincia a sentire monetine che cadono copiose nel suo piattino. Sempre di più. Non sta più nella pelle dalla gioia e qualche lacrima solca i suoi poveri occhi. Dopo poco, torna l’esperto di comunicazione che vede il piattino pieno di spiccioli e annuisce soddisfatto. Il cieco non può trattenersi dal chiedergli cosa aveva mai potuto scrivere di così efficace da suscitare l’attenzione delle persone. “Ho semplicemente scritto che lei è cieco ma in modo un po’ diverso. La frase che ho usato è “Oggi è una bella giornata, ma io non posso vederla”! WM
bravi coMUnicaTori non SI naSCE, Si divEnTa FAI IL TEST!
Quanto sei un comunicatore efficace?
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Questa si chiama efficacia Whymarche.com 51
Un panorama di tutte le attivitĂ che potete fare, smettendo per un poâ&#x20AC;&#x2122; di tenere i piedi ben saldi
a terra!
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Chiara Giacobelli di
Che cosa vi viene in mente pensando alle Marche? Il Verdicchio, Giacomo Leopardi e le calzature? Forse le Grotte di Frasassi, il mare, l’Italia in una regione? Le colline dell’entroterra, i vincisgrassi e il brodetto? Probabilmente tutto questo e molto altro, ma di certo tra le prime associazioni che siamo soliti fare pensando alle Marche non si annoverano gli sport di volo. Pochi sanno infatti che la nostra regione è una delle più all’avanguardia, molto ben attrezzata, per quanto riguarda le discipline che hanno a che fare con l’aria. Nel nostro territorio sorgono alcune tra le più importanti scuole italiane di parapendio, due notevoli centri di paracadutismo, un aeroclub attivissimo e svariate associazioni, enti e strutture che promuovono sport legati, in qualche maniera, al volo. Se avete voglia di spendere qualche minuto tra queste pagine, scoprirete che le affascinanti discipline qui proposte non sono affatto per pochi eletti. Tutti le possono provare e praticare, che sia per una volta soltanto, oppure per tutta la vita. Basta possedere una piccola goccia di coraggio!
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Tanto per rompere il ghiaccio senza troppi indugi, cominciamo proprio con la più estrema tra questo genere di attività: il paracadutismo. Raggiungere i cieli delle Marche a bordo di un minuto aereo e poi lanciarsi da esso muniti soltanto di uno zainetto che dovrebbe salvarci la pelle, non è certo tra le cose più rilassanti e tranquille della vita! Ma vi assicuro che per la scarica di adrenalina che si prova, vale la pena di fare questa follia, fosse solo per un unico tentativo. Anche perché gli istruttori garantiscono che, oggi come oggi, questo sport è sicuro al punto che sono ormai più alte le probabilità di fare un incidente in auto, piuttosto che precipitando come sassi in caduta libera. Dove, come e quando provare il brivido del lancio con il paracadute? Nelle Marche i centri sono due: Skydive Fano e Fly Zone Fermo. Entrambi qualificati e di valore nazionale, andrebbero provati da tutti almeno una volta nella vita! “Lo Skydive Fano è stato il primo centro sorto a livello regionale, inizialmente in collaborazione con l’Aeroclub di Ancona – spiega Roberto Mascio, uno dei soci – dal 1998 ci siamo
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trasferiti a Fano e nel 2001 abbiamo fondato questa struttura, che oggi è considerata dai paracadutisti di tutta Italia uno dei luoghi più belli per i lanci”. Allo Skydive Fano (www.skydivefano. com) ci si può avvicinare con i più svariati stati d’animo. È infatti possibile sperimentare semplicemente un singolo lancio in tandem con l’istruttore, oppure si può iniziare un corso vero e proprio, che porterà poi l’allievo a diventare un paracadutista professionista. “Le lezioni vengono organizzate per tutto l’arco dell’anno in base alle necessità degli iscritti – continua Mascio ; consistono in una prima parte teorica, in cui l’allievo riceve le informazioni di base, soprattutto per quanto riguarda eventuali emergenze. Subito dopo si inizia a saltare da 4.000 metri. Sin dal primo lancio vengono dati degli obiettivi da superare, che in totale sono sette. Ogni volta che un obiettivo viene raggiunto, si passa al livello successivo”. Più o meno allo stesso modo funziona anche Fly Zone Fermo (www.flyzonefermo.com) che, se non può vantare gli anni di quello fanese, è però altret-
tanto attivo e soprattutto si caratterizza per una rara e particolare tecnica di volo: quella degli atmonauti. In pratica, imparerete a percorrere in aria una distanza orizzontale di alcuni chilometri, come dei veri e propri uccelli! La tecnica, inventata dai campioni mondiali Marco Tiezzi e Gigliola Borgnis (entrambi nello staff fermano), utilizza l’uso del solo corpo e quindi della postura, senza specifici accessori. Oggi Fly Zone Fermo è l’unico centro di paracadutismo in Italia ad insegnarla. Non siete ancora convinti di voler provare l’esperienza della caduta libera? Vi lascio allora alle parole di Massimo Fiorini, paracadutista dal 1989, sei volte campione italiano e videoman della nazionale, oltre che pilota presso Fly Zone Fermo. “Il momento più magico in assoluto è quello del salto nel vuoto, ovvero il punto di non ritorno. Da un secondo all’altro la tua forza mentale cambia completamente e l’adrenalina che si scatena nel corpo è incredibile. L’emozione durante quei pochi, ma preziosi, minuti in aria è intensa come poche altre nella vita, ve lo assicuro”. WM
Lanciarsi da 4.000 metri di quota non è l’unica maniera possibile per sperimentare le bellezze dell’aria. Un modo più soft (ma non meno faticoso!) consiste, ad esempio, nel preferire al paracadute il parapendio, oppure il deltaplano. Nelle Marche la Scuola per eccellenza è quella che ha sede ad Esanatoglia e che prende il nome di Aerolight Marche ( www.scuoladiparapendio.info). Essa può contare su paesaggi naturali unici al mondo, particolarmente adatti per questa disciplina. “L’Appennino umbro-marchigiano è uno dei migliori siti al mondo per la pratica del parapendio – dice il Direttore della scuola, Massimiliano Travaglini. Ci raggiungono ogni anno decine di appassionati e professionisti da
ogni luogo. Le cime delle montagne e la tipologia del vento facilitano infatti questo sport e consentono anche voli di una certa difficoltà. Siamo quindi preparati ad accogliere tutti: dai principianti ai campioni”. Le località principali che sono solite vedere i propri cieli solcati da parapendii colorati trasportati dalle correnti sono i Tre Pizzi (ovvero il Monte Gemmo), i monti Cucco, Pennino e Subasio ed infine l’altopiano di Colfiorito. Anche in questo caso è possibile frequentare un corso completo e individuale, oppure provare soltanto un volo con istruttore. Attualmente il parapendio risulta più gettonato del deltaplano, ma entrambi suscitano emozioni tutte da scoprire. La scuola poi, nell’arco dell’anno, organizza
C’è poi chi, ai movimenti flessuosi del parapendio o alla caduta libera del paracadutismo, preferisce i motori e tutto ciò che essi comportano. Pilotare un aereo, seppur piccolo che sia, è un’altra di quelle esperienze cariche di adrenalina che decisamente vale la pena di provare. Soprattutto perché è davvero più facile di quanto non si pensi! In questo caso il punto di riferimento è l’Aeroclub E. Fogola di Ancona, situato presso l’aeroporto di Falconara Marittima ( www.aeroclubancona.com). Esso cura a grandi linee tutti i rapporti tra le varie realtà delle Marche aventi a che fare con aerei e dintorni. “Siamo organizzati in modo tale da poter fornire informazioni a 360 gradi per tutto l’ambito regionale – spiega Egidio Straccio, Presidente dell’Aeroclub – Per quanto riguarda nello specifico la struttura di Ancona, diamo la possibilità di provare il volo a motore, da soli se si è già piloti (dopo un primo volo di prova), accompagnati dal personale addetto se non lo si è, oppure frequentando la scuola se si intende prendere il brevetto”. L’Aeroclub possiede attualmente quattro aerei, di cui un ultraleggero nuovo di zecca acquistato proprio quest’anno. Inoltre, se ancora non vi bastasse, con qualche telefonata in più ci sarà persino la possibilità di godersi un giretto panoramico in elicottero sopra le colline marchigiane! Quanto alle iniziative organizzate, il club che fa capo a Straccio è senza dubbio il capofila, punto di raccordo per quasi tutte le manifestazioni legate al volo nelle Marche, tra cui la Festa dei Paracadutisti in occasione dell’Epifania. WM
svariati eventi per tutti, durante i quali chi resta a terra può comunque seguire le peripezie degli audaci in aria e magari immortalarle con un teleobiettivo. Nonostante il centro di Esanatoglia sia il più importante e conosciuto delle Marche, non è il solo ad occuparsi di queste discipline. Vi segnalo quindi qualche altro link utile in cui potrete curiosare, se l’idea di “svolazzare” a qualche migliaio di metri da terra (che sia in parapendio o magari su di un piccolo aereo) vi sembra entusiasmante: www.limanhouse.com (ritrovo virtuale di piloti e appassionati di volo legati ai Monti Sibillini) www.vololiberomontegemmo.net (club che offre supporto logistico e molto altro) WM
A questo punto spendiamo qualche ultima riga per due particolarità. Il sito www.ballon.it sarà in grado di aprirvi un’ampia finestra sul mondo delle mongolfiere e vi fornirà tutte le informazioni necessarie nel caso vi venisse voglia di regalare un romantico volo in mongolfiera al vostro partner (o magari alla famiglia, a un amico, ecc). Ai disabili, invece, ci pensa ormai da anni “Dalle ruote alle ali” ( www.dalleruotealleali.org), con sede a Pesaro. Scopo dell’associazione è quello di affiancare ai disabili piloti volontari che possano aiutarli a divertirsi con discipline sportive di volo libero e ultraleggero. Non mi resta quindi che augurarvi buon divertimento sopra i cieli marchigiani!
