Librosolidale 2008/9

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Per contattare l’Associazione e partecipare al progetto: Associazione Xmas Project ONLUS Via Luigi Settembrini, 46 20124 Milano Numero Verde: 800 180 406 Fax: 02 68 80 402 info@xmasproject.org www.xmasproject.org

È il regalo che vogliamo farci quest’anno a Natale. E che abbiamo scelto di farci per tutti i prossimi Natali...

Ilo 169, con Survival per i popoli indigeni

L’Associazione Xmas Project è nata nel settembre del Duemilauno. I soci sono Roberto Bernocchi, Dario Bertolesi, Elena Casadei, Francesca Castelnuovo, Francesca Colciaghi, Alberto Cometto, Maurizio D’Adda, Jacopo Dalai, Claudio Elie, Matteo Fiorini, Filippo Marconi, Benedetta Nocita, Sarah Nocita, Sara Panizza, Renato Plati. ll Gruppo Media, azienda di arti grafiche, e Arachno, Web Agency, sono partner del progetto.

Il libro che state tenendo in mano è un libro speciale. È un “Librosolidale”. Non è in vendita, ma se lo desiderate, potete contribuire a crearlo, a diffonderlo e soprattutto a finanziarlo. Il Librosolidale è il frutto dell’impegno di molti. Questi molti sono il Xmas Project. Un’Associazione costituita per dare sostanza e realtà a microprogetti di solidarietà, in giro per il mondo, là dove c’è del bisogno. Chi vuole sostenere il progetto, e quindi aderire al Xmas Project, prenota una certa quantità di Librisolidali e versa un contributo proporzionale alle copie ricevute. Potrà così utilizzare i libri come doni, in occasione del Natale, trasformandoli in ambasciatori del progetto stesso. Non solo: questi doni saranno particolari, perché conteranno qualcosa di “proprio”. Perché chi aderisce al Xmas Project contribuisce in prima persona alla costruzione del Librosolidale, fornendo un proprio contributo: una foto, uno scritto, una poesia, piuttosto che semplicemente la propria firma. Se avete ricevuto questo libro in dono da qualcuno, sfogliatelo: vi troverete un suo segno. L’aspirazione, di Natale in Natale, è quella di costituire una Collana di solidarietà. Contattateci: è questo il regalo che anche voi potete donare e donarvi il prossimo Natale.

Xmas Project 2008

Xmas Project | Librosolidale 2008

L’Associazione Xmas Project

Il Librosolidale

Ilo169

Ilo169, Convenzione concernente Popoli Indigeni e Tribali in Stati indipendenti, Pianeta Terra. È finora l’accordo internazionale più completo riguardante la tutela dei popoli indigeni e tribali. La Convenzione Ilo169, emanata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, organizzazione di settore dell’Onu, è stata adottata il 27.06.1989 ed è entrata in vigore il 05.09.1991. Ad oggi è stata sottoscritta soltanto da 20 dei 173 Stati membri dell’ILO e l’Italia non è tra questi. Il libro di quest’anno vuole essere uno strumento di sostegno e di aiuto a Survival, l’organizzazione internazionale che da quarant’anni si batte per la tutela dei diritti delle popolazioni indigene e tribali. Vi raccontiamo l’attività di Survival, la sua vocazione, le emergenze umanitarie e le battaglie in corso. I fondi raccolti andranno a sostenere questa azione di difesa delle popolazioni indigene. All’interno del libro troverete anche la petizione da inviare al governo italiano per sollecitare la ratifica della Convenzione Ilo169. ________________

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“E se non puoi la vita che desideri cerca almeno questo per quanto sta in te: non sciuparla�

Costantino Kavafis



Xmas Project “

Xmas Project è il regalo che vogliamo farci a Natale. E che abbiamo scelto di farci per tutti i Natali. Ci siamo regalati un’idea, la speranza e il coraggio di farla diventare realtà. Le abbiamo dato un nome, Xmas Project, l’abbiamo fatta diventare Associazione, le abbiamo consegnato un compito da portare a termine; faremo un libro, diverso ogni anno. Tutti coloro che desiderano farsi questo regalo: sono loro il Xmas Project. L’idea nasce dalla necessità di dare una soluzione a un vecchio disagio, a un bisogno che non aveva ancora trovato risposta: il disagio del regalo inutile, della forma che ha perso significato, del piacere di donare divenuto sterile. Tutti noi facciamo regali diversi, in occasione del Natale: regali colmi di affetto, regali innamorati, regali pazientemente cercati, regali che non potevamo non fare, regali riciclati, regali “socialmente corretti”, regali di rappresentanza, regali frettolosi. Mille regali. Tanti soldi. Un vecchio e trito discorso. Che si lega a un’altra, solita, considerazione: l’inimmaginabile divario fra il tanto che noi sprechiamo e il poco che altri non hanno. Xmas Project si sostituisce al regalo di Natale, diventa dono, si fa libro che propone un’idea e che contemporaneamente la realizza. Perché il libro racconta di se stesso, del progetto di aiuto che, con i suoi proventi, riesce a realizzare e raccoglie i volti, le frasi, i disegni, le speranze di tutti coloro che hanno contribuito ad esso. Puoi scegliere anche tu di regalare e regalarti il Xmas Project, è molto facile: basta credere in un progetto di solidarietà; scegliere all’interno della tua cerchia di parenti, amici, conoscenti, clienti i destinatari di questo dono; quindi acquistare le copie del Librosolidale, alla cui realizzazione hai partecipato con un tuo segno, e contribuire così alla realizzazione del progetto, da un lato finanziandolo, dall’altro diffondendolo.

Milano, settembre 2001


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l’onore di celebrare i quarant’anni di Survival divenendone uno degli strumenti di azione. Speriamo che il libro vi piaccia e che la voce risulti chiara e toccante. Siamo sicuri che, grazie a voi, alla vostra sensibilità, alla vostra azione di divulgazione questa voce sarà anche forte e tonante. A favore dei popoli indigeni e a sensibilizzazione di tutti verso il rispetto e la tolleranza nei confronti delle identità “diverse”: permetteteci di dire che in Italia ne abbiamo un certo bisogno. Vi invitiamo quindi a compilare e a spedire a Survival la petizione che trovate a pag. 102 per chiedere al nostro Governo di aderire alla Convenzione ILO 169, l’accordo internazionale ad oggi più completo a tutela dei diritti delle popolazioni indigene e tribali: ecco un’azione facile e utile per alzare i decibel della nostra voce. Come sempre nel libro trovate i vostri contributi, quest’anno sul tema “Io sono”: una riflessione sulle nostre esistenze, fortunatamente non violate ogni giorno da “civilizzanti” invasori. Trovate anche le vostre mani. Le abbiamo raccolte, come fa da anni Survival, come segno di identità, come gesto di attenzione, come volontà di aiuto. Grazie e buona lettura.

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con Survival per i diritti dei popoli indigeni

Natale 2008, Ilo 169

Per l’ottavo anno, Buon Natale! Cosa rende straordinariamente affini Survival, l’organizzazione internazionale che da quarant’anni si batte per la tutela dei diritti dei popoli indigeni e tribali, e il nostro “piccolo” ma speriamo sempre significativo Xmas Project? Essenzialmente due aspetti: la scelta di campo e il principale strumento di azione. La scelta di campo è chiara e determinata. Il Xmas Project ha cercato in questi anni di individuare in giro per il mondo delle aree di intervento a sostegno di uomini, donne, bambini che si trovavano in situazione di indigenza o di difficoltà, o che subivano discriminazioni o ingiustizie, o che semplicemente avevano bisogno di supporto per intraprendere o sostenere percorsi di crescita personali o sociali. Survival si batte da quattro decenni per i popoli più indifesi e aggrediti del nostro pianeta. Intere popolazioni, milioni di esseri umani, costantemente a rischio genocidio. Ciò avviene non nell’epoca preistorica, non ai tempi delle crociate, non durante l’ultima guerra mondiale. Tutto ciò avviene oggi. Sono uomini e donne, vecchi e bambini nostri contemporanei che ogni giorno subiscono l’aggressione di virus e batteri per i quali non hanno difese. Ogni giorno vedono le loro terre aggredite, le loro case violate, le loro ancestrali vite sconvolte dall’arrogante e cieco incedere del cosiddetto “mondo civilizzato”. Un mondo che, se fosse tale, avrebbe l’accortezza e l’intelligenza di rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni. Un mondo che dovrebbe avere imparato ad avere rispetto per le diversità, che dovrebbe proteggere e custodire chi è in così manifesta situazione di pericolo e di debolezza e chi rivendica solo di poter continuare a vivere come e dove sempre ha vissuto. Un mondo che è invece così irrimediabilmente spinto nel vortice della conquista delle terre e dello sfruttamento di ogni risorsa, che si dimostra ogni giorno sordo ai lamenti di chi ne viene calpestato. Intere popolazioni subiscono così continue e reiterate aggressioni, che mettono in crisi le loro esistenze e spesso in pericolo le loro stesse vite. Tutto ciò nel silenzio generale, nell’ignoranza di ogni principio umanitario ed etico, nella noncuranza di leggi e accordi internazionali. Ecco quindi la grande azione di Survival e il secondo punto di forte contatto con il Xmas Project. Da otto anni la nostra piccola organizzazione non ha solo raccolto fondi per mirate azioni di solidarietà, ha anche tentato di raccontare e sensibilizzare i propri sostenitori verso le cause e le situazioni che generavano queste richieste di sostegno. E lo ha fatto attraverso le parole e le immagini di questo libro. Da quarant’anni Survival agisce nel modo più efficace e perseverante al sostegno dei diritti delle popolazioni indigene. Una straordinaria azione di advocacy e di sensibilizzazione internazionale volta a rompere il silenzio e la noncuranza con il quale la nostra società assiste a veri e propri crimini umanitari. Questi popoli non hanno bisogno di coperte, di cibo o di case. Questi popoli hanno bisogno di una voce, hanno bisogno di avvocati, hanno bisogno di leggi e accordi internazionali, hanno bisogno di rispetto per le loro identità. Quest’anno il Librosolidale si fa quindi voce delle popolazioni indigene di tutto il mondo e ha

Indice Progetto 2008: Ilo 169 – Con Survival per i diritti dei popoli indigeni

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Il budget

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Noi, Xmas Project 2008

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2001-2007: I nostri progetti

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Xmas Project 2009: segnalateci i vostri progetti

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Il progetto 2008



I popoli indigeni

I popoli indigeni del mondo contano almeno 370 milioni di persone. Rappresentano il 6% della popolazione del nostro pianeta e sono distribuiti in più di 70 nazioni diverse. Tra loro, circa 150 milioni sono classificati in senso stretto come “popoli tribali”. Descriverli senza correre il rischio di generalizzare è difficile perché comprendono una grande varietà di tribù e conducono stili di vita diversissimi in un’incredibile diversità di ambienti. Anche se non esiste una definizione unanimemente accettata da tutti, con i termini “indigeno” o “tribale” ci si riferisce generalmente a popoli organizzati in comunità tribali da generazioni. Spesso si tratta degli abitanti originari dei paesi in cui vivono, o di coloro che vi abitano da centinaia se non addirittura da migliaia di anni. Normalmente, sono popoli in larga misura autosufficienti, e vivono delle risorse del loro territorio: di caccia, pesca e raccolta, oppure di agricoltura e allevamento su piccola scala. Le loro economie si fondano quasi sempre su una conoscenza molto intima e profonda delle loro terre, con cui mantengono un legame inscindibile. Per loro la terra è tutto, nel senso più letterale del termine. È l'unico luogo in cui possono apprendere e tramandare il loro sapere millenario; in cui possono procurarsi il cibo e tutto ciò che è necessario alla loro sussistenza; in cui possono praticare la loro medicina e celebrare la loro identità. Spesso sono minoranze. Le loro comunità si distinguono nettamente da quelle non-tribali: parlano un'altra lingua, hanno usi e cultura propri ereditati dagli avi, e si considerano essi stessi diversi e distinti dalle società dominanti che li circondano. I popoli tribali non coincidono necessariamente con gli aborigeni o con gli indigeni: mentre “indigeni" sono tutti gli abitanti nativi di una certa regione, infatti, “tribali" sono solo i popoli che vivono in comunità tribali, e che dipendono dalla terra in cui abitano per ciò che riguarda ogni aspetto della loro vita. Tutti gli Aborigeni Australiani, per esempio, sono “indigeni", ma soltanto alcuni vivono ancora in società tribali e considerano se stessi come tali. Plasmati, nel corso dei secoli, dalla ricchezza e dall'asprezza dei loro diversi ambienti, gli indigeni che abitano oggi il nostro pianeta costituiscono un caleidoscopio di umanità e culture sorprendenti, irrinunciabili per ognuno di noi.


370 milioni di persone (di cui 150 milioni sono identificati in senso stretto come “popoli tribali”) 5.000 popoli diversi in 70 paesi diversi su 5 continenti 6% della popolazione mondiale I popoli meno numerosi: “L'uomo della buca” (1 persona), Piripkura (3 persone), Akuntsu (6 persone) Quelli più grandi: Quechua (10 milioni), Nahuatl (5 milioni), Aymara (2 milioni)

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Chi sono

Ma come la terra ha dato loro la vita, ora la sua distruzione li uccide. Dai ghiacci artici fino ai deserti africani, l’unica esperienza che tragicamente li accomuna è l'invasione dei loro territori, iniziata secoli fa in un bagno di sangue e condotta ancora oggi con la stessa determinazione e la stessa feroce brutalità. Sfrattati dai coloni e dallo sfruttamento forestale e minerario, inondati dall’acqua delle dighe e sterminati da malattie verso cui non hanno difese immunitarie, nel nome del progresso, i popoli indigeni contemporanei continuano a essere privati dei loro mezzi di sussistenza e della loro libertà; ad essere violentati, uccisi o costretti a omologarsi a società aliene. A differenza del passato, oggi la legge internazionale riconosce i loro diritti sulle terre ancestrali, ma raramente vengono rispettati. E se da un lato gli abusi restano quasi sempre impuniti, dall’altra vengono addirittura esacerbati dal continuo diniego dei governi a riconoscere ai popoli indigeni almeno il diritto di essere consultati quando vengono varati progetti di sviluppo destinati ad avere un impatto irreversibile sulle loro vite. Dietro le persecuzioni ci sono solo l'avidità e un razzismo che si ostina a dipingere i popoli tribali come arretrati o primitivi; come reperti archeologici destinati inevitabilmente all’assimilazione culturale ed economica oppure all’estinzione. In realtà, i popoli tribali sono nostri contemporanei e in ogni continente stanno lottando per mantenere la propria identità e riprendere il controllo delle loro vite e delle loro terre. Frutto di un continuo sviluppo e perfezionamento, i loro stili di vita non sono inferiori. Sono solo diversi e, nel corso del tempo, hanno saputo dare risposte efficaci e dinamiche alle sfide di un mondo in perenne trasformazione. Costretti dalla miopia e dalla forza soverchiante del nostro modello di sviluppo a confrontarsi quotidianamente con la minaccia di estinzione fisica e culturale, tutto ciò che i popoli indigeni chiedono è solo terra a sufficienza per vivere, e la libertà di decidere autonomamente del loro futuro. Ovunque, la loro storia riassume in sé sia il racconto di una tragedia inutile sia quello di una commovente resistenza.


Inuit

Inuit

James Bay Cree

Cree

Nez Perce

Shoshone

I popoli indigeni

Gwich’in

• Lakota Oneida

Crow

• ••

Cheyenne Seneca Pawnee

Hopi Zuni Navajo Tarahumara

• Innu

• Mohawk

• Miccosukee

• Nahuatl • Huichol

Nonostante secoli di massacri e persecuzioni, i popoli indigeni sono sopravvissuti in tutti i continenti. Sono suddivisi in più di 5.000 popoli diversi e hanno saputo sviluppare tecniche efficaci per sopravvivere anche nelle regioni più remote e inospitali della

Tuareg

Dogon

• Maya Kuna

Arhuaco

Barí & Yukpa

Pemon • • • • Waiãpi Emberá • • • • Makuxi Yanomami • Arara Awá & Ka’apor • Nukak • Sateré Mawé • Awa Guajá • Matis & Korubo • Cinta Larga Waorani • Kayapó • • Ashaninka • • Akuntsu • Panará Mashco-Piro & Nahua • • Piripkura • Quechua • • Enawene Nawe • Pataxo Hã Hã Hãe • Nambiquara • Maxakali Xavante & Bororo • Aymara • • Umutima • Tupinikim Enxet • Guarani ‘Uomo della buca’ • •

Isekiri

Etche

•• •

Ayoreo

Wichí

• Kaingang • Guarani

Mapuche

Terra. Abitano nelle foreste tropicali, nelle praterie, nei deserti così come tra i ghiacci perenni. Alcuni sono indistinguibili dalle società che li circondano. Molti altri, invece, conservano la loro distinta identità pur vivendo da secoli a fianco dei colonizzatori. Alcuni, infine, non hanno mai avuto alcun contatto con il mondo esterno: si tratta certa-

mente dei popoli più vulnerabili del pianeta. Se in molte nazioni i popoli indigeni sono piccole minoranze, in altre rappresentano la maggioranza della popolazione. Ad eccezione degli Indonesiani che hanno colonizzato la parte occidentale dell’isola, la Nuova Guinea è abitata interamente da popoli tribali. In Groenlandia sono il 90%, il 66% in Bolivia.

Mb

Ijaw Bakola

I Quechua costituiscono quasi la metà della popolazione del Perù e, insieme ai Quechua boliviani, il popolo indiano più numeroso d'America, tuttavia, nel quadro politico di questi paesi non hanno voce in capitolo. In Perù, il quechua è una lingua ufficiale ma gli insegnanti spesso si rifiutano di usarla e i bambini sono discriminati sin dai primi anni di vita.

B

Babon


• • Komi

Nenet

• Mansi • Sel’kup • Khanty

• Yukagir

Nganasan

• Sakha • Ket

• Evenk • Tofalar

Ciukci

• Evenk • Sakha • Negidal •

Nanais

• Nivkhi Orochi • Orok • • Ul’chi • Nivkhi Udege •

Tsaatan

Ainu

Miao

• Dong • Bhil Mru Jumma •• • Chakma Hmong • • Igorot Dongria Kondh • Isu Wa • • • KarenAkha Ibaloi •• Atta Jarawa • • Grandi Andamanesi & Onge •• Palawani • Sentinelesi • • Lumad • Batak • Wanniyala-Aetto Penan Kelabit • • • Orang Asli Iban • Naga

Nuba

• Dinka Mursi & Bodi bororo Ba-aka • •Konso • • Hamer Baka •• Mbuti • Ogiek Batwa • • ngo • • Turkana • Orma • Twa Masai • • Hadzabe • Parakuyu

• Itel’men

• Koryak

• • Yali • Asmat, Dani & Nduga

Amungme

Himba

Aborigeni

• Boscimani

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Dove sono

Sami

Yupigyt

• Dolgan

Entsy

Khanty, Waiãpi, Penan, !Xu, Marubo, Nuba, Khomani, Twa, Kanamari, Barí, Yukpa, Yabarana, Ba-aka, Yanomami, Pemon, Wichí, Igorot, Kaiowá, Masai, Ayoreo, Nukak, Jarawa, Tarahumara, Makuxi, Wapixana, Ingaricó, Tuarepang, Korubo, Ibaloi, Moni, Amungme, Dani, Twa, Jumma, Enxet, Subanen, Himba, Boscimani, Innu, Inuit, Yora, Yugan, Panará, Dayak, Maku, Khwe, Kalagadi, Arara, Arhuaco, Aché, Akawaio, Mapuche, Martu, Kaiapò, Sami, Maori... Nonostante accettino di essere chiamati collettivamente come indigeni o tribali (termini utilizzati oggi dall’ONU e nelle convenzioni internazionali), hanno nomi propri che, nella maggioranza dei casi e in ogni parte del mondo, significano

“noi, gli uomini”.


Il 23 febbraio 1969, il Sunday Times inglese pubblicò un articolo che scioccò i lettori di tutto il paese. Si intitolava “Genocidio” e portava la firma di uno dei più grandi giornalisti di tutti i tempi, Norman Lewis.

L’editore aveva inviato Lewis a investigare sui risultati di un’indagine intrapresa dallo stesso governo brasiliano nel marzo del 1968. Voci sempre più insistenti raccontavano che nella foresta amazzonica si stava ripetendo la tragedia che aveva decimato i Nativi Americani durante l’ultimo secolo ma, questa volta, compressa in un brevissimo arco di tempo. Sembrava che laddove prima vivevano

Brasile, il genocidio più lungo

centinaia di Indiani, ne sopravvivessero ora solo poche decine, mantenute in vita solo grazie alla paternalistica sollecitudine dello SPI, il Servizio governativo per la protezione dell’Indio istituito dal governo nel 1910. “Ma in tutti quei racconti – ed erano davvero tanti”, scriveva Lewis, “c’era una zona di silenzio, una mancanza di sincerità e di responsabilità sociale, un’evidente avversione a scavare nella direzione da cui la distruzione avanzava. Sembrava che dovessimo limitarci a supporre che gli Indiani si stessero semplicemente dissolvendo, uccisi dal duro clima dei tempi, e che fossimo tutti invitati a non porre ulteriori domande.” Il compito di risolvere il mistero era stato lasciato nelle mani dello stesso governo brasiliano e, in verità, era stato portato a termine con una franchezza brutale e disarmante. Il procura-

tore generale Jader Figueiredo, spiegava Lewis nell’articolo, era stato incaricato di visitare gli avamposti dello SPI in tutto il paese alla ricerca di prove di abusi e atrocità. In 58 giorni di indagini aveva compilato un dossier di 5.115 pagine da cui si evinceva chiaramente che negli ultimi 10 anni migliaia di persone erano state virtualmente sterminate “non nonostante gli sforzi dello SPI ma anzi con la sua connivenza, spesso con la sua ardente collaborazione”. Oggetto di indagine non erano i massacri che nei secoli precedenti avevano ucciso oltre 6 milioni di Indiani brasiliani, ma le azioni criminali compiute negli ultimi anni nei confronti dei sopravvissuti. Le tragiche perdite subite dalle tribù indiane in quella drammatica decade erano catalogate solo in parte. Tuttavia, il dossier, pesante 103 chili, documentava dettagliata-


Le origini di Survival Fondata con l’obiettivo di aiutare i popoli indigeni a difendere le loro vite, a proteggere le loro terre e i loro fondamentali diritti umani contro ogni forma di sterminio, persecuzione e razzismo, da allora Survival ha

continuato a crescere e a espandere il suo raggio d’azione in ogni continente. Oggi segue ogni anno almeno 80 casi di violazione dei diritti dei popoli indigeni in oltre 40 paesi diversi.

“Considero la fondazione di Survival come il piu' grande successo della mia vita professionale.” Norman Lewis

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134 funzionari governativi, accusati di oltre 1000 crimini diversi. 38 di loro furono licenziati ma nessuno andò mai in carcere. Il dossier non fu mai reso pubblico: al di fuori del governo lo lessero poche persone e, pochi anni dopo, bruciò in un misterioso incendio. La sua scomparsa però arrivò tardi perché aveva già causato un clamore pubblico tale da superare i confini della nazione giungendo fino in Inghilterra. All’editore del Sunday Times giunsero centinaia di lettere di sgomento e, in pochi giorni, dall’incontro dei lettori più indignati e risoluti a intervenire nacque Survival International. Nei tre anni successivi, i missionari della Croce Rossa, Survival e l’Aborigines Protection Society visitarono decine di tribù e la pubblicazione delle loro scoperte portò finalmente la tragedia degli Indiani amazzonici all’attenzione del mondo intero.

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mente assassinii di massa, torture e guerre batteriologiche, casi di schiavitù, abusi sessuali, furti e negligenze. Il rapporto rendeva noto che alcuni gruppi di Indiani Pataxó erano stati infettati deliberatamente col vaiolo; che i fazendeiro avevano fatto ubriacare i Maxacali per poi farli più agevolmente uccidere dai sicari; che i Cinta Larga erano stati massacrati con candelotti di dinamite lanciata dagli aerei sopra i loro villaggi; che la tribù dei Beiços-de-Pau era stata sterminata con cibo intriso di arsenico e insetticida. L’autore paragonava le sofferenze degli Indiani a quelle subite dagli Ebrei nei campi di concentramento nazisti e concludeva affermando che 80 tribù si erano completamente estinte mentre di molte altre sopravviveva solo qualche singolo individuo. L’inchiesta giudiziaria promossa in seguito alle denunce del rapporto aveva portato all’incriminazione di


I popoli indigeni abitano le regioni ecologicamente più importanti del pianeta, in territori che loro stessi, nel corso dei secoli, hanno contribuito a plasmare e proteggere.

ne dell’ambiente e della biodiversità. Per secoli, governi e colonizzatori hanno cercato di giustificare l’appropriazione indebita delle terre e delle risorse dei popoli tribali nel nome del progresso. Per decenni, scienziati e conservazionisti radicali ci hanno abituato a considerare la popolazione umana solo come un fattore di disturbo e degrado Dopo Sting e il Summit di Rio, degli ecosistemi. La preoccupanel mondo industrializzato è zione esclusiva per la Natura, andata crescendo una vasta che ha portato alla creazione preoccupazione internazionale dei grandi parchi africani, è arriper i disastri ambientali, imputa- vata fino al punto di bandire da bili ai mutamenti climatici ma essi qualsiasi attività umana, anche a irresponsabili politiche comprese le tecniche tradiziodi colonizzazione e sfruttamento nali di caccia e raccolta di alcuintensivo delle risorse disponibili. ni popoli tribali, necessarie alla loro sopravvivenza. Oggi, prevale la tendenza a presentare i popoli indigeni come custodi di La natura un patrimonio di cononon è naturale* La natura non è “vergine” né “selvaggia” se non scenze sulla natura utile nell’immaginario occidentale. Al contrario, allo sfrut tamento so la fisionomia della maggior parte delle foreste stenibile dell’ambientropicali così come le conosciamo noi oggi, è il prodotto culturale di una manipolazione molto antica della flora te. Indubbiamente, e della fauna operata da società umane a loro volta nel corso dei secoli, condizionate e plasmate da secoli di convivenza con esse. molti popoli indiBenché invisibili a un osservatore non esperto, le conseguenze geni hanno elabodi questa antropizzazione sono molto importanti, specialmente per quel che concerne il tasso di biodiversità, che è più elevato rato tecniche sonelle porzioni di foresta antropogenica che in quelle fisticate ed efficanon modificate dall’uomo. William Baleée ha dimostrato, per ci di coesistenza esempio, che, a distanza di quarant’anni dal loro abbandono, le aree di foresta amazzonica utilizzate dai popoli indigeni c o n i l l o ro a m sono due volte più ricche di specie vegetali utili che le biente. Ed hanno porzioni vicine di foresta primaria da cui, a prima vista, attuato strategie di non si distinguono affatto. In queste stesse aree si registra anche una maggiore concentrazione di animali utilizzo delle risorse e selvaggina. Si stima che attualmente il 12% della che, pur trasformando foresta amazzonica brasiliana sia antropogenica in modo permanente il ma è fortemente probabile che la percentuale fosse molto più elevata prima dei loro habitat, non ne hanno disboscamenti massicci che da decenni alterato i principi di funzionamutilano la regione. mento né messo in pericolo le condizioni di riproduzione. Un La paura non è però stata ac- modello infinitamente più luncompagnata da un’adeguata gimirante di quello, brutale e riflessione sull’impatto che i miope, utilizzato dalla società nostri “crimini ecologici” – e i occidentale persino negli ecosirimedi che ad essi proponiamo stemi più fragili del pianeta. Ma – hanno sulle vite dei popoli questa loro nuova immagine di indigeni, né tantomeno sul “geni dell’ecologia”, finisce ruolo che i popoli indigeni stes- troppo spesso con l’alimentare si possono avere nella protezio- altri pregiudizi e nuove forme di * 1 2

Una concezione sociomorfica del cosmo* Nella nostra visione del mondo, umani e non-umani sono collocati in domini ontologicamente diversi. Al contrario, la maggior parte dei popoli indigeni non operano distinzioni nette tra natura e società, e le differenze tra uomini, piante e animali sono solo di grado, non di sostanza. Ciò che noi chiamiamo natura, è per loro il soggetto di un rapporto sociale; un mondo popolato di personaggi che interagiscono gli uni con gli altri in modo egalitario e che condividono, in tutto o in parte, le stesse facoltà, gli stessi comportamenti e gli stessi codici morali ordinariamente attribuiti agli uomini.

strumentalizzazione del nostro rapporto con loro. In So ciétés indigènes & Nature1, Eduardo B. Viveiros de Castro scrive che il sapere sulla natura che hanno gli indigeni potrebbe fornire loro “un passaporto per la sopravvivenza nel mondo moderno”. In effetti, si sta diffondendo sempre di più l’idea che la protezione della natura e la conservazione della biodiversità debbano coniugarsi con il diritto dei popoli indigeni a preservare i loro territori e i loro modi di vivere. Tuttavia, rimane essenzialmente una questione di pragmatica, e non di principio, come sottolinea l’antropologo Marcus Colchester2, funzionale ancora una volta ai nostri bisogni. Non a caso, gli alti riconoscimenti tributati oggi ai popoli indigeni nel campo dell’ecologia non sono accompagnati da un adeguato riconoscimento dei loro diritti. Indipendentemente dalla loro peculiare visione del mondo e della natura, i popoli indigeni hanno diritto alle loro terre e alle loro risorse. Lo stabilisce la legge internazionale, oltre che quella morale, e in particolare la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Lo afferma, a livello di principio, anche la Dichiarazione dei di ritti dei popoli indigeni, recentemente adottata

dalle Nazioni Unite, dopo vent’anni di difficili negoziazioni con tutti i paesi membri. Il problema, quindi, non è tanto quello di nonescludere questi popoli dalle politiche e dai progetti di conservazione dei loro territori, così come si legge sempre più spesso nei documenti programmatici, quanto piuttosto di riconoscerli come i legittimi proprietari dei loro ambienti, aventi pieno diritto all’autodeterminazione e al risarcimento in caso di sfratto o spoliazione indebiti. Un passo che governi, fondazioni e associazioni ambientaliste non sembrano ancora disposti a compiere. Ipocrisia e malafede sono flagranti in moltissimi casi, come in quello dei Boscimani del Kalahari, ad esempio, che in questi anni si sono visti proibire la caccia di sussistenza, permessa invece ai turisti a puro scopo di divertimento. O in quello dei Wanniyala-Aetto dello Sri Lanka (conosciuti con il nome di Vedda), banditi dal raccogliere bacche e legna nelle loro foreste, trasformate in parchi nazionali. In altri contesti, i paradossi sono meno evidenti. Come nella corsa all’acquisto di appezzamenti di foresta per scongiurarne il disboscamento e compensare le emissioni di carbonio prodotte da individui, aziende o interi stati. Un mercato, patrocinato

Liberamente tratto da Diversité biologique, diversité culturelle di Philippe Descola, pubblicato in Ethnies 29-30 da Survival International France. Pubblicato in Ethnies 29-30, Il y a place dans le monde pour bien de mondes, Survival International France, Parigi 2003. Salvaging Nature, Indigenous Peoples, Protected Areas and Biodiversuty Conservation, Istituto di ricerca delle Nazioni Unite per lo sviluppo sociale, Ginevra 1995.


