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Editoriale Sos clima, la nuova frontiera dell’edilizia
Sos clima La nuova frontiera dell’edilizia
Le imprese devono essere sostenibili. Le imprese devono avere attenzione per l’ambiente. Le imprese devono rendere conto dell’energia che impiegano e dei materiali che utilizzano. Tutto giusto. Ma anche tutto sbagliato. Perché l’impresa non è, per definizione, un ente benefico, un partito ambientalista, un’associazione per la salvaguardia della Terra. Un’azienda ha un unico obiettivo: avviare un’attività che sia profittevole. Che, poi, un’azienda abbia un ruolo sociale, va da sé, e non deve essere dimenticato. Ma è la politica, nel senso più ampio del termine, a dover stabilire quanto e come l’attività di un’impresa deve risultare conforme a certe regole. Per esempio, quanto possa (o non debba) inquinare, quali parametri di salubrità debba rispettare, quali criteri debbano essere previsti per i suoi prodotti. Ma, allora, le imprese che producono materiali per l’edilizia fanno male a preoccuparsi dei criteri di sostenibilità e di uniformarsi a una green policy? Certo che no. Innanzitutto, perché è il mercato che lo chiede: i prodotti più verdi sono maggiormente apprezzati dall’utente finale, anche se costano qualcosa in più. Inoltre, la politica europea ha incamminato l’intero settore verso traguardi di maggiore sostenibilità per gli edifici, che piaccia o meno. Facile prevedere, quindi, che l’edilizia terrà conto sempre di più del fattore ambiente, dei consumi energetici e della salubrità legata ai metodi di costruzioni. Tutto bene? In parte. Perché non possiamo dimenticare che l’ambiente non è solo quello che si trova tra le pareti domestiche. Il mondo è fuori, e sembra non stia tanto bene. Che siate scettici oppure convinti che il cambiamento climatico stia alterando i fenomeni atmosferici, è un dato di fatto che negli ultimi anni siano stati registrati eventi particolarmente intensi. Il 2022 ha contato 12 morti a Ischia, le inondazioni nelle Marche (11 morti, 50 feriti), alluvioni in Sicilia, il tutto dopo lunghi mesi di siccità al Nord e un bizzarro caldo natalizio. Non c’è bisogno di Greta Thunberg per accorgersi che sia necessario correre ai ripari. E, visto che non c’è un’app che consenta di correggere il meteo, è necessario che sia la filiera delle costruzioni a proporre soluzioni per evitare frane, sopravvivere agli allagamenti e sopportare scosse sismiche. Tutte tecniche note e che possono essere adottate con i nuovi materiali, la prevenzione del dissesto idrogeologico e i sistemi costruttivi avanzati. Certo, come per la sostenibilità e il risparmio energetico, anche in questo caso la politica deve farsi carico della spinta propulsiva. Ma questo è un punto dolente: ci sono già alcuni strumenti che finanziano la prevenzione dei rischi naturali, che siano provocati da cambiamenti climatici o semplicemente dalla defaillance del territorio. Per esempio, da anni esiste il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr per gli amici). L’Italia, secondo alcune analisi, avrebbe intenzione di indirizzare alla prevenzione dei rischi naturali il 6,6% del totale delle risorse Fesr del periodo 2021-2027 (circa 2,2 miliardi su 33,4 totali), contro una quota del 3,7 per cento nel periodo 2014-2020 (1,4 miliardi su 37,1 totali). Tanti soldi? Spagna e Grecia spenderanno di più: 9,5% del totale Atene e 8,1% Madrid. Non solo: il dato relativo all’Italia è, in realtà, una media tra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Molise e Sardegna, che spendono di più e Regioni come Lazio e l’Umbria, che invece riducono i fondi. Insomma, la sostenibilità non basta, l’altra vera emergenza è il rischio legato al cambiamento climatico, nuova frontiera per l’edilizia. E per il governo.