COSA CI RONZA IN TESTA?
Siamo nel febbraio del 1966, in queste stesse mura. A Claudia Beltramo Ceppi, studentessa e redattrice del giornale studentesco dell’epoca, La Zanzara, viene un’idea inconsueta: intervistare le ragazze della scuola su argomenti considerati, al tempo, indecenti. Il sesso, il matrimonio, la fede, il lavoro. A curare l’inchiesta insieme a lei saranno il direttore Marco de Poli e il co-redattore Marco Sassano. Con enorme stupore degli autori, l’articolo dà vita a un caso mediatico senza precedenti: i tre ragazzi finiscono in tribunale, e la causa si chiude fortunatamente a loro favore. Il termine dei processi legali tuttavia non pone fine al polverone sollevato dai tre ragazzi. Lo spaccato di società presentato sulle due pagine più famose del giornalismo pariniano scalfisce il panorama nazionale creando una crepa difficile da sigillare: i giovani riempiono le piazze chiedendo libertà di stampa e di pensiero, esigendo un ruolo attivo in una società che fatica a vederli. La Milano del ‘66 è l’anticipo di un’onda che, solo due anni dopo, avrebbe provocato un’eco mondiale.
A quasi sessant’anni dal caso della Zanzara, abbiamo avuto, proprio nel mese di febbraio, l’impagabile occasione di dialogare con Claudia Beltramo Ceppi. Non è stato un interrogatorio unidirezionale, ma uno scambio reciproco,
una riflessione collettiva e, soprattutto, un’esperienza umanamente stimolante. Tre generazioni di distanza, ma il medesimo desiderio di comprendersi a vicenda: per noi, la possibilità di scoprire fino in fondo un’era di cui leggiamo solo sui manuali, per Beltramo Ceppi, quella di conoscere “dal vivo” i giovani di cui tanto si parla – ma sempre nel modo sbagliato. Ne è emersa una visione trasversale e metastorica: ieri, come oggi, l’universo giovanile è ancora, dall’esterno, un segreto occulto, difficile da penetrare e impossibile da afferrare. Oggi, come ieri, i moralismi occupano ancora fin troppo spazio nella società.
Lo dimostra l’inchiesta che abbiamo deciso di proporre in onore di questo incontro: domande e temi corrispondenti, ma pariniane di-
verse. Ancora, l’incomunicabilità generazionale è il leitmotiv delle loro testimonianze. La figura della donna, il ruolo del sesso, della maternità, della fede e del lavoro sono tuttora subordinati a moralismi obsoleti, forse più velati, ma ancora estremamente invasivi. Solo un elemento, fra tutti, stona in modo lampante con la concezione delle ragazze di tre generazioni fa: la fiducia nel futuro. Sembra che pecchiamo di speranza: eppure, la volontà di informarsi e di fare informazione, di creare il dialogo cui sopra, di costruire un “ponte generazionale” è essa stessa speranza. Forse camuffata in nuove forme. Chiediamoci, dunque: abbiamo davvero perso la speranza di un tempo o, come ogni aspetto di noi, risulta spesso incomprensibile alle generazioni passate il modo attraverso cui la coltiviamo?
JESSICA STEFANINI (3C)
INTERVISTA A CLAUDIA BELTRAMO CEPPI
Come le venne l’idea di fare un’inchiesta di questo tipo? Ho ricevuto in regalo un numero di Zabaione e ho notato che gli argomenti di cui tratta non sono molto diversi da quelli di cui si occupava la Zanzara. Si parla di “Antifascismo eterno”, di colonialismo, vedo titoli come “Il rumore che ci unisce” o “Sulla pelle dei migranti”; si parla di film, di libri, come facevamo noi sulla Zanzara.
C’era un’unica differenza rispetto a Zabaione: nelle due pagine centrali facevamo sempre un’intervista. Era il 1966 ed erano passati
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una ventina di anni dalla guerra, nella quale in un modo o nell’altro tutti i nostri genitori erano stati coinvolti. Quindi prima della nostra inchiesta abbiamo fatto un’intervista chiedendo ai giovani cosa sapessero della guerra, dei partigiani, della Repubblica di Salò, e la risposta è stata che non sapevano nulla, non erano informati. Ci abbiamo riflettuto in redazione, ne abbiamo discusso, e a me è venuta un’idea. Mi sono chiesta perché fossero stati interrogati solo ragazzi maschi. E le donne e le ragazze a cosa pensano? Solo a sposarsi? Allora ho dovuto convincere soprattutto Marco de Poli, che era preoccupato essendo la prima volta che si trattava un argomento riguardante esclusivamente le donne. Il tema era “cosa pensano le ragazze d’oggi”. Al di là del senso di responsabilità delle famiglie, che non veniva trasmesso, l’argomento è diventato poi il matrimonio, il sesso, il libero amore. Perché era quello che rinchiudeva le donne in casa, che le limitava. Generalmente erano i maschi a leggere i giornali, le donne leggevano Grazia. Naturalmente nessuno di noi si sarebbe aspettato che un articolo del genere, abbastanza banale, avrebbe provocato il minimo commento negativo, figurarsi un tale tumulto. Anche perché allora
si cominciava a parlare di libero amore, di libertà sessuale. A noi sembrava semplicemente un dovere informativo.
