Diabolus in musica

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Giorgio Vigolo

Diabolus in musica Prose ed elzeviri musicali

a cura di Cristiano Spila

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Le meditazioni musicali di Giorgio Vigolo di Cristiano Spila

In un articolo intitolato significativamente Giorgio Vigolo “ à la musique”, uscito su “Circoli” nel settembre-ottobre 1934, Gianfranco Contini rivendicava per il poeta romano una «qualità musicale» della scrittura: a suo avviso Vigolo possedeva quell’unità armonica delle cose, quella vocazione a orchestrare una materia sparsa che era mancata a D’Annunzio (il quale, osservava il critico, costituisce la «preistoria estetica» di Vigolo). Sicché, concludeva Contini, Vigolo ricorre alla musica «per dar l’esistenza e la stessa solidità del suo mondo; la sua musica è cosa stabile e densa»; concludendo poi: «Vigolo aspira a Bach, non a Wagner».1 Questa osservazione continiana richiama alla mente il fatto che l’esperienza della musica in Vigolo è indissociabile dal discorso poetico e che tale discorso è stato prima assimilato come (in forma di) musica. Secondo una simile prospettiva, la musica non è solo un oggetto che si può studiare o qualcosa che occupa interamente la sua attività di critico, ma è soprattutto un tipo ben definito di discorso narrativo e argomentativo. Proprio a partire dall’assunto secondo cui il discorso musicale è possibile in quanto specifica forma di scrittura narrativa, si può conside1   G. Contini, Esercizi di lettura sopra autori contemporanei, Einaudi, Torino 1974, pp. 122-128: 126. Sul saggismo musicale di Vigolo, si vedano R. Manica, Vigolo saggista musicale, in L. Lattarulo, C. Santucci, G. Zagra (a cura di), Conclave dei sogni. Giornata di studi per il centenario della nascita di Giorgio Vigolo (Roma, 18 novembre 1994), Quaderni BVE, Roma 1995, pp. 28-43; G. Rigobello, L’ispirazione musicale nella prosa lirica di Giorgio Vigolo, in J. Moestrup, P. Spore, C.K. Jørgensen (a cura di), Letteratura italiana e musica. Atti del xiv Congresso AISLLI (Odense, 1-5 luglio 1991), Odense University Press, Odense 1997, vol. ii, pp. 741-751.

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rare la rilevanza della saggistica musicale in Vigolo: non mero resocontismo di mestiere, ma un tassello fondamentale all’interno della vasta e articolata produzione in prosa e in versi. Il pensiero musicale sta alla base della forma mentis vigoliana; pertanto non è allotrio o esornativo rispetto a una produzione poetica principale: esso è uno sguardo che nasce con la poesia. Anzi, si può dire che il discorso musicale si dipana parallelamente al discorso narrativo e poetico, perché si sforza di ricondurre tutto all’unità primigenia di “suono-canto-ritmo” da cui ha origine la vera poesia. Nonostante le sue meditazioni musicali siano collocate in una sfera diversa di espressione, esse hanno sempre un rapporto con la poesia e con la meditazione critica in quanto proiezioni di una Weltanschauung comune. Giorgio Vigolo, poeta e scrittore, studioso e traduttore di Hölderlin, grande critico e filologo del Belli, ha svolto un’intensa attività di critico musicale durante l’arco di un trentennio, dalla fine della seconda guerra mondiale al 1970. Per molti aspetti, questo è stato il suo «lavoro professionale», 2 ossia un «secondo mestiere», per utilizzare una celebre locuzione applicata all’opera di un altro poeta prestato alla critica musicale, Eugenio Montale. Furono alcuni amici scrittori – Alberto Moravia, Guido Piovene, ma soprattutto Giacomo Debenedetti – che nel 1945, appena terminata la guerra, proposero al poeta romano, privo di risorse economiche, di tenere una rubrica di critica musicale sul quotidiano “L’Epoca”. Successivamente, ebbe lo stesso incarico al “Risorgimento liberale” (1946-48) e quindi per il settimanale “Il Mondo” (1948-66), per finire al “Corriere della Sera”, su cui scrisse fino al 1975. I suoi “elzeviri” musicali, ricchi di spirito polemico e riflessioni letterarie, ma senza alcun compiacimento estetizzante, furono poi raccolti in volume dal titolo Mille e una sera all’opera e al concerto, dove si presenta, classificata anno per anno, una ricca scelta degli scritti di cronaca e critica musicale elaborati e pub-

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A. Frattini, Introduzione a Giorgio Vigolo, Marzorati, Milano 1984, p. 67.

