Editoriali di architettura

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Un’eredità da riconoscere, un’eredità da rinnovare di Angelo Torricelli

Tra gli anni cinquanta e sessanta, alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, Ernesto Nathan Rogers è stato il maestro di una vera e propria rivoluzione culturale e pedagogica, impostata sulla concezione del progetto di architettura come atto consapevole delle condizioni storiche che partecipano alla sua formazione. Anzi, come atto necessario, che dà senso profondo al “mestiere” dell’architetto, nell’ambito di una saldatura tra estetica ed etica ove viene messa a fuoco l’essenza conoscitiva dell’architettura. Le opere dei maestri della “modernità”, la storia delle città e dei paesaggi, diventano così, secondo Rogers, gli elementi costitutivi del fenomeno architettonico. Le pagine della rivista “Casabella-continuità”, da lui diretta tra il 1953 e il 1964, promuovono lo stretto intreccio tra invenzione del futuro e memoria del passato, dialettica su cui si fonda la migliore cultura architettonica italiana. Sulle tracce di questo insegnamento si sono collocati i suoi allievi diretti, collaboratori alla redazione della rivista, che a loro volta sono diventati i maestri della mia generazione e di quelle successive. Il pensiero di Rogers, anche nei legami con la cultura del Novecento, trova una sua specifica originalità nella ricerca del “senso della storia”, contro ogni storicismo, ma anche contro la tabula rasa delle avanguardie. Una storia che, per esempio, invita a studiare van de Velde come Perret, oppure Camillo Boito e la Scuola di Amsterdam, ma anche le tradizioni costruttive regionali, per poi riflettere queste pionieristiche ricerche nell’affermazione di una “continuità” critica con il Movimento Moderno. La storia è, per Rogers, non solo la chiave per interpretare e superare l’insegnamento dei maestri, ma soprattutto un modo per rapportare l’architettura al “mondo della vita”. Una lezione che, nel difficile panorama contemporaneo, molti di noi sentono l’urgenza di rinnovare, anche per ribadire la specificità della scuola milanese. Tuttavia, come sempre, raccogliere un’eredità culturale è l’inizio di un percorso realizzabile solo Prefazione

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attraverso lo studio e la revisione critica. È lo stesso Rogers a sostenerlo, come si legge nell’editoriale di “Casabella-continuità” del marzo 1960 dedicato al maestro belga: Credo che nessuna commemorazione sarebbe stata più gradita a Henry van de Velde quanto quella di farlo sentire come una presenza: non come qualcosa che si è chiuso, ma come qualcosa che continua e si perpetua trasformandosi in noi. Come ciò che […] accettiamo e rifiutiamo per favorire le mutazioni della nostra vita e produrre, con le energie acquisite, nuovo lavoro.1

Tra i numerosi scritti di Rogers, gli editoriali di “Casabellacontinuità” permettono di cogliere il significato della lezione sul “senso della storia” per il progetto d’architettura, sia quando questi testi riflettono sugli episodi e i protagonisti del passato, sia quando essi partecipano attivamente, con una pungente e appassionata azione critica, alle diverse esperienze del presente. Tutto ciò è accompagnato da un inimitabile stile di scrittura, già segnalato come un aspetto peculiare del lavoro rogersiano, orientato alla relazione tra forma e contenuto in una sintesi che i costanti riferimenti culturali, insieme ad affabulanti risvolti autobiografici, rendono sempre incisiva e coinvolgente. Per questo motivo, in occasione del centenario della nascita di Ernesto Nathan Rogers, ho accolto con favore la proposta dell’editore Zandonai di riproporre il volume degli Editoriali di architettura, ormai divenuto una rarità per collezionisti. Rispetto alla prima edizione einaudiana del 1968, questa nuova pubblicazione è arricchita anche da un apparato iconografico e dall’inserimento di alcuni importanti articoli che mancavano nella raccolta originale. Per chi, come me, ha conosciuto Rogers, come allievo della facoltà di Architettura di Milano e lettore di “Casabella-continuità”, il libro ha un valore affettivo che difficilmente può sostituire la ricchezza della battaglia culturale espressa dall’intera collezione della rivista. Ma per gli architetti più giovani, soprattutto per gli studenti, la lettura di questi testi contiene una straordinaria potenzialità: quella di contribuire alla conoscenza di un maestro dell’architettura italiana, rifuggendo dagli schemi ideologici e dalle astratte attualizzazioni che ancor oggi ne offuscano la piena comprensione. La facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, fin dalla sua fondazione, ha sentito il dovere di raccogliere l’eredità di Ernesto Nathan Rogers e dei maestri della scuola milanese. Ma un’eredità così importante, affinché possa diffondersi e radicarsi tra le nuove generazioni, deve essere alimentata da un continuo esercizio critico, utile alla maturazione di un punto di vista in grado di esprimere consapevoli prese di posizione nei confronti degli eterogenei orientamenti che oggi affollano la cultura architettonica internazionale. X

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Solo così, come ha insegnato lo stesso Rogers, il «novello Adamo senza storia di peccati e di esperienze», necessariamente presente negli studenti che noi formiamo, potrà accogliere, riconoscere e rinnovare il valore della “stirpe” dalla quale proviene. Milano, ottobre 2009

E.N. Rogers, da “L’architettura. Cronache e storia”, 205, 1972.