Che clima c’era all’interno della redazione della Zanzara? Era forse più incline al cambiamento, diverso da quello del resto della scuola?
Certamente le persone che si occupavano della redazione avevano voglia, interesse e conoscenze. Ricordo, per esempio, un articolo del mio amico Gaetano Sansone su Herzog di Saul Bellow, scritto solo due mesi dopo che era uscito il libro. Erano ragazzi interessati alla politica e alla cultura. Tuttavia, non c’era competizione, solo una gran voglia di fare le cose insieme e di cambiarle. Noi pensavamo di cambiare il mondo, forse abbiamo esagerato.
Ci ha spiegato come le venne l’idea di fare quest’inchiesta. C’erano ambienti in cui si parlava maggiormente di tali argomenti, anche non a scuola?
No. Ne parlavamo in redazione e c’era un sommesso mormorio che cominciava a parlare di libertà sessuale, ma era ancora l’epoca in cui le giovani di buona famiglia, cioè quelle che andavano al Parini, frequentavano lezione di ballo.
Come si è svolta l’inchiesta? È stato difficile ottenere delle risposte dalle ragazze intervistate?
No, perché abbiamo deciso di trovare una o due persone in ogni classe che già si occupavano di questi argomenti. Ovviamente non siamo andati a interrogare la prima della classe, che non pensava ad altro. In ogni classe c’erano dei gruppi di amici che si trovavano fuori, nei capannelli in cui si discuteva di quello che succedeva nel mondo, e abbiamo chiesto a loro. Abbiamo però anche fatto attenzione a scegliere alcune persone che facessero capo a Gioventù Studentesca, movimento di Comunione e Liberazione, in modo da capire la loro posizione.
Ci ha detto prima che non si aspettava esiti di questa portata, ma si immaginava, almeno, conseguenze più o meno simili a quelle a cui è andata incontro? Assolutamente no. Mi sono davvero spaventata solo quando sono tornata a casa e ho trovato un messaggio del mio avvocato che diceva che il giorno dopo tutta la mia famiglia doveva spostarsi: non andare in albergo, né in luoghi riconoscibili, ma andare da amici, perché c’era un mandato di cattura per mio padre, se non mi fossi presentata.
Voi venite da una scuola che vi sembra autoritaria ma a suo tempo lo era molto di più. Io mi immaginavo al massimo una sospensione, o un sette in condotta. Nessuno di noi poteva immaginare un processo.
Quale clima si è creato all’interno del Parini dopo il caso mediatico e penale provocato dall’inchiesta? E come lo avete vissuto?
Il Parini si è diviso. La maggior
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parte degli studenti era assolutamente solidale con noi, con la scuola, con la Zanzara, a parte i soliti commenti: “che buffonate”, “le donne pensano solo al matrimonio”. C’erano però dei cattolici riuniti in gruppi detti raggi, che si sono molto rafforzati e hanno cominciato a diventare aggressivi, a rilasciare interviste sui giornali. Ciò ha aumentato il caso mediatico, naturalmente. Tutti i giornali hanno cominciato a parlarne, anche il Corriere della Sera. La situazione si era fatta talmente pesante che il giudice, finito l’esame, ha chiesto a mio padre di mandarmi via il 15 di marzo – data dopo la quale avrei potuto assentarmi da scuola senza essere bocciata – e di non tenermi a Milano per alcuni mesi. Ricevevo telefonate e lettere anonime, tanto che ho dovuto cambiare numero di telefono, persone che mi proponevano di fare i caroselli o mi scrivevano che ero una puttana. Un signore francese di nome Domenico Pastorello, che negli anni è diventato un caro amico, fino a quando abitava a Firenze mi scriveva dicendomi che ero il suo mito.
Il trattamento che ha ricevuto in quanto donna è stato diver-
so rispetto a quello dei suoi due co-redattori?