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stente tra la nostra concezione oggettivante della Natura, costantemente divisa tra un discorso conservazionista e uno produttivista, e quella cosmica e spirituale che accomuna quasi tutti i popoli indigeni del mondo. Per loro, infatti, la terra non è un’entità da sfruttare bensì un universo da sostenere e mantenere in equilibrio: “Quando un Aborigeno guarda una collina, pensa a Watikutjarra che l’ha creata. Il Bianco ti dice che si tratta di una formazione geologica creata dal vento e dalle correnti quando il paese era ricoperto dal mare, migliaia di anni fa. Così, quando arriva una compagnia mineraria per sfruttare l’oro scoperto al suo interno, nasce un conflitto. Noi non assumiamo il punto di vista geologico secondo cui non si devono scavare grosse buche nel suolo perché c’è il rischio di erosione. E non ci appelliamo alla legge internazionale perché un sito sia protetto come Patrimonio dell’Umanità. Noi ci preoccupiamo che non venga interrotta la catena del Sogno, che non venga distrutto uno dei luoghi del Sogno di Watikutjarra… Ferire la terra, è ferire l’uomo perché siamo tutti parte di Bugarrigarra [il Tempo del Sogno]”6. Non si tratta tanto di rispetto della natura, come spesso si pensa, ma piuttosto di una concezione del mondo radicalmente diversa dalla nostra: “Gli Aborigeni non proteggono la collina perché sono degli ecologisti; noi non siamo intrinsecamente eco-

logisti; noi proteggiamo il nostro strano che riconoscere i diritti paese, vegliamo su di esso da dei popoli indigeni e tribali alle prima che Greenpeace sbarcasse loro terre è attualmente il modo in Australia… Noi non cerchiamo più efficace di proteggere l’amdi essere politicamente corretti, biente. Anche in questo campo, di essere ”verdi” o di voler fare quindi, il rifiuto di molti governi ciò che è bene […] Difendere la di ratificare la Convenzione ILO terra è per noi una necessità e un 169 tradisce ipocrisia e manmodo di vivere. […] Fintanto che canza di lungimiranza. potremo continuare a celebrare i Togliere ai popoli indigeni la nostri riti, a far compiere la possibilità di continuare a vivere Legge, a trasmettere le cono- secondo la visione del mondo e scenze da una generazione al- della natura che gli è propria, l’altra, noi sopravviveremo. Cam- infatti, significa, non solo conbieremo, ci adatteremo al mondo dannarli a perdere l’indipendenche ci circonda ma sopravvivere- za e la possibilità di sopravvivere mo, e la lotta potrà continuare”7. come popoli, ma anche inaridire La parte sempre più preponde- i loro saperi e minare la straordirante assunta da Ong e aziende naria diversità culturale dell’unei programmi di tutela dell’am- manità. Una diversità che so biente e della biodiversità testi- pravvive solo se vivono i popoli monia la crescente presa di co- che l’alimentano. scienza dell’opinione pubblica e ©Francesca Casella/Survival la sua vasta mobilitazione. Si Per gentile concessione della rivista tratta certamente di un risultato “Diritto e Libertà”, n. 17, novembre 2008. positivo che però rischia di deresponsabilizzare sempre di più i governi dei paesi in via di sviluppo, soprattutto nel campo dei diritti territoriali e dei programmi educativi e sanitari. In gioco, infatti, sono diritti umani basilari e servizi pubblici minimi che Il dualismo gli uomo-natura* organiIl dualismo uomo-natura data di qualche secolo smi privati appena in Occidente ed è all’origine sia delle scienze positive sia della nostra stessa idea di protezione non hanno la cadell’ambiente. Per pensare di poter proteggere pacità né la possibila natura, infatti, occorre innanzitutto credere lità di gestire. all’esistenza della natura stessa come un dominio autonomo distinto dalla sfera delle azioni umane; Molti studi un luogo di ordine e necessità in cui niente dimo-

The great carbon con: Can offsetting really help to save the planet?, The Independent, Sophie Morris, 3.04.08. Diversité biologique, diversité culturelle, pubblicato in Ethnies 29-30, opera citata. L’or cannibale et la chute du ciel. Une critique chamanique del l’économie politique de la nature, intervista raccolta da Bruce Albert, tra gli Yanomami, Brasile 1993. L’Homme 126-128. Termiti bianche e formiche verdi. Gli Aborigeni e la Natura. Wayne Barker, cineasta aborigeno, discorso raccolto a Parigi dalla redazione di Ethnies, Survival International France,1999. Termiti bianche e formiche verdi. Gli Aborigeni e la Natura. Opera citata.

avviene senza una causa ma su cui l’uomo può esercitare una sorta di giurisdizione al fine di sfruttarne le risorse prima e, in seguito, di assicurarne la preservazione.

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Custodi della terra

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da politici e celebrità di vari paesi, che le stesse associazioni ambientaliste come Greenpeace e Amici della Terra reputano “cortine fumogene”3, atte solo a distogliere forze e risorse dalle reali soluzioni al problema delle emissioni di CO2. Una tendenza estremamente pericolosa destinata, seppur in buona fede, anche a minare la battaglia che i popoli indigeni conducono per il riconoscimento dei loro pieni diritti territoriali e ad alimentare nuove forme di paternalismo. In ogni caso, i popoli tribali di ogni continente continuano a rischiare di essere esclusi dalle loro terre ancestrali nel nome della conservazione. Loro, che hanno contribuito, in migliaia di anni, a plasmare e salvaguardare questi territori a beneficio delle generazioni future, finiscono spesso per essere confinati in essi nella veste di meri consulenti, di guardaparco, di guide o attrazioni turistiche. “Tra il saccheggio cieco che s’abbatte ancora su numerose regioni del pianeta, l’utopia funzionale di certe correnti New Age e l’ecologia gestionale dei movimenti conservazionisti” scrive Philippe Descola in Diversité biologique, diversité culturelle 4 , “deve essere ascoltata un’altra voce. Quella di Davì, per esempio, leader e sciamano Yanomami, che dichiara: ‘Noi non utilizziamo la parola ambiente. Noi diciamo solo che vogliamo proteggere la foresta intera. Ambiente è una parola di altre genti, è una parola dei Bianchi. Ciò che voi chiamate ambiente, è solo ciò che resta di quello che avete distrutto’”5. Una considerazione che dimostra chiaramente il grande divario esi-



“I Bianchi parlano continuamente del pianeta, ma non pensano che esso abbia un cuore e che respiri. Eppure è così. Non l’hanno mai guardato veramente da vicino, con i loro occhi. Sanno solo studiare sui libri e parlare di politica. Anche noi studiamo... andiamo nella foresta e la osserviamo con attenzione. Loro, no. Il loro sapere è tutto su carta. Gli Yanomami si sono sempre presi cura di questa terra, da molto prima che arrivassero i politici. Ma noi non usiamo carta. La nostra carta sono i nostri pensieri; quello che possediamo, sono i nostri credo... Ci piacerebbe tanto che gli uomini bianchi capissero perché la conservazione di questa foresta è così importante per noi. Vogliamo che ci aiutiate a difendere le nostre terre, che lavoriate al nostro fianco per difendere il nostro modo di vivere... Io, Davi Kopenawa Yanomami, voglio aiutare gli uomini bianchi a imparare come costruire un mondo migliore insieme a noi, a beneficio di entrambi”. Davi Kopenawa, leader Yanomami

Nonostante il grave rischio di estinzione corso tra gli anni ’70 e ’80, oggi gli Yanomami sono il popolo indigeno più grande d’America a vivere ancora in modo tradizionale e in relativo isolamento. A riscrivere la storia annunciata della loro estinzione è stata la pressione dell’opinione pubblica internazionale mobilitata da Survival insieme alla Ong brasiliana CCPY. Sono occorsi oltre vent’anni per arginare le epidemie di malaria che li stavano decimando e allontanare i cercatori d’oro illegali che si erano riversati come un fiume in piena nel loro mondo lasciando dietro di sé solo violenze, morte e disperazione. Ma, oggi, gli Yanomami non solo sono ancora vivi, ma gestiscono anche progetti innovativi volti a rafforzare la loro identità e aiutarli a difendere meglio i loro diritti, come la Scuola bilingue nella foresta. I problemi non sono stati tutti risolti, ma la loro storia è già diventata un simbolo: il simbolo del ruolo cruciale che l’opinione pubblica può giocare nelle campagne per la difesa dei popoli tribali e quello della capacità che hanno i popoli indigeni di resistere a ogni sopraffazione rivendicando la possibilità di decidere autonomamente del proprio futuro. Determinati a mantenere la propria indipendenza, gli Yanomami, insieme al loro leader Davi Kopenawa, chiedono con forza una maggiore autonomia in campo sanitario e didattico e restano in prima fila nella difesa dell’ambiente e della foresta amazzonica. * in copertina, dall'alto, e in una suggestiva visione notturna a pag. 60/61.

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Brasile, Venezuela

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Yanomami

Stretto tra i grandi bacini dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni, il territorio degli Yanomami si estende lungo la linea di confine tra il Brasile e il Venezuela. Ad eccezione di alcuni grandi altipiani di roccia arenaria che si ergono imponenti superando talvolta i duemila metri di altezza, l’area è un susseguirsi di ripide colline di circa mille metri d’altitudine. Tutto il territorio è ricoperto da una fitta foresta equatoriale che riceve dai due ai quattro metri di pioggia all’anno. Nelle sue parti più impervie e nascoste sorgono gigantesche capanne di forma circolare chiamate yano*, o sciabono, che possono raggiungere i 100 metri di diametro e contenere oltre 200 persone. Sono le grandi case comuni degli Yanomami: straordinarie opere architettoniche frutto di un intelligente lavoro collettivo, perfezionato nel corso dei millenni.


Si trovano a 1126 km dalla costa orientale dell'India, nella Baia del Bengala, e comprendono 500 isole, delle quali solo 27 sono abitate. Sono le Isole Andamane, terra natale di quattro antiche tribù. Il loro aspetto fisico è molto diverso da quello dei vicini abitanti indiani e l’analisi del DNA suggerisce una discendenza africana: i loro antenati potrebbero essere migrati dal continente nero 60.000 anni fa. A differenza degli Onge e dei Grandi Andamanesi, decimati prima dai colonizzatori e poi dalle politiche assimilazionistiche del governo indiano, i Sentinelesi e i Jarawa sono sempre riusciti a proteggere i loro territori dalle invasioni. Ma se i primi continuano a vivere in totale e volontario isolamento dal mondo esterno sull’isola che porta il loro nome, sui Jarawa grava oggi una pesante minaccia. Dopo aver respinto per più di dieci anni ogni tentativo di contatto da parte del governo indiano, improvvisamente, nel 1998, i Jarawa hanno cominciato a uscire sporadicamente dalla foresta. Da quel poco che si conosce della loro lingua, pare che a spingerli sempre più verso l'interno, fino agli insediamenti dei coloni, sia stata la presenza di pescatori di frodo lungo la costa e lo sgomento provocato dal diffondersi di alcune malattie prima sconosciute, introdotte dai bracconieri. Qualunque sia stata la ragione, da allora la vita è cambiata. L’intervento urgente di Survival è riuscito a fermare un piano di sedentarizzazione forzata elaborato nel 1999 e ad ottenere dalla Corte Suprema, nel 2002, l’ordine di chiusura della strada che attraversa la riserva. Nonostante questo, la strada resta tutt’ora aperta e il suo traffico aumenta sempre più moltiplicando il ri schio di contatti fatali. Per ora, i Jarawa continuano a vivere una vita nomade e indipendente cacciando maiali selvatici e varani, e pescando con l’aiuto di arco e frecce. Ma se le autorità non interverranno, non potranno resistere a lungo alla pressione sempre più incalzante dei bracconieri e delle agenzie turistiche attratte dalle immagini paradisiache delle loro coste. Un grave pericolo viene anche dal razzismo che si ostina a dipingerli come primitivi nonostante la sofisticata conoscenza dell’ambiente abbia permesso loro di prevedere e uscire indenni dal terribile tsunami che nel 2004 uccise migliaia di persone.

“Io posso essere definito civile, loro no.” Un avvocato indiano che difende i progetti di sedentarizzazione forzata dei Jarawa, 2001


Jarawa

Isole Andamane

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“Oggi rendiamo omaggio ai popoli indigeni di questa terra, custodi delle più antiche culture viventi della storia dell’umanità. Riflettiamo sui maltrattamenti che hanno subito nel passato. Pensiamo in particolare alle sofferenze inflitte alle generazioni rubate – oscuro capitolo della storia della nostra nazione. È ormai tempo, per il nostro paese, di scrivere una nuova pagina di storia riconoscendo i torti del passato e guardare così con fiducia al futuro. Presentiamo le nostre scuse per le leggi e le politiche dei parlamenti e dei governi che si sono via via susseguiti, e che hanno inflitto pene, sofferenze e perdite profonde a quelli che sono nostri compatrioti australiani. Le nostre scuse vanno in particolare ai bambini aborigeni e a quelli delle isole dello Stretto di Torres che sono stati tolti alle loro famiglie, alle loro comunità e alle loro terre. Per il dolore, la sofferenza e le ferite di queste generazioni rubate, per quelle dei loro discendenti e delle loro famiglie, noi chiediamo scusa. Alle madri e ai padri, ai fratelli e alle sorelle, noi chiediamo scusa per aver separato famiglie e comunità. E per aver in tal modo umiliato e calpestato la dignità di un popolo fiero di se stesso e della propria cultura, noi chiediamo scusa…” Kevin Rudd, Primo ministro australiano, 2008


Gli Aborigeni sono uno dei popoli più antichi e affascinanti del pianeta. Intorno alla terra ruota tutta la loro esistenza materiale e spirituale al punto che, nel tempo, il furto e la distruzione dei territori ancestrali hanno avuto su di loro un impatto sociale e fisico devastante. Vittime ancora oggi di persecuzioni e razzismo, vivono spesso in condizioni disumane nelle periferie più degradate delle città. Molti affollano le carceri e soffrono dei tassi di alcolismo e suicidio più alti del paese. Alcuni lavorano come braccianti sottopagati nelle fattorie che hanno cancellato le tracce delle loro Vie dei Canti. Ma altri, soprattutto nella parte settentrionale del continente, rimangono saldamente radicati nelle terre ancestrali e vivono ancora di caccia e raccolta nonostante secoli di contatto con i colonizzatori. Sono loro a guidare il movimento della rinascita aborigena contro un governo che continua a fare di tutto per ostacolare il pieno riconoscimento dei loro diritti. “Il Parlamento” ha dichiarato Kevin Rudd a chiusura del suo discorso, “non permetterà che le ingiustizie del passato possano ripetersi, mai e mai più”. Ma resta da vedere come saprà mantenere i suoi impegni a dispetto del fatto che, poco più di un anno fa, l’Australia si sia rifiutata di votare per l’adozione della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni dell’ONU. Lei, sola insieme a Canada, Stati Uniti e Nuova Zelanda contro il resto del mondo.

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Australia

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Aborigeni

13 febbraio 2008, il neo-eletto primo ministro australiano Kevin Rudd ha presentato agli Aborigeni le scuse ufficiali del governo per le storiche ingiustizie subite. Violenze che nel corso di due secoli hanno ucciso quasi un milione di persone, prima con lo sterminio diretto e poi, tra il 1930 e il 1969, con la brutale politica di togliere i bambini aborigeni ai loro genitori per affidarli alle famiglie dei Bianchi o ai collegi dei missionari. L'obiettivo dichiarato era quello di sradicare ogni traccia della loro cultura e della loro identità. Quella della “Generazione rubata” è una ferita aperta nel cuore di tutto il popolo aborigeno che probabilmente niente e nessuno potrà mai rimarginare.


Quando gli Europei arrivarono in Sud America, i Guarani furono uno dei primi popoli a esser contattati. All’epoca contavano oltre un milione e mezzo di persone, distribuite tra Paraguay, Brasile, Bolivia e Argentina. Oggi ne sopravvivono poche decine di migliaia. Nonostante secoli di contatto con gli stranieri, i 30.000 Guarani-Kaiowá del Brasile hanno mantenuto la loro peculiare identità e condividono con gli altri gruppi una religione che attribuisce importanza suprema alla terra, origine e fonte della vita. I Kaiowá stanno soffrendo terribilmente per la perdita quasi totale delle loro terre. Ondate successive di deforestazione hanno convertito quelli che un tempo erano i loro fertili territori ancestrali in un fitto tessuto di ranch e piantagioni di soia e canna da zucchero destinata ai biocarburanti. “Mato Grosso” significa “foresta fitta” ma degli alberi non c’è più traccia. Le loro comunità vivono lungo le strade o ammassate in anguste riserve istituite dal governo ai margini delle città: minuscoli appezzamenti di terreno simili a bindonville, insufficienti a sostentarli attraverso la caccia, la pesca e l’agricoltura tradizionali. I bambini soffrono la fame e, per sopravvivere, adulti e ragazzi sono costretti a cercare lavoro come manovalanza stagionale nelle piantagioni e nelle distillerie d’alcol che circondano i loro territori. Ma tre mesi di lavoro in condizioni di semi-schiavitù spesso non fruttano loro che poche decine di dollari a testa. Rimasti senza prospettive e speranze, negli ultimi vent’anni, centinaia di Guarani-Kaiowá si sono suicidati; molti erano ragazzi. La più giovane, Luciane Ortiz, aveva solo 9 anni. Stanchi di aspettare l’intervento delle autorità, le comunità hanno cominciato a rioccupare le loro terre sfidando le violente reazioni dei fazendeiro e dei loro sicari, assoldati per intimidire, picchiare, uccidere. Spesso, i leader delle comunità che rioccupano i loro territori vengono uccisi brutalmente sotto gli occhi dei famigliari. In concomitanza con l’uscita del film Birdwatchers di Marco Bechis, Survival ha istituito un fondo a loro sostegno. Ogni euro raccolto li aiuterà a difendere i loro diritti umani, a riconquistare le terre ancestrali e a ripiantare i loro orti.

“Viviamo in condizioni disumane, in case minuscole, sopraffatti da una miseria degradante. Non abbiamo niente da mangiare eppure il nostro popolo ha ancora la forza di cantare con gioia e con speranza… Noi non vogliamo denaro e ricchezza. Vogliamo solo terra a sufficienza per poter vivere come preferiamo. Marta Silva Guarani


Guarani-Kaiowรก

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Akuntsu

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Il primo contatto con il mondo esterno continua a costituire un enorme trauma per tutti i popoli indigeni, in ogni parte del mondo. Solitamente, oltre il 50% della tribù muore. In alcuni casi, muoiono tutti.

Il Brasile vanta una delle più alte concentrazioni di popoli diversi al mondo. Vi abitano almeno 460.000 indigeni, suddivisi in oltre 225 differenti tribù. Il 12% del Brasile è stato designato come terra indigena ma la sua proprietà resta allo stato. Gli Indiani posso ambire solo ad abitarla e ad usarla. Insieme al Suriname, il Brasile è l’unico stato sudamericano a non riconoscere i diritti degli Indiani alla proprietà della terra. A differenza di qualsiasi altro paese, inoltre, dispone di un ufficio governativo dedicato agli affari indiani (il Funai) e di ingenti fondi internazionali per progetti a loro favore. Nonostante questo, e con poche eccezioni, le autorità non proteggono gli Indiani che, durante tutto il ventesimo secolo, si sono estinti mediamente al ritmo di una tribù ogni due anni. In attesa che il loro destino si compia, gli Akuntsu continuano a danzare come meglio glielo permettono i traumi fisici e psicologici che hanno subito. Alle caviglie portano bracciali tradizionali, fatti di fibre vegetali. Ma al posto delle conchiglie, al collo indossano collane di plastica ricavate dai contenitori dei pesticidi gettati via dagli agricoltori che li accerchiano.

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Un uomo Ayoreo-Totobiegosode appena dopo il contatto, Paraguay.

Tra tutti i popoli annichiliti dall’avanzata del “progresso”, c’è un caso particolarmente scioccante: quello degli Akuntsu. In Rondônia, nel mezzo di sconfinate piantagioni di soia e allevamenti, sopravvive un piccolo fazzoletto di foresta pluviale. È in quei pochi ettari di terra che 6 persone, gli ultimi sopravvissuti della loro tribù, cacciano la selvaggina rimasta. Quando i funzionari del dipartimento governativo agli affari indigeni, il Funai, li contattò nel 1995 per sottrarli allo sterminio, il loro territorio venne subito protetto ma ormai era troppo tardi. Nessuno comprende a fondo la lingua degli Akuntsu e, pertanto, nessuno può raccontare l’orrore che queste persone hanno vissuto. Ma si sa che gli allevatori che avevano occupato la loro terra hanno massacrato tutti gli altri membri della tribù e raso al suolo le loro case con i bulldozer per coprire ogni traccia dei loro crimini. Tra poco, il loro genocidio sarà completo. Un altro popolo, un altro modo di vivere, un’altra piccola parte della meravigliosa diversità del genere umano sarà cancellata per sempre.

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“Immagina di sentire un rumore… Non hai mai udito nulla di simile prima d'ora. È il rombo di un bulldozer. E poi… improvvisamente arriva, e sotto i tuoi occhi sventra la tua casa, la tua terra. Provi una sola emozione: paura. E il tuo istinto ti suggerisce una sola cosa: scappa, corri e non fermarti!”


In Siberia gli inverni sono lunghi e rigidissimi, e la temperatura può scendere anche fino a -70 C°. Nonostante questo, vi abitano 30 tribù diverse. Sono i "piccoli popoli del Nord” che variano numericamente da meno di 200 persone, come gli Orok, a oltre 30.000, come i Nenet. Complessivamente contano più di 200.000 individui e tra di essi ci sono i Ciukci, i Dolgan, gli Entsy, gli Evenk, gli Even, gli Itel'men, i Ket, i Khanti, i Koryak, i Mansi, i Nanai, i Negidal, gli Nganasan, i Nivkhi, gli Orochi, i Sel'kup, i Tofalar, gli Udege, gli Ul'chi e gli Yupigyt. Nell'estremo sudest, gli Udege condividono la loro terra con gli orsi e con la rara tigre siberiana, che per loro è sacra. Più a nord, invece, nella tundra, l'ecosistema è così fragile che, per crescere ad altezza-uomo, un albero può impiegare anche più di 50 anni. Per sopravvivervi, i popoli indigeni fanno affidamento solo sui branchi di renne, di cui seguono i cicli migratori portandosi appresso case mobili fatte di pelli. Fino alla metà degli anni ’80, molti dei piccoli popoli del Nord furono sedentarizzati e perseguitati dal regime sovietico che arrivò persino a uccidere i loro sciamani e a distruggere sistematicamente le loro culture e le loro lingue. Ma a minacciare oggi la loro sopravvivenza sono soprattutto le industrie petrolifere e del gas. Nella Siberia occidentale, alte fiamme bruciano giorno e notte i gas in eccedenza e il petrolio finisce spesso nei fiumi uccidendo i pesci e la vegetazione. Le foreste sono state tagliate e i pascoli delle renne devastati. Lo stile di vita e la sussistenza dei Khanty sono stati compromessi dall’estrazione della ghiaia dal letto del fiume Sob. Nel sud-est, le foreste degli Udege vivono sotto la costante minaccia dei taglialegna mentre nel nord-est, le terre degli Evenk, degli Even e degli Yukagir sono state contaminate dalle radiazioni dei test nucleari. Il tasso di inquinamento delle terre indigene è così alto da aver già compromesso la salute dei popoli che vi abitano. A causa delle radiazioni, l'incidenza dei casi di cancro ha raggiunto livelli altissimi e le malattie respiratorie sono molto diffuse. Un bambino Evenk Tchita ogni cinque ha la tubercolosi; la metà soffre di disordini neurologici. Le nascite diminuiscono e l'aspettativa di vita è di 18 anni inferiore a quella del resto della popolazione russa.

“Non voglio nient'altro che la mia terra. Ridatemi la mia terra, perché io possa pascolare le renne, pescare e cacciare. Ridatemi la terra dove i miei cervi non siano attaccati dai cani randagi, dove i miei sentieri di caccia non siano calpestati dai bracconieri o inquinati dai veicoli, dove i fiumi e i laghi non siano macchiati di petrolio. Voglio una terra in cui la mia casa, i miei santuari e le tombe dei miei cari possano restare inviolati. Ridatemi la mia terra, non quella di altri. Anche soltanto un pezzettino, ma che sia della mia terra”. Anziano Khanty, 1989


I piccoli popoli del nord

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Siberia


Enawene Nawe

“Non avremmo mai pensato che potessero arrivare così in tanti. Fino a cinque anni fa non c’era nessuno… Sono sempre più numerosi e, un ranch dopo l’altro, si stanno avvicinando sempre più alle rive del fiume. Questi inuti sono molto diversi da noi. Distruggeranno tutto e così non ci saranno più pesce né feste né antenati, e noi moriremo. Noi, gli Enawene Nawe, non distruggeremmo mai la foresta. Vogliamo che gli animali vivano e desideriamo tanto che la terra si conservi bella per sempre.” Kawari, Enawene Nawe, parla con Fiona Watson di Survival, 2005

Brasile


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Gli Enawene Nawe sono poco meno di 500 e vivono tutti insieme in un unico villaggio composto di grandi case comuni. Fatto molto insolito per un popolo amazzonico, non cacciano e non mangiano carne rossa. Sono entrati in contatto con il mondo esterno solo nel 1974, quando furono raggiunti dai missionari gesuiti, ma, da allora, continuano a limitare al minimo le interazioni con l’esterno. Il loro isolamento viene rotto soprattutto nei momenti del bisogno, quando devono affrontare le minacce che gravano sul loro futuro. Alcune delle loro zone di pesca sono state invase da allevatori e coltivatori di soia che tagliano gli alberi e inquinano i fiumi con i pesticidi. Blairo Maggi, uno dei più grandi produttori mondiali di soia nonché governatore dello stato del Mato Grosso, ha costruito una strada illegale nella loro terra; inoltre, il governo ha annunciato il progetto di costruzione di un vasto complesso idroelettrico sul fiume Juruena, che scorre attraverso le terre indigene. Con il sostegno di Survival, la tribù ha lanciato una grande campagna internazionale per proteggere tutta l’area e far includere nel loro territorio il bacino del Rio Preto, un cruciale e delicato ecosistema rimasto escluso dalla demarcazione effettuata dal governo nel 1996. Dalla preservazione della vita ittica del fiume dipendono non solo il sostentamento della tribù ma anche la sopravvivenza della sua peculiare identità.

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Portano la frangetta corta e lunghi capelli sulla schiena, rasati appena sopra le orecchie. Non appena arriva la stagione propizia, tutti i componenti del gruppo di sesso maschile, bambini e anziani compresi, si trasferiscono negli accampamenti di pesca. Costruiscono grandi dighe di tronchi lungo i fiumi, catturano il pesce con nasse di giunchi e dopo averlo affumicato, lo riportano al villaggio con le canoe. A volte restano lontani per mesi. Anche la raccolta del miele è affidata agli uomini e viene celebrata con la festa del keteoko. Dopo averne trovato grandi quantità, i cercatori fanno finta di rientrare a casa a mani vuote. Le donne li canzonano ma poi l’inganno viene svelato e tutti iniziano a danzare.


Non è dato sapere esattamente quanti siano ma sappiamo con certezza che esistono: lo provano alcuni incontri fortuiti e le tracce che lasciano dietro di sé: frecce, utensili e case abbandonate in fretta e furia. Anche se il numero dei membri di ogni singolo popolo varia moltissimo, da un solo sopravvissuto fino a cento o duecento persone, tutto lascia pensare che siano un centinaio. In Brasile ne sono stati individuati almeno 40, 15 in Perù. In Asia li troviamo nelle Isole Andamane e in Nuova Guinea. Il resto vive tra Bolivia, Colombia, Ecuador e Paraguay. Ognuno di questi popoli è unico e le loro lingue, le loro culture e le loro visioni del mondo sono insostituibili. Sono sicuramente i popoli più vulnerabili del pianeta. Dei popoli incontattati si sa molto poco se non che il loro isolamento è sempre frutto di una scelta obbligata, compiuta per sopravvivere alle invasioni. Molti hanno sofferto la perdita dei loro cari per mano dell’uomo bianco nel corso di decenni di massacri silenziosi o per effetto del dilagare di malattie introdotte dall’esterno come influenza, morbillo e varicella. Spesso sono essi stessi dei sopravvissuti, o discendono da sopravvissuti ad atrocità commesse in epoche precedenti; violenze raccapriccianti che hanno lasciato segni indelebili nella loro memoria collettiva inducendoli a rifuggire da ogni contatto con il mondo esterno. Talvolta hanno, o hanno avuto, sporadici rapporti con i popoli indigeni più vicini ma, qualunque sia la loro storia personale, nella maggior parte dei casi, la loro fuga continua ancora oggi. Sono circondati su tutti i fronti, in ogni paese del mondo. Le compagnie petrolifere e di disboscamento invadono i loro territori in cerca di risorse naturali; i coloni usurpano le loro terre e le convertono in allevamenti di bestiame e aziende agricole. Le strade aprono le porte a bracconieri, missionari fondamentalisti, epidemie e turisti. Le foreste da cui dipendono per il loro sostentamento vengono tagliate a ritmi vertiginosi; la selvaggina è sempre più scarsa. Anche se cercano di sopravvivere all’avanzata della “civilizzazione” rifugiandosi in luoghi sempre più remoti, mantenersi in salvo sta diventando ogni giorno più difficile. A dispetto di quanti pensano che siano reliquie del passato, reperti archeologici destinati inevitabilmente all’assimilazione culturale ed economica, oppure all’estinzione, la storia dimostra che laddove le loro terre vengono riconosciute legalmente e protette in modo adeguato, il loro futuro è assicurato. Decidere se e quando interagire con gli altri è una decisione che spetta solo a loro. Nel frattempo, a noi resta un solo, difficile compito: quello di fare in modo che il loro inequivocabile ammonimento al mondo estero – “State alla larga!” – venga rispettato.


Popoli incontattati

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Le immagini della tribù amazzonica isolata fotografata nel maggio 2008 in Brasile, appena al di là del confine peruviano, hanno avuto una copertura mediatica senza precedenti. Nonostante il tono sensazionalista con cui alcune testate hanno diffuso la notizia, José Carlos dos Reis Meirelles, il funzionario del Funai che ha effettuato il rilevamento aereo, ha certamente raggiunto l’obiettivo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla minaccia che grava sui popoli della zona. L’esistenza delle tribù incontattate non è una leggenda paragonabile a quella del mostro di Loch Ness, come affermato tempo fa dal presidente del Perù Alan Garcia e dai portavoce della compagnia petrolifera di stato nel tentativo di svicolare dalle proprie responsabilità. E non è nemmeno “una bufala”. A settembre, il giornale britannico The Observer, responsabile di aver insinuato che la notizia fosse una farsa, ha presentato le sue scuse ufficiali ai lettori e a Survival per aver fornito una versione “menzognera e distorta” dei fatti.


“Di Amungme mi è rimasto solo il nome. Le montagne, i fiumi, le foreste, ora appartengono tutti al Governo e alla Freeport. Io non ho più nulla." Leader Amungme Nella terra degli Amungme sorge la Grasberg, la più grande miniera di rame e oro del mondo, di cui la Freeport è la proprietaria di maggioranza. Dopo anni di campagne da parte di Survival e altre organizzazioni umanitarie, la Banca Mondiale ha finalmente smesso di finanziare alcuni dei progetti di integrazione più brutali concepiti dal governo indonesiano. Tuttavia, le abbondanti risorse naturali di Papua continuano a essere sfruttate intensamente sotto la protezione dell’esercito. Omicidi, sequestri di persona e torture sono all’ordine del giorno. Nelle aree dove la presenza dei militari è più massiccia, centinaia di persone muoiono di fame o malattia perché hanno troppa paura per uscire dai loro nascondigli. Donne e bambine subiscono sistematicamente stupri singoli e di gruppo, fin dai 3 anni di età. Nonostante questo, continuano a resistere e combattere invocando con voce sempre più forte il loro diritto di decidere del loro futuro e di vivere in pace nelle loro terre.