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Ci racconti meglio dell’Isolani Racing Team.
“Siamo una squadra di appassionati, ma quando c’è da lavorare scherziamo il giusto. L’Isolani Racing Team prima che una squadra corse è un’Azienda, con i suoi impegni, le sue regole e le sue responsabilità. Un’Azienda molto attiva fra l’altro sul piano della comunicazione e della promozione. Ho sempre posto molta attenzione all’immagine ed alla sua diffusione: puoi vincere anche un Campionato del Mondo ma se non lo sa nessuno a cosa serve? Le esperienze sperimentate in questo senso nei miei anni di rally le ho portate fin dall’inizio anche in questa mia “seconda” carriera in salita. Oltretutto, la cura dell’immagine si è rivelata essenziale, avendo a che fare con un marchio così blasonato come quello del Cavallino Rampante. L’Isolani Racing Team è un team Autorizzato Ferrari, che segue con occhio di riguardo la nostra attività sportiva. La nostra mission è stata fin dall’inizio quella di riportare in alto nelle corse in salita un marchio che negli anni ‘60 spopolava in questo tipo di competizioni”.
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Ce l’avete fatta?
“Nei rally avevo a che fare con molte prove speciali all’interno di una stessa gara. Ebbene, probabilmente questa mentalità mi è rimasta: ogni volta che vedo una bandiera a scacchi sventolare oltre il parabrezza della mia 575 con la mente sono già alla prossima partenza, al prossimo step verso quel progetto in continua evoluzione che è l’Isolani Racing Team. Sì ... potrei semplicemente rispondere che in qualche maniera ce l’abbiamo fatta, ma la realtà è che non mi fermo e non ci fermiamo mai. Oggi (ndr. 15 Settembre) manca ancora una gara al termine del CIVM 2011. Noi siamo già Campioni Italiani GT e quindi siamo già proiettati in chiave 2012, anche se questa stagione per noi terminerà di fatto a San Silvestro”.
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Cosa significa?
“Ora iniziano i mesi dedicati alla promozione. Si lavora duro per pianificare la prossima stagione di gare e parallelamente si pianifica la partecipazione ad una serie di giornate e manifestazioni motoristiche extra gare. È tempo di dedicarci ai nostri “clienti”, alle Aziende che supportano la nostra attività e che rappresentano la vera “benzina” per le nostre gare. L’Isolani Racing Team è un’azienda, un’agenzia che “fa vendere”, nel senso che la sponsorizzazione sportiva non si limita all’applicazione di un logo o di una scritta sulle nostre vetture, ma continua in un rapporto commerciale di interscambio contatti e risorse fra noi e i nostri partners”.
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Castelfidardo,
patria della fisarmonica e della musica. Ma nella bella e tranquilla cittadina marchigiana c’è un’altra “musica” che suona periodicamente ed appassiona schiere di appassionati:
è quella del 12 cilindri di una splendida Ferrari 575 GTC
da competizione. Team manager e pilota professionista, incontriamo Leo Isolani nel suo ufficio, specialissimo “Direttore d’Orchestra” di questa sinfonia e Campione Italiano GT nel Campionato Italiano Velocità Montagna 2011. “Hai detto bene, questa stagione è stata proprio una “sinfonia” dove ogni strumento ha eseguito la sua parte alla perfezione. Ma devo sottolineare che il vero Direttore non sono stato io, io ho fatto il solista ... il Direttore vero, il Direttore Sportivo è stata mia moglie Manuela, con me dall’inizio di questa avventura chiamata Isolani Racing Team, della quale è anche Amministratore”.
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Ma torniamo ai motori, cosa significa per Lei e per la sua squadra questo nuovo scudetto 2011?
“Dopo aver festeggiato l’anno scorso i primi dieci anni di presenza fissa Ferrari nelle cronoscalate Italiane ed Europee abbiamo affrontato questa stagione con un organico quasi completamente nuovo e, dopo aver profuso per anni energie e risorse per cercare di trasmettere esperienza e consigli a piloti più giovani, con l’unico obiettivo 2011, la conquista da parte mia del Titolo di Campione Italiano GT . Obiettivo centrato con due gare di anticipo anzi tre, a voler essere precisi: prima di Gubbio a me bastava un solo punto per avere la certezza matematica ma la rinuncia al Trofeo Luigi Fagioli da parte del mio più diretto avversario ci ha fatto anticipare i festeggiamenti già dalla giornata di venerdì. Detta così, questa potrebbe sembrare la descrizione di una stagione piuttosto “facile” per noi ma, come tutte le altre stagioni affrontate, si è trattato in realtà di un impegno costantemente in salita, dalla prima all’ultima gara. Come Isolani Racing Team abbiamo sempre cercato di fare (e dare) molto per l’immagine e la promozione della Velocità in Salita. Da qualche anno a questa parte, grazie ad un gruppo di piloti costantemente impegnati nel CIVM, siamo riusciti ad ottenere spazi e visibilità sempre maggiori sui vari media: il rapporto e l’interscambio con i direttivi ACI Sport ha contribuito a diffondere le immagini delle nostre gare sulle varie testate sportive nazionali (non solo motoristiche) e sui principali network televisivi. Per quanto riguarda il lato prettamente agonistico anche il Gruppo GTM ha visto un incremento di partecipazione, sia numerica che qualitativa, con una media di una decina e più di partecipanti ad ogni appuntamento tricolore. È proprio questo fatto che ci ha portati a non “dormire sugli allori” e a proseguire nell’affinamento dello sviluppo specifico per le salite della nostra Ferrari 575 GTC. Un’auto giunta quasi al tramonto della sua carriera agonistica ma ancora in grado di suscitare forti emozioni nel pubblico di appassionati che, sempre più numerosi, ci seguono in gara e da casa grazie anche alla mole massiccia di informazioni divulgate via Internet”.
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Anche Why Marche seguirà i prossimi impegni di Leo Isolani e della sua squadra che contribuisce a portare ... “in alto” l’immagine della Marche. In che modo? Con un appuntamento fisso in esclusiva con Leo Isolani: “A bordo con il campione”. In questa rubrica troverete chiacchierate mensili on the road fra Leo Isolani e una personalità marchigiana della moda, cultura, spettacolo etc., lungo le strade delle Marche. Panorami, colline, attualità e gossip in libertà!
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Cosa rappresenterà il 2012 per l’Isolani Racing Team?
“Lo scudetto 2011 ci apre nuovi scenari e nuove possibilità che ci spingono a non mollare la presa e a continuare, sempre all’insegna del massimo impegno. Il rapporto con Ferrari si consolida sempre di più e mi auguro di riuscire a portare altre succulenti novità in salita nel prossimo futuro. Peraltro, in conclusione voglio anche ricordare che nonostante l’obiettivo principale dichiarato in apertura fosse la mia stagione, ad Ascoli ha debuttato con noi anche Pierdavide Sofia. Il giovane siciliano ha continuato il suo primo approccio nientemeno che con la Trento/Bondone e con la non meno impegnativa Rieti/Terminillo. Ora sta lavorando alla pianificazione della sua stagione 2012 che probabilmente vedrà ulteriori debutti nel nostro team, sia a livello di piloti che di vetture. Continuate a seguirci, lo spettacolo è appena cominciato ...”
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Giacomo Leopardi –
di
Eleonora Baldi
introverso, morto giovane, vissuto con la voglia di uscire da stretti confini
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Due anime, due modi di essere, due vite completamente opposte. Ma una sola grande compagna: la letteratura. Leopardi e Tolstoj hanno condiviso l’amore viscerale per il racconto, per la poesia, per quei segni vergati sulla carta che ancora oggi ci parlano al presente. Hanno affidato i loro pensieri ad una penna, ci hanno descritto i tormenti dell’animo umano, in quella per certi versi spasmodica ricerca di un infinito che potesse regalare una qualche sorta di felicità, qui ed ora. Ci hanno riconsegnato un ritratto dell’uomo europeo ancora oggi valido, attualissimo. Chi lo sa, fossero vissuti oggi nell’era della tecnologia, della globalizzazione, della rete, magari sarebbero stati grandi amici e avrebbero scritto qualcosa a 4 mani. O magari si sarebbero reciprocamente rispettati ma non avrebbero potuto confrontarsi tanta la differenza di personalità e di stili di vita. Un incontro tra di loro, non è possibile. Ma lo è e fortemente è stato voluto, quello tra le due culture italiana e russa che tanto devono a questi due sommi. Il“Progetto 2011: Anno della cultura e della lingua italiana in Russia e della cultura e della lingua russa in Italia”, costruisce un ponte tra i nostri due Paesi, una strada privilegiata attraverso la quale conoscere reciprocamente queste due realtà e porre le basi per collaborazioni sempre più proficue. Il progetto di scambi tra le due culture si compone di fasi successive che vedono alternarsi i palcoscenici recanatese e russo. Il primo evento ha visto come protagonista Recanati, con la mostra “Leopardi-Tolstoj. Il respiro dell’anima”, tenutasi a Palazzo Leopardi dal 2 luglio al 21 agosto scorso. Inutile raccontare l’orgoglio con cui il conte Vanni Leopardi abbia presentato la figura del grande Giacomo e soprattutto l’imminente traduzione dello Zibaldone in inglese: testimonianza ulteriore della rilevanza internazionale di un personaggio che si pone sempre più come veicolo di promozione delle nostre Marche.