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blicati tra il 1945 e il 1966.3 Malgrado la sua produzione musicologica conosciuta sia confinata tutta in questo libro, pur con alcune eccezioni,4 si può dire che la manifestazione del pensiero musicale in Vigolo appartiene interamente alla sua estetica e inerisce alla sua opera poetica e narrativa. Il progetto vigoliano di una seconda raccolta di scritti musicali viene annunciato in una lettera ad Alberto Magnani del 2 ottobre 1967,5 che contiene un indice «dei quarantadue saggi che potrebbero essere raccolti in volume [...] col titolo di Diabolus in musica» pensato per la collana dei classici Ricciardi. Stando a questo indice, l’autore presumibilmente intendeva inserirli in un volume che fu progettato e preparato tra il 1967 e il 1968, ma mai edito. L’Indice Magnani mostra, dunque, un progetto di raccolta di testi di argomento musicale utilizzati per diverse trasmissioni radiofoniche della rubrica Musica e poesia, andate in onda nell’annata 1969.6 Vi è poi anche un Promemoria per l’edizione, datato 22 giugno 1968, in cui l’autore ha annotato alcune indicazioni tipografiche da adottare in vista di un’edizione dei testi. Si tratta quindi un’opera in progress, non terminata ma soprattutto non perfettamente definita nell’organizzazione dei saggi e nella struttura. Alcuni di questi saggi vengono riproposti nel presente volume. Una scelta che fornisce specimina notevoli del pensiero musicale di Giorgio Vigolo e che, soprattutto, testimonia del 3

G. Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, Sansoni, Firenze 1971.

Non sono state pubblicate le sue conferenze, i suoi programmi di sala scritti per il teatro La Fenice e per l’Accademia di Santa Cecilia, e i lavori redazionali per l’Enciclopedia dello spettacolo, diretta da Silvio d’ A mico. Alcune prose di argomento musicale sono raccolte in Il cannocchiale metafisico, Edizioni della Cometa, Roma 1982.

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5   La lettera autografa è conservata nella cartella dei Saggi musicali, sez. Fii/41. Delle carte inedite di Vigolo nel fondo di mss. conservato alla Biblioteca nazionale centrale di Roma (Raccolta Vigolo), ha dato notizie M. Vigilante, L’ordinamento della Raccolta Vigolo, in L. Lattarulo, C. Santucci, G. Zagra (a cura di), Conclave dei sogni, cit., pp. 80-84.

L’impegno radiofonico di Vigolo occupa un arco cronologico ampio che va dalla prima rubrica del 1949 (Punto contro punto) al Taccuino musicale del 1963-65 fino a Musica e poesia, che ebbe inizio il 27 febbraio 1965 e si concluse il 3 gennaio 1976. Per una sintesi delle trasmissioni radiofoniche vigoliane, cfr. G. Zagra, Le collaborazioni radiofoniche di Giorgio Vigolo, in L. Lattarulo, C. Santucci, G. Zagra (a cura di), Conclave dei sogni, cit., pp. 95-99.