Papuasi

Papua, Nuova Guinea


Nelle regioni montuose di Papua abitano tribù spesso chiamate collettivamente Kotekas dal nome delle zucche vuote con cui gli uomini coprono il pene. Tradizionalmente allevano maiali, coltivano patate dolci, cacciano e raccolgono radici, bacche e noci. Tra loro ci sono i Dani e gli Amungme.

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Gli Olandesi colonizzarono Papua nel 1714 ma la loro presenza sul territorio fu sempre limitata. Nel 1950, quando cedettero all'Indonesia le colonie orientali, esclusero Papua con l'intento di prepararla all’indipendenza. I Papuasi cominciarono a scegliersi una bandiera e un sistema di governo. Ma l'Indonesia non sembrava disposta a rinunciare al territorio nonostante i suoi abitanti, di origine melanesiana, non avessero con lei nessun legame etnico né geografico. Sottoposti alle pressioni degli Stati Uniti, che erano spaventati dalla prospettiva di un’alleanza dell’Indonesia con l’Unione Sovietica, nel 1962 gli Olandesi accettarono un accordo mediato dall’ONU: avrebbero continuato ad amministrare il paese in attesa di un referendum con il quale i Papuasi avrebbero potuto scegliere fra indipendenza o annessione. Finalmente, nel 1963, ebbe luogo l'Atto di Libera Scelta. Al voto furono però ammesse solo 1.025 persone che, con una pistola puntata alla tempia, votarono all'unanimità per l’Indonesia. L'assunto razzista che i Papuasi fossero troppo “primitivi" per decidere da soli del loro futuro indusse la comunità internazionale a sorvolare sulla manipolazione del voto.“Non posso immaginare che i governi di Stati Uniti, Giappone, Olanda o Australia possano mettere a rischio le loro relazioni con l’Idonesia per una questione di principio che riguarda un numero relativamente piccolo di uomini molto primitivi" dichiarò un diplomatico britannico nel 1968. Il risultato sono stati 40 anni di oppressioni e brutalità che hanno già ucciso migliaia di persone e che, per ferocia e vastità di proporzioni, sono classificati come i peggiori abusi perpetrati oggi contro i popoli tribali del mondo.

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La Nuova Guinea è la seconda isola più grande del mondo. Vanta una sorprendente ricchezza di culture e custodisce il 15% delle lingue conosciute sul pianeta. Papua, la metà occidentale dell'isola, è abitata da più di 2 milioni di persone. I suoi popoli indigeni sono almeno 312 ma è accertato che ve ne siano anche altri, forse 40, che non hanno mai avuto contatti con l'esterno.


I Penan, i gentili nomadi del Borneo, vivono nell'entroterra dei fiumi del Sarawak. Le loro foreste, intersecate da un labirinto di percorsi di caccia e vie di scambio, sono delimitate da ruscelli, fiumi, rocce e montagne, a ognuno dei quali i Penan hanno dato un nome proprio. Nella loro società egualitaria non vigono gerarchie e nessuno può costringere un'altra persona a fare qualcosa. I bambini aiutano a procurare il cibo, a cacciare, a raccogliere legna da ardere, e sono considerati membri effettivi della società; per questo, godono fin da piccoli dei privilegi che ne derivano. Ai cacciatori è proibito mangiare un solo boccone in più di quanto non venga dato agli altri, qualunque sia la dimensione della preda, e la condivisione viene data per scontata al punto che nella loro lingua non esiste una parola per dire “grazie". I Penan fanno grande uso del sago, una palma selvatica che cresce molto rapidamente. Sbriciolando e filtrando il suo legno ottengono una farina ricca di amido che, insieme alla carne e ai frutti selvatici, garantisce loro una delle diete più sane del mondo. A partire dai primi anni '70, tutti i popoli tribali del Sarawak sono stati sfrattati dalle loro terre per far spazio alle compagnie del legname, alle dighe e alle piantagioni di palma da olio. Costretti a vivere in villaggi, le tribù si sono progressivamente ridotte in condizione di estrema povertà. Anche i 10.000 Penan sono stati in parte sedentarizzati ma continuano a dipendere in modo sostanziale dalla foresta e circa 500 di loro conducono ancora una vita completamente nomade. E così, mentre le loro foreste vengono abbattute ad uno dei ritmi più alti del mondo, mentre i fiumi si riempiono di terra, l'inquinamento uccide i pesci e la selvaggina fugge via, i Penan resistono strenuamente alle malattie portate dall'acqua inquinata e alle violenze perpetrate dai dipendenti delle compagnie del legname. Dal 1987, uo mi ni, donne e bambini hanno cominciato a erigere barricate umane lungo le vie di accesso dei bulldozer, presidiandoli talvolta per mesi. Il governo risponde picchiando e incarcerando i dimostranti. Ma i Penan e le altre tribù restano determinati a lottare per impedire la distruzione dell'ultima parte di foresta rimasta.

“In questa terra ci sono le nostre radici. Questa terra è l'origine dei nostri nonni, delle nostre madri e dei nostri padri, è l'origine dei nostri antenati sin dalla notte dei tempi. Come può il governo sostenere che non è la nostra terra?” Uomo Penan, Sarawak


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Penan Sarawak


Dongria Kondh India


Si sono dati il nome di Jharnia, ovvero “protettori dei torrenti” perché a loro spetta il compito di proteggere Niyam Dongar e i fiumi che sgorgano dalle sue dense foreste. Contano circa 8.000 persone e costituiscono una delle tribù più isolate del continente indiano. Vivono in piccoli villaggi lungo i pendii delle colline di Niyamgiri, un territorio di spettacolare bellezza, coperto di dense foreste popolate da una grande varietà di animali tra cui tigri, elefanti e leopardi. Sui fianchi delle colline, i Dongria coltivano le messi, raccolgono frutti spontanei e selezionano foglie e fiori da vendere al mercato. Sulla cima di Niyam Dongar, la montagna sacra che sovrasta le colline, dimora il Dio da cui i Dongria discendono. Per loro non è solo un santuario ma anche un sito d’importanza cruciale per l’intero ecosistema delle colline. È la montagna, infatti, che consente ai numerosi corsi d’acqua e alla lussureggiante foresta che sostiene i Dongria di continuare a prosperare. Purtroppo, i Dongria Kondh non sono i soli ad avere tanto a cuore la montagna. Sulla sua cima, infatti, sono stati individuati vasti giacimenti di bauxite, una roccia sedimentaria da cui si estrae l’alluminio. E la Vedanta si sta preparando ad aprirvi una grande miniera a cielo aperto. Il progetto prevede il disboscamento della vetta della montagna e la costruzione di strade e nastri trasportatori lungo i suoi fianchi. Esplosivi e macchinari pesanti potrebbero restare in funzione giorno e notte profanando e inquinando l’area in modo irreversibile. Per i Dongria Kondh sarebbe la fine. Disposti a morire pur di impedire la conversione di Niyamgiri in una zona industriale desolata, i Dongria Kondh hanno cominciato a organizzare proteste di massa, a bloccare le strade e a studiare un ricorso alla Corte Suprema per violazione dei loro diritti culturali e religiosi. Non sono disposti ad arrendersi e Survival continuerà a restare al loro fianco.

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Suresh Wadaka, anziano Dongria Kondh

La Vedanta è una delle 100 società più capitalizzate del mondo. È quotata allo Stock Exchange di Londra (FTSE-100) e a detenere la maggior parte delle sue quote azionarie sono il miliardario indiano Anil Agarwal e alcune tra le più grandi banche europee. Contro di lei, il piccolo popolo dei Dongria Kondh sta costruendo frecce e asce con il fermo intento di impedirle di devastare la sua montagna sacra.

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“Non possiamo vivere senza Niyamgiri. Come può un pesce vivere senz’acqua?”


Ewapa, la donna più anziana della tribù dei Nukak, è morta di malaria e malnutrizione il 28 aprile 2008. È deceduta nella cittadina di San Josè, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita da rifugiata. Disperata e depressa, era ridotta pelleossa. I Nukak sono un popolo di cacciatori raccoglitori nomadi e vivono in piccoli gruppi famigliari presso le sorgenti dei fiumi Inírida e Guaviare, nell’Amazzonia colombiana. Per cacciare usano lance e cerbottane lunghissime, capaci di scagliare a grande distanza, e con enorme precisione, le frecce intinte nel curaro. Si spostano in continuazione e, quando sono stanchi, costruiscono ripari leggeri fatti di bastoni e foglie di palma, appena sufficienti per appendervi sotto un’amaca e proteggere il focolare dalla pioggia. La tribù è entrata in contatto con il mondo esterno nel 1988. Allora contava 1.200 persone. Oggi ne sopravvivono meno della metà. A ucciderli sono state violenze e malattie introdotte dagli invasori al momento del contatto. Nonostante le difficoltà, il loro futuro sembrava comunque assicurato. A seguito di una grande campagna di Survival, infatti, nel 1991 il loro territorio era stato dichiarato area protetta. Ma nel 2005, quando l’area è stata progressivamente invasa dai coltivatori di coca, la situazione è precipitata. Rapidamente, la foresta dei Nukak si è trasformata in teatro di guerra. A contendersi il controllo del traffico della droga sono arrivate ingenti forze armate appartenenti alle FARC, i guerriglieri di sinistra, e all’AUC, i paramilitari di destra. L’esercito regolare, sopraggiunto a presidiare l’area, ha cominciato a cospargere diserbanti sulle piantagioni contaminando i terreni e le risorse alimentari degli Indiani. Ritrovatisi improvvisamente soli nel mezzo dei fuochi incrociati di una battaglia sempre più violenta, a piccoli gruppi, i Nukak hanno cominciato a fuggire e ad abbandonare le loro terre in cerca di aiuto fino al drammatico esodo verso San Josè. Era il marzo del 2006. Da quel giorno, più della metà dei Nukak sopravvive dell’inefficace assistenza governativa nei sobborghi della cittadina o nell’insediamento allestito provvisoriamente dalle autorità in una zona povera di risorse naturali. Cercando di resistere alla malnutrizione, all’influenza e al morbillo che hanno cominciato a mietere vittime, i Nukak aspettano disperatamente di poter tornare a casa.

Nukak

Colombia


“Usciti dalla foresta, entusiasti della civiltà. I Nukak, sbucati dall’età della pietra direttamente sulla piazza di una cittadina colombiana, apprezzano la novità.” New York Times, 11 maggio 2006

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A poche ore dalla sua pubblicazione, l’articolo del New York Times fu ripreso dai principali quotidiani di tutto il mondo suscitando grande sgomento nei sostenitori dei popoli indigeni. Anziché correggere la superficiale e fuorviante interpretazione del drammatico esodo dei Nukak fornita dal giornale americano, infatti, la stampa internazionale ne accentuava i toni sensazionalisti. I Nukak venivano invariabilmente descritti come “primitivi stanchi di vivere allo stato selvaggio”, come “uomini dell’età della pietra” decisi ad andare finalmente “a fare shopping in città”. Le cornici esotiche in cui le tragedie dei popoli indigeni vengono troppo spesso confinate dai media, costituiscono una grave minaccia alla loro sopravvivenza. Contribuiscono in modo irresponsabile ad alimentare stereotipi e pregiudizi utilizzati ancora oggi da governi e multinazionali per sedentarizzarli e aiutarli, “per il loro bene”, a “stare al passo con il resto del mondo”.


“È stata un'iguana a mettermi nei guai. Una mattina di quattro anni fa, io dissi a mio figlio: ‘Vieni, andiamo a caccia di iguana’. Ci mettemmo in cammino. Uno dei nostri cani sentì l'odore di un'iguana, la trovò e la stanò. L'avevo già uccisa e messa nel sacco quando mio figlio mi disse: ‘C'è un ragazzo bianco che viene da questa parte...’ Era in bicicletta e aveva con sé quattro grossi cani e una pistola. ‘Cosa fate qui?’, chiese. ‘Io sono il proprietario di questa terra e non ci voglio Indiani. Vi proibisco di cacciare da queste parti.’ Poi mi sparò mirando alla testa. Era a cinque metri e mi sparava come se fossi stato un giaguaro. I primi due colpi mi mancarono... Il colpo successivo mi sfiorò la testa e l'esplosione mi squarciò il sopracciglio. Ora da quell'occhio sono mezzo cieco. Il quarto colpo mi colpì alla spalla. Il proiettile è ancora lì... Cercò di spararmi ancora ma la sua pistola si inceppò... Allora ci aizzò contro i cani. Uno di loro mi azzannò la gamba e penetrò con i denti fino al tendine... Il ragazzo prese il machete e mentre io tendevo il braccio in fuori per difendermi, mi tagliò; una fetta di carne rimase penzoloni... Se non fosse stato per mio figlio, che riuscì a disarmarlo, mi avrebbe ucciso.” Dal racconto di Qatsí (“Colui che sta a casa") a Survival, 1991.

Due anni dopo, il figlio di Qatsí morì avvelenato. Qatsí è convinto che sia stata la madre di quel ragazzo.

Wichí

Argentina


Nel 1990, quando decisero di passare all’azione, i Wichí fondarono una propria associazione e la chiamarono Thaka Honat, “la nostra terra”. Quindi, con il sostegno tecnico-economico di Survival e di due antropologi di fiducia, cominciarono a censire le loro comunità, a registrare la storia orale della loro vita nel Chaco prima e dopo la colonizzazione e, cosa più importante, a compilare una mappa dell’intera regione per mo-strare tutti i luoghi usati dal loro popolo da tempo immemorabile. Volevano provare in modo inconfutabile la loro intima conoscenza del territorio e rivendicarne la proprietà. E ci riuscirono. Il 7 agosto del 1991 il governatore di Salta ricevette formalmente il rapporto e la mappa. Pochi mesi dopo fu firmato il decreto. Oggi i Wichí hanno elaborato sofisticati progetti di recupero delle loro terre e dei loro saperi botanici e farmacologici. Confidano di poter riavere presto la loro terra ma fino a quando questo non avverrà, Survival continuerà a restare al loro fianco.

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La vita dei 40.000 Wichí nell’arida e stentata foresta del Chaco argentino non è mai stata tanto dura. In meno di un secolo, coloni e allevatori hanno trasformato le loro rigogliose foreste brulicanti di vita in un deserto sabbioso e sterile. La terra è morta e loro muoiono di fame. Ma non sono disposti ad arrendersi. Da anni aspettano che il governo renda attuativo un decreto firmato nel 1991 dal governatore della provincia di Salta che ha riconosciuto il loro diritto alla proprietà collettiva della terra ancestrale. Nel frattempo, la deforestazione continua e si moltiplicano i progetti di sfruttamento commerciale della regione.

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Vanno a caccia di iguane, daini e volpi. Coltivano fagioli, zucchine, meloni e mais, e raccolgono erbe selvatiche come il chaguar, che filano e tessono. Durante la stagione secca, quando il livello dei fiumi è basso, vivono dei pesci che catturano con una rete tesa tra due pali. Immersi nell’acqua fangosa fino alla vita, percepiscono la presenza del pesce scrutando i movimenti dell’acqua sulla superficie. A quel punto gettano la rete e, nuotando verso il fondo, avvolgono la preda nella trappola.


Allevano mucche, cammelli, pecore e capre, e occupano vaste aree dell’Africa orientale: circa il 70% del Kenia e il 50% di Uganda e Tanzania. Generalmente, abitano in zone molto aride dove i fiumi sono pochi e le piogge scarse. Ciononostante, un tempo riuscivano a superare anche le grandi siccità attraverso una sapiente gestione collettiva delle terre. Utilizzando le risorse in modo intermittente e diversificato, i popoli pastori hanno contribuito a creare e mantenere l’ecologia della savana e la sua fauna straordinaria. Ma oggi il loro mondo è in pericolo. Le terre dei Masai del Kenia sono state gradualmente trasformate in aziende agricole e allevamenti di bestiame a partire dall’epoca coloniale. Via via sono stati relegati nelle aree meno fertili del paese e il loro nomadismo è stato fortemente limitato. Ma a sacrificare i loro ultimi pascoli nel nome della conservazione è oggi un governo che non esita a ricorrere alla frode per privarli dei loro diritti territoriali e che risponde col silenzio alla loro richiesta di poter partecipare alla gestione delle aree protette. Nel 1958, quando vennero sfrattati da quello che è oggi il Parco Nazionale del Serengeti, ai Masai venne promesso un indennizzo e il diritto di vivere per sempre presso il cratere di Ngorongoro, loro terra ancestrale. Ma gli impegni non sono ancora stati mantenuti. Per i Masai, l’allevamento del bestiame è ciò che rende bella la vita, e carne e latte sono i loro cibi preferiti. Fin da piccoli, maschi e femmine si preparano ad assumere ruoli diversi nella società, organizzata secondo l’età dei sui componenti. Mentre le bambine affiancano le madri nella ricerca di acqua e legna, i bambini seguono gli anziani lontano dai villaggi per apprendere le sofisticate tecniche della pastorizia. A sedici anni possono passare al rango di Guerrieri, cui spetta anche il compito di difendere le mandrie da predatori e ladri. Ma per diventare Anziani devono raggiungere la maturità necessaria per partecipare alle assemblee del villaggio e contribuire in prima persona al mantenimento dell’armonia tra i vari gruppi d’età e tra le varie tribù. Costretti, per sopravvivere, ad adottare uno stile di vita sempre più stanziale, a praticare l’agricoltura e vendere artigianato ai turisti, i Masai continuano a lottare per i loro diritti insieme agli altri popoli pastori.


Kenia, Tanzania

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Masai

“Tratta bene la Terra! Non è un’eredità dei nostri padri ma un prestito dei nostri figli”. Antico detto masai, Kenia. Per i Masai di Kenia e Tanzania, Endoinyo Ormoruwak, la “Collina degli Anziani", è un luogo sacro. Si trova a metà strada tra la montagna bianca, il Kilimangiaro, e la montagna nera, il Monte Meru, ed è il luogo in cui le forze opposte che queste montagne rappresentano si incontrano e riconciliano. Qui, ogni 15 anni circa, si svolge il rituale di iniziazione Olng'eherr nel corso del quale i Guerrieri diventano Anziani. Oggi, la collina è stata invasa dai coloni e il governo minaccia di toglierne l’accesso ai Masai.


Inuit

Russia, Groenlandia, Alaska, Canada


Gli Inuit sono circa 110.000 e la loro terra natale si estende dalla punta nordorientale della Russia fino alla Groenlandia passando attraverso l’Alaska e il Nord del Canada.

Protetti da un ambiente tanto inospitale, gli Inuit hanno vissuto relativamente indisturbati fino al 1968, quando fu scoperto il petrolio nella baia di Prudhoe. Tutto d'un tratto, il loro mondo cambiò. Gli attentati all’ambiente e alla fauna selvatica si aggravavano di giorno in giorno e mentre le tradizioni che costituivano le fondamenta della vita inuit si sgretolavano, cominciarono a dilagare alcolismo e suicidi. Sotto la spinta dei movimenti ambientalisti, negli anni ’80 vennero messe al bando la caccia alla foca e alla balena e l’economia di sussistenza degli Inuit subì un tracollo devastante. Conquistare il diritto alla caccia di sussistenza, se pur vincolata, ha richiesto agli Inuit lunghe e faticose trattative, durante le quali sono stati assistiti da Survival. Il primo aprile del 1999, inoltre, dopo 15 anni di negoziati, il governo canadese ha offerto agli Inuit del NordOvest il diritto di proprietà su di un quinto della loro terra (Nunavut) e il permesso di cacciare e pescare in un'altra zona – finché nessun altro la vorrà! Oggi, nei villaggi prefabbricati, costellati di antenne televisive e motoslitte, la cultura inuit rimane comunque forte: nelle scuole si parla sia l’inuktitut sia l’inglese e le stazioni radiotelevisive trasmettono in lingua. Ma senza il pieno riconoscimento dei loro diritti alla terra, alla vita e all’autodeterminazione sull’intera patria artica, il recupero dei loro gravi problemi sociali resterà incerto.

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Ootoovah, donna inuit.

Gli antenati degli Inuit contemporanei giunsero in Alaska prima che il ponte di terra dello stretto di Bering venisse sommerso. Erano abili cacciatori di balene e di foche e, oggi come allora, la caccia continua ad avere per loro un'importanza vitale. Gli Inuit onorano gli animali con sculture che li hanno resi famosi. Foche, balene, orsi polari e gufi delle nevi vengono scolpiti in ossa di balena, caribù o steatite. Alcune comunità hanno fondato cooperative d'arte grafica dove pietre, ceppi e tecniche occidentali vengono usati per dare all'arte inuit nuovi mezzi espressivi. Durante l'inverno, quando il Sole non sale al di sopra dell'orizzonte, le famiglie trascorrono molto tempo in casa. Le donne confezionano stivali di pelle di foca cucendo i vari pezzi senza forare la pelle da parte a parte in modo da renderli impermeabili. Gli uomini preparano l'attrezzatura per la caccia. Oltre a cacciare, molti Inuit lavorano per l'industria petrolifera e le banche oppure insegnano nelle scuole locali.

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“Prima, a scandire i ritmi della nostra vita era il susseguirsi delle stagioni. Ad agosto raccoglievamo il muschio per isolare le case di terra. A settembre ci preparavamo all’arrivo della neve. Ora, la nostra sola preoccupazione mensile è l’arrivo del sussidio governativo. È arrivata la bolletta del telefono? C’è l’affitto da pagare? Oggi, i nostri mesi sono scanditi dalla preoccupazione dei soldi”.


Le Chittagong Hill Tracts (CHT) sono colline ripide e scoscese lungo le quali gli abitanti originari praticano un sofisticato sistema di coltivazione a intermittenza. Tagliano e bruciano la vegetazione di superficie prima di piantare una mistura di sementi che fornisce loro una gran varietà di cibo per tutto l'arco dell'anno. Al termine del ciclo, si spostano su nuovi pendii per dare alla terra il tempo di rigenerarsi. Questo metodo di coltivazione è conosciuto a livello locale come “jhum”, da cui il nome collettivo di “Jumma” assegnato alle tribù. Gli Jumma delle CHT sono una popolazione di circa 600.000 persone, suddivise in 11 tribù diverse. Si differenziano dalla maggioranza dei Bengalesi del Bangladesh per cultura, religione, lingua e origini etniche. Le tribù più numerose sono quelle dei Chakma (350.000) e dei Marma (140.000), entrambe buddiste. L'importanza attribuita dai buddisti ai testi sacri ha contribuito a far sì che fra le tribù delle CHT ci sia il più alto grado di alfabetizzazione del paese. Il governo del Bangladesh considera le CHT come terre disabitate su cui trasferire le masse dei coloni bengalesi poveri. Cinquant’anni fa, gli Jumma erano gli unici abitanti delle colline, oggi sono diventati una minoranza nella loro stessa terra. Oltre ad essere sfrattati dagli invasori, ai quali vengono assegnate le terre migliori, gli Jumma sono anche stati sconvolti dalla violenta repressione dell’esercito bengalese. Dal 1971, anno in cui il Bangladesh ha conquistato l’indipendenza, gli Jumma vengono sistematicamente assassinati, torturati, stuprati, e i loro villaggi bruciati. Per difendersi dagli attacchi di questa politica genocida, gli Jumma hanno dato vita ad un partito politico, la Jana Samhati Samiti che, anche grazie alle pressioni di Survival, nel 1997 è riuscito a strappare al governo la firma di un accordo di pace che ha posto fine alle atrocità peggiori. Nonostante questo, periodicamente gli Jumma continuano ad essere espropriati delle loro terre e a subire atroci violenze.

“Se abbiamo un raggio di speranza per la nostra sopravvivenza, è solo grazie al vostro impegno.” Portavoce Jumma rivolto ai sostenitori di Survival, 1999

Nell'aprile 1992, con un bollettino d’Azione Urgente, Survival denunciò il massacro di 1.200 Jumma del villaggio di Logang, bruciati vivi dai militari. Nel novembre 1993, l'esercito e i coloni bengalesi si allearono per disperdere una manifestazione pacifica che si stava svolgendo a Naniachar: massacrarono oltre 100 indigeni e ne ferirono più di 500.


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Jumma Bangladesh


“Conoscete la questione dei Basarwa (Boscimani)... È paragonabile a quella degli elefanti: tempo fa abbiamo avuto un problema simile quando volevamo eliminarne un certo numero ma in tanti si opposero.” Margaret Nasha, ministro del governo locale, 26 febbraio 2002

Secondo il governo del Botswana, il trasferimento dei Boscimani nei campi di reinsediamento sarebbe avvenuto spontaneamente e sarebbe stato legittimato dalla necessità di proteggere la fauna del Kalahari e di fornire benessere e sviluppo a “creature dell’età della pietra” altrimenti “destinate a estinguersi come il Dodo”. Ma è ormai evidente all’intera comunità internazionale che la vera ragione sono i vasti giacimenti di diamanti individuati all’interno della Riserva.


I Boscimani sono gli abitanti originari dell'Africa meridionale e per decine di migliaia di anni sono riusciti a sopravvivere in uno degli ambienti più ostili della Terra grazie alla loro intima conoscenza della sua flora e della sua fauna. Sopravvissuti al genocidio che ha annientato molte tribù vicine, i Gana e i Gwi sono rimasti praticamente gli unici a condurre una vita in larga misura autosufficiente, basata sulla caccia e sulla raccolta. O almeno così è stato fino a pochi anni fa, quando il Governo ha cominciato a sfrattarli con la forza dalla Riserva del Kalahari, istituita nel 1961 proprio per proteggere loro e la selvaggina da cui dipendevano. Il governo aveva già cercato di persuadere i Boscimani ad andarsene “spontaneamente” mediante intimidazioni, torture e restrizioni alle loro licenze di caccia. Ma presto, di fronte alla loro resistenza, si rese conto che cercare di rendergli la vita difficile non sarebbe servito allo scopo. I Boscimani rifiutarono di spostarsi anche quando le autorità cementarono i loro pozzi e svuotarono le scorte d'acque nella sabbia proibendo a chiunque, inclusi i turisti, di portare loro soccorso. Dopo anni di sofferenze, il 13 dicembre 2006, l’Alta Corte del Botswana ha finalmente chiuso il processo più lungo e costoso della storia del paese nonostante a intentarlo siano stati proprio i suoi cittadini più poveri e marginalizzati. Con una sentenza che sta già facendo storia e giurisprudenza, i giudici hanno definito illegali e incostituzionali i trasferimenti operati dal governo e hanno riconosciuto ai Boscimani il diritto di vivere per sempre nelle terre ancestrali, e di praticarvi liberamente la caccia e la raccolta. Ma le autorità continuano a ostacolare in ogni modo il ritorno a casa dei Boscimani negando loro anche l’accesso all’acqua. La campagna di Survival continua.

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Botswana

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Boscimani

New Xade sorge a 100 km a ovest della Central Kalahari Game Reserve. È uno dei “campi di reinsediamento" in cui il Governo del Botswana ha trasferito a forza i Boscimani Gana e Gwi tra il 1997 e il 2002. Lì, il più antico popolo del mondo lotta per sopravvivere con le magre razioni di cibo che il governo gli distribuisce tra disperazione, alcolismo e malattie prima sconosciute, compreso l'Aids. Per il governo, i campi dispensano servizi e sviluppo; per i Boscimani sono luoghi di morte.


A memoria perenne della lotta dei boscimani per la giustizia di ©Mogetse Kaboikanyo

Mogetse Kaboikanyo era un Boscimane Kgalagadi e viveva insieme ai Gana e Gwi nella Central Kalahari Game Reserve. Nel Febbraio 2002 fu deportato a New Xade. Morì 4 mesi più tardi. Aveva cinquant’anni. I suoi amici sostengono che non fosse malato e che il suo cuore abbia semplicemente cessato di battere. Dopo anni di battaglie per rimanere sulla sua terra, Mogetse è stato seppellito nella desolazione di un campo di reinsediamento, lontano dalle tombe dei suoi antenati. Survival lo ha incontrato poco prima del trasferimento. Questa è la sua testimonianza, a memoria perenne della lotta dei Boscimani per la giustizia.

“Sono nato qui, e vivo in questa terra da moltissimo tempo. A crearci è stato Gugama, il creatore, in un tempo tanto lontano che non posso sapere quando avvenne. Anche gli animali sono stati creati da Dio, per noi. Questo è il nostro posto, la nostra casa, e qui tutto ci dà vita. Ma adesso accade questa cosa del trasferimento... io non conosco tutta la verità al riguardo. Loro arrivano e dicono che devo trasferirmi, che questo luogo è riservato agli animali. Ma perché io devo andarmene se gli animali possono restare? Sono nato in questa terra, insieme all’antilope. E dobbiamo restare insieme. La mia forza è la forza degli animali che un tempo mio padre cacciava e mia madre cucinava. Gli animali mi hanno dato tutto quello che vedi. Sono nato con loro e devo stare con loro. Questo è mio diritto di nascita: qui dove giace il corpo di mio padre, nella sabbia. Chi sono costoro che vogliono negarmi la vita che Dio mi ha dato? Perché il governo pensa di essere più importante delle persone? Al governo interessa solo prendersi ciò che noi abbiamo di buono. Il governo è come un povero invidioso dell’uomo ricco, e vuole rubargli quello che ha. Viviamo nel terrore di essere cacciati dalla nostra terra. Non avremo più pace. Lo spirito di mio padre mi aveva avvertito che sarebbe successo… Si sono già portati via i miei parenti. Hanno portato via anche mio fratello e io sono rimasto qui solo. Ma non ho intenzione di andarmene. Se mi vogliono uccidere, perché non lo fanno e basta? So che potrebbero uccidermi per la mia terra. Quando arrivano, io dico loro: “Non voglio che veniate qui, ma se dovete, allora lasciate le pistole. Se venite con le armi, pronti per la guerra, dovrete uccidermi perché io non farò quello che volete”. Ora sono contento perché Survival sta registrando le mie parole e penso che le diffonderà e, così, tanta gente conoscerà la mia storia. Il governo del Botswana mi perseguita. Ci caccia dal nostro posto, da ciò che è nostro per diritto di nascita. Credo che Dio non lo possa accettare: Gugama ha creato tutto ciò che c’è qui perché noi lo possiamo usare per vivere. I funzionari ci tiranneggiano e trasferiscono la gente senza

nemmeno chiederglielo. Arrivano e ci dicono: “Tirate giù le vostre case: le dobbiamo caricare sui camion, con voi”. Quando vennero alla comunità di Gope, c’era una donna anziana molto, molto malata. La misero sul camion ugualmente, e così lei morì lì, lungo la strada verso il campo di trasferimento. Morì anche un’altra donna ma i funzionari non hanno avuto rispetto nemmeno delle nostre richieste di darle sepoltura. Ci trattano così perché siamo il popolo dei Boscimani. Ma questo non è il modo di comportarsi con nessuno. Si deve chiedere alle persone la loro opinione, aspettare e ascoltare. I funzionari che sono venuti qui non hanno nemmeno cercato di rispettarmi. Quando vengono devo spiegare loro che sono un essere umano, e allora loro mi squadrano, su e giù! Il Botswana si considera un paese democratico. Ma qui non è così. Ci opprimono fino a farci morire, e presto non ci sarà più nessun Boscimane. Per loro siamo come briciole di spazzatura che volano via quando si alza il vento, o come minuscoli insetti che corrono sulla sabbia. Ci hanno spazzato via dalla nostra terra e ci hanno gettato su un mucchio di rifiuti, lontano dai nostri animali, dalle nostre piante e dagli spiriti dei nostri antenati. Questo è quello che si fa con l’immondizia, non con gli esseri umani. Un giorno arrivarono dei funzionari e ci dissero che qualcuno di noi aveva cacciato un’antilope. Così, uccisero uno di noi, e ne castrarono un altro. Non si fanno queste cose agli esseri umani. Dicono che non possiamo cacciare, ma io ho moglie e figli da sfamare. Sono abituato a dar loro la carne, ma ora ho solo radici e frutta, e la vita è sempre più dura. Il governo dice di volere il nostro sviluppo. Lasciate che ci aiuti con l’acqua, ma poi che ci lasci vivere nel nostro posto. Sviluppo ci può essere solo sulla propria terra. Noi possiamo badare a noi stessi, possiamo provvedere alle nostre necessità. Il nostro futuro è nei nostri figli. Il nostro futuro affonda le sue radici nella caccia e nei frutti che crescono qui. Quando cacciamo, noi danziamo. E quando piove, siamo pieni di gioia. I nostri figli devono poter continuare a vivere nelle terre dei loro antenati.