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Due personaggi oppost
Un ponte tra l’It
ti con tanto in comune.
talia e la Russia
Lev Tolstoj –
un protagonista del suo tempo, che visse intensamente ogni secondo della sua lunga vita La fase due del progetto si sposta alla Tenuta-Museo di Jasnaja Poljana in Tula dove dal 1 ottobre al 27 novembre si trasferirà la mostra. La cultura come mezzo per stringere rapporti che vadano oltre un singolo evento, ma che creino la possibilità di confronti, di cooperazioni successive e proficue, che diano il via a politiche internazionali. “Leopardi-Tolstoj. Il respiro dell’anima” non si presenta infatti come evento unico e a se stante, ma fa parte di una volontà condivisa di lavorare insieme. Altre due sono infatti le prestigiose collaborazioni portate avanti dalla Regione Marche e dalla Federazione Russa: la mostra di Zurab Tsereteli inaugurata lo scorso aprile alla Mole di Ancona e la retrospettiva dedicata al cinema russo contemporaneo all’interno del Pesaro Film Festival. E non finisce qui. Anzi, a ben vedere è da qui che si comincia per creare qualcosa di veramente ambizioso, qualcosa che offrirà al mondo della cultura e anche a quello del turismo una novità capace di muovere grandi interessi ed aspettative: la creazione di una rete di parchi letterari europei e lo sviluppo delle case-musei degli scrittori come centri culturali. Guardando ancora un po’più avanti, il 2012 sarà il bicentenario dell’apertura della Biblioteca di Monaldo Leopardi al pubblico: nel 1812 essa conteneva 12.000 preziosi volumi che già nel 1839 erano diventati 14.000. Un’inestimabile ricchezza che sarà celebrata con il XIII Convegno Internazionale su“Leopardi e la traduzione”che si terrà a Recanati nel settembre 2012 e che vedrà la partecipazione di studiosi ed eruditi dei 20 Paesi stranieri in cui Leopardi è stato tradotto. In continuo fermento, la cultura marchigiana cerca di pigiare l’acceleratore per dare uno strattone decisivo a questo momento di impasse. Sì perché lavorare sulle nostre eccellenze significa anche dare una spinta al turismo, significa richiamare attenzione, turisti, fondi europei; significa creare partnership. Insomma: significa creare valore! WM
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Storia di una scoperta,
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Riccardo Maria Barchiesi
appena iniziata.
di
Certo a pensare al Comune di Numana subito si arriva ad immaginare il fischio del vento tra le fronde dei tamerici, bagnato dall’odore di salsedine del mare. Ovviamente non ci si sbaglia affatto, ma oggi voglio raccontarvi un’altra storia. Una storia che, pensate un po’, inizia nel I millennio a.C. e di cui, per cause concernenti la competenza in materia ed altre riguardanti lo spazio a disposizione, tralasceremo i particolari per arrivare a diversi punti, alcuni esclamativi, altri tristemente di sospensione. È la storia dei Piceni, o Picenti (anche tra i testi latini c’è un po’ di confusione), un popolo italico proveniente dall’alta Sabina e stanziatosi nelle attuali Marche e in parte in Abruzzo proprio nel I millennio a.C. .
Se ne rimasero lì a lungo, successivamente a braccetto con gli storici fondatori di Senigallia, i Galli Senoni, poi sotto le calcagna dei fatali dominatori d’Europa, i Romani. Insomma ne passarono di tempo qui ed era dopo era ne lasciarono di roba ad arrugginirsi sotto le nostre terre. Finalmente un punto, quello esclamativo: nel 1979, nella zona“i Pini”del Comune di Numana (ecco che si giustifica il preambolo) venne scoperta una vasta necropoli appartenente proprio al popolo piceno! Da quell’anno i ritrovamenti occasionali furono numerosi e dal 1989 la Sopraintendenza Archeologica per le Marche incominciò ad esplorare la zona sistematicamente. Alcuni dati, giusto due: negli ultimi centocinquant’anni sono state ritrovate circa duemila tombe nelle necropoli preromane dell’area del Conero e quelle riguardanti la zona dell’antica“Humana”(Numana ovviamente, ma ci volle un editto regio per passare all’attuale nome, ma questa è un’altra storia...) si distinguono dalle altre scoperte per diverse caratteristiche che le rendono uniche (perlomeno all’occhio degli esperti), una fra tutte le ricchezze che in esse venivano seppellite. Sono stati ritrovati numerosi oggetti che testimoniano un’elevata raffinatezza e una grande perizia tecnica del popolo del passato. Un’alta percentuale
di ritrovamenti hanno portato alla luce tombe appartenenti a guerrieri e questo sembra lasciar supporre che il popolo piceno fosse un popolo di mercenari. Oltre alle lame affilate, infatti, non avevano molto: pare che non fossero organizzati politicamente e che non conoscessero la scrittura. Tolta la politica, la letteratura di serie b e il calcio di serie a (su questo non dovrebbero esserci testimonianze certe) non restava loro che fare qualche spicciolo spargendo un po’di sangue in qualche campagna di conquista. Tirata qualche somma, questi nostri avi hanno diverse storie da raccontarci e tanti oggetti da popolare interi musei. Quello che ho avuto il piacere di visitare è stato l’Antiquarium di Numana, che può essere trovato proprio dietro la sede del palazzo comunale. Qua arrivano i tristi punti di sospensione... quelli che sono tra le mie parole perché ho avuto il dispiacere di sapere che tutta la zona interessata dai suddetti scavi sembra essere ancora gravida di scoperte possibili, ma i fondi ordinari messi a disposizione dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali non sono sufficienti per continuare le ricerche. Le attuali scoperte, insomma, delineano alcuni confini dei prolungamenti della necropoli, ma uno scavo costerebbe troppo agli enti pubblici rispetto ai benefici che ne trarrebbe dal ritrovamento di reperti.
BREVE STORIA DEI PICENI Popolo di lingua osco-umbra, i Piceni o Picenti si stanziano nel territorio compreso tra i fiumi Foglia e Aterno nel I millennio a.C. Subiscono l’invasione dei Galli Senoni nel IV a.C. e riescono poi a sconfiggerli nella Battaglia del Sentino (295 a.C.) dopo essersi alleati con i Romani. Dopo tale alleanza, la graduale romanizzazione, sfociò in un completo inquadramento nelle strutture politico-culturali di Roma. Nel 1979 viene scoperta la necropoli picena presso il comune di Numana che venne esplorata a partire dal 1989. Sono state scoperte tombe, inumazione in fossa e tre sepolture monumentali a circolo. Una di queste ultime è la cosiddetta“tomba della Principessa di Sirolo”: la zona del ritrovamento, infatti, non è lontana dal suddetto comune. Questo rappresenta uno dei più sensazionali ritrovamenti e con esso furono riportati alla luce due interi carri piceni, gli scheletri di due mule e svariati oggetti preziosi e finemente ornati appartenenti al corredo dell’aristocratica trapassata. Questi reperti e molti altri possono essere osservati presso l’Antiquarium Statale di Numana, via Fenice 4.