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travaglio avventuroso, ma anche originale, di un pensiero costantemente aperto a soluzioni poetiche e filosofiche. In effetti, conviene leggere queste pagine come il laboratorio segreto di una riflessione tutta personale anche nei confronti di categorie ideali come il Barocco e il Romanticismo. In questi testi, che lo stesso autore definisce “elzeviri”, preparati per la sua rubrica radiofonica, la musica assume un aspetto riconoscibile non tanto nei dettagli tecnici quanto nel divenire essa stessa un elemento narrativo. Vigolo non opera a partire da un tema specifico, ma verso di esso: sicché queste prose traggono parte del loro effetto esplicativo dalla capacità di costruire storie partendo da semplici elementi, da dati minimi, quasi accidentali, aggregati tra loro a formare una precisa struttura non solo discorsiva, ma narrativa. La prosa musicale vigoliana racconta storie e genera storie: e si sente che la sensibilità dello scrittore va nella direzione del racconto. Il saggismo di Vigolo si manifesta proprio in quello che Manica definisce «un destino di disponibilità»:7 disponibilità anche narrativa, nella capacità di far emergere cioè una linea narrativa da una congerie di elementi apparentemente distaccati e lontani. Proprio nello sforzo di dare un senso a questi dati, Vigolo ricorre a una immaginazione costruttiva: egli isola così alcuni elementi che possono essere integrati in un sistema mitico e visti in relazione alla coerenza generale dell’insieme. Si tratta infatti di una coerenza narrativa, vale a dire l’adattamento dei fatti alle esigenze della forma narrativa. Solo tale funzione di mediazione permette di leggere questi testi come elementi di una metafora estesa che coinvolge la struttura stessa del pen7   Cfr. R. Manica, Vigolo saggista musicale, in L. Lattarulo, C. Santucci, G. Zagra (a cura di), Conclave dei sogni, cit., p. 37. Il saggismo vigoliano è caratterizzato, per lo studioso, da una «aperta incostanza che si può definire disponibilità; che diventa e può essere definita costante dal momento che a guidarne le mosse e i giudizi è una persuasione profonda. Il saggismo è questa retorica, questa organizzazione linguistico-critica della disponibilità in forme di pensiero che prendono posto nel passo critico» (p. 34). Sul saggismo musicale di Vigolo, si veda anche Id., Metafore per un’altra musa. Sul saggismo musicale del Novecento, in “Nuova corrente”, xli, n. 113, 1994, pp. 173-197.

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siero musicale: appunto, il diabolus nella musica. Gli elementi “distaccati”, “disuniti” di un discorso (diabolus dal greco diàballein, “dividere”) si aggregano a formare una nuova “armonia” (ossia la musica), che esprime un bisogno di connessione ordinata, una ragione strutturale in grado di spiegare che ciò che appare in disordine e discorde ha una sua forma riconducibile a ordine e accordo tra le parti. Come scrive in Critica della ragione sognante: La nostra veglia non è che un conflitto continuo fra quelle esigenze di musica, di proporzioni, di simmetria che costituiscono la forma delle nostre sensazioni, e la materia fortuita caotica disordinata di esse, quali ci vengono pòrte dall’esterno.8

Come una struttura dialettica, la meditazione musicale vigoliana non descrive dati o strutture e non dice in quale direzione pensarli, ma attribuisce diverse valenze emozionali o allegoriche alle cose narrate. Vigolo non indica le cose che racconta, ma richiama alla mente immagini delle cose che racconta, come fa la metafora. Questi elzeviri divengono così strutture allegoriche che assimilano gli eventi musicali alle forme del pensiero di cui egli ha consuetudine nella sua raffinata ed estesa cultura letteraria. La distinzione tra critica musicale, per cui la scrittura è rappresentazione del dato e riconoscimento di giudizio, e racconto musicale, secondo cui la finzione sostituisce gli elementi di informazione, in Vigolo cede il posto a una sorta di “meditazione” musicale, in cui i dati sono importanti poiché disvelano affinità e ambiguità, differenze e somiglianze tra musica e letteratura. Il suo non è un lavoro di “traduzione” dei fatti musicali in un linguaggio didascalico e informativo; semmai è una possibilità, una suggestione di intrecci alternativi con cui   G. Vigolo, Critica della ragione sognante, in A. Frattini, Introduzione a Giorgio Vigolo, cit., pp. 147-148 (l’articolo filosofico di Vigolo uscì dapprima nel 1962, sul n. 2 della rivista “Segnacolo”).

