Il libro dei mestieri

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Il libro dei mestieri



Breve storia dell’arte del nuotare in tempo di guerra

Mio zio dichiarò: «Sono capace di rimanere a galla anche nel più pericoloso dei gorghi, a patto che vicino ci sia una barca con a bordo due bravi nuotatori!». Noi tutti rimanemmo sorpresi e lui aggiunse: «Sicuro! E poi che abbia il salvagente, per ogni evenienza!». Le zie si ricordarono subito di Johnny Weissmüller che si tuffava nelle spaventose cascate del Niagara senza alcun salvagente, e senza pensare affatto alla morte. Io raccontai l’episodio di una meravigliosa stella del cinema che era annegata nella propria vasca, semplicemente perché si era appisolata. La mamma disse: «Ecco, avete visto?!». Inoltre lo zio possedeva un libro, Come nuotare senza annegare – dieci unità, con tanto di illustrazioni. Nel libro erano disegnate posizioni e movimenti relativi a diversi stili, ma il disegno più bello era quello che raffigurava un nuotatore con la testa sotto la superficie dell’acqua. C’era poi un altro disegno, in cui il nuotatore riemerge sputando fuori tutto il liquido inghiottito. Il nonno affermò: «È un bel mistero come faccia questo a sopravvivere dopo aver tracannato tutta quell’acquaccia!». La mamma pensò subito alla grande passione del papà per l’alcol e ci pregò: «Per favore, non parlate davanti a lui di “tracannare”, non vorrei che si offendesse!». Allora lo zio dichiarò: «Sono finalmente riuscito a conoscere il grande campione di nuoto Severin Bijelić, uno che è in grado di insegnarti a nuotare in cinque minuti!». La mamma rispose: «Grazie mille!». Le zie aggiunsero: «Ci avete fatto caso? Persino il più sudato degli sportivi dopo si fa la doccia e si pettina con cura!». A mia volta constatai che anche il più rude degli assi del nuoto, non appena usciva dalla vasca, indossava il suo miglior vestito. Il libro dei mestieri


Quando venne da noi, il grande campione di nuoto dette subito mostra della propria eleganza con un abito confezionato ancora prima della guerra. Si rimboccò immediatamente le maniche e affermò: «Vi posso insegnare i più svariati stili anche lontano dall’acqua, in questa stessa stanza!». La mamma disse: «Basta che non mi fai cadere il vaso giapponese, regalo dei miei poveri cugini americani!». Le zie non comprendevano affatto i suoi movimenti, sia il lavoro delle spalle sia quell’altro, che chiamava in causa le gambe. Il nuotatore si lamentò: «Se solo avessimo un po’ più di spazio, o se le signorine si sdraiassero sul pavimento!». Una cosa assolutamente improponibile. Tutto questo sembrava fatto apposta perché io non imparassi mai a nuotare, cosa che mi riuscì perfettamente. Intuii che il nuoto, il bagno e in generale qualsiasi tipo di svago nell’acqua appartenevano a un particolare tipo di vita per me irraggiungibile. E questo presentimento trovò conferma sulla famosa spiaggia lungo il Danubio, e in tutto ciò che di solito lì accadeva. Mi informavo: «Come mai tutte queste persone quando stanno sul tram o vendono sigarette nei negozi sembrano normali, mentre lì danno immediatamente l’idea di gente di un altro secolo?». Le zie mi spiegarono: «Vedi, si tratta del particolare spirito che ti infondono il costume da bagno, le misteriose cabine spogliatoio e tutte quelle bandierine che sventolano sopra le teste!». Io capivo solo che tante persone andavano in bici, compravano il gelato o si recavano al cinema come tutti gli altri, poi andavano a fare il bagno al fiume e lì si trasformavano completamente. La mamma spiegò in tono solenne: «Sono solo degli illusi, non sanno che la vita è aspra e irredimibile!». Io mi ero accorto anche da solo che più di un’attrice del cinema amava farsi fotografare ai bordi di una piscina in cui non si vedeva mai nuotare nessuno, a parte lei stessa, e assai raramente! Mi divenne chiaro che il nuoto in quanto attività aveva qualcosa a che fare con le grandi ricchezze, del resto era la mia stessa vita, la vita del non-nuotatore, a mostrarmelo in tutta la sua evidenza. La mamma mi consolò di nuovo: «I migliori nuotatori prima o poi annegano, perché credono troppo in se stessi!». 20 21


Questa voleva essere una storia del nuoto come vocazione, o addirittura come una specie di mestiere in voga a quei tempi – tempi di guerra in cui, come capita spesso, affiorano tutta una serie di contraddizioni. Il nonno colse subito l’occasione per dichiarare: «Cosa diavolo aspettano quegli stupidi russi e americani, eh? Che ci arrivi l’acqua fino al collo?». Il nonno trasferì tutta la teoria del nuoto alle battaglie in atto nell’Europa dell’epoca. Io mi ricordai dell’emozionante cronaca delle Olimpiadi di nuoto a Berlino e del resoconto sull’affondamento delle navi nel canale della Manica, come se questi due eventi fossero collegati. Anche la mamma, sulla stessa falsariga, dichiarò: «Stavolta basta solo riemergere, poi sarà tutto più facile!». Pensava che in quel momento bisognasse cavarsela in qualche modo, dopodiché sarebbe andato tutto molto, molto meglio. Passò un po’ di tempo e lo zio rincasò di corsa dalla strada e ci chiese: «Vi ricordate di quel grande nuotatore che cercava di insegnarci il dorso?». Per aggiungere poi: «Ho sentito dire che quelli della polizia segreta l’hanno annegato in una bacinella d’acqua perché non voleva dichiarare se stava con i tedeschi o contro di loro!». Finalmente capii che nemmeno le più alte conoscenze in materia di nuoto sono sufficienti a salvare una persona dall’annegamento. In questo mi trovai completamente d’accordo con la mamma, la quale confermò: «Visto? Cosa vi dicevo io?». Più tardi capii anche che per scrivere di getto una storia su un qualsiasi argomento è necessario soltanto invecchiare. Come dimostra questo caso, ovvero la storia sul nuoto. Basta solo saper collegare tra loro tanti esempi sconclusionati intorno allo stesso tema, che a sua volta – ed è la cosa peggiore – con questi esempi non ha quasi nulla in comune. Prima pensavo che tutte le cose dovessero essere unite da un nesso qualsiasi, e solo dopo ho scoperto che entrano molto più facilmente in relazione l’una con l’altra se tra di loro non vi è alcuna affinità o apparente connessione. Ecco, è proprio ciò che è appena accaduto con questa breve storia sull’arte del nuotare. Il libro dei mestieri