La situazione che ne scaturisce è che tutto l’ambaradan è fermo in attesa che qualche privato decida di appropriarsi di un lotto di terreno e di iniziare gli scavi per la costruzione di una qualsiasi struttura, portando così alla luce qualcosa di interessante che, secondo le nostre leggi, andrà poi a finire nelle mani di chi ha la pertinenza amministrativa in materia. Il privato vedrà i propri lavori bloccati per un periodo di tempo delle volte molto lungo, sarà consolato da un premio di rinvenimento quantificato da un archeologo e non potrà che aspettare che gli addetti del campo concludano il loro lavoro con tutta la lentezza dettata dalla limitatezza dei mezzi. Ora, sono pienamente consapevole che i problemi veri distano anni luce da questi, ma sembra che in questo caso ci sia più una stortura sostanziale, un errore a monte
per quanto riguarda l’iter burocratico che paralizza l’iniziativa privata e taglia le gambe alla responsabilità pubblica. Probabilmente è la scarsità di incentivi a dettare l’immobilità, tuttavia si profila all’orizzonte un’opportunità che permetterebbe di valorizzare il territorio dal punto di vista storico, con risvolti turistici, e allo stesso tempo aprirebbe o riaprirebbe la strada a chiunque fosse intenzionato a sfruttare gli spazi ora congelati per la presenza di cimeli ed orpelli nel sottosuolo. Si sta parlando di una possibile partnership che vede il pubblico lavorare al fianco del privato per lo scavo, la scoperta, la valorizzazione e la gestione di ogni granello di storia risvegliato dal sonno delle ere. Una storia che si chiude con un’idea, forse inutile, ma delle volte il nodo si scioglie semplicemente pensandoci un po’su. WM
AREA ARCHEOLOGICA I PINI SIROLO
NUMANA - AREA ARCHEOLOGICA I PINI - VISIONE DALL’AEREO
NUMANA - AREA ARCHEOLOGICA I PINI TOMBA DELLA REGINA PICENA
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101 di
Maria Pettinari
storie di regine e principesse che non ti hanno mai raccontato
“Guarda, Alberto è in casa” mi diceva mia zia indicandomi la bandiera sul pennone del Palazzo Reale. Alberto era il giovanissimo Principe di Monaco ed io una ragazzina sognante che comprava cartoline della famiglia reale. Ed ora sono qui, con Marina Minelli che niente meno ha commentato il matrimonio del rampollo di casa Grimaldi per la televisione svizzera del Canton Ticino. Marina ha una vera passione per le teste cornate, ma soprattutto è una vera esperta in materia. Oltre ad aver creato un sito seguitissimo (www.altezzareale.com), è autrice del libro uscito l’8 settembre scorso per la Newton Compton “101 storie di regine e principesse che non ti hanno mai raccontato”. Ma quando chiedo a Marina come nasca questa passione lei mi risponde: “da una fiaba...ovvio!”. E visto che non so decidermi quale sia stata la mia fiaba preferita, lei prosegue: “A me son piaciute sempre le fiabe con le principesse e da piccola ho avuto sempre dei libri bellissimi, ma soprattutto amo leggere e a casa avevamo tantissimi libri. Col tempo mi sono appassionata alle regine vere, alla storia e di conseguenza alle vicende delle famiglie reali”. Marina ha studiato Storia moderna, di mestiere fa la giornalista e a un certo punto ha scoperto la grande potenzialità del web. Nasce così Altezza Reale, prima un blog e poi un sito: il primo sito italiano dedicato alla storia e all’attualità delle famiglie reali. “Un’esperienza che ha avuto un seguito eccellente” - spiega Marina - “ ho scoperto così che ci sono tante persone che hanno la mia stessa passione ma molto imbarazzo a dimostrarla. Non solo persone attratte dal gossip, ma anche dalla storia e dal forte legame che le Case Reali hanno con il proprio territorio. A questo proposito ho scoperto che una città come Parma è legatissima alla sua storia e quindi alle sue dinastie, e cioè ai Borbone-Parma che rappresentano un fortissimo legame con il passato”. E le Marche, terra di Papa Re, che legame ha con le altezze reali? “Ovviamente non
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così incisivo visto che si trattava di ben altra monarchia, pontificia appunto, per cui ora la nostra regione fa fatica a riscoprire le sue signorie. Ci sono infatti personaggi, soprattutto femminili, che potrebbero essere valorizzati maggiormente e messi in evidenza. Ho scelto alcuni personaggi per il libro come ad esempio i Duchi di Urbino e le Duchesse che sono state al fianco dei mariti, delle governatrici, quando i mariti facevano i capitani di ventura e delle mecenati. C’è Battista Sforza, che è una donna vissuta fino a 24 anni mettendo al mondo una decina di figli ma che secondo me, è una donna eccezionale per la sua epoca. Nata a Pesaro, è stata Duchessa di Urbino accanto a Federico da Montefeltro ed è rimasta famosa per il celebre ritratto che le fece Piero della Francesca, conservato alla Galleria degli Uffizi”. E’ dunque una passione, quella di Marina, che parte dalle fiabe, si sviluppa sul web per arrivare a “101 storie di regine e principesse che non ti hanno mai raccontato”. “Sì, in verità si tratta di storie di regine e principesse in senso lato, cioè sovrane come appunto la Duchessa di Urbino, ma soprattutto sono storie di donne. Un libro frutto di una ricerca storica, scritto come sa fare un giornalista e non è quindi un saggio storico. Delle 101 donne del libro mi piace menzionarne tre che secondo me, meglio rappresentano lo spirito del libro. La prima in assoluto è Eleonora D’Aquitania, visse fino ad 82 anni. Regina di Francia, lascia il marito per risposare un uomo più giovane e diventare regina d’Inghilterra. Una donna che ha partecipato alle Crociate, ha fomentato rivolte, madre di Riccardo Cuor di Leone. La seconda, la Granduchessa di Lussemburgo, Charlotte, che nel suo piccolo, ha condotto una strenua resistenza a Hitler. Fuggita in America è stata promotrice di una campagna per persuadere gli americani ad aiutare l’Europa. La terza, ... (pausa) ebbene sì, a me sta più simpatica la suocera che Sissy!” WM
BIOGRAFIA Marina Minelli è nata ad Ancona e vive a Falconara Marittima con il marito Stefano e due bellissime gatte, Violetta e Rosina. Dopo la laurea in Storia moderna, ha iniziato a collaborare con quotidiani e periodici ed è stata responsabile dell’ufficio stampa di associazioni ed enti pubblici. Nel gennaio del 2009, ha creato http://www.altezzaReale. com, il primo sito italiano dedicato alla storia e all’attualità delle famiglie reali. Viaggia spesso, soprattutto in Francia. Ama il mare, gli alberi, i libri, gli animali e l’opera lirica.
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Marina Dorica
Giuliamare
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Il Libeccio
Marche
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Ancona Centro - C.so Garibaldi 3 Ancona
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LA STORIA DELLA
Un esperimento di costruzione davvero innovativa, ch
Le storie delle case sono quasi sempre le storie delle persone che le hanno volute. Spesso le stesse persone che le hanno viste crescere, dalle fondamenta in sù. Qualche volta, quelle persone ci hanno persino messo testa, mani, sudore e cuore. Ovvero, se le sono anche costruite.
di
Giampaolo Paticchio
Paolo ed Elisa vivono nell’entroterra fermano, nella campagna aspra e faticosa che si trova a metà strada tra la costa e i monti Sibillini. Un giorno decidono di utilizzare lo spazio di un vecchio rudere vicino casa, per edificare una casetta di legno che diventi un laboratorio del miele, dal momento che da qualche tempo si sono messi ad allevare api. “I tecnici del comune di Monsanpietro” - racconta Paolo - “ci dissero che il legno a vista proprio non andava bene, perchè in contrasto con il resto del paesaggio. A meno che non l’avessimo ricoperto esternamente. Lo dice il regolamento edilizio. Le alternative sono vincolate: o intonaco o mattoni. Io ero allibito e, mentre i tecnici mi mostravano il regolamento, pensavo tristemente agli orrendi capannoni industriali di cemento armato nell’immediata periferia del paese”.
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Le regole che normano l’edilizia pretendono di detenere la verità del paesaggio, ma molto spesso esprimono semplicemente la verità del mercato. Che del paesaggio e della terra se ne infischia. “La creatività architettonica, anche quella più sensibile all’armonia del manufatto con l’ambiente circostante, è continuamente mortificata dalle regole. Che poche volte si ispirano alla sostanza e molto spesso garantiscono solo l’apparenza” - sottolinea Alessandro Monachesi, l’ingegnere che aiuterà l’amico Paolo a mettere in atto il piano B. Infatti Paolo ed Elisa non si arrendono al cemento e ai mattoni, e cominciano a pensare ad una struttura fatta con muri di paglia. “Almeno la paglia viene dal campo del nostro vicino!” esclama Paolo mentre contempla con orgoglio la sua casetta ormai in fase avanzata. La macchina imballatrice era stata inventata da poco quando, a fine ‘800, i coloni inglesi del Nebraska edificarono le prime case di paglia. In attesa del legno che sarebbe arrivato attraverso le ferrovie, questi ingegnosi pionieri iniziarono a costruire case provvisorie con
A CASA DI PAGLIA
he guarda all’ambiente e al passato
le balle di paglia, materiale di scarto del grano con cui coltivavano le loro immense pianure. Le balle venivano usate non solo come enormi mattoni con cui tirare sù i muri, ma addirittura come struttura portante (tecnica autoportante “Nebraska”). La seconda guerra mondiale e l’imporsi commerciale del cemento estinsero questo metodo di costruzione finchè, negli anni ’70, esso non conobbe una rinascita, soprattutto negli ambienti ecologisti statunitensi. Si svilupparono così nuovi metodi e le tecniche furono affinate, sbarcando, negli anni ’90, anche in Europa e precisamente in Gran Bretagna e in Irlanda.