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leggere una sequenza di eventi e dati che riguardano la musica: sicché egli conferisce a tali eventi tutti i significati che la sua arte e perizia letteraria sanno cogliere. Proporre la questione dei legami tra le arti significa per Vigolo anche riflettere sulla natura profonda della musica e, forse, sulla natura della sua ispirazione e delle sue infinite trasformazioni. Il pensiero musicale di Vigolo si fonda su tale ricerca, dove la persistenza del mito si congiunge al senso del tempo come flusso vitale inesauribile, nel divenire di una metamorfosi incessante, barocca. Già nel titolo prescelto, affiora un sentimento del Barocco del tutto originale, filtrato dalla trentennale riflessione estetica di Vigolo su categorie artistico-letterarie, ma al tempo stesso ben lontano da un clima accademico. In tale prospettiva, conviene sottolineare il Barocco come epoca non remota e sepolta, ma che continua a vivere nell’architettura e nella musica, in una idea vichiana e nietzscheana di “ritorno eterno” di cose e funzioni, segno di una vitalità inesausta. Colpisce il richiamo al diabolus in musica, principio di disarmonia che viene evocato a rivelare un’inquietudine tutta moderna, secondo un motivo di metamorfosi: «Col Barocco, il diavolo della musica era entrato in corpo all’architettura».9 Si tratta di un’azione condotta dal suono che proietta una sorta di significato “diabolico” della musica, versatile musa capace di trasformarsi, di trasmigrare in altre forme: in architettura (che Goethe chiamava per l’appunto «musica ammutolita»)10 come in poesia. Barocco e musica si legano in un rapporto stregato, quasi demoniaco: l’aereo, il musicale, lo spirituale convivono con la pietra, il peccato e la morte. Ciò che importa al poeta è la possibilità di un eterno circolare delle cose, un perpetuum mobile: un’azione che ha un potere straniante ma che, al medesimo tempo, possiede un senso incantato di metamor9

G. Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, cit., p. 123.

J.W. Goethe, Massime e riflessioni, a cura di S. Seidel, Theoria, Roma 1983, vol. ii, p. 237.

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fosi. Tutto ciò espone una situazione particolare che si può accostare alla spirale: il tempo (non solo quello meteorologico) si può definire “spiralico” o “spiraliforme”. La musica, immagine del tempo, forma una spirale in cui si ripetono fenomeni e sentimenti, infiniti cangiamenti di stati, scaturigini delle cose. E così, di ritorno in ritorno, il pensiero naturaliter musicale di Vigolo si muove con un movimento ellittico e dialettico, secondo appunto la figura della spirale.11 Tema eternamente barocco, la spirale simboleggia l’ipotesi che un ritorno possa esserci, ma non in forma uguale bensì in un modo straniato e (parzialmente) irriconoscibile. La spirale non solo indica la ripetizione ciclica della storia, ma può rappresentare in qualche modo la volontà di umanizzare la natura, ossia la natura giunta alla propria totale autocomprensione. Il pensiero-spirale mostra che solo nel ritorno è possibile arrivare a esprimere perfette le cose e gli esseri illesi in un sogno immutabile. Nel mondo della musicologia vigoliana l’unico elemento che conta è la permeabilità e la visibilità delle cose. Invece di nasconderle, il poeta restituisce alla pagina le cose nascoste nella musica: per questo, ogni atto musicale, ogni manifestazione poetica o artistica, è per Vigolo sempre una genesi, l’inizio del mondo. La musica si dà come conoscenza per speculum in aenigmate dell’essenza trascendente del mondo, ma a patto di farsi essa stessa immanente: termini come “travaglio”, “sinfonismo”, “ispirazione”, “contrasto”, “forma”, “dialettica”, vengono come veri e propri termini tecnici per rispondere a questo anelito di assoluto e di cosmico che ha la musica. La musica entra nell’interiorità umana come elemento costitutivo: memoria e musica mutuano l’una dall’altra i loro processi, per cui se i processi della memoria sono «fondamentalmente ritmici», quelli della musica sono «fondamentalmente mnemonici».12

Nella Raccolta Vigolo si trova un frammento intitolato Della spirale, testo che appartiene probabilmente agli anni trenta, contrassegnato col numero di catalogo ARC 16 sez. L/3, cc. 25r-26r.

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G. Vigolo, Spettro solare, Bompiani, Milano 1973, p. 153.