All'epoca, non sapevamo ancora che la grande mobilitazione mediatica organizzata da Survival in quell'occasione avrebbe costituito il culmine della campagna lanciata vent'anni prima per proteggere gli Yanomami e le loro foreste dalla distruzione. Appena tre anni dopo, infatti, arrivò la vittoria: il governo brasiliano annunciò che la terra ancestrale di questo popolo sarebbe stata finalmente protetta e i cercatori d'oro allontanati. Fu un grande successo e, attraverso Survival, Davi inviò un messaggio alle migliaia di persone che avevano partecipato all'epica impresa: “Ringrazio tutti voi che siete lontani, che non conoscete il mio popolo né la mia foresta. Ci avete dato una grande speranza”. Collaboro con Survival da allora, e le parole di Davi mi sono ritornate in mente, potenti, pochi mesi fa, quando ho prestato la mia voce al DVD

Per gli Akuntsu è troppo tardi. Tragicamente, per un gruppo di sopravvissuti così piccolo non c'è possibilità di recupero. Rimasti completamente soli, incapaci di comunicare con chiunque altro, il loro destino aleggia sopra di noi come uno scioccante riflesso della nostra disumanità verso coloro che sono considerati reliquie dell'Età della pietra senza posto nel mondo moderno. Ho sempre considerato un crimine il fatto che questi atteggiamenti siano così ben radicati e ricorrenti persino tra coloro che potrebbero diversamente considerarsi liberali. Ed è per questo che ritengo che il lavoro di Survival sia così importante. Ci sono tragedie che spezzano il cuore, come quella degli Akuntsu, ma gli sforzi compiuti da Survival

ci permettono di raccontare anche tante altre storie incoraggianti. Recentemente, Davi è tornato a Londra. Da quando Survival ha iniziato a lavorare con gli Yanomami, la loro vita è drasticamente cambiata. Anche se subiscono ancora occasionali incursioni da parte dei cercatori d'oro, la loro terra è protetta e la popolazione ha ripreso a crescere. Non c'è dubbio che abbiano preso il loro posto come fieri e vitali membri del XXI secolo. Le immagini straordinarie girate da un membro dello staff di Survival durante una festa funebre in un villaggio yanomami mostrano centinaia di persone a lutto giocare, festeggiare e celebrare riti religiosi per giorni, con una serenità e una vitalità che molti nell'Occidente potrebbero solo invidiare. La storia degli Yanomami non è solo una clamorosa smentita delle funeste previsioni degli “esperti”, che avevano dichiarato con sicurezza che “non avrebbero potuto” sopravvivere al XX secolo, ma anche un prova elettrizzante del fatto che, con un piccolo aiuto da parte di quelli che possono tendere una mano, i popoli tribali non sono inevitabilmente condannati a soccombere davanti all'onda della globalizzazione. Gli Indiani incontattati delle fotografie non vivono in una bolla che, una volta scoppiata, collasserà per sempre. Il lavoro di Survival è importante proprio perché dimostra che oggi c'è un modo semplice ed efficace per garantire che questi popoli possano veramente trovare il proprio posto nel mondo: proteggere le loro terre! Quando il loro territorio è sicuro, i popoli tribali possono convivere in pace, secondo le loro scelte e il loro stile di vita, con il mondo che li circonda. Le ultime parole pronunciate da Davi rientrando in Brasile mi accompagneranno per molto tempo: “Senza Survival, saremmo tutti morti”.

Perché voglio aiutare i popoli tribali di ©Julie Christie, giugno 2008

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Davi lanciò un appello, semplice ma diretto: “Non siamo né poveri né primitivi. Noi, gli Yanomami, siamo molto ricchi. Ricchi della nostra cultura, della nostra lingua e della nostra terra… Non ci servono denaro né altri beni. Quello di cui abbiamo bisogno è rispetto: rispetto per la nostra cultura e rispetto per la nostra terra”.

dell'associazione, intitolato Uncontacted Tribes [Popoli incontattati]. Fra tutte le storie raccontate dalle immagini dei ricercatori di Survival, storie che parlano delle minacce che gravano sui popoli più isolati e vulnerabili del mondo, ce n'è una che spicca in modo particolare. Un minuscolo gruppo di appena sei individui, gli ultimi sopravvissuti di un popolo un tempo fiero chiamato Akuntsu, stava seduto su una panchina nel mezzo di una foresta disboscata. Sapendo che avevano assistito al massacro di tutti gli altri membri del loro popolo per mano degli allevatori di bestiame, la loro apatia e il loro completo avvilimento non potevano sorprendermi. Ma quando li ho visti incitarsi a vicenda, in modo incerto, per eseguire una strascicata danza di benvenuto, beh, allora mi sono commossa profondamente. In quei piccoli passi barcollanti c'erano condensati tutta l'avidità e l'egoismo dell'Occidente e le tragedie delle tantissime piccole società umane che abbiamo calpestato lungo la nostra corsa alla ricchezza. Non conosco nessuno tra coloro che hanno visto il film, che non ne sia stato profondamente toccato.

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Ho incontrato Davi Kopenawa per la prima volta nel 1989 quando Survival International lo fece venire in Europa. Era il suo primo viaggio al di fuori della terra natale, ma non si trattava di una visita turistica. Survival voleva denunciare i terribili eventi che si stavano verificando nella sua terra e promuovere iniziative per difendere il suo popolo. La foresta pluviale degli Yanomami, remota com'era, era stata invasa da migliaia di cercatori d'oro con modalità che ricordavano il Selvaggio West. Le malattie introdotte dagli invasori avevano devastato la tribù. In pochissimi anni, più della metà degli Yanomami erano morti.



Gli Arhuaco guardano al mondo con sensibilità e intelligenza acutissime, e hanno per la vita un profondo rispetto e un grande senso di responsabilità. Sanno che il ciclo della Terra è intimamente connesso con la nascita e la morte di tutti gli esseri viventi e hanno elaborato credi, regole e rituali che affidano loro il compito di assicurare che quei cicli continuino a succedersi senza perturbazioni. Per l’uomo occidentale il mondo naturale è un’entità da sfruttare. Per loro è un universo da sostenere e mantenere in equilibrio risarcendolo per tutto quello che esso ci dà, per ogni singolo respiro che gli viene sottratto. L’intero pianeta dipende da ciò che accade sulla Sierra e a loro, che sono i nostri fratelli maggiori (hermanos mayores) spetta il compito di regolare gli eventi naturali e prevenire le catastrofi mediante un complesso sistema di “offerte” alla Terra. Inondazioni e terremoti sono una conseguenza degli errori da loro commessi nel mantenimento dell’armonia, anche se avvengono in paesi lontani. Gli Arhuaco non hanno la preoccupazione di ridurre i consumi; quello che essi usano è di per sé già ben poco! Ma anche se pensano di avere una saggezza e una comprensione mistica superiori a quelle degli altri uomini, non giudicano i loro fratelli minori, i consumisti o gli esseri umani in generale necessariamente “colpevoli”. Per gli

Arhuaco l’uomo e la società umana restano sempre la cosa più importante. Anche se si rendono conto dell’impegno a lungo termine che ciò comporta, non considerano il loro compito come un fardello quanto piuttosto come il modo più intelligente di affrontare la vita; un modo per accettare, ad un livello molto profondo, la responsabilità degli effetti a lungo termine e su vasta scala della propria esistenza. Quello che segue è un tentativo, molto sommario e talvolta crudelmente semplicistico, di tradurre in un racconto scritto alcuni dei principi più conosciuti della loro filosofia. Gli Arhuaco stessi sostengono che non sia possibile esprimere adeguatamente attraverso la parola scritta quelle che per loro è una tradizione orale i cui capisaldi vengono svelati solo ai discepoli che hanno la vocazione, l’umanità e la perseveranza necessarie. Tuttavia, bastano a darci un saggio della profondità e del grande valore che il loro sapere ha per l’umanità intera. Di fronte al materialismo occidentale e alla corsa travolgente allo sviluppo della società industrializzata, la sopravvivenza di popoli e culture come quelle degli Arhuaco dimostra che gli uomini potranno sempre scegliere altre priorità e altri modi di vivere; prova che, nonostante tutto, ci sarà sempre qualcuno che deciderà di dare ai problemi della vita e della morte altre risposte. Sono forse questi la sfida e il messaggio più importanti che i popoli tribali lanciano al mondo.

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Gli Arhuaco vivono sulla Sierra Nevada di Santa Marta, nel nord della Colombia. Nonostante distino dal Mar dei Caraibi solo 54 chilometri, le vette della Sierra Nevada sono perennemente innevate e si innalzano ripidissime dal mare fino a raggiungere i 5.800 metri d’altezza. Sfruttando con grande perizia le sue varie quote, gli Indiani riescono a garantirsi raccolti abbondanti per tutto l’arco dell’anno. Coltivano mais, manioca, banane da farina e vari tipi di frutta. Con gli avocado nutrono i maiali e, da quando gli invasori spagnoli li hanno introdotti, seminano anche caffè e canna da zucchero. Insieme ai loro vicini, i Kogi e gli Arsario, gli Arhuaco soffrono da oltre cinquant’anni per la perdita di molte delle loro terre ancestrali e per la violenta guerra civile che imperversa alle pendici della Sierra tra esercito, guerriglieri e paramilitari in lotta per il controllo del traffico della coca. Nonostante i continui e brutali tentativi dei frati Cappuccini di cancellare la loro religione e la loro cultura, gli Arhuaco hanno sempre conservato un orgoglio inattaccabile, addirittura feroce, per la propria identità. Negli anni ’70 erano alla guida del movimento indigeno colombiano e hanno incoraggiato la nascita delle principali organizzazioni indiane del paese, tra cui l’ONIC, che è oggi una delle più importanti di tutte le Americhe. Survival ha sempre sostenuto le loro rivendicazioni territoriali e nel 1993 li ha aiutati a raggiungere l’Europa per denunciare l’assassinio dei loro leader. Il loro mamo (sacerdote) arrivò a Londra indossando solo gli abiti tradizionali e il cappello bianco che simboleggia i picchi innevati della Sierra. Era scalzo ma di tutti i beni materiali che furono messi a sua disposizione, non volle accettare nemmeno un paio di scarpe.

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Arhuaco, per ogni nostro respiro


In principio Kaku Serankua creò la Terra. La rese fertile e la prese in moglie. II mondo era sorretto da due serie di quattro fili d’oro intrecciati e appesi ai quattro punti cardinali. Dove gli otto fili d’oro si incrociano, lì si trova il cuore del mondo. E lì è la nostra casa, la Sierra Nevada de Santa Marta, che è delimitata dalla “linea nera“ che ne definisce i confini e la separa dai bassipiani circostanti. I picchi nevosi e i laghi sacri vennero posti in mezzo alla montagna; questa, la zona più elevata, è Chundua. I picchi sono come persone, sotto molti aspetti simili a noi, dei “custodi dell’onore“. Sono i nostri genitori, i nostri padri e le nostre madri. E sono anche i padri e le madri dell’uomo bianco; perché il nostro dio è il suo dio. Ad ogni picco fu assegnato un mamo con l’incarico di vigilare su di esso e di prendersene cura. Ogni picco ha un mamo, proprio come ogni casa ha delle persone che ci vivono. I picchi sono per noi come chiese o templi. Quando Kaku Serankua distribuì la terra, decise di fare della Sierra un luogo sacro dove sarebbe stata custodita la saggezza, in modo che un giorno potesse di nuovo essere insegnata all’umanità. Oggi, Kaku Serankua vive lì, sorvegliando la sua creazione. Prima di creare il mondo, Kaku Serankua creò l’acqua, che nutre la Terra come le vene dell’uomo nutrono il suo corpo. E creò anche le stelle, il sole e la luna, e ogni cosa. Quando arrivò il momento di creare gli esseri viventi, dettò le leggi per le quattro razze umane – la bianca, la gialla, la rossa e la nera. I loro colori sono gli stessi dei quattro mantelli della terra: bunnekän, la terra bianca; minekän, la terra gialla; gunnekän, la terra rossa; e zeinekän, la terra nera. II nostro respiro è lo stesso alito che si leva dal mondo: l’aria, i venti e la brezza. Tutte le razze sono uguali; ad ognuna furono assegnate leggi e diritti propri. Ad ognuno di noi fu assegnata una strada per avvicinarsi a dio, per riconoscerlo e conoscerlo. Ci è stato mostrato come avere rispetto di tutto ciò. Non siamo stati noi ad inventare questa legge: ci è stata data da Kaku Serankua, nostro padre. Egli ci ha insegnato anche come coltivare la terra, come dividere in maniera equa i nostri beni, come prenderci cura delle foreste, delle diverse specie animali, delle acque, delle colline, come prenderci cura del sole, della luna, della stagione umida e di quella secca, come lenire i dolori e curare le malattie, ci ha dato la scienza dei terremoti e di ogni cosa che accade nel mondo. Tutto questo a beneficio dell’umanità intera ovunque: in ogni luogo della Terra. Noi viviamo così. Non abbiamo mai conosciuto l’egoismo, non abbiamo abusato gli uni degli altri, né abbiamo desiderato le cose dei nostri fratelli, né abbiamo prevaricato i loro diritti; non abbiamo mai conosciuto la superbia, non abbiamo mai considerato qualcuno inferiore a un altro. Queste leggi ci sono state date perché potessimo aiutarci l’un l’altro con equità, giustizia e comprensione. Se uno è debole, qualcun altro gli darà la forza. La vita, la sapienza e la legge hanno tutte origine in Chundua, i picchi nevosi e i laghi. Dipendiamo dalla natura, che ci dà la vita, e ogni

elemento della natura ha una sua vita spirituale. Noi dipendiamo da Chundua. Ma anche Chundua dipende da noi: per mantenere l’equilibrio. Ogni animale e ogni albero, ogni fiume e ogni pietra, il sole, la luna e le stelle – tutte queste cose hanno una vita spirituale e hanno bisogno di essere accudite, proprio come noi abbiamo bisogno del cibo. In mancanza di questo, morirebbero: i fiumi si asciugherebbero, gli alberi seccherebbero, il sole stesso morirebbe. Sono i mamo, i nostri sacerdoti, i nostri scienziati, a prendersi cura del mondo spirituale. Loro mantengono in equilibrio tutte queste forze. Si spostano fra Chundua, i picchi, e la “linea nera“ delle pianure. Cantano e danzano, celebrano cerimonie e fanno offerte alla Terra; custodiscono gli oggetti sacri, i bastoni, le maschere e le pietre sacre. Sono intermediari che sanno come muoversi tra il mondo ordinario e quello spirituale. Curano le malattie e sanno individuare i posti adatti per seppellire i nostri morti. Tutto questo non lo fanno per se stessi, né semplicemente per noi, ma per l’intera umanità e per tutte le forme di vita. Queste sono le vere leggi che furono date ad ognuno dei cinque continenti. Ogni creatura e ogni fenomeno della natura ha la sua legge, e per preservarli dobbiamo rispettarla. Così è stato stabilito, e così è sempre stato. Questa saggezza, questa legge, non è stata inventata da noi né da altri; è una conoscenza che viene da una consapevolezza e da un’intuizione profondissime. II punto più alto di tutti si trova al di là dei quattro punti cardinali. Laggiù si trova una sapienza che ci parla del passato, del presente e del futuro, di ogni cosa che riguarda il mondo, le acque e i diversi pianeti. Ci dice come mantenere in equilibrio i molti elementi della natura, così che tutto si mantenga sempre in armonia. È stata tramandata da un mamo all’altro, di generazione in generazione, sin dai tempi più antichi. Imparare dalla natura quel tanto che basta per trarne vantaggio è facile, ma è difficile cogliere i suoi differenti aspetti e capire come coesistono. È difficile capire come averne cura per il benessere dell’umanità. Gli ambiziosi non sanno neppure da che parte cominciare per arrivare a comprendere tutto questo! Kaku Serankua ci insegna che la natura è la nostra madre, e che dobbiamo rispettare lei e le sue leggi. Fra gli uomini deve esserci questa comprensione, e devono esserci rispetto, giustizia ed eguaglianza. È così che noi abbiamo sempre vissuto. Ma l’uomo bianco non sa niente di tutto ciò. Chi sa solo come togliere la vita, e non come crearla, troverà tutto questo impossibile da credere. Lui ha attaccato i suoi fratelli, gli Arhuaco, e li ha ricacciati al di là della “linea nera“. Con le sue mani ha reciso il legame che aveva con la natura, e poiché non sa come averne cura, usa le sue conoscenze per distruggerla. Si è staccato dai suoi compagni. Non ha rispetto per i suoi fratelli, e fa leggi che li perseguitano e sottraggono loro la terra. Se con il suo modo di vivere l’uomo bianco continuerà ad accumulare debiti nei confronti della Terra, porterà se stesso alla distruzione. Sarà così. Fin dalla sua prima apparizione, ha cercato di toglierci la nostra terra e di privarci delle nostre leggi tradizionali e sagge per imporci le sue. Le sue infinite promesse non sono mai state mantenute. Molti anni fa, ci ha promesso che la terra dei nostri padri sarebbe stata rispettata, e che i territori che ci erano stati sottratti sarebbero stati


Adesso ci rendiamo conto che la nostra battaglia e la nostra sofferenza sono condivise da tutti gli Indiani della Colombia. Non chiediamo aiuto. Stiamo al fianco degli altri Indiani per lavorare insieme in difesa della nostra terra e della nostra cultura. Abbiamo capito che quando i bianchi parlano di “progresso“ e di “integrazione“ in realtà intendono miseria e morte. L’uomo bianco non ci dà retta. Non vuole darci la possibilità di decidere del nostro futuro. Unirsi alla società dell’uomo bianco significa perdere tutto ciò che è nostro. Ora siamo ben consapevoli di ciò e sappiamo che noi, da soli, dobbiamo assumerci la responsabilità del nostro destino. Testimonianza a cura di ©Stephen Corry, direttore generale di Survival International

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Abusa di noi, e ci dà ragione solo quando vuole qualcosa (per esempio un po’ di voti per i politici locali che promettono molto ma non fanno nulla). L’uomo bianco ci ha insegnato nuovi e falsi bisogni, ci ha allontanato a poco a poco dalle nostre tradizioni e dal modo in cui anticamente producevamo tutto quello di cui avevamo bisogno. Ha portato nelle nostre comunità il suo modo di pensare. Ma i suoi pensieri sono cattivi ed inducono alcuni di noi a vergognarsi di essere Indiani – proprio di ciò che dovrebbe costituire per noi il più grande motivo di orgoglio. Essere Indiani è come essere alla radice delle cose. Molti Arhuaco hanno creduto alle false promesse e si sono venduti ai politici e ai proprietari terrieri – alcuni sono arrivati al punto di tradire i propri fratelli. I bianchi non hanno rispetto per il nostro governo interno. Da parte nostra, noi abbiamo sempre rispettato quello colombiano, e chiediamo che si rispetti il nostro. Ogni legge che il governo colombiano avesse intenzione di emanare in riferimento a noi dovrebbe ricevere la nostra approvazione. Chiediamo di avere la possibilità di scegliere i nostri capi come abbiamo sempre fatto. Chiediamo di essere interpellati prima di autorizzare chicchessia ad entrare nella nostra terra. Non vogliamo che altri bianchi vengano a depredare i nostri luoghi sacri, a guardarci come uno spettacolo per turisti o a lavorare qui senza il nostro consenso. Abbiamo sempre desiderato vivere in pace secondo le nostre tradizioni. Abbiamo sempre sperato che i bianchi, i nostri fratelli minori, avrebbero capito il nostro punto di vista e avrebbero collaborato con noi. Ma adesso sono passati molti anni e tutto ciò che l’uomo bianco ha fatto è stato cercare d’imbrogliarci.

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restituiti – ma ciò non è mai avvenuto. Dobbiamo riavere la terra che Kaku Serankua ci ha lasciato perché è nostra madre, la fonte della nostra vita e del nostro sostentamento. L’uomo bianco ne ha abusato. Dobbiamo riavere la terra perché ne abbiamo bisogno per vivere. È sacra, e attraverso di lei i mamo mantengono l’ordine dell’universo: un ordine fondato sull’uguaglianza e la sopravvivenza di tutti gli uomini. Dobbiamo riavere nostra madre per poter conservare la nostra cultura e le nostre tradizioni, e per difenderci dall’uomo bianco che chiude intorno a noi un cerchio ogni giorno più stretto: ci spinge in zone sterili come fossimo maiali, chiusi in recinti per ingrassare. Non abbiamo fiducia nelle leggi dell’uomo bianco e non speriamo di ottenere nulla da lui. L’unica cosa che siamo riusciti ad avere sono promesse mancate e bugie – le sue leggi hanno sempre sfruttato gli Indiani.


Survival, il movimento Il lavoro di Survival è iniziato nel 1969 in un seminterrato di Londra, dove un pugno di volontari condivideva l’angusto spazio con altre piccole associazioni. Da allora, è stata fatta tantissima strada. All’epoca, i problemi maggiori dei popoli indigeni erano gli stermini di massa, la schiavitù, le epidemie e la disperazione di vedere improvvisamente cancellato il proprio universo nella quasi totale indifferenza del resto del mondo. Oggi, ovunque abitino, molti popoli tribali continuano ad essere privati dei mezzi di sussistenza e costretti a cambiare vita; le loro terre restano invase da coloni, minatori, tagliatori di legna; i loro villaggi inondati da dighe e spazzati via da allevamenti di bestiame o parchi turistici. Tuttavia, l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei loro confronti è radicalmente cambiato. Laddove quarant’anni fa l’assimilazione e l’estinzione dei popoli indigeni venivano date per scontate ed erano giudicate solo come un doloroso ma inevitabile prezzo da pagare nel nome del progresso, oggi in molti hanno cominciato a riconoscere l’inalienabilità dei loro diritti e il valore delle loro culture. Gli ostacoli da superare restano tantissimi: l’avidità, la miopia, il razzismo e le dittature. Ma le persone decise a lottare per aiutare i popoli tribali a mantenere il loro posto nel mondo e a determinare autonoma-

mente il loro futuro, sono sempre più numerose. È probabilmente questo il successo più importante raccolto sinora da Survival o, meglio, dai popoli indigeni stessi con il sostegno di migliaia di persone da ogni parte del pianeta.

Un’organizzazione mondiale Con sedi e centri di supporto in vari paesi europei tra cui Regno Unito, Francia, Italia, Spagna, Germania e Olanda, Survival lavora perché vengano riconosciuti ai popoli indigeni i loro diritti fondamentali contro ogni forma di violenza, persecuzione e genocidio; produce materiali didattici e informativi per la conoscenza e la valorizzazione delle culture tribali e porta nelle scuole laboratori di educazione alla diversità e alla pace. Per il suo impegno umanitario in tutto il mondo, nel 1989 ha ricevuto il Right Livelihood Award, noto come Premio Nobel Alternativo. Per mantenere la sua indipendenza, Survival non accetta finanziamenti da nessun governo o partito politico. Le sue attività vengono finanziate esclusivamente dalle quote associative dei suoi membri, dalle donazioni dei sostenitori e dai proventi delle attività di raccolta fondi gestite dai volontari. Survival ha soci in oltre 80 paesi del mondo e produce materiali informativi in 11 lingue. Tra i suoi sostenitori ci sono il Dalai Lama, Claude Levì-Strauss,

Richard Gere, Colin Firth, Peter Scott e Julie Christie. In Italia, tra gli altri, Pino Insegno, Riccardo Muti, Ottavia Piccolo e Claudio Santamaria.

Campagne Survival non sostiene la teoria della conservazione dei popoli tribali in uno stato “originario”, né lavora perché essi vivano “protetti” come animali in uno zoo o reperti archeologici in un museo. Vuole semplicemente che il mondo intero riconosca i loro diritti: alla sopravvivenza fisica e a quella culturale, al l’autodeterminazione, alla proprietà delle terre ancestrali. Survival vuole che i popoli tribali siano messi nella condizione di decidere autonomamente del loro futuro e dell’utilizzo delle loro risorse. Il lavoro di Survival si fonda su contatti personali e diretti con centinaia di comunità tribali e si prefigge di conseguire solo quello che i popoli indigeni stessi vogliono o chiedono. A questo scopo, Survival lancia campagne di informazione e pressione in ogni parte del mondo. Attualmente sta seguendo 80 casi specifici, distribuiti grosso modo in 40 paesi diversi, dando priorità ai gruppi che hanno contatti molto limitati con il mondo esterno e non sono rappresentati da nessuna organizzazione. Sono proprio questi, infatti, i popoli più vulnerabili di tutti.

Una volta verificata una situazione d’emergenza e adottato un caso, Survival organizza conferenze stam pa, produce ma teriali informativi e invia a tutti i suoi soci i Bollettini d’Azione Urgente in cui, accanto alla descrizione del problema, chiede ai lettori di scrivere lettere di protesta ai responsabili dei massacri e delle devastazioni. Il fiume di lettere che giunge da ogni parte del mondo agli uo mini politici e alle aziende interessati, costituisce uno degli strumenti di cambiamento più efficaci.

Sostegno, non assistenzialismo Oltre che visitare regolarmente le comunità indigene, Survival incoraggia i popoli tribali a portare il proprio messaggio al resto del mondo, organizza per loro incontri pubblici e privati e finanzia i loro viaggi. Non fa assistenzialismo, ma aiuta le organizzazioni indigene a svilupparsi in modo autonomo fornendo loro la consulenza tecnica e legale necessaria per poter conoscere e capire il mondo esterno, gli assetti politici e sociali dei diversi stati e le leggi che li riguardano. Traduce i documenti internazionali nelle lingue indigene e mette in comunicazione fra loro i gruppi minacciati dagli stessi tipi di problemi. In casi di grave emergenza medica (per esempio, di fronte al diffondersi di malattie verso cui i popoli tribali non hanno difese immunitarie), Sur-


per i popoli indigeni

Lobbying Survival preme per il varo di leggi sempre più efficaci nella protezione dei diritti dei popoli indigeni e invia regolarmente dei rappresentanti alle Nazioni Unite dove riveste un ruolo consultivo

Didattica Il mondo è un crogiolo di culture e società differenti. Considera re q u e s t a d i ve rs i t à c o m e un’opportunità e non come un ostacolo significa non solo combattere il razzismo e promuovere la tolleranza, ma anche difendere i beni più preziosi che ab biamo: il nostro pianeta e la nostra umanità. Allo scopo di promuovere una cultura della partecipazione e del rispetto degli altri, Survival propone alle scuole italiane una serie di strumenti interdisciplinari dal titolo riassuntivo “A Scuola di Mondo con i Popoli Indigeni”. Tali iniziative, in linea con la didattica più innovativa, comprendono kit e laboratori multimediali volti anche a mettere in luce gli infiniti legami che uniscono gli uomini tra loro e all’ambiente che li circonda, risvegliando il senso di responsabilità verso tutti gli esseri viventi e la consapevolezza della possibilità di partecipare in prima persona alla costruzione di un mondo più equo e sostenibile.

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Sensibilizzazione Survival crede che la forza più efficace per un cambiamento durevole sia la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Per questo, ogni giorno, dai suoi uffici escono numerosi materiali informativi: bollettini, newsletter, pagine web, rapporti e video sui problemi dei popoli tribali e sui loro stili di vita. Alla produzione dei materiali informativi e didattici di Survival International collaborano tutti gli uffici europei dell’organizzazione e molti gruppi indigeni ad essa collegati. Grazie a ciò, i popoli nativi hanno l’opportunità di raccontarsi in prima persona e di testimoniare direttamente la profondità e la ricchezza delle loro culture.

come organizzazione non-governativa accreditata. Esercita pressioni sui governi, incontra gli uomini politici e partecipa a conferenze in tutto il mondo per portare i problemi dei popoli tribali all’attenzione internazionale. I soci organizzano presidi e manifestazioni davanti alle ambasciate dei paesi in cui i diritti dei popoli tribali vengono calpestati.

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vival finanzia piani di assistenza sanitaria che, dove possibile, vengono gestiti direttamente dagli indigeni; sostiene, inoltre, progetti su piccola scala che i popoli tribali elaborano autonomamente come, per esempio, la fondazione di scuole indigene bilingue.


Non dubitate mai che un piccolo gruppo di persone sensibili e risolute possa cambiare il mondo. In effetti, la loro determinazione è l'unica forza che l'abbia mai cambiato. Margaret Mead


Il progetto 2008. Ilo169, il budget


La Convenzione ILO 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali è stata adottata nel 1989 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), un’agenzia delle Nazioni Unite. La Convenzione riconosce ai popoli indigeni un insieme di diritti fondamentali, essenziali alla loro sopravvivenza, tra cui i diritti sulle terre ancestrali e il diritto di decidere autonomamente del proprio futuro. Attualmente, la Convenzione costituisce l’unico strumento legislativo internazionale di protezione dei diritti dei popoli indigeni. Ratificandola, gli stati si impegnano a garantire in modo efficace l’integrità fisica e spirituale dei popoli indigeni e a lottare contro ogni forma di discriminazione nei loro confronti. È cruciale che la Convenzione venga firmata dal maggior numero di nazioni del mondo, incluse quelle europee. Anche se non hanno popoli tribali all’interno dei propri confini, infatti, le azioni dei governi di paesi come l’Italia hanno comunque un impatto diretto sui popoli indigeni, non solo in quanto membri di istituzioni internazionali che interagiscono con essi, come la Banca Mondiale, ma anche attraverso i progetti di cooperazione allo sviluppo e la partecipazione ai finanziamenti e alle iniziative sostenute dall’Unione Europea. Nelle terre tribali, inoltre, si trovano sovente ad operare aziende europee e italiane, private, statali o co-finanziate dallo stato. In Italia esistono già da tempo alcuni progetti di legge assegnati alle Commissioni Esteri di Camera e Senato che, però, non sono mai stati discussi. Data l’estrema gravità delle violazioni dei diritti umani che molti popoli indigeni stanno ancora oggi vivendo in tanti paesi del mondo, l’Italia dovrebbe ratificare la Convenzione al più presto. La sua adozio-

ne, infatti, non costituirebbe solo un doveroso atto di solidarietà verso chi continua a vedere conculcati i propri diritti fondamentali; al contrario, porterebbe loro un aiuto concreto e immediato. La Convenzione esiste già da vent’anni (dal 1989), tuttavia, i paesi che sino ad oggi l’hanno ratificata sono solo 20: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Danimarca, Dominica, Ecuador, Fiji, Guatemala, Honduras, Messico, Norvegia, Paesi Bassi, Paraguay, Perù e Venezuela. A questi si sono aggiunti recentemente la Spagna – grazie a una campagna di Survival – Cile e Nepal. Attraverso il Xmas Project vi chiediamo di aderire concretamente all’iniziativa compilando (possibilmente completa di tutte le firme) e inviando a Survival la petizione inserita a pagina 102 di questo Librosolidale.

