Librosolidale_2010

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Ladakh




“E se non puoi la vita che desideri cerca almeno questo per quanto sta in te: non sciuparla�

Costantino Kavafis



Xmas Project è il regalo che vogliamo farci a Natale. E che abbiamo scelto di farci per tutti i Natali. Ci siamo regalati un’idea, la speranza e il coraggio di farla diventare realtà. Le abbiamo dato un nome, Xmas Project, l’abbiamo fatta diventare Associazione, le abbiamo consegnato un compito da portare a termine; faremo un libro, diverso ogni anno. Tutti coloro che desiderano farsi questo regalo: sono loro il Xmas Project. L’idea nasce dalla necessità di dare una soluzione a un vecchio disagio, a un bisogno che non aveva ancora trovato risposta: il disagio del regalo inutile, della forma che ha perso significato, del piacere di donare divenuto sterile.

Tutti noi facciamo regali diversi, in occasione del Natale: regali colmi di affetto, regali innamorati, regali pazientemente cercati, regali che non potevamo non fare, regali riciclati, regali “socialmente corretti”, regali di rappresentanza, regali frettolosi. Mille regali.

Tanti soldi. Un vecchio e trito discorso. Che si lega a un’altra, solita, considerazione: l’inimmaginabile divario fra il tanto che noi sprechiamo e il poco che altri non hanno. Xmas Project si sostituisce al regalo di Natale, diventa dono, si fa libro che propone un’idea e che contemporaneamente la realizza. Perché il libro racconta di se stesso, del progetto di aiuto che, con i suoi proventi, riesce a realizzare e raccoglie i volti, le frasi, i disegni, le speranze di tutti coloro che hanno contribuito a esso. Puoi scegliere anche tu di regalare e regalarti il Xmas Project, è molto facile: basta credere in un progetto di solidarietà; scegliere all’interno della tua cerchia di parenti, amici,

Xmas Project

conoscenti, clienti i destinatari di questo dono; quindi acquistare le copie del Librosolidale, alla cui realizzazione hai partecipato con un tuo segno, e contribuire così alla realizzazione del progetto, da un lato finanziandolo, dall’altro diffondendolo.

Milano, settembre 2001


Infine il Ladakh, il luogo dove il pulmino incontra la sordità, e combatterà per evitarla. Ce lo permetterà l’associazione Ascolta e Vivi, che contiene nel suo nome la sua mission. Che oggi è anche la nostra. Scopriremo, in queste pagine, cos’è il Ladakh. Vi racconteremo in quale secolo si vive in Ladakh. Scopriremo un po’ di passato, scopriremo quanto distiamo noi da loro. Per cultura, opportunità, sogni, bisogni. In Ladakh arrivano due strade carrozzabili. In Ladakh convivono buddhisti e musulmani. In Ladakh c’è molta più pace che guerra. In Ladakh si coltiva la terra, si raccolgono le albicocche, ci si dedica all’allevamento. I tibetani del Ladakh continuano a vivere gli arcaici ritmi biologici che da sempre regolano la loro dura vita fatta di povertà e privazioni. Una povertà resa più drammatica da una recente alluvione che ha colpito le zone più basse del paese. Speriamo che il viaggio in Ladakh vi appassioni tanto quanto ha appassionato noi. E speriamo, dopo questo Natale, di continuare con voi a viaggiare, magari con più energia e lucidità. Con un pulmino o con la mente. Speriamo di riscoprire il valore dell’ascolto e la sensibilità per chi non può farlo o rischia di non poterlo fare più. E speriamo di guardare sempre avanti, mantenendo rispetto e ammirazione per gli infiniti mondi che convivono nello stesso pianeta. Buon ascolto.

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Natale 2010, Il pulmino di Leh

Buon Natale 2010. Per noi un Natale speciale. Dieci anni fa un gruppetto di amici si incontrava davanti a un piatto di cucina casalinga e partoriva il Xmas Project. Ognuno con il proprio bagaglio di esperienze e passioni personali, spesso condivise, e il comune desiderio di dedicare un po’ del proprio tempo al pianeta e ai suoi abitanti. Ci univa la passione per gli altri, la certezza di poter aggredire la realtà per cambiarla. L’impegno civile. La felicità del viaggio nell’inesplorato ai confini del mondo. E, per tutti, c’era il bisogno viscerale di regalare sguardi, storie, strade, gesti, parole diverse ai nostri figli. Questa l’anima calda e appassionata del Xmas Project che non è mai stato solo un progetto solidale. Ma una volontà di mondo. Eravamo quindici. Ora noi siamo voi. Molti di più. Il mondo dieci anni dopo non è cambiato. Ha ancora più paura del futuro e del presente. Ma noi ci siamo ancora, con voi. Che più di tanti altri siete stati in grado di riconoscere la passione. Non vi abbiamo proposto in questi anni “quantità”: non potevamo né volevamo spostare eserciti. Ma vi abbiamo proposto “qualità”. Un libro difficile, da leggere, su cui riflettere, un libro senza grandi proclami, senza urla ma denso di storie vere. Un libro costruito dai lettori, un’idea che anticipava di qualche anno la dimensione partecipativa del web. Insomma, dieci anni dopo, siamo contenti di festeggiare con voi questo qualcosa di un po’ straordinario. Questo Natale abbiamo scelto tra le vostre proposte solidali un pulmino, la sordità e il Ladakh. Ognuno di questi elementi ci sono sembrati carichi di senso. Il pulmino è il mezzo. Prima di tutto ci riporta alla dimensione della realtà. Tra tecnologia e virtuale, vediamo un mondo che sembra sempre più assuefatto alle cose che succedono in rete, sui media. Il pulmino è invece molto materiale. Ha quattro ruote. C’è un autista. Fa le revisioni. Si scarica la batteria. Finisce la benzina. Nel mondo c’è ancora chi deve compiere chilometri per raggiungere villaggi sperduti, come succede in Ladakh, un distretto della grande India. Il pulmino è anche il viaggio. Dai suoi finestrini (e dai finestrini dei nostri spostamenti) scorrono immagini di paesi, popoli, case, baracche, tende, capannoni, palazzi, alberghi, grattacieli. Il pulmino è anche l’ambulanza, che risponde all’emergenza, che salva le vite in pericolo o che rileva un decesso. È l’auto del medico che porta l’antidoto alla malattia, alla sofferenza. Il medico che trova la soluzione, ti dice le regole per stare bene, prova a riportarti la tranquillità. Il pulmino che da qualche parte del mondo è vita, e che da noi è traffico. Il primo paradosso. La sordità è l’assenza di udito, uno dei nostri cinque preziosissimi sensi. Immaginarci senza un pezzo della nostra sensibilità è terribile. E ci sono persone che non possono sentire, che non possono vedere, persone che non possono entrambe le cose. Silenzio, buio. La vita cambia. E sapere che in molte parti del mondo la differenza tra il sentire e il non sentire è legata a un controllo medico, a un’otite trascurata ci fa pensare che si può fare molto con poco. E la vita non cambia più. La sordità è poi l’opposto del sentire. E viviamo in un mondo di sordi. Siamo bombardati da suoni e rumori ma abbiamo perso spesso la capacità di ascolto. Ci si parla sopra. Tutti dicono. Nessuno ascolta. La sordità – quella finta – che diventa la metafora del nostro tempo. Se da qualche parte del mondo qualcuno non può sentire, da noi in molti non vogliamo sentire. E questo è il secondo paradosso.

Indice Progetto 2010: Ladakh, il pulmino di Leh

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Il budget

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Noi, Xmas Project 2010

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2001-2009: i nostri progetti

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Xmas Project 2011: segnalateci i vostri progetti

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Salvo dove espressamente specificato, le foto del Ladakh sono di Marco Valerio Esposito, che ringraziamo infinitamente.


Il progetto 2010

Il Paese dei Monti Ruggenti, il Piccolo Tibet indiano, ultimo Shangri-La (orizzonte perduto). Sono vari e tutti suggestivi i nomi con cui è possibile evocare il Ladakh, estrema regione settentrionale dell'India, che segna il confine tra le vette dell'Himalaya occidentale e il vasto altopiano tibetano. Comunque lo si voglia chiamare, una cosa è certa: il Ladakh è uno dei territori più remoti dell'India, tanto da non sembrare nemmeno India. Un paese di alti picchi scolpiti dalla neve, laghi luccicanti, terre aride e cultura impregnata di misticismo: una sorta di regno ancestrale dove sopravvive una spiritualità legata alla natura che precede qualsiasi codificazione religiosa successiva. È una terra misteriosa, avvolta nel mito e nella leggenda...



Ladakh, India

Dati e numeri Capitale: Leh | Superficie: 59.196 kmq | Abitanti: 260.000 (stima del 2009) | Densità: 2 ab./kmq | Moneta: rupia indiana Lingue: Kashmiro, Urdu, Hindi, Inglese | Religione: Buddismo, Islam, Induismo Gruppi etnici: la popolazione del Ladakh è composta prevalentemente da Buddhisti Mahayana, appartenenti alla setta dei Lama Rossi o Gialli. I tratti somatici e fisici dei ladakhi li accomunano ai tibetani, o agli abitanti dell’Asia centrale, piuttosto che agli indù. Anticamente, gli abitanti del Ladakh erano Dardi e appartenenti alla razza indo-ariana, ma la massiccia immigrazione dal Tibet, più di mille anni fa, ha sommerso la cultura dei Dardi. Nel Ladakh centrale ed orientale, oggi, la popolazione sembra prevalentemente di origine tibetana, mentre più ad ovest, nei dintorni di Kargil, l’aspetto della popolazione suggerisce un’origine mista. Clima: la temperatura in estate è piacevole, ma è in inverno che raggiunge picchi che variano dai -30 gradi di Leh e Kargil ai -60 di Drass. Le temperature restano costantemente sotto allo zero nei mesi invernali. In estate, invece, oscillano tra i 20 e i 35 gradi di luglio e agosto. Economia: agricoltura e allevamento di sussistenza, turismo. Indice di scolarizzazione: distretto di Leh 62% (72% popolazione maschile, 50% popolazione femminile); distretto di Kargil 58% (74% popolazione maschile e 41% popolazione femminile).


La regione del Ladakh si aprì agli occidentali solo nei primi anni del XIX secolo, quando alcuni esploratori iniziarono a tracciarne le prime mappe. Prima di allora la storia del Ladakh è stata profondamente legata a quella del Tibet e nonostante sia stato annesso all’India attorno alla metà dell’Ottocento, la cultura e le tradizioni di origine tibetana non sono state minimamente influenzate dalla pressione culturale del paese dei milioni di Dei. In parte a causa dell’isolamento geografico e delle condizioni climatiche, l’autonomia mantenuta nei secoli ne ha fatto l’ultima espressione di una cultura che viene lentamente distrutta nel Tibet cinese. L’eredità culturale del Ladakh è unica: una fusione di cultura Tibetana, tradizioni indigene, e influenze dalle antiche regioni Buddhiste del Kashmir e dell’Asia centrale che si concretizza in monasteri, sculture, tangka, dipinti e muri mani. Il Ladakh, infatti, oltre che per gli splendidi panorami, deve il suo fascino ai moltissimi monasteri buddhisti di tradizione “lamaista” sparsi nelle sue valli. La maggior parte dei complessi monastici risale al XVI secolo. Thikse, che si erge su una collina, ci fa pensare al Potala di Lhasa. Alchi, con i suoi meravigliosi mandala, e Ridzong, famoso per la sua disciplina monastica, addossato alla parete di una montagna, fanno pensare a misteriosi monasteri scoperti dagli esploratori nei secoli scorsi. In questo altipiano brullo a due passi dal cielo, monaci buddhisti e gente comune sfiorano continuamente le ruote di preghiera girandovi attorno in senso orario e pregando, immersi in una religiosità che si percepisce come palpabile tra le tante bandierine di preghiere esposte al vento, sui tetti delle case, sui Gompa (tempi buddhisti) e sui Chorten (monumenti buddhisti), detti anche Stupa, la cui funzione principale è quella di conservare reliquie. Ovunque rosari, ruote della preghiera da far girare in

mano, immagini del Buddha, muri mani con preghiere in tibetano e sanscrito intagliate nelle pietre. Nel Ladakh infatti, nonostante la scarsa densità della popolazione, troviamo un numero considerevole di antichi monasteri in cui il buddhismo tibetano si conserva intatto da secoli. Ed è proprio in questi monasteri isolati dal resto del mondo, che si svolgono i festival più antichi dove riti e danze mantengono intatte le tradizioni e il trasporto spirituale. Il Ladakh fu un antico centro carovaniero, posto sulla via commerciale che collega la pianura indiana con le principali città dell’Asia Centrale, e fu aperta al turismo solo dal 1974. Qui i ladakhi conducono una vita arcaica nelle piccole oasi verdeggianti avendo sviluppato, nel corso dei secoli, un adattamento straordinario al territorio e una sapiente gestione delle poche risorse naturali. Tutt’oggi la vita di queste comunità è regolata da un rapporto simbiotico tra i villaggi e i numerosi monasteri buddhisti, nei quali vivono monaci e novizi. Per tradizione, infatti, in tutte le famiglie il figlio maschio più giovane è destinato a prendere i voti. I religiosi trascorrono le loro giornate studiando, organizzando festival e realizzando manufatti di carattere religioso. Nei monasteri vengono celebrati le principali ricorrenze del buddhismo tibetano durante le quali i monaci, indossando maschere e costumi teatrali, effettuano danze sacre davanti a centinaia di fedeli. Ai novizi è affidata la preservazione di una cultura antica di secoli, arrivata intatta ai nostri giorni. Il senso della conservazione dei beni, così come lo intendiamo noi nella nostra cultura occidentale, è completamente sconosciuto nella mentalità tibetana. Qui tutto è temporaneo e l’attaccamento ai beni materiali è considerato il peggiore dei veleni mentali, mentre l’unico vero valore è la possibilità di giungere all’illuminazione. Uno dei festival più attesi che si svolge alla fine di giugno è quello che ha luogo presso il Monastero di Hemis, dove si celebra la nascita di Padmasambhava, fondatore del Lamaismo. Danzatori mascherati simulano un combattimento tra gli spiriti benigni e i demoni, accompagnati da cimbali, tamburi e pifferi. Qui si trova una delle più importanti raccolte della cultura tibetana di thangka (pitture su tessuto), sculture e dipinti.

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Arido e deserto, a 3000-5000 metri sopra al livello del mare, il Ladakh è forse uno dei posti abitati più alti sulla terra, e sicuramente il posto in cui il Buddismo è ancora praticato nella sua purezza originaria.


Il distretto del Ladakh, divisione dello stato federato indiano di Jammu e Kashmir di cui rappresenta la parte più orientale, si estende al confine con il Tibet. Circondato da due delle catene montuose più imponenti del mondo, l’Himalaya e il Karako-

ram, è una delle regioni più spettacolari dell'India, adagiata lungo l'alto corso del fiume Indo e dominata da imponenti montagne che ne scandiscono continuamente l'orizzonte, a un'altitudine che oscilla tra i 3.600 e i 3.800 metri. Gli scenari che si susseguono percorrendo le strade impervie appena ci si allontana dai centri abitati più affollati (la capitale Leh su tutti), sono quelli immensi che

si potrebbero respirare in pieno deserto ma con la presenza onnipresente di massicci rocciosi con la loro aura sacrale. “Paese degli alti valichi” è un nome meritato: le porte di comunicazione tra le valli sono tante, ma sempre a notevoli altezze. Si passa dallo Zojila, che è il più basso dei passi himalayani, ai 5.575 metri del passo del Karakorum. I torrenti e i fiumi a fondovalle sono

causa e frutto delle modifiche orografiche del territorio e hanno una portata irregolare, che varia stagionalmente, essendo alimentati da ghiacciai e nevai. Il fiume principale che attraversa il Ladakh è l’Indo; dalla zona del lago Manasarovàr, l’Indo si apre un letto profondo e di varia ampiezza attraverso la catena del Kailash ed attraversa il Ladakh per 640 chilometri, da


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Il Paese degli alti valichi est a ovest. La sua potenza aumenta notevolmente quando a Nimmu incontra il fiume Zangskhar, presso i cosiddetti “cancelli del Ladakh”. Sebbene il complesso fluviale sia esteso e molte oasi siano situate nei fondovalle, i fiumi aiutano ben poco le coltivazioni posizionate sui conoidi o sulle piane alluvionali. L’acqua per irrigare non viene attinta dai torrenti, ma la si conduce fino ai villaggi prele-

vandola alla bocca dei ghiacciai; lunghissime linee indicano sui fianchi delle montagne gli acquedotti pazientemente ricostruiti dopo ogni inverno. I fiumi vengono sfruttati secondo il piano di sviluppo economico, che ha permesso la costruzione di opere di canalizzazione, nei pressi di Kargil e di Leh, che saranno utilizzate sia per irrigare sia come fonte di energia idroelettrica. La geografia del

Ladakh è caratterizzata inoltre da due elementi singolari: grandi laghi di acqua dolce e salata sono sparsi qua e là, ma soprattutto nei pianori del Rusphu e del Chang Thang, e sorgenti calde. I laghi sono situati nelle zone aperte nel 1994 agli stranieri, e nelle stesse aree si trovano le curiose sorgenti calde di Puga, Panamik e Cho Run. I ladakhi hanno risposto alla durezza dell’ambiente e del

clima con pratiche di coltivazione innovative per la produzione di orzo, grano e legumi, utilizzando la neve che si scioglie per l’irrigazione. Il bestiame, inclusi gli yak che resistono al clima rigido, viene allevato in piccoli numeri. Dove l’altitudine lo permette, vengono impiantati anche i frutteti. La pashmina è il prodotto di esportazione di maggiore valore della regione.



Salve o Gioiello nel fiore di Loto

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La parola “mantra” deriva dalla combinazione delle due parole sanscrite m a n a s (mente) e trayati (liberare). In alcune culture e religioni orientali, la pratica del mantra è considerata in grado di liberare la mente dai pensieri. Sostanzialmente consiste in una formula (una o più sillabe, o lettere o frasi) che viene ripetuta per un certo numero di volte (Namasmarana) al fine di ottenere un determinato effetto, principalmente a livello mentale, ma anche, seppur in maniera ridotta, a livello fisico ed energetico. Esistono moltissimi mantra per gli scopi più diversi; la maggior parte sono in sanscrito, ma ne esistono anche in altre lingue. Om mani padme hum è il più noto e diffuso fra i numerosi mantra del Buddhismo Mahayana. Il suo significato è fortemente simbolico e viene raccomandato in tutte le situazioni di pericolo o di sofferenza.


Il Ladakh è percorso da circa 1.800 chilometri di strade. Di queste solo 800 chilometri sono asfaltati.