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Tutto è musicale in Vigolo. Il suono è l’elemento che raggiunge le cose e le rivela. Si tratta di una musicalità di tipo platonico-goethiano, una sorta di platonismo dell’orecchio, parafrasando un celebre verso di Goethe: se l’orecchio non fosse musicale, come potremmo udire il suono?13 L’ orecchio diviene il punto di scambio dell’interno che tende al di fuori e dell’esterno che tende al di dentro; esso comprende l’invisibile trasmettendolo a tutto l’uomo. L’orecchio come luogo della mediazione diventa la figura interpretativa di questa relazione interno/esterno, uomo/mondo: «Gli orecchi più avvertiti [...] filtrano e analizzano nella coclea le qualità più riposte di una vibrazione, e sono dei veri spettroscopi».14 Un sentire che non si esaurisce in se stesso, ma che disegna un movimento interno all’essere, che pervade completamente l’essere. Il suono diviene visione dell’anima e vi si accede attraverso il canale interno dell’orecchio, che non impone le sue abitudini e i suoi punti di vista, né i suoi limiti: esso si lascia attraversare dai suoni. Il suono ha vita, si contrae e si espande, il suono è vivo e porta una memoria delle cose avvenute come materia senziente, e i poteri della sua indissociabile dualità sono moltiplicati e non attenuati dal fatto di essere suono anziché ritmo, voce anziché parola: invisibile spettacolo assoluto che nulla potrà intaccare o dissolvere e che resta lì destinato a essere udito sempre dal poeta. Nella prosa I motivi della vita, che apre il volume, si affaccia proprio questa dimensione della musica come memoria dei suoni, dei motivi dell’esistenza. La memoria del suono esterno captato dall’interno dell’orecchio diventa la condizione di una esperienza di conoscenza, ma offre anche il modello per il nesso fra il cosmo generale e il cosmo in noi.   La condizione della vista del buono e del bello viene poeticamente espressa da Goethe nei seguenti versi: «Potremmo guardare la luce, / se l’occhio non fosse solare? / Potremmo di Dio inebriarci / se in noi la sua forza non fosse?». Qui Goethe allude a Plotino, lungamente studiato in gioventù e di cui, nel 1805, tradusse il brano delle Enneadi (i, 6, 8) al quale si ispira la breve lirica (cfr. J.W. Goethe, La teoria dei colori, in Opere, a cura di L. Mazzucchetti, Sansoni, Firenze 1961, vol. v, p. 299).

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G. Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, cit., p. 33.

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Per arrivare all’udito interiore di questi motivi, occorre dunque un lungo esercizio di raccoglimento e di memoria. Ripiegarsi in noi stessi, dimenticare per il momento ogni cura presente e fissare, fissare il buio dei giorni dimenticati, finché qualche cosa non cominci ad apparire nello specchio. Un circuito di memoria poco alla volta si riforma, si illumina tutta una rete oscura e capillare, un labirinto di passaggi segreti, di comunicazioni insospettate: la pianta di una città sepolta rinviene fuori di sotto la cenere.15

Il suono e la voce si presentano come dati fisici e insieme miti memoriali. Questa dimensione orfica è animata dall’idea che la musica (il canto) riporti l’animo umano alle condizioni originarie del processo creativo in sé e per sé, nella prospettiva di una alternativa rigorosa e sublime contro la decadenza di una civiltà, quella novecentesca, sempre più oppressiva e dominata dalle macchine, e schiacciante per il progredire delle tecniche. Per questo in Vigolo c’è un bisogno di recuperare la bellezza del secolo trascorso e l’aspetto magico-cosmico. Con la secolarizzazione delle macchine e la sacralizzazione del non-sacro, i poeti e i musici diventano gli iniziati e i sacerdoti di questi mysteria dello spirito: uno spirito stregato dalle ambivalenze dell’immaginazione e posseduto dal culto degli opposti (la dialettica) piuttosto che dal senso, tutto novecentesco, della lacerazione dell’io. Questo tipo di orfismo e neoromanticismo riflesso di Vigolo realizza su basi teoriche una estetica del divenire: essa tende a rispecchiare il divenire della realtà umana in quello stesso dell’arte. Quando lo spirito neoromantico bussa alla porta, è giunto il momento per il poeta di trasporre nel suo mondo di parole la divina ambiguità e dialetticità delle cose. La scuola dei poeti orfici, in particolare di Arturo Onofri, suo maestro riconosciuto degli anni giovanili, ha rafforzato l’ideale ricerca di assoluto in cui musica e poesia si fondono.16 Il richiamo al neo15

Passim, p. 4.

I libri di Onofri sono ricchi di suggestioni musicali e dai titoli emblematici: Simili a melodie rapprese in mondo; Suoni del Gral; Le trombe d’argento. Inoltre il volume del 1917 dal titolo Orchestrine; Arioso venne ripubblicato alla fine degli anni cinquanta con una notizia critico-biografica a cura dello stesso Giorgio Vigolo (cfr. A. Onofri, Orchestrine; Arioso, Neri Pozza, Venezia 1959). 16

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