Un gran mestiere, quello del donnaiolo

Nel Quarantatré, in autunno, lo zio iniziò a tossire. Mise il suo bicchiere in alto, sulla credenza, e mi disse: «Non ti provare a toccarlo!». La mamma disse: «Spero solo che non cominci a sputare sangue!». Ed espose subito una serie di spaventosi casi che aveva osservato nel sanatorio Živković, durante una visita. Infine concluse: «Poveri malati di tubercolosi, anche se ricevono in dono il più pesante dei cappotti invernali, non possono neanche appoggiarselo sulla schiena, tanto sono deboli!». Lo zio se ne stava coricato tutto il giorno nella sua cameretta, così cominciarono a fargli visita le ragazze del vicinato dicendo: «Ecco un po’ di pane e burro per il nostro malato!». Lo zio divorava quel cibo oltremodo essenziale, cibo d’anteguerra, dopodiché mostrava loro il vecchio trucco del foglio di carta igienica su cui si fa un buco per farci passare il dito. Le ragazze rimanevano assolutamente incantate. La mamma chiedeva loro: «Ma non avete paura del contagio?». E quelle dicevano: «No!». E la mamma: «Domanderò al signor medico se sia davvero il caso di stargli vicino!». Lo zio raccontava alle ragazze del suo vecchio e pericolosissimo mestiere di bigliettaio sui tram di Zagabria, nonché di Fanika Ilerova, un’attrice che aveva conosciuto tempo addietro. Quindi sosteneva: «Ho visto con i miei occhi Konjović, il più grande signore d’anteguerra, seduto sulla terrazza dell’hotel Esplanade a bere un liquore con le signorine Beba Prpić e Branka Rot, entrambe in calze Kaiser!». Le ragazze battevano le mani: «Ma non è possibile!». Lo zio tossiva, mangiava pane bianchissimo con burro e miele, e mostrava a tutti il piccolo, sconveniente giocattolo che aveva fabbricato con le sue stesse mani. Il 22 23


giocattolo consisteva in un pupazzo a forma di uomo, alto dieci centimetri e con una parte del corpo indecentemente grande, che per giunta si muoveva all’insù. Le donne strillavano, non so perché. La mamma gridava: «Non davanti al bambino, nascondilo sotto la coperta!», e poi, a voce molto più bassa: «Maledetta guerra!». Più tardi, sotto la coperta, lo zio metteva in azione il suo di giocattolo, ma a quel punto mi avevano già spinto fuori dalla stanza, senza discussioni. Lo zio era capace di produrre anche strani movimenti con le mani, come quello con l’indice sotto il naso. Io sapevo che pure questo era vietato, solo non ero certo da parte di chi. Proprio allora venne una donna, una cameriera, e puntò il dito contro lo zio: «Questo prima mette incinta una e poi fa lo gnorri!». Lo zio affermò: «Non l’ho mai vista in vita mia!». Il papà disse: «Ciò non significa ancora nulla!». La mamma prima chiese: «Chi è la signorina, se posso sapere?» e poi: «Non vede che è moribondo?». La cameriera sbatté la porta, urlando: «Ben gli sta!». Di morire non se ne parlava nemmeno. Lo zio mangiava dell’ottimo cibo che gli portavano le ragazze e le donne del vicinato, aveva il colorito roseo, suonava delle canzoncine sconvenienti con il pettine e le cartine per le sigarette, poi prese a riparare gli orologi, alcuni dei quali piccolissimi. Prima smontò quello della nostra vicina Darosava, pulì i minuscoli pezzi con la benzina, e poi lo rimontò. Lo faceva con una lente che teneva sull’occhio, con grande abilità. Lo zio si lamentava: «Eh, se solo avessi una pinzetta!». Le zie dissero: «La nostra non te la diamo, ci serve per le sopracciglia!». La signora Darosava era già da un po’ in camera dallo zio, da dove giungevano rumori di scricchiolii e gridolini, quando il nonno disse: «Eccola lì, la sua pinzetta!». La mamma si mise subito a cantare un’aria d’opera e cominciò a lavare la finestra, quella della cucina. La signora Darosava uscì, si aggiustò i capelli con la mano e disse: «Come nuovo!». Il nonno rispose: «Non ho dubbi!». Poi venne la figlia del cancelliere di polizia e disse: «Potrebbe riparare la sveglia che usa mio padre per alzarsi quando va al lavoro?». Il nonno disse: «Oh, cosa vuoi che sia per lui!». AnIl libro dei mestieri


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