Le principali attività e campagne nelle quali è attualmente impegnata Survival: Il progresso può uccidere Parlando di progetti d’integrazione e sviluppo dei popoli indigeni, spesso i governi pretendono di agire nell'interesse delle popolazioni coinvolte. In molti paesi, e specialmente in Asia e in Africa, è percezione diffusa che i popoli tribali siano “primitivi" e “arretrati", e che si debba necessariamente imporre loro un altro stile di vita, se necessario anche con la forza. Al di là della presunta buona o cattiva fede dei suoi fautori, quel che è certo è che il nome del progresso è servito ovunque a giustificare sia il furto delle terre dei popoli indigeni sia le violenze perpetrate nei loro confronti, e che gli effetti del cambiamento forzato sono sempre devastanti: povertà, malattie, malnutrizione, alcolismo, depressione, suicidi e morte. Con

il sostegno di Xmas Project, Survival Italia vorrebbe sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sul tema mostrando che rispettare i diritti territoriali dei popoli tribali è di gran lunga il modo migliore per assicurare loro benessere e autosufficienza. Popoli incontattati Oltre 100 tribù, in ogni angolo della Terra, hanno scelto di isolarsi dal mondo esterno. Sono i popoli più vulnerabili del pianeta. Molti di essi vivono in fuga costante, per sfuggire all’invasione delle loro terre da parte di coloni, taglialegna, esploratori petroliferi e allevatori di bestiame. Spesso, hanno visto morire amici e parenti, colpiti da malattie introdotte dall’esterno o massacrati impunemente dagli invasori. Survival ha recentemente realizzato un DVD in lingua inglese che racconta le loro storie. Grazie a Xmas Project, vorremmo pubblicarne un’edizione italiana e lanciare una campagna di comunicazione sul tema in tutto il territorio nazionale. ConTatto Non sempre il contatto genera amicizia o arricchimento reciproco. Troppo spesso, al contrario, significa sopraffazione, imposizione di un solo modo di intendere lo sviluppo, i diritti, la civiltà. Ma imparare a camminare sulla Terra in punta di piedi e agire con lungimiranza e con tatto è possibile, e lo si può fare anche divertendosi! È questo il presupposto con cui Survival ha confezionato un pacchetto di iniziative didattiche che si prefiggono di sensibilizzare i più giovani al dialogo con le altre culture e alla salvaguardia degli ecosistemi e della diversità. Con l’aiuto di Xmas Project, Survival vorrebbe poter continuare il suo importante lavoro educativo nelle scuole italiane di ogni ordine e grado e, in particolare, raggiungere nel corso dell’anno scolastico 2008-2009 almeno 200 nuove classi di Milano e provincia.


LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DEI POPOLI INDIGENI Il 13 settembre 2007, dopo oltre vent’anni di difficili negoziazioni, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha finalmente adottato la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni con una maggioranza schiacciante: 143 voti a favore e 4 contrari. Durante l’ultimo anno, l’Italia ha assunto l’importante ruolo di sponsor della Dichiarazione, cioè di Stato personalmente impegnato a promuovere l’adozione della Dichiarazione attraverso la negoziazione con quelli contrari. Coerentemente con l’impegno dimostrato nei confronti di questo tema, il Governo italiano dovrebbe ora ratificare al più presto la Convenzione ILO 169, l’unica oggi in grado di dare concreti strumenti giuridici alla tutela dei diritti dei popoli indigeni del mondo finalmente

riconosciuti e sanciti anche dalla Dichiarazione. Per quanto importantissima, infatti, la Dichiarazione Onu resta solo un’enunciazione di principi e ai governi che decidessero di ignorarla non potrà essere inflitta nessuna sanzione. La 169, invece, è vincolante per tutti i paesi che la ratificano e quindi ha il valore di legge.

LA CONVENZIONE UNESCO SULLE DIVERSITÀ CULTURALI Il 31 gennaio 2007, l’Italia ha ratificato la Convenzione UNESCO sulle diversità culturali impegnandosi a difenderle e a promuoverle nel pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. L’adozione della Convenzione ILO 169 costituisce il modo migliore per ottemperare agli impegni assunti anche in tale settore. I popoli indigeni e tribali, infatti, i popoli più minacciati del mondo, sono il simbolo per eccellenza della diversità umana e culturale; una diversità che può però sopravvivere solo se vivono gli uomini che l'alimentano.

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La Convenzione ILO 169 è un’iniziativa coerente con...

Ilo 169 Compilazione e circolazione di un dossier tematico in Senato e Parlamento italiani. Mobilitazione dei media e dell’opinione pubblica, raccolta firme, lobbying presso le istituzioni.

10.000 euro

Pagine web dedicate, traduzione, stampa e distribuzione di un dossier monografico a istituzioni e organi competenti, lancio campagna di comunicazione sul tema in tutto il territorio nazionale.

4.500 euro

Popoli incontattati Traduzione e realizzazione di un DVD monografico da inviare ai sostenitori e ai media. Progettazione e lancio campagna mediatica.

5.000 euro

ConTatto Selezione, formazione e gestione di 3 operatori volontari, attivi per tutto l’anno scolastico. Realizzazione del laboratorio interculturale gratuito “Io mi chiamo Guiomar, e tu?” in almeno 200 nuove scuole di Milano e Provincia, promozione e distribuzione del kit ConTatto.

15.000 euro

Poster Azione Progettazione, stampa e distribuzione ai sostenitori di Survival di un poster dedicato ai 40 anni di attività di Survival, finalizzato alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui casi di violazione più gravi del momento e alla partecipazione attiva alle campagne urgenti.

15.500 euro

Azioni e budget

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Il progresso può uccidere


www.survival.it


Survival Italia

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Via Morigi 8 20123 Milano – Italia T (+39) 02 8900671 F +(+39) 02 8900674 info@survival.it


I vostri pensieri, le vostre storie, le vostre immagini. I vostri nomi. Il cuore del Librosolidale.

Noi, Xmas Project 2008


Io sono! Ognuno di noi ama, odia, vive e spera: al di là del colore della pelle, dei vestiti che indossa, della lingua che parla. Ognuno di noi ha diritto a sognare un futuro, a determinare la propria esistenza, a battersi per piccoli e grandi progetti. Ognuno di noi è quindi unico e irripetibile: al di là di dove e come viva. Quest’anno vi chiediamo di raccontarci e di confidarci una piccola parte della vostra identità. Cosa siete? Per cosa vi alzate la mattina? Che cosa sognate? Non vi chiediamo i grandi ideali, ma di esprimere sinteticamente quello che vi sembra essere il senso della vostra esistenza di tutti i giorni. Quello stesso senso che popolazioni indigene di tutto il mondo vogliono preservare, nonostante ci sia chi tenti di omologarli o annientarli. Con l’avvicinarsi del suo 40° anniversario, Survival ha lanciato un’importante campagna internazionale. Come simbolo della sua campagna ha deciso di “raccogliere” le mani dei suoi sostenitori. Da decine di migliaia di anni l’uomo lascia tracce di sé con le impronte delle mani. È da sempre il modo più semplice, evidente, universale ma al tempo stesso personale, di dichiarare la propria esistenza. Ed è anche il gesto, quello di alzare le mani, che tanti indigeni hanno fatto inutilmente e coraggiosamente di fronte ai bulldozer che devastavano le loro terre. Ecco perché Survival usa le mani come simbolo della sua attività a favore dei popoli indigeni più minacciati della Terra. Oltre che a sancire il valore assoluto di ogni vita umana, le vostre “mani”, tutte insieme costituiranno una semplice ma potentissima dichiarazione di unità e di solidarietà. “Ogni volta che vedo quelle due grandi mani sono felice!” Leader indigeno, Tanzania.


Noi siamo... queste orme impresse sulla sabbia australiana. Noi siamo la nostra vita quotidiana con i momenti meravigliosi ed esaltanti, quelli terribili e difficili. Noi siamo i nostri due meravigliosi bambini per i quali ci svegliamo ogni mattina con sempre più energie e voglia di crescere insieme a loro. Io sono con te e tu con me. Alessandra e Sergio Febbi

EMMA BRUNO...

.... E LA MIA MANINA

ALESSANDRA E SERGIO FEBBI

ALICE RUBY RHIANNON

Io sono! La forza della ragione ovvero riflessioni su pensieri sempre attuali. “Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del PIL. Il PIL comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai bambini. Cresce con la produzione di missili e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione. Non comprende la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere e l’onestà dei pubblici dipendenti. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione né la devozione al Paese. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta.” Da un discorso di Robert Kennedy agli studenti dell’Università del Kansas nel dicembre 1967. Pochi mesi dopo Robert Kennedy fu assassinato.

Claudio Covini


IO SONO finalmente arrivata all’orario d’uscita… IO ora SONO con le mie bambine e mi godo i loro sorrisi, i loro giochi, il loro ESSERE! IO SONO felice, IO SONO una persona… IO SONO al mondo e nel mondo! Io ringrazio Dio per esserci! Federica (e MassiMatiGioia!)

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IO SONO IO SONO addormentata! IO SONO sveglia! IO SONO al tavolo della colazione, IO SONO pronta per addentare la mia fetta con la marmellata! IO SONO una mamma, e preparo le mie bambine per la loro giornata! IO SONO finalmente pronta e usciamo tutti insieme! IO SONO sul tram, ed eccomi in ufficio…

ANDREA MARCHETTI

MARIA BORRELLI

FEDERICA E MASSIMATIGIOIA!

NATALIA SCHIAVON

Io sono un mistero Io sono un mistero… proprio come voi! Nessuno si conosce e ci conosce fino in fondo. Sono i miei figli, i miei amori, le mie passioni, la mia famiglia d’origine, i miei parenti e i miei amici, le persone che incontro e dalle quali imparo qualcosa. Sono felice di svegliarmi ogni mattina, poi mi arrabbio quando le cose che mi circondano non vanno come dovrebbero. Mi interessa anche il benessere degli altri, non solo il mio. Non voglio coltivare un orticello alla fine del mondo e vedere il mio prossimo in difficoltà… Dobbiamo soffermarci tutti a pensare un po’ di più al bene comune e non solo al nostro; soprattutto ai bambini che rappresentano il nostro futuro. Maria Borrelli


INNANZITUTTO IO SONO? Vivo in una grande città composta chimicamente da azioni, che calcola l’umanità in funzione del tempo di cui si dispone e il tempo è sempre meno. E quanto misurano le mie iniziative? È un calcolo percettivo. Non conosco la distanza dal punto in cui mi trovo al resto delle cose. Lo credevo ma era un illusione. Fin da quando ho preso coscienza delle mie azioni ho pensato di agire in funzione delle mie necessità e il risultato che ne derivava era il giusto premio alla mia iniziativa. Ora però c’è qualcosa di profondamente diverso. Veniamo preparati superficialmente all'accettazione di una sorte da spartire, si procede verso un destino, uno qualunque e mentre avanziamo non vedo preoccupazione per il proprio “sé”. C’è una cultura che ci prepara a cogliere il benessere, rispettando i principi che il contesto da cui veniamo ci insegna, eppure non c’è nessuna dottrina pratica che adotti la nostra anima, non c’è una vera preparazione a “essere” se non attraverso quello che facciamo e decidiamo. Se capiamo qualcosa di noi lo dobbiamo, tardi, in funzione al curriculum della nostra esistenza. Sento intorno a me la straordinaria importanza che viene data alle cose, ai fatti e la mancanza assoluta di un riferimento per giudicarci: “È simpatico”, “è antipatico”, “è un cretino”, “è un grande” ma l’unità di misura delle nostre sensazioni resta banale e mai rinnovata. Mi manca… sapere chi e cosa siamo, parlare di noi, andare a fondo senza temere il confronto. Ci teniamo nascosti invece e lodiamo chi non parla di se e non parla degli altri, come fosse un merito celarsi e mandare avanti l’ipocrisia di poche frasi di rappresentanza, che funzionano da ambasciate delle nostre identità. Invece ci si può appassionare a se stessi senza diventare autoreferenziali. Come può bastarci sapere quel poco che conosciamo di noi e ancor meno quello che sappiamo degli altri? Come mai veniamo educati ad essere così timidi verso noi stessi? Ci si affanna e si lascia vorticare, in una vita che è un afflato, ad una velocità che detta la coscienza. Ma vorrei avere il coraggio di fermare chi conosco e ridisegnare insieme il modo di essere. Per ora l’inquieto vivere che leggo, proviene dal fatto che noi agiamo e pensiamo ma non abbiamo il tempo e la cultura per sapere chi siamo. Se la vita è un grande pensiero fissato in giovinezza e tradotto in pratica, allora vorrei che quel grande pensiero fosse condiviso ogni giorno per poter dire finalmente: io sono. Lapo De Carlo

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ERICA BROVELLI

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Io... io sono... Io... io sono bella e sono brutta, simpatica e odiosa, amabile ed indisponente... io sono sicura e sono dubbiosa, tenace e fragile, sono le nuvole e sono il sole, la gioia e il dolore... SONO TUTTO E MAI NIENTE! Erica Brovelli


Io sono alfabeticamente... asino battezzato comunicativo dubbioso efficace fiorini gioioso hiker insistente lavoratore matteo nauseato ostinato papà quasicontinuo ragionevole sovrappeso tifoso ultrarapido… verace zuccone. Matteo Fiorini

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DAVIDE VOLPI

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Io sono una ragazzina fortunata. Mi sveglio sorridendo, felice di andare a scuola, stare con i miei nuovi prof., con i compagni e vedere chi mi piace. Ogni mattina Dinka – la mia cucciolosa – mi fa un sacco di feste. Io vorrei arrivare a scuola sempre prima del suono della campanella per fermarmi a chiacchierare fuori dal portone. Il problema a quell’ora è papà. Prima che sia pronto per uscire di casa passa una vita. La parola d’ordine è “ma non sei ancora pronto?” La mamma in compenso ripete sempre le stesse cose “hai lavato i denti? Ti sei pettinata?”. Non so come sarò da grande ma dovrò stare ben attenta a non diventare come loro! Lara Cimmino Io sono Davide Io sono Davide, un ragazzo di 11 anni che gioca, ride, scherza e si diverte, pensando che sia normale. Perché a loro viene negato? Non solo gli viene negato, li portano nelle riserve, oppure li uccidono. Questo solo per due diamanti e due pezzi di legno. Uomini primitivi? NO! Siamo NOI che abbiamo l’intelligenza di un Australopiteco! Davide Volpi

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GABRIELE DOZZINI

Sono. Sono un figlio del caso e dell’amore; vivo d’ufficio e di maree, graffettando secondo a secondo. Amo: la bruma, l’odore dell’erba strappata, dormire in aereo, le rocce lisce, le donne verdi, almeno cinque persone, il color vinaccia, i romanzi d’esordio, i romanzi di commiato, i divani morbidi, la luna rossa, le piccole bugie bianche, le medie bugie grigie, il fuoco di legno d’abete, i ponti tibetani, i tibetani, il collo dei gatti, le canzoni partigiane, le persone stanche, le copertine dei libri antichi, le macchine da scrivere del secolo scorso, il secolo scorso, il giorno a venire, i sogni degli altri, le scuse fantasiose, le cozze gratinate, la scienza di confine, i confini, i con, i fini irraggiungibili, le coccinelle, la musica ispirata, le muse inconsapevoli, i riflessi, i vecchi, i vestiti delle maestre. Invidio chi conosce le ragioni della terra. Anelo all’eternità moderata o a far crescere un fiore. Dal seme. Gabriele Dozzini

IO SONO Padre di Marito di Figlio di Parente di Amico di Ex compagno di Collega di Terapeuta di Io sono le mie relazioni. Filippo Marconi FILIPPO MARCONI

IO SONO... Per poter usare le mani e averle libere è necessario avere piedi ben radicati, appoggiati su questo mondo, per spiccare voli... Mauro Ferrero

MAURO FERRERO


Io sono Io sono perché non dimentico Io sono perché vivo Io sono perché spero

Io sono! Chi sono? Non è una domanda retorica: se io vivessi da sempre e senza mai aver avuto contatti con alcuno, là, su un atollo corallino sperduto nell’immensità dell’oceano; fossero miei i più dolci frutti della terra; godessi dei giorni più calmi e sereni, le più serene stellate notturne; venissero da me gli uccelli più colorati e canori, le farfalle più splendenti, le più miti creature dei cieli e dei mari, ancora non saprei chi io sono. Fino a quando, da un folto di cespugli non sbucasse all’improvviso, e miracolosamente, un solitario Venerdì, come quello che apparve un giorno a Robinson Crosue naufrago sulla sua isola deserta, e, avvicinandosi a me con cautela e timidezza, disarmato, incominciasse a guardarmi con occhi simili ai miei (da me scorti a volte nello specchio di una calma fonte), e con mani simili alle mie mi sfiorasse il viso, e, curioso, imitasse i miei gesti, articolasse suoni simili a quelli che io provassi ad articolare con lui, soltanto allora io potrei incominciare a capire chi sono, chi siamo. E abbracciandolo, potrei esclamare con lui le mie prime parole “Tu Uomo! Tu fratello mio!” Bruna Dell’Agnese

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Natale 2008 Agnese Consonni

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EMMA BIRAGHI

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TOMMASO E FILIPPO BOTTIN

RAIMONDO GISSARA

GIACOMO LOTTI

Sono mamma, moglie, impiegata, amica, figlia, sorella e zia, cittadina, elettrice, abitante della terra. Ogni giorno mi sveglio e spero di potere (e potermi) dare abbastanza a Veronica e alla figlia che verrà, di avere sempre Stefano al mio fianco e di condividere sempre con lui le gioie e il senso della vita, di continuare a trarre soddisfazione dal mio lavoro e di potermi sempre migliorare, di riuscire ad alimentare quella rete di relazioni che è gran parte del mio essere, di vivere responsabilmente questa città, di essere informata a sufficienza per poter valutare e scegliere, di dare un senso al mio essere in questo mondo e di riuscire a sognare e immaginare desiderabile il mondo che verrà. La sera vado a letto, ma in genere sono troppo stanca per fare il bilancio di tutto quello che ho sbagliato... e , in tutta onestà, il mio unico pensiero è la vana speranza che Veronica dorma… Sogni d’oro. Elena Salvi


Io sono!

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Non so se avete presente ente una soffitta, se ci siete mai saliti su una soffitta... soffit magari quella della casa dei nonni, onni, che poi è diventata dei vostri genitori, e poi è diventata la vostra casa... e la vostra ra soffitta. s Non so se avete presentee quante cose diverse ci si possono trovare, scatole grandi e c qualcuno si afpiccole, credenze, cassoni che da qualche generazione aspettano che d ntro Non so se vi siete mai affacciati alla porta di facci a quella porta per curiosare lì dentro. una soffitta e vi siete avventurati dentro e avete accesso le luci e, armati di una scopa e buona volontà, vi siete messi a ripulirla. Quello che potrebbe essere visto come un banale lavoro di casa diventa un vero e proprio viaggio nel quale si incontrano tempi e culture diverse: ogni oggetto è diventato l’impronta che qualcuno ha lasciato dietro di sé e che rappresenta un pezzo di vita, di storia individuale e collettiva. E simili impronte le ritroviamo altri, nelle scelte che mo nel modo in cui ci rapportiamo agli al facciamo quotidianamente, lavoro mi capita te, in come crescono i nostri figli. Con il mio la sovente di soffermarmi,i, insieme ai miei clienti, su come questi segni ssi evidenzino e contribuiscano a crearee bolle di ggioia e bolle di dolore che, in continua sinergia, determinano la nostra crescita cita e quella l di chi viene dopo di noi. “SONO”... io sono un atleta, io sono un medico, io sono psicologa, io sono un imn una psicolog prenditore... ci identifichiamo hiamo e ci facciamo identificare quotidianamente quotidianame sulla base delle cose che facciamo e dellee posizioni che occupiamo occup amo nellaa società... uun po’ meno accade invece che ci interroghiamo più profondamente sulla nostra identità, à sulle emozioni che viviamo e sulle piccole e grandi nostre paure e desideri... di passioni che ci travolgono, le nost su ciò che davvero sono e non faccio, dico, conosco… seppur la mia identità sia fatta anche di questo e di tanto sono un nto altro. E allora potremmo invece arrivare a dire... d simpaticone, sono un romantico, sono debole, sono allegro, sono bello bello, sono brutto... La cosa divertente, è che mi accorgo che quello che io sono lo sono diventata attradi verso una quantità di ruoli, situazioni, esperienze che non sempre rapp rappresentavano quello che ero... ma è proprio roprio grazie alla diversità, all’alterità dell’altro sconosciuto, che sono arrivata a riconoscermi scermi nella mia identità... per ora!!! Quando lavoro, nel mio studio insieme nsieme ai miei clienti, clienti suggerisco suggerisc loro di provare a pensare in che modo sarà diversa la loro vita nel momento in cui arriveranno ad essere vee no già... sì sembra un bel giochino di pa esattamente ciò che sono parole!! E iinvece è che hera che ci siamo messi non viene più via. E allora al o non è male troppo spesso la maschera ardare in uno specchio virtuale, capace di riflet fermarsi un attimo e guardare riflettere contemVe poraneamente passato, presente e futuro, la propria vera faccia. Vedere in che modo olta una mia cliente che si vestiva ormai da anni solo ed esclusisaremmo vestiti. Una volta s è vista sta in quello specchio con un allegro abito a fior vamente di nero, si fiori. Dopo un paio avesse fatto per tutta la sua vita, è arrivata con una maglia e di settimane, come se l’avesse ori sgargianti. Così, non siamo veramente sempre come siamo abituati una gonna di colori a vederci! Anche il fatto stesso che io stia scrivendo queste parole che forse qualcuno arte della mia storia, della mia identità e di ciò che sono si soffermerà a leggere fa parte nche della storia di chi queste righe le legge. Io ogni tanto in ora e forse farà parte anche sco sempre con qualcosa che mi torna utile! soffitta ci vado, e ne esco Lara Bellardita

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“L’importante non è quello che hanno anno fatto di me, ma ciò che io faccio di ciò ch che hanno fatto di me” J.P. Sartre (1966)


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IO SONO! È difficile in questo momento dire chi sono e trovare un senso... sembra che ogni cosa giri intorno a me ed io rimanga ferma sempre nello stesso punto. Posso essere energia, gioia e felicità ma anche tristezza, malinconia e solitudine. Sto ancora cercando un senso alla mia vita, sto ancora cercando di capire dove questa “folle” vita mi sta portando e ogni tanto percepisco di essere decisamente in ritardo. Oggi sono quello che sono con i miei pregi e difetti, ma sono anche quello che sono grazie a mio padre e mia madre; due persone straordinarie che mi hanno sempre fatto capire come al di là di ogni cosa materiale, la cosa più importante sia sempre l’amore, quell’amore incondizionato, viscerale, gratuito, sempre pronto a riscaldarti nei momenti più critici, quell’amore sul quale si può sempre contare. Con l’amore è possibile superare qualsiasi ostacolo, qualsiasi barriera; con l’amore si gioisce di ogni cosa... Ecco allora quello che voglio essere: voglio essere amore per tutte quelle persone che incontro ogni giorno, che magari mi sfiorano appena, o che magari hanno intersecato la mia vita solo per un istante; voglio essere amore per i miei amici, nipoti e fratelli e soprattutto, anche se non lo dimostro spesso, per i miei unici ed impareggiabili genitori, Evi e Armando.

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IRENE CAMILLA LUCIA FIORINI

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Io, citando le parole di un gruppo inglese a me molto caro, mi sento soltanto di dire che, ogni giorno, “the sun is the same, in a relative way, but you’re older, shorter of breath and one day closer to death”.

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IO SONO! Ho riletto più volte il “tema” di quest’anno, tema difficile, molto personale e molto comune allo stesso tempo: si chiede di “dire cosa siamo, per cosa ci alziamo la mattina” e fin qui la risposta sembra possibile. Preso singolarmente ogni giorno è diverso dall'altro e contiene una sua possibile storia, un motivo per cui vale la pena di buttarcisi dentro, anche se si tratta semplicemente di vedere “se finalmente questa mattina sulla tangenziale c’è meno traffico”... Ma l’ultima parte della traccia, quella richiesta di “esporre il senso dell'esistenza di tutti i giorni”, sinceramente mi sembra davvero ardua. Il senso di tutti i giorni vuol dire il progetto complessivo, globale di tutta l'esistenza, quel progetto al quale ogni singolo giorno dovrebbe dare il suo contributo... beh sinceramente ammiro chi può dire di avere un tale progetto, sia esso di tipo personale, lavorativo, religioso.

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Eurologos Milano supporta e diffonde il Xmas Project 2008


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Capricorn icorn supporta e diffonde il Xmas Projectt 2008


CHIARA, ALBERTO, ELENA, MICHELA E DARIO REGAZZONI

"Io sono"... difficile per i bambini definirsi, difficile per gli adulti leggersi dentro... Siamo indaffarati, siamo di corsa, siamo distratti, siamo concentrati, siamo informati, siamo disinformati, siamo preoccupati, siamo utopisti, siamo ottimisti, siamo curiosi, siamo seri, siamo sorridenti, siamo emozionati, noi siamo una famiglia felice, e ci auguriamo che sempre più persone possano esserlo... Chiara, Alberto, Elena, Michela e Dario Reg Regazzoni

APARTHEID Può darsi che un giorno / Può darsi che un giorno Perché è necessario che un giorno un giorno… Noi abbasseremo le nostre armi Ma non abbasseremo i nostri cuori Armadou Lamine Sall

EX ALUNNI QUARANTENNI SCUOLE ELEMENTARI DI S. MARCO DI BORGOMANERO

Vorrei tanto che una briciola di me fosse rimasta impigliata nelle mani dei miei 100 e più scolari. Paola Masini

TOMMY AGRATI, il manolesta


NATHALIE LASTELLA

Io sono Non so più bene chi ma io sono ancora in piedi, ostinatamente, contre vents et marées. Da piccola mi alzavo la mattina con la voglia di giocare e sperimentare, adolescente e giovane adulta con la sete di scoprire nuovi mondi e pensieri. Ora donna matura mi alzo perché DEVO. Ogni mattina apro gli occhi e so che mi aspetta una nuova battaglia da combattere per continuare a stare in piedi e guardarmi allo specchio la sera con la speranza che i mattoni che ho posato durante la giornata sono quelli giusti perché la mia casa continui ad essere solida. Solitaria per natura e sola per scelta, nomade – se non più di fatto, almeno di testa e di cuore – la Terra è la mia terra. Simile al giunco che si piega ma non si rompe, è dalle mie radici e ricordi – illusioni e disillusioni, vittorie e sconfitte, gioie e pene – che attingo la mia forza. Una forza che diventa la linfa vitale che, ogni giorno, mi consente di fare sbocciare fiori e frutti sani, belli e gioiosi dalle mie battaglie da donna, da madre, da amica, da sorella, da lavoratrice, da cittadina... semplicemente da persona che cerca, in un mondo caotico ed ostile, di salvaguardare la sua integrità e libertà per raggiungere un’inaccessibile stella.

Noi siamo... gocce d’acqua che scendono dal cielo e si avvolgono in un tornado di fave. Veronica Capellupo

ALBERTO COMETTO

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VERONICA_SUSANNA_STEFANO CAPELLUPO

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Nathalie Lastella


SIMONE_ALESSIA_LUCA PORTOCHESE

MARGHERITA, SARA E DARIO BERTOLESI

EMMA COMETTO

CLAUDIA TADDEI

VERONICA DIGIUNI

NADIA PALOMA

CARLOTTA VOLPI E AMALIA CONTI

RINO CIMMINO

IL FRANCIULLI


IO SONO Poche ore dopo aver letto il tema di quest anno del Xmas Project mi sono ritrovata tra le mani un nuovo libro la cui introduzione citava: „The Davil, I safely can aver, has neither hoof, nor tail, nor sting: nor is he, as some sages swear, aspirit, neither here not there, in nothing - yet in every thing. He is - what we are”. (Il diavolo, posso dire con certezza, non ha né zoccoli, né coda, né aculeo: non è, come certi saggi giurano, uno spirito, né di qua, né di lá, non sta in nulla – eppure è in ogni cosa. Lui è – ció che noi siamo).

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Che caso strano... e per me, atea convinta, che non posso demandare a nessuna entità suprema gli GRETA SPOLADORE avvenimenti quotidiani, il caso riveste un ruolo se non da solista quanto meno di tutto rispetto tra le fila degli attori che recitano sul palco della vita. A cosa mi servono le parole citate? Ne prendo spunto per cercare di capire chi “io sia” ma, non è scontato che alla fine ci riesca. “Il diavolo è ciò che noi siamo”... ma cosa significano veramente queste parole? Qualcosa che temiamo? Una parte di noi che sente e pensa ciò che non vorremmo? Qualcosa che è in noi ma che non abbiamo il coraggio di confessare?... Per ognuna ne avrei un elenco ma credo che a poco serva un tale atto di prosa; il pretesto, al contrario, ha avuto un ruolo oltre modo lodevole nell’aiutarmi a compiere un cammino che alla fine mi ha condotta in procinto di modeste, intime verità… a nulla vale quindi un “mea culpa” laico se non a me stessa. Riconoscermi nei difetti, nelle incongruenze, nelle contraddizioni del quotidiano è stato per me come compiere un percorso duro ed estenuante, una corsa in salita, una nuotata contro corrente, mi sento stanca, provata ma allo stesso tempo colta da una sorta di piacevole euforia e beatitudine, una leggerezza che, è difficile spiegare in altro modo, se non come la sensazione che mi coglie ogni volta che raggiungo la meta che mi ero prefitta, nello sport come nella vita. Chi “sono io”... non saprei! Veramente, non saprei. Parimenti non so neppure fino a che punto sia corretto porsi sempre delle domande, come faceva Amleto contemplando il teschio di Yor, ironicamente buffone di corte, e cercare di dare risposte ragionevoli, ammesso che, per ognuna ce ne sia almeno una disponibile. Non so! Anche il celeberrimo “cogito ergo sum” mi lascia spesso perplessa… basta veramente solo pensare per essere? Ed “essere” chi? Mille le risposte plausibili... Io, giusto o sbagliato che sia, le domande continuo a pormele, i dubbi mi attanagliano e le conclusioni tardano a fare capolino ma persevero nella ricerca, sperando prima o poi di diventare una persona migliore. Greta Spoladore

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P.B. Shelley, Peter Bell the Third.

Alessandra, Carlo, Elena, Sebastiano, Valentino

CEB SRL - Compagnia Edilizia della Brianza

Noi siamo... ...e con il nostro lavoro costruiamo per noi e per gli altri sia materialmente sia moralmente.