Non ci avevo neanche fatto caso – essendo una donna ed essendo abituata a quello che noi donne subiamo – fino a quando nel cinquantenario del ‘68 è arrivata da me una giornalista. Era una di quelle brave, che non vengono semplicemente a chiedermi di raccontare, ma che hanno delle domande. Mi ha detto che sapeva che quell’anno Marco de Poli aveva ricevuto un telegramma da Moro che si complimentava per i suoi bei voti, e Marco Sassano una lettera da Nenni. Allora mi ha chiesto cosa fosse successo a me, e io le risposi che ero stata bocciata. Io avevo sempre avuto otto in storia e filosofia e mi sono laureata poi con Montinari, curatore dell’edizione scientifica di Nietzsche, in filosofia. Nonostante questo, la mia professoressa di storia e filosofia mi ha bocciato a settembre. Il preside però si è rifiutato di firmare dicendo che non era corretto e mi ha fatto passare autonomamente all’anno successivo, cioè la terza. Nel farlo mi ha detto che non avrebbe potuto lasciarmi nella stessa classe e mi ha chiesto se avessi intenzione di cambiare liceo. Io gli ho risposto di no e che, avendo deciso di
andare al Parini, sarei rimasta al Parini. Sono stata inserita nella sezione B in cui c’era una professoressa molto famosa che si chiamava Torre Rossi, molto aperta. A gennaio, il preside mi ha chiamato e mi ha detto che alcuni genitori si erano lamentati della mia presenza nella nuova classe, perché avrei potuto corrompere i loro figli. Così mi hanno cambiato tre sezioni in un anno. Io, tuttavia, ci ho pensato solo cinquant’anni dopo, quando mi è stato fatto notare da questa giornalista. Questo a indicare che la differenza del trattamento riservato a maschi e femmine non era così evidente nemmeno a me.
Prima ci ha parlato di come parte del corpo studentesco vi abbia mostrato supporto e vicinanza, questo vi ha fatto sentire meno soli nell’ingiustizia? Assolutamente. Io ero una ragazzina di diciassette anni, vedere l’aula del tribunale piena di ragazzi che facevano il tifo è stata una grande forza. Inoltre al Parini si è formato un gruppo di amici che lo rimane tutt’ora. Ancora oggi ci ritroviamo, saremo almeno una ventina, alla fontana del parco per chiacchierare. Si è creato un elemento molto forte e piacevole.
Nel momento in cui viveva questi fatti, dopo le complicazioni dell’articolo e quando sono arrivate le vere e proprie conseguenze – ad esempio i processi –, si rendeva conto della portata mediatica e storica di quello che stava accadendo?
Assolutamente no. Mi sembrava una cosa talmente assurda, da parermi quasi goliardica. C’era ad esempio il fatto che non mi invitassero alle feste dei diciotto anni, di cui però non mi importava abbastanza da farci più di tanto caso. Mi sono resa conto dopo, quando ogni dieci anni venivo intervistata ed ero ormai diventata “quella della Zanzara”, proprio ciò che non volevo essere: io volevo essere soltanto me. Questo è stato abbastanza pesante. Quindici anni dopo l’inchiesta mi ha telefonato il giornalista Fertilio, che mi chiese della Zanzara e al quale ho detto di non volerne più parlare. Lui ha registrato la nostra telefonata senza dirmelo, ed è poi uscito un articolo molto pesante sul Corriere della Sera. Per esempio, mi aveva chiesto se andassi d’accordo con mia madre, e io avevo risposto che non ci sopportavamo, ma le mie parole erano state pubblicate sul Corriere. L’articolo parlava di una “Zanzara resuscitata” – riferendosi all’occupazione in cor-
so nel Liceo Visconti di Roma. Io dicevo che non conoscevo la scuola e la situazione dei giovani, e che quindi non ero in grado di intervenire a riguardo. A un certo punto Fertilio mi aveva detto che intanto, però, ero diventata una ricca signora borghese che viveva a Firenze con tre figli e io gli avevo risposto: “Certo, anch’io sono cambiata, com’è cambiata l’Italia in questi quindici anni. Ma non certo nel senso qualunquistico dell’articolo. Sono cambiata non perché mi sono sposata, ma perché come qualsiasi studente che abbia vissuto in Italia in quegli anni e che sia stato a contatto con le lotte delle masse popolari, del Vietnam, della scuola, per il divorzio, per l’aborto, so che i rapporti di forza si sono spostati in modo irreversibile, e che certe forze reazionarie che avevano ancora spazio nel ’66 ora non lo hanno più, ma questo non è sufficiente. Io credo nella mia vita, anche in quella privata, di volere continuare a lottare per queste modificazioni”.
Ho risposto all’articolo mandando a Fertilio una lettera, in cui credo ci siano dei punti che fanno capire perché sono qui e perché non ho mai risposto a queste domande.
Ci ha detto che non vuole essere relegata al suo ruolo di ex membro della Zanzara, che ha voluto costruire sé stessa oltre i fatti del ’66: perché allora ha accettato di sostenere quest’intervista?