Vie del Ladakh

Il Ladakh era il punto di connessione tra l’Asia centrale e l’Asia meridionale ai tempi della Via della Seta. Nel XIX secolo molti erano i mercanti che intraprendevano il viaggio sulla “via del Ladakh” che da Amristar a Yarkand attraversava undici passi e durava circa 60 giorni. Un’altra strada regolarmente usata era la “Kalimpong Route” tra Leh e Lhasa, via Gartok, nel Tibet Occidentale. Gartok poteva essere raggiunta sia seguendo il fiume Indo, nei mesi invernali, sia attraverso i passi di Taglang la o Chang la. Queste vie di comunicazione sono però interrotte da quando il confine tra Ladakh e Tibet è stato sigillato dal governo cinese. Oggi, le uniche due strade che portano in Ladakh sono quelle che passano da Sringar e da Manali. Chi parte da Sringar, inizia il suo viaggio a Sonamarg, oltre il passo Zoji La, a 3.450 metri, prosegue verso Dras e Kargil (2.750 metri) passando attraverso Namika la (3.700 metri) e Fatu (4.100 metri). Questa è sempre stata la via di accesso al Ladakh fin dai tempi antichi ed è aperta al traffico da aprile/maggio a novembre/dicembre. Tuttavia, con il sorgere dei problemi di sicurezza causati dalla militanza indipendentista del Kashmir, la principale via di comunicazione per il Ladakh è stata spostata sulla direttrice Manali-Leh, da Himachal Pradesh. Questa superstrada attraversa ben quattro valichi ed è aperta solo tra maggio e novembre, quando le strade sono pulite dalla neve. Leh è collegata ai villaggi circostanti da autobus. La “Manali-Leh-Siringar” costituisce circa la metà della rete stradale del Ladakh. Il resto del paese è attraversato da un complesso insieme di sentieri di montagna che tuttora costituiscono l’unico modo per raggiungere la maggior parte delle valli, dei villaggi e dei pascoli d’altura. Il grande numero di sentieri e l’esiguo numero di strade rendono sicuramente questo paese un vero paradiso per gli appassionati di escursioni e trekking, ma rappresentano un limite fortissimo al suo sviluppo, perché ostacola l’accesso alla salute e all’educazione alle persone che vivono nelle valli più remote.


Quando si giunge a Leh per la prima volta, attraverso i sentieri di polvere e ciottoli in pendenza che la dividono dal fondo della valle dell’Indo, non si fa fatica a immaginare come si potessero sentire al loro arrivo i mercanti che giungevano con le carovane dal Tibet lungo la via trans Himalayana: un misto di sollievo per aver attraversato le montagne e la pregustazione di un periodo di relax in una delle città più panoramiche e bucoliche dell’Asia centrale. Leh è una magnifica destinazione, resa ancora più affascinante dalla radicata tradizione tibetana e buddhista che la pervade. I suoi gompa colorati e folcloristici hanno attratto devoti buddhisti da tutto il mondo. Leh è dominata dall’imponente mole del Leh Palace, l’affascinante edificio a nove piani, residenza della famiglia reale. All’interno dell’edificio è possibile visitare la sala delle preghiere, realizzata interamente in legno; così come i pilastri dipinti, il pavimento su cui camminare a piedi scalzi e l’archivio delle preghiere. La sala prende luce dai lucernari laterali e anche il soffitto è interamente in legno affrescato. Poco distante, attraversando una bellissima zona di deserto d’alta quota, peculiare per le forme e i grandi contrasti cromatici delle rocce, ricchissima di vita e di resti storici, si raggiunge uno dei monasteri più antichi e più belli della regione, il Gompa di Likir. Costruito nel XIV secolo sotto la supervisione dei monaci tibetani, il bellissimo tempio è conosciuto anche con il nome di Klu-kkhyl Gompa che significa “Spiriti delle acque”. Non c’è da stupirsi se in questo mondo fatto di vette, ghiacci e fiumi, l’acqua, in tutte le sue forme, condiziona da sempre la vita e la cultura della popolazione.

Coordinate: 34°10’00’’N77°34’60’’E Altitudine: 3.486 metri s.l.m. Abitanti: 27.513 CAP: 194101 Prefisso telefonico: 1982 Fuso orario: UTC +5:30

Leh, la capitale

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Leh è situata a 3.486 metri sopra al livello del mare, nella parte orientale del distretto di Jammu e Kasmir.



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Il sistema sanitario in Ladakh

La sanità è considerata un settore vitale ovunque nel mondo, la buona salute è un prerequisito indispensabile per lo sviluppo di qualsiasi società. In Ladakh coesistono due sistemi sanitari: un sistema tradizionale e di origini antiche chiamato Amchi e il sistema sanitario ufficiale. Il sistema Amchi è primitivo e sottosviluppato, non ci sono procedure standardizzate di cura e terapia e spesso i medicinali sono costituiti da erbe e pozioni. Alla sua base ci sono le pratiche curative tramandate dalla cultura tibetana. La leggenda narra che sia stato lo stesso Buddha a rivelare questo metodo di cura in una forma chiamata “medicina Buddha” (San-

gay Manla). Colui che pratica questo tipo di medicina viene chiamato appunto Amchi e queste figure sono molto diffuse anche al giorno d’oggi e sono molte le persone che si rivolgono a loro per cure e terapie, nonostante la presenza di ospedali governativi moderni. Il sistema Amchi sta riscuotendo molto successo tra i numerosi turisti e stranieri che visitano il Ladakh, perché garantisce l’utilizzo di prodotti organici e non tossici, senza effetti collaterali. Molti Amchi aspirano al riconoscimento da parte del Governo di questa loro pratica, al pari dell’Ayurvedha, dell’Unani e di altri approcci tradizionali, ma al momento tutti i loro sforzi non hanno portato a risultati concreti, sebbene all’interno di molti ospedali ci siano anche ambulatori in cui viene praticato il sistema Amchi.

Tradizionalmente l’Amchi è una professione ereditaria, le cui pratiche e dottrine sono tramandate di generazione in generazione, sebbene oggi esista un college che insegna questa disciplina a Dharamsala. Il sistema sanitario ufficiale è stato introdotto ai tempi della colonizzazione inglese ed è tuttora regolato e gestito dallo Stato. L’assistenza sanitaria di base è offerta gratuitamente dai Medical Aid Center, sorta di ambulatori presenti nei villaggi. Esistono poi, a livello distrettuale, i Primary Health Center, nei quali ci si occupa prevalentemente di vaccini, prevenzione della malnutrizione, gravidanze e parti, cura di malattie comuni. I pazienti che necessitano di cure specialistiche sono indirizzati ai centri di cura secondaria, per esempio l’ospedale SNM di Leh – sede dell’intervento di Ascolta e Vivi – o addirittura terziaria, presenti a


Sringar e Jammu. La localizzazione geografica del Ladakh rende imperativo il fatto che sia posta una grande attenzione al suo sistema sanitario che, sebbene non versi in condizioni disperate, necessita comunque di miglioramenti. Per esempio, in caso di incidente o malattia grave, sarebbe virtualmente impossibile raggiungere la struttura sanitaria adeguata in tempo, a maggior ragione se essa dovesse trovarsi al di fuori dei confini del Ladakh.

In aggiunta, ci sono alcuni particolari problemi di salute che sono legati al territorio, ad esempio malattie trasmesse dagli animali e problematiche legate all’altitudine, che non sono ancora studiate e approcciate in modo sistematico. Infine, è completamente assente qualsiasi discorso legato alla prevenzione. È riportato che il 70% circa dei pazienti è affetto da malattie e problematiche che possono essere prevenute. L’educazione alla salute, la promozione di stili di vita corretti e la garanzia di ambienti igienici nelle scuole e nei posti di lavoro porteranno giovamento alla salute sia fisica sia economica della popolazione. Ladakh 2025 Vision Document Chapter X: Health & Education

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Lunghe distanze, condizione delle strade e meteorologiche e scarse disponibilità economiche, sono tutti aspetti che giocano un ruolo importante nel determinare se un paziente con un serio problema di salute può essere curato tempestivamente o meno. È quindi necessario migliorare le strutture mediche (ospedaliere e ambulatoriali) presenti in Ladakh, in modo da rendere possibile un più ampio spettro di cure.


Il 6 Agosto 2010, il Ladakh è stato travolto da una terribile alluvione, che ha causato numerose vittime e ingenti danni a Leh, ai villaggi circostanti e alle strade di comunicazione.

Nella notte tra giovedì 5 e venerdì 6 agosto, forti piogge si sono abbattute sulle regione e hanno trasformato i pendii di roccia e terra che si innalzano lungo le valli in vere e proprie valanghe di fango, devastando interi villaggi e Leh. Sono state particolarmente colpite le costruzioni tipiche in

terra con tetto di paglia, le quali in poche ore si sono letteralmente sciolte alla base, crollando al suolo. Durante la notte fulmini e pioggia hanno scosso la valle e prima dell’alba il fango ha cominciato a travolgere tutto. La parte ovest di Leh, riparata dallo sperone di roccia su cui sorge il vecchio palazzo

reale, è stata risparmiata mentre le zone adiacenti sono state quasi spazzate via. L’acqua ha sgretolato le case in mattoni di fango trasformando le strade in torrenti carichi di detriti. Ci sono state oltre 200 vittime solo nel circondario di Leh e mancano ancora dati certi dalle valli.

Il piazzale dei pullman, uno spiazzo di terra su cui sostano la maggior parte dei piccoli pulmini, è stato completamente invaso dal fango che ha travolto ogni mezzo di trasporto pubblico: tutto era distrutto e bloccato. Le zone più colpite sono state

quelle più basse, vicine al fiume Indo: Leh, appunto, Saboo, Choglamsar, Chusot, Shey. Case distrutte, campi rovinati, alberi divelti, tante pietre trascinate dalla forza dell’acqua. I primi soccorsi sono stati prestati dagli uomini della Into-

Tibetan Border Police, la polizia di frontiera, poi dall’esercito e dal General Reserve Engineer Force, che hanno impiegato bulldog e mezzi escavatori, assieme a elicotteri per le operazioni di recupero più difficili e per fornire i senza tetto di

acqua, cibo, tende e coperte con cui superare le prime notti, oltre a medicinali e assistenza per i numerosi feriti. Gli interventi nelle zone più remote del Ladakh sono stati a lungo impossibili via terra, a causa delle condizioni in cui


rava, ritornava il panico di un nuovo nubifragio. Parliamoci chiaro: Leh è stata nel passato una tappa importante lungo il ramo della Via della Seta che univa Cina ed India. Dopo questo periodo aureo di commercio questa zona è stata quasi dimenticata per due secoli fino a quando il conflitto indopakistano-cinese non ha rianimato le valli con un ingente spiegamento di truppe. La costruzione dell’aeroporto civile ha fatto sì che i ricchi indiani del Sud potessero agevolmente scappare dalla calura estiva di Delhi riparando tra le montagne. Da qui in poi il turismo è divenuto la prima risorsa di queste valli che per quattro mesi all’anno accolgono migliaia di turisti da tutto il mondo. Dopo l’alluvione tutto si è fermato, i turisti sono scomparsi. Coloro che erano venuti dal Sud, ma anche dal Nepal, per lavorare sono rimasti senza impiego. Shop keeper, venditori ambulanti, ma anche portatori, autisti, garzoni si aggirano ora sconsolati tra le macerie cercando di tornare a casa anche se a mani vuote. In molti stanno pensando di scendere verso il Kashmir ma, anche lì, tutto è bloccato per via degli scontri secessionisti. Commercio e turismo, le uniche risorse per chi non possiede la terra, sono fermi e non rimane molto altro da fare. Il governo centrale Indiano, dopo gli scioperi dello scorso anno in Ladakh e i tafferugli in Kashmir, non sembra affatto intenzionato a sostenere la ripresa con aiuti straordinari e quindi le prospettive appaiono buie. Fotografie di Fabrizio Cosi e Alberto Dolci, sostenitori di Ascolta e Vivi

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sono ridotte le strade, in gran parte danneggiate e in certi casi del tutto cancellate dagli smottamenti. Sono state a lungo gravi anche le condizioni degli ospedali della zona, in gran parte inondati o parzialmente distrutti dall’alluvione, rendendo ancora più difficile l’assistenza ai feriti. Anche l’SNM Hospital di Leh, sede dell’intervento di Ascolta e Vivi è stato duramente colpito dall’alluvione. Fortunatamente l’ambulatorio di otorinolaringoiatria ha subito solo qualche danno parziale alle pareti, mentre l’attrezzatura diagnostica si è salvata. Purtroppo altri reparti non sono stati così fortunati. Uno dei maggiori problemi riguarda i campi coltivati che sono andati distrutti. Gran parte del raccolto è perduto, e ci vorranno anni di minuzioso lavoro per preparare i campi per la coltivazione dell’orzo e per ripristinare i canali di irrigazione. I ricordi della notte di terrore sono ancora impressi nella memoria di chi li ha vissuti; non si può dimenticare quella cascata d’acqua che in meno di un’ora ha trasformato il paesaggio, trascinando via case, persone e distruggendo i campi. In una regione in cui fino a 15 anni fa la pioggia era quasi sconosciuta, un’alluvione di questo genere ha generato stupore e terrore. Nelle notti seguenti al nubifragio la popolazione locale cercava rifugio nei posti più elevati: intere famiglie passavano la notte all’addiaccio, nelle tende o in macchina. A Leh sceglievano lo Shanti Stupa, il palazzo reale, le colline all’ingresso della città, a Choglamsar sceglievano il tempio Zangdo Pelri, oppure gli edifici della Mahabodhi Society. E ogni volta che il cielo si oscu-


Il diario di Ennio Santini, chiocciolista e volontario dell’Associazione Ascolta e Vivi, a Leh durante l’alluvione di questa estate.


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Associazione Ascolta e Vivi La missione dell’Associazione Ascolta e Vivi Onlus è aiutare i bambini con problemi di udito nei Paesi in Via di Sviluppo, supportando progetti che promuovano la comprensione delle loro esigenze e migliorino il loro accesso alle cure mediche, all’educazione scolastica, all’inclusione nella vita sociale. L’approccio dell’Associazione è quello di lavorare attraverso le istituzioni (ospedali e scuole locali) costruendo e sostenendo, attraverso interventi di formazione e affiancamento, la capacità locale, così che i professionisti, medici, tecnici e insegnanti

abbiano le competenze e la strumentazione necessarie per aiutare i bambini e più in generale le persone con problemi di udito. L’Associazione si occupa anche di fornire la strumentazione necessaria e il training così che le risorse umane locali possano diagnosticare e trattare le perdite uditive, tramite l’applicazione di protesi acustiche e la terapia logopedica. L’obiettivo è quello di rendere disponibili ai bambini con problemi di udito risorse affinché possano condurre una vita migliore e possano avere accesso a quante più opportunità possibili; per fare questo è necessario supportare le scuole per bambini sordi, così che gli insegnanti siano in grado di trasmettere un’educazione qualificata ai loro alunni. Ascolta e Vivi considera fondamentale cambiare l’attitudine e l’atteggiamento nei confronti della sordità e della disabilità e per questo lavora per migliorare la comprensio-

ne della popolazione rispetto ai bisogni delle persone con problemi di udito, specialmente in quelle culture in cui la disabilità è vista come un tabù. I progetti • Kenya, Kibarani School for the Deaf e Ospedale Governativo di Kilifi (regione tra Malindi e Mombasa); • Camerun, Fondazione Bethleem di Mouda; • Congo, Ospedale Aneolite di Mungbere; • Bielorussia, Reparto di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale di Minsk, Kindergaarten e Istituto per bambini sordi di Zhdanovichi; • Nicaragua, C.A.I.E. (Centro Audicion y Integracion Escolar), Managua; • Ladakh (India), SNM Hospital, Leh. Parallelamente alle attività umanitarie all’estero, Ascolta e Vivi promuove in Italia una serie di iniziative volte a sensibilizzare e informare sul tema della sordità.


L’Associazione Ascolta e Vivi Onlus è impegnata in Ladakh a sostegno dell’Ospedale SNM di Leh, la capitale.

Ascolta e Vivi è presente in Ladakh dal 1999. Da allora, grazie all’impegno dei volontari e alla generosità dei benefattori è stato possibile raggiungere importanti obiettivi. Alla luce delle carenze strutturali dell’ospedale di Leh in materia di otorinolaringoiatria (ORL), è stato costruito un ambulatorio da adibire alla diagnosi e terapia della sordità e delle patologie uditive. In questo ambulatorio, terminato nel 2002 e inaugurato nel 2003, vengono visitati in media 40 pazienti al giorno, il 50% dei quali sono bambini che soffrono di infezioni all’orecchio. All’interno di questa nuova struttura sono stati allestiti: • un laboratorio per la costruzione delle chiocciole; • un laboratorio diagnostico completo di un audiometro, un impedenzometro, un apparecchio per l’audiometria infantile ABR (donato nel 2005) e uno OAE (donato nel 2007); • un laboratorio audioprotesico per l’applicazione delle protesi completo di orecchio elettronico, PC portatile e programmatore. Il nuovo ambulatorio è coordinato da un medico otorinolaringoiatra indiano e gestito da personale locale; lo staff è stato formato in parte a Nuova Delhi (nel triennio 20042007) in parte durante le visite dei volontari italiani di Ascolta e Vivi. In questi anni, l’Associazione si è fatta carico non solo della fornitura della strumentazione necessaria alla diagnosi della sordità, ma anche della fornitura delle protesi stesse: dall’inizio del progetto ne sono state donate 297. Lo screening neonatale Dal 2007, anno in cui è stato donato l’OAE (otoemissioni acustiche), è stata introdotta presso l’Ospedale SNM di Leh la pra-

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L’ospedale SNM di Leh è una struttura che presenta gravi carenze sia a livello organizzativo sia strutturale (gli spazi sono ridotti ai minimi termini, le apparecchiature sono scarse e datate, ecc.). L’obiettivo principale del progetto “Sordità in Ladakh” è quello di aiutare le persone con problemi uditivi che fanno capo all’Ospedale SNM di Leh e, in particolare, di favorire il recupero uditivo dei bambini sordi per facilitarne l’inserimento nel contesto sociale e scolastico. Nello specifico, ci si propone di migliorare e potenziare presso l’ospedale di Leh i servizi di diagnosi e terapia della sordità e delle otopatie (diagnosi audiologica, screening neonatale, applicazione di protesi acustiche con chiocciole su misura, terapia logopedica). Per raggiungere questi obiettivi è necessario: • allestire un ambulatorio di audiologia con annesso laboratorio protesico; • avviare le attività di diagnosi e terapia della sordità e delle patologie uditive; • formare il personale locale affinché sia in grado di portare avanti questa attività in autonomia anche in assenza dei volontari dell’Associazione.

tica di effettuare lo screening dell’udito su tutti i nuovi nati nell’ospedale, oltre che sui pazienti visitati nel reparto di otorinolaringoiatria (bambini nati fuori Leh, in casa ecc.). Grazie al processo di screening è possibile diagnosticare precocemente la perdita uditiva: questo consente un intervento rapido e con maggiore potenzialità di successo nella riabilitazione. Attualmente, tutte le persone (e specificatamente i bambini) che non vengono visitati all’Ospedale di Leh non fanno questo screening.


