Dolodi

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Durante i due giorni ch’erano seguiti alla promessa di Dolodi, Emilio aveva continuato ad andare al lavoro, limitandosi a raccomandare a Giuliana di seguire come poteva le sue mosse; non senza qualche rimorso, perché, pur rimproverandosi di lasciarla sola, e ansioso a ogni ritorno a casa di conoscere le novità, tutti e due i giorni aveva impiegato molto più tempo a percorrere la strada, quasi sperando di giungere, qualsiasi cosa fosse successa, a giochi fatti. Secondo Giuliana, tutto si era svolto nel più normale dei modi di quando si trasloca: le donne avevano vuotato i cassetti, lavato i panni, trascinato i mobili e le altre cose, per ammucchiarli non aveva visto dove, preferendo non scendere nemmeno per cucinare. Dolodi non era uscito come suo solito; a dimostrarlo, la sua macchina ferma; ma poteva anche darsi che fosse uscito col buio, o così almeno era sembrato a Emilio il primo giorno, quando si era svegliato di soprassalto e aveva udito in cortile il sommesso brontolio di un motore e alcune voci. Sicuro che fosse lui, non si era alzato a vedere; in quella certezza – forse perché andando a letto aveva tardato ad addormentarsi, col pensiero fisso che dovesse succedere qualcosa – era ripiombato in un sonno di piombo, che lo aveva reso come morto fino all’alba. Il secondo giorno, ancora niente: i soliti rumori del giorno prima, finiti in mattinata, e durante il pomeriggio il silenzio più assoluto; bene sarebbe stato andare a vedere cosa facevano; perché, a parte i rumori, era proprio sicuro che si disponevano ad andarsene? Secondo Emilio non era il caso di scendere, in quanto, se non si facevano vivi, voleva dire che preferivano non 40


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essere disturbati; e poi, i tramestii che Giuliana aveva udito bastavano per non dubitare che l’indomani tutto sarebbe finito. Come infatti era accaduto. Ritornando a casa, l’aveva trovata ad attenderlo sul portone spalancato e, prima ancora di entrare con la macchina, vedendo il cortile seminato di stracci e cartoni, aveva capito che il camion era venuto. «Se ne sono andati» aveva detto laconicamente Giuliana. Ma non pareva allegra. E come lui, liberato dal peso, aveva fatto il gesto di abbracciarla per la contentezza, lo aveva respinto infastidita. «Pensa, ci siamo sbarazzati di loro. Finalmente soli! Ora trasformerò questa casa in una reggia, vedrai». «Assistere al trasloco non è stato piacevole, te l’assicuro». «Perché?». «Avessi visto quelle povere cose come le ho viste io, buttate sul camion come degli avanzi di una casa distrutta, non me lo chiederesti. Che tristezza! Poi, quelle due. Lei, con le braccia abbandonate lungo il corpo, a guardare, addossata al muro, come trattavano quello che le rimaneva dopo probabilmente tutta una vita di lavoro, e la figlia invece che, incosciente, si divertiva a stuzzicare gli uomini di fatica, incurante che loro la allontanassero col gesto o con la voce, come si fa con una gallina importuna. Non so cosa avrei dato, in quel momento, per non essere presente. E ora, dove credi siano andate?». «Non ne ho idea». «Informati». «Lo farò. Finora non m’hai detto niente di Dolodi, però». «Il tuo amico è sparito una mezz’ora dopo di te, con dei quadri sottobraccio, quasi il trasloco non lo riguardasse. Forse perché si vergognava di farsi riconoscere dai caricatori per il capo di quella famiglia, o più probabilmente perché non gli interessava proprio nulla». «E i quadri dello sgabuzzino? Portati via anche quelli?». «Non ne ho visti altri da quelli che lui aveva sottobraccio». «Sta’ a vedere che li ha fatti sparire ieri notte! Sei andata a guardare?». 41