NOTE 1 E.N. Rogers, Henry van de Velde o dell’evoluzione, in “Casabella-continuità”, 237, marzo 1960, p. 3 (vedi p. 17 del presente volume). Prefazione

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E.N. Rogers, Editoriali di architettura, Einaudi, Torino 1968.

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Un pensiero in continua evoluzione di Silvia Micheli Lungo la vita si cambia gran parte di sé, come gli alberi che mutano fiori e foglie, segno delle stagioni; ma il tronco, pur ingrossandosi e raggrinzendo nella corteccia, rimane sempre quello.1 Ernesto Nathan Rogers

«Aborriva la mediocrità col distacco di un intellettuale in apparenza mondano, nell’intimo sofferente. Figura per vari aspetti indicibile, quella di Ernesto. Incontrarla, ancor oggi, è utile, necessario: induce a guardarsi allo specchio, a riflettere sulla propria identità».2 Così Rogers veniva definito da Bruno Zevi nel 1972, nell’editoriale del numero tardivamente dedicato alla commemorazione del maestro milanese, scomparso tre anni prima. La scelta di rieditare l’ultimo libro pubblicato da Rogers, Editoriali di architettura, è dettata dalla possibilità di un “incontro” con un pensiero che non solo ha avuto la forza di formare un’intera classe di architetti durante gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, ma che pone delle questioni disciplinari tutt’oggi valide e per certi versi ancora irrisolte. Parallelamente all’abbondante produzione progettuale elaborata nello “Studio architetti BBPR”, avviato nel 1932 a Milano con Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso ed Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers svolge nel corso della sua vita una prolifica attività pubblicistica. Tale impegno intellettuale, tanto costante quanto incisivo, dà origine al dibattito architettonico engagé del dopoguerra italiano, promosso contemporaneamente in qualità di docente nelle aule della facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e seguito con attenzione anche in ambito internazionale. Dal 1933 al 1936 Rogers è redattore della rivista “Quadrante”; tra il 1946 e il 1947 è direttore del mensile “Domus”; dal 1953 al 1964 dirige “Casabella-continuità”; parallelamente pubblica numerosi saggi su quotidiani e periodici nazionali e internazionali e, tra il 1947 e il 1959, dirige (con Belgiojoso e Peressutti) la collana “Architetti del movimento moderno” per la casa editrice milanese Il Balcone.3 Alcuni tra i suoi più significativi articoli, oltre alle trascrizioni di memorabili lezioni, conferenze, relazioni e interventi a convegni, sono confluiti nel celebre volume a carattere antologico dal titolo Esperienza dell’architettura, pubblicato da Einaudi nel 1958,4 mentre quelli scritti tra il 1959 e il 1965 sono stati raccolti in un secondo volume, Editoriali di architettura, mandato alle stampe nel 1968 dalla stessa casa editrice. Nota introduttiva

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Il progetto di raccogliere i testi più rilevanti pubblicati dopo il 1958 matura intorno alla metà degli anni sessanta e sicuramente ha già preso forma nell’agosto del 1966, quando Rogers, nell’Introduzione alla seconda edizione di Esperienza dell’architettura, scrive: Sono passati otto anni e il libro è da tempo esaurito. Mi lusinga che l’Editore ne stampi ora una seconda edizione la quale verrà collegata, almeno concettualmente, agli altri tre libri che sto preparando per lo stesso Einaudi.5