Ascolta e Vivi Onlus è un’associazione senza scopo di lucro, costituita a Milano il 12 luglio 1999, grazie all’unione di diversi professionisti del settore medico come otorinolaringoiatri, audiometristi, audioprotesisti e logopedisti. L’Associazione si prefigge il compito di aiutare le persone con problemi di udito, in particolare i bambini, nei Paesi in Via di Sviluppo, non solo con l’aiuto diretto sul campo, che si concretizza in numerose missioni umanitarie, ma anche tramite l’istruzione di medici e tecnici locali. Lo scopo è garantire alle strutture sanitarie del luogo i mezzi, la formazione e l’autonomia necessari a proseguire l’opera avviata dai nostri volontari.

Come mai abbiamo scelto di occuparci di sordità? Innanzi tutto perché la diagnosi e terapia della sordità fanno parte del lavoro quotidiano dei soci fondatori dell’Associazione. In secondo luogo perché la sordità ancora oggi è considerata come una malattia poco curabile anche in un paese “avanzato” come il nostro. Una sordità anche grave, invece, può essere recuperata tramite ausili tecnologicamente avanzati e un’adeguata terapia riabilitativa. In Italia il nostro impegno è “farlo sapere” ai genitori di bambini sordi e a tutte le persone con problemi di udito. La sordità rappresenta una gravissima menomazione sensoriale e sociale. Nel bambino la sordità risulta ancora più grave in quanto una mancata informazione sonora determina inevitabilmente un’alterazione nell’acquisizione del linguaggio con disturbi della personalità e del comportamento. Il problema della sordità non è da poco: riguarda, a livello mondiale, il 10% della popolazione.


patrimonio linguistico; ciò che viene compromessa, se non vengono presi opportuni provvedimenti, è la comunicazione verbale con inevitabili conseguenze sul piano sociale e psicologico. L’intervento di Ascolta e Vivi nei paesi in Via di Sviluppo si concretizza nella terapia della sordità tramite l’applicazione di protesi acustiche e, per i bambini, con la rieducazione del linguaggio. Questi passi sono indispensabili per combattere l’emarginazione sociale alla quale sono destinate le persone affette da questo disturbo, soprattutto nei paesi poveri. In questi anni l’Associazione ha realizzato numerosi progetti a sostegno di ospedali e scuole, in alcuni Paesi del terzo mondo in cui il problema della sordità è particolarmente angoscioso e nello stesso tempo trascurato dalle autorità locali: Camerun, Congo, Kenya, Bielorussia, Nepal, Ladakh e Nicaragua. Luca Del Bo, Presidente di Ascolta e Vivi

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Ma nei Paesi in Via di Sviluppo otto bambini su mille nascono con sordità grave mentre nei paesi occidentali la proporzione si riduce a uno su mille! La sordità può sopraggiungere in qualsiasi momento: • Prima della nascita (origine ereditaria, virale, tossica ecc.). • Alla nascita (asfissia, ittero ecc.). • Nei primi mesi di vita (meningite ecc.). • Nel corso degli anni (trauma cranico, intossicazioni, forme virali, presbiacusia ecc.). Il bambino sordo dalla nascita (sordità preverbale) non è in grado di sviluppare il linguaggio in modo normale senza una adeguata terapia protesico/riabilitativa. Il bambino diventato sordo verso i 3/4 anni (sordità periverbale) perde quasi completamente il linguaggio se non viene tempestivamente protesizzato. La persona diventata sorda dopo la completa acquisizione della parola (sordità postverbale) conserva pressoché inalterato il proprio


Per il Natale 2010 il Xmas Project ha scelto di sostenere l’Associazione Ascolta e Vivi Onlus nella realizzazione del suo prossimo obiettivo: l’allestimento di una clinica mobile. Il veicolo sarà equipaggiato con tutta la strumentazione necessaria allo screening dell’udito e a una visita per valutare la salute dell’orecchio, compresi otoscopio e audiometro. La base della clinica mobile sarà Leh. Questo servizio porterà assistenza alle persone con problemi uditivi, cura delle patologie dell’orecchio, e deferimento dei pazienti da ambulatori medici presenti sul territorio e dalle scuole. L’Associazione stima di poter raggiungere e visitare, grazie alla clinica mobile, più di mille persone all’anno.

OSPEDALE DI LEH L’entrata dell’ambulatorio di diagnosi e terapia della sordità e delle patologie uditive costruito e allestito da Ascolta e Vivi terminato nel 2002.


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Il progetto 2010: Ladakh, il pulmino di Leh


La regione del Ladakh è estremamente montagnosa, e gli insediamenti umani sono raggruppati in vilaggi e piccoli paesi, distanti tra loro e caratterizzati da collegamenti non sempre agili. Questa difficoltà negli spostamenti si traduce nel fatto che spesso le persone con problemi di salute o affette da infermità non vengono nemmeno portate all’ospedale. Inoltre, la mancanza di cultura porta a considerare le malattie come strani fenomeni soprannaturali da curare con preghiere e offerte alle divinità. Circa il 70% dei bambini nasce in casa, in condizioni scarsamente igieniche, e per questo motivo purtroppo è ancora molto elevato il tasso di mortalità infantile al

momento del parto. Detto ciò, l’attuale attività di screening neonatale, come descritta precedentemente, è limitata all’Ospedale di Leh, vale a dire a circa il 30% dei neonati. La nuova proposta progettuale prevede la creazione di un’unità mobile di diagnosi della sordità, che possa raggiungere gli insediamenti più remoti. Si tratta di attrezzare una clinica mobile costruita secondo le indicazioni di Ascolta e Vivi, utilizzando un veicolo tipo ambulanza. Il veicolo utilizza un generatore portatile, per permettere l’utilizzo della strumentazione per lo screening uditivo anche nelle zone in cui manca un allacciamento stabile alla corrente elettrica. È dotato inoltre di una piccola riserva di acqua, di un frigo per i farmaci e di riscaldamento/condizionamento. La clinica mobile sarà equipaggiata con tutta la strumentazione necessaria allo screening dell’udito (una cabina insonorizzata) e ad una visita per valutare la salute

dell’orecchio, compresi otoscopio e audiometro. La base della clinica mobile sarà Leh, dove sono già presenti e attivi gli ambulatori di audiologia promossi in passato da Ascolta e Vivi e dove opera il personale formato nel corso degli anni, che può garantire la manutenzione della strumentazione che compone la clinica mobile. Lo staff dell’ambulatorio otorinolaringoiatria di Leh è composto dal medico indiano e da quattro tecnici: essi potranno seguire a rotazione la clinica mobile. Sarà necessario assumere un autista a tempo pieno per l’ambulanza. Questo servizio porterà assistenza alle persone con problemi uditivi, cura delle patologie dell’orecchio, e deferimento dei pazienti da ambulatori medici presenti sul territorio e dalle scuole. Stimiamo di poter raggiungere e visitare, grazie alla clinica mobile, più di mille persone all’anno, che altrimenti non avrebbero la possibilità di essere visitate da uno specialista dell’orecchio, perché vivono in villaggi remoti e non hanno possibilità di raggiungere Leh.


Un altro aspetto molto importante di questo servizio è che permetterà di formare il personale medico e infermieristico presente sul territorio all’approccio con i problemi uditivi più banali (tappi di cerume, otiti), che se trascurati possono da luogo a patologie gravi e sordità. Inoltre sarà importante diffondere una corretta informazione sulla possibilità di soluzione di molti problemi legati all’orecchio. I casi più gravi verranno ovviamente indirizzati all’ospedale di Leh.

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Il budget DESCRIZIONE

COSTO 1^ ANNUALITÀ

COSTO 2^ ANNUALITÀ

Ambulanza (con modifica per cabina insonorizzata)

17.000 €

500 €

Attrezzatura (audiometro portatile e altro)

5.000 €

Fornitura protesi acustiche (e relativo materiale a corredo)

5.000 €

5.000 €

Manutenzione pulmino e carburante

2.500 €

2.500 €

Stipendio autista (annuale)

1.100 €

1.100 €

Viaggi volontari (1/anno)

3.000 €

3.000 €

Spese di gestione

1.500 €

500 €

35.600 €

12.100 €

Generatore portatile

Totale


Associazione Ascolta e Vivi Via Vincenzo Foppa, 15 20144 Milano Tel.-Fax. 02/72001824 E-mail: info@aevo.org


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www.aevo.org


Disegno di Alice Poli



Il ladro di orecchie C’era una volta in un paese lontano un mago che vive tutto solo in una grotta buia e fredda. Era un mago cattivo e arrabbiato con tutti, si diceva che per invidia rubasse le orecchie ai bambini che ridevano troppo. Un giorno il bimbo Samir, dopo che il mago aveva rubato le orecchie del suo fratellino, decise che bisognava dargli una lezione e così una notte andò nella grotta buia e puzzolente e gli strappò le orecchie. Il giorno dopo il cattivo mago si svegliò tardi perché non sentì la sveglia dei pipistrelli, non solo ma non sentì neanche il gregge di capre che avevano invaso la sua grotta per ripararsi dalla pioggia di cui non poteva neanche sentire lo scroscio. Appoggiando le mani sulla testa si accorse che gli avevano rubato le orecchie e iniziò a piangere forte forte, ma così forte che anche Samir nel villaggio lo sentì e commuovendosi tornò da lui per restituirgliele. Il mago cattivo con il volto imbronciato allungò la mano, prese le sue orecchie e se le rimise a posto. Poi asciugandosi gli occhi e soffiandosi il naso si alzò. Samir si nascose pensando che volesse fargli del male, invece gli andò incontro e lo abbracciò. Poi ridendo disse: “Grazie, solo ora capisco quanto sono stato cattivo. Restituirò a tutti le orecchie e se qualcuno le dovesse perdere gliene fabbricherò delle altre, così che tutti possano sentire il cinguettio degli uccellini, il gracidare delle rane, il frinire delle cicale ma anche l’ululato del vento quando sta per arrivare il temporale”. Così Samir abbracciò il vecchio mago e presolo per mano lo portò al villaggio. Tutti si nascosero impauriti, ma dopo aver sentito la storia e vedendolo così gentile, si fidarono di lui e piano piano ad uno ad uno si misero in fila per farsi ridare le orecchie e tutto il loro sentire. Da quel giorno il mago e gli abitanti del villaggio vissero tutti insieme felici e contenti. Margherita Ghirardi

Haiku (quartiere islamico di Leh, India) moltitudine… al mercato della carne fumi d’incenso crowds at the meat market incense mingles Andrea Cecon

Acuisco i sensi e mi metto in ascolto... non dici una parola ma ora ti sento, ora ho imparato. Perché non basta avere orecchie per ascoltare... ci vuole desiderio, sensibilità, osservazione... tutto può essere così chiaro se si impara ad ascoltare con il cuore, a comunicare con il cuore... emozioni! Un sorriso, una mano tesa... sono più potenti di qualsiasi parola... le emozioni le senti sulla pelle... in silenzio... sempre. Eva e Max Volpi


Per vocazione e mestiere parlo molto.

Se non si riesce a trovare il modo di “ascoltarsi” come si può essere preparati a gestire un amico che ha una difficoltà perdurante? È un pò come quando abbiamo un lutto grave. I primi giorni sono tutti lì. Ma poi le persone spariscono, inghiottite dalle loro vite. L’ascolto ha un tempo e un luogo che, al di là della retorica, la comunità ti concede con generosità ma ti sottrae con imbarazzo o fastidio se ritiene che il malcapitatato ne abusi. E parlare d’amore? E ascoltarlo in compagnia di amici e sconosciuti? È un suono infinito che pervade e che pure, anno dopo anno, sta sparendo dalla bocca delle persone che conosco. Se ne parla così timidamente, con così tanta paura di sentirsi giudicati, proprio dagli stessi amici, che a volte si preferisce rivolgere il proprio battito a persone che ci conoscono meno. Non è un paradosso? Per questo io ringrazio chi ascolta, allo stesso modo di chi ha il coraggio di parlare autenticamente, senza tutti quei formalismi dietro ai quali ci si trincera per convenzione. In fondo, se avete letto tutto quello che ho scritto fino a qui, anche voi mi avete ascoltato. E di questo vi ringrazio. Visto che si può? Lapo De Carlo

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Per lo stesso motivo ascolto e spesso mi viene chiesta un’opinione. Parlo infatti in una radio che ha come caratteristica principale quella di avere più parole che musica, in gergo si chiama talk radio. Ascoltare ogni giorno persone che probabilmente non conoscerò mai di persona, richiede attenzione anche per argomenti non trascendentali. Ma è un buon esercizio per un parlatore, quale io vengo considerato. Il fatto è che verso questo argomento nutro un sentimento di forte sospetto. Perché nessuno ascolta più? Quante volte mi ritrovo o osservo da spettatore conversazioni in cui il protagonista assoluto è il disinteresse per l’altro. Nello stesso istante in cui qualcuno lancia il “come stai? Raccontami!” quella stessa persona spesso ascolta con impazienza il resoconto richiesto attendendo con trepidazione il momento in cui l’interlocutore gli porrà lo stesso quesito. Le conversazioni si infittiscono ed ecco che i botta e risposta diventano surreali: “... e quindi alla fine abbiamo deciso di fare le vacanze in Grecia”, “Ho capito, sai che ho chiesto il trasferimento in un’altra sede?” segue accurata descrizione della noiosissima e autoriferita tematica professionale. La conversazione poi, senza preavviso alcuno, vira su un altro argomento senza collegamento:

“ma lo sai che Luca ha compiuto 3 anni l’altro ieri? Vedessi come...” insomma vacanze, lavoro e figli nello spazio di un quarto d’ora, senza interesse verso chi e cosa ascolta. Sembra che ognuno abbia un piccolo show da mostrare e che il ruolo di pubblico, benché una tantum, sia quantomeno seccante. La retorica dell’ascolto nasconde tra le pieghe un debito subdolo verso chi ti ha fatto questa generosa cortesia. Lo stesso tema che ci è stato assegnato per i contributi di quest’anno ci invita a ringraziare chi ci ha ascoltato. Ma è proprio qui il crocevia dell’equivoco. Mi spiego meglio Alcuni amici, in un mio momento di difficoltà, mi hanno ascoltato. Sia chiaro era accaduto anche il contrario e accadrà di nuovo. Ho dato me stesso, come si fa a vent’anni, quando le persone non sono ancora strutturate, non hanno ancora un’identità e un ruolo preciso e si parla di tutto con più semplicità. Ma ascoltare qualcuno che ti rovescia i propri turbamenti dopo quella fase di vita pare sia più complicato.

Vibrazioni, onde, propagazione. Riuscire a cogliere, comunicare. Le prime: pura fisica; le seconde: chimica delle relazioni. Claudio Elie


“Di notte penso al mio pianoforte nel profondo dell’oceano e a volte penso anche a me, sospesa sopra di esso. Là sotto è tutto così fermo, silenzioso... che mi concilia il sonno. È una strana ninna nanna. Ma è così, è mia. C’è un grande silenzio dove non c’è mai stato suono. C’è un grande silenzio dove suono non può esserci: nella fredda tomba del profondo mare.” (DAL FILM LEZIONI DI PIANO) Claudia e Adriano

Ma più di tutti il treno Tu tum tu tum tu tum tu tum. Esiste un’intercapedine temporale in quel cumolo grigio che mi ritrovo in testa, in cui vanno a finire tutti i ricordi legati alla mia infanzia. È una sorta di malinconia congenita che mi porta a tradurre in prosa la poesia che si annida in quel cono buio. Sono le 18 e viaggio sul sedile posteriore dell’auto di papà. È uno squalo celeste. Si sente, sia dentro che fuori, il rombo del motore di una volta, o forse è solo la marmitta bucata. Il nastro gira lento e lascia nell’aria imprigionata dall’abitacolo le parole di De Andrè “Una gamba qua, una gamba là gonfi di vino quattro pensionati mezzi avvelenati al tavolino. Lì troverai lì col tempo che fa estate e inverno, a stratracannare a stramaledir le donne, il tempo e il governo”. E il suono della voce di mia sorella che mi chiede di giocare al gioco del “sì e del no”. Ore 14 Cunardo, piena estate, agosto forse. La betoniera gira spinta dal suo motore a scoppio azionato dalla corda e tutto quello che si trova nelle sue vicinanze fa da cassa armonica e diffonde il suo urlo da battaglia nei dintorni. L’acqua è l’ingrediente fondamentale per il cemento, serve ad amalgamare a creare il legame tra le parti che saranno poi un tutt’uno. Il rumore dell’acqua è quello che senti all’interno della betoniera, se hai il timpano allenato per avvicinarti. Quando torna la quiete, sembra di non avere mai conosciuto il silenzio. Io sono quello della canna dell’acqua, braghe corte e Tepa Sport ai piedi, che pulisce i residui di sabbia e cemento, attento a che nulla sfugga al getto d’acqua, il cui lieve fruscio riconcilia il rumore e il silenzio. Notte, camera da letto, sono rannicchiato su me stesso, nell’angolo, per lasciare spazio all’esercito di pupazzi che dorme assieme a me. Titti da solo occupa la metà del materasso. Stringo delicatamente tra le dita il tessuto liscio della vestaglia della mamma.

L’ho presa in prestito per tutta la vita. È come dare una forma e un volume all’amore materno. Anzi no, è dare un rumore. Quel lento e continuo sfregare fra le dita la veste, regala alle mie orecchie il sottile sibilo della notte e mi accompagna al sonno. Sera, ore 21. Treno. Ci muoviamo verso una stazione. Probabilmente Milano, Stazione Centrale. Tu tum tu tum, tu tum tu tum. È il rumore che più mi riempie di nostalgia. Tu tum tu tum, tu tum tu tum. Con le mani a cucchiaio a costruire una barriera tra gli occhi e lo scompartimento e la fronte incollata al finestrino, guardo fuori il lento scivolare indietro delle case, delle luci e degli alberi. Tu tum tu tum, tu tum tu tum, mi arrotolo nella poltrona come un gatto e trovo il sonno. TU TUM TU TUM, TU TUM TU TUM, la mamma ha aperto il finestrino per buttare il mozzicone, ho aperto gli occhi e li ho richiusi nella dolce attesa della fine del viaggio. Ore 17.46. Oggi. Il treno non regala più lo stesso rumore. È un fischio simile a quello che fa la metropolitana. Non ci sono più gli scompartimenti e le orecchie si tappano per la forte velocità. È come se la tecnologia si fosse portata via la poesia del rassicurante rumore di una volta. Per fortuna mia mamma, qualche hanno fa, ha chiuso il tu tum tu tum in una scatola magica e me l’ha donata. Quando la schiaccio suona. Ho regalato a Romeo il rumore del treno. Sorride quando suona. Apro e chiudo la mano che tiene la scatola magica per fargli conoscere la differenza tra il tu tum tu tum sordo e il TU TUM TU TUM del finestrino aperto. È Francesca che mi ha fatto scoprire la poesia del rumore del treno, e quando ci corre vicino siamo tre volti dagli occhi che urlano gioia. “A volte, per sentire, basta solo saper ascoltare.” Fabio Russo


Sento la voce di mio padre nei miei pensieri...