poichè questo consente di ridurre i trasporti, quindi l’inquinamento e le spese; ma, soprattutto, perchè questo favorisce un impatto ambientale e paesaggistico ideale. Infatti, come evidenzia Alessandro, l’ingegnere, “ciò che ti integra bene nel paesaggio è ciò che, in quel paesaggio, c’è già”. Nel nostro caso, proprio la paglia. Non si tratta soltanto di un discorso estetico. Le implicazioni sono economiche, sociali e persino etiche. Basti sapere che al MAXXI, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma, sino al 15 agosto scorso, N.o.v.a.Civitas, un collettivo di architetti impegnati in un processo di
In Italia, la prima struttura in paglia, un’abitazione su due piani di 140 metriquadri l’uno, è sorta a Pramaggiore, in provincia di Venezia. La casetta di Paolo ed Elisa non si regge sulla paglia ma, nel rispetto delle normative italiane vigenti, ha una struttura portante in legno; le fondamenta invece sono in cemento, poichè le alternative erano troppo dispendiose o fuori regolamento. È stato infatti più volte necessario mediare, nel corso della costruzione, tra innovazione e regole. Dalle fondamenta parte poi un cordolo basso di mattoni su cui poggiano le balle, che rimangono così isolate da terra. Un principio fondamentale della Bio-architettura è quello che bisogna utilizzare, come materiali per la costruzione, tutto quello che c’è a portata di mano nel posto in cui la casa sorgerà, secondo il modello della “filiera corta”,
trasformazione responsabile dell’arte e dell’architettura, ha esposto una elaborata parete di paglia. L’idea portante dell’installazione era quella di un’architettura a misura d’uomo e di ambiente, capace di riscoprire prodotti usati fin dall’antichità, ma in realtà innovativi, di origine naturale o provenienti dal riciclo. La nuova frontiera della tecnologia edile, quindi, attinge a piene mani al passato, alla saggezza antica nel costruire. “Il nostro è un primo esperimento.” - continua Alessandro - “La scommessa è quella di costruire in maniera ambientalmente sostenibile (la paglia è un prodotto rinnovabile e non inquinante) ed economicamente accessibile (una balla costa circa un euro). Ma anche estremamente funzionale e moderna, soprattutto in chiave di risparmio energetico. I muri infatti, grazie alla paglia e ad un intonaco naturale e poroso, traspirano meravigliosamente, evitando muffe e
condensa. Permettono un elevato isolamento acustico e termico: tutti quelli che da bambini si sono nascosti per gioco tra le balle sanno bene che, dentro un pagliaio, non si sente assolutamente nulla dei rumori esterni. Inoltre la paglia, rispetto a qualsiasi altro materiale edile, permette un alto sfasamento temporale dell’onda termica: riesce a isolare gli interni, mantenendoli freschi d’estate e caldi d’inverno. Questo lo sperimenteremo quando la casa sarà finita ma, teoricamente, in un ambiente sufficientemente piccolo come quello che stiamo approntando (circa 45 mq) e in un territorio a clima temperato come quello delle Marche, il riscaldamento artificiale dovrebbe diventare necessario solo in situazioni di picco delle temperature invernali, mentre normalmente dovrebbe bastare la presenza delle persone che vivono l’ambiente e l’uso dei fornelli, per tenere calda la casa”. Anche il tetto di legno, costruito secondo la tecnica della ventilazione, gioca sull’alternanza di vuoti e pieni ed è dotato di un isolante naturale molto performante: la fibra di legno. La casetta di paglia finirà per costare, infissi e impianti compresi, circa 1000 euro al metroquadro, cioè molto meno di qualsiasi altra struttura di così alto livello tecnologico e di fattura bioarchitettonica. Più o meno quanto una struttura in calcestruzzo di bassa fattura e di livello innovativo nullo. “Ma” - lamenta Paolo - “i costi amministrativi sono spropositati per una costruzione così piccola. Anche nel nostro caso sono valse le stesse regole e cifre che riguardano, ad esempio, i palazzi. Inoltre, se da un lato l’uso di questi materiali permetterebbe l’esperienza dell’auto-costruzione, naturalmente sotto la supervisione di una guida esperta, le leggi di fatto la ostacolano, costringendo all’intervento, in molti casi, della manodopera specializzata. Al netto di questi limiti burocratici, la nostra casetta sarebbe costata molto meno”. Ora è quasi finita. L’intonaco esterno sta gradualmente ricoprendo la paglia, facendola scomparire alla vista. I muri hanno un aspetto paffutello, allegro. Aspettano solo persone che li abitino e li facciano vivere. WM
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MISS e Mister Yacht Club
di
Raffaella Scortichini
Bellezza al potere Ci piacerebbe poter chiedere a Mario Arras e Luigi Pansino se quando gli è balenata in mente l’idea di lanciare un concorso di bellezza che promuovesse il mondo della nautica, erano in grado anche solo di sognare il grande successo che negli anni ha bagnato la manifestazione, unica ad essere nata nelle Marche e ad avere assunto negli anni forte rilevanza nazionale. Anche in occasione dell’edizione 2011 infatti, i complimenti sono di dovere per un evento organizzato nel migliore dei modi, attorno al quale si è radunato un folto pubblico per la serata finale di domenica 25 Settembre, nella cornice pesarese dell’Hotel Flaminio. Alla fine, i più belli del reame sono risultati esse-
Photo: Valerio Giunti
MISS E MISTER YACHT CLUB PORTANO IN PASSERELLA WHY MARCHE; SOTTOLINEANDO LA PROFIQUA COLLABORAZIONE TRA IL CONCORSO E LA NOSTRA TESTATA
re Evelina Mucerscaia tra le donne e Giorgio Nigro tra gli uomini. Ma tante sono state le fasce assegnate nel corso della serata di gala, per mano di personalità di spicco del panorama della moda marchigiana e non solo. Nicoletta Cei, estrosa creatrice di gioielli, ha assegnato due fasce: quella appunto di Miss Nicoletta Cei 2011 ad Assunta Cinotti e quella di Mister Linea Sprint Lorenzo Pierleoni. Altra presenza eccellente, quella di Cristian Tamburelli, titolare della Trona, che ha incoronato Laura Purcaro come Miss Trona 2011. Non poteva mancare ovviamente Mario Arras a premiare una delle miss che devono proprio a lui, oltre che a Luigi Pansino, questa opportunità: a ricevere la fascia da lui è stata Assunta Cinotti, come Miss Yacht Service 2011. Ancora molto lungo sarebbe l’elenco delle belle e dei belli che hanno lasciato Pesaro con l’agognata fascia, ma al di la di nomi e cognomi che popolano le varie edizioni della manifestazione, quello che preme sottolineare è la capacità di questo concorso di andare oltre i canoni del classico evento dedicato alla bellezza. Infatti la marcia in più di questa manifestazione è la capacità di unire due modi di concepire la bellezza: quello considerato più tipicamente frivolo del mondo della moda, delle passerelle, dello spettacolo e quello invece attento al design ed ai dettagli di chi del bello ne fa la caratteristica dei suoi prodotti affiancandolo alla qualità dei materiali e delle strumentazioni, come l’universo nautico. Bellezza&Nautica un connubio vincente che anche quest’anno si è rinnovato. E scommettiamo che i due organizzatori e i loro team saranno già al lavoro per creare un’edizione 2012 all’altezza delle aspettative!
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Il colpo d’occhio regalato dalla partenza della Regata del Conero, rimarrà impresso nelle menti dei presenti. Ma la manifestazione organizzata dalla Marina Dorica è stata di più:
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Molto più di una regata
a cura di
IDRUSA
di Paolo Montefusco
“Anche in questa edizione una grande performance del team ci ha permesso di ottenere la vittoria, alla quale non dico che siamo ormai abituati ma sicuramente ci puntavamo fortemente. Quest’anno in particolare è stato quasi tutto perfetto. Oltre alla solita cordialità e professionalità della Marina Dorica, alla bellezza della struttura, al numero di partecipanti e a uno scenario come quello del Conero, si è unita anche una condizione climatica quasi caraibica: sole e vento. Una bellissima edizione! L’unica cosa che auspicherei, sarebbe la presenza di qualche altro maxi per rendere la competizione ancora più combattuta.”
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Eleonora Baldi
una festa a 360°
ORLANDA
di Filiberto Sammarini
“Arrivare secondo assoluto e primo di classe è una bella soddisfazione: anzi molti dicono che io sia il “vincitore morale” date le grandi dimensioni di Idrusa…ma io non mi permetto di affermare tanto! Certo, quando si regata l’agonismo c’è ed arrivare secondi non piace mai! Di sicuro la mia barca non era qui tanto per partecipare, ma per fare un buon risultato e fortunatamente ci siamo riusciti. L’evento secondo me è gestito molto bene, diventa sempre più professionale ma allo stesso tempo conserva una dimensione di piacevole familiarità. Io sono un amante del Conero ed anche per questo mi piace partecipare a questa Regata: qui è bello tutto, si mangia bene, si sta da Dio e si regata in maniera divertente e combattiva!”