Perché è stata la cosa più interessante che mi sia stata proposta negli ultimi cinquant’anni. Non mi interessava affatto apparire sui giornali o sentire le opinioni degli altri. Però, in una situazione così
terribile e grave come quella in cui viviamo oggi, e in cui la posizione dei giovani non è chiara politicamente, né eticamente, mi è sembrato molto interessante avere l’occasione di parlare con voi e di sapere cos’è il vostro mondo e cosa lo rende così apparentemente immobile e apatico per noi anziani. Tutti parlano di giovani, di come non abbiano voglia di lavorare, di come non facciano niente e non abbiano prospettive. È vero
che queste ultime scarseggiano, ma si possono costruire. Io credo, basandomi su quello che vedo da fuori, che ciò che manca ai ragazzi di oggi sia il senso di responsabilità, come già si pensava a suo tempo, anche verso sé stessi. Il desiderio di uscire da questa situazione. Soprattutto, inoltre, la mancanza di speranza. Credo che questo sia l’aspetto più triste e più grave da superare oggi.
“Io non ho concesso alcuna intervista ai giornalisti, né ho rilasciato dichiarazioni telefoniche che fossero autorizzati a riportare; ho rifiutato di essere intervistata per anni per due motivi. Il primo di ordine personale: non intendo, a quindici anni di distanza, rimanere legata al personaggio fittizio costruitomi addosso artificialmente di ex personaggio della Zanzara. Pertanto, ho rifiutato finora tutte le interviste che esplicitamente mi sono state richieste, e in questo senso non desidero più che il mio nome compaia sui giornali. Il secondo motivo è di
LETTERA A FERTILIO
carattere politico. Pur non conoscendo il taglio dell’articolo, che non mi era ancora stato mandato – nonostante sapessi che c’era –, se mi fosse stato chiarito sarei stata ancora più esplicita a riguardo, perché non ne condivido la superficialità aneddotica nei miei confronti e non intendevo essere intervistata come ex personaggio più competente, in quanto tale, di quello che sta succedendo in questo momento in altri licei. E vorrei concludere con una breve osservazione di carattere politico: l’unico elemento che a quindici anni di distanza mi sembra ricol-
legare i fatti della Zanzara a quelli del liceo romano è il ruolo costantemente oscurantista e di clericalismo di costante portavoce delle forze più conservatrici e retrive che dominano il Paese – allora era la DC. Su questo ruolo dovrebbero meditare coloro che si ostinano a vedere l’anima popolare e a cercare nel rapporto con essa le basi per l’effettiva democratizzazione in senso laico e progressivo di questo Paese”. Questo spiega perché non ho mai più accettato un’intervista né ho mai più parlato di questi argomenti.
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Stessa scuola, stesse aule, stessi corridoi, stesse domande… ma pariniane diverse. I quasi sessant’anni che separano la nostra generazione da quella del ’66 si fanno sentire, soprattutto se mettiamo a confronto l’idea di emancipazione femminile e la riflessione sul ruolo della donna di ieri e di oggi.
Sulle orme dei nostri ‘antenati’ della Zanzara abbiamo intervistato studentesse di varie classi del nostro Liceo e raccolto qui le loro dichiarazioni. Il risultato: uno spaccato delle nostre idee ed esperienze, dei problemi che affliggono il genere femminile, delle nostre aspirazioni e speranze per il futuro.
Se non sapete nulla di quegli anni turbolenti e dell’articolo della Zanzara che senza volerlo destò tante voci e attenzioni, vi basterà leggere l’inchiesta pubblicata su quel numero, che noi abbiamo riproposto nelle prime pagine di questo speciale, per percepire le conquiste che il mondo femminile ha fatto, con coraggio e fatica, in questi anni di storia recente. Un passo avanti, quindi. Sì, ma non proprio in tutto: se, da un lato, alcune delle questioni sollevate nel ‘66 risultano ormai superate e risolte, nel frattempo altre ancora
E LE RAGAZZE DEL 2024?
ne sono sorte, difficili, controverse e di cui si parla troppo poco.
Educazione familiare e sessuale
A confronto con sessant’anni fa, molte opinioni sull’educazione sessuale sono rimaste uguali a quelle di allora.
Innanzitutto, resta divisiva la questione del dialogo su questo argomento con i propri genitori. Alcune ne discutono con loro liberamente, senza sentirsi a disagio. “Con i genitori vorrei parlare delle loro storie ed esperienze perché ci diano dei consigli”. “Mi ritengo fortunata perché ai miei genitori posso dire tutto e parlando si arriva sempre alla fine ad un accordo, mi vengono abbastanza incontro”.
Molte però tendono a non discuterne in famiglia poiché percepiscono la presenza di un age gap che rende difficile il confronto.
“Ci sono alcune ideologie ancora diverse. Sento veramente un gap generazionale”.