Lucia Fiorini

I rumori di oggi, il casino di oggi, devo ancora digerirli. Quando sono in macchina sparo forte la filodiffusione RAI, sono uno dei quattro gatti che ascoltano la sinfonica al volante, passo tra i paesi del basso torinese e della provincia Granda con Wagner a manetta, Mahler, Bach, Mozart, Stravinskij, Saint-Saens e mi pare di pulire le orecchie dei burini che incrocio abituati alle puttanate contemporanee. Non amo il mondo in cui sto. Sono disilluso. Ho preso a rinunciare ad ascoltarlo, tanto lui non mi ascolta. Dico in generale. Mio padre per un verso è un uomo d’altri tempi. Mio nonno ancora di più, salutava in francese. Vorrei essere già vecchio talvolta, coi peccati abbonati e l’alibi della saggezza. Andrebbe bene anche essere scambiato per rimbambito, per far finta di non sentire più questa cacofonia di ragli e di muggiti.

Ascoltare ed essere ascoltati è diventato sempre più difficile.

Stefano Zimbaro

Siamo nell’era della comunicazione e la più grande contraddizione sta proprio nel fatto che molte persone, soprattutto i bambini, stanno perdendo la bussola per muoversi adeguatamente in questa dimensione. Ascolto significa essere attenti alle esigenze e ai desideri degli altri, essere ascoltati vuol dire essere presi in considerazione, ed eventualmente essere apprezzati o contraddetti nelle proprie esternazioni o considerazioni. Per favorire un buon ascolto ci vuole silenzio e rispetto reciproco. Maria Borrelli

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A me mi piace giocare con le orecchie di mio papà.

...certe volte la mattina mentre guido sulla provinciale verso la città. Sarà perché vado incontro al lavoro, verso la giornata e mi serve grinta. Mio padre l’ha sempre avuta, la grinta. L’altra voce importante è quella di mio nonno, del nonno Cavaliere del Lavoro. È una voce di coscienza. L’ho sentita meno spesso in questi anni, meno spesso di quanto avrei voluto. Non ho forse mai sognato mio nonno e son già otto anni che è morto. Mio figlio sentirà la mia voce tra trent’anni. Mia figlia grande parla già un po’ come me, alza le sopracciglia come me. Mia figlia piccola ride come me. Un rumore mi chiedi: te ne do due. Il ronzio del frigo, quando studiavo la notte all’università. Il rimbombo dell’acqua nelle orecchie da ragazzo, sciogliendomi nella vasca da bagno per mezz’ora, un rumore di quiete. Questi sono rumori del passato.


È bello sentire la musica! Bianca Gelpi

Sentire per caso... la tua canzone preferita alla radio, sentire il boato dello stadio che esulta quando segna la tua squadra del cuore, sentire lo sciabordare delle onde contro la chiglia della barca, sentire le urla di richiamo di un mercato asiatico o arabo, sentire le vertigini perché sei in cima al grattacielo più alto di tutta l’Asia, sentire il tuo cantante preferito dal vivo, sentire l’abbraccio di un’amica che ti consola, sapere che a volte gli amici “devono” dirti cose che tu NON vuoi sentire, sentire che sei talmente felice che non hai nemmeno le parole per descriverlo, sentire l’altoparlante che annuncia il tuo aereo per le vacanze, sentire la voce familiare di mamma, papà, Silvia e Alberto, sentire in loop l’intro di Every Breat you take, sentire le farfalle nello stomaco, oppure sentire un groppo in gola… Ci sono tanti modi di “sentire”. E tutti ti fanno “sentire” vivo. R ic do car

Chiara Merlano

Bri osc hi

Il mio rumore del cuore, non ho dubbi, è la musica. I miei anni e tutto ciò che è accaduto nel loro corso sono legati a mille canzoni, una sola nota di ciascuna di queste mi trascina e mi rimanda di forza a quegli istanti.

La musica è il mio calmante, il viaggio stando fermi, il sogno ad occhi aperti. La musica è anche il mio rammarico, a volte è stata causa di errori e di sofferenze...che sbagli!La musica si ascolta con le orecchie, ma la si può sentire con il cuore. Ci sono voci, note e parole che arrivano dritte al cuore e da lì non se ne vanno mai. Io non lo so se ho la capacità di ascoltare, so di certo però che pochi ne sono dotati.

Consiglio, invece, di ascoltarsi, sentire prima sé stessi e il rumore dei propri pensieri. Questo è il vero regalo che potremmo farci. Perché se non ascolti il battito del tuo cuore come puoi sentire il rumore del vento, il respiro di un bimbo, lo scoppiettio del fuoco, il fruscio delle pagine di un libro, le fusa di un gatto... il boato del silenzio? Erica Brovelli


Barbablù... clack...

Francesca Colciaghi

Tema: io ascolto... Quando ascolto delle canzoni che mi piacciono mi viene voglia di risentirle. Le canzoni d’amore e lente sono le canzoni che mi rimangono più nel cuore e che mi ricordo di più. I rumori che mi colpiscono all’improvviso sono quelli che mi fanno più paura perché mi sorprendono. Tutti i rumori e tutti i suoni io li sento benissimo, solo che mi dicono sempre tutti che sono SORDA! Camilla Fiorini

Ma come si fa a scrivere i suoni se non sei musicista? A come amico, amore, àncora B come bella, buona, Benedetta C come casa, cose, care, il concerto dei Litfiba D come dove, dato, detto, davvero? E come e ti ricordi quella volta che F come me e te, festa, fiero

G come il punto e a capo H come hotel, tanti per il mondo I come invece di, ieri, immenso L come lana, letto, letto M come ma cosa mi dici mai N come nuvola, navata, nontiscordardime

O come ora pro nobis P come peccato, perbacco Q come quadro, fin dall’asilo e non è mai cambiato R come ric, riccio, raggio S come sole, santo, sensibile T come tetto, tutto, terra U come una come lei non ce n’è V come vedo, vero, vento Z come zeppa, zeppelin, zus Federica Capuzzo

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... e la mamma che corre a girare la cassetta nel mangianastri... il fruscio delle pizze dei super 8 coi filmini muti dei nonni... il boato dello stadio, Fabri che gioca al subbuteo... papà che fischietta Guccini in macchina... l’angelo e la pazienza, ecco Rena... (Sud) Sound System e ballare fino all’alba a Sant’Andrea... Fa’ che piova caffè nel campo e i ragazzi che cantano per noi (9-9-99)... what a wonderful world, Diego che si muove dentro di me... always on my mind, Stak... redemption song, Davide che sta per venire al mondo... radiocronaca casalinga Inter-Milan (11-0), Dieghito in corridoio col pallone di spugna... Davide che arriva di notte sussurrando “c’è un posticino anche per me?”... la voce dei nonni, che purtroppo non ricordo più...


Il mio volume Ruoto la testa, respiro, sento il profumo e il sapore del cloro, poi il rumore dell’aria che mi attraversa i polmoni, soddisfando la ricerca d’ossigeno. In sottofondo un vociare chiassoso, dura soltanto un attimo poi tutto torna ad essere ovattato. Il borbottio delle bolle d’aria che escono dal mio naso fuggendo verso la superficie e il rumore degli arti che muovono l’acqua, restano gli unici suoni che sono in grado di percepire. Nuotare mi permette di selezionare i pensieri: lasciare a bordo vasca tutto ciò che voglio mettere in secondo piano, anche solo per un breve periodo. Oggi mi concentro sulle attività che il mio corpo compie grazie ad impulsi inviati dal cervello senza che l’avvallo della ragione sia necessario. Ogni tanto è bello riscoprire il battito del proprio cuore, la frequenza che lo affianca al respiro e ricevere il resto dei rumori solo sotto forma di vibrazioni secondarie che raggiungono le nostre ossa. L’acqua mi protegge dai decibel ingombranti della vita e scelgo di avvalermi di questo scudo per settare il volume a mio piacimento. Poi posso arrampicarmi sulla scaletta, uscire dalla piscina, scuotere la testa, permettere all’acqua di abbandonare le cavità delle mie orecchie e incamminarmi verso l’accappatoio, restituendo una forma popolare ai suoni quotidiani. Questo è il mio vantaggio. Nella normalità di ogni giorno mi trovo di fronte a chi fissa le mie labbra e, solo ogni tanto, i miei occhi per comprendere ciò che dico. Quando me ne accorgo rallento, scandisco le parole, cerco di evitare che la mia bocca resti pigra di movimenti, voglio essere udita anche sott’acqua, perché se mi capitasse di incontrare qualcuno sul fondo della piscina vorrei poter essere in grado di comunicare lo stesso, vorrei la possibilità di comprendere ed essere compresa. Indipendente dal rumore o dal rumore assente. Ginesta Ferraro

Che suoni ci sono nel mio cuore? Chiudo gli occhi e ascolto… cosa sento?... Sento le risate dei bambini che giocano… il cinguettio degli uccelli… il ticchettio della pioggia… il canto del vento tra le fronde degli alberi o tra le scogliere… lo scricchiolio delle foglie secche sotto i piedi… l’abbaiare di un cane e il miagolio di un gatto… il frinire delle cicale… l’infrangersi delle onde del mare sulla battigia… il silenzio della neve che cade… lo scroscio di una cascata… il gorgogliare di una fontana… il campanaccio di una mucca… lo scoppiettio del fuoco… il fruscio delle pagine di un libro… lo schiocco di un bacio… Martina Volpi


A me piace... ascoltare alcune cose che ci sono nel mondo come la musica, le storie su Gesù, il coccodè delle galline, l’acqua che scorre, il richiamo della mamma, il fischio delle marmotte... Non mi piace sentire il rumore delle moto, quando la mamma mi sgrida, la voce di chi litiga... Sofia Gelpi

Non ci accorgiamo, ma in ogni attimo possiamo...

Annalisa Tiranti

Molto spesso diamo più importanza al sentire nella sua eccezione di provare sentimenti ed emozioni. Questo perché, noi udenti, non ci siamo mai trovati a non poter sentire il “suono” della risata di una persona felice, il “suono” del pianto di chi ci sta soffrendo accanto, il “suono” delle voci dei nostri bambini, il “suono” delle parole sussurrateci da chi ci ama. Non ci siamo mai posti il problema di non sentire il “suono” della natura che ci circonda, dal cinguettio di un uccellino al rombo del tuono. Mi è difficile immaginare una vita senza suoni, senza la musica che riempie le nostre vite. Anzi, spesso anelo a un po’ di silenzio. Aiutando chi, meno fortunato, non sente forse possiamo imparare anche ad ascoltare meglio. Augusta Mamoli

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vedere, cantare, ballare, toccare, odorare, sentire e ascoltare... possiamo vivere ogni istante! Ma non sempre tutti possono farlo come noi... Il bello è che chi non può sentire... riesce a dare, donare più di quanto noi sappiamo comunicare a parole... Sentirsi soli ed estraniati a questo mondo dev’essere agghiacciante per loro, ma non sanno quanto i loro sorrisi parlino ai nostri cuori... solo tramite questo linguaggio... quello dell’amore... potremo aiutarli, così loro un giorno si renderanno conto delle parole che ci hanno detto: ... vogliamo sentire...


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I sogni sono il mezzo con cui portiamo avanti le nostre passioni. Le passioni fioriscono dalla cultura. La cultura è la casa che costruiamo con i nostri sensi. Guarda, tocca, senti... sogna!

ROMINA BONALDO REMARKABLE ROCKS ON KANGAROO ISLAND, AUSTRALIA – MAGGIO 2010

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L’ascolto è un punto di vista Hai sentito il fruscio delle foglie quando sei nel letto e fuori c’è il vento? Sembra di stare su una nave in mare aperto. Quando sono nel letto sento l’odore del camino e quando ho freddo mi alzo e mi accuccio lì vicino, mi piace guardare le fiammelle che piano piano si consumano. Hai ascoltato che magia il suono dei tamburi? Mi sembra di stare in Africa e di vedere le gazzelle correre nella savana mentre i leoni ruggiscono! Quando vedo un tamburo, io lo tocco e chiudo gli occhi, poi inizio a sentire il battito del mio cuore più forte nel petto e nella gola e so che se il tamburo vibra sotto le mie mani, chi è vicino sente lo stesso mio palpito. Hai sentito che bello il suono della voce quando chi ti parla pronuncia il tuo nome? Ti fa sentire importante. Mi sento bene quando qualcuno si volta ad ascoltarmi mentre lo sto chiamando.

Non ti fa paura tutto questo frastuono? A volte vorrei stare sott’acqua per non sentire nessuno. Quando ho paura del silenzio apro gli occhi e osservo tutto attentamente. Ogni piccola cosa produce vibrazioni sottili capaci di non farmi sentire solo.

E cuore non duole Se non guardi le immagini, né ascolti la radio, né mai hai tempo di sfogliare un giornale dimentichi presto chi è lontano e soffre la fame e la guerra. Se non leggi col cuore le parole scritte da tuo padre, forse ignori che ti sta chiedendo perdono, così puoi continuare indisturbato ad odiarlo. Se non ascolti attentamente la musica che piace a tua moglie, non saprai mai se anche a te può piacere, così hai una scusa per non condividerla. Se chiedi un consiglio sapendo già che farai di testa tua, la prossima volta domandalo allo

a l, i un n goa d t u i ea . il b dopo lia d n un o.. , o n e l a og co et al ibr o b ella r nire v igato v d n n lit ve an che qu sacca nno a ho nza u o a t r se in i fa im pi en tar im he si he m se pr vivere e. Vol i v e h a c d c c che i è ver vi ul p cio o, Da ella o s a cal ionan re an i suon ero a d n e lta ific ebb scia la d oz ord stri a pal i em o esu agn i dovr c e l m t n m h Le ni c -hop, i che i fan uesti he tut o l q n m a p nt hi uo he ire ra c i pa zone no i s are, c sent natu can esti so e ball senza della qu armi ivere dono alz ico. V lioso am ravig me

specchio, farai molto prima le tue scelte. Hai ogni strumento a disposizione per diventare un’isola e costruire da solo la tua tela come il ragno tesse la sua.

Un’eco speciale Usa il tuo sguardo, le mani, il sorriso. Di cenere e vento è formata la voce, per chi non riceve altro che un suono. Le parole più belle, chi può sentirle, a volte le beve in un unico sorso, ci annaffia i gerani e questi muoiono. Non serve alzare la voce, se questo significa far tacere il cuore e parlare senza una direzione. I miei piedi rincorrono solo odori e colori, aiutami tu a dare un senso alla tua musica. Nessuno da solo può andare lontano, per questo ti chiedo, ti ascolto, parliamo. Mary Pantano


Filastrocca dell’ascolto per chi ascolta filastrocche Di questi tempi farsi ascoltare È più difficile di quanto si pensi Ed è per questo che per farmi notare Voglio distinguermi dagli altri sensi

Dicevano, “Guarda, gli piace sognare” Subiva richiami in continuazione Lui un po’ soffriva ma si dava da fare Nel legger le labbra divenne un campione

In primis la Vista che domina tutto Tanto che a furia di provarla a inseguire Il Gusto, L’Olfatto, L’Udito e il Tatto Son stati ridotti a un banale “sentire”

Col tempo trovò una sua abilità Cercando di essere meno scostante Con Cuore, Occhi e Sensibilità Provò ad avvicinare quel mondo distante

Ed è così che cotal filastrocca Vuol raccontare una semplice storia Di un bimbo che ancora oggi vive in Bicocca E che di quest’anno ha una strana memoria

Adesso i tappi son volati via Insieme all’ansia e al timor generale Ma non si è smarrita la sua fantasia Che con quell’ascolto è diventata speciale

Aveva dei tappi dentro le orecchie Che non gli permettevano di ascoltare e ogni tanto arrivavan pernacchie Perché lo credevano un po’ originale

Bertrand Galbiati

... oci v ito ud re,

o uo el c e un eh d : o o i olt ndo ment di tutt c o s f a o a l i r c p o uti o dal n lung o le v i vend a in s a s m e u in an rno Erano to. Er bamb i. e om t s n t n te la i so all’e verso. n pia vi; de dona ostan la i d u n i M n ia o no iva ll’Un oia e sch abba , no van r se

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en , de di gi ssi e egli tavia azia o pe si, r a nv e No a Terr inno i oppr mi e d , e tut ; ring gavan i e illu l e a r l n t n e i e u f a pre ent v im d to; um egli in i lacr o alla male, disatt n i r a c e ti; d se ri d an al no ess gne A ’ gli on na da ma ggiav eraci d noi so l Del o n ivano , inne o: Lib come na u r a B Sal erenz ocand uanti f sof , e inv rché q ti. vita si e pe rdona e stes ero p s s o f

Sapere che esisti mi libera dal peso di essere me stesso e mi fa venire in mente progetti nuovi e sconosciuti. So che sono responsabile di quello che sarà di te e che questo è un mondo del cazzo per crescere, ma per quanto ne sappiamo è anche l’unico dove le api ronzano e i passeri ridono. MEDINA REYES EFRAIM

Davide Agrati


Tu

Come sarebbe? Può sembrare strano, ma qualche volta ho pensato a come mi comporterei se perdessi l’udito... penso che qualche volta occorrerebbe davvero soffermarsi a meditare a cosa vuol dire essere privati di uno dei sensi. Anche se spessissimo desideriamo il silenzio, soprattutto perché lo associamo a situazioni di pace e tranquillità: come sarebbe se proprio non sentissimo più nulla? Come sarebbe se dovessi svegliarmi alla mattina senza il suono della campane vicine (anche se ho discusso per mesi con il parroco circa la loro effettiva necessità, soprattutto il sabato mattina alle 7,30!)? Come sarebbe se non potessi più sentire la parola “mamma”, pronunciata circa un milione di volte al giorno dalle mie bambine? O le loro risate o i loro pianti? Come sarebbe se non potessi più sentire la voce di Massi, le sue parole affettuose o i suoi sfoghi quando la giornata non è andata bene? Come potrei vivere senza sentire la musica, senza il cinguettio degli uccelli, senza il rumore della pioggia e del temporale, senza lo scricchiolio sotto i piedi della neve compatta, che suscita nella mente il rumore del silenzio... Penso che potrei impazzire, davvero!! E quel silenzio che tanto, e spesso, cerchiamo nelle nostre giornate, diventa per me superfluo... e apprezzo anche la “pace rumorosa”! Concludo aggiungendo parte del testo di una bellissima canzone, che credo ben riassuma quanto ho cercato di esprimere: “Fools said I you do not know, silence like a cancer grows, hear my words that I might teach you take my arms that I might reach you...” forse non c’entrano nulla, forse piacciono solo a me... ma le trovo “azzeccate”: cerchiamo di non nasconderci nel silenzio!!! Fede (MassiMatiGioia)

(1998) sottili. Le cose are i ricord t s e r r o V rivivere ntani ed ora i di tuono lo bi on quei su antilene di bim c e quelle ite percep l prato su distesa uercia q sotto la iveglia? m nel dor D’Adda Stefano


La maratona Una lunga lingua d’asfalto di 42,2 km sempre dello stesso colore nero, nero come le innumerevoli ombre dei piedi, come le gambe del corridore che girano su se stesse in base alla direzione che prendi rispetto al sole, sinistra destra, davanti dietro... Dopo i primi adrenalinici chilometri, dove ci si incoraggia, si incita il compagno affianco, si ascoltano i ritmi incalzanti delle percussioni, gli applausi e le urla del pubblico a bordo strada, all’improvviso tutto tace tutto è ovattato. Il silenzio regna sovrano. Sei solo con te stesso, con le tue gambe, il tuo respiro, la tua testa e con un unico pensiero: arrivare al traguardo colorato, gioioso e rumoroso! Alessandro Trovati

Ti sento... (discorsi tra Marco e Marco)

A volte ti sento bussare Sento che mi chiami Cerchi la mia attenzione Percepisco i tuoi segnali... Ma non ti ascolto. So bene che hai ragione Che lo fai per me ... se ci pensi bene... lo fai anche un po’ per te... ti dico che sento, ma adesso non riesco proprio ad ascoltarti. ma non smettere mai Prima o poi ti ascolterò Al momento giusto sarà semplice, magico.