IO SONO: UNA RICERCA A RITROSO Non ricordo la prima, ma proprio la primissima volta, in cui ho detto “io sono”. Ricordo la prima volta che l’ho detto in inglese, in prima media “aiemegherl”. Poi un grosso oblio. Per anni mamma e papà mi hanno detto che non contava quello che uno aveva nella vita. Certo, mi dicevano conta quello che tu sei. “Tu sei brava… quando fai il tuo dovere!”. E così da loro ho assimilato il primo modello dell’esistenza: la cultura del fare. E possibilmente del farlo bene guardando a chi fa meglio e del farlo con fatica e a lungo. Sono già stanca a pensarci! Ma si intuisce che più o meno presto, a volte tardi, comunque prima o poi, i genitori non sono più l’unico modello con i quali ci identifichiamo e arrivano gli Altri, gli amici, alcuni maestri particolarmente illuminati, poeti cantanti attori, o meglio i loro personaggi e quelli dei primi romanzi che leggiamo senza che ci siano stati assegnati come compiti delle vacanze. Quell’ “io sono” una brava bambina che compie il suo dovere in alcuni momenti, soprattutto quelli immaginati, assume contorni epici, favorita in questo anche da qualche occupazione scolastica. Un’eroina all’Allende per interderci! Adesso mettiamo un altro stop. Tutto questo l’ho capito ora che sono adulta, e non tanto tempo fa rispetto al momento in cui lo scrivo. Anni di un lungo contorsionismo emotivo, e non solo, per togliere tutte queste bucce attorno all’ “io sono”. Ma anche per aggiungere qualcosa. Martin Buber, filosofo e umanista, sosteneva che non esiste un io senza un tu. Se non ci fosse un tu davanti alla mia persona che mi renderebbe necessario pensarmi come individuo distinto e relazionato ad un altro non potrei mai dire “io”, e non ve ne sarebbe l’assunto esistenziale. È solo nel momento in cui connoto l’altro come una Persona che accade l’“io sono”. Il potere più grande che abbiamo parte dal pensare, sentire, affermare, passare attraverso l’esperienza più autentica di sé e diventare e scoprire sempre più quell’“io sono”. Dato ontogenetico che ha bisogno di libertà e responsabilità. Non è una condizione statica, si modifica e pertanto libertà e responsabilità vanno salvaguardate. E solo salvaguardando quelle del tu posso arrivare a me. È un grandissimo potere, appartiene a tutti e non si consuma (se vi va date una lettura a un libro tanto piccolo quanto significativo a riguardo “Il piccolo libro del potere” di J. Wood). Un giorno ho detto ad una persona “no, io non sono una psicologa, io faccio la psicologa”. Ora non ho più bisogno di aggrapparmi a queste distinzioni, ce l’ho ben chiara dentro di me. Con maggiore serenità ed accettazione semplicemente sono quello che sono. Sono io. Io sono.

DAVIDE PLATI

FRANCESCA COLCIAGHI

RENATO PLATI

Barbara D’Ambrogio

DIEGO PLATI


Enrica Rossi e… ENRICA VIOLA

ANDREA MARCHETTI

PIERO FIORINI

SAMUELE MARCONI

Io sono qui dentro ??... MARCONI

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RA5EOFS.AB

Io sono! La maiuscola è su “sono” e non su “io”, perché anche nella mia vita la maiuscola è sull’essere. Sono una mamma, una moglie, una figlia, un’amica e un’insegnante, una bella responsabilità ma anche un’immensa fortuna! Ogni mattina carica di voglia di fare per tutti e alla sera sempre con qualche rimpianto per non essere riuscita ad essere per gli altri come davvero vorrei. Qualcuno pensa che io sia una sognatrice, forse è vero ma cosa sarebbe la vita senza i sogni. Cosa direbbe ora Martin Luther King del suo grande sogno? Non gli parrebbe vero! Io però non sono un’eroina, mi accontento delle piccole sfide quotidiane che affronto con allegria e tanta energia, certo quando sono stanca non statemi vicino perché potrei mordere… Ce la faccio? Non sempre, ma non mollo, il viaggio è lungo e chissà cosa mi aspetta domani… Grazie a tutti quelli che mi fanno Essere, vedo le loro facce quando mi sorridono o quando mi ascoltano. Sento le loro parole quando si lamentano e mi criticano. Tutto questo mi aiuta a crescere e mi sprona. Camminare insieme a chi voglio bene, con le mani colorate in una catena infinita. Come un arcobaleno, è così che mi vedo, che ci vedo: in marcia. Con fatica, entusiasmo, con gioia, determinazione, a volte purtroppo anche con tristezza e dolore. Insomma… con tutti i colori della vita.

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EMMA COMETTO


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NOI SIAMO LA CLASSE 3 E Se i baci fossero acqua ti darei il mare, se le coccole fossero foglie ti darei le foreste e se l’amicizia fosse la vita ti darei solo la mia, e poi io sono... io sono... io non sono nessuno in confronto al mondo intero. Antonio Io sono una ragazza che in alcuni momenti è timida ma anche molto vivace. Sono simpatica ma alcune volte no! Il mio desiderio è andare meglio a scuola e non litigare con nessuno. Edea Non so precisamente cosa sono... forse un piccolo fiore in un grande prato verde, che pensa a come può essere la sua vita senza quel prato che dà gioia e felicità alla gente... Giorgia Io sono quello che voi pensate che io sia, io sono quello che voglio essere; io sono fiero di quello che sono; di quello che sarò; nessuno mi farà cambiare idea per nulla al mondo; non mi cambierei per nessuno al mondo. Andrea ...io sono speranza; io sono coraggio; anche se sono solo una piccola goccia in un grande oceano. Federica Io sono testardo e molto dispettoso, so essere simpatico, divertente e a volte ho bisogno di un piccolo, grosso, addirittura immenso aiuto; proprio come un fannullone. Andrea Io sono quello che voglio essere ma sono sempre io! Fabio La grandezza della parola ‘io’ la si può paragonare allo spazio che occupa una lacrima in un oceano... così insignificante... tanto piccolo sono io nel mondo... eppure così importante per coloro che mi amano e stanno intorno a me. Paul Io sono un ragazzo molto simpatico e molto carino e anche gli altri mi vedono così. Però... vorrei andare un po’ meglio a scuola! Elvis Beh, cosa c’è da dire: io sono io, con i miei pregi e miei difetti e non mi importa di quello che pensano gli altri. Gabriele Tante persone desiderano essere ciò che non sono. Io vorrei essere diversa,ma ogni persona ha un suo modo di essere, chi è alto e bello, chi è basso e brutto. per me l’importante è rimanere se stessi, e non permettere a nessuno di cambiare ciò che siamo. Veronica Io sono come una barca a vela che naviga nel mare, a volte calmo e a volte agitato. Matteo Io sono quello che tu non vedi... Gavril Se l’amore fosse tutti i baci del mondo io te li darei, se il bene fosse tutti gli abbracci del mondo io te li darei,…ma se fosse l’amicizia io ti darei solo la mia, anche se…io sono…solo una ragazza che rispetto a tutto il mondo intero non vale niente; ma il bene che ti voglio va al di là di tutto! io sono…una persona che ti vuole un mondo di bene! Sarah Io sono una ragazza simpaticissima, qualche volta sono timida, però mi piace fare amicizia con persone nuove… e questo ì solo una piccola parte di me… Michelle Io sono una ragazza che ha due sogni. questi sono diventare una campionessa di nuoto e l’altro è diventare un buon architetto. Kristina


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NOI SIAMO LA CLASSE 3 B Io sono una bambina molto fortunata perché vivo in un paese dove c’è la scuola, da bere e da mangiare. Io sono una bambina fortunata perché nel mio cuore c’è tanto amore. Daniela Io sono un bambino fortunato perché non mi manca niente. Io sono un bambino molto felice perché ho tutto quello che mi serve. Jacopo Io sono una bambina, posso andare a scuola, posso mangiare, posso comprare i vestiti. Io sono una bambina felice perché posso fare rugby. Io sono una bambina sorridente e ho degli amici molto carini. Aicha Io sono Rodrigo e vorrei che i bambini poveri prendessero un po’ delle mie cose. Rodrigo Io sono un bambino un po’ monello e buono, ho otto anni, sono un bambino un po’ ricco. Davide Io sono un bambino fortunato perché mi posso permettere dei vestiti, posso mangiare, posso andare a scuola e perché ho tanti amici. Giorgio Io sono molto fortunato perché ho degli amici e tante amiche. Gioco con tutti e faccio subito amicizia. Gabriel Io sono Fabiola; sono un tipo contento e felice e mi piace scherzare come mi ha fatto imparare mio nonno e certe volte mi sento biricchina. Mi piace l’amicizia e giocare con tutti e non ho preferenze per i compagni perché sono tutti uguali e mi trovo molto bene qua con i miei compagni. Fabiola Io sono un bambino di otto anni e sono fortunato perché posso mangiare, ho una casa e perché ho tanti amici a scuola e vivo in una città ricca. Beppe Sono fortunato perché: ho la casa, posso mangiare e vado a scuola. Andrea Io sono Sara. Di notte sogno mia sorella Gaia e quando dorme fa tante forme. Quando balla sembra una farfalla, quando gioca sembra un’oca. Io sono fortunata perché ho dei genitori veramente favolosi. Sara Io sono Zhi Qiang sono cinese perché sono nato in Cina e so scrivere in cinese. Zhi Qiang Io sono un bambino molto fortunato perché vivo in un paese ricco. Spero che i bambini di tutte le popolazioni più povere riescano a vivere meglio e ad andare a scuola. Diego Io sono Irene sogno tante sirene, nel mio cuore c’è tanto amore, sono molto fortunata e molto amata. Son socievole come un cerbiatto, son saggia come un faggio, son chiara come un gufo e stellare come un lupo. Irene Io sono Federico. Io sono fortunato perché ho tutto quello che mi serve. Federico Io sono Fiona Tefiku e sono una bambina brava e gentile. Io sono molto felice perché ho una famiglia e una scuola molta bella. Fiona Io sono una bambina fortunata perché dei bambini appena nati sono abbandonati. Io sono Alina e dentro il mio cuore ho tanto amore. Io sono felice perché sono una bambina fortunata. Alina Io sono un bambino che da grande vorrebbe aiutare i bambini poveri e sono un bambino fortunato. Vorrei andare in Africa per aiutare la gente povera. Cristian


EDOARDO_SHEILA_MAURI BINI, Parana 28 giugno 2008

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me

. me er s a v i d il d me so o a t . ! d t ver e i e o o d c m s n c i o il so d a e d iver Io mo e par t re il d e. on am Io a ché è ama e di m ndo n te. per oglio par t , qua ulgen ole. . Io v ché è rdono re ind orev iv a t i r s e m o pe i pe ess re a re. o. tà p l a Io m oglio esse amo rdon tà. re o Io v oglio enera ra pe real a una eand o Io v ore g gene ano la o cre mo cr ieg D v o e a i Am don e cre osit i sti na Dia Per parol iero p ro no . Le pens sto lib liore Un que o mig Con mond un

IO SONO Io sono quando mi sveglio alla mattina e vedo il sorriso di mamma e papà; io sono quando bevo il latte della mamma; io sono quando faccio lo scalatore sul mio papà; io sono quando bevo l’acqua dal rubinetto; io sono quando abbraccio i miei nonni; io sono quando appoggio la mia manina sulle ferite e le guarisco; io sono quando mando i bacini via telefono; io sono quando chiedo: “giochi con me?”; io sono quando vedo un albero; io sono quando piove; io sono quando mi tuffo nelle pozzanghere; io sono quando vedo una ruspa; io sono quando vedo il camion della spazzatura; io sono quando vedo una moto; io sono quando vedo un uccellino; io sono quando respiro il mare; io sono quando mangio la torta; io sono quando faccio la torta con la mia nonna; io sono quando vado tiro il legnetti con la mia nonna; io sono quando dipingo col mio nonno; io sono quando vado al museo col mio nonno; io sono quando mi emoziono e arrossisco; io sono quando ascolto la musica; io sono quando suono la musica; io sono quando ballo; io sono quando corro, salto, mi butto per terra; io sono quando soffro il solletico; io sono quando mi nascondo; io sono quando piango; io sono quando frigno; io sono quando mi lamento; io sono cristallino; io sono furbetto; io sono sempre; io sono Luce; io sono Amore; io sono Davide, anche io sono una persona. Davide Tassoni

DAVIDE TASSONI

ADRIANO TOMASETTA


ELENA CASADEI

IO SONO Sono come tutti i bambini: Sono come il sole, brillerò in eterno. Sono come un uccellino: volo libera e spensierata. Sono come un topolino: così piccina e mai considerata. Eppure sono così piccola da essere importantissima. Chiara Utili

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“Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altra. Tu sarai per me unico al mondo e io sarò per te unica al mondo” Antoine de Saint-Exupéry

Giulia Utili

Io sono la loro mamma... e me ne stimo moltissimo! Sandra Casadei Utili IO SONO Paziente/intransigente. Mamma. Nonna. Un'insegnante di Filosofia. Radicale. Anticlericale. Un'amica leale. Io sono la Cicci Carini. SIMONA DINETTA

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Io sono! Cara zietta, Sarà mai possibile che una povera ragazza dedita allo studio, che trascorre le sue giornate sul libro di matematica e che ha una media complessiva del 9.4, debba leggersi quarantasei libri in una settimana per trovare il contributo del Xmas Project da mandarti?! Se non altro posso dire con orgoglio che, pur avendo dormito due ore in sette notti, ho trovato un qualcosa che si ricollega ad un tema ogni anno più difficile da trovare su Google! Chiaramente le ore tolte allo studio della fisica influiranno negativamente sulla media scolastica finale e, per questo, probabilmente l'università finlandese di “fisica astronomica nucleare cosmopolita tu quoque, brute, fili mi!”, per la quale mi applico da nove anni, rifiuterà la mia domanda di ammissione. In un mio lampo di genio (ormai sempre più frequenti!) ho pensato di cercare in un libro di favole, ma di frasi di senso compiuto, dotate di soggetto, verbo e complemento, che c'entrassero qualcosa con “io sono...” non ne ho trovate. Ieri sera, non riuscendo a dormire a causa della mia preoccupazione per il compito di medicina astrale dantesca con riferimenti a Guicciardini e Talete, ho pensato bene di rileggermi “Il piccolo principe”, accorgendomi solo oggi di ciò che avevo sotto agli occhi e non vedevo. HO TROVATO LA FRASE!! Anzi no, in realtà sto mentendo: è stato Dodo che oggi, quando mi ha telefonato per farsi spiegare la scomposizione dell'atomo che ha dato origine alla Terra, mi ha fatto presente il capitolo più conosciuto (da tutti quei plebei, finti colti) del libro che ventiquattro ore fa leggevo in modo assurdamente distratto. Dico assurdamente perché, come tu ben sai, io non sono mai stata una ragazza distratta, magari troppo studiosa, ma distratta proprio no! Ma non dilunghiamoci, per domani devo ancora tradurre l’“Adone” di Marino dal barocco al greco ionico.


Io sono... Io sono… io sono… Sinceramente non saprei che cosa io sia. Ogni persona mi vede in modo diverso da altri, mi attribuisce qualità diverse, che magari io non penso neanche di avere. Per mia sorella sono una persona da imitare in tutto e per tutto, ma altre mi odiano e per loro sono, quindi, una persona che non si deve per niente imitare. Sono simpatica a certe persone, ma antipatica ad altre, ma questo è normale, avviene anche la reazione contraria. Io sono buona, ma molti credono che io sia la strega cattiva, arrivata sulla terra solo per avvelenare le persone, ma io non sono così!!!! Io sono MARTINA! E qualunque cosa succeda io sono sempre IO!!! Io, con i miei pregi, ma soprattutto con i miei difetti… io con ancora la timidezza di una bambina, nonostante abbia tredici anni… ma sono sempre io… sono e sarò sempre e solo Martina. Io, che sono come gli altri, io che sono studente come mille altri ragazzi al mondo. Beh… io credo di essere molte altre cose… Credo anche che gli stessi miei attributi vengono conferiti anche ad altre persone, ma nonostante questo io SONO ME STESSA e nessun altro è come me… e nessun altro sarà mai come me.

NOI SIAMO LA CLASSE 3a A

Scuola secondaria di I grado Teodoro Ciresola

Io sono un essere umano che sogna di diventare un’artista. Sono molto timida e curiosa. Qualche volta cerco di essere sicura di me stessa. Per i miei amici sono una che si preoccupa, però vorrei migliorare il mio carattere, e il mio linguaggio, perché qualche volta parlo velocemente, e dico delle cose senza pensarci. Per la mia famiglia, invece, sono una ragazza dolce, e silenziosa, i miei genitori mi vogliono bene, come mi vogliono bene i miei fratelli e i miei amici. Mio padre mi ha sempre detto che non devo mai isolarmi, e di non dare mai ascolto a quelli che mi prendono in giro. Lui ha sempre avuto ragione su di me, e infatti voglio farcela, voglio riuscire a stare con tutti i miei amici più cari, devo anche smetterla di essere molto timida. Io so di potercela fare, devo solo cercare di essere sicura di me stessa. Martina Rota Arianna Seno l sole e la luna, il gior no e la notte, le i o n o s o i stelle e vento, le nuv sono il o i , a ole, i u acq ’ l nsom o n o s ma, i o ,i a Io sono r o so r e t a l no u , o Io sono un ragazzo e sono uno studente. Io sono! il ciel n ra gazz Mi reputo una persona socievole come tanti. o. Lo renz Ho dei difetti: sono permaloso e sono un po’ dispettoso. oL osa Io sono... Però ho anche dei pregi: sono generoso, una persona coerente Matteo e ho 13 anni. Vado a scuola come qualsiasi altro ragazzo della mia età. Ho molti amici che mi rispettano e con cui gioco, sia a scuola, sia all’oratorio, dove organizziamo delle partite. Sono un ragazzo molto simpatico, e con il senso dell’umorismo (cosa che non molti hanno). Sono molto allegro e vivace, mi piace il calcio e lo pratico, la mia squadra si chiama Crespi Morbio, quest’anno non è stata la migliore, però il campionato non è ancora finito. Sono tifoso della Juventus da quando avevo 5 anni e ho cominciato a giocare a 10. Vado molto d’accordo con i miei genitori e con tutti quelli che mi conoscono, non litigo spesso e sono sovente concorde con le scelte dei miei compagni. Matteo Vincenti

Io sono Io sono una persona come le altre, Orgogliosa di essere come sono: normale e Semplicemente me stessa in ogni situazione! Ogni giorno delle mia vita sprizzo energia da ogni poro e Non c’è un giorno in cui non sia così, perché Ogni giorno sono Chiara e basta… e nessuno al mondo può essere Chiara come lo sono io!! Chiara Nolfo

nelle proprie idee, vero, il migliore amico per un’altra persona. Spero di diventare un po’ più studioso per quanto riguarda la scuola, per passare gli esami bene. Andrea Di Conzo Io sono! Elisabetta, mi chiamano Eli, Betta, Elisa, Piffe… ma SONO sempre IO! Io sono una comune ragazza tredicenne in un mondo di ragazze tredicenni, ma SONO IO! Io sono una ragazza a cui piace aiutare gli altri e so di non essere l’unica, ma IO conto per una! Io sono timida. E altri miliardi di persone insieme a me, ma SOLO IO SONO IO!! Elisabetta Confalonieri Io sono Emily, sono Emily la stramba, sono io. Emily non è pigra, è solo felice di non fare niente... Emily non bara, segue le sue regole... Emily non è avida, ma la fa sempre pagare... Non giudicatela male, però. Emily è anche dolce, aggraziata... Cerca di risolvere i problemi degli altri inspirandosi ai suoi, tentando di far capire ai suoi amici l’importanza dei sentimenti e provando a non far sbagliare gli altri, come ha fatto lei. Emily è circondata da amici, ma spesso e volentieri si sente sola. Non si sa perché, però… probabilmente non lo sa neanche lei. Ma quando vuole, questo però accade molto raramente, sappiatelo, Emily cambia e diventa una semplice ragazzina milanese, magra, bassina, che va in terza media. Questa ragazzina si chiama Emma. Ma a Emily non piace essere. Preferisce essere... STRAMBA! Emma Pelucchi


Martina Volpi

Io sono un ragazzo normale con le sue difficoltà e i suoi agi, ma come tutti i ragazzi ho dei problemi tipo essere maturo, dimenticarsi di qualcosa. Come tutti gli esseri umani sono dotato di una mente e di un cuore per essere conscio di quello che sto facendo, ma alcuni non sfruttano queste qualità a fanno del male alle persone. Per fortuna sono un ragazzo e ho tutta la strada davanti per rendermi conto di ciò che è bene e di ciò che è male. Ettore Bertolotti

di ate n u t Io sono for solo eno m un r one aga ers p zzo le , no tare u np i a oss mio piccolo vorrei ma nel o fa , o t l Io sono re mo Come dire… per gli altri sono timida, sensibile e forse anche un po’ permalosa! Per la mia famiglia sono solo una ragazzina che sta crescendo e l’unica figlia femmina educata… per i miei fratelli sono la sorella che non capisce gli adulti, che quando ha un problema si “sfoga” con la prima persona che le capita sotto tiro e per loro sono sempre la sorella “preferita”. Per la mia migliore amica sono simpatica, sensibile e una buona confidente. Ah, dimenticavo: per lo zio preferito sono la nipote di cui si può fidare ciecamente, la nipote che non ha mai dato fastidio, ma soprattutto la nipote che gli vorrà sempre un MONDO di bene. Adesso tocca a me… io sono Miri o meglio Mirian Alva e ho 13 anni. Io non sono pigra, disordinata, non spendo soldi facilmente, non faccio pagare a nessuno il male che mi ha fatto. Io sono pasticciona, estroversa, allegra, ordinata, ma soprattutto sono me stessa con tutti! Mirian Alva Io sono... ...un ragazzo come tutti gli altri ragazzi comuni. Mi piace giocare, fare sport e divertirmi, stare con gli altri e a volte combinare qualche guaio, io non so bene come descrivermi, potrei dire di essere simpatico, socievole, divertente, non molto bravo con lo studio anche se me la cavo. Queste sono le caratteristiche con le quali mi descrivono gli altri, ma io non sono solo così. Mi piace studiare, però ci sono materie che mi piacciono e materie che non mi piacciono. Io ho molti conoscenti, ma la maggior parte non sono veri amici. I miei amici veri, però, sono sempre i migliori. Davide Cavagna

me.

Davide Savastano

o arus C o nz Lore

Io sono un ragazzo semplice, ma l’unica cosa che ho in mente è fare il cuoco, e non mi arrenderò mai, anche se mi dicono che è un lavoro facile a me piace ed è questo che vorrei diventare. Sono orgoglioso di essere dell’Ecuador perché la tribù del mio popolo si è battuta per la libertà e alla fine si è tenuta la terra, questo per me è un gesto da eroi, anche se alcune persone sono morte lo hanno per la propria famiglia. Io sono un ragazzo straniero in una scuola lontana, lontana dalla mia vera casa, ma mi conforta sapere che i miei genitori e mia sorella vivono con me, questo è un sollievo. Non vedo l’ora di tornare in Ecuador e abbracciare i miei nonni, i miei zii e i miei cugini. Io sono un ragazzo orgoglioso dell’Ecuador e per questo sono felice. Deyvis Lalangui

Io sono!... ...un ragazzo, mi reputo simpatico e gentile. Per mio fratello sono un po’ rompiscatole, però spero e credo che mi voglia bene quanto gliene voglio io. Per mio padre sono un ragazzo che non mangia niente, per me questo non è vero perché mangio un bel po’ di cibi, però per lui sono anche un bravo ragazzo e questo mi rende molto felice. Per mia madre sono permaloso, ma un ragazzo molto simpatico e abbastanza bravo. Insomma, sono un normale essere umano, però con il mio personale modo di vivere. Marco Russo

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Perché io… sono solo un bambino.

Io sono! Davide e sono un essere umano. Per gli altri sono un amico sincero e chi mi conosce lo sa. Sono un terrestre molto simpatico e socievole, mi piace giocare con la Play ed ho una famiglia, mio padre, mia madre e mio fratello Gabriele. Sono molto fortunato perché mi vogliono bene. Di aspetto ho i capelli bruni, gli occhi verdi e una faccia “normale”, vado a scuola normalmente come tutti i ragazzi. Per la mia famiglia sono bravo, per i miei amici sono un amico e per un conoscente un normale ragazzo, ma so che da grande farò qualcosa di bello per il mondo, il mio regalo al mondo. Ora non saprei cosa fare, ma di sicuro quando sarò più grandicello lo saprò. Adesso sto solo pensando alla scuola perché ci sarà l’esame quest’anno e quindi devo impegnarmi al massimo. Certo farò qualcosa per distrarmi, per esempio andare in centro con qualche mio amico o giocare alla Play con mio fratello. Io sono più che altro un socievole, quindi non mi piace stare da solo; cerco sempre di stare con un amico. Credo proprio, in conclusione, di essere normale.

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Io sono Io sono dove non dovrei essere: in una fabbrica di palloni. Io sono dove non dovrei essere: in una miniera di diamanti. Io sono dove non dovrei essere: in un laboratorio. Io sono dove non dovrei essere: all’angolo di una strada. Io sono dove non dovrei essere: sul fronte. Io sono dove non dovrei essere: in una conceria maleodorante. Io sono dove non dovrei essere: a spacciar droga. Io sono dove non dovrei essere: dietro le sbarre. Io sono dove non dovrei essere: in una fogna.


Esa soy yo Esta es mi huella La que identifica en el universo. Tu huella... No dejes que se borre Ama, vive, sueña y lucha por tus ideales Pasa por la vida y deja tu huella Conserva tu identidad Ama con el sentimento que solo el corazón puede entender Cáete y vulve a levantarte … y nunca dejes de esperar Esa soy yo

CYNDRA VELASQUEZ

Cyndra Velásquez

... Se tu fossi... “Ginni, ma se TU fossi un animale, quale animale saresti?” “Sarei un delfino perché fa le pirolette e può andare dove vuole.” “E se fossi un colore, quale colore saresti?” “Sarei il rosso che è il mio colore preferito!” “E se fossi un fiore, quale fiore saresti?” “Una rosa, perché è bellissima, profumata, ma se qualcuno mi rompe lo pungo!” “E senti amore, ma se IL MONDO fosse un animale, quale animale sarebbe?” “Sarebbe una tartaruga di mare perché il mondo è bellissimo e tranquillo e poi perché anche quello è il mio animale preferito” “E se il mondo fosse un fiore, quale fiore sarebbe?” “Un girasole perché quando c’è il sole si apre e lo segue sempre.” “E se il mondo fosse un colore, quale colore sarebbe?” “Non lo so… sarebbe tanti colori” “Allora forse sarebbe un arcobaleno.” “Sì, sì, sarebbe un arcobaleno!!!” “E noi ci cammineremmo sopra?” Ginni ride. “Sarebbe bello mamma!” “Buona notte amore, sogni d’oro e d’argento.” “’Notte mammina!” Ginevra Volpi con mamma Eva

IO SONO Io vivo con le mani. Mani addormentate che la mattina spengono la sveglia, Mani bagnate che sciacquano il viso, Mani di routine che timbrano il biglietto del pullman, Mani allegre che salutano gli amici, Mani concentrate che prendono appunti, Mani ladre che rubano un sorriso, Mani golose che afferrano un pezzo di pane, Mani birbanti che scrivono sul vetro appannato della macchina, Mani che amano, Mani giocose che lanciano una palla, Mani conserte che pregano, Mani curiose che scostano una tenda in cerca di non si sa cosa, Mani sulla fronte per trattenere i ricordi, Mani umide che hanno appena asciugato una lacrima, Mani tese che attendono un abbraccio, Mani, Mani e ancora Mani... Martina Todesco


Io sono! “Se vuoi arrivare primo corri da solo; se vuoi andare lontano, cammina insieme.” Proverbio keniota

Antonio Panizza

MARTINA, SERENA E ANDREA

ANTONIO PANIZZA

IO... intensamente SONO!

EVA DE LUCA

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SERENA E LA MAMMA

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Eva De Luca

IO SONO qui, TU dove SEI?” IO SONO il volto che ogni giorno incroci, ma non conosci. IO SONO il bisogno che grida attenzione, ma non ascolti. MARTINA E FIFI

MARIKA CENERINI

IO SONO lo specchio del mondo che vuoi aiutare: TU dove SEI? Marika Cenerini


Il ghiro... e il sociale Le 07.00 non si sono ancora svegliate e la ruotina indefessa della mia testa grigia mi sbalza fuori dai confini ovattati del materasso. Si è innescata la massa inerziale; l’indice sposta con una sequenza ripetitiva e quotidiana i drin per giungere pigro alle 08.00 passate. Giusto puntuale per essere in ritardo. Piombo dalla notte mai satura di sonno, al mattino del giorno nuovo, senza passare dalla Moka, via diritto verso Meda. È come passare da casa all’ufficio con un calcio nel culo, la ventiquattrore in una mano e la bolla al naso. Piano piano, con eleganza e delicatezza, le ore da veglio addolciscono e curano il ghiro. Mi gratto la testa, riconosco i profili dei volti, mi liscio la barba e ascolto le voci. Ogni giorno si rivela essere una rassicurante metamorfosi. Quando vado a dormire sono già da diverse ore un animale sociale, lieto di sentirsi tale. Fabio Russo FABIO RUSSO

...Tu lo sai chi sono? Io no. A volte credo di saperlo, altre ne sono convinto, … minuti dopo non lo so più. Cambio idea ogni giorno quante sono le stelle su in cielo. Vivo, a volte sopravvivo. Sempre in attesa di un qualcosa . Tu lo sai chi sono? Io no. Tu lo sai cosa aspetto? Io no. MARCO TUFFI

Marco Tuffi

STEFANO_GIULIA_MATHIAS_MARA_SARA ZIMBARO


Platone, Alcibiade primo, 132e-133b

Paola Di Bello

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La conoscenza di Sé, 1990/95 Polaroid bianco e nero 8x10” (21,5x27,5 cm) (Silvia 3) PAOLA DI BELLO

Socrate: Hai osservato poi che a guardare qualcuno negli occhi si scorge il volto nell’occhio di chi sta di faccia, come in uno specchio, che noi chiamiamo pupilla, perché è quasi un’immagine di colui che la guarda? Alcibiade: È vero. Socrate: Dunque se un occhio guarda un altro occhio e fissa la parte migliore dell’occhio, con la quale anche vede, vedrà sé stesso. Alcibiade: Evidentemente. Socrate: Ma se l’occhio guarda un’altra parte del corpo umano o degli oggetti, ad eccezione di quella che ha simile natura, non vedrà sé stesso. Alcibiade: È vero. Socrate: Se allora un occhio vuol vedere sé stesso, bisogna che fissi un occhio, e quella parte di questo in cui si trova la sua virtù visiva; e non è questa la vista? Alcibiade: Sì. Socrate: Ora, caro Alcibiade, anche l’anima, se vuole conoscere sé stessa, dovrà fissare un’anima, e soprattutto quel tratto di questa in cui si trova la virtù dell’anima, la sapienza.


Io sono... Io sono l’abitante delle pietre senza memoria, sete d’ombra verde;

il minatore d’Europa, fratello della notte;

il popolano di tutti i villaggi e delle prodigiose capitali;

l’operaio del Congo e della spiaggia, il pescatore della Polinesia,

sono l’uomo universo, marinaio di tutte le finestre

sono l’indio d’America, il meticcio, il giallo, il nero:

della terra stordita dai motori. Sono l’uomo di Tokyo

io sono tutti gli uomini. Sopra il mio cuore firmano le genti

che si nutre di pesciolini e bambù,

un patto eterno di vera pace e fraternità. Jorge Carrera Andrade (1903-1978)

Speed Transport S.I. srl supporta e diffonde il Xmas Project 2008


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Gianfranco Goff i con Aliviaggi Tour Operator rator supporta e diffonde il Xmas Projectt 2008


.B. nta. R

gior no,

anch ’io

possa

e la lasciar

Io so no un ladro di sen sazion i, rapin o il mond o d’imma gini c he i mm aga zzin o ne lla m ia m ente , so gnan do c he u n

Vittorio Ramella

mia imp ro

Io sono Pugno duro e mano sottile Alito di vento o tormenta Spiraglio di luce Io sono Cicatrice Viaggio senza fine Parole inutili Io sono Nulla senza te.