Per tre giorni, da venerdì 16 settembre a domenica 18, noi di Why Marche siamo stati presenti costantemente a tutti gli eventi a terra e a mare che hanno composto il ricchissimo calendario di questa XXII edizione della Regata del Conero. E lo slogan che gli organizzatori di Marina Dorica hanno scelto non poteva essere più veritiero. “ Tre giorni di arte musica e sport” si leggeva nei manifesti in giro per la città: e questo è stato veramente! L’impegno è nato sicuramente dalla volontà più volte espressa dai protagonisti di questo evento di dimostrare come la vela non sia qualcosa per pochi eletti, un mondo a se nel quale chi non possiede imbarcazioni da mille e una notte non può entrare. Tutt’altro: un altro modo per fare integrazione, per rendere Ancona ancora più attrattiva, sia per i turisti ma, perché no, anche per gli anconetani stessi. Integrazione, questa potrebbe essere la parola chiave della tre giorni. E sotto molteplici aspetti. In primo luogo, l’integrazione degli eventi appunto, quelli a mare e quelli a terra. All’interno della Marina Dorica si sono dati appuntamento esperti del mare in tutte le sue declinazioni come il velista Pasquale De Gregorio e il Dott. Claudio Stampi, esperto di fisiologia del sonno, che ci hanno raccontato come sconfiggere durante le lunghe traversate il grande nemico “sonno”. Oppure Tommaso Chieffi, uno dei più grandi velisti italiani, e
Cicci Spaziani, anconetano di nascita che ha solcato i mari di regate internazionali. Ma c’è stato spazio anche per una cultura non legata strettamente al mare, con la presenza della scrittrice Chiara Giacobelli e con le mostre organizzate all’interno dei Circoli nautici che vedevano protagonisti il vento ed il mare. Integrazione come modo di superare la disabilità, con la vela come strumento di socializzazione e recupero: per questo motivo si sono confrontati in un interessante seminario medici ed esperti. Integrazione se vogliamo, anche durante l’evento nell’evento: quella Regata del Conero che ha visto la partenza di 191 imbarcazioni di dimensioni e caratteristiche diverse in una splendida domenica mattina soleggiata con occhi sgranati a seguirle dal Passetto e ad ascoltare la cronaca frizzante di Paolo Cori. E a curare l’organizzazione e l’alternanza dei vari eventi, non dimentichiamo la mano sapiente di Carlo Mancini, Presidente del Comitato Organizzatore della Regata del Conero. A conclusione di questa tre giorni quello che resta è il messaggio forte: Ancona non sia semplicemente una città sul mare, ma una città di mare. Marina Dorica e la Regata del Conero ce l’hanno dimostrato quest’anno: l’appuntamento all’anno prossimo con nuove sorprese in serbo per innamorarci ancora di più!
CALIPSO
di Piero Paniccia
“Considerando il fatto che l’anno scorso avevamo vinto, a livello sportivo questo risultato non mi soddisfa anche se vincere era difficile. La Regata del Conero nasce come una passeggiata, ma quando si gareggia prevale lo spirito agonistico per cui si cerca la vittoria. E farlo in una regata dove ti trovi a competere con barche di dimensioni diverse senza handicap non è assolutamente facile, specie se le categorie comprendono differenze di dimensioni molto ampie. Il bello della Regata del Conero è la sua incertezza: la partenza viene data alle 11 quando ancora il vento non si è stabilizzato; solo nel corso della gara si vede chi ha fatto la scelta giusta! Comunque questa regata è un gran bello spettacolo, ci sono tante barche e il colpo d’occhio è eccezionale”.
Ecco cosa ci dice Leonardo Zuccaro, Direttore di Marina Dorica
“ E’ stata una delle edizioni più belle della Regata del Conero! Ampio e convinto è stato anche l’apprezzamento di tutti i regatanti e tutti i partecipanti alla manifestazione. La formula che prevede questa sorta di osmosi tra terra e mare, tra i vari circoli appartenenti al Consorzio Vanvitelli della Marina Dorica è stata vincente. Mostre, convegni, attività all’interno dei circoli hanno permesso un coinvolgimento maggiore: nella giornata di sabato abbiamo avuto più di 4mila presenze! Voglio sottolineare la partecipazione delle 80 imbarcazioni a vele bianche che è quella sulla quale puntiamo di più perchè vogliamo incrementare il numero dei velisti non professionisti. Per il futuro? Vogliamo ancora premere sull’acceleratore per superare la fatidica soglia delle 200 imbarcazioni iscritte! Sicuramente per l’anno prossimo ci inventeremo qualche sorpresa, pur rimanendo ferma la formula scelta con il Presidente del Comitato Organizzatore Carlo Mancini, per attirare ancora più pubblico e farlo innamorare della vela!”.
ALTAIR
di Sandro Paniccia
“Abbiamo vinto la nostra classe, mentre in classifica generale chi è arrivato davanti a noi aveva dimensioni che lo hanno facilitato: abbiamo ottenuto il massimo. Io ho sempre partecipato alla Regata del Conero, è un appuntamento per noi velisti anche perché c’è una grande amicizia con Ancona: partecipare è anche onorare chi la organizza. La sua caratteristica è quella di essere una festa ed è questo il bello: vale la pena farla sempre! Certo, poi posso dire che qualcosa si potrebbe migliorare dal punto di vista tecnico, ma bisognerebbe capire se è nel suo spirito”.
ALCUNI MOMENTI DELL’EVENTO DI MARINA DORICA
ENFANT TERRIBLE di Alberto Rossi
“L’emozione più grande è vedere la riuscita di questa bella manifestazione: condizioni ottimali, quasi duecento barche in partenza. L’aver contribuito è sicuramente la soddisfazione più grande. A livello sportivo, abbiamo avuto una piccola avaria subito dopo la partenza che però abbiamo brillantemente superato ed il risultato è venuto anche grazie ad un valido equipaggio. La Regata del Conero è una cosa nostra, è di casa nostra e quindi siamo tutti dei supporter particolari. Quello che vorremo fare per il prossimo anno è creare le condizioni per superare questa fatidica quota 200 partecipanti che avviciniamo ma non riusciamo a superare”.
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E venti
L’artigiana della mus Ale è un fiume in piena, ti travolge di parole e di racconti. Ma non ti annoia. Non è possibile: quando parla di musica, del suo percorso, delle sue idee, dei suoi incontri, straborda passione. E la passione non annoia. La passione coinvolge. Conosco Ale da un po’. Ma non è per questo che vi sto parlando di lei. E’ perché un artista lo riconosci. E quando lo incontri, non puoi che restarne affascinato. Ti appassioni al suo percorso, ti fai trasportare dall’energia che sprigiona. E quando ti capita di poter essere testimone di un evento importante, come in questo caso il lancio del suo primo Ep, sei orgoglioso di poterne in qualche modo fare parte e vuoi condividerlo con gli altri: la musica, come l’arte in generale, è un bene primario perché è una pomata per l’anima. E di moderni cantastorie quanti ne conoscete? Io una ne conosco ed oggi voglio presentarvela.
Due tatuaggi sulla parte anteriore delle spalle, una chiave di basso ed una di violino…un legame con la musica che fa parte della pelle e dell’anima della giovane cantautrice marchigiana Alessandra Machella
di Eleonora Baldi
L’occasione è di quelle importanti: l’uscita del suo primo Ep, 22 kg. Prima di cominciare a parlarne seriamente, la prima domanda per i “comuni mortali”: che cosa è un Ep? Alessandra ci spiega che è semplicemente un cd con meno canzoni, 6 tracce, 6 emozioni. E’ il suo ingresso nel mondo della musica come cantautrice, un ingresso non urlato, non pubblicizzato dai palchi di un talent show. In punta dei piedi. In realtà nell’universo musicale Alessandra ci vive da molto. Ma fin’ora ha cantato cover. E’ stata addirittura la sosia di Elisa in un noto programma condotto da Lorella Cuccarini qualche anno fa. Ma quando fai musica, ci dice, arriva il momento in cui hai bisogno di dire, “se ce l’hai qualcosa da dire”, sottolinea. E allora arriva 22 kg, la sua prima autodeterminazione come la chiama lei, è mettere i punti sulle i di un percorso che è iniziato ormai dieci anni fa.
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Cosa significa questo titolo?
“Il 22 è tante cose. Per prima cosa è un numero maestro; si dice che i numeri che hanno due cifre uguali abbiano una sorta di potere. Pensa a quando guardi l’orologio e vedi le 22.22, non hai uno strano sentore? Non è come se leggessi 22.21, non sai perché ma ti colpisce. Secondo la numerologia questa sensazione è legata appunto ad un potere. Il numero 22 in particolare racchiuderebbe una forza che spinge la persona a realizzarsi e ad autodeterminarsi; realizzi di essere uno al centro dell’universo, sei in contatto con il cielo e con la terra, è come dire: io mi specchio ed esisto. E’ una cosa che mi affascina. 22 sono i quarti dell’ottava musicale, sono le ossa che compongono il cranio. E c’è il 22 per me: secondo me è il peso dell’amore, ecco perché kg. Dell’amore per la musica, dell’amore in astratto, senza genere e senza direzione.
sica
www.alessandramachella.com 22 sono i minuti che dura l’album, è il numero della mia stanza al Cet – la scuola di Mogol che Alessandra ha frequentato, ndr - . 22 è il mio percorso.” Una strada che Alessandra sa perfettamente essere appena cominciata. E questo nonostante gli anni di“gavetta”come lei stessa li definisce siano già molti. E nonostante abbia già avuto l’opportunità di aprire concerti importanti, di essere presente in programmi televisivi nazionali, di accompagnare come in questa estate la cantante Lighea in tour. L’uscita di 22Kg, ci confida, rappresenta per lei un modo di affermarsi di dire“eccomi, sono qua!”. Ma questo non è un punto di arrivo. La musica è la sua passione, è il suo ossigeno. Continuerà a studiare. E’iscritta all’Accademia Percento Musica di Roma. L’uscita del cd è la conclusione di un pezzo di strada; ma il cammino continua. “E’qualcosa di catartico, qualcosa che ti svuota. Durante tutte le tue giornate raccogli tanti piccoli pezzi del puzzle, quando li hai messi tutti insieme in musica e parole, arriva il cd. Ma adesso, nonostante questo sia già un pezzetto del mio sogno realizzato, mi sento come se non avessi fatto niente. Ho già voglia e bisogno di ricominciare da capo. Continuerò e fare cover, live, a girare. E scriverò. E suonerò”.