Non sarà mai tardi, credimi

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...e sarai il primo a saperlo, Lo capirai tu Senza neanche una parola Adoro i tuoi segnali...

Marco Tuffi

Cerco di sentire le mille voci intorno a me, ma non sono capace di fermarmi ad ascoltarti. Guido Gelpi

“Non ci sente bene, quindi è possibile che abbiate dei problemi.” Questo è quanto mi hanno detto più volte a scuola, parenti o genitori dei miei alunni... Ma i problemi li hanno dati non chi non sentiva bene, ma chi non ascoltava. La vera questione è non saper ascoltare, non assaporare il silenzio. Per far questo non serve solo la buona funzione di un organo, ma la sensitività di tutta la persona. Sssssss... per favore facciamo tutti un po’ di silenzio, oggi è più che mai indispensabile. Enrica Mamoli


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Che cosa c’è di più terribile che essere un bambino, a scuola, in una stanza vuota di suono con una maestra che parla e parla e parla; e che quando ti viene vicino si aspetta che tu abbia capito le sue parole? Che cosa c’è di più terribile che avere la tentazione di conoscere tutte le verità del mondo e di volerle conoscere con le tue sole forze, e poi scoprire che questo tuo desiderio è destinato ad andare in fumo e allora ti rivolgi a un fratello, a una sorella, a un amico perché ti guardino per darti una risposta e che invece ti dicono, “Ma di che t’impicci, lascia perdere!”? Che cosa c’è di più terribile che vedere qualcuno gridare, qualcuno che è solo convinto di aiutare a sentire; e interpretare male le parole di un amico che non vuole far altro che aiutarti a capire, mentre tu credi che voglia prenderti in giro? Che cosa c’è di più terribile di quando ti ridono in faccia, solo perché tu cerchi di ripetere le parole degli altri proprio per essere sicuro di aver capito bene, e poi ti accorgi che non avevi capito niente e allora vorresti gridare, “Ti prego, fratello, aiutami!”?

Com’è terribile sentire una mano. Sì, devi essere sordo per capirlo! ESTRATTI DALLA POESIA “DEVI ESSERE SORDO PER CAPIRE” DI WILLARD J. MADSEN, POETA SORDO AMERICANO

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Devi essere sordo per capire.


“Ecoutez! Tu non mi ascolti, io non ti sento” è un progetto fotografico ispirato alle fiabe dei Fratelli Grimm, al tema dell’ascolto e del racconto, alla scelta pedagogica di concludere le favole con un bel “…e vissero tutti felici e contenti” senza mai soffermarsi sulla narrazione della felicità. Le immagini parlano anche di comunicazione, della difficoltà dei rapporti ovattati dalla sordità culturale, intellettuale e generazionale rappresentata dallo sfondo potentemente rosso, impermeabile, insormontabile.


Fonendoscopio Rappresenta lo strumento simbolo del medico e forse non è un caso. Si parte prorio da lui, il fonendo, un piccolo amplificatore tascabile, indispenasbile per auscultare il corpo che ci parla. Bastasse solo lui... invece ci servono le nostre orecchie ben attente e pronte, la concentrazione e il tempo. E così dopo aver auscultato i battiti, il murmure e i borborigmi ti ritrovi a riporre lo strumento in tasca e ad ascoltare veramente. Ascoltare le storie che stanno dietro la sempre più sorprendente “macchina umana” e che rendono ognuno di noi unico. Ma questo tipo di ascolto è il più faticoso, quello che nessuno ti può insegnare, quello più difficile da gestire. Eppure se ci fermiamo un attimo scopriamo che l’agggressività, la reticenza, la critica, non sono altro che l’espressione di disagio, dolore, paura, consolidati da pregiudizi ed esperienze negative. Troppe volte mi sono pentita per non aver ascoltato le storie dei miei pazienti, per averli giudicati o per non aver avuto il tempo sufficiente per fermarmi con loro magari solo perché non ci si può permettere di dilatare le visite oltre il tempo stabilito e di rallentare la macchina del sistema. Dedico questo mio contributo a tutti i miei pazienti, ma anche alle persone più care che invece trovano sempre il tempo per ascoltarmi. Chicca Poletti

Tiziana De Vecchi

Dialogo di uno, e madre. LIS. Un gesto colora la stanza; una mano vibra, muove la polvere e incrina il silenzio. L’altra accompagna e supporta. Bocca che sbuffa. Aiuta. Osservo lo spartito. Dieci dita, mille note. Figure acrobatiche. Glifi ingegnosi. Successione ascendente di idee. Scopro un pianista in un uomo scampato al bavaglio. Da una serra di quiete esplodono fronde musicali. Mantra gestuali. Pongo attenzione. Penso a mia madre. Vecchia come la guerra. Sente a filo d’orecchio. Il suo linguaggio è quello antico del buon cibo e di carezze ruvide da mani lisce di pane e pietra. L’etere è piagato dalle urla dei figli. E pensare che da spiragli nel muro dei sensi passano soltanto magre inquietudini e un soffio d’amore. Gabriele Dozzini

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Ti colgo nel silenzio tenero fiore di niente abbracciandoti adagio con l’occhio più triste affinchè il tuo dolore si addormenti nel mio


Chiara, Alberto, Elena e Federico Regazzoni

Il silenzio è rotto... È un pianto che ti entra subito nel cuore e ti stringe forte, la sua voce ti percorre il corpo, capisci che tutto è cambiato, ti metti in ascolto per imparare a conoscerlo: è amore, gioia, fatica, vita, luce. È il piccolo che abbiamo desiderato e da subito amato, è il piccolo Davide che riempie il nostro tempo. Marco e Valeria Rossi

Il Barbarigo

Alessia Portochese Edoardo Ciotta Alessandro Ciotta Davide Quaini Chiara Quaini Tommaso Borghetto Matilde Borghetto

45 anni di sofferenze! BR1


Emma e Marco Bruno

Ascoltando le onde, le parole per le mie poesie vengono da sole...

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Matteo Panizza

Patrizia Sevieri


Classe 3 Scuola Geis 1 Althea, Gioele, Sofia, Emma, Chiara P., Alberto, Alessandro, Chiara V., Sara, Chiara F., Flavio, David, Rocco, Martina, Matilda, Andrea, Giulia, Edoardo, Caterina Monica Neuburger


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A me non piace il rumore... che ho nella pancia quando sono spaventata, per esempio prima di fare lo spettacolo della scuola o prima di chiedere scusa ad una persona. Invece mi piace molto il suono che ho nella mente quando sono nel lettone con tutta la mia famiglia. Comunque a me i suoni mi piacciono molto perché rendono dolce (se è un bel suono) o movimentato (se è un rumore) la città o il posto dove ci troviamo. Irene Fiorini

Il rumore delle onde che s’infrangono all’orizzonte, il silenzio della luce che pervade il cielo. Attimi, solo attimi. Vitali, puri, incontaminati. Chiudendo gli occhi li si può percepire ovunque. È così che il clacson dell’automobilista al semaforo diventa il fragore della neve che cade dalle fronde dell’albero davanti a casa, i motori si trasformano nel fruscio del vento che accompagna la fresca brezza mattutina, gli sbuffi del collega, nel rumore che emettono le labbra appoggiandosi dolcemente al bordo di una tazza di un cappuccino caldo, ma non troppo. Un cappuccino cremoso, zuccherato. Un suono può essere una tana, il sapore di tranquillità. Alcuni cercano rifugio nel sussurro dell’inchiostro lasciato sul foglio, altri lo trovano nel rumore dei passi che si susseguono uno dopo l’altro nella corsa al tramonto. Catartica, liberatoria. L’apoteosi dei suoni sta proprio in un sorriso sereno. Martina Todesco

Love letter Ogni tanto è strano. Sale la temperatura del corpo. È come se il sangue si concentrasse tutto nella testa. Non so se sia lui a portare ansie e tremori o se siano loro a chiamarlo in soccorso. Così mi è successo ieri a lavoro. Cambia la percezione che ho degli eventi. Mi sembra, probabilmente con un po’ di presunzione, di capire cosa nascondano le persone. Gli sguardi, i movimenti e le parole. Quelle dette e anche quelle che invece rimangono nascoste. E così inizia l’accumulo. I miei pensieri, quelli degli altri... mi sembra che la testa funzioni da filtro. Rimangono i residui. Si incrostano tra le cellule. Cattiverie, eventi negativi, ricordi tristi, paure. Scavano da dentro. Cercano una via d’uscita che non trovano e allora rimangono lì, a logorare quello che incontrano. Di solito riesco a soffocarle tutte, a riordinarle, a chiamarle per nome.

Altre volte invece prendono il sopravvento, vengono richiamate dall’esterno e così si mischiano al sangue che le fa scorrere per tutto il corpo. Si forma uno scudo trasparente tra me e voi. Lo sento indistruttibile. Dopo un po’, all’improvviso, svanisce. Quando c’è sembra che non se sia mai andato. Al contrario è impossibile ricordarlo quando certi pensieri sono lontani. Ci sono percorsi nascosti dentro ognuno di noi, strade invisibili fatte di sentimenti ed emozioni. Incroci cicatrizzati e soste d’emergenza dove ogni tanto ci si deve fermare per riprendere il fiato. A me piace quando sento una musica leggera, nascosta nella pancia. Una musica che, a differenza di tutto il resto, non ha paura di farsi sentire. La sento la domenica mattina quando mi sveglio prima di te e ti guardo e ti bacio mentre dormi. La sento quando mi sembra di averti vicino e quando so che il mio sangue e il tuo si stanno mischiando. Altre volte, non lo posso nascondere, mi sento

solo. Capisco le sfumature delle emozioni, dei sentimenti, ma non capisco i comportamenti, le reazioni delle persone. Troppo spesso contradditori. E così mi ricopro di grigio. Mi capita di non sentirmi all’altezza, di credere di non essere abbastanza forte. Di non fare a sufficienza. Mi sento stanco, come fossi invecchiato precocemente, un po’ consumato. Cerco energia positiva e quando la trovo la respiro tutta. Non riesco a trattenerne mai un po’ per i momenti difficili. Non è facile essere chiari con se stessi, soprattutto quando si cerca di mettere in parole quello che si prova e che, di solito, non si è abituati a raccontare. Ora vorrei averti qui, vicino, per parlarti un po’, fare l’amore e poi rimanere abbracciati tutta la notte, come ci capita ogni tanto. Quando la musica nella pancia non smette di suonare. Immagino non sia facile capire. Io ogni tanto cercherò di spiegarti. Vittorio Ramella


Le mie Madeleine acustiche Quando un suono o un rumore attiva connessioni con memorie che pensavo sepolte, e che invece riemergono ogni volta intatte, con le loro emozioni. Il rumore della neve sotto i piedi – cri cri cri – la salita per arrivare a casa, a Madesimo. L’accento savonese/alassino. Il rito sacro della costruzione della pista di biglie in spiaggia. I Bagni Mario. La voce in italiano di Darth Fener nel primo “Guerre Stellari”. 7 volte al cinema a rivederlo. Le canzoni più vecchie dei Beatles. Quelle meno belle in realtà, ma ci sono io sdraiato sul sedile posteriore della A112 con il primo Walkman. Domenica sera, di ritorno dalla montagna. Il rumore delle macchine di Formula 1 dal vivo. L’arrivo al circuito di Monza, il viale alberato, il dietro delle tribune mentre già si sentono i motori ai box. Il rumore che fa lo skilift oppure la seggiovia quando passa sul pilone. Le voci di Nando Martellini e Bruno Gattai. L’attacco di “Princesa” di Fabrizio De André. Scartiamo con foga il CD, schiacciamo play... Il rumore dei motori, le voci della strada, “Sono la pecora sono la vacca...”. Anime Salve.

Ascoltare Con le orecchie so ascoltare musiche allegrie tristezze. Il rombo dei motorini il ronzio delle api i cigolii delle porte gli urli dei fratellini l’abbaiare dei cani: tutte cose che posso percepire grazie all’udito. Ludovica Gelpi

Filippo Marconi

Il riso di mia madre (6-2004) L’ho sentito echeggiare nel treno, giovane e lontano, il suo riso di madre felice sepolto nei ricordi.

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Stefano D’Adda

I più bei suoni della mia vita I racconti a colori di una nonna in bianco e nero. “Canzoni stonate” a squarciagola con papà in macchina. Le ninna nanna di mamma che anche oggi sanno come scacciare la notte. La musica a palla che si ferma un attimo e si sentono solo le parole che mi hanno cambiato la vita. Il motorino in fondo al viale, si butta la pasta. Il ritmo dei respiri della notte, il battito della casa. I brindisi. Le risate degli amici. Le onde che vanno e vengono, vanno e vengono... Il campanello. Le ruote della bicicletta. Gli sci sulla neve. Non si sente niente... nevica? Le penne che fanno rumore. Le dita sulla tastiera. Il rumore dei piedini in corridoio. Mamma, ci raccontiamo la nostra giornata? Certo, non aspettavo altro. Pamela Maffioli


Nel profondo del silenzio, di nessuna parola, di nessun linguaggio c’è bisogno. Nel profondo del silenzio mi si chiede di ascoltare. Si, mi sono seduto là, là in quell’angolo in ascolto del silenzio, con la nostalgia di una comunità. D’improvviso la stanza si è affollata: si è affollata di discorsi, voci in molte lingue annunciano denunciano proclamano domandano si scusano: distruggono il silenzio. Basta! per favore, basta! Silenzio. Ascoltate il battito del cuore: ascoltate il fremere del vento, l’impulso dello Spirito.

Rimanete in silenzio – disse il Signore – e sappiate che io sono Dio. E ascoltate. Ascoltate il grido di chi non ha voce ascoltate il gemito degli affamati ascoltate il dolore di chi non ha patria ascoltate il pianto degli oppressi e il sorriso dei bambini. Perché questa è comunicazione autentica: ascoltare la gente vivere con la gente morire per la gente. (UNO STUDENTE INDONESIANO)

Ho preso in prestito le parole di questa breve poesia che molti anni fa hanno segnato un incontro. Sembrano davvero essere la risposta al tema di quest’anno. Dopo così tanto tempo, sono ancora lì, appese dietro un vetro, un po’ sbiadite. Mi guardano.

Mi rammentano la forza di quell’incontro che già allora voleva qualcosa da condividere e sul quale appoggiare un futuro incerto. E mi commuovo a sentire che l’incertezza è diventata certezza. Sarah Nocita


Da bambine mia sorella e io facevamo un gioco. “Senza mani o senza gambe?” “Senza brufoli o senza peli?” “Cieca o sorda?” Era il gioco degli estremi.

Per fortuna non sono ancora diventata sorda. Ho un lupus al condotto uditivo. È qualcosa di psicosomatico. C’è qualcosa che mi fa male ascoltare. Che cosa significa? Non so, non lo sento tanto bene. Le emozioni che abitano il nostro organismo, quando diventano consapevoli si possono dire, si trasformano in sentimenti. Forse perché finalmente le possiamo sentire. Vi presento i miei “rumori” preferiti: Le campane. Lo xilofono. Le canne di bambù.