Esiste anche una situazione intermedia. “Non mi sento oppressa da parte dei miei genitori, ma non mi sento neanche di raccontar loro tutto quello che faccio o come mi sento”. “Io sento molto la distanza tra la mia generazione
e quella dei miei genitori. Nonostante questo, riesco ad avere con loro una buona comunicazione”. Inoltre, ora come un tempo, incombe la necessità che a scuola si educhi alla sessualità in modo oggettivo, senza l’influenza di moralismi. “Vorrei che l’educazione sessuale a scuola fosse trattata solo dal punto di vista scientifico”. “È importante che ci sia una visione completa, che vengano presi in considerazione più punti di vista”.
Le ragazze di oggi sottolineano anche l’importanza di parlare di educazione sessuale fin dai primi anni dell’adolescenza. “Adesso siamo già grandi, forse parlarne un po’ prima verso le medie sarebbe più sensato”. “Credo che l’educazione sessuale a scuola andrebbe fatta alle medie: al liceo stai già sperimentando in prima persona”.
Questo permetterebbe alle ragazze di essere più informate, poiché spesso vanno incontro alle prime esperienze munite solo dei consigli delle amiche. “Non vorrei basarmi solo su quello che sento dalle amiche, perché spesso girano informazioni sbagliate”. Tuttavia, vi è anche l’altra faccia della medaglia: l’educazione sessuale trattata troppo presto può essere
presa con poca serietà. “Spesso gli studenti stessi trattano questo argomento in maniera troppo infantile e scherzosa”. “A volte viene preso ironicamente quando se ne parla, quindi rimane un po’ un tabù”. Da qui, infatti, emerge un altro importantissimo desiderio tra le ragazze: “Vorrei che l’argomento del sesso venisse sdoganato, non dovrebbe essere più così scandaloso”.
Sesso e società
I tempi sono cambiati, ma la relazione problematica tra sesso e società non si è del tutto risolta. Abbiamo riscontrato infatti un sentire comune tra le pariniane di pressioni e ansie legate al modo in cui la società percepisce una donna, o meglio, una ragazza che si avvicina per la prima volta alla sfera sessuale: opposte sono però le preoccupazioni. Negli anni Sessanta si discuteva sull’importanza della verginità prematrimoniale; nel ventunesimo secolo invece, dato che il vincolo del matrimonio non è più percepito allo stesso modo, ci si chiede se la verginità possa essere effettivamente percepita come un valore. Si può, oggi, parlare di una “perdita” della verginità? “Non credo che la verginità sia né un valore né una qualità di una persona: ognuno ha i propri tempi e perderla non caratterizza la tua persona. Tuttavia, oggi si percepisce quasi una gara relativa alla sessualità”.
Al contrario, vi è quindi una comune sensazione per cui le ragazze si sentono spinte e quasi forzate ad avere le loro prime esperienze sessuali il più presto possibile:
“Tra le ragazze di oggi c’è quasi competitività su chi bacia più ragazzi o chi perde prima la verginità. Io voglio aspettare un ragazzo serio per cui provi davvero qualcosa e con cui mi senta al sicuro
per compiere questo passo importante, piuttosto che farlo prima solo per vantarmene con le mie amiche”.
Pareri contrastanti riguardano la cosiddetta “età adatta” per perdere la propria verginità: c’è chi ritiene ci sia una fase della vita in cui è opportuno fare sesso… “Secondo me sì, c’è un limite d’età. Io parlo per me e attorno ai 16 e 17 anni sarebbe perfetto. Dipende molto anche dalla persona con cui lo si vuole fare: c’è una grande differenza se il partner è qualcuno che si conosce da tutta la vita oppure una persona conosciuta da poco, in tal caso serve più tempo. Se invece ci si conosce da molto tempo, la prima volta può anche succedere prima dei 17 anni. Tuttavia, secondo me un limite di età c’è”
…C’è chi invece pensa che non sia una questione legata all’età, ma alla maturità di una persona. “Se una persona si sente veramente innamorata e pronta per affrontare questa esperienza, non dovrebbe esserci niente che possa fermarla dal farlo. Allo stesso tempo, ciò deve avvenire a patto che una persona abbia la maturità giusta per compiere questo atto. In ogni caso, l’importante è stare bene”.
È infine parere condiviso delle no-
stre intervistate che non sia un argomento da prendere alla leggera e che la sessualità sia un percorso durante il quale è importante non sentirsi influenzati da nessuno al di fuori di sé stessi.
Riguardo all’uso degli anticoncezionali possiamo affermare che non è più un problema sentito e talvolta nemmeno considerato dalle pariniane oggi, che ne hanno parlato solo se interrogate in merito.
“Sono stati creati apposta e sono indispensabili proprio per questo. Non dovrebbero essere argomenti tabù”.