Dei tre volumi preannunciati, uno è Editoriali di architettura, la cui premessa viene scritta già nell’aprile del 1967 e nella cui nota ai tre testi dedicati a Le Corbusier Rogers rivela il titolo del secondo volume in programmazione: «Le Corbusier totale, che l’editore Einaudi mi ha già commesso», ma che non verrà pubblicato.6 Del terzo libro non si ha invece notizia. Il titolo in apparenza generico, Editoriali di architettura, sembra almeno nominalmente non racchiudere alcun problema. In realtà il libro raccoglie alcuni degli editoriali più significativi scritti da Rogers per la rivista “Casabella-continuità”, ma anche alcuni contributi critici apparsi sui periodici “Marcatré”, “Edilizia moderna” e “Daedalus”, nonché un testo pubblicato sul catalogo della famosa azienda di arredamento Cassina. Il volume è suddiviso in quattro sezioni, corrispondenti ad altrettanti temi particolarmente cari a Rogers. La prima sezione, intitolata I maestri, è composta da testi dedicati all’analisi dell’opera di Henry van de Velde, Walter Gropius, Le Corbusier, Peter Behrens, Adolf Loos. Si tratta di figure-chiave della vicenda moderna, ovvero di alcuni tra i suoi “padri fondatori”, secondo la complessa “costellazione” concepita nel corso degli anni da Rogers. A tali nomi si aggiunge quello di Adriano Olivetti, cui viene attribuito «un ruolo evidentemente molto particolare», come sottolineano Ezio Bonfanti e Marco Porta.7 La seconda sezione, Testimonianze, interventi polemici e critici, il cui titolo viene mutuato, unico fra tutti, dall’Indice di Esperienza dell’architettura, mette in evidenza alcune questioni nodali del dibattito architettonico innescato dallo stesso Rogers sulle pagine di “Casabella-continuità”, e tratta, senza alcun pregiudizio, di temi che in certi casi travalicano i confini strettamente disciplinari. Si vedano, a questo riguardo, scritti come Architettura provvisoria, L’architetto dell’era atomica, Democrazia, non mediocrazia, oltre al celeberrimo L’evoluzione dell’architettura. Risposta al custode dei frigidaires, in cui Rogers replica con veemenza al polemico «articolo di Mr Banham apparso su “Architectural Review”» in merito alla produzione architettonica italiana del dopoguerra, e a Discontinuità o continuità?, l’ultimo, dolente editoriale scritto prima di lasciare la direzione di “Casabella-continuità”, alla fine del 1964. XIV

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Con la sezione I Paesi Rogers illustra, secondo un affresco personale, la cultura architettonica internazionale che ha avuto modo di conoscere durante i numerosi viaggi e impegni professionali all’estero. Gran Bretagna, Francia, Russia, Argentina e Germania sono tra i Paesi cui Rogers dedica alcuni approfondimenti. Tuttavia, sono in particolar modo gli Stati Uniti a esercitare su di lui un più forte e durevole influsso, com’è possibile evincere in Molte Americhe in una, dove Rogers scrive: L’America, per molti aspetti, realizza con notevole anticipo il bene e il male verso il quale siamo tutti avventurati; tutti e non solo i popoli occidentali: perfino la Russia e la Cina. Chi non ha visitato gli Stati Uniti non ha vissuto pienamente il XX secolo.

Nella quarta e ultima sezione Rogers raccoglie gli editoriali di “Casabella-continuità” dedicati ai Problemi della scuola, dai quali emerge la sua apertura al mondo studentesco, in pieno fermento in quegli anni, e il suo impegno profuso nella riformulazione dell’insegnamento accademico secondo un approccio di tipo maieutico, che tanto deve alle teorie elaborate da Gropius.8 Basta leggere le parti finali di Utopia della realtà (un fortunato ossimoro che lo stesso Rogers riutilizzerà nel 1965 come titolo di un libro sulla didattica universitaria)9 per rendersi conto della lucidità della sua visione, così come pure della sorprendente attualità di essa: Se non si ha paura delle parole e si vogliono superare le limitazioni nominalistiche, che in questo caso hanno assunto ormai un senso deteriore, si può ben auspicare che la scuola sia un’accademia, come dev’essere, ma non un luogo precluso alla vita dove si consacrano, o tutt’al più si ripetono, le esperienze già legalizzate (e da quali povere leggi!), bensì un attivo servizio del complesso sociale che ha per finalità la ricerca: un laboratorio dove si produce cultura.

Su questo nucleo di scritti, che sottende un rigoroso pensiero tanto progressista quanto umano, si è formata un’intera generazione di architetti tutt’oggi operante nei principali atenei italiani. Nonostante la differenziazione tematica delle sezioni, un comune ideale percorre tutti questi testi appassionati e appassionanti: la fede nel valore civile dell’architettura. In confronto al pensiero coerente che lega tra loro i testi inclusi in Esperienza dell’architettura, selezionati secondo il criterio «di stabilire, per punti, una linea di sviluppo della mia esperienza e della mia generazione»,10 Editoriali di architettura sembra costruito in modo un po’ meno rigoroso e conseguente. Ciò nondimeno i due testi, tra cui si frappongono Gli elementi del fenomeno architettonico, un libro pubblicato da Laterza nel 1961 e mai distribuito,11 e L’utopia della realtà, si inscrivono in un orizzonte per certi versi comune, secondo il desiderio di “testimoniare” la Nota introduttiva

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