Le scarpe da tip tap. La carta delle pagine gialle. Le nacchere. Le palle da tennis. Le palle da ping pong. I violini in metropolitana. I timbrini. La rotella dei telefoni a gettone. Le dita che schioccano. Gli spaghetti spezzati. Il pop-corn che scoppia. L’olio versato. Quello strumento musicale formato da bicchieri pieni d’acqua. Le voci con la testa sott’acqua. La esse di chi porta l’apparecchio dei denti. I cuscinetti a sfera dei pattini a rotelle. Il caffè che esce dalla caffettiera. Il cuore che batte prima di un bacio. L’ultimo pezzo di un puzzle. Il giro di do alla chitarra. Le foglie secche. La brace. Il sussurro d’amore. La gola infiammata. L’acqua della fontanella d’estate. La tastiera del computer. Il respiro nel sonno dei bambini. Le cicale. I grilli. Le colonne sonore di alcuni grandi film. Le verdure affettate. Il silenzio. Il pianto liberatorio. La risata liberatoria. L’urlo liberatorio. La verità. Barbara D’Ambrogio

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Sordità varie


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A volte, però... penso che il silenzio è d’oro, forse perché sento troppe cose inutili o forse perché semplicemente sento. Enrica Viola

A volte sentiamo rivolgerci parole dure, aspre, cattive, sprezzanti che ci fanno soffrire poiché ci arrecano del male e ci procurano sentimenti negativi; altre volte sentiamo parole dolci, affettuose, suadenti, amiche che ci riconciliano con la vita rendendoci felici e quindi ci permettono di andare avanti per il nostro cammino. Nel mezzo la normalità della vita quotidiana. Questa è la realtà umana non certo l’indifferenza, l’incomunicabilità, la solitudine e il silenzio. Massimo Tuffi

Per me l’orecchio è una parte importante del mio corpo… Mi permette di ritirarmi in un angolo ad ascoltare la musica quando mi sento triste, sola e abbattuta, e la musica mi dà la forza di rimettermi in piedi e di affrontare le difficoltà… Mi permette di sentire i suoni di tutti i giorni come l’odiosa voce della mamma che ti dice di fare i compiti quando vorresti divertirti o come l’odiosa campanella che indica la fine dell’intervallo… Mi permette di sentire dei suoni speciali come lo scroscio di una cascata o le grida dei gabbiani che volano al tramonto… E, scientificamente parlando, serve anche per il mio equilibrio: quindi se io non avessi l’orecchio… sarei… squilibrata! Carlotta Volpi


Giuseppe Bettoni

Insegnami ad ascoltare, o mio Dio, chi sta accanto a me. Insegnami ad ascoltare, o Dio premuroso, i lontani, il bisbiglio dei senza speranza, il lamento dei dimenticati, il grido degli angosciati. Insegnami ad ascoltare, o Dio, me stesso. Aiutami ad avere meno paura, a fidarmi della voce interiore, che risuona nel mio intimo. Insegnami ad ascoltare, Santo Spirito, la tua voce, nell’attività e nella noia, nella sicurezza e nel dubbio, nel rumore e nel silenzio. (R. MCLEAN) Massimo Nocito

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Chi è costretto dalla sordità impara ben presto a diffidare di quello che sente e piuttosto si affina nell’ascoltare l’anelito che sale nella sua anima e nel decifrare l’alfabeto intimo che il rumore e lo stordimento semplicemente soffocano. Uno si droga di rumori quando non vuole più sentire il pianto della propria anima: il risentimento, la disonestà, l’egoismo sono così forti dentro di noi che cerchiamo di affondarli con suoni e rumori esterni. Tutti conosciamo le ostriche e come sono resistenti e impenetrabili alle onde dell’oceano, così che sono inattaccabili a ogni animale predatore, per difendere la loro parte interna, debole e carnosa. Si racconta che un giorno, un pesce che girava vicino all’ostrica mosse la sabbia del fondo e un minuscolo granellino di sabbia si infilò dentro le valve. Presto l’ostrica cominciò a sentire un gran fastidio, seguito da dei lancinanti dolori. Come reazione cominciò a piangere. Beh... non ho mai sentito che le ostriche piangano – ma questa è una storia. Insomma, cominciò a secernere un liquido, come lacrime, che giorno dopo giorno si incrostò attorno a quel minuscolo granellino di sabbia, indurendosi. E lacrima dopo lacrima produsse una perla. Uccidere il silenzio vuol dire soffocare le nostre anime e non aver più perle da offrire in umanità. Cosa potrà fare un popolo che non ascolta più la propria anima? Diventerà indifferente; il bene sarà uguale al male; l’amore si ridurrà unicamente a un piacere; il sacrificio diventerà inutile. A quel punto e in quell’istante sorgono le dittature. Già Platone diceva che «il momento in cui per eccesso di libertà e di licenza, l’unico interesse è quello per la ricchezza, si rischia di cadere in una forma di tirannide». Torniamo ad essere liberi di ascoltare le frequenze della nostra anima, ne va della nostra democrazia, perla di umanità.


Dopo aver parlato del vostro progetto con un poeta dialettale, Pier Giorgio Mora, è “nato” il sonetto che porto come nostro contributo editoriale.

Ascoltare i battiti del cuore Gh’in di fioeu che nassen e diventan sord, in d’on paes lontan,foeura de man, e gh’è de mezz i mountagn e el mar. Don Milani el diseva “’I care” per i so fioeu de Barbiana. Chi a Milan adess ggh’è on quaivun che se interessa, ’sti fiolitt sord gh’han el diritt de ves curà,e se dan de fa per cattagh su un mezzo con l’attrezzatura per dagh la pussibilità de scultà la loro mamma e il so papà.

Il rumore del vento quando corro o quando sono in macchina e tiro giù il finestrino, il rumore dell’acqua quando batto i piedi, i versi dei miei cani, la voce di mia mamma quando canta, il battito del mio cuore, il rumore dei miei passi quando cammino, il rumore della porta che si apre quando il mio papà torna dal lavoro, il suono della chitarra quando mio fratello suona, questo rumore dei tasti sul computer mentre scrivo, il cinguettìo degli uccellini... se non sentissi questi suoni non vorrei sentire più niente, perché il mio mondo è bello anche perché fa rumore. Ginevra Volpi

Vess solidali l’è una bela manera per vousa e di che la speranza per un mund migliore l’è anca mò viva. E così i fiolett sord de la dei muontagn e del mar sentiran “I battiti del cuore” de Milan. Ci sono dei bambini che nascon e diventano sordi in un paese lontano, tanto fuori mano, che ci son di mezzo le montagne e il mare. Don Milani diceva “’I care” per i suoi alunni di Barbiana. Adesso qui a Milano c’è qualcuno che si prende cura, questi bambini sordi hanno il diritto di essere curati e per questo (queste persone) si daranno da fare per comperargli un mezzo con l’attrezzatura per permettere loro di ascoltare la loro mamma e il loro papà. Essere solidali è una gran bella maniera Per gridare e dire che la speranza Per un mondo migliore è ancora viva E cosi facendo i bambini sordi al di là delle montagne e del mare Sentiranno i “Battiti del cuore” di Milano. Antonio e Graziella Panizza

Vorrei ringraziare un amico. Vestito da montagnino vero, mi ha seguito a passo di lumaca per quasi un giorno intero. Per otto ore ha ascoltato ogni mio singolo affannoso respiro. Ha ascoltato il mio delirio, passo dopo passo. Ha ascoltato i miei lamenti tutte le volte in cui mi sono fermato, seduto, accovacciato. Ha ascoltato la mia stanchezza e la mia paura, il rumore dei bastoni che strisciano e poi picchiettano alla ricerca del giusto appoggio. E poi strisciano e di nuovo picchiettano. Il rumore dei sassi che partono sotto le suole, al passaggio di una gamba cedevole. Ha ascoltato ogni mio sforzo, pietra dopo pietra. Ha ascoltato il mio cuore, i miei pensieri. Ha ascoltato tutte le parole che non ho detto e il mio bisogno di non essere solo. Alberto Cometto


Confessione di un grafico

Dario Piletti

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IO NON ASCOLTO. È così, inutile fare finta... o meglio, io faccio finta: vi siete mai accorti che non vi ascolto? Non è che non mi interessa quello che dite. Semplicemente, non sono capace di ascoltare. Io ci provo, ma sappiate che se ci mettete più di due minuti a dirmi quello che intendete... dopo un minuto e mezzo sto già pensando ad altro.

Sono abituato a guardare. Magari noto la sfumatura del colore della vostra sciarpa e mentre voi parlate penso a quale Pantone corrisponde. Oppure penso al font della scritta sulla vostra giacca (per me, il font è fondamentale). Se può essere un’attenuante, credo di non ascoltare neppure me stesso. Prometto, però, di provare a imparare, in fretta.

…il riserbo necessario per saper mantenere il silenzio nelle situazioni consuete della vita, non è virtù minore dell’abilità e della cura richieste per parlare bene; e non si acquisisce maggior merito spiegando ciò che si fa piuttosto che tacendo ciò che si ignora. Talvolta il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo... È proprio dell’uomo coraggioso parlare poco e compiere grandi imprese; è proprio dell’uomo di buon senso parlare poco e dire sempre cose ragionevoli. Il silenzio è necessario in molte occasioni; la sincerità lo è sempre: si può qualche volta tacere un pensiero, mai lo si deve camuffare. Vi è un modo di restare in silenzio senza chiudere il proprio cuore, di essere discreti senza apparire tristi e taciturni, di non rivelare certe verità senza mascherarle con la menzogna. “L’ARTE DI TACERE” ABATE AINOUART Susanna Stefano e Veronica Capellupo


Sto cercando di dirti che la mia vita è molto cambiata da quando esisti tu... Hai sentito? E così che nonostante la distanza il tuo profumo mi accompagna sempre.

Grazie a Giulia, che tutte le sere mi rapisce per raccontarmi la sua giornata e io mi siedo, mi abbandono, dimentico la frenesia dei minuti appena trascorsi e ascolto la mia principessa e le sue avventure. Simona Dinetta

Cyndra Velasquez

I suoni e i rumori di Emma

I suoni e i rumori di Benedetta

La musica Le campanelle di Natale Le storie inventate I versi degli animali Il vento che fischia Le barzellette Le parole dei miei amici I bambini quando piangono La sveglia Il rumore dei tacchi sulla strada

Io ascolto il battito del cuore, il rumore dell’aria che entra nei polmoni, le persone, il pensiero confuso dei nonni, il bip-bip dei monitor, le domande preoccupate dei familiari, i crepitii polmonari che sembrano passi sulla neve, il soffio sul petto che sbuffa per la stanchezza il ritmo del respiro, i rumori della pancia, il cicalino della guardia, voci ogni giorno diverse.

Emma Cometto

Sento…provo a condividere. Non sempre ci riesco. Benedetta Nocita

Ascoltare i nostri cuori battere all’unisono, tamburellare insieme. Per convincerci che il mondo non è poi così malvagio. Questa è la sensazione più bella da sentire, forse il rumore più intenso. Valentina Piletti


Orecchio matrimoniale

Sì, dico a lei! Sto cercando di attirare la sua attenzione da quando ha girato in questa pagina!!! No…no, per favore, non volti pagina, non ancora!!! Aspetti un attimo e sia paziente, ascolti il mio contributo... È perfettamente inutile che si volti per capire se dietro di lei c’è qualcuno che conosco… IO STO PARLANDO CON LEI, lei che mi legge. No, non sto vendendo una batteria di pentole per la doratura del sushi giapponese. E nemmeno l’enciclopedia treccani aggiornata per suo figlio che proprio oggi ha iniziato l’asilo nido. No, dico, le sembro vestita con completo anni 70 e mi vede forse piegata sotto a una pila di “Lotta Operaia” da vendere entro sera alle casalinghe del condominio?!?!?!? No... non sono qui per vendere... e No... non sono una testimone di GeNova... e non voglio mostrarle i miei santini: accantoniamo pure, per ora, il tema della salvezza e accontentiamoci di ascoltare il mio contributo per il Xmas project, che dice??? MA, dico, mi ascolta?! No!!! Questo non è un nuovo servizio di teleoperatori che fanno promozione sul libro solidale e il Xmas project non è un pregiato vitigno che cresce sui pendii milanesi vicino al Duomo e il cui vino accompagna le prelibatezze natalizie meneghine. UFFI…certo che lei è veramente coriaceo!!! nonono non voglio nemmeno rifilarle le rose confezionate nel domopac che poi quando le scarta sfioriscono e resta solo lo stelo! Le sembra che stiamo fuori dal ristorante indiano? Noooooooo non sto cercando dov’è piazzale Loreto, tanto lo so che nel caso mi liquiderebbe con un “dritto e poi a destra…” e mi ritroverei a Rozzano! Volevo solo ricordarle che forse il regalo migliore per gli amici, per la famiglia e anche per la gente che si rivolge a noi per caso, sono dieci minuti di ascolto. Abbiamo smesso di ascoltare le domande, convinti di conoscere già le risposte. Martina Nencini

Dario Bertolesi

Io voglio sempre sentire: la voce della mamma, il tuuuuu delle barche quando passano e vanno nel porto di Milano Marittima e il rumore della sabbia quando gioco a calcio. E anche la voce del babbo, certo. Ettore D’Adda

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Scusi…mi scusi…

Da quando è arrivata nostra figlia Margherita non dormo più. O meglio, non dormo più come prima. Non che lei faccia chissà quale confusione nella sua cameretta o suoni come la banda di jazzisti scatenati degli Aristogatti, ma è come se io adesso avessi un orecchio grande, molto grande. Non grande come quello di Berlusconi, o come quello di Dumbo per intenderci, ma un orecchio grande almeno quanto il letto della nostra camera. Provate a immaginarmi: sdraiato sul lato destro del corpo, mezzo rannicchiato in posizione fetale con il piumone che mi copre fino alle spalle e poi la testa appoggiata sul cuscino. Dalle lenzuola spunta un orecchio, il sinistro, simpaticamente enorme, una sorta di orecchio matrimoniale che mi serve per sentire Margherita nell’altra stanza. La ascolto nel buio della notte, sento le macchine che sfrecciano sulla circonvallazione che a quell’ora è regolata dai semafori lampeggianti, ascolto il suo ridere all’improvviso per un sogno o un ricordo, la sento girarsi nel letto alla ricerca della posizione migliore per dormire, ascolto il suo respiro che a volte è un po’ affannato per via di qualche raffreddore, la sento piangere e svegliarsi di soprassalto. Sento tutto e se solo accenna a sollevare la testa per chiedere un po’ d’acqua in un baleno percorro il corridoio al buio sfiorando porte, stipiti, muri e portando con me il bicchiere di Hello Kitty o la sua borraccia magica che sa di plastica. Arrivato in camera sua faccio dietrofront e torno come un automa a letto, rassegnato. C’è già lì Sara, che con il suo istinto di mamma ha captato con un nanosecondo di anticipo qualsiasi suono, come sempre fin dal primo giorno. Sara torna a letto con Margherita tra le braccia e il mio orecchio matrimoniale ritorna ad ascoltare il loro battito del cuore in attesa che una sveglia rompa l’incantesimo.


Cara nonna Francesca, fin da piccola sei stata una figura importante per me. Mi è facile vedere tuttora in te, quella donna dal forte temperamento che il passare degli anni sembra non aver scalfito. Sempre più spesso però ti sento costretta ad arrenderti ai dolori dell’età e ai momenti di malinconia. Esiste un solo “spazio” in cui sembra non esserci lamento, dolore, vuoti di memoria... quello del ricordo. Così ti chiedo di quei ricordi passati... pagine e pagine – intreccio di vita – di storia e di emozioni impresse come scatti fotografici nella tua memoria, che diviene nel racconto, infallibile! Lì ritrovi il tuo equilibrio e io nell’ascoltarti assaporo le tue parole e il tuo momento di quiete. Ti voglio bene, Marina Mauro Ferrero

Tre disegni di bimbi realizzati nello studio Tecnologia per l’Ascolto di Luca Del Bo


Patrizia Sevieri

Adriano Tomasetta

Rumore di campanacci, ci sono quasi più bambini che capre... È il giorno della fiera e noi per un giorno facciamo i pastori. Campanacci, belati, risate di bimbi, voci che si rincorrono, suoni e rumori che mi riempiono il cuore. Paolo, Monica, Chiara, Gaia Pagani

Non soffocare mai quella voce che dentro di te ti dice: non smettere mai di essere curiosa, continua a riempirti gli occhi di immagini bellissime e le orecchie di suoni sconosciuti perché la vita è bella e scoprire cose nuove insieme a te è meraviglioso! Con amore, Serena Todesco

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Davide Vagni


Parlare, parlare e ancora parlare! Siamo la società del fare, dell’agire, della rapidità. Nuovi media, come il computer e le sue feroci propaggini, ci asciugano il cuore, il linguaggio e inibiscono le naturali capacità comunicative riducendo le relazioni ad un “Ke, nn” e altre sigle spiaccicate sulle bacheche digitali dei social network. Rischiamo di rendere sordo anche chi sordo non è, bersagliandolo di informazioni inutili, sciocche, falsamente intime che si sovrappongono alla moltitudine di quelle degli altri amici digitali, così convinti che a qualcuno possa interessare se ci siamo

svegliati alle 8 o andremo a cena con tizio anziché con caio. No! Non mi piace questo finto parlare e questo vero non ascoltare; preferisco uno sguardo, un sorriso, una carezza e, se la memoria acustica mi deve evocare emozioni, mi piace ricordare l’assordante silenzio di un deserto, il fragore scombinato della piazza di Jeema el Fna di Marrakech o il sovrapposto cantare dei Muezzin in una città araba. Per questi e tutti i suoni della nostra vera vita, mi auguro che la clinica mobile possa ridare l’udito a chi ne saprà fare sicuramente un buon uso. Andrea Tomasoni

Uhm... a proposito di sordità. Io ho avuto a che fare per circa dieci anni con una persona non udente: mio nonno. Pur non sentendo ciò che io dicevo riuscivamo a capirci bene; bastava uno sguardo, un abbraccio. Il linguaggio delle mani, quello che per molti è un gioco, permetteva a noi di comunicare. Con lui mi potevo consolare, era strano ma mi sentivo ascoltata, capita. Con mio nonno stavo bene e sapevo che lui per me c’era; e anche se adesso non c’è più io lo sento ancora vicino e ho un bellissimo ricordo di lui. Lara Cimmino


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Valentina Raguso

A volte non c’è miglior regalo che si possa fare che quello di stare, veramente, ad ascoltare. E non sono solo le parole, a parlare, a volte basta uno sguardo, un contatto, per comunicare. E l’empatia che si crea tra le persone: a volte è un suono, una melodia, una bella canzone. Renato Plati

Ci sono persone che sentono bene ma non capiscono – o meglio non vogliono capire – perché dovrebbero pensare... ed è storia dei nostri giorni. Ci sono persone che purtroppo non sentono ma pensano e capiscono. Sono loro che dobbiamo aiutare perché possano esprimere i loro pensieri e i loro sentimenti. Piero Fiorini


GRAZIE ALL’ORECCHIO E ALL’UDITO, L’INTERIORITÀ DELL’UOMO VIENE SCOSSA. ILDEGARDA DI BINGEN, PROTETTRICE DEGLI ESPERANTISTI

L’esperanto è una lingua artificiale o pianificata. Scopo di questa lingua è quello di far dialogare i diversi popoli cercando di creare fra di essi comprensione e pace con una seconda lingua semplice ma espressiva, appartenente all’umanità e non ad un popolo.