Il problema morale e religioso
Al contrario di quanto accadeva nel ’66, nessuna ragazza ha aperto di sua iniziativa la questione della religione, la quale ha prodotto dichiarazioni generalmente brevi e decise. Questa poca necessità di parlarne ha inoltre rivelato, neanche a dirlo, una omogeneità del sentire comune: la religione non è più un criterio di moralità. “Io non credo. La religione non ha influenza sulle mie scelte di vita. Ho ricevuto un’educazione religiosa ma non rigida, non c’è mai stato quel fervore da parte mia”. “È molto più raro che oggi una persona basi le proprie scelte sul-
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la religione e soprattutto la società attuale non guarda più le persone con gli occhi della religione”. Parlare di religione in termini di ‘problema’ è quindi adesso un errore, perché fra tutti i tabù e gli argomenti scomodi, quello della religione è sicuramente il meno rilevante. “Io vengo da una famiglia credente, ma la cosa non ha condizionato le mie scelte”. “Riesco a capire bene le persone che credono, ma sento molto distante la Chiesa come istituzione”. Abbiamo comunque trovato qualche eccezione: “Io sono cattolica, ma c’è stato un periodo in cui ho perso il legame con la Chiesa: non riuscivo a capacitarmi di credere che chi ci ha donato la vita potesse lasciar capitare eventi tanto terribili. Successivamente sono riuscita a riavvicinarmi alla preghiera, soprattutto da sola. Mi sento vicina alla Chiesa e ai suoi valori, sui quali spesso si basano i rapporti con molti dei miei amici”.
Infine, una dichiarazione ha fornito un esempio concreto in cui la moralità entra in gioco, in questo caso, a scuola. “La nostra classe è abbastanza fortunata perché con molti prof, per esempio di filosofia, ci ritroviamo a fare dei dibattiti dove ognuno esprime la propria opinione. Una volta, però, la nostra prof di italiano ha corretto il termine “diritto all’aborto” – al quale lei è contraria – sostituendolo con “diritto alla vita” nel tema di una mia compagna. Alla fine, ne abbiamo parlato, capisco che abbia una mentalità diversa”.
Il matrimonio e il lavoro
Non c’è dubbio che in quasi sessant’anni la condizione lavorativa delle donne in Italia sia profondamente cambiata: si dà quasi per scontato che la donna vada a lavorare e contribuisca all’econo-
mia familiare, ma spesso su di lei ricadono anche gli oneri di gestione della casa, della famiglia e dei figli.
Le ragazze intervistate sono unanimi nel sottolineare l’importanza della realizzazione personale prima di quella familiare, ma le opinioni su come questi aspetti si possano conciliare non sono concordi.
“Siamo fortunatamente passati oltre l’idea che la donna debba semplicemente, dopo le scuole dell’obbligo, stare con le mani in mano e aspettare un marito. Per le donne è possibile avere una buona carriera, ma sono spesso svantaggiate in quanto donne, in quanto madri… Nonostante il numero di ragazze che raggiungono l’istruzione universitaria sia molto aumentato, è ancora molto difficile riuscire a conciliare una buona carriera con la vita familiare”.
“La donna in generale cerca ora una sua indipendenza economica e una sua carriera, ma ancora non è possibile conciliare questo desiderio con la famiglia: c’è una grandissima differenza nella coppia tra la figura maschile e quella femminile, che si deve far carico dei figli e della casa oltre che del proprio lavoro”.
“Vedo che la maggior parte dei miei amici oggi, e io stessa, hanno i genitori separati, ma io credo ancora nel matrimonio e vorrei sposarmi. Mi piacerebbe realizzarmi dal punto di vista lavorativo: so che, come donna, dovrei rinunciare a del tempo coi miei figli, ma credo sia possibile crescerli e avere successo nel lavoro”. Per quanto riguarda il matrimonio non serve ripetere le differenze con gli anni ’60: se allora il divorzio ancora non esisteva, oggi è proprio il matrimonio che, agli occhi di sempre più ragazze, perde il suo valore.
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“Non è necessario come prima”. “Potrei concepire l’idea di una famiglia senza sposarmi”.
“Io credo poco nel matrimonio: se qualcuno sente che sia la cosa giusta da fare, che lo faccia assolutamente, è una cosa molto bella e molto positiva, però non è necessario per la realizzazione personale. È necessario innanzitutto raggiungere la propria felicità. Secondo me una cosa molto bella e fondamentale è che si sta dando molta più importanza agli interessi di ogni singola persona senza omologare per forza un genere. Il matrimonio mi è sempre sembrato un po’ il passaggio del testimone dal padre al marito: è sempre stato così con il padre che porta la sposa all’altare, che è una cosa che a me dà un po’ fastidio. Se si vuole fare va un po’ svecchiato”. “Non dovrebbe esserci l’ansia di trovare la persona perfetta per forza, soprattutto per quanto riguarda le ragazze. Una donna deve stare bene in primo luogo da sola per poi trovare la persona giusta”.