RICCARDO BRIOSCHI VITTORIO RAMELLA

MARTINA NENCINI

Io sono: : una dei 6, 7 miliardi di persone ch e vivono sulla terra / / collega / italiana / am antipatica / mora / co ica / single / musica /a munista / inter prete / ndata e tornata / figlia qui / stanca ma felice italiana / rompiscatole / residente / cattolica / meteoropatica / lacrim / donna / riccia / Martina / cocc e e sorrisi / affidabile cose mi sembrano scon iuta / alta 173 cm / pa / raggiungibile / lonta tate. E dimentico spes role / na / sola / curiosa / op so che avere diritti e po chiamare amici non so inioni / straniera. Tutte ssibilità per esprimere no affatto “cose scon qu este chi sei e un posto da ch tate”. iamare “casa” e person e da Martina Nencini


ia tra il ch ro e lo scuro, in

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i. Pa o gn iei s atura dei m

MAURIZIO D'ADDA

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So PAOLA MIRRA

Io sono Io sono un marito, un babbo e un manager. Tutto insieme. Nel senso che di giorno, quasi tutto il giorno, quando non è vacanza, sono un manager. Di sera e al mattino sono un babbo. Di notte, beh di notte… dormo. Quindi dedico poco tempo a fare il marito: e questo è un problema. Vorrei dedicarne di più. Anche per fare il babbo vorrei più tempo. Vorrei fare il marito e il babbo a tempo pieno (Gelmini permettendo). Dove faccio il manager, però, non mi dicono stai a casa a fare il marito e il babbo, non c’è problema, passa a fine mese a prendere lo stipendio. In realtà non mi dicono neanche stai qua tutto il giorno. Non mi dicono niente. Cioè, niente sul tempo. Mi dicono ottieni questo e ottieni quest’altro, sul come posso decidere io. Sono furbi, perché così io cerco di ottenere quello e quell’altro a tutti i costi e per farlo consumo un sacco di tempo. Possibile che uno non possa riuscire ad essere tre cose insieme? E pensare che vorrei essere anche un amico. Ci sono tanti che se lo aspettano. Mi telefonano, mi scrivono. Ah, dimenticavo, per me è molto importante essere anche un fratello. Meno male che il mio abita vicino. E anche essere un figlio conserva una certa rilevanza, mi sembra giusto. Il nipote ultimamente lo faccio malissimo e costerebbe così poco. Confesso, spesso, nonostante tutto questo casino, dedico ogni settimana circa novantaminutipiùrecupero ad essere un tifoso, non riesco a farne a meno. Essere un po’ un atleta? Niente e si vede. Ma cosa si fa ad essere altro ancora? Eppure mi capita di essere anche un collega, un condòmino, un consumatore, un imbianchino, uno spettatore, un turista, un contribuente, un parente, un elettore, un manifestante, un lettore, un navigatore, un ascoltatore… Insomma, cerco di essere un sacco di cose insieme. Come tutti? Ammiro molto quelli che ci riescono. Ammiro quelli che riescono ad essere anche donatori, volontari, impegnati. Insomma importanti anche per chi non sta esattamente loro vicino. Bravi. Comunque, in definitiva, io sono quello che sono. Soprattutto sono quello che ho scelto di essere o che voglio tentare di essere: questo è basilare. Quindi mi chiedo: perché se uno vuole continuare ad essere un cacciatore nomade dell’Amazzonia non deve poterlo fare?

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NOI SIAMO LA CLASSE 5aB Scuola primaria Teodoro Ciresola

Per gli altri sono...… Io sono grande ma per i miei compagni sono una bambina piccola. Io sono forte ma per gli altri sono debole. Io sono veloce ma per gli altri sono lenta. Io sono coraggiosa come un leone ma per gli altri sono fifona come un coniglio. Alice Ballabio

Nel mio paese non ho diritti Io sono una bambina del Sud del Mondo. Nel mio Paese non ho diritti. Vorrei studiare, giocare, crescere bene e nutrirmi… ma nel mio Paese io non ho diritti. Carlotta Volpi

Io sono un bambino diverso Io sono un bambino del Pakistan però non sono come tutti i bambini. Io non ho niente ho solo un lavoro da svolgere. Io non sono un bambino come gli altri. Sono un povero. Io non ho un amico non ho giocattoli non ho una casa per vivere non ho una scuola dove studiare non ho da mangiare e bere. Io sono magro sono sporco e non valgo niente. Vorrei essere pulito e non valere così poco. Chatu De Silva

Nessuno e' perfetto, neanche i piu' ricchi Io sono basso ma vorrei essere alto. Io sono magro ma anche simpatico. Io sono vivace ma vorrei esserlo meno. Io sono allegro ma troppo chiacchierone. Io vivo bene in Italia ma penso ai bambini del mondo che non vivono tanto bene come me. Edoardo Grimaldi

Io provengo dalla poverta' Io sono una bambina del Sud del Mondo che non può giocare, andare a scuola, vivere mangiando e bevendo a sufficienza. Mi considerano sporca, non servo a nulla: sono prigioniera della fame. Elisa Gao

Io e io Spesso ho sognato di avere un altro io: una nuvoletta uguale a me in mezzo a tante nuvole nel cielo azzurro; un albero uguale a me in mezzo a tanti alberi nella foresta.

Una bambina che si chiama Fabiana con i miei stessi pensieri, i miei stessi ideali, i miei stessi sentimenti. Ma lei vive in Africa, lavora non gioca. Oh dolce bambina, mi senti? Che cosa posso fare per aiutarti? Un giorno le nostre strade si incontreranno? Lo spero tanto, mio altro io, e spero anche che troverai LA FELICITÀ. Fabiana Lauro

Una bambina del Sud del Mondo Io sono una bambina del Sud del Mondo lavoro in una fabbrica-prigione di tappeti sono povera e non son fortunata come i bambini dei paesi ricchi, ma vorrei esserlo. Non vado mai a scuola, qui non c’è mai la voglia di giocare. Ma perché non sono come gli altri? Io non ho diritti. Noi bambini camminiamo scalzi sulla terra dura, non abbiamo una vera casa e mangiamo tutto quello che troviamo così ci ammaliamo spesso. L’unica cosa che vorrei avere è la felicità, la libertà e la gioia di vivere! Federica Peroni

Io sono... e sogno... Io sono Federico. Ho dieci anni. Corporatura media. Basso. Io ho un sogno: la pace nel mondo e che i bambini che stanno male siano guariti. E che i bambini che hanno fame possano mangiare. E che i bambini che sono soli non lo siano più. Federico Torella

Io sono... io sogno Io sono Filippo. Ho una corporatura adeguata perché posso crescere bene. Non è così per i bambini del Sud del Mondo. Io sogno un “mondo” migliore per i bambini dell’Africa, del Sud America, dell’Asia... Io sono un bambino che vorrebbe “lottare” per un mondo più giusto. Filippo Brioschi

Non c'e' posto per me nel mondo? Io sono un bambino schiavo, costruisco tappeti.


Io sono... Io sono una bambina di nove anni. Vivo in Nepal, in un paesino vicino a Katmandù. Sono magra, mangio poco e male. È un mio diritto andare a scuola ma non ci vado. Vivo in una misera catapecchia. Io non sono una bambina come tutti, sono una bambina povera. Io vorrei essere una bambina come voi. Io sarei libera se corressi sui prati con voi. Francesca Fanari

Noi ragazze 'adulte'” Io sono una bambina di dieci anni e vivo in Pakistan, mi chiamo Gaia, ma non vivo a casa mia. Vivo in una fabbrica di tappeti. I miei genitori mi hanno venduta per un pugno di monete. Noi ragazzine, adulte troppo presto, lavoriamo diciotto ore al giorno, mangiamo un pugno di riso e dormiamo sei ore. Io vorrei essere libera, felice, e vorrei poter aiutare gli altri ad essere liberi e felici. È il mio sogno. Gaia Russo

Io sono felice... Io sono felice quando... qualcuno mi dice che le situazioni brutte nel mondo sono migliorate. Io sono felice quando... sento dirmi che un’associazione per migliorare il mondo ha raggiunto il suo obiettivo. Io sono felice se... un bambino abbandonato viene adottato da una persona comprensiva. Io sono felice se... un bambino povero arriva in Italia e trova una casa, una scuola, del cibo e affetto. Io sono felice quando i diritti dei bambini vengono rispettati. Giulia Tartufari

Lorena Pacchiana

Chi sono io? Per la mamma sono il gioiello più prezioso. Per il papà sono il primo passerotto del nido. Per mia sorella sono una mappa da seguire. Per mio fratello semplicemente la tata! Per i miei amici sono... io... Ma io chi sono? Io sono Marta. Sono una bambina. Sono un’amica. Sono una sorella. Sono... sono... sono... io sono me stessa! Marta Bosio

I diritti dei bambini Io sono Michele. Ho dieci anni vivo a Milano e mangio ogni giorno io so che è così per tanti miei coetanei. Io sogno che ci sia giustizia per i bambini più poveri i bambini sfruttati nei lavori minorili per i bambini che hanno fame per i bambini che sono soli. Io mi guardo allo specchio e mi dico che sono un fortunatissimo bambino. Michele Capodaglio

Vita - Prigione e Risposte Io non sono nessuno non ho nessun diritto, devo soltanto lavorare. Da quando sono nato non posso esprimere neanche un piccolo desiderio, mai. Questo non è vivere. È morire. Ma forse la morte è migliore. Alla fine chi sono io? E perché esisto? Michele Guagno

Io sono un bambino pieno di sogni Io sono Iqbal Masih. Lavoro in una fabbrica di palloni. I miei genitori mi hanno fatto

lavorare a sei anni per pochissimi soldi. Adesso ho dieci anni e finalmente sono uscito dalla prigione. Uscito con i miei compagni nella libertà. E mi sono chiesto chissà se un giorno sarò un bambino qualunque? Andrò a scuola? Forse un giorno il mio sogno si avvererà e potrò fare quello che io voglio. Mahamed Zahran

Io sono Io sono una bambina di nome Nicole. Vivo in Italia, sono di origine filippina. Gli altri dicono che sono gentile, e che parlo un po’ troppo. Per la mamma sono sua figlia, che deve finire la scuola, che deve comportarsi bene, che deve rispettare le opinioni di tutti. Per mio papà sono come la sua gemella. Io sono stata l’amica di tutti. Mi guardo allo specchio e sembro una regina del mio paese lontano. Io sono me stessa, e non vorrei essere nessun’altra. Nicole Gonzales

Io vorrei aiutare qualcuno Io sono un bambino, che ha dieci anni e vengo dal Bangladesh, e quello è un Paese povero, e vengo dalla città di Nohacali, e vivo anche a Dacca che è la capitale. Nel mio Paese ci sono dei bambini che non hanno i soldi per andare nelle scuole ed alcuni vivono in case fatte di terra. Io sogno di fare qualcosa per aiutare tutti loro. Rahat Patwery

Io sono una bambina: normale Io sono una bambina: felice, simpatica, generosa, pigrona... Ma contenta di essere: me stessa! Per gli altri sono antipatica, vanitosa, brutta... Quando gli altri riusciranno a capire che sono una bambina NORMALE? Shahirah Capolla

Non c'e' posto per me sull'arcobaleno della FELICITA'À Io sono felice quando riesco a mettere sotto i denti qualche pezzo di pane o qualche chicco di riso. Io sono felice quando fabbrico da solo un pupazzetto di pezza per me. Io sono un bambino

dell’Afghanistan molto povero. Io sarei felice se potessi stare di più con la mia famiglia, e comprendere di più me stesso e andare a scuola. Io sarei felice se le guerre finissero Simone Fertonani

Io ho dei desideri Io sono un bambino povero, il mio papà mi ha mandato a lavorare, a cucire palloni. Io vorrei avere dei momenti di svago, di divertimento, di libertà, come tutti i bambini. Io vorrei essere felice, stare con la mia famiglia e con i miei amici. Essere coccolato e accudito. Invece son qui a cucire palloni per poche monete. Tommaso Baro

Io sono libera sono libera di andare a scuola, di divertirmi, di sorridere, di giocare, di scherzare... Ma i bambini che non sono liberi non si divertono Valentina Lamperti

Io sono... gli altri mi vedono... Io sono Valentina, una bambina di dieci anni. Sono alta paffutella sportiva invece gli altri mi giudicano in tutt’altro modo. Perché non mi capiscono? Faccio fatica a trovare amiche, perché non mi accettano? Faccio fatica a parlare, a giocare con loro. Vorrei essere come loro: COMPRESA! Perché non piaccio a loro? Perché mi vedono elegante vanitosa, voglio stare sempre al centro dell’attenzione, ma non è così. Io sono Valentina, una bambina di dieci anni. Valentina Ricotti

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Filippo Natola

Io sono Io sono un bambino, un bambino povero, non vivo in un mondo libero come gli altri. Un mondo di libertà, per noi ci potrà essere? Io sono me stesso. Ho gli stessi diritti degli altri. Eppure io ho poco cibo, poca acqua. Non vado a scuola. Sono un bambino schiavo, lavoro come uno schiavo. Per avere pochi soldi. Io non ho un sorriso che illumina tutto il mondo. Non ho quello che dovrei avere. Io vorrei essere un bambino, e qualcosa di più.

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Io sono un bambino povero. Io ho una famiglia grande e devo guadagnare. Io sono buono e gentile, bello e bravo. Io non sono invidioso, ma quando vedo in vetrina i vostri giochi così carini e perfetti mi viene da piangere. Io non ho casa, istruzione, cibo. Io vorrei essere come uno di voi. Nel mondo non c’è posto per me. La libertà sarebbe tutto per me.


IO SONO ETTORE, CAPO DEL MARE SERIE CARTONE ANIMATO. SONO ANCHE UN GENIO E ANCHE UN POWER RANGER. SHADOW RANGER. SONO D’ADDA, ETTORE D’ADDA. BAMBINO. BRAVO. ANZI ORA SONO SOMMO LUMINESCENTE D’ADDA. Ettore D’Adda

Io sono Nata in Amazzonia, ma cresciuta nella giungla di una città caotica del Sudamerica, amo la vita e non mi chiedo mai per quale ragione mi alzo ogni mattina. Semplicemente vivo, esisto, cresco, sogno, penso e agisco di conseguenza, seguo il mio istinto a volte sbagliato a volte giusto… la mia vita è un casino, ma io la adoro così...non ne vorrei una diversa. Pilar del Aguila

ANNA B.

PILAR DEL AGUILA

ETTORE D'ADDA & FRIENDS

PATRIZIA SEVIERI

Io sono! Partiamo da un presupposto: sono un soggetto da bioritmo notturno che adora svegliarsi presto. Conseguenza diretta, cervello obnubilato almeno per un paio di ore. Agisco in maniera del tutto meccanica e, nel tempo a disposizione prima di recarmi al lavoro, devo programmare chi farà che cosa nel corso della giornata non potendo presidiare personalmente il menage quotidiano. Per anni ho studiato organizzazione del lavoro – alla Bocconi, dico io, mica in un contesto qualsiasi – appunto! Provare per credere a far girare una famiglia… Nessuno però mi può levare il tempo impiegato per recarmi in ufficio, venti minuti scarsi ma fondamentali. Sono il mio attimo di preghiera, il momento di riflessione… Ascolto intensamente la Mannoia “c’è gente che ama mille cose e si perde per le strade del mondo…” Ecco mi ci ritrovo perfettamente. La mia esistenza è una rincorsa. Sono una bulimica della vita e sono totalmente incapace di non impegnarmi, in tutto. Poiché non sono wonder woman – al contrario sono piuttosto lenta e meticolosa (mio padre a ben pensarci aveva proprio ragione “la perfezione è nemica dell’efficienza” mi ricordava sempre) l’equazione è semplice: so cosa comincio e non so mai quando e ciò che concludo. La verità è che ho il terrore di stare alla finestra a guardare la vita, la mia vita, scorrermi innanzi come un film ed io non essere lì tra i protagonisti. Non so quanti giorni, ore o minuti avrò a disposizione ma desidero fortemente che nulla vada sprecato. È un dovere. È l’unico modo che ho a disposizione per ringraziare della fortuna di essere nata da questa parte del mondo. Cristina Poletti


MI RIGUARDA Un sentiero solitario: La stanchezza del giorno grava sulle spalle dolenti e la tentazione di fermarsi è un gioco sottile di luci ed ombre.

E ti ascolto e il tuo dire diventa il mio tempo mentale. Cadono bacche vermiglie sul sentiero solitario e foglie sempre verdi. La tentazione si fa incerta, svanisce. Senza rumore. Orta San Giulio, Sacro Monte Rosanna Travaglino

SARAH NOCITA

MATTEO PANIZZA

PABLO PANIZZA

MARCO ROSSI

Chi sono io? Tante volte mi sono fatto questa domanda nella mia vita soprattutto quando si parla di obiettivi di ambizioni e su cosa ci riserverà il futuro. La vita è piena di incertezze e alterna momenti felici e momenti di difficoltà. Noi dobbiamo sempre vivere pensando positivo cercando di poter inseguire i propri sogni, ma è nostra la responsabilità cercare di renderli reali. Ogni decisione però deve essere presa sapendo che non ci sono garanzie e certezze nella vita. Ogni scelta che si fa comporta un rischio, ma con un po’ di pratica, decidere diventerà via via più facile nella tua vita. Indaga e rifletti sui tuoi talenti naturali e impara ciò che vuoi fare bene, cerca di capire quali attività ti danno più piacere e soddisfazione, e quale stile di vita vorresti avere nel futuro. Io sono in quell’età di mezzo dove pensi al futuro ma cominci ad avere già un passato, non rincorri miti e mode perché penso che sono semplicemente io, me stesso e non vorrei essere nessun altro. Spesso sento il bisogno di staccare da tutto e da tutti, a volte sono in conflitto con il mondo intero ma quando arrivo a casa ho la fortuna di avere con me la mia famiglia, mia moglie i miei bambini e la loro gioia e serenità mi danno la forza di essere una persona migliore. Bruno Quaini

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Restare in disparte, ai bordi della strada come ai bordi della vita.

Ma... se tu mi parli delle tue pene segrete, questo mi riguarda, se tu mi dici la tua rabbia nascosta, il tuo disagio, la nostalgia di terre lontane questo mi riguarda, se tu mi chiedi una bambola per i tuoi bimbi appena nati, questo mi riguarda…


FABRIZIO CARBONE

Io sono! ...sono come una miscela di colori. Il più delle volte colori caldi, rosso, arancio. I colori dell’energia, del fare, dello sperimentare; a volte colori freddi, blu, verde. I colori dell’incertezza, dell’attesa, dell’inquietudine. Sulla mia tela, linee di “sogni infantili” si sono nel tempo intrecciate con quelle dell’età adulta… MARINA GIANESINI nulla sembra più certo. Ma se metto da parte “i sogni infantili” e guardo la tela, con tutto quel suo intrecciarsi di sfumature armoniche, calde e fredde... sono felice.

TOMMASO VOLPI

Io sono: l’amico di tutti. La mano! La mano è nera La mano è bianca La mano è marrone La mano è sempre uguale e nessuno è diverso per il colore! Tommaso Volpi


Io sono... Il custode del cimitero di Swain lane

ALESSANDRO MARCHETTI

STEFANO UZZO & FORAK

Noi siamo e dobbiamo crescere tutti in maniera uguale!

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UPE & ANDRIUS GEDGAUDAS

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FEDERICA CAPUZZO

Mi chiedo se posso contare le righe del mio viso come si possono contare i cerchi dei tronchi degli alberi per stimare la loro età e scoprire eventuali traumi. Mi chiedo se posso comprendere il tutto solo attraverso questa mia vita. Mi chiedo se posso essere chi sono per un motivo. Mi chiedo qual è il motivo. Vorrei la fede in un dio. Vorrei la certezza di una vita oltre la morte. Limbo di Eden. Ovunque vado porto disagio, sospetto ed alienazione. E poi d’improvviso sono luce nel buio, sono salvezza nella perdizione, sono la vita di chi non l’ha più. Chi sono io? Angelo custode o demone evocatore? Pazientemente seduto, scavo nella psiche di chi mi si avvicina, per un giorno o per anni. Connubio di odio e amore. Sorrido perché mi piace l’aria che respiro, anche se è inquinata.



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Xmas Project 2008 e margherita bertolesi ♥ edoardo sheila mauri bini ♥ monica marini ♥ katia tumidei ♥ cicci carini ♥ alessandro bompieri ♥ sarah nocita ♥ giulia utili ♥ chiara utili ♥ elena casadei ♥ monica burdese ♥ alberto bruno ♥ emma bruno ♥ alessandro bruno ♥ alessandro febbi ♥ alberto lazzaretti ♥ virgilio beltrando ♥ barbara boffa ♥ giorgio bertolo ♥ daniele allocco ♥ franca miretti ♥ john skinnader ♥ loris genesio ♥ studio agrò ♥ padre gianni nobili ♥ giorgia morra ♥ marco patagarro eula ♥ max garbo ♥ massimiliano tinelli ♥ marina gemic e vittorio salvini ♥ luca buratti ♥ marco mangini ♥ manuela bocco ♥ massimo durante ♥ marco di gregorio e donatella ♥ andrea ceccarelli ♥ federico barral ♥ massimo santambrogio ♥ alessandro de angelini ♥ gianfranco de cesaris ♥ nicola cascino ♥ elena pini ♥ giulia montrasio ♥ luca musumeci e stefania spennacchio ♥ stefano ronzoni ♥ giovanna giuliana ♥ federica rovelli ♥ andrea volonté ♥ elisa reginato ♥ paola budini ♥ paolo brosio ♥ patrizia 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associazione nord sud onlus ♥ mirko callegari ♥ alessandro paini ♥ clara de giuli ♥ cecilia gulisano ♥ silvia gulisano ♥ margherita mamoli ♥ alba muzzi ♥ le educatrici annamaria sonia simona ♥ vittorio carnemolla ♥ igea maggiolini ♥ adriana maggiolini ♥ giorgio maggiolini ♥ simonetta grazzini ♥ antonio cometto ♥ silvana maggiolini ♥ franco e orietta troiano ♥ filippo e tommaso bottin ♥ andrea bottin ♥ milena concetti ♥ simone e alessia portochese ♥ silvano leva ♥ filippo tania e sergio bertolesi ♥ tina e emilio bertolesi ♥ federica capuzzo ♥ sandra galbignani ♥ marisa bertolesi ♥ paola casartelli ♥ silvia ghisio ♥ massimo volpi ♥ gianfranco goffi e aliviaggi tour operator srl ♥ monica albertoni ♥ claudia montanari ♥ alberto ferri ♥ marie anne bussiere ♥ vittorio bertogalli ♥ giuseppe perfetto ♥ adelia martini ♥ zia andreina ♥ alberto gallio ♥ gianluca e claudia ♥ giorgio sara emma gallio ♥ luca portochese ♥ fabiana gatti ♥ marina nando e giordana ♥ paolo mondini ♥ nicola appicciutoli ♥ matteo dondè ♥ federica bianchi ♥ elena plati ♥ anna di silvestro ♥ jole garuti ♥ matteo dones ♥ roberto dones ♥ lorena carro ♥ matteo ciliberti ♥ luca ciliberti ♥ marco ciliberti ♥ caterina cavallo ♥ elettra plati ♥ luciana salvatori ♥ alberto colciaghi ♥ marzia bonizzoni ♥ egle e ilaria colciaghi ♥ tommaso e giorgia larosa ♥ francesca venato ♥ prisca baldo ♥ roberto ambrosi ♥ vittorio ramella ♥ patrizia trevisin ♥ maria frosi ♥ carlo cassani ♥ giuseppina rinaldi ♥ valeria cassani ♥ roberta carpani ♥ giuseppe toniolo ♥ gilda bambino ♥ alessandro moro ♥ lorenzo talamo ♥ maurizio talamo ♥ marzia gastaldi ♥ miky decio ♥ ale giovanni e stefano colombo ♥ mariarosa e nino casanova ♥ michela casanova ♥ francesca colciaghi ♥ giovanbattista plati ♥ raffaella panigada ♥ springer-verlag italia ♥ madeleine hofmann ♥ giuseppe stroppa ♥ enrica strada ♥ antonella la rovere ♥ gloria de ponte ♥ patrizia daniela angeli ♥ pietro marini ♥ elisabetta loi ♥ luca lunardi ♥ veronica setola ♥ vincenzo beninato ♥ andrea e pietro ferrari ♥ michela casanova ♥ damiano bogo ♥ enza de bellis ♥ gisella novello ♥ vittorio pisicchio ♥ daniela galbiati ♥ gabriella pinolo ♥ amalia conti ♥ damiano fabiola tatiana antonio ellero ♥ fondazione i nostri bambini ♥ capricorn srl ♥ paola toniolo ♥ elisabetta peruffo ♥ laura aiello ♥ sara zermian ♥ alberto ipsilanti ♥ dario piletti ♥ lara bellardita ♥ michele novaga ♥ michele schiavone ♥ silvana ghioni ♥ marina gianesini ♥ dario basile ♥ sabrina lombardi ♥ giorgio guccini ♥ paola fabio giulia camilla e paolo maragno ♥ matilde e piergiorgio petruzzellis ♥ francesca cantarutti ♥ luisa basso ♥ katia malgioglio ♥ stefano marchi ♥ andrea gaeta ♥ safety partner srl ♥ cosimo piga ♥ gian giorgio carta ♥ vincenzo dragonetti ♥ manuela notti ♥ claudia muro ♥ martina todesco ♥ barbara da luca ♥ antonietta e franco ♥ lara cimmino ♥ cristina poletti ♥ giorgio boratto ♥ alberto mauri ♥ paolo elena e ariele cattaneo ♥ giampaolo mirri ♥ simone fontana ♥ alessandro de melas ♥ sonia de luca ♥ dario pigaiani ♥ angela bagnati ♥ maurizio barella ♥ piercarla battarini ♥ raffaella stracquadanio ♥ lorella bazzini ♥ lapo de carlo ♥ yade mamadou ♥ margherito ♥ metrella ♥ arbi mone ♥ he jinchuan ♥ patrizia sevieri ♥ erika brovelli ♥ cyndra velasquez ♥ rino cimmino ♥ lions club borgomanero ♥ dorly albertoni ♥ lalla alfani ♥ delly asnaghi ♥ enrica carrera ♥ mariangela casarotti ♥ amelia cotogno ♥ maria rosaria gattone ♥ liliana pezzana ♥ rosanna prosino ennio e ada, giuseppe e lia, giovanni e liliana ♥ carlo carlini ♥ steve lowe ♥ elena cazzaniga ♥ mauro ferrero ♥ giorgia lodigiani ♥ rosella capitani ♥ asilo nido multietnico giramondo ♥ rosella campanella ♥ cristina pedretti ♥ emanuela monguzzi ♥ stefania conte ♥ graziella rubanu ♥ anastasie egueu ♥ elizabeta ivanova ♥ manuela ferrari ♥ sherifa moahmed ahmed ♥ gehan morcos ♥ khader tamini ♥ barbara dambrogio ♥ elisa migliavacca ♥ anna mazzone ♥ francesco giusti ♥ valentina corio ♥ samuele e ... marconi ♥ les cultures onlus ♥ giorgio redaelli ♥ paola amigoni ♥ mario spreafico ♥ elisabetta soglio ♥ teresa monestiroli ♥ erica brovelli ♥ antonella colombo ♥ maria e loris panzeri ♥ gruppo per le relazioni transculturali ♥ associazione stak ♥ alessandra e beatrice monterosso ♥ bruno muner ♥ il beppe e l’adele ♥ a.s.bovisa 84 ♥ lonati beniamino e famiglia ♥ elena giuseppina perletti ♥ elena salvi ♥ carlo pelizzi e barbara bordini ♥ marta gatti ♥ stefano torretta ♥ coletta fasola ♥ diana gianola ♥ maria grazia lodigiani ♥ irene nicola gigi e sabrina bernareggi ♥ enzo schiarripa ♥ massimo zurria ♥ luigi di sipio ♥ benedetta alessandro e francesco simi ♥ ivano palombi ♥ silvia carameli ♥ lodi giorgia ♥ bruno e annamaria bailo ♥ antonella bazzi ♥ luigi forzatti ♥ serena geravini ♥ davide molteni ♥ serena lara e maurizio ♥ claudia sanvico ubezio ♥ elena sanvico ♥ domenico antonelli ♥ bianca masini ♥ clara ergoli ♥ thomas fuso ♥ fabio ardito ♥ alexandra pecorelli ♥ nicola giorgi ♥ sara anselmi ♥ manuela bocco ♥ federico barral ♥ danilo coglianese ♥ andrea gucciardi ♥ alberto ornago ♥ gianfranco tonoli ♥ adriano tirelli ♥ roberto corradini ♥ alessandro farmeschi ♥ benedetta maiocchi ♥ jennifer minasi ♥ paola e massimo ♥ mary e giulio ♥ lavinia basso ♥ marco carillo ♥ silvia acrocece ♥ pier paolo greco ♥ sergio solero ♥ stefania bertelli ♥ alessandro de angelini ♥ riccardo chiesa e valentina ardone ♥ massimo rossi ♥ marco makaus ♥ nicoletta salvia ♥ bruna dell’agnese ♥ monica colombo ♥ oratorio di curno ♥ matteo finassi ♥ enrico colpani ♥ andrea ciocca ♥ felice rizzi ♥ tino kakou ♥ sabrina e mirco nacoti ♥ cesare borin ♥ idalia gualdana ♥ sergio cecchini ♥ vanni maggioni ♥ ale, il calta ♥ mala k. edmond ♥ moh cede ♥ cristian ferrari ♥ elena besola ♥ elisabetta ferrario ♥ rino ♥ paola tocco ♥ johanne campoy ♥ dr. tuo ♥ dr. lee ♥ tierry djekou ♥ benjamin ♥ johanna ♥ lainé mamadou ♥ marta panzera ♥ raffaella gentilini ♥ bernard kei ♥ silvaine ♥ dominique djere ♥ carlo montaguti ♥ jeremie dogbo ♥ carmen ♥ compagnia brincadera ♥ giuseppe goisis ♥ nicola cazzalini ♥ fiorella corona ♥ alberto benigni ♥ konan norbert kouassi ♥ alphonse lou ♥ denis assande ♥ horace acakpo ♥ michelins guessan ♥ naminignan ouattaro ♥ ballo aboulaye ♥ daniel g. gulu ♥ guillaume o. strézeleck ♥ fedele salvo ♥ giusi conti ♥ angelo minali ♥ jolly sylvain gleh ♥ philomène ♥ associazione sguazzi ♥ paola di bello ♥ manuela rinaldi ♥ guia berni ♥ roberta carpani ♥ andrea bristot ♥ margherita tommaso pamela e davide agrati ♥ marco irene e marina mazzola ♥ giovanna depascalis ♥ veronica pitea matteo e giorgio gaddi ♥ andrea e greta negrinelli ♥ sara bossi ♥ ilaria bartolozzi ♥ massimo frida e margherita rebotti ♥ agostina invernizzi ♥ giuseppe stefano e rachele fiore ♥ alice ruby rhiannon ♥ alexandra rauter ♥ claudio covini ♥ max covini ♥ andrea marchetti ♥ alessandro marchetti ♥ maria borrelli ♥ davide volpi ♥ emma biraghi ♥ giacomo lotti ♥ stefano digiuni ♥ veronica digiuni ♥ rosy volpi ♥ olsen ♥ camilla francesco mascia michele panichi ♥ nadia paloma ♥ enrica rossi e la classe terza E ♥ chiara angelica e la classe terza B primaria bacone ♥ davide tassoni ♥ diana d’alterio ♥ diego tassoni ♥ la classe terza A secondaria ciresola ♥ ginevra volpi ♥ eva de luca ♥ pilar del aguila ♥ rosanna travaglino ♥ upe & andrius gedgaudas ♥ la classe quinta B primaria ciresola ♥ alderan srl ♥ alessandro frezza ♥ daniele bizzozero ♥ donato ferro ♥ fabio brancaglion ♥ fabrizio cucchi ♥ fabrizio pedrizzi ♥ franco angelini ♥ giorgio guccini ♥ leonardo brunetti ♥ luca strinschi ♥ marco benvenuti ♥ marco camporiondo ♥ melinda frezza ♥ michele perego ♥ paolo gibertini ♥ alberto vigano ♥ annamaria e mauro fumagalli ♥ ivan e luca olivieri ♥ elena pozzi ♥ luca musso ♥ gianalberto zanoletti ♥ roberta lamperti ♥ andrea lamacchia ♥ saib spa ♥ clara conti ♥ fabrizio carbone ♥ federica savorani ♥ letizia anna maria santagata ♥ oleochimica martini ♥ roberta martini ♥ lorenzo d’aprile ♥ survival italia ♥ francesca casella ♥ sara fumagalli ♥ roberto donati ♥ daniela rocco ♥ diego rossi ♥ valentina kovacic ♥ dario inglese ♥ chiara forgillo ♥ chiara schimd ♥ mauro favagrossa ♥ gherardo e luigi poli ♥ giovanna zanimacchia ♥ ivan laura martina provini ♥ casa morigi


Il Librosolidale, per una collana di solidarietĂ .