“Non riesco a pensare la mia vita normale.. tra le strade della mia città, mentre faccio la spesa o mentre mi cucino, seduta dietro ad una scrivania, dentro una casa con un marito due figli e un cane in giardino.. questo magari è il “tempo di mezzo”, è l’aspettativa di esistere davvero... perchè è quando salgo quei gradini che mi portano sopra ad un palco che realizzo veramente di essere. Sai quella sensazione di trovarti nel posto giusto al momento giusto? Ecco.. sono quegli attimi di vuoto prima di salire sopra le assi di legno, prima di imbracciare la chitarra o prendere il microfono e cantare, che mi fanno sentire davvero viva” In 22kg avrebbe potuto inserire anche altre tracce frutto di collaborazioni, alcune delle quali anche molto importanti. Ma ha preferito di no. Non per egoismo e questo ci tiene a sottolinearlo ma “perché volevo far capire che sono una cantautrice. Studio musica per questo. Ho scelto sei pezzi che sappiano descrivermi come scrittrice di musica e parole perché è questo che voglio essere”. Le chiedo quale sia la sua canzone preferita. Rimane un attimo pensierosa, fa fatica a sceglierne una. E allora se ne esce con una battuta“Sono tutte bellissime, in una maniera imbarazzante!”. Poi ritorna seria.“Sono tutte diverse, le ho scelte volutamente in modo che possano essere tutti potenziali singoli. Dipende dall’umore che si ha, da quello che si vuole. Trovi la ballade romantica, “Io + te”. Poi ci sono pezzi energetici, più rock, con sonorità particolari ed influenze brit. Un pezzo al quale sono molto legata è“If-segni sulla pelle”. E’un pezzo nato in maniera strana, tutto insieme testo e melodia.” Questo pezzo ha una storia particolare. Fa parte di un altro progetto creativo al quale Alessandra ha partecipato“Anatomia Femminile”. Un libro che parla del corpo della donna ed affida ad ogni cantautrice indipendente italiana una parte del corpo. E’ Michele Monina - scrittore, giornalista ed autore televisivo – che propone questa opportunità ad Alessandra. La sua parte del corpo? Erano rimasti i tatuaggi.“Bello, mi piaceva l’idea. I tempi di consegna erano strettissimi. Avevo questo pezzo, If appunto. Il testo era bello ma non mi convinceva. Una parte parlava dei segni sulla pelle. Ho deciso di tenere solo quella e riscrivere tutto. Ne è venuto fuori qualcosa di molto particolare”. L’ultima cosa che ci dice è che 22 kg è totalmente autoprodotto. Nessuna casa discografica alle spalle, nessuna etichetta indipendente. Una scelta impegnativa, che dimostra ancora una volta il carattere di Alessandra: vuole potersi autodeterminare – ricorre spesso questa parola – in tutto e per tutto. Non vuole vincoli. Certo, ci dice sorridendo, se Caterina Caselli o qualche major suonassero alla sua porta…se ne potrebbe discutere! L’arte scorre libera, come la musica scorre nelle sue vene. Chiacchieriamo ancora un po’. Mi racconta tante altre cose che vorrei poter raccontare a voi. Però forse, meglio che la pagina sia finita: così a raccontarvi di lei e della sua storia, saranno parole&musica, raccolte in 22kg.
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(Emilio Maria De Freitas Moura Guedes) “Inutile essere vittime delle nostre insoddisfazioni, è troppo semplice e non porta da nessuna parte. Occorre costruire, o perlomeno tentare di farlo, in compagnia di chi ci può rendere felici oltre quei dieci minuti di un apparente orgasmo.” (Kruger Agostinelli 01.07.10)
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Ciò che la forza distrugge la volontà ricostruisce.
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La ludica, anzi, in particolar mondo la videoludica, sta vivendo un momento storico fatto di paradossi: da una parte, si registra lo sviluppo più poderoso e convincente del mondo delle consolle da diversi anni a questa parte (e questo prolunga e accentua l’agonia delle sale giochi, che oramai provano a difendersi solo con hardware imponenti, ma per il resto tendono tutte ad assomigliare sempre più ad un claustrofobico luna park, oppure a trasformarsi inesorabilmente in sale slot…). Si tratta di un mercato, quello della macchina-videogioco casalinga, che, seppure a fasi alterne, ha retto in maniera egregia l’impatto della crisi mondiale e che in questo momento sta usufruendo di tecnologie avanzatissime, rivolgendosi ad un pubblico che, a quanto pare, è sempre più diffuso ed eterogeneo (girls powaaaaaaa!). Dall’altra parte, però, si registra il diffondersi di migliaia di applicazioni per dispositivi portatili come smartphone e tablet, vendute
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o comunque scaricate in decine di milioni di copie nel mondo. Ma le app non sono sole in questa cavalcata verso il domani: perfino i social network e pure i file excel (a qualsiasi cosa essi servano realmente… ok, ok, scherzavo!) si stanno popolando di giochini di ogni genere. E il pc se ne resta, sornione, a mezza via: per chi si è fatto il computer di Mefistofele, allora ci sono belli pronti gioconi pesantissimi e psichedelici, mentre per i cultori delle nicchie, così come per chi ha una macchina un pochino più arretrata, ci sono intrattenimenti per ogni gusto, molti dei quali provenienti dal fronte indipendente. Il lato positivo è che sempre più persone stanno sperimentando nuove frontiere del gioco in qualsiasi occasione (e vista la mia filosofia di vita, questo è un vero e proprio nuovo Rinascimento ai miei occhi)… mentre il lato negativo è che la produttività media sta crollando in ogni settore… no, scherzi a parte, la possibilità di giocare in modo
appagante (a livello sensoriale, ma anche in termini di divertimento effettivo) in ogni quando e in ogni dove, genera sicuramente scompensi operativi e sociali (tanto il tempo è quello che è, o ci fai una cosa, o ne fai altre) ma stimola anche la creatività di moltissimi. Credo che questa alchimia sia uno dei processi realmente innovativi per il progresso culturale di una civiltà: un po’ come per i mattoncini delle famose costruzioni, l’idea di poter usufruire di “n” giochi compattati in poco spazio, o perfino di programmarne di propri, sta scatenando l’inventiva di soggetti che, in condizioni differenti, sarebbero rimasti, nella migliore delle ipotesi, in un limbo fatto di gioco passivo e non creativo, abitudinario e non pionieristico. Esiste anche un lato positivo ulteriore, secondo me: il poter giocare “senza impegno” e il poter godere di sistemi di gioco innovativi (vedi Kinect e dintorni, ma anche il gaming on line) stanno snaturando, in un certo
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senso, la vecchia idea di videogioco, legata all’immobilità, all’asocialità e all’isolamento. Sì, lo so che adesso molti puristi del contatto carnale si scateneranno nel sostenere che l’elettronica è il demonio, ma continuo ad essere convinta che si tratta di strumenti, e come tali possono essere utilizzati bene o male, tutto qui. Tornando a noi, c’è ora la possibilità di non dover videogiocare chiusi in casa, o perfino di farsi una bella sudata… ma ci pensate? “Mammaaaa, vado a giocare con l’Xboooox!!”“Sì, Giacomino, ma non sudare!”… incredibile, ho i brividi… E mi preme far notare, inoltre, che la creatività non necessariamente deve essere solo fatta di legno, ferro, pietra, cacciaviti e seghe (forse era meglio dire martelli…): in un mondo fatto di bit, sapere fare qualcosa di “materiale” con questi atomi di informazione è un po’ come, in un mondo fatto di legname, essere bravi a fare burattini. Ma, tornando alla grande industria dell’in-
trattenimento video ludico, il paradosso di cui parlavo all’inizio si annida nell’enorme divario che si sta creando proprio tra l’universo delle consolle e quello dei dispositivi portatili. Esiste una sorta di scontro darwiniano tra il gioco “pesante” (in termini di grafica, storie, giocabilità, durata) e quello apparentemente più leggero (Angry Birds rulez!). Si tratta di un gap non da poco, non tanto nell’atteggiamento dei giocatori che, seppur ovviamente in modo diverso tra l’uno e l’altro approccio, spesso si dilettano con entrambe le categorie, ma soprattutto nell’intero comparto imprenditoriale che si sta sviluppando in questi settori. Microsoft, Sony, Nintendo e compagnia stanno attrezzandosi per portare la fantascienza nelle case degli utenti, mentre i programmatori di app, ma anche molti autori di giochi indipendenti, stanno sublimando sempre di più il prodotto, svilendolo, in un certo senso, dal punto di vista visivo e uditi-
vo (che poi non è sempre vero, se vogliamo dirla tutta), esaltando però, nel contempo, l’esperienza mentale e ludica in senso lato. Ma sono davvero mondi in conflitto? La diversità spesso suggerisce uno scenario di guerra, ma probabilmente non sarà questo il caso: si gioca sempre di più e l’elettronica e l’informatica in questo aiutano molto; certo, il rischio dell’abuso c’è sempre e comunque, ma si tratta di un nostro difetto, non loro. Se posso essere presa come esempio, adoro il mondo dei bit, ma vi assicuro che non mi faccio mancare niente in termini di contatti umani, garantito! E sebbene io rimanga intimamente legata al mondo del gioco di ruolo, di simulazione e di strategia non-elettronici, posso dire con un cuore leggero e felice che mi sa tanto che mi siederò qui, sul ciglio del mondo, a godermi questa evoluzione, perché sono convinta che il divertimento sia appena cominciato… WM
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P erche?