En Space

EN SPACE

supporta e diffonde il Xmas Project 2010


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IL SILENZIO DEL RUMORE IL RUMORE DEL SILENZIO

Armando Alessandro Marco Lucia Giovanni Roberto

PENTAPHOTO SRL

supporta e diffonde il Xmas Project 2010


Verbo In principio era il Verbo …e l’Universo ascoltò nessuna parola solo Vibrazione primordiale che giunse fin nelle viscere dell’ OgniDove negli infinitesimi pertugi dell’OgniQuando poi fu la materia, così anche il suono si manifestò l’energia primigenia si sprigionò la Vibrazione e il suono cominciarono il viaggio demiurghi infaticabili modificarono ogni cosa incontrarono plasmarono tutto ciò che toccarono permearono quel che animarono poi furono rumori, natura scontrava natura sovrapposizioni di materia magmatica cellule accoppiarono cellule sempre l’incontro del suono col suono generava altro suono, sempre Vibrando solo Vibrando la Vita dava altra Vita, solo Vivendo la Vita Vibrava poi furono voci, che corsero il tempo e lo spazio voci di umani voci che umani usarono quando altri umani incontrarono parole che modificarono ciò che toccarono che animarono ogni cosa plasmarono che migliorarono quel che... uomini e donne creavano utili conversazioni efficace comunicazione parla con me ce l’ho sul pelo della lingua se non lo dici non lo saprò mai i bei modi di dire accordi verbali spiegazioni a voce l’esame orale pensieri e parole distante sempre di più quel Verbo degli albori dalla parola poltrona che tutto condiziona lingua che acceca orecchio che assorda in questa fisicità prigione sensi che tradiscono fin quando ostruiscono della Vibrazione unica e vera comunicazione il libero fluire Adda

Ci sentiamo di dire... che abbiamo sentito la vita irrompere nella nostra famiglia, con Chiara, con Alberto, poi con Elena e ora con Federico. Adesso l’impegno che sentiamo più che mai nostro, è di sostenerli nello scoprire e nel sentire appieno l’incredibile opportunità che è la vita. Michela e Dario Regazzoni


Come le attività di qualche vecchio artigiano... ...penso ad esempio agli arrotini che durante la mia infanzia romana ricordo di tanto in tanto passare per le strade con il loro carretto pubblicizzando a gran voce i loro servizi di affilatura coltelli, oppure ad alcune vecchie botteghe, oggi quasi scomparse, nelle quali si trovava, con un po’ di tempo e pazienza, veramente di tutto, così anche l’arte di ascoltare oggi è in disuso, in via di estinzione. Sarà per colpa della frenesia che ormai avvolge le nostre vite, sarà per il tempo che è sempre meno, ma oggi è diventato difficile comunicare pensieri poco più che brevi con le nostre parole, non perché si sia improvvisamente diventati incapaci di parlare, ma perché è sempre più difficile trovare qualcuno disposto ad ascoltare, a “perdere” un po’ di quel tempo così prezioso e limitato. O forse in alcuni casi abbiamo paura di ascoltare perché l’ascolto porta a pensare, ad approfondire gli argomenti e a ragionare sul senso e sulle motivazioni delle nostre azioni... esercizio antico in un’epoca che esalta il “fare” come massima virtù. Ecco perché è sempre piacevole l’occasione del Xmas Project per poter mettere in fila qualche pensiero in forma scritta, non solo per il piacere di scrivere, ma anche per il piacere di essere ascoltato, seppur indirettamente, attraverso la carta, sapendo che qualcuno impiegherà un po’ del suo tempo a leggere i “contributi” del 2010. Michele Panichi

Paperina Cetriolina e sua sorella Crackerina

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si sveglian la mattina con la loro gran vocina “vieni mamma! basta nanna! ciao papà! chi va là?” Sono bimbe un po’ pimpanti con due vocci assai squillanti. E in questo libro di natale un augurio voglion fare: ai cugini adorati, babi, clara e mati, di esser lì felici tanto quanto siamo amici! A voi che ora siete in francia un grosso urlo dalla pancia: la lontananza poi non conta, visto il bene a quanto ammonta! StEliVeroChi

Una sera a cena Altroché se ti sento, e più c’è silenzio più ti sento, e cerco anche di guardarti ma forse sarebbe poi troppo. Avrei solo voglia di averti a tavola con noi, anche solo per una sera, vorrei presentarti e vedere la loro reazione... sono certo che sarebbe un successo. Nessuno più di te mi ha insegnato a sentire con il cuore, ad allontanare il rumore superfluo, il dolore. A proseguire sulla mia strada, testardo. Che insegnamento, mio angelo custode! Matteo Fiorini


Ascoltare, comunicare, parlare, ridere, scherzare. Tutto semplice per noi. Normalità quotidiana. Non sempre e non per tutti. Penso a ieri sera: Io. Un asiatico. Io parlo italiano. Lui credo cinese e qualche simpatica sillaba di italiano (la modifica che ci fa ridere trasformando la “R” in “L”). Cerca il treno diretto per Como che a quell’ora oramai non c’è più.

Voce del verbo ascoltare, Voce del verbo ascoltare. Voce... come quella che non hai mai potuto udire tu, Nadia. Voce... come quella che esce dalla tua piccola bocca, che emette suoni ma non parole. La prima volta che ti ho incontrata avevi 4 anni. Faceva molto freddo, indossavi una giacca grigia e un berretto di lana blu. Avevi molta tosse, tua madre continuava premurosamente ad asciugarti il naso e a pulirti la bocca. A prima vista mi sei sembrata goffa, impacciata. Brutta.

Biglietteria chiusa. Nessun controllore per chiedere info. Si avvicina a me dicendo: “Como Nold pel favole”. Provo a dargli indicazioni, peccato che non capisca nulla tranne TLENO, SALONNO, GLAZIE MILLE. Dopo mimi e gesti, più o meno sono riuscito a indicargli il percorso. Beh in queste condizioni (quasi come se mancasse il senso dell’udito) è difficile comunicare. Solo il suo “GLAZIE” e il suo sorriso finale non hanno avuto bisogno di parole.

voce del verbo sentire, voce del Tu invece sembravi quasi attratta da me, e mi venivi continuamente incontro. Mi guardavi con i tuoi grandi occhi marroni, così belli, così espressivi, così incredibilmente comunicativi. Mi coinvolgevi nei tuoi giochi, finché mi hai presa per mano e mi hai condotta vicino alla televisione. Continuavi a indicare qualcosa, mi stavi chiedendo qualcosa. Ma io non ero in grado di sentirti. E tra me pensavo: “Come posso capirla, questa bambina?”.È stata la relazione tra noi a supplire alle mie mancanze. Stare insieme ogni giorno.

In quel caso uno sguardo è bastato per comunicare. Ma l’udito non è solo questo. Senza di esso salta la musica, saltano i rumori della natura; salta parte di ciò che mi fa emozionare. Sarebbe difficile vivere senza questo. Speriamo che dopo questa fantastica iniziativa tanti bambini in più possano emozionarsi ascoltando, comunicando, parlando, ridendo, scherzando. Mauro Strumendo

verbo amare Condividere i momenti di vita quotidiana come la scuola, le visite di logopedia e psicomotricità, ma soprattutto i pomeriggi passati a casa tua. I giochi, le risate, le sgridate e le coccole che così spesso desideravi. Solo lì ho realmente capito che dietro il tuo apparente silenzio si racchiude un mondo, che non sei solo una bimba che necessita attenzioni particolari a causa della tua cosiddetta disabiltà. Sei una piccola persona, Nadia, in grado di dare tantissimo, capace di sentire chi ti è vicino e di comunicare cosa abita il tuo cuore. Sei disabile sensoriale, sei sorda...queste sono le categorie, gli appellativi con cui vieni “definita”. Certo, tu


La nostra sordità Talvolta siamo sordi perché il troppo rumore ci assorda. Stufi di sentire ciò che non vogliamo sentire, la nostra difesa è far finta di essere sordi. Troppe le urla, troppe le brutture del mondo. Un popolo sordo è un popolo che non si indigna più, che non reagisce più. Rimettiamoci ad ascoltare le voci di chi non ha più voce per raccontare e apriamo il cuore a chi vuole sentire davvero i rumori del mondo.

non puoi udire, non sarai mai in grado di ascoltare nulla: una melodia, una canto, una voce... eppure – io lo so – di certo Nadia tu puoi sentire. Sei capace di creare un contatto con chi ti è accanto. Sei capace di condividere un linguaggio che non coinvolge solo bocca e orecchie, ma che abbraccia tutto il corpo, tutti i sensi, che chiede di giocarsi completamente. Che chiede al cuore di schiudersi e di accoglierti. Forse è proprio per questo che noi, cara Nadia, ci possiamo sentire. Voce del verbo sentire. Voce... come quella che dal tuo cuore esce e si fa conoscere attraverso i tuoi gesti, i tuoi occhi, le tue espressioni. Voce... come quella che da me proviene e che tu sei in grado di accogliere. In più di un’occasione mi hai ricordato mio nonno materno. Anche lui era sordo, non dalla nascita, ma a seguito di un’ infezione contratta in età adulta. Come te, non ha mai udito la mia voce. Eppure mi sentiva. Sentiva il mio bisogno di giocare quando, da piccola, mi avvicinavo a lui e, gettandogli le braccia al collo, desideravo che mi prendesse in braccio e mi facesse salire sulle sue spalle. Sentiva il mio bisogno di sicurezza quando, in piena adolescenza, i miei genitori si sono separati. “Tu sei e sarai sempre un ponte tra loro” mi ha detto l’ultima volta che abbiamo pranzato insieme, prima che una malattia lo portasse improvvisamente e inspiegabilmente via da me. Aveva un’ incrollabile fede in Dio e voce affettuosa, espressione di un amore profondo e genuino.

Voce del verbo amare. Non sai quante volte, Nadia mia, mi sono domandata il significato di questo verbo, se l’amore sia solo un sentimento o più che altro una scelta, una volontà. Provo a scoprirlo volgendo lo sguardo alle persone che mi sono più vicine in questo momento. E mi accorgo che sono persone belle come te, Nadia. E ti somigliano... perché come te sanno sentire con il cuore. In un momento estremamente difficile nel quale ho temuto di ammalarmi seriamente, le mie amiche catechiste hanno avuto per me delle premure materne. Sono state preziose con i loro consigli, le loro parole affettuose, il loro comprendere ciò che stavo passando. Il loro sentire la tristezza del mio cuore. Potrei anche descriverti un’altra donna, una vera e propria madrina, che leggendo una pagina da me scritta si è commossa, ne ha compreso il significato e senza aggiungere altre parole ha accolto il mio pianto tenendomi stretta la mano. Fin dai primi momenti in cui ci siamo parlate ha colto alla perfezione la povertà e la ricchezza del mio cuore. È una donna preziosa, con una sensibilità veramente rara da trovare. Una figura fraterna. Nella mia vita, Nadia, c’è anche una meravigliosa figura fraterna. Che mi comunica il suo affetto in un’infinità di modi. Per me è rassicurante poter contare sul suo conforto, lasciarmi conoscere e potergli raccontare le mie paure e i miei sogni...e allo stesso tempo poterlo capire, sentire, il più delle volte senza aver bisogno di parlare.

Quando ho bisogno, lui c’è, e non perde occasione per ricordarmelo. E il mio splendido compagno di viaggio...che sempre sostiene le mie scelte, mi corregge e mi rincuora. Ci siamo incontrati in un momento di difficoltà per entrambi, lo abbiamo affrontato insieme tenendoci per mano e ci siamo donati vicendevole speranza. E continuiamo a farlo...ma non come il primo giorno. Siamo cresciuti insieme, e insieme guardiamo al nostro futuro. Ci siamo riconosciuti e ci siamo scelti. Lui lo conosci, Nadia, e sono certa che te lo ricordi. Ti piaceva quando ti prendeva in braccio (ti sentivi così alta!), ti divertivi a fargli i dispetti le poche volte che abbiamo pranzato tutti e tre insieme. Andavate d’accordo, e ai miei occhi eravate tenerissimi quando stavate insieme. Ma tu, Nadia, pensi che io sia capace di sentire e di amare come te e le persone di cui ti ho scritto? Certo, grazie a voi ho compreso l’importanza del linguaggio. Non verbale. Ma interiore e peculiare ad ogni relazione. Sì, Nadia, sono sempre più convinta che ogni rapporto parli una lingua diversa. Una lingua che si costruisce camminando insieme, condividendo con semplicità i momenti della vita. Un linguaggio che comunica l’unicità di ogni persona, la profondità del suo cuore. E racchiude la storia di ciascuno. Una storia da raccontare. Da ascoltare, da sentire, da amare. Stefania Colli

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Marina Bozza


Sacrificio I miei migliori clienti sono stranieri. A Leh i bambini tibetani erano immobili e silenziosi come statue, nonostante la loro “paura del dottore”. Una sola lacrima sfuggì dagli occhi di un bambino mentre il mio collega prendeva le impronte auricolari, ma nonostante ciò non pianse. Accettare il sacrificio è tipico in certe culture. Questo spirito in Europa è ormai perso o nella migliore delle ipotesi, sta morendo. Gocce di rugiada nel corso degli anni su un pietrificato Buddha Come tecnico audioprotesista negli ultimi anni ho dedicato le mie energie all’audiologia industriale e alla protezione acustica nell’ambiente di lavoro. La maggior parte dei miei clienti finali sono operai. Ho lavorato con persone provenienti da tutto il mondo senza problemi. Quando chiedo a un lavoratore straniero come si trova con i suoi nuovi otoprotettori, lui mi sorride e dice: “Okay”. Non so perché, ma dicono sempre “okay”.

Prendo le impronte ad Ibhraim, che viene dal Sudan. Pochi minuti dopo, il boss di quell’azienda mi riferisce privatamente: “... non per il negro, ho intenzione di licenziarlo alla fine del mese”. Ibhraim non lo sa. Parlando con i suoi colleghi, scopro che è solo una questione di razzismo. Il giorno della consegna, Ibhraim è stupito quando non ho niente per lui. Non riesco a trattenermi e decido di confessare ogni cosa, compreso il suo prossimo licenziamento. Lui trattiene a stento le lacrime. A quel punto non posso fare a meno di fargli una proposta: gli darò la protezione acustica in ogni caso chiedendogli solo le spese del laboratorio. Ibhraim mi sorride e dice: “okay” fabbrica rumorosa – anche attraverso gli otoprotettori il suono di risa. Andrea Cecon

Mi ricordo il rumore del mare... sulla spiaggia d’inverno, quando ero piccola, e le voci delle mie sorelle e di mio fratello. Il fruscio del vento fra i pini marittimi, lo scricchiolare della sabbia. Ogni volta che torno al mare ritrovo il mondo magico e dilatato della mia infanzia, rievocato dai suoni. E mi ricordo Paola, Ljuba e Ezio che mi hanno insegnato a cercare la voce nei libri e ad ascoltare le voci del mondo. Elena Casadei


di ogni altra cosa, è lui che mi parla di te, sento la tua voce come una soave melodia, sfiorare la mia mente e la mia anima. Nel silenzio trovo le parole che non riesco a pronunciare o che non vorrei dire. Grazie ai miei amici che mi sanno ascoltare e non lasciano che i silenzi prendano il sopravvento. Bruno Quaini

Ogni espressione dei sensi ci porta ogni volta in vita. Sento un odore, e ricordo un pomeriggio indimenticabile, io e te, in un prato. Provo un sapore e mi torna alla mente la convivialità di una cena tra amici. Guardo una foto e riconosco il lungo viaggio nelle culture degli altri. Sfioro una superficie e rivivo il tepore delle carezze dell’amore. Sento una voce, e riconosco tutto il suo mondo. E così capisco. I sensi sono storia. I sensi sono ricordi. I sensi sono desideri. Ho immaginato per un attimo di vivere al buio, ho spento la luce, mi sono mosso nell’ambiente che conosco alla perfezione, ma ho perso tutti i miei riferimenti. Ero un bambino da prendere per mano, spaesato e insicuro. Ho immaginato per un attimo di vivere nel silenzio. Ho visto una massa di persone muoversi, seguire traiettorie senza capirne il perché. Le ho viste muovere le labbra, scambiare significati per me invisibili. Sono rimasto ovattato per qualche minuto. Sono stato nel mondo guardandolo da fuori. E così capisco. I sensi sono fondamenta. I sensi sono relazioni. I sensi sono significati. Non c’è differenza più grande tra vedere e non vedere, tra sentire e non sentire. Tra annusare e non annusare. Tra toccare e non toccare. Tra gustare e non gustare. Nessuno mai vorrebbe perdere anche solo un poco di uno dei nostri vitali sensi. Ma a volte succede. Si invecchia e si lascia un po’ di senso indietro. Oppure un incidente, e perdiamo un po’ di vita. E quando si spengono tutti i sensi, c’è la morte. E così capisco. I sensi sono la vita.Il valore dei sensi lo scopriamo quando ce ne priviamo. E sapere che da qualche parte del mondo qualcuno dimezza la sua vita per un’otite non curata, per un farmaco non disponibile, per un ospedale che non c’è, mi porta a urlare. E se ne fossi capace, vorrei parlare a tutti i popoli fortunati, che vivono nella pace dei sensi, soddisfatti del proprio lauto pranzo quotidiano, che un altro mondo possibile c’è. E così capisco. I sensi sono il futuro. Un futuro incerto e condizionato. Da quanto ognuno di noi saprà ascoltare il grido silenzioso di chi non ha la voce. E da loro, che perdono la vista, l’udito, una gamba, una famiglia, vorrei imparare qualcosa. Ho deciso di provare a scambiare qualcosa con loro. Io voglio dargli la mia voce. La voce per raccontare com’è difficile vivere in Ladakh, ma anche in Afghanistan, in Sierra Leone, in Burundi, in India, in Cambogia, in Palestina, in Romania. E a volte, per altri motivi, anche in Italia. Io voglio dargli la mia voce, e da loro vorrei il silenzio. Vorrei spegnere le voci, ogni giorno, per un po’. E riscoprire il valore del silenzio, un valore immenso per chi può scegliere se ascoltare o no. Nel silenzio riscopro la riflessione, le parole inutili, le sfumature, imparo a distinguere la vergogna umana di chi non ha vergogna, di chi sputa in faccia alla fortuna in questo piccolo piccolo piccolo piccolo piccolo mondo malato. Mi sembra un bello scambio, un po’ di voce per un po’ di silenzio. Roberto Bernocchi

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È il silenzio che fa più rumore


Now we are. We grew up with different eyes, a different language in a different context. We grew up without being able to communicate with someone different than us. We have started to open our ears to the unknown. We understood the difference, we listened to this difference and now we grow with this difference. Now we are. Yang Yang & Raimondo

Dalla finestra ininterrottamente lo sguardo assorto dell’uomo solo imprigionava crepuscoli d’ombre aspettando la sera Tiziana De Vecchi

La musica classica... mi ispira e mi rilassa quando sono arrabbiato. Mi dispiace per i bambini (purtroppo) sordi. Di sicuro piacerebbe anche a loro. Tommaso Volpi


– mentre mi stanno parlando comincio mentalmente a formulare obiezioni? – guardo negli occhi il mio interlocutore? – mi capita di partire con l’immaginazione mentre l’altro mi sta parlando? – mi capita di fingere di ascoltare illudendo il mio interlocutore? – precedo mentalmente la persona che sta parlando smettendo quindi ad un tratto di ascoltare? – ignoro le persone che mi dicono cose sulle quali non sono d’accordo o che non voglio sentire? – quando ascolto riesco a non giudicare, non criticare o non consigliare? – riesco a concentrarmi nel riconoscere i rumori senza lasciarmi distrarre? – osservo i gesti, le espressioni del viso, la posizione del mio interlocutore insieme al contenuto del suo messaggio? Il risultato è sufficiente a rendere sopportabili le domande senza risposta e giustificare i miei silenzi. Paola Mirra

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Valuto la mia capacità all’ascolto con una serie di domande: Ricordi. Ricordo il suono del motore del “SÌ”, oggi odio il frastuono di questa città. Ricordo il rimbombo della Maratona, oggi odio gli insulti della tribuna. Ricordo la disco music, oggi odio il Pulp sotto casa. Ricordo la intro di tribuna elettorale, oggi odio la sigla di Porta a Porta (e non solo quella). Ricordo il pa-parappapa-parappaaaa-parappapa di Tutto il calcio minuto per minuto, oggi odio Belen e il Campionato Tim. Ricordo il suono squillante della voce di nonno Bortolo, oggi odio che non mi senta bene. Ricordo “Maurizio, a tavola”, oggi odio doverlo ripetere a Ettore. Ricordo “drin-drin-drin… chi va?”, oggi odio quando squilla in continuazione. Ricordo con piacere i suoni che mi portano al passato, mentre odio quelli che mi ricordano che gli anni passano. Nostalgia canaglia... Maurizio D’Adda


Troppo parlare, parlare di niente. Il mondo dell’arroganza continua ad affermare la sua intelligenza invece di tacere e ascoltare il silenzio dell’ignoranza che lo divora: il vuoto di una solitudine che lo induce a parlare di niente, parlare troppo. Marika Cenerini

Sarà la musica che gira intorno quella che non ha futuro. Sarà la musica che gira intorno, saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro. (IVANO FOSSATI) Elena Fratti


Il Silenzio

Oltre il Silenzio Sono rimaste nell’aria parole non dette legate da un filo sottile ai pensieri attorcigliati. Sono cadute inascoltate nel silenzio di fogli bianchi. Vorrei dormire un sonno lunghissimo, di giorno e di notte, senza sogni. Rosanna Travaglino

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Oggi, la tua voce è entrata nei miei pensieri, l’ho accolta, come dono, nello scrigno delle mie incertezze, ho annullato suoni e parole. In disparte, piccole viole colorate chinano il capo, pensose, ed una foglia gialla ricamava arabeschi d’aria. Guardando altrove, ho contemplato il silenzio.