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«Non me la son sentita». Avevano passato insieme un ambiente dopo l’altro, e li avevano trovati completamente vuoti, ripuliti col massimo scrupolo. Di quadri, nemmeno l’ombra: né in soggiorno né nel ripostiglio, che ne era stato pieno. E così, avevano anche scoperto che la stanza da letto di Dolodi era chiusa a chiave. «Questa sì che è bella!» fece Emilio. Si guardarono in viso. E ancora lui: «Vedi, se tu fossi scesa quando erano qui, avresti potuto pretendere che lasciassero aperto». «Perché mi hai lasciato sola?». «Il lavoro» rispose brusco, innervosito. «Come vuoi che pensassi che non saresti stata neanche capace…» ma dovette interrompersi, volgendo altrove lo sguardo, profondamente a disagio. «La conclusione è che ora la stanza è chiusa. E che non si sa per quale motivo. Io sfondo la porta; cosa dici?». Giuliana continuava a guardarlo fisso. «Perché non parli?». «Lo sai anche tu, perché». «Non mi dirai che ha lasciato qui dentro la sua roba. È così? Dimmi!». «Il letto, l’armadio, il divano e le poltrone; il giradischi e l’armadietto in cui sono custodite le tue preziose poesie. Lo dico, sicura di non aver visto portare nel camion niente di tutto questo. Solo la camera matrimoniale, i mobili della bambina e, per quanto riguarda il resto, altre cose di nessun valore». «Allora vuol dire che lui è rimasto. Che ha allontanato solo le donne. E non ero d’accordo così, con lui. L ’accordo era che portasse via tutto; mi credi?». «Povero Emilio. Sei sicuro che si trattava di un accordo e non piuttosto di un tuo desiderio in cui Dolodi non c’entrava? Come quando hai trattato con lui per comprare la casa, sei voluto venire ad abitarci e ti sei proposto di trasformarla senza chiedergli se te lo permetteva o no». «Perché, pensi…?». Emilio era diventato pallido. Giuliana poteva aver ragione. 42


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Se aveva ragione, però, voleva dire che lui aveva fatto solo quello che aveva voluto Dolodi. Possibile? Reagì. La casa era un affare, glielo avevano detto in tanti. Non come stava, ma come poteva diventare dopo averla messa a posto. C’era stata, è vero, la sorpresa dell’ipoteca anonima. Ma la legge è la legge e lui, proprietario per tre quarti, non correva rischi. Altra sorpresa era stata che mentre aveva creduto di poter disporre subito della proprietà, aveva dovuto invece ospitare provvisoriamente la famiglia di Dolodi. Ora, però, avevano sgombrato. Tutto… meno lui. Ma era davvero così grave, per i giorni a venire, come cercava di fargli credere Giuliana? «Non appena torna, se torna, lo sistemo io!» aveva detto a voce alta, in tono minaccioso. Dolodi ricomparve tardi, quando Emilio e Giuliana erano già a tavola. Si erano fermati in cucina e, intanto che lei preparava, avevano parlato del posto in cui si trovavano e del soggiorno di Dolodi, destinato a essere il futuro salotto, visto che a soggiorno sarebbe stata arredata la sua camera, quella chiusa a chiave. La stanza cieca, resa accessibile dall’atrio, sarebbe stata preparata per gli ospiti. Amici e conoscenti? Emilio sapeva che, nell’intenzione di Giuliana, gli unici possibili ospiti erano i suoi genitori, ma non aveva detto nulla di quello che avrebbe detto se si fossero trovati ancora nel vecchio appartamento. Sentirono Dolodi arrivare in macchina. Il primo impulso di Emilio fu di andargli incontro, ma, convenendo con Giuliana ch’era meglio aspettare per vedere come si comportava, rimasero al loro posto, col boccone in gola. Da lì lo udirono aprire la sua stanza, poi di nuovo richiuderla a chiave. Udirono i suoi passi venire alla loro volta. Emilio mise una mano sulla mano di Giuliana posata sulla tavola, come per rassicurarla, ma lei sentì che tremava. «È permesso?» lo udirono annunciarsi. Sorrideva, e se aveva bevuto si era fermato al punto giusto, quello che lo rendeva simpatico a chiunque gli stesse vicino. 43


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«Entri, entri pure» lo accolse Giuliana affabilmente, rispondendo al suo sorriso, senza ombra di ironia davanti ai riguardi di uno che riguardi non aveva. «Siete a tavola? Se disturbo, me ne vado». «Lei ha già cenato?». «Sì, sì, ho mangiato fuori». «Peccato, poteva tenerci compagnia. Un bicchiere di vino, in ogni caso, spero che non lo rifiuterà». «No di certo». Emilio non aveva aperto bocca, non poco sconcertato dall’atteggiamento della moglie. Da quando erano lassù, ogni volta, davanti a quell’uomo l’aveva vista trasformarsi, e non si capacitava. Possibile che, dopo quello che si erano detti, non provasse la stessa avversione sua, e tanto più dopo aver assistito alla partenza delle due donne, con lo sfasciume che le accompagnava? Osservò Dolodi che si sedeva a capotavola, Giuliana che gli versava da bere, e ancora Dolodi che, sorseggiando dal bicchiere, la guardava fisso andare e venire con aria compiaciuta. «E tu, non mi dici niente?» si sentì chiedere da Dolodi, che evidentemente voleva sapere perché non si comportava come sua moglie. Resistette all’impulso di dargli una rispostaccia. «Sto semplicemente chiedendomi con quale coraggio ti presenti qui, invece di essere con la tua famiglia». «Oh, quella! L’ho sistemata, ormai. Mentre a me devo ancora provvedere, e finora non so come né dove». «Se non erro, mi avevi promesso che saresti andato via pure tu. Cosa è successo di tanto nuovo, da impedirti di mantenere la parola? Non pensare nemmeno di poter restare qui». «Fino a questo momento non ho alternative. E poi: perché usare questo tono con me?». Sembrava che glielo chiedesse per curiosità, ma a quella maniera era molto peggio che se gliel’avesse chiesto per sapere. Emilio strinse la mano, forte. «Ti ripeto che qui non puoi restare. Sono stato chiaro?». Per un attimo, lungo, credette di vederselo addosso con la furia di una bestia, si alzò per resistergli, rovesciando una sedia, 44