Incontro con il medico palestinese, emblema della resistenza non violenta e candidato al Nobel 2010 per la pace
a cura di Giampaolo Paticchio (Interprete: Ilaria Tarasconi)
“Io sono nato profugo
e ogni anno migliaia di bambini palestinesi nascono già profughi. Profughi e poveri. E non per volere di Dio, ma per mano di altri uomini.
*
Izzeldin Abuelaish, sguardo franco e voce decisa, è nato 56 anni fa nella Striscia di Gaza, nel campo profughi di Jabalia. Lì la sua famiglia aveva trovato rifugio, dopo essere stata espropriata della sua terra per mano dell’esercito della Stella di David. La terra che è stata di suo nonno oggi - ironia della sorte - ospita il ranch di Sharon, ex generale ed ex premier israeliano.
È per questo che non posso accettarlo”. Whymarche.com 79
P erche? A dispetto delle condizioni di partenza e a costo di duro lavoro, oggi Izzeldin è un medico apprezzato. Anzi è stato uno dei primi medici palestinesi a lavorare per gli israeliani. Amato e rispettato da una parte e dall’altra del ceck-point che gli toccava attraversare per andare al lavoro, il dottor Abuelaish era un emblema in carne ed ossa della speranza, per i due popoli, di una convivenza possibile. Il 16 settembre del 2008 perde sua moglie per una malattia fulminante. All’epoca Izzeldin vive a Gaza e lavora in un ospedale d’Israele. E il 16 non è il suo numero fortunato: pochi mesi dopo il primo lutto, il 16 gennaio del 2009, alle 16,45, due granate israeliane raggiungono la sua casa, colpendo la camera delle sue figlie e uccidendone tre: Bessan, Aya, Mayar. Muore anche la loro cuginetta Noor, mentre Shatha rimane menomata e Ghaida, un’altra cugina, ferita. “Quel giorno eravamo tutti in casa” - ha scritto nel suo Non Odierò (Edizioni Piemme, 2011) - “i miei otto figli, i miei fratelli, le loro famiglie. Dove potevamo andare se neppure ospedali e moschee venivano risparmiate dai bombardamenti? Giocavo con Abdullah, quando ho sentito l’esplosione nella stanza delle ragazze. Ho perso le mie figlie, e nonostante la rabbia e lo sconcerto, so che non odierò”. Era in corso la famigerata operazione militare “Piombo Fuso”, con cui l’esercito israeliano attaccava massicciamente la Striscia. E alle sue figlie, nel bilancio finale dell’assedio, si aggiungeranno quasi altri 2000 palestinesi morti, molti dei quali bambini. Sono passati pochi minuti dall’esplosione quando Izzeldin, per le cui mani sono passati i figli appena nati di centinaia di ebrei, chiama
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IZZELDIN ABUELAISH
Cos’è l’Occupazione della Palestina nella sua esperienza di uomo, medico e scrittore?
“L’occupazione israeliana non è solo privazione della libertà materiale. Ma riguarda anche l’anima e la mente. È occupazione tutto ciò che toglie dignità all’essere umano, non solo la guerra e la violenza ma anche la povertà e la discriminazione. Non solo i palestinesi, dunque, subiscono un’occupazione, ma molti altri popoli e persone nel mondo”.
Il suo libro si intitola “Non Odierò”. Ma, in una situazione di oppressione, l’odio non serve talvolta a resistere, a sopravvivere?
“Una volta pensavo che, in tempi di guerra e sofferenza, odiare è indispensabile. Dopo quello che ho sofferto, mi è molto chiaro che odiare appartiene a una visione troppo corta della vita. Il tempo, spesso, dimostra che ciò che ci sembrava un male in assoluto, in realtà nascondeva delle possibilità positive. Io sto imparando a valorizzare e potenziare il bene che c’è nel male. Ho deciso di non essere prigioniero del mio stesso odio. Col mio libro dico
al mondo che, malgrado la mia tragedia, non sono più una vittima. Sono andato oltre e oggi sono più forte di prima. La mia mente, dopo la morte delle mie figlie, doveva restare lucida e l’odio l’avrebbe deteriorata. E avrebbe distrutto la mia vita, quella della mia famiglia, quella della comunità in cui vivo. Accettare di odiare per sempre è autolesionismo. Proprio quello a cui mira il nemico che, con la sua violenza, vuole disperarmi, spingermi verso la rassegnazione e la morte. Così se riesco a sopravvivere, ho vinto io”.
I palestinesi temono la morte meno degli altri?
“I palestinesi non hanno bisogno delle pallottole per conoscere la morte. Vengono continuamente uccisi dalla minaccia, dall’insicurezza, dall’oppressione. Ma nessuno può toccare il sogno di libertà che è nella loro testa e nel loro cuore. Li potrai opprimere e deprivare, ma non potrai impedirgli di sognare. Finchè ci sarà anche un solo sognatore, quel sogno resisterà”.
ripetutamente, in preda alla disperazione, il suo amico israeliano Shlomi, mentre questi conduce il telegiornale di Canale 10. Contro tutte le regole televisive, lo speaker, davanti a tanta insistenza, intuisce qualcosa e risponde in diretta al suo cellulare. Così Izzeldin, singhiozzando, denuncia in tempo reale, sugli schermi televisivi dello stesso Paese il cui esercito li sta bombardando, tutto quello che sta avvenendo a Gaza e cosa ne è stato delle sue figlie. E chiede più volte: Perchè? Ascolto la sua storia sgomento, chiedendomi dove trovi la forza per raccontarla e per continuare a parlare con tenacia, quasi a testa bassa, della necessità della pace tra i due popoli. E a chiedere, ad alta voce, il ristabilimento della giustizia, senza la quale nessuna pace può sussistere. Dopo la sua testimonianza davanti a una sala gremita di persone, gli chiedo di incontrarlo per fargli delle domande. Siamo a Bellinzona in Svizzera, dove “Babel”, festival di letteratura e traduzione, ha riunito quest’anno - dal 15 al 18 settembre - una decina di scrittori palestinesi, perchè, come spiegano gli organizzatori, “anche se da mezzo secolo la Palestina è costantemente sotto i riflettori dei media, poco si conosce di quello che creano gli scrittori, gli artisti, i registi e i musicisti palestinesi: la vitalità, la misurata reticenza e lo humor con cui reagiscono alle mutilazioni territoriali, culturali o linguistiche”. Il dottor Abuelaish, che attualmente insegna all’Università di Toronto, dove è andato a vivere, e che nel 2010 è stato uno dei candidati al Nobel per la Pace, mentre risponde alle domande, è una roccia e, al tempo stesso, un fiume in piena di emozioni.
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e estinesol a p o l Pr rae flitto is ca della Terra che n o c l e i ine d bibl dire All’origvendicazione ionisti. Come la scritta. c’è la ri da parte dei s nza c’è la paorssoono essere al messa ine della vioi ldeelle pallottole eiùpcostruttive e deirrlevono all’origle sono più effictaacle selezionare leiaprle quando nonnso esserdevo nunc “Le paro . È fondamen o ha pro no in pubblico s e n iv e t s t u e r dist o. Ch parla essi”. to giust on se st ivono o momen coloro che scr tutto, onesti c di tti più? Tu evoli e, prima p a s n o c ne
e oler far v o n a r mb ro tinesi segli amici dei loJuliano s e l a p i a un di fratelli o igoni o oggi alc Perchè ra ai loro stessi di Vittorio Arr tamente comple lle è la guer come nel caso a n ti s Pale nto su ale della so il sopravve ersone u tt fratelli, amis? a s o . Il ca ha pre nelle p . Il dolore vivono ancora cesso dovrà Mer Khlto triste per questo a uc tà trionfa m o ali ès “Sono m ollo e l’irrazion mis sono morti gione per cui ora”. a ra tr h nga anc a n K e L o r v i. e v a in M b e e h fuori c m i c a evitare . Arrigon tto nei b persone vano, soprattu dobbiamo solo i a o che li am hi li ha uccisi. N ac scoprirl
A giorni Abu Mazen chiederà all’ONU il riconoscimento della Palestina come stato. Cosa accadrà?
“Questo passo andava fatto almeno 10 anni fa. Ma succede oggi ed è comunque la scelta giusta, poichè il problema della Palestina nasce nel secolo scorso per responsabilità della comunità internazionale e dalla stessa deve essere risolto. Molta gente pensa che l’ONU sia dominata da interessi particolari. Solo se essa riuscisse nell’impresa di chiudere questa lunga cronaca del conflitto potrebbe riscattare il senso e la funzione per cui è nata; l’alternativa è la sua stessa estinzione. Se l’Assemblea prenderà una posizione e la tradurrà in parole e azioni, nessun altro potrà avere voce più autorevole e anche l’eventuale rifiuto delle risoluzioni da parte di israeliani e americani avrà conseguenze efficaci”.
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