Carlos Castaneda - Intervista a: La Stampa

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Intervista a Carlos Castaneda Di Benjamin Epstein © Los Angeles Times – AdnKronos - La Stampa Apparsa su La Stampa: Mercoledì 31 Gennaio 1996 Avevamo raggiunto Carlos Castaneda a Anaheim per concordare un'intervista. A sorpresa Castaneda ci invitò a pranzare con lui. Questa è la conversazione che si è svolta mangiando un panino di formaggio e un cartoccio di patatine fritte: Tutti cibi molto terrestri! Perché non si lascia fotografare né registrare? «La registrazione ti fissa nel tempo. L'unica cosa che uno stregone non farà mai è mettersi in una condizione di ristagno. La parola stagnante, l'immagine stagnante tutto questo è l'antitesi di uno stregone». Che cos'è Tensegrity? È qualcosa di simile al t'ai chi o alle arti marziali messicane? «Tensegrity è al di fuori dei confini politici. Il Messico è una nazione. Rivendicare origini è assurdo. Paragonare Tensegrity allo yoga o al t'ai chi è impossibile. Ha origini e fini diversi. L'origine è sciamanica, il fine è sciamanico». Come si inserisce Gesù in tutto questo? E il Buddha? «Entrambe sono figure ideali. Troppo grandi per essere reali. Sono divinità. Una è il principe del Buddhismo, l'altra il figlio di Dio. Le figure ideali non possono essere utilizzate in un movimento pragmatico. La differenza tra la religione e la tradizione sciamanica sta nel fatto che gli sciamani si occupano di cose estremamente pratiche. I passi magici sono un aspetto dell'attività sciamanica». Sono stati i passi magici la sua attività in tutto questo tempo? «Nooooo... Ero piuttosto grasso. E Don Juan mi raccomandava un uso ossessivo dei passi magici per mantenermi in forma. In termini di attività fisica, sì, questo è ciò che facciamo. Quei movimenti costringono la consapevolezza dell'uomo a concentrarsi sull'idea che siamo sfere di luce, un conglomerato di campi energetici tenuti insieme da una colla speciale». Ma lei dove vive? «Non vivo qui. Non sono affatto qui. Uso l'eufemismo “Sono stato in Messico”. Tutti noi dividiamo il nostro tempo tra essere qua ed essere sospinti da qualcosa di indescrivibile, che ci rende visitatori di un altro piano di realtà. Ma quando ti metti a parlare di queste cose ti prendono per un idiota». Secondo il suo libro “Il Dono dell'Aquila”, Don Juan Matus non è morto, ma se ne è andato, è “bruciato dall'interno”. Lei se ne andrà così o morirà? «Siccome io sono un ritardato mentale, sono sicuro che morirò. Vorrei avere l'integrità per andarmene nel modo in cui se n'è andato lui, ma non c'è nessuna garanzia. Ho una paura terribile che non ci riuscirò. Ma lo desidero tanto!» In un articolo di una decina di anni fa lei era chiamato il “padrino della New Age”. «Non padrino ma nonno! Quando l'ho letto ho pensato: per favore chiamatemi zio, cugino, ma nonno no! Zio Charlie andrebbe bene. Mi sento dannatamente male ad essere il nonno di qualcosa. Combatto con l'età, la senilità e la vecchiaia in un modo che lei neppure si immagina. Combatto da 35 anni. Come da 35 anni combattono le tre persone con le quali lavoro. E tutti hanno l'aspetto di bellissimi ragazzi. Assimilano continuamente energia per rimanere fluidi. Senza fluidità non è possibile viaggiare altrove». Matus le ha insegnato a vedere. Se lei ora mi guarda, che cosa vede?