“Se due persone non si trovano più bene insieme, è inutile sacrificare la propria felicità per evitare di essere giudicati dal resto della società per via di un divorzio”. Moltissimo è cambiato nei rap-
porti tra generi, ma per alcune la mentalità patriarcale ha radici troppo profonde per essere sradicata nel giro di un paio di generazioni: “Io penso che nella mia famiglia non ci sia un’educazione patriarcale, perché mia mamma è una donna indipendente che ha sempre lavorato, ma penso che gli uomini percepiscano di non dover cucinare, pulire la casa eccetera. Lo fanno inconsciamente secondo me, per esempio mio padre dà per scontato che o io o mia madre ci dedichiamo a queste cose. Quindi sento questa sorta di mancanza di consapevolezza da parte degli uomini che non hanno ricevuto”.
Consapevolezza e impegno Da dove partire per risolvere questi problemi che gravano ancora oggi sulle donne? Per le pariniane, dalla consapevolezza di ciascuna della propria posizione e degli ostacoli che deve affrontare. Ma a molte ragazze questo non basta: auspicano un impegno attivo, una lotta continua per difendere i diritti conquistati con tanta fatica e che sono ogni giorno messi in discussione.
“Oggi la consapevolezza della condizione femminile è molto più diffusa, ma da lì a che si faccia concretamente qualcosa è tutto un altro discorso”.
“Molte più donne sono consape-
UNA LOTTA COSTANTE
Dare ascolto alle idee delle pariniane ci fa capire che, nonostante le apparenze e i giudizi grossolani dei senes severiores, la voce delle ragazze è chiara e decisa: abbiamo bisogno di un rinnovamento che parta dalle radici e che tocchi ogni aspetto della questione femminile e civile. Per quanto alcuni argomenti toccati dall’inchiesta del ‘66 ci sembrino ormai largamente superati, non possiamo, come alcune nostre lungimiranti compagne hanno sottolineato, dare per scontato i traguardi raggiunti dalle donne.
Prendendo in considerazione il solo aspetto lavorativo ci si rende conto che le ragazze di oggi, pur cresciute in una società che garantisce a livello formale la piena parità in ogni campo tra i due sessi, sono consapevoli delle difficoltà che si troveranno ad affrontare nelle loro carriere in primis in quanto donne, poi in quanto madri. E non sono paure infondate,
i dati parlano chiaro: le donne tra i 25 e i 49 anni sono occupate nel 73,9% dei casi se non hanno figli, mentre lo sono nel 53,9% se hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni, e nel Mezzogiorno la percentuale scende al 35,3% (ISTAT, 2021).
Dal dialogo con le pariniane emerge anche un’altra necessità da non trascurare: che il sesso non sia più considerato un tabù, un argomento scomodo da evitare, a scuola, in famiglia, ma soprattutto nella società in generale.
Nel periodo in cui la religione cristiana si è affermata, il sesso è stato condannato dalla morale religiosa come motivo di vergogna e la discussione in merito è stata limitata: ancora oggi la vita degli italiani ruota intorno alla religione, la quale, anche in uno Stato laico, rimane inevitabilmente radicata nell'immaginario comune. Inoltre, nel nostro Paese storicamente prevale l'idea che la castità
voli dei problemi che devono affrontare solo in quanto donne, ma spesso molte ragazze non si rendono conto dei passi avanti che si sono fatti e delle lotte che hanno portato ai diritti di cui godiamo ora”.
“Nell’ambito scolastico si nota una differenza fra ragazzi e ragazze e, anche se non dovrebbe esserci e non è una differenza così grave, una questione è il modo in cui i ragazzi si rapportano con le ragazze. Per esempio, a me è capitato di fare degli interventi in classe e di essere spesso derisa, zittita, in modo simpatico, non con un intento per forza negativo, per fa pensare”.
sia propria della donna, concetto impersonato dalla figura della Vergine Maria, come suggerisce il nome stesso, rendendo ancora meno accettabile che sia la donna a parlare di certi argomenti. Dunque, se il sesso è di per sé un argomento tabù, lo è ancora di più per le donne. Avendo ascoltato e osservato i tanti effetti collaterali del considerare il sesso come tabù, si giunge a una domanda: in quanto esseri viventi, il sesso è parte integrante della nostra esistenza e della nostra natura, perciò perché tenerlo nascosto?