È immediato sentire le campane che suonano a festa il giorno del tuo matrimonio o i rintocchi dell’agonia che scandiscono il dolore per la perdita di un tuo caro. Più faticoso, invece, è sentire il bisogno dell’altro o riuscire ad attirarne l’attenzione per essere ascoltato. Eppure, saper accogliere un messaggio con umiltà, attraverso un semplice gesto o la giusta parola, ci fa crescere e smantellare la percezione distorta che il mondo ha di noi e noi del mondo. Marco Zanotti



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scadenze.

I progetti

con delle

sono sogni


Dieci anni in una collana di solidarietĂ .


Abbiamo iniziato la nostra strada nel 2001 con il primo Librosolidale... Non sapevamo come sarebbe andata e se saremmo stati capaci di continuare, Natale dopo Natale. Ci stiamo ancora provando, ci sono dei momenti in cui ci chiediamo se ce la faremo a proseguire, ma nel frattempo abbiamo pubblicato dieci “Librisolidali”, sostenendo con il vostro contributo altrettanti progetti. Ecco una breve sintesi delle iniziative che abbiamo realizzato in questi anni. Questa è la nostra storia fino ad oggi. Noi ne siamo orgogliosi, ma sappiamo che senza di Voi non sarebbe stata possibile. Grazie di cuore. E Buon Natale.

Il nostro primo progetto ci ha visti nel 2001 in Romania. Abbiamo raccolto i fondi per la ristrutturazione dei reparti di malattie infettive e pediatria dell’Ospedale di Slatina e abbiamo contribuito all’avviamento del progetto “Assistenti materne”.

Nel 2002, siamo sbarcati in un altro continente, siamo andati in Niger, con l’Associazione Les Cultures, per costruire una scuola, nel villaggio di Assada, nel cuore del massiccio montuoso dell’Air. Localmente il progetto è stato seguito dall’Associazione AFAA di Agadez.

Dopo l’Europa e l’Africa, siamo an dati in Sud America. Nel Natale 2003 eravamo in Colombia, insieme alla Fundación Niños de Los Andes, per sostenere un progetto di recupero e reinserimento di bambini e ragazzi di strada a Bogotà. Grazie ai fondi raccolti è stato possibile contribuire all’acquisto di una casa, la Casa Hogar “Albachiara”.

Per il Natale del 2004, il Xmas Project si è spostato in Nepal, grazie all’impegno dell’Associazione G.R.T. Gruppo per le Relazioni Transculturali. In quell’occasione abbiamo sostenuto un progetto socio-sanitario nella regione di Rupandehi, destinato ai bambini e alle donne Dalit: i cosiddetti “Intoccabili”. Localmente il progetto era seguito dall’Associazione FEDO (Feminist Dalit Organization).


Nel Natale del 2006 siamo andati in Etiopia, per sostenere l’Associazione OMO Onlus nella realizzazione di un progetto rivolto alle co munità Maale di Gongode e agli Hamer di Dimeka. Il progetto ha avuto come obiettivo la costruzione di 10 bacini artificiali per la raccolta di acqua piovana. Partner locale è stata la Chiesa Cattolica del Gamo Gofa.

Grazie all’Associazione Sguazzi, per il Natale del 2007, siamo stati in Costa D’Avorio, a Man, dove è stata promossa la realizzazione di una biblioteca medico-scientifica dotata di apparecchiature telematiche e connessione internet. I fondi raccolti sono serviti ad acquistare un’antenna parabolica, il materiale per la sala videoconferenze e gli stipendi annuali del personale scientifico locale.

Nel Natale 2008 eravamo dappertutto… abbiamo promosso l’iniziativa ILO169 e abbiamo sostenuto Survival Italia nelle sue campagne di informazione, pressione e educazione in difesa dei diritti dei popoli indigeni. Con il Librosolidale 2008, inoltre, il Xmas Project ha voluto rendere omaggio ai primi 40 anni di lavoro di questo straordinario movimento.

Lo scorso anno, infine, il dramma dei viaggi della speranza nel Mediterraneo e la conseguente politica dei respingimenti adottata dall’Italia ci hanno spinto a Malta: nel 2009 abbiamo dedicato il nostro libro alle persone rinchiuse per mesi nei centri di accoglienza di Hal Far, sospese tra la Paura e la Speranza, raccogliendo fondi per una radio, in collaborazione con Peace Lab. Per informarle e per intrattenerle. Per farle sentire meno sole.

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Nel 2005 abbiamo scelto un Natale italiano. A Milano, grazie all’iniziativa dell’asilo nido Giramondo abbiamo sostenuto la Cooperativa sociale Città Nuova nella realizzazione del “Progetto 100 Euro”. Grazie a questo progetto, dal Settembre 2004 l’Asilo ha previsto l’inserimento di 10 bambini stranieri, figli di “genitori soli” in situazione di grave disagio economico e sociale.


Un gruppo di 27 immigrati somali riportati in Libia sabato notte dopo essere stati soccorsi in mare a sud di Malta si sono lasciati trasbordare su una motovedetta libica credendo che si trattasse di un’imbarcazione italiana diretta in Italia. Lo sostengono almeno due immigrati somali rinchiusi nel centro di detenzione di Safi a Malta. I 27 facevano parte di un gruppo di 55 somali soccorsi mentre erano a bordo di un gommone che imbarcava acqua. La chiamata di sos è stata ricevuta dalla marina maltese che ha inviato sul posto una motovedetta da La Valletta girando la notizia alle autorità libiche che a loro volta hanno fatto arrivare una loro imbarcazione (motovedetta italiana battente bandiera libica). Il soccorso congiunto ha innescato una serie di domande rivolte dai media al governo maltese su quale sia stato il criterio alla base della spartizione dei clandestini fra Tripoli e La Valletta. Dopo 48 ore di silenzio, la marina maltese ha risposto all’ANSA che i 27 sono saliti sulla motovedetta libica “volontariamente”, a differenza di quanto avvenuto in tutti i precedenti rimpatri che avevano scatenato dure proteste da parte degli immigrati. Ora almeno due somali che hanno raggiunto Malta hanno riferito all’ANSA che durante il soccorso, oltre alla motovedetta maltese, ne è arrivata una seconda “battente bandiera libica” ma con un equipaggio che “parlava in italiano”. Per alcuni la notizia che il resto dei loro compagni sono stati rimpatriati in Libia è stato uno shock perché, hanno riferito i due internati parlando di un inganno, “ci avevano detto che li portavano in Italia”. Fonte: Ansa.it luglio 2010

Focus

Xmas Project 2009 MALTA

NON ABBASSIAMO LA GUARDIA!


Alastair Farrugia tel. 00356 7965 5668 Peace Lab Triq Hal-Far Zurrieq, ZRQ 2609 – Malta www.peacelab.org

Carissimi amici de Xmas Project, Da più di 30 anni l’organizzazione John XXIII Peace Lab realizza a Malta una serie di attività, in grossa parte programmi a sussidio dell’educazione, e dal 2002 si occupa anche di dare sostegno e aiuto agli “immigranti irregolari” provenienti dall’Africa. Negli ultimi anni sono giunti sull’isola con i barconi dei viaggi della speranza ben 12.000 “immigranti irregolari” dall’Africa. Alcuni diretti verso il continente europeo, altri hanno ottenuto lo status di rifugiati in diversi Paesi, ma al momento Malta conta circa 8.000 migranti. I migranti, in conformità con le leggi maltesi, trascorrono al loro arrivo i primi 18 mesi in centri di detenzione (principalmente ad Hal Safi e nelle Lyster Barracks ad Hal Far), in seguito vengono trasferiti per altri 18 mesi nei centri di accoglienza aperti, principalmente nelle tendopoli di Hal Far e Marsa oppure in altri centri più piccoli come Balzan, Birkirkara e Fleur de Lys. Peace Lab accoglie circa 50 migranti per lo più uomini in giovane età.

Questo spiega quanto la comunicazione non si crea necessariamente attraverso la vicinanza fisica. Come si può immaginare, a volte alla scarsità di comunicazione tra i migranti presenti nei diversi centri (nonostante Malta sia geograficamente abbastanza piccola) si associa quella con la popolazione maltese. I migranti, inoltre, sono desiderosi di ricevere notizie relative ad altri paesi inclusi d’origine. Proprio da questa esigenza è nata l’idea di realizzare una radio. Per un’organizzazione non governativa come Peace Lab, con personale non impiegato a tempo pieno e dozzine di volontari, non è un’impresa facile realizzare una radio, così come la creazione e l’avviamento di centri per migranti, ma siamo sicuri che il progetto si realizzerà. Il canone annuale per la licenza della radio è di 4.000 EURO, per la radiodiffusione si aggiungono altri 8.000 EURO ma la spesa più onerosa e periodica è il costo del personale tecnico a tempo pieno e dei due lavoratori part-time che si occupano della programmazione radio e della relativa conduzione. È, inoltre, sopraggiunto un problema tecnico che ha causato un significativo ritardo. Malta nel giro di otto mesi passerà alla radiodiffusione digitale e per ora non vale la pena attrezzarci in tal senso, ma prevediamo di acquistare attrezzature digitali che ci permetteranno di iniziare le trasmissioni entro i termini di passaggio. Abbiamo anche effettuato alcune ricerche tecniche relative all’equipaggiamento radio e alle fonti di informazione. Sono stati predisposti 2 locali per la stazione radio e Joseph Bartolo, che si occupa della gestione degli aspetti tecnici, ha preso contatti con la Clyde Broadcast Products Ltd (www.clydebroadcast.com), mentre Bianca Zammit ha stabilito una fruttuosa collaborazione con Maan News (www.maannews.net/en) e con Al Jazeera per le news dal mondo arabo: con entrambe inoltre si è giunti all’accordo di ricevere gratuitamente regolari aggiornamenti sulle notizie. Nei prossimi mesi vi faremo pervenire ulteriori e sostanziali aggiornamenti in merito. Non finiremo mai di ringraziarvi per la vicinanza e il supporto che ci avete dimostrato! Alastair Farrugia Peace Lab, Halfar, Malta

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Il sostegno di Padre Mintoff non è stato solo quello di procurare beni essenziali come acqua e cibo, ma ha anche incoraggiato i migranti nella ricerca di impieghi legali con salari dignitosi, ha organizzato corsi di lingua inglese, ha cercato di infondere valori civili riunendo volontariamente persone provenienti da Paesi, gruppi etnici e religioni diverse. Questo contributo ha permesso di eliminare i gruppi che si creano sulla base della nazionalità, delle etnie e delle religioni, migliorando le competenze civiche individuali al fine di garantire l’integrazione e l’incontro tra persone che, durante i mesi trascorsi nei centri di detenzione, non hanno avuto modo di interagire tra loro.


Xmas Project 2011? In primavera la scelta. Segnalateci i vostri progetti.


Da qualche anno abbiamo inserito, in questa parte finale del Librosolidale, un piccolo grande cambiamento: non trovate infatti nessuna anticipazione sul progetto del prossimo Natale. Abbiamo deciso di rinviare la nostra scelta in primavera, perché desideriamo ampliare le nostre possibilità di intervento: vogliamo infatti dare modo a tutti voi di segnalarci iniziative che ritenete interessanti o di indirizzare verso di noi eventuali associazioni con le quali siete in contatto. Ecco i criteri che ci hanno sempre ispirato nelle nostre scelte e con i quali verranno valutate le future proposte.

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Un progetto “finito”:

scegliamo progetti il più possibile delineati e dettagliati, con obiettivi chiari, anche se piccoli, un budget definito e un tempo di realizzazione certo.

Un progetto “rispettoso”: appoggiamo progetti richiesti e voluti da chi ne beneficerà,

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o da chi opera direttamente sul campo. Pur gradite e necessarie tutte le associazioni “tramite”, ci piace alla fine arrivare ad aiutare un partner locale, che esprima un proprio progetto e il bisogno di finanziarlo.

Un progetto “sostenibile”: diciamo intorno ai 30.000 euro. Questa è la nostra potenzialità, quindi meglio tenerne conto. Ci piace avere un budget preciso e dettagliato del progetto. A preventivo e poi a consuntivo.

Un progetto “diverso”: desideriamo che la nostra piccola collana di libri ci aiuti anche a scoprire la varietà del mondo. Ci piace immaginare dei Librisolidali che ci portino di anno in anno ad avvicinare luoghi e problematiche differenti.

Altre cose che ci piacciono: ci piacciono le piccole associazioni che hanno progetti seri

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e interessanti, ma un po’ meno strade aperte per finanziarli. Ci sembra più utile portare il nostro piccolo contributo là dove non ci sono grandi possibilità di finanziamento. Ci piacciono le associazioni ben organizzate, quelle disponibili e desiderose di contribuire attivamente alla diffusione del Xmas Project.

Segnalateci dunque i vostri progetti, segnalateci alle associazioni che li portano avanti. Ricordatevi che dovrà essere realizzato nel 2012, anno in cui noi potremo finanziarlo. Sarà il protagonista del Librosolidale 2011/12. All’interno della copertina di questo libro, trovate tutti i dati per contattarci. Appuntamento quindi in primavera per la scelta del progetto. Buon Natale a tutti voi!

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Xmas Project ringrazia:

per la stampa del Librosolidale 2010

per la rilegatura del Librosolidale 2010

per la creazione del nuovo sito www.xmasproject.org

Un grazie particolare a: Chiara Merlano e Luca Del Bo dell’Associazione Ascolta e Vivi Onlus. Marco Valerio Esposito e le sue fotografie di uno straordinario Ladakh. Ricky “Panda” Brioschi, per la creazione degli sfondi ai contributi di questo libro. Paolo Giovenzana e la sua équipe per averci creato il nostro nuovo, splendido sito web. Tutti i ragazzi di Delicatissimo – compresa Vittoria! – che ci hanno “riempito” di squisito cous-cous! Le due équipe di Capricorn ed Eurologos Milano per il supporto grafico, il lavoro sui testi e tutte le traduzioni. Paola Scodeggio e Gianluca Sanvito per l’insostituibile “aiuto contabile”. Claudia Taddei per il prezioso lavoro di distribuzione libri. Tutti gli amici e le associazioni dei vecchi progetti che hanno contribuito alla realizzazione di questa Collana di solidarietà. Tutti coloro che credono in questo progetto.

Realizzazione grafica: Jacopo Dalai & Matteo Fiorini Stampato a Milano, Novembre 2010 È consentita la diffusione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione in via telematica a uso personale dei lettori, purché non sia a scopo di lucro.


Per saperne di più Tra gli obiettivi di Ascolta e Vivi Onlus vi è quello di diffondere informazioni e consapevolezza sui temi dell'udito, della sordità e della prevenzione dei disturbi uditivi. Per chi volesse approfondire questi temi, abbiamo alcune pubblicazioni disponibili: per richiederle basta chiamare il numero 02.72001824 oppure il numero verde di Aiuto all'Ascolto 800984438 oppure scrivere a info@aevo.org o aiutoascolto@aevo.org. Le pubblicazioni sono a distribuzione gratuita, anche se una piccola offerta a copertura delle spese di stampa e spedizione è certamente cosa gradita! “Leggi in favore delle persone con problemi di udito e prevenzione del danno da rumore" Prof. Umberto Ambrosetti, medico audiologo Il volume, riedizione completamente rinnovata del libro pubblicato nel 2002, raccoglie e commenta le leggi e le agevolazioni a cui hanno diritto le persone sorde o minori con invalidità o sordomutismo riconosciuti. Un’opera che sarà utile strumento di informazione per gli aventi diritto e per medici e tecnici del settore. Pagine 285. “La sordità infantile: oggi si può risolvere" Dott.ssa Elena Amigoni, logopedista e Prof. Umberto Ambrosetti, medico audiologo Un opuscolo che fornisce, tramite disegni e brevi testi, suggerimenti utili a una valutazione soggettiva della funzionalità uditiva del bambino nella prima infanzia. Tale valutazione si basa sull'osservazione delle reazioni del bambino agli stimoli sonori e sullo sviluppo del linguaggio. Il libro, illustato a colori, è composto di 22 pagine. “Se il mondo sta in silenzio" Beatrice Masini Un breve opuscolo che, tramite disegni e semplici testi, vuole sensibilizzare i bambini sul tema dell'udito, della sordità e della prevenzione dei disturbi uditivi, spiegando allo stesso tempo il funzionamento dell'orecchio e raccontando la storia di Luca, un bambino sordo che riesce a sentire tramite un piccolo apparecchio. Il libro, scritto da Beatrice Masini, autrice di libri per bambini nonchè traduttrice italiana dei libri di Harry Potter, è composto di 22 pagine.


A Olivia, una nuova stella nel cielo. Ascoltiamo il suo brillare.



Ăˆ il regalo che vogliamo farci quest’anno a Natale. E che abbiamo scelto di farci per tutti i prossimi Natali...


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