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ma non successe nulla. Dolodi fece mostra soltanto di meravigliarsi. «E dove dovrei andare, secondo te?». Aveva un risolino sulle labbra. «Le mie donne le ho sistemate in una soffitta di via Crispi; ma io, dove vuoi che vada?». Giuliana commentò: «Poveretto!». «Per la mia famiglia non ho trovato di meglio. E lì dentro, non solo non entro pure io, ma neanche uno spillo, volendo. Le ho sistemate così male, unicamente perché trovavo giusto il vostro desiderio di restare soli». «Soli. E tu?». «Te l’ho detto. A parte che a me verrebbe l’affanno, a salire tante scale». «Sicché hai deciso di restare con noi». «Provvisoriamente; sempre provvisoriamente. Siediti, Emilio, e consideriamo la cosa con serenità, come si conviene fra amici. A proposito, vedi di ricordarmelo: ho in serbo per te delle novità, che oggi non ti dico perché è meglio lasciar passare un po’ di tempo. Se resto ancora qualche giorno in questa casa, è solo per sistemare prima una mia faccenda. D’altronde, che disturbo vi do? Restando, vi sono utile quanto neanche lontanamente immaginate». «Dimmi come». «A suo tempo, a suo tempo. Per ora accontentati di credere che la mia presenza vi preserverà – fino a un certo punto, almeno – dall’avere non poche noie. Tu non puoi sapere quali e quante». «Ha tutta l’aria di un pretesto» fece Emilio. E rivolto a Giuliana: «Tu che ne pensi?». Giuliana si riscosse. «A sentirlo parlare a questo modo, mi pare quasi di sentire te, i primi giorni ch’eravamo in questa casa». «Insomma, se ho ben capito, hai deciso di restare nonostante la mia contrarietà». Dolodi alzò il bicchiere. «Ne parliamo domani, vuoi? Bevo ancora questo e poi vado a letto, perché oggi sono stanco morto. Prosit!». 45


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«Buonanotte» fece Emilio, sarcastico. Dolodi si levò in piedi. «Senta, signora: mi farebbe un piacere? La mattina, se non bevo un caffè bollente appena sveglio, sto male tutto il giorno. Le dispiacerebbe prepararmelo? Glielo chiedo perché da me non lo so proprio fare». E a Emilio: «Immagino cosa dirai, non appena sarò uscito. Io ti dico soltanto che vorrei vederti al posto mio». Più tardi, a letto, Giuliana disse a Emilio quello che pensava. «Forse siamo stati ingiusti con lui. Poveraccio. Non so se è stato perché non hai usato mezzi termini, o perché, senza moglie e figlia, mi è parso spaesato, sta di fatto che l’ho sentito più vicino a noi, più umano. Non ha dato pure a te quest’impressione?». Via le donne, Giuliana espresse il desiderio di far venire su, un giorno, i suoi genitori a vedere la casa, ma Emilio si oppose: prima dovevano sbarazzarsi dell’ospite indesiderato, poi organizzarsi in modo da non prestare troppo il fianco alle critiche che sua madre gli avrebbe mosso, constatando di persona dove aveva portato a vivere la loro unica figliola. E Giuliana non insistette, benché avesse sulla punta della lingua di dirgli che, ogni giorno che le telefonava, sua madre la minacciava di prendere la corriera, proprio perché sapeva che lui era contrario. Emilio si rivolse a un architetto, e l’architetto convenne con lui che, a parte qualche ritocco, le modifiche che aveva pensato di apportare alla casa avrebbero risolto tutto; mettendolo sull’avviso, però, che, a causa dei vincoli posti dalle Belle Arti e dal piano regolatore comunale, era inutile chiedergli di modificare i volumi e i serramenti, in quanto, per qualcosa di simile, s’era già beccato una condanna. Non doveva meravigliarsi, in tutto l’Altipiano valeva lo stesso principio: per i nativi del posto, ciò che volevano, mentre per quelli di città, quando venivano su, tutti gli ostacoli di questo mondo. Con gli stessi soldi poteva farsi una splendida casa un po’ più giù. Anche per via del confine vicino e provvisorio. 46


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