In famiglia, un traguardo: il diritto al divorzio. Introdotto in Italia solo nel 1970, se per le ragazze del ‘66 era oggetto di discussione, per le ragazze di oggi è normalità, e lo stesso vale per l’uso dei contraccettivi. Ricordiamo infatti che proprio negli anni Sessanta si comincia a parlare di pillola anticoncezionale, permessa per legge nel 197, e prima di allora vietata
dall’articolo 533 del
Codice Rocco, che proibiva e puniva “la propaganda dei mezzi atti a impedire la procreazione”. Grande svolta quindi per il ruolo della donna, per la quale infatti l’essere madre da questo momento in poi non è più un obbligo, una sua funzione intrinseca, ma una decisione che può prendere lei stessa. Alla pillola poi sono seguiti negli anni altri sistemi anticoncezionali, tutti mezzi che tuttavia non sono usati da donne e ragazze di oggi tanto quanto si dovrebbe. Metodi troppo invasivi, effetti collaterali, assunzione di ormoni sono tutti ostacoli che disincentivano le donne in Italia dal fare uso di questi sistemi. Per non parlare delle discussioni che nascono sulla responsabilità e su chi tra donna e uomo debba prevenire gravidanze indesiderate… insomma, le opinioni sono tra le più varie. Inoltre, la disinforma-
zione è la causa preponderante di dubbi e incertezze riguardo alla sfera sessuale: è dimostrato che l’84% delle ragazze di oggi tende a cercare risposte sul web, specialmente in età adolescenziale. Sarebbe forse il caso di introdurre l’educazione sessuale e affettiva a scuola?
Parlando invece di moralità e costume, ci siamo accorti che fra pariniane il problema della morale si declina anche nell’abbigliamento a scuola, che è oggetto di discussioni non solo fra studenti, ma anche fra studenti e professori: due sensibilità diverse nate da due generazioni con esperienze distanti. Sembrerà a primo impatto una cosa superficiale, ma i vestiti rappresentano per noi un modo di esprimerci, una libertà, piccola è vero, ma che spesso fatica a conciliarsi con ciò che rientra nel ‘consono all’ambiente scolastico’.
Anni e anni di travagliate lotte ci hanno permesso di percorrere un gran tratto di via, ma non dobbiamo per questo smettere di fare di più: purtroppo il presente non è che un punto di partenza per noi - maschi e femmine tutti - e il cammino appare ancora lungo e tortuoso.
Infine, facendo un confronto diretto con l’inchiesta del ’66 sorgono in noi dei dubbi: scartata la sfera religiosa, e, più in particolare, la Chiesa come istituzione, su cosa si basa la nostra moderna morale?
Quali sono e da dove provengono gli ideali a cui guardiamo e in base ai quali affrontiamo la vita?
Sono questi diversi per ognuno o, sotto sotto, qualcosa di comune a tutti, che indirizzi le nostre coscienze, c’è? La riflessione, che forse è molto più personale e intima di così, rimane aperta e saremo contenti di continuarla con i nostri Lettori.
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INCHIESTA
AURELIO
VALERIA
SARA
Quanto conosci gli anni '66 - '68? Il quiz
1) Quale film italiano descrive le vicende nazionali dall’estate del 1966 fino al XXI secolo sotto forma di un viaggio di formazione collettivo?
A. La classe operai va in paradiso
B. Con i pugni in tasca
C. La meglio gioventù
D. The Dreamers
2) Quando fu approvata la legge sul divorzio in Italia?
A. Nel 1965
B. Nel 1961
C. Nel 1970
D. Nel 1975
3) Quando fu legalizzata in Italia la pillola contraccettiva che venne messa in commercio negli Stati Uniti nel 1960?
A. Nel 1969
B. Nel 1971, ma non fu vendibile nelle farmacie fino al 1976
C. Nel 1975, quando nacquero i consultori pubblici
D. Nel 1978, con l’approvazione della legge sull’aborto
4) Il 24 giugno 1965 i Beatles suonarono al velodromo Vigorelli di Milano davanti a 20.000 persone. Cosa ascoltavano gli italiani quell'anno?
A. Non ho l'età di Gigliola Cinquetti
B. Volta la carta di Fabrizio De André
C. W la pappa col pomodoro di Rita Pavone
D. La canzone del Sole di Lucio Battisti
5) Quali di questi slogan gridati nelle manifestazioni in piazza non era del '68?
A. Lavorare meno, lavorare tutti
B. La strage è di Stato / Pinelli assassinato!
C. Ora e sempre Resistenza
D. Fate l’amore, non fate la guerra
6) Il 7 dicembre 1968 il movimento studentesco di Milano organizza una clamorosa protesta alla prima della Scala. Gli spettatori vengono accolti fuori dal teatro dai manifestanti che lanciano uova e che tengono un cartello che spiega la causa scatenante. Di cosa si trattava?
A. Solidarietà con la comune di Parigi
B. Protesta per i bassi salari degli operai della Magneti Marelli
C. Slogan per l'emancipazione della donna
D. Solidarietà per la protesta dei braccianti di Avola in Sicilia
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