«Per vedere, devo essere in un umore molto particolare. Per me è molto difficile vedere. Devo diventare cupo, pesante. Se sono allegro, guardandola non vedo nulla. Poi mi giro e vedo lei e che cosa vedo? “Mi sono arruolato in Marina per vedere il mondo e che cosa vedo? Vedi il mare!» So più di quanto vorrei sapere. È il vero inferno. Se vedi troppo diventi insopportabile». Nei seminari lei è spesso accompagnato da una donna Talia Bey. Siete una coppia? «Siamo esseri ascetici. Fra noi non c'è nessun rapporto sessuale. Questo è molto difficile per noi. Don Juan mi ha raccomandato di stare molto attento alla conservazione dell'energia perché non ne ha molta. D'altra parte non sono stato concepito in condizione di grande passione sessuale. Molte persone non lo sono... Talia invece e nata con così tanta energia che può fare quello che vuole». Le persone sposate possono fare ciò che vogliono? «Questa domanda è stata fatta molte volte. È tutta una questione di energia. Se sai di non essere stato concepito in uno stato di vera eccitazione, non puoi fare ciò che vuoi neppure se sei sposato. A un certo livello, non ha importanza se le persone sono sposate. Ma con la diffusione di Tensegrity, non sappiamo esattamente che cosa succederà». Non sapete cosa può succedere? «E come potremmo saperlo? Si entra nel sistema sintattico di ciascuno. La nostra sintassi richiede un inizio, uno sviluppo e una fine. Ero, sono, sarò. Siamo presi in questo movimento. Come possiamo noi sapere... di che cosa sarete capaci voi se avrete abbastanza energia? Questo è il punto. La risposta è che sarete capaci di cose straordinarie, ben più eccitanti di quanto sappiamo fare ora, privi, come siamo, di energia... Don Juan Matus mi raccomandava di essere molto cauto con l'energia perché mi stava preparando per qualcosa. Ma io non sapevo per che cosa...». Lei parla della linea di stregoni di Matus. Ne conosce altri? «Ho incontrato una volta uno stupendo indiano del Sud-Ovest ed è stato un evento straordinario. E' stata l'unica volta che ho incontrato uno stregone al di fuori della stirpe di Don Juan. Era un giovane profondamente coinvolto nel tipo di attività di Don Juan. Abbiamo parlato per due giorni, dopo di che per qualche motivo oscuro sentì che mi doveva qualcosa. Un giorno mi trovai a guidare una Volkswagen in una tempesta di sabbia così violenta che l'auto stava per capottare. Avevo già distrutto il tergicristallo, la vernice su un lato era sparita completamente. All'improvviso apparve un autotreno e si mise tra il vento e la mia macchina. Sentii una voce dalla cabina: "Riparati di fianco a me". Così feci. Guidammo per miglia e miglia. Quando il vento cessò, mi accorsi che ci eravamo allontanati dalla strada asfaltata. L'autista dell'autotreno si fermò: era l'indiano. Mi disse: "Ho pagato il mio debito. Sei altrove. Lo siamo ancora adesso. Ritorniamo alla strada asfaltata". Tornò indietro, tornai indietro. Una volta raggiunta la strada principale, andai avanti e indietro cercando di ritrovare la strada in terra battuta che avevamo percorso, ma non la trovai. L'indiano mi aveva portato in un altro piano di realtà. Che potenza, che disciplina, che cosa straordinaria! Non stavo più nella pelle. Aveva trasportato la mia macchina, ogni cosa, laggiù. Cercai qualche deviazione nella strada asfaltata, ma non ne trovai nessuna. E non ho mai più incontrato l'indiano». Alcuni dei suoi più accesi sostenitori dicono che lei ha dato il suo contributo alla grande letteratura, addirittura alla grande antropologia, ma non definirebbe mai i suoi libri dei “saggi”. Altri pensano, invece, che lei ha trovato il modo per guadagnare molto senza troppa fatica.


«Non ho inventato nulla. Un tizio un giorno mi disse: “Conosco Carlos Castaneda...”. E io “L'ha forse incontrato?”. E lui “No, ma l'ho visto continuamente in lontananza. Lui stesso ha ammesso in un'intervista che lo sa fare”. Gli dissi: “Davvero? Quale intervista? Se la ricorda?”. E lui “L'ho letto. L'ho letto...”». Perché dice di essere l'ultimo stregone nella linea di Matus? «Per poter continuare la linea di Matus, dovrei avere una particolare disposizione energetica che, invece, non ho. Non sono un uomo paziente. Il mio modo di muovermi è troppo brusco, troppo agitato. Per noi Don Juan era sempre lì, sempre disponibile. Appariva e scompariva secondo i nostri bisogni. Come potrei farlo io?»


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