I prog etti s ono so con de gni lle sca denze.

Abbiamo iniziato nel Natale del 2001, con il primo Librosolidale, dedicato al progetto della Fondazione I Nostri Bambini, in Romania. Non sapevamo come sarebbe andata e se saremmo stati capaci di continuare, Natale dopo Natale. Ci stiamo ancora provando, e ancora ci sono dei momenti in cui ci chiediamo se ce la faremo a proseguire. Ma poi ci guardiamo alle spalle, guardiamo lo scaffale della nostra libreria e la vediamo: la Collana di SolidarietĂ che fin dal primo libro speravamo di riuscire a costruire. Grazie a tutti voi, a ciascuno di voi. Questi sono i vostri libri, voi siete questa Collana.


in collaborazione con la Fundazione “I nostri bambini” str. Ciresului n° 100 Bals - c.p. 235100 (Olt) Romania Conto corrente RO39 RZBR 0000 0600 0389 2107 Tel./Fax 0040 249 454246 e-mail: info@inostribambini.org www.inostribambini.org

2001 in Romania Ristrutturazione di alcuni bagni e camere della sezione di malattie infettive pediatriche dell’Ospedale giurisdizionale di Slatina, in Oltenia, e mantenimento per tre anni di un’assistente materna.

Carissimi Amici del Xmas Project, il Natale è alle porte, ed eccomi di nuovo qui a raccontare di noi sulle pagine del Librosolidale. L’autunno ci ha portato buone e cattive notizie: i problemi della “crisi internazionale” e della scuola italiana, un grande freddo e in alcuni casi anche la neve che, per quanto temuta da noi adulti, rappresenta una gioia grande e un autentico prodigio per i bambini. Purtroppo l’ultimo si è verificato essere un anno difficilissimo, ma al contempo fantastico per la nascita di Fabiola e per l’adozione del piccolo Damiano. Una bomba. Una felicità immensa, inspiegabile. Un miracolo. Questo sono i bambini: Miracoli! Qui, alla “Casa dei Sogni”, sono avvenuti dei veri miracoli. Tutti i neonati presi in affidamento l’anno scorso si sono negativizzati, stanno bene, si prospetta una vita possibile! Ma, insieme a questi miracoli, c’è stata anche la riduzione delle attività della Fondazione, destinata purtroppo alla chiusura totale. Qui in Romania abbiamo sempre meno risorse e il costo della vita sale vertiginosamente. Il personale non si accontenta più di un magro salario e sceglie piuttosto la difficile strada dell’emigrazione per potersi permettere la sopravvivenza.

E così, molte delle persone che ritenevamo affidabili e che avevano acquisito una valida esperienza, se ne sono andate. Senza risorse e senza competenze, per noi è diventato quasi impossibile gestire la quotidianità. Stiamo comunque facendo del nostro meglio per fare in modo che i bambini che ospitiamo vengano affidati a famiglie o a istituzioni che garantiscano loro il meglio. L’assurdo è che lo scorso anno sono stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana: ma che cosa ce ne facciamo delle medaglie? Ci fanno provare solo una grande amarezza. Non ci servono a far crescere i bambini o a pagare il personale. Sono solo la dimostrazione di quanto sia “vuota” la politica. Solo chiacchiere buttate al vento da parte di tutti gli schieramenti. Non sappiamo che cosa ci aspetta il prossimo anno, possiamo solo sperare che sia migliore. Noi continueremo a credere e soprattutto ad agire, per fare in modo che ognuno di noi possa sentire di esistere. Che ognuno di noi, e per primi i bambini, possano dire: “Io sono”. Con amicizia, Antonio Ellero e “I Nostri Bambini”

Budget preventivo progetto Slatina TOTALE FONDI RACCOLTI Spese progetto (stampa, spedizione, segreteria) Fondi a disposizione per progetto Slatina Fondi stanziati per progetto ristrutturazione Fondi stanziati per progetto “Assistenti materne”

Euro Euro Euro Euro Euro Euro

8.041 23.255 4.996 18.259 9.259 9.000


29.000 36.750 1.100 150 8.100 27.500

Mohamed, Aghali, Abdoulahi, Mohamed e Tanalher. A fine giugno hanno preso un pulmino e per la prima volta si sono allontanati da Assada per andare a fare gli esami per il certificat, un esame che segna il termine degli studi primari e la possibilità di iscriversi al college, proseguendo il percorso degli studi. Dal Niger ci hanno detto che erano tutti molto stupiti dal viaggio, dalle cose nuove che hanno visto e soprattutto molto emozionati per la prova che dovevano affrontare. Dobbiamo dire che anche noi da qui, in Italia, non ci siamo detti nulla ma un po’ emozionati lo eravamo anche noi: ormai da sei anni gli alunni della scuola di Assada non sono più solo dei nomi e delle liste, ma dei bambini che abbiamo imparato a conoscere e che siamo riusciti a seguire in tutto il loro percorso di studi. La costruzione della scuola, infatti, è cominciata nell’ottobre del 2002 e, anche grazie al sostegno dell’Associazione Xmas Project e del PAM, è stato possibile assicurare il funzionamento della mensa, dell’orto e il finanziamento degli stipendi degli insegnanti e degli operatori.

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bambini formati ad Assada. Bisogna dire che le statistiche non erano proprio dalla nostra parte: in Niger normalmente meno della metà degli effettivi iscritti all’ultima classe del livello primario consegue questo diploma perché l’esame è molto difficile e spesso la preparazione ricevuta dai ragazzi è insufficiente per affrontarlo.

Invece il 19 luglio arriva la notizia: cinque dei nostri studenti hanno passato l’esame con dei buoni voti e una degli “heureux admis” è una ragazza: Tanalher. I pensieri vanno veloci ai loro volti e ci piacerebbe veramente essere lì a congratularci con loro, perché ce l’hanno fatta. E ovviamente siamo orgogliosi anche degli insegnanti della scuola e di tutti quelli che hanno contribuito alla formazione dei ragazzi: in questi anni hanno fatto un buon lavoro. E così per l’anno scolastico 2008/2009 si moltiplicano i nostri impegni: oltre al sostegno della scuola di Assada con i suoi 100 iscritti e gli insegnanti, si apre la nuova sfida di accompagnare i nostri cinque studenti nel loro nuovo percorso di studi al college di Agadez.

Gli esami del certificat hanno rappresentato, quindi, una verifica anche per la nostra scuola: si tratta della prima valutazione di merito esterna dei

2002 in Niger Costruzione e avviamento di una scuola nel villaggio di Assada (aule, alloggi, servizi igienici, cucina e magazzino nonché muro di recinzione).

in collaborazione con Les Cultures ONLUS Laboratorio di cultura internazionale Corso Martiri, 31 - 23900 Lecco Tel.: +39 0341 284828 - Fax: +39 0341 370921 informazioni@lescultures.it www.lescultures.it

Paola Amigoni, Les Cultures

one hundred and six | one hundred and seven

Euro Euro Euro Euro Euro Euro

106|107

Budget preventivo progetto Scuola TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per spedizioni Spese di segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2002 Fondi stanziati per progetto


in collaborazione con la Fundación Niños de los Andes Carrera 20 bis A # 164-51 – A.A. 103659, Bogotá Tel.: 0057 1 6780655 Fax: 0057 1 6705375 ninandes@ninandes.org www.ninandes.org

2003 in Colombia Acquisto nell’area urbana di Bogotá di una Casa Hogar (casa famiglia) destinata a ospitare circa 60 giovani che hanno concluso il processo di reinserimento sociale all’interno della Fondazione e si preparano a lasciarla.

Amigos de Xmas Project: siamo lieti di riportare di seguito le attività promosse presso Casa Albachiara fino al mese di ottobre di quest’anno.

Il comune intento dei giovani colombiani è la lotta alla sopravvivenza, ragion per cui spesso tale necessità porta al furto, allo sfruttamento infantile e al traffico di stupefacenti.

Senza dubbio abbiamo ottenuto risultati incoraggianti con i giovani accolti negli ultimi tre anni presso Casa Albachiara. La Colombia non può che esprimere tutta la sua gratitudine: ancora mille grazie al Xmas Project.

Il grado di scolarizzazione degli adolescenti accolti nel 2008 è a livelli accettabili, ma c’è da notare che la maggior parte degli adolescenti inseriti nel programma si trova oltre la soglia di età scolare. Ciò necessariamente rende difficile l’integrazione in istituzioni educative distrettuali diurne e determina una maggiore attenzione verso un processo di accoglienza e adattamento in grado di fornire allo stesso tempo una formazione scolastica adeguata e l’inserimento in un ambiente prelavorativo conforme ai propri interessi.

L’obiettivo principale del programma che viene promosso da Casa Albachiara è di inserire i giovani in un processo di adattamento socioambientale e pedagogico realizzando analisi preliminari per aree di incidenza e definendo un Piano Individuale e Familiare d’Intervento.

In merito alla formazione prelavorativa, si riscontrano miglioramenti nell’inserimento di giovani in programmi di abilitazione offerti dal SENA (Servizio Nazionale di Apprendistato) presso imprese e industrie che hanno selezionato giovani in relazione al profilo e alle caratteristiche del lavoro.

La problematica dei giovani in strada, in cerca di opportunità concrete di impiego, rimane il principale sforzo nel quale insieme alla vostra organizzazione cerchiamo di profonderci.

La maggior parte degli adolescenti assistiti nel 2008 sono soggetti a maltrattamenti e abusi, causa diretta del loro essere violenti e aggressivi.

Un abrazo, Pedro Fernández Vargas, Fundación Niños de los Andes

Budget preventivo progetto Casa Hogar TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2003 Fondi stanziati per progetto

Euro Euro Euro Euro Euro

35.000 35.340 540 8.100 26.700


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28.000 36.890 790 8.100 28.000

Cari amici del Xmas Project, Lo sviluppo di FEDO (Feminist Dalit Organization) – la ONG nepalese partner del progetto, nata nel 1994 da donne dalit con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della comunità dalit, delle donne in particolare – non può prescindere dal fatto che in Nepal vi sono ancora disaccordi sostanziali fra le parti politiche che rendono difficile il processo di pace. Nonostante tutto, FEDO prosegue con i progetti di rafforzamento e responsabilizzazione dei dalit, rispettando così i suoi obiettivi. La modalità di intervento utilizzata da FEDO è quella di una capillare presenza nelle comunità attraverso l’offerta di un ampio spettro formativo con strumenti accessibili a tutti, tra i quali particolarmente usati sono il teatro di strada e performance musicali. È importante sottolineare come la capillarità dell’intervento spinga FEDO a utilizzare parecchi volontari che, facendosi partecipi delle attività, vengono anch’essi formati ai princìpi di base che motivano le azioni di FEDO.

Le tematiche più significative trattate vertevano sulla salute, sull’igiene, sull’alfabetizzazione e sulla formazione di base in ambito sociale e commerciale (fra cui risparmio e credito). Inoltre, sono stati offerti strumenti di supporto all’agricoltura (irrigazione).

Il coinvolgimento delle donne dalit nel processo democratico (IDWDP) ha come scopo l’aumento della loro partecipazione politica, cosa che sta avvenendo anche a livello del processo di pace attraverso l’Assemblea Costituente (WEPPDCA). Questo le ha spinte a una più larga partecipazione al nuovo processo di ricostruzione del Nepal permettendo così la responsabilizzazione della gente rispetto ai diritti della comunità dalit. Infine, con il sostegno di Actionaid Nepal, FEDO sta creando una struttura per monitorare le condizioni delle donne dalit e, attraverso campagne di difesa pubblica contro le ingiustizie e le discriminazioni nei distretti, aspira alla nascita di una rete di alleanza tra la popolazione.

In conclusione si può proprio dire che il programma ha raggiunto tutti gli Il Programma di rafforzamento dei Dalit (DEP) è stato condotto nei distretti obiettivi prefissati. di Lalitpur e Doti e i beneficiari diretti dell’intervento sono state 3.770 persone, mentre quelli indiretti 28.877. Maria De Carli, GRT Italia

2004 in Nepal Progetto socio-sanitario a favore di una comunità di donne Dalit nella regione di Rupandehi: 18 borse di studio, produzione di materiale informativo e acquisto di attrezzature mediche per cliniche mobili.

in collaborazione con G.R.T. Gruppo per le Relazioni Transculturali Via Desiderio 26/A - 20131 Milano Tel./Fax: + 39 0226681866 e-mail: grt@una.org www.grtitalia.org

one hundred and eight | one hundred and nine

Euro Euro Euro Euro Euro

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Budget preventivo progetto Dalit TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2004/5 Fondi stanziati per progetto


in collaborazione con l’Asilo Nido Giramondo Via Candiani, 139 - 20158 Milano – Tel.: +39 02 39313197 Cooperativa sociale Città Nuova Piazza Alfieri, 3 - 20158 Milano Tel./Fax: +39 02 3760512 E-mail: info@coopcittanuova.it www.coopcittanuova.it

2005 in Italia Realizzazione del “Progetto 100 euro” che prevede l’inserimento in un asilo nido di Milano di 10 bambini stranieri, figli di “genitori soli” in situazione di grave disagio economico e sociale.

Ciao a tutti voi, Amici del Xmas Project! Io Sono Giramondo, l’asilo nido privato convenzionato nella zona Bovisa a Milano che da qualche anno riceve il vostro più sincero affetto e sostegno. Sono nato, sono stato aiutato e lo sono tuttora, e sono diventato abbastanza bravo: senza falsa modestia vi posso dire che il Comune di Milano non solo continua a confermarmi la convenzione ma mi ha chiesto di aumentare la disponibilità dei posti pubblici! In particolare sa quanto lo staff al femminile che mi caratterizza sia aperto alle sfide. Ci sono davvero tanti bambini dentro di me, e sono di tutti i colori.

Vi assicuro che oltre a farmi sudare e lavorare, divertire ed arrabbiare, mi commuovono. Cresco con loro. In questo ultimo periodo è un po’ faticoso a causa di alcuni problemi inerenti aspetti burocratici che senza volerlo mi coinvolgono, ma io stringo i denti e lotto e vado avanti e sono sicuro che davanti a me continuerà ad esserci un bellissimo arcobaleno! I bambini, i loro cari e tutto il personale mi chiedono di salutarvi. Io vi auguro di poter affermare sempre senza esitazione “Io Sono”. Io sono vivo e ringrazio di questo! Con amicizia, Giramondo, asilo nido.

IO SONO DI TUTTI I COLORI! Le richieste che il Comune mi invia spesso partono da famiglie straniere, molte bimbe e molti bimbi arrivano e imparano tra le mie mura le prime parole di italiano.

Budget preventivo progetto Chiedo asilo a Milano TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2005/6 Fondi stanziati per progetto

Euro Euro Euro Euro Euro

38.500 39.240 860 7.080 31.300


29.000 31.902 850 8.052 23.000

Carissimi, Tra il 2007 e l’inizio del 2008 sono stati completati i 10 punti d’acqua previsti dal progetto co-finanziato da Xmas Project. Migliaia di persone sono state sensibilizzate, hanno partecipato direttamente ai lavori di costruzione degli invasi, sono state rese abili ad occuparsi in prima persona del bene preziosissimo che è l’acqua e ne percepiscono oggi il possesso. Migliaia di donne oggi hanno a disposizione acqua potabile a poca distanza dal posto in cui abitano. Mentre il mondo dei bianchi è così sviluppato da privatizzare nelle mani di pochi enormi gruppi finanziari la risorsa che rende possibile la vita alla Terra e che esiste dall’inizio del mondo, il mondo dei neri impara che è possibile la condivisione e che non è più necessario farsi la guerra per accaparrarsi punti d’acqua nel deserto.

06 Gongode e le altre aree che sono state toccate dall’intervento (Achi Kumbulti, Hamerland) oggi hanno qualcosa di ancora più importante dell’acqua potabile: hanno la dignità dell’esercizio di un diritto umano. Rendere possibile tutto questo attraverso lo sforzo di un manipolo di persone che in Italia realizzano e vendono il Librosolidale è qualcosa che ha del miracoloso.

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Euro Euro Euro Euro Euro

A distanza di due anni da quando tutto è incominciato rinnoviamo il nostro ringraziamento a quanti hanno partecipato a una impresa così semplice e allo stesso momento così enorme. Stefano Zimbaro, Sara Cravero, John Skinnader, Asrat Taddese e migliaia di bambini, donne e uomini del South Omo, Etiopia.

2006 in Etiopia Realizzazione del progetto “Acqua per Gongode” che prevede la costruzione di 10 bacini artificiali per la raccolta di acqua piovana, attrezzati con una pompa tidal ad azionamento manuale.

in collaborazione con Associazione OMO Onlus (Overtly Multiethnic Oriented) Strada Bria, 6 - 12042 Bra (CN) ITALY Tel. +39 335 7919166 - Fax +39 0172 411907 omo@omoweb.org www.omoweb.org

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Budget preventivo progetto Acqua per Gongode TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per spedizioni, segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2006/7 Fondi stanziati per progetto


in collaborazione con l’Associazione SGUAZZI c/o Biblioteca Civica – via Matteotti 1024046 Osio Sotto (BG) info@sguazzi.com – bibliotecadiman@sguazzi.com www.sguazzi.com

2007 in Costa d’Avorio Acquisto di un’antenna parabolica con relativo trasporto e installazione e del materiale per la sala per videoconferenze della biblioteca medico-scientifica dell’ospedale di Man.

Cari Amici e Sostenitori del Xmas Project, Come superare l’isolamento tecnico scientifico denunciato dal personale sanitario dell’ospedale di Man? Da questa domanda nacque il progetto “Una Biblioteca per l’Ospedale di Man”. Il Librosolidale 2007/8, voluto da Xmas Project, si proponeva di contribuire alla realizzazione di questo obiettivo. Ecco, in sintesi, tutti gli step di lavoro svolti quest’anno: Gennaio 2008. Il Comitato Biblioteca di Man si costituisce Associazione ACIM: Association Culturelle Informatique et Médicale. Febbraio 2008. Essendo stato scelto dal consorzio capeggiato dall’Agenzia Spaziale Europea come attività da seguire e valutare nel corso dell’anno 2009, nell’ambito della fase 4 del Progetto CBICT Capacity Building Through ICT: the Satcom element, “Una biblioteca per l’Ospedale di Man” beneficerà della connessione gratuita al satellite per tre anni e di una parte di fondi per acquistare le apparecchiature. Marzo 2008. Inizio dei lavori di ristrutturazione dei due locali che diverranno rispettivamente una sala di consultazione libri e sala PC\videoconferenza. Vengono utilizzati 5.000 euro provenienti da Xmas Project. Aprile 2008. Spedizione di 300 libri nuovi medici donati dalla casa editrice Springler. La sala consultazione è dotata ora di 500 libri.

Maggio 2008. Il progetto vince la quinta edizione del Premio Takunda, vincere con la solidarietà, tenutasi a Bergamo - presso il Teatro Donizetti il 27 maggio 2008, per la categoria “Bergamo per il mondo” al progetto di cooperazione (vedi foto). Una delegazione del Comitato ritira il premio e incontra i partner lombardi. Luglio 2008. I dettagli economici, il piano d’azione, le strategie e gli obiettivi del progetto sono stati presentati e approvati dalla regione Lombardia, nell’ambito del bando per i Progetti di Cooperazione decentrata. Agosto 2008. Termina la ristrutturazione dei locali della biblioteca. La sala informatica viene dotata di 10 PC messi in rete, (di cui 1 adibito a server), una stampante, uno scanner, acquistati in loco. Vengono utilizzati 8.000 euro del Xmas Project. Agosto 2008. Presentazione alle autorità locali di Man e al direttore regionale dello stato dei lavori. La giornata riscuote un grande successo di pubblico e la televisione nazionale mostra le immagini dell’evento. Settembre 2008. La Regione Lombardia non finanzia il progetto. Sarà necessario trovare altri finanziatori per reperire i fondi necessari alla messa in atto del piano formativo.

Budget preventivo progetto Ospedale di Man TOTALE FONDI RACCOLTI Spese per banca, spedizioni, segreteria e cancelleria Stampa Librosolidale 2007/8 Fondi stanziati per progetto

Euro Euro Euro Euro Euro

31.334 38.280 935 8.345 29.000


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Ottobre 2008. Vengono ordinati i materiali per l’installazione della parabola Cosa succederà nel 2009? e del collegamento wireless: antenna C-Band, cavi, gruppo continuità, router, Gennaio-febbraio 2009. Trasporto e installazione della parabola. apparati wireless, protezione, cavi di rete, cavi di antenna. 10.000 euro dei 20.000 necessari per l’acquisto provengono da Xmas Project. I restanti Marzo-maggio 2009. Prime esperienze con utilizzo di internet veloce. provengono da ESA. Giugno 2009. Seminario fondativo in videoconferenza con tutti i partner Novembre 2008. Ospedali Riuniti di Bergamo e Università degli Studi di italiani e ivoriani del progetto. Il seminario sarà preparato congiuntamente Bergamo siglano un accordo formale per destinare risorse umane materiali, in Italia e a Man attraverso incontri presso l’Università di Bergamo e la finanziarie e offrire copertura istituzionale al progetto per favorire accordi Biblioteca di Man. bilaterali tra Italia e Costa d’Avorio. Sguazzi mette a disposizione 5.000 Luglio 2009. Viaggio a Man per verificare lo stato dei lavori. Xmas Project euro (4.000 provengono da Xmas Project) per sottolineare l’impegno è invitato. associativo nell’accordo. Settembre 2009. Inizio dell’attività di e-learning e formazione a distanza. Dicembre 2008. I 2.000 euro rimanenti del Xmas Project verranno Mirco Nacoti, Sguazzi Onlus utilizzati per stipendiare il bibliotecario nell’anno 2009.


Xmas Project 2009? In primavera la scelta. Segnalateci i vostri progetti.


A partire dal Librosolidale 2004 abbiamo introdotto un piccolo grande cambiamento: non trovate infatti nessuna anticipazione sul progetto del prossimo Natale. Abbiamo deciso di rinviare la nostra scelta in primavera, perché desideriamo ampliare le nostre possibilità di intervento: vogliamo infatti dare modo a tutti voi di segnalarci iniziative che ritenete interessanti o di indirizzare verso di noi eventuali associazioni con le quali siete in contatto. Ecco i criteri che ci hanno ispirato fino a oggi nelle nostre scelte e con i quali verranno valutate le future proposte. scegliamo progetti il più possibile delineati e dettagliati, con obiettivi chiari, anche se piccoli, un budget definito e un tempo di realizzazione certo.

Un progetto “rispettoso”: appoggiamo progetti richiesti e voluti da chi ne beneficerà, o

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da chi opera direttamente sul campo. Pur gradite e necessarie tutte le associazioni “tramite”, ci piace alla fine arrivare ad aiutare un partner locale, che esprima un proprio progetto e il bisogno di finanziarlo.

Un progetto “sostenibile”: diciamo intorno ai 30.000 euro. Questa è la nostra potenzialità, quindi meglio tenerne conto. Ci piace avere un budget preciso e dettagliato del progetto. A preventivo e poi a consuntivo.

Un progetto “diverso”: desideriamo che la nostra piccola collana di libri ci aiuti anche a scoprire la varietà del mondo. Ci piace immaginare dei Librisolidali che ci portino di anno in anno ad avvicinare luoghi e problematiche differenti.

Altre cose che ci piacciono: ci piacciono le piccole associazioni che hanno progetti seri

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Un progetto “finito”:

e interessanti, ma un po’ meno strade aperte per finanziarli. Ci sembra più utile portare il nostro piccolo contributo là dove non ci sono grandi possibilità di finanziamento. Ci piacciono le associazioni ben organizzate, quelle disponibili e desiderose di contribuire attivamente alla diffusione del Xmas Project.

Segnalateci dunque i vostri progetti, segnalateci alle associazioni che li portano avanti. Ricordatevi che dovrà essere realizzato nel 2010, anno in cui noi potremo finanziarlo. Sarà il protagonista del Librosolidale 2009/10. All’interno della copertina di questo libro, trovate tutti i dati per contattarci. Appuntamento quindi in primavera per la scelta del progetto. Buon Natale a tutti voi!

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Xmas Project ringrazia:

per la stampa del Librosolidale 2008

per la rilegatura del Librosolidale 2008

per la realizzazione e il mantenimento del sito www.xmasproject.org

Un grazie particolare a: Paola Scodeggio e Gianluca Sanvito per l’insostituibile “aiuto contabile”. L’équipe di Capricorn per il preziosissimo supporto grafico. Patrizia Zapparoli per la correzione bozze del Librosolidale 2008. Paola Mirra per la traduzione del testo relativo al progetto in Colombia. Fiorenza Roveda e Cristina Campagnolo della cooperativa sociale “Città e Salute” insieme al Dott. Barigozzi della “Fonderia Napoleonica Eugenia” per la loro eccezionale ospitalità. Antonio e Tatiana Ellero della Fondazione “I Nostri Bambini”. Paola Amigoni e Giorgio Redaelli dell’Associazione “Les Cultures”. Pedro Isaac Fernández Vargas della “Fundacion Niños de los Andes”. Valeria, Maria e Loris Panzeri del Gruppo GRT. Barbara D’Ambrogio e tutta l’équipe dell’Asilo Nido Multietnico Giramondo. Stefano Zimbaro, Sara Cravero, John Skinnader, Asrat Taddese di OMO Onlus. Il grande Mirco Nacoti dell’Associazione Sguazzi. Francesca Casella e Sara Fumagalli di Survival Italia: grazie per la straordinaria passione che ci avete trasmesso! Tutti coloro che credono in questo progetto. Testi del Progetto 2008: ©Francesca Casella/Survival Realizzazione grafica: Jacopo Dalai & Matteo Fiorini Stampato a Milano, Novembre 2008 È consentita la diffusione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione in via telematica a uso personale dei lettori, purché non sia a scopo di lucro.


Photo Credits

© FionaWatson/Survival

© Juan Mayr/Survival

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© Livia Monami/Survival

© Yedis Campos/Survival

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© Dennison Berwick/Survival

© FionaWatson/Survival

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COVER

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© Livia Monami/Survival

© Gleison Miranda/FUNAI

© Riccardo Truffarelli/Survival

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© Pilly Cowell/

© Jeanne Herbert/Survival

© Bart Penashue/Survival

Hutchison Picture Library

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© Victor Englebert 1980/Survival

© Ben Gibson/Survival

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© Adam Fowler/Survival

© Jason Taylor/Survival

© Yankun García/Survival

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© Antonio Ribeiro

© Gustavo Politis/Survival

© Mikkel Ostergaard/Panos

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© FionaWatson/Survival

© Jonathan Mazower/Survival

© Jeanne Herbert/Survival

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© Victor Englebert 1980/Survival

© Adrian Arbib/Survival

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© Salome/Survival

© Brian & Cherry Alexander/

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www.arcticphoto.co.uk

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© Penny Tweedie/Panos

© Mark McEvoy/Survival

© FionaWatson/Survival

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© Marie Hippenmeyer

© Survival

© Victor Englebert 1980/Survival

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Per contattare l’Associazione e partecipare al progetto: Associazione Xmas Project ONLUS Via Luigi Settembrini, 46 20124 Milano Numero Verde: 800 180 406 Fax: 02 68 80 402 info@xmasproject.org www.xmasproject.org

È il regalo che vogliamo farci quest’anno a Natale. E che abbiamo scelto di farci per tutti i prossimi Natali...

Ilo 169, con Survival per i popoli indigeni

L’Associazione Xmas Project è nata nel settembre del Duemilauno. I soci sono Roberto Bernocchi, Dario Bertolesi, Elena Casadei, Francesca Castelnuovo, Francesca Colciaghi, Alberto Cometto, Maurizio D’Adda, Jacopo Dalai, Claudio Elie, Matteo Fiorini, Filippo Marconi, Benedetta Nocita, Sarah Nocita, Sara Panizza, Renato Plati. ll Gruppo Media, azienda di arti grafiche, e Arachno, Web Agency, sono partner del progetto.

Il libro che state tenendo in mano è un libro speciale. È un “Librosolidale”. Non è in vendita, ma se lo desiderate, potete contribuire a crearlo, a diffonderlo e soprattutto a finanziarlo. Il Librosolidale è il frutto dell’impegno di molti. Questi molti sono il Xmas Project. Un’Associazione costituita per dare sostanza e realtà a microprogetti di solidarietà, in giro per il mondo, là dove c’è del bisogno. Chi vuole sostenere il progetto, e quindi aderire al Xmas Project, prenota una certa quantità di Librisolidali e versa un contributo proporzionale alle copie ricevute. Potrà così utilizzare i libri come doni, in occasione del Natale, trasformandoli in ambasciatori del progetto stesso. Non solo: questi doni saranno particolari, perché conteranno qualcosa di “proprio”. Perché chi aderisce al Xmas Project contribuisce in prima persona alla costruzione del Librosolidale, fornendo un proprio contributo: una foto, uno scritto, una poesia, piuttosto che semplicemente la propria firma. Se avete ricevuto questo libro in dono da qualcuno, sfogliatelo: vi troverete un suo segno. L’aspirazione, di Natale in Natale, è quella di costituire una Collana di solidarietà. Contattateci: è questo il regalo che anche voi potete donare e donarvi il prossimo Natale.

Xmas Project 2008

Xmas Project | Librosolidale 2008

L’Associazione Xmas Project

Il Librosolidale

Ilo169

Ilo169, Convenzione concernente Popoli Indigeni e Tribali in Stati indipendenti, Pianeta Terra. È finora l’accordo internazionale più completo riguardante la tutela dei popoli indigeni e tribali. La Convenzione Ilo169, emanata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, organizzazione di settore dell’Onu, è stata adottata il 27.06.1989 ed è entrata in vigore il 05.09.1991. Ad oggi è stata sottoscritta soltanto da 20 dei 173 Stati membri dell’ILO e l’Italia non è tra questi. Il libro di quest’anno vuole essere uno strumento di sostegno e di aiuto a Survival, l’organizzazione internazionale che da quarant’anni si batte per la tutela dei diritti delle popolazioni indigene e tribali. Vi raccontiamo l’attività di Survival, la sua vocazione, le emergenze umanitarie e le battaglie in corso. I fondi raccolti andranno a sostenere questa azione di difesa delle popolazioni indigene. All’interno del libro troverete anche la petizione da inviare al governo italiano per sollecitare la ratifica della Convenzione Ilo